venerdì 29 agosto 2025

Ponti verso il nulla. La Chiesa “in uscita” è ancora qui.




29 ago 2025

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by Aldo Maria Valli

Quattro esempi

di Chris Jackson

Atto I. Il sinodo arcobaleno di Madrid senza sinodo

L’arcivescovo di Madrid José Cobo ha accolto calorosamente la Rete globale dei cattolici arcobaleno, una coalizione di vari gruppi di attivisti il cui messaggio è inequivocabile: “I diritti LGBTQ sono diritti umani e ogni cristiano dovrebbe difenderli”. In altre parole, la missione soprannaturale della Chiesa deve essere subordinata all’antropologia dei valori inventati dalle Nazioni Unite.

Uno dei protagonisti, padre James Alison, è un prete apertamente omosessuale ridotto allo stato laicale per aver rifiutato l’obbedienza. Francesco lo incoraggiò personalmente, nel 2017, dicendogli che aveva il “potere delle chiavi”: una singola telefonata che ha causato più danni di quanto qualsiasi chiarimento della Dottrina della fede potrebbe mai riparare. Ma ora, sotto il regno di Leone, la lobby arcobaleno non ha nemmeno bisogno delle telefonate papali.

La gerarchia spagnola, da tempo laboratorio di progressismo, ha trasformato il dissenso in una forma di comunione. Una volta “costruiti ponti”, a quanto pare l’unica direzione in cui conducono è quella di allontanarsi dalla dottrina cattolica.

Atto II. La parrocchia di Denver si ribella al Vangelo

A Denver, don Daniel Ciucci è sotto assedio. Il suo crimine? Predicare sul peccato, l’inferno, il precetto domenicale e rimuovere l'”arte femminista” da una scuola parrocchiale. Settecentocinquanta parrocchiani scontenti hanno firmato una petizione accusandolo di minare la loro “sicurezza psicologica”.

Fermiamoci un attimo. Viviamo in un’epoca in cui i laici applaudono gli attivisti LGBTQ a Madrid, ma si ribellano a un prete che li mette in guardia dal giudizio. Il “Denver Post”, com’era prevedibile, ha inquadrato la situazione come una battaglia tra il clericalismo pre Vaticano II, “fuoco e zolfo”, e lo “spirito di accoglienza” del Vaticano II. In realtà, si tratta semplicemente di un prete che crede ancora che le anime vadano all’Inferno e si scontra con parrocchiani che credono che la Chiesa sia una terapia di gruppo con vetrate colorate.

L’ironia è che l’arcivescovo Aquila ha difeso il sacerdote, rivelando quanto si sia spostato il centro. Un’omelia intitolata “Perché l’inferno è accogliente” è scioccante perché l’inferno è stato bandito dal catechismo modernista. I laici di Denver sono scandalizzati non dal peccato, ma dalla sua menzione.

Atto III. Il vescovo di Leone per gli adulteri


Leone XIV ha appena nominato il cappuccino padre Pedro Cesário Palma vescovo di Jardim, in Brasile. La fama di Palma non risiede nella santità, nella brillantezza teologica o nello zelo missionario. È dovuta al suo decennale “ministero della seconda unione”, in cui le coppie adultere vengono accolte, integrate e incoraggiate a rimanere esattamente dove sono.

Molto prima di “Amoris laetitia”, Palma esponeva striscioni che invitavano gli adulteri alla comunione senza pentimento. Nel 2011 organizzava ritiri spirituali per coppie divorziate e risposate, permettendo loro di unirsi a cori, programmi di catechismo e consigli parrocchiali.

Non è un caso. Leone sta mostrando la sua strategia episcopale: i vescovi non saranno scelti per la fedeltà alla dottrina, ma per la loro applicazione creativa della scuola di realismo pastorale di Bergoglio. L’ascesa di Palma è la prova che l'”ospedale da campo” non cura più le ferite, le normalizza.

Atto IV. Il mondo ecumenico dei sogni di Stoccolma

Il messaggio di Leone alla Settimana ecumenica di Stoccolma può sembrare pio, ma sotto la retorica si cela il vero motore della rivoluzione postconciliare: l’ecumenismo fine a sé stesso. Il papa elogia Nicea, ma allo stesso tempo elogia la conferenza protestante di Söderblom del 1925, dove la dottrina fu esplicitamente minimizzata a favore del “cristianesimo pratico”.

La frase “il servizio unisce” è diventata da allora il mantra del movimento ecumenico. La fede non unisce più; lo fanno le mense popolari. La Croce non unisce più; lo fa l’attivismo sociale. Ciò che è iniziato al Concilio Vaticano II con “Unitatis redintegratio” è maturato in una teologia della fraternità orizzontale in cui la verità è relativizzata.

Il messaggio di Leone dice a luterani, anglicani e ortodossi che “ciò che ci unisce è molto più grande di ciò che ci divide”. Questo è evidentemente falso. Se l’Eucaristia, il primato papale, i dogmi mariani e la legge morale sono semplici “divisioni”, allora l’unità si riduce a vaghi buoni sentimenti.

Il filo che lega: una Chiesa senza centro

Che si tratti degli attivisti arcobaleno di Madrid, dei parrocchiani di Denver, delle coppie adultere in Brasile o dei protestanti di Stoccolma, il messaggio è lo stesso: la Chiesa post-Vaticano II non ha più la forza di dire “no”. Ogni confine è poroso, ogni dottrina negoziabile, ogni peccato riformulato come un “percorso di apertura”.

La “perdita di sicurezza psicologica” a Denver è solo l’immagine speculare della “gioia di costruire ponti” a Madrid. Entrambe danno per scontato che la Chiesa esista per convalidare i sentimenti dei laici. Le nomine episcopali di Leone e la diplomazia ecumenica non fanno che confermare questo schema: la rivoluzione non ha freni, perché i freni sono stati smantellati molto tempo fa.

La tragedia non è che i cattolici moderni siano divisi. La tragedia è che così pochi riescano anche solo a immaginare la Chiesa com’era: una madre che insegnava con autorità, disciplinava i suoi figli e chiamava i peccatori al pentimento, non a una riunione di comitato.

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