sabato 31 marzo 2018

Il silenzio del Sabato Santo





PREGHIERA DI SAN BONAVENTURA
ALLA BEATA VERGINE
MARIA SANTISSIMA ADDOLORATA


Per quei singulti e sospiri e indicibili lamenti, indizi dell'afflizione in cui era il vostro interno, o Vergine gloriosissima, quando vedeste tolto dal vostro seno e chiuso nel sepolcro il Vostro Unigenito, delizia del vostro cuore, rivolgente, ve ne preghiamo, quei vostri occhi pietosissimi a noi miseri figli di Eva, che nel nostro esilio, e in questo misera valle di pianto a Voi innalziamo calde suppliche e sospiri. Voi dopo questo lagrimevole esilio fateci vedere Gesù, frutto benedetto delle vostre caste viscere. Voi con gli eccelsi vostri meriti impetrateci di potere in punto di nostra morte esser muniti dei Santi Sacramenti della Chiesa, per terminare i nostri giorni con una morte felice, ed essere finalmente presentati al divin Giudice, sicuri di essere misericordiosamente assoluti. Per grazia dello stesso Signor nostro Gesù Cristo, Vostro Figliuolo, il quale Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Così sia.






venerdì 30 marzo 2018

Alla Via Crucis. Con il pensiero rivolto ad Alfie






scritto da Aldo Maria Valli  30-03-2018

In questo Venerdì Santo voglio rivolgere il pensiero ad Alfie Evans, il bimbo di poco meno di due anni ricoverato all’ospedale pediatrico di Liverpool per una malattia neurologica degenerativa e destinato a morire perché, come scrive il mio amico Andrea Mondinelli, «con una velocità degna del record del mondo dei cento metri piani, quella farsa che risponde al nome di Corte europea dei diritti dell’uomo, la Cedu», ha negato il ricorso per salvarlo.

Non sembra fuori luogo quindi il titolo dell’articolo di Benedetta Frigerio La passione di Alfie come quella di Gesù (http://www.lanuovabq.it/it/la-passione-di-alfie-come-quella-di-gesu), nel quale leggiamo: «Sta riaccadendo quello che accadde 1985 anni fa. Come Cristo allora, oggi c’è chi muore ingiustamente processato, abbandonato e tradito per potere o per paura da chi dovrebbe difenderlo. Sono i Santi Innocenti dell’Occidente ateo. Come Charlie Gard, come Isaiah Haastrup e chissà quanti nascosti ma uccisi senza colpa».

È vero. Dopo Charlie e Isaiah, ora è il turno di Alfie, la cui storia è quella di un essere umano che «chi di dovere» ha deciso di non ritenere degno di vita.

Ricoverato all’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool quindici mesi fa per episodi convulsivi, poi costretto alla terapia intensiva e ventilato a causa di un’infezione al torace resa più grave da alcuni errori dei medici (come hanno rivelato da pochi giorni i genitori, mostrando le cartelle cliniche), Alfie è stato di fatto condannato a morte dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo (mai nome risultò più grottesco) si è rifiutata di giudicare il caso, respingendo l’appello in perfetto stile pilatesco. Adesso dunque i medici sono intenzionati a staccare la ventilazione e poiché i genitori continuano a opporsi è stato loro vietato di avvicinarsi al bambino e di coccolarlo finché non accetteranno il verdetto. Un ricatto orribile.

Scrive Benedetta Frigerio: «Come Gesù, anche Alfie ha subito un processo ingiusto, voluto dall’ospedale che ha illegalmente evitato lo step precedente della mediazione fingendo con i genitori di averla accettata».

Tra i testimoni portati dai genitori, ma non ammessi dall’ospedale, c’è il medico Nikolaus Haas, di Monaco, che non ha esitato a parlare di metodi nazisti ai danni di Alfie. Ma il giudice Anthony Hayden l’ha liquidato così: «Non capisce la nostra cultura».

Un altro testimone è un ex infermiere dell’ospedale, Patrik Hutzel, esperto di cure domiciliari, che proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto apparire di fronte ai giudici ha ricevuto dal tribunale una e-mail con la quale gli è stato comunicato che la sua testimonianza non era necessaria.

«Ci sono poi altri parenti che avrebbero testimoniato in tribunale, confessando quello che hanno sentito uscire dalla bocca di medici e infermieri, come ad esempio il fatto che Alfie non è in coma, non è in stato semi-vegetativo, non soffre, non si sa se ci sono danni al cervello. Invece? Invece sono stati ammessi solo medici e prove a favore del giudizio dell’Alder Hey, come la dottoressa Helen Cross del Gosh (Great Hormond Street Hospital, nda), che ha visto Alfie solo per mezz’ora e che ha dichiarato, senza avvalersi di referti medici e prove cliniche, che il cervello era danneggiato. Infine, si è deciso che la vita di Alfie “non ha senso” perché “non avrà una qualità di vita degna”, come ha detto ai giudici Michael Mylonas, legale dell’ospedale».

«Dopo di che, esattamente come è successo a Gesù, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha preferito lavarsi le mani. Nel frattempo il piccolo sta andando in Croce, lottando, aprendo gli occhi, muovendosi (come si vede nei video), con la sua mamma impotente e addolorata, come lo fu la Madonna. Con un uomo, suo padre, che, come Giovanni con Cristo, per lui si farebbe ammazzare. Con alcune donne e un piccolo popolo che, pur giudicato folle dalla maggioranza, sta al suo fianco. Come fecero la Maddalena, la Veronica, il Cireneo ed altri con Cristo».

E Pietro? E Giuda? Si chiede Benedetta Frigerio: «Oggi con Alfie, come allora con Gesù, c’è chi nel popolo di Dio sta tradendo come Giuda, sapendo di farlo, per piacere al mondo, per potere o per trenta denari?»

Sarà Dio a giudicare. Ma noi abbiamo il dovere di raccontare. Charlie, Isaiah, Alfie: sono martiri innocenti, «il cui sangue puro è l’unica possibilità di salvezza per l’Occidente adulto insozzato di peccato».

«Non abbiamo più vie legali per difendere nostro figlio, che vuole vivere, mentre medici e giudici non vedono l’ora che sia morto. Imploriamo papa Francesco di intervenire. È l’unico che ci può difendere», dice Thomas Evans, il papà di Alfie.

«Sembra che tutti vogliano Alfie morto al più presto. Mio figlio Alfie ha quasi due anni, ha messo su peso (quasi diciassette chili), succhia il suo ciuccio, ci fissa, combatte con noi al suo fianco. E i medici? Non desiderano altro che muoia presto. Alfie non è il solo ad aver subito questo trattamento, penso a Charlie, ad Isaiah e a tante altre situazioni nascoste: per questo imploriamo nostro padre, papa Francesco, di aiutarci!».

Questa sera le meditazioni per la Via Crucis al Colosseo, alla presenza di Francesco, incominceranno tutte con queste parole: «Ti vedo, Gesù». Ebbene, noi oggi vediamo Gesù anche in Alfie, soprattutto in Alfie.

Aldo Maria Valli












giovedì 29 marzo 2018

GIOVEDÌ SANTO. Nell'Ultima Cena si gioca il dramma della libertà umana

mercoledì 28 marzo 2018

Ma chi l’ha scritto il documento dei giovani?





scritto da Aldo Maria Valli

Ho letto il documento che i giovani hanno consegnato al papa in vista del sinodo dei vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Ne ho ricavato l’impressione di un testo vecchio nel linguaggio e nei contenuti, come se fosse stato prodotto non da giovani d’oggi, ma da qualcuno che è stato giovane mezzo secolo fa e non è ancora uscito da certi schemi e da certi complessi.

In apertura si dice che il documento “rispecchia le specifiche realtà, personalità, credenze ed esperienze dei giovani del mondo” ed è “volto a fornire ai vescovi una bussola che miri ad una maggiore comprensione dei giovani”. Ma pagina dopo pagina si nota che le riflessioni, “scaturite dall’incontro di più di trecento giovani rappresentanti da tutto il mondo” e con “la partecipazione di 15 mila giovani collegati online attraverso gruppi Facebook”, trasmettono l’idea di una Chiesa ridotta a organizzazione sociale, preoccupata più che altro di scusarsi per non essere sufficientemente al passo con i tempi. E dal punto di vista linguistico certe espressioni sembrano prese di peso dal repertorio di papa Francesco.

Andiamo con ordine. Dopo aver sostenuto che “i giovani cercano il senso di se stessi in comunità che siano di sostegno, edificanti, autentiche e accessibili, cioè comunità in grado di valorizzarli”, il documento afferma: “A volte sentiamo che il sacro sembra qualcosa di separato della vita quotidiana. Molte volte la Chiesa appare come troppo severa ed è spesso associata ad un eccessivo moralismo. A volte, nella Chiesa, è difficile superare la logica del “si è sempre fatto così”. Abbiamo bisogno di una Chiesa accogliente e misericordiosa”.

Non è difficile notare qui la totale coincidenza con quanto spesso sostiene Francesco. A parte il fatto che il sacro, a mio modesto giudizio, deve essere qualcosa di separato dalla vita quotidiana (lo spazio e il tempo sacri sono tali proprio perché diversi da quelli profani), troviamo subito la denuncia della Chiesa troppo severa e moralista (quando invece, in generale, il problema odierno sembra l’opposto, cioè una Chiesa incerta e lassista) e la parallela critica della logica del “si è sempre fatto così”, un cavallo di battaglia dell’attuale pontificato.

E che dire di quel richiamo a una “Chiesa accogliente e misericordiosa”? Anche qui il copyright non è forse di Francesco?

Più avanti, anziché la bellezza e l’originalità della proposta cristiana (i fattori che, oggi come sempre, appassionano veramente i giovani), troviamo un’analisi sociologica che mescola questioni diverse e tutte in senso orizzontale: “I giovani sono profondamente coinvolti e interessati in argomenti come la sessualità, le dipendenze, i matrimoni falliti, le famiglie disgregate, così come i grandi problemi sociali, come la criminalità organizzata e la tratta di esseri umani, la violenza, la corruzione, lo sfruttamento, il femminicidio, ogni forma di persecuzione e il degrado del nostro ambiente naturale”.

Ora, che molti giovani siano interessati a questi argomenti è facilmente intuibile. Ma che cos’ha da dire la Chiesa, in proposito, alla luce dell’eterna Verità divina? In tutto ciò dov’è Dio? Dov’è la ricerca della verità?

Sotto questo profilo il documento non dice nulla. In compenso ecco il solito, trito richiamo alle “sfide” sociali, di fronte alle quali (e qui torna, alla lettera, il vocabolario di papa Francesco) “abbiamo bisogno di inclusione, accoglienza, misericordia e tenerezza da parte della Chiesa”. E poi, altrettanto immancabile, ecco il richiamo al “multiculturalismo”, che ha “il potenziale di facilitare un ambiente per il dialogo e la tolleranza”, con un obiettivo indicato così: “Valorizziamo la diversità di idee nel nostro mondo globalizzato, il rispetto per il pensiero dell’altro e la libertà di espressione”. Il che, francamente, non sembra costituire questa gran conclusione. Ma, soprattutto, l’impressione è che il documento ricalchi uno schema precostituito.

A conferma, come primaria viene indicata la preoccupazione per il fatto che “non c’è ancora un consenso vincolante sulla questione dell’accoglienza dei migranti e dei rifugiati e nemmeno sulle problematiche che causano questo fenomeno” e “tutto questo nonostante il riconoscimento del dovere universale alla cura per la dignità di ogni persona umana”. Di qui l’avvertimento: “In un mondo globalizzato e inter-religioso, la Chiesa ha bisogno non solo di un modello ma anche di un’ulteriore elaborazione sulle linee teologiche già esistenti per un pacifico e costruttivo dialogo con persone di altre fedi e tradizioni”.

Andiamo avanti. Una larga parte del documento è dedicata alle paure dei giovani e anche in questo caso le espressioni usate appartengono quasi alla lettera al repertorio di Francesco. Come qui: “A volte, finiamo per rinunciare ai nostri sogni. Abbiamo troppa paura, e alcuni di noi hanno smesso di sognare”. E qui: “Vogliamo un mondo di pace, che tenga insieme un’ecologia integrale con una economia globale sostenibile”, senza dimenticare i “conflitti”, la “corruzione”, le “disuguaglianze sociali” e i “cambiamenti climatici”.

E quando, finalmente, si esce un po’ dalla sociologia spicciola per entrare, per lo meno, nell’ambito della sociologia della religione, ecco un’affermazione piuttosto scontata (“oggi la religione non è più vista come il mezzo principale attraverso il quale un giovane si incammina verso la ricerca di senso, in quanto spesso ci si rivolge a tendenze e ideologie moderne”), seguita subito da una critica alla Chiesa (“gli scandali attribuiti alla Chiesa – sia quelli reali, che quelli solo percepiti come tali – condizionano la fiducia dei giovani nella Chiesa e nelle istituzioni tradizionali che essa rappresenta”) e dalla richiesta che la Chiesa stessa sia “inclusiva” verso le donne, perché “oggi un problema diffuso nella società è la mancanza di parità fra uomo e donna” e “ciò è vero anche nella Chiesa”.

E vogliamo parlare dei grandi temi riguardanti la vita, la morte, la famiglia, la sessualità?

Ecco qua: “C’è spesso grande disaccordo tra i giovani, sia nella Chiesa che nel mondo, riguardo a quegli insegnamenti che oggi sono particolarmente dibattuti. Tra questi troviamo: contraccezione, aborto, omosessualità, convivenza, matrimonio e anche come viene percepito il sacerdozio nelle diverse realtà della Chiesa. Ciò che è importante notare è che, indipendentemente dal loro livello di comprensione degli insegnamenti della Chiesa, troviamo ancora disaccordo e un dibattito aperto tra i giovani su queste questioni problematiche”. “Di conseguenza (i giovani) vorrebbero che la Chiesa cambiasse i suoi insegnamenti o, perlomeno, che fornisca una migliore esplicazione e formazione su queste questioni”.

Poco dopo, forse consapevole dello sbilanciamento, il documento si corregge e dice che, “d’altra parte, molti giovani cattolici accettano questi insegnamenti e trovano in essi una fonte di gioia”. Ma allora come stanno le cose? L’impressione è di un’analisi insieme superficiale e ambigua.

Ciò che conta, comunque, sembra soddisfare le aspettative del mondo, che vuole la Chiesa sul banco degli imputati e in posizione perdente.

Bisogna aspettare molte pagine prima che compaia un accenno a Gesù. Che suona così: “In ultima istanza, molti di noi desiderano fortemente conoscere Gesù, ma spesso faticano a comprendere che Lui solo è la fonte di una vera scoperta di sé, poiché è nella relazione con Lui che la persona giunge, in ultima istanza, a scoprire se stessa. Di conseguenza, sembra che i giovani chiedano testimoni autentici: uomini e donne in grado di esprimere con passione la loro fede e la loro relazione con Gesù, e nello stesso tempo di incoraggiare altri ad avvicinarsi, incontrare e innamorarsi a loro volta di Gesù”.

Domanda: ma per arrivare a questa conclusione c’era bisogno di convocare giovani da tutto il mondo, spedire migliaia di questionari e organizzare questo gran lavoro del pre-sinodo?

Ma il punto è, ripeto, che la bellezza della proposta cristiana non emerge. Costante è invece la preoccupazione dell’autocritica (“Ideali erronei di cristiani modello appaiono fuori portata, così come i precetti dati dalla Chiesa. A causa di questo, il Cristianesimo è percepito da alcuni come uno standard irraggiungibile”), e anche a proposito della vita consacrata l’accento è posto più che altro sui limiti e sulla “vulnerabilità”, con la solita sottolineatura circa “la mancanza di chiarezza sul ruolo delle donne nella Chiesa”.

Circa la guida che i consacrati devono garantire, si insiste sul coinvolgimento e sul “cammino” (“Le guide non dovrebbero condurre i giovani ad essere dei seguaci passivi, ma a camminare insieme con loro, lasciandoli essere partecipanti attivi di questo viaggio”), ma senza mai dire a che cosa deve portare tutto questo camminare. In compenso, ecco di nuovo la “vulnerabilità”: “Una Chiesa credibile è proprio quella che non ha paura di mostrarsi vulnerabile. Per questo, la Chiesa dovrebbe esser solerte e sincera nell’ammettere i propri errori passati e presenti, presentandosi come formata da persone capaci di sbagli e incomprensioni. Tra questi errori, occorre menzionare i vari casi di abusi sessuali e una cattiva amministrazione delle ricchezze e del potere”.

Siamo agli sgoccioli. Ancora due enunciazioni prelevate dal repertorio bergogliano (“I giovani dalla Chiesa vogliono avere uno sguardo in uscita”; “La Chiesa dovrebbe rafforzare iniziative volte a combattere la tratta degli esseri umani e la migrazione forzata, così come il narcotraffico”) e il documento è finito.

Torna la domanda: ma chi l’ha scritto, veramente?






Aldo Maria Valli











martedì 27 marzo 2018

Ettore Gotti Tedeschi pone alcune domande e considerazioni a Enzo Pennetta





Trascrizione del relativo video  postato sul sito di Libertà e Persona. Da questo dialogo intervista, coloro che lo leggeranno senza pregiudizi ideologici, potranno scoprire il perché del declino dell’uomo “moderno”, e quindi anche quello che potrebbe colpire gran parte di una società. Una società che diventa liquida, relativista e in tanti casi cinica, a causa di una “predicazione” contraria alla verità sull’uomo, è destinata a generare nuovi totalitarismi e nuovi fallimenti. Quanti regimi e totalitarismi del passato – pretendendo di costruire l’uomo nuovo e la nuova società finalmente liberata dai precetti e dalle leggi divine -, hanno finito col costruire nuove sanguinose schiavitù. Pennetta, nei suoi libri, prefigura un tragico declino di un uomo schiavizzato all’interno di quello che potrebbe essere il futuro e più subdolo totalitarismo mondiale. Lasciamo allora la parola ai due protagonisti della videoconferenza.



Gotti Tedeschi. – Inizio dicendo che sono 35 anni che non c’è più educazione. La famiglia non educa più i figli. La scuola non educa più i figli, la Chiesa non educa più i bambini. Quindi do per certo che siamo ignoranti. Va bene?

Se qui ci fosse una persona, diciamo, dell’ambiente, dell’entourage di Bergoglio, diciamo, per esempio, Galantino, il Segretario della CEI, o Spadaro, direbbero che i libri di Pennetta vanno censurati, perché costruiscono muri anziché fare ponti, e non permettono il dialogo. Ma, il dialogo con chi? Con la gnosi.

I libri di Pennetta spiegano che cosa vuol dire dialogare con la gnosi. Pennetta si preoccupa di cosa succederà all’umanità, all’uomo. Bene, se la Genesi – a cui siamo abituati, ci parla della creazione, che è fatta di 4 punti fondamentali: Dio creò l’uomo e la donna, disse loro di andare e moltiplicarsi, di assoggettare la terra e ogni essere vivente -, l’etica cosiddetta laica, di ispirazione più o meno scientifica, razionale e scientifica-positivista, dice esattamente il contrario. Dice che non è vero che Dio ha creato uomo e donna. Decidere se dev’essere uomo o donna è un problema di scelta culturale.

Dice: “non moltiplicatevi più. L’uomo non deve più crescere come numero. Anzi, non sposatevi neanche. Non fate figli, perché l’uomo è il cancro del pianeta. È il cancro della natura. È lui che la distrugge! La natura diventa più sacra dell’uomo. L’animale, poi, addirittura sta sacralizzandosi ancor di più.

Bene, Pennetta è preoccupato per l’umanità e per l’uomo, e lo è per questa ragione. Perché l’etica laica e pseudo scientifica sta sostituendo l’etica cattolica, l’etica della religione cattolica. Perché. Perché c’è una nuova creazione: quella della gnosi, che ha sempre sognato di ricostruire l’umano.

Bene, a questo punto viene naturale dire: e la Chiesa allora, cosa sta facendo? Perché la Chiesa è quella che deve presidiare questo controllo con grande attenzione! Deve educare. Bene, la Chiesa è disintermediata, e l’uomo è solo. L’uomo è solo. Ma di che cosa si è avvalso l’uomo? Qual è il processo con cui siamo arrivati a questo? Nei suoi due libri – che vi suggerisco -, ma leggete anche il secondo sul darvinismo, che è fondamentale, è a completamento del primo. Non può non essere letto. Si capisce molto meglio il primo. Allora, con che cosa si è arrivati a questo? Pennetta enumera alcuni profeti dell’Antico Testamento. Noi, nella religione giudaico-cattolica, abbiamo i nostri profeti e i nostri santi, ma anche i laici, o meglio, i laicisti gnostici hanno i loro profeti e i loro santi.

E lui parte da Malthus, Darwin, i due fratelli Huxley, ma io mi riferisco a Aldous. Che cosa spiega questo processo? Com’è avvenuto? È avvenuto grazie a questi maestri di pensiero. In realtà è avvenuto attraverso la storia delle eresie, e bisogna dire che da duemila anni noi viviamo di eresie. Eresia vuol dire negare la verità. Ci siamo abituati. Ci sono state delle eresie più forti, più imponenti, più drammatiche per i grandi cambiamenti dell’umanità. Pensate al luteranesimo. Quindi, prima di tutto i più grandi profeti, e poi un’altra cosa, perché non basta avere idee, bisogna divulgarle, bisogna imporle, le idee. E Pennetta dice: “Ci son stati i profeti, che hanno prodotto questa nuova idea, che è alla base della grande trasformazione della Genesi, che sono le verità”.

Vi spiego perché la Genesi è importante. Perché, se una religione ha un Dio Creatore – voi sapete che ci sono due tipi di religione: quelle con un Dio Creatore, e quelle senza un Dio Creatore, che sono delle filosofie, però sono religioni alle quali diamo teoricamente anche l’8 per mille. Le religioni con un Dio noi le chiamiamo le tre religioni monoteiste -, (se una religione ha un Dio Creatore, gli appartenenti a ognuna delle tre religioni farà riferimento all’idea di Dio che ognuna di esse esprime. Ndt).

Perché la religione che ha un Dio Creatore – prosegue Gotti Tedeschi -, presuppone che il Creatore abbia dato senso alla creazione, e quindi abbia stabilito delle leggi per comprendere tale senso. Dando per certo che Dio è una persona seria, ha dato un senso serio alla Sua creazione. Conseguentemente la creatura non può non avere delle leggi di riferimento, non può non avere un senso della sua vita. E questo è fondamentale! Perché la civiltà si fonda su questo concetto: “il senso che devo dare alla creazione, e quindi il senso e il motivo per cui si vive, così come le azioni che io devo fare verso altre forme cosiddette religiose o laiciste, o religioni laiche, che ignorano completamente il senso della vita”.

Bene, ho detto che le idee si sono formate e hanno creato il manuale di base con cui si è rivoluzionata la Genesi, ma poi sono stati usati anche degli strumenti, altrimenti non si potrebbero imporre i grandi cambiamenti culturali, i grandi cambiamenti dei principi religiosi, i grandi cambiamenti politici, eccetera. Chi ha messo in atto tutti questi cambiamenti? O meglio, chi ha reso possibile l’attuazione di queste idee?

Pennetta li descrive. Sono i grandi organismi internazionali, che vengono creati soprattutto, e avviati, negli anni Settanta. L’ONU, l’UNESCO, la FAO, l’UNICEF, eccetera. Che cos’è l’ONU? È l’organizzazione mondiale che dovrebbe uniformare il genere umano, dovrebbe renderci tutti felici, in pace, e tutti ricchi. L’UNESCO è la Santa Sede, il Vaticano della cultura. È quello che dice che cos’è giusto o sbagliato nella cultura, nelle scienze, nelle religioni, nel comportamento. La FAO è quella che stabilisce cosa devono fare i paesi poveri per diventare ricchi. L’UNICEF stabilisce a che mese si può abortire o non più abortire.

Allora, queste grandi strutture sono gli strumenti con cui le grandi idee dei profeti di cui vi ho parlato, sono state applicate. Ecco perché vi dicevo che se ci fosse qui un uditore, un osservatore di un certo tipo di cultura, direbbe che questo libro crea muri anziché ponti, perché non facilita il dialogo. Il dialogo, con chi? Con la gnosi. La gnosi è la prima disobbedienza che troviamo nella Genesi. Quella che fa sì che i nostri progenitori disobbediscano. La gnosi è la disobbedienza. È la proposta della conoscenza verso l’obbedienza al Creatore.

Cosa dice il “serpentello”? dice: “Venite da me, e io vi do la conoscenza! Lui (Dio), ve l’ha voluta togliere! Che cos’è quindi la conoscenza? È RIFARE LA CREAZIONE. È RIFARE L’UOMO. Ecco l’ultimo uomo, che è rimasto solo, perché in questo momento non ci si sente molto difesi nella difesa dell’umanità dell’uomo. Questa non è una lezione, è una provocazione che deve portarvi a leggere questi libri, a studiarli, a capirli e a riflettere, perché in questi libri ci sono delle verità straordinarie! Non lo dico perché c’è qui l’autore. Quando lessi il primo libro volli conoscerlo perché ero rimasto a bocca aperta. Insomma, i due libri di Pennetta dovrebbero provocare un dibattito a livello internazionale per chiedersi: “Ma è vero o non è vero quello che c’è scritto? È vero o non è vero quello che scrive? Che stiamo disumanizzandoci?”

Per questo dicevo che il prossimo libro tratterà dell’intelligenza artificiale, che sostituisce l’umanità dell’uomo. Non c’è dubbio: non può essere altro che quello! Altrimenti vuol dire che ha avuto un ripensamento. A questo punto vorrei chiedere a Pennetta. Tu fai tre provocazioni richiamando tre scrittori, tre pensatori: Fukuyama, un filosofo molto noto, che parla in un famosissimo libro della fine della storia. Che cos’è la fine della storia? È la fine della lotta. Noi oggi stiamo dimostrando che la storia non è finita per niente, visto che siamo qui e vogliamo lottare.

George Orwell ha scritto un bellissimo libro che ha per titolo “1984”. Su quel romanzo hanno fatto il famoso film “Il grande fratello”. Il grande fratello nasce sull’idea di George Orwell. Lo scrittore in questo libro spiega come è controllato il pensiero e il comportamento dell’uomo.

Terza provocazione: Aldous Huxley – Non Julian Huxley, che è il genetista -, Aldous è lo scrittore che scrive “Il mondo nuovo” (Brave new world). Questo libro spiega che chi dissente dagli ordini che vengono dati su come ci si deve comportare, viene relegato, isolato in un’isola e viene punito. Le tre provocazioni fanno nascere in me la prima serie di domande. Potresti illustrarceli?

Pennetta. – La teoria di Darwin, come spesso spiego ai miei studenti, è una teoria scientifica dell’Ottocento, che però è stata strumentalizzata per far passare altro, altrimenti adesso non servirebbe parlarne, tant’è vero che se esiste un darwinismo, non è mai esistito un galileismo. Quindi è chiaro che questo ismo ci fa capire subito che c’è stata una strumentalizzazione ideologica. È una teoria che in sé non può affermare nulla su quale scopo abbia l’essere umano. Non può affermare – come gli è stato fatto affermare -, che esista il progetto di un Creatore, né che non esista. Perché se si studiassero bene le basi filosofiche della scienza, cioè l’epistemologia, sapremmo che la scienza non può fare affermazioni sui fini delle cose.

Non si può proprio occupare per dirci se una cosa abbia uno scopo o abbia avuto un’intenzionalità d’origine. Una forma di fisica non lo prevede. Né la polizia scientifica può stabilire perché qualcuno abbia fatto qualcosa, o semplicemente come quel qualcosa sia avvenuto. Quindi noi per prima cosa siamo qui a difendere la scienza. Un’altra cosa strumentalizzata, come vedremo, è l’economia. Perché anche l’economia, da scienza che studia la corretta amministrazione dei beni, è stata trasformata in crematistica, che è la scienza che studia l’arricchimento di alcuni. Per cui si fa passare come regole valide per tutti delle regole che hanno come unico scopo quello di portare all’arricchimento di una percentuale piccolissima di popolazione, a detrimento dell’altra.

Dove sta il trucco geniale della teoria darwiniana? Il trucco geniale consiste nel fatto che la teoria darwiniana incorpora in sé una teoria economica. Cioè, per ammissione di Darwin e del coautore più o meno dimenticato, della sua teoria Alfred Russel Wallas (che ormai nelle scuole non viene studiato), entrambi ammettono che la teoria è ispirata alla teoria economica di Thomas Robert Malthus, che è uno dei profeti ricordati poco fa dal professor Gotti Tedeschi, che è il primo profeta di questa storia.

Che cosa succede quindi? Succede che Malthus fa una teoria economica che fondamentalmente dice questo: “La povertà è colpa dei poveri. L’unico modo per risolvere il problema della povertà è eliminare i poveri”. Quindi non dare assistenza sanitaria, non dare assistenza di nessun tipo, e lasciare che le cose facciano il loro corso. Quindi, questo lasciar correre le cose senza aiutare i non adatti, diventa legge di natura. Chi può opporsi a una legge di natura? Chiaro che se io la presento come teoria economica, posso dire che l’ha pensata una persona, e come tutte le cose pensate da qualcuno, sono opinabili e quindi nel tempo si dimostrano sbagliate. Ma se quel pensiero economico diventa legge di natura, a quel punto diventa immutabile. E volerlo negare diventa andare contro natura.

Ecco perché poi diventa inattaccabile! È quello che oggi porta ad avere l’idea che il tecnico è quello che capisce di più del politico, perché si appoggia su una presupposta scienza, che in definitiva scienza non è, specialmente poi in altri sviluppi.

Rifacendomi alle domande, parliamo di Francis Fukuyama. Fukuyama è il politologo che, dopo la caduta del muro di Berlino, scrisse il libro “La fine della storia”. In poche parole, tenendo molto in conto la selezione naturale darwiniana, nel Novecento si sono confrontati dei grandi sistemi socio-economici che sono il comunismo, il fascismo, il nazismo e il capitalismo. Che cos’è successo alla scomparsa del nazismo e del fascismo? Restava il comunismo. Finito il comunismo, la selezione naturale ha premiato quell’unico modello che è rimasto vincente. Questa è l’idea di Fukuyama. (Bisogna però dire, a onor del vero, che il comunismo, anche nelle sue varie trasformazioni, non è scomparso. Ndt).

Qual è allora questo modello vincente? È il modello di una dittatura dolce. Questo termine ci viene dal secondo personaggio, Aldous Huxley, che con il suo libro “Il mondo nuovo”, del 1932 – quindi più che profetico, anche se alla fine non lo è, perché alla fine si tratta di un programma che lui aveva sentito enunciare in certi ambienti in cui si parlava delle prospettive che si sarebbero dovute seguire. Da queste osservazioni deriva il suo romanzo e il racconto che in esso si svolge.

Il mondo nuovo ci dice che la prossima dittatura non sarà una dittatura coercitiva, ma una dittatura dolce, all’interno della quale le persone saranno contente di fare quello che è loro richiesto. Diventa poi difficilissimo ribellarsi quando si è contenti di fare quello che si vuole che si faccia.

Bene, a questo punto vorrei ricordare la locandina del film di Pasolini “Le 120 giornate di Sodoma. Un film volutamente inguardabile, nel senso che è stato fatto per rendere proprio l’idea di qualcosa di inguardabile, perché rappresenta una società che lui vede corrompersi nel suo più profondo essere. È quella corruzione che lui richiama soprattutto nei suoi “Scritti corsari”, in cui dice: “Io sento che c’è un potere che non riesco ancora a definire, ma che corrompe la nostra cultura e la nostra società. E lui comincia a far circolare i termini: “mutazione antropologica e omologazione”. Quindi comincia a percepire che qualcosa sta cambiando nel mondo, ed è il progetto di cui parlava Aldous Huxley, che sta piano piano diffondendosi. E come si diffonde? Con i grandi mezzi di comunicazione. In quel momento fondamentalmente con la televisione, perché non sarà più un messaggio razionale e logico, ma un messaggio di imitazione.

Cioè, non c’è più bisogno di dire cosa fare, basta mandare carosello. Credo che un po’ tutti noi adulti ricordiamo Carosello, che fu la prima grande pubblicità televisiva. C’è una bellissima frase di Pasolini, sempre nei suoi “Scritti corsari”, in cui il poeta e regista dice che “la Chiesa avrebbe dovuto preoccuparsi, riguardo alla televisione, non tanto di censurare certi aspetti marginali, tipo le gambe che si scoprivano sempre più, eccetera, ma avrebbe dovuto censurare Carosello. Perché Carosello è stato il mezzo subdolo, di cui nessuno si accorgeva, con il quale si è creato un modello antropologico nuovo al quale tutti si sarebbero adeguati.

Quindi, mentre nel 1984 di Orwell è ancora presente una formula forte di totalitarismo, di totalitarismo oppressivo, ma manifesto, in quanto loro sanno che c’è il “grande fratello”; oltretutto i metodi che usa sono attualissimi, e cioè il controllo continuo di ogni persona, la menzogna, la riscrittura del passato, perché se io riscrivo il passato, tu leggerai il futuro in altro modo. Ecco tutti questi aspetti sono presentissimi. Ma quello che differenzia i due scrittori, è che Huxley già sapeva che non ci sarebbe stato bisogno della forza per raggiungere lo scopo, perché sarebbe stato sufficiente condizionare i comportamenti con la televisione, che fra l’altro lui nomina. Nel 32 probabilmente c’erano i primi modernissimi modelli in circolazione. Nel suo romanzo ne parla e dice che la gente guarderà la televisione. Ci dice anche che la droga sarà libera e concessa perché mezzo di controllo della popolazione. Perché, di fronte al disagio esistenziale, di fronte alla scontentezza, la droga mette a tacere l’irrequietezza.

Quindi una popolazione potenzialmente ribelle, si calma. Huxley annuncerà moltissime altre cose, come l’eutanasia, l’eugenetica e altre cose che ora vediamo sono rivelate nel testo. Pasolini, molto sensibile ai cambiamenti dei tempi, se ne accorge e denuncia questi pericoli, e nello stesso tempo cerca di capire quello che sta succedendo. E arriviamo al tempo, dopo il crollo del comunismo, in cui Francis Fukuyama dice che “La storia è finita”. Ormai c’è un solo modello che si imporrà al mondo, ed è quello consumistico e del mercato senza confini. Perché anche in questo caso faccio la stessa distinzione. Il mercato non è in sé un male. Il denaro non è un male. Ma se il denaro e il mercato diventano un fine, questo è un male!

Riallacciandomi al senso del sacro, ricominciando da dove eravamo partiti, direi che ciò che si oppone al mercato e al suo strapotere, non è la democrazia, ma il sacro. Perché il sacro, cioè il tempio, e tempio, che nasce dal termine greco “recinto”, è il luogo dove non entra il mercato. Il sacro non è in vendita. Esra Pound dirà che “Il tempio è sacro perché non è in vendita”. Nietzsche, ne “La gaia scienza”, fa annunciare la morte di Dio da un folle, che va a dirlo nel mercato. Quindi il mercato ha nel sacro, cioè in qualcosa che non è in vendita, il suo grande limite. Ecco perché a un certo punto il sacro – che nel nostro caso potrebbe essere il cattolicesimo -, viene pian piano aggredito. Perché? Perché deve perdere questo suo controllo sulla realtà, dicendo che “questo non è in vendita”.


Gotti Tedeschi. – Lutero ha detto un’infinità di cose, e io mi chiedo, le avrà lette tutte? Perché le aveva già dette Wyclif due anni prima. Però Lutero le dice in un momento in cui la borghesia tedesca aveva bisogno che qualcuno le dicesse, per togliere dai piedi la Chiesa cattolica che cominciava a imperversare con delle leggi che impedivano la nascita di una borghesia tedesca. Allora, normalmente questi profeti alla fine non sono altro che dei gran coglioni che inventano un’idea ma non la sanno giustificare. Ma qualcuno si impossessa sempre di queste idee e le trasforma.

La stessa cosa vale per Marx. Se non ci fosse stato Lenin non ci ricorderemmo certamente di Marx. Perché chi attua le idee di Marx è solo Lenin. Allora, Malthus è importante per quello che ha detto il professor Pennetta. Ma c’è una ragione prima per cui è altrettanto importante. Malthus si mette a studiare – chissà come? Chissà su quali dati statistici, che non ha mai presentato a nessuno in nessun libro? -, si mette a studiare la tendenza di crescita della popolazione e la tendenza di crescita dei beni disponibili, dimostrando che se la popolazione continuava a crescere con quel tasso di crescita, dopo x anni – chissà poi come aveva individuato questi x anni? -, non ci sarebbero più stati beni disponibili per sfamare la popolazione.

E arriva la sua dottrina fondamentale, che si chiama malthusianesimo, che spiega perché è necessario frenare le nascite. E giustamente, con chi se la prende? Se la prende con i deboli, che erano i poveri. Voi pensate, questo prete anglicano, che fa delle proposte di legge per togliere i sussidi ai più poveri, alle famiglie più povere, addirittura invocando Dio perché mandasse dei terremoti e delle calamità naturali perché morisse più gente possibile.

Guardate che un’altra persona citata, Julian Huxley, cofondatore con il Principe Filippo di Edimburgo, del WWF, ha praticamente detto le stesse cose, ed è passato alla storia per aver detto: “Se mi potessi reincarnare vorrei essere un virus per poter ammazzare la maggior quantità possibile di popolazione”. Le battute sono fin troppo facili. Ad ogni modo Malthus, arriva anzitutto a questa conclusione. Malthus è infatti considerato l’ideologo del genocidio. Malthus voleva far scomparire intere fasce di popolazione, perché lo disturbavano. (Accidenti, che profeti! Ndt).

Beh, però ci sono stati tanti altri seguaci. Giovanni Sartori è stato l’ultimo. C’è anche Rodotà. Ma nel mondo ce ne sono molti altri. I due più grandi neomalthusiani, che sono Paul Herlich e Jeffry Sax, sono i consiglieri del Papa in Vaticano. Guardate che non mi sto inventando niente! Digitate i loro nomi, assieme a Ban Ki Mon su qualche motore di ricerca, e scoprirete che sono nell’Accademia delle scienze a spiegare come si scrivono le encicliche. L’attacco più forte e più drammatico è lì.

Veniamo a Darwin. Tu ne sei esperto. Però Darwin, a mio parere è colui il quale, con la sua teoria decreta la fine delle leggi naturali. Quindi nega la creazione, perché con Darwin le leggi naturali non ci sono più, e la scienza in evoluzione è la nuova morale. La prima domanda allora è, dove non ho capito? La seconda, Rousseau, che secondo me è il papà di queste persone, cancella il concetto di cos’è morale e non è morale.

E ancora prima, Lutero – che però l’ha copiato da Witclif -, propone la Chiesa senza autorità e dogmi. Allora, manca l’autorità morale, non c’è più morale, non ci sono più leggi naturali, beh, signori, ecco i presupposti per l’avvento di una nuova creazione e una nuova genesi laicista o laica. Voi sapete dirmi chi sono oggi le persone più arrabbiate? Le persone più arrabbiate in questo momento di confusione dogmatica e morale, sono i laici! I laici, che dicono: “Beh, se qui si confonde cos’è bene e che cos’è male, i primi ad essere fottuti siamo noi! Perché noi abbiamo sempre vissuto alle spalle del comportamento etico del mondo cattolico. Se il mondo cattolico perde i principi di morale etica, e li confonde, i primi ad essere fregati siamo noi! Perché noi non li seguiamo, però noi godiamo le conseguenze di quello che il mondo cattolico ha seminato. Posso chiederti di rispondere?

Pennetta, – Stiamo parlando della creazione di un tipo antropologico che non ha un riferimento prestabilito. Vediamo ora come tutto ciò si intrecci con la vicenda del darwinismo e con altre tecniche – perché di tecniche si parla -, successive. Ora, il darwinismo odierno si basa su ipotesi di eventi così improbabili, che se veramente il darwinismo funzionasse, sarebbe la prima prova dell’esistenza di Dio. Nel senso che, se io riesco a far uscire 40mila volte alla roulette lo stesso numero non ho dimostrato che il caso può tutto, ma ho dimostrato che dietro c’è un trucco enorme. Quindi questa teoria si basa su una serie di assunti così improbabili che, per quanto mi riguarda, sarebbero certamente un argomento a favore dell’esistenza di Dio.

Ma qual è la ricaduta antropologica? Prima abbiamo visto quella economica. La caduta antropologica è che se l’essere umano – che è quello che ci interessa -, non ha uno scopo, perché tutto è casuale e quindi non esiste qualcosa che sia desiderabile eticamente (perché avrei voluto essere in un modo, ma potrebbe essere anche in un altro); ecco che questo aspetto toglie di torno l’idea che esista un’etica fissa, stabile. Una volta eliminato questo presupposto, cosa succede? Succede che la normalità – e normalità deriva da “norma”, che è la squadra che serviva anticamente, ma anche ora, per fare gli angoli retti -, quindi, seguire la norma significa semplicemente fare una cosa secondo una regola prevista. Ma, visto che ora non c’è più nessuna squadra da seguire, l’essere umano non ha una norma prestabilita, ecco che allora la “normalità” sarà quello che fa la maggior parte delle persone.

Introdotto questo concetto, ecco che si apre quel meccanismo che viene chiamato “finestra di Overton “. In pratica, se io voglio spostare i comportamenti umani; se voglio spostare ciò che un tempo era ritenuto normale e accettabile o non accettabile, socialmente, non avendo più un riferimento fisso, mi basta spostare lentamente la media dei comportamenti delle persone fino a quando, dopo un certo tempo, ci guardiamo indietro e i comportamenti sono completamente cambiati. Nessuno se n’è accorto del tutto mentre avveniva, ma siamo di fronte al dato di fatto finale. Cioè, per realizzare quella mutazione antropologica di cui parlavamo prima, per realizzare l’omologazione, per realizzare l’essere umano finalizzato, per esempio, al mercato (cioè, non più lui fine e scopo delle cose), ma una persona finalizzata al mercato anonimo, di soggetti senza volto, che scavalca anche la politica. Perché ormai la politica deve seguire il mercato. Perché quando succede qualche cosa la prima preoccupazione dei presidenti del consiglio è, ma come reagiranno i mercati? Non, come reagiranno gli elettori.

Allora, per realizzare questo tipo antropologico, convinto che quella sia la sua realtà, e non debba essere altro, ecco che si mettono in atto questi meccanismi che hanno come giustificazione di fondo l’idea che l’essere umano sia totalmente frutto del caso, e che quindi può essere – come qualsiasi evento casuale -, una o l’altra cosa. Non c’è un desiderabile. In tutto ciò possiamo riconoscere alcuni aspetti contemporanei, come una forma di animalismo, che innalza l’animale per abbassare l’essere umano allo stesso livello. Avremo in questo modo la “società liquida”, di cui parla Bauman. Cioè una società fatta di individui atomizzati, assolutamente indifesi, ricattabili da tutto, con la scomparsa dei ”corpi solidi”, che sono quei gruppi sociali, come la famiglia, la Chiesa, le identità forti, le identità nazionali, così come le identità sessuali, che permettono di difendersi dai nuovi modelli antropologici ideologici.

Quindi se io faccio cadere anche quelli, e posso essere tutto, tutto può essere. C’è poi un altro aspetto da mettere in luce, ed è che giocando con le parole si possono creare realtà nuove, per cui la parola emigrato viene sostituita da “migrante”. L’emigrato si sposta e si ferma, mentre il migrante è per definizione uno che non si fermerà mai. E, come diceva la presidente Boldrini: “I migranti saranno un modello per tutti noi”, perché tutti noi dovremo essere come loro, cioè, senza stabilità. Questo è il futuro. E qui abbiamo la seconda trappola, cioè presentare questo come inevitabile, come qualcosa di scientifico, per cui ti dovrai adattare e basta.

Però potrà succedere che non sia esattamente così, perché, come diceva all’inizio il professore, la storia non è finita. Questo sarebbe vero se la storia fosse finita, come pensava Fukuyama, che però poi ha ammesso di essersi sbagliato. Quindi la storia continua, una storia che vede in alternativa l’ultimo uomo, da cui prende il titolo, che è sempre una figura nietzschana. Chi è l’ultimo uomo? L’ultimo uomo è quel tipo umano che Nietzsche rappresenta su una corda sospesa su un abisso. All’inizio c’è l’uomo tradizionale, dall’altra parte il punto d’arrivo è l’oltre uomo, ma nella posizione mediana non è più quello che era prima, non è ancora quello che dovrebbe essere dopo, ed è una forma piuttosto miserabile, per lo stesso Nietzsche, che ha come unico scopo quello di camminare verso il traguardo finale.

Bene, l’ultimo uomo, che sarebbe la tipologia umana contemporanea, in realtà ultimamente sta dando dei segnali da qui sembra voler dire: “Tutto sommato questo modo di vivere a me non piace tanto, forse se c’è un modo per cambiare, visto che tornare allo stesso punto non è possibile, perché le cose cambiano, ma almeno per invertire la direzione e andare verso un recupero di una tradizione precedente, be questo si comincia un po’ a dire. Si, perché le persone non hanno molta voglia di essere sradicate, di essere atomizzate, di vedere come qualcosa di negativo il desiderio di famiglia, di stabilità e di altre cose che effettivamente cominciano a mancare. Ecco, questo è un po’ il senso che abbiamo voluto dare alla nostra conversazione.

(Nei racconti della Passione di Cristo, che i cattolici si accingono ad ascoltare durante la Settimana Santa, è racchiuso il mistero della tremenda e costante lotta fra il “principe di questo mondo”, l’ingannatore e omicida per eccellenza, il Diavolo e i suoi seguaci, e il Nuovo Adamo, Gesù Cristo, che con la sua passione, morte e Risurrezione, dà all’uomo la possibilità di vincere sul male e sulla morte. Il declino dell’uomo, o la sua risurrezione, saranno quindi anche il risultato delle nostre scelte personali e sociali, anche se la vittoria definitiva sarà dell’Uomo-Dio, Gesù Cristo e di chi l’avrà seguito! Ndt).


Trascrizione di Forti Claudio






libertaepersona.org/wordpress/2018/03/

sabato 24 marzo 2018

La gloriosa morte della Beata Imelda Lambertini




don Alfredo Morselli

Conosciamo la storia commovente di questa Beata [1], religiosa domenicana tredicenne: le era stata negata la possibilità di accedere all’Eucarestia, perché a quei tempi si richiedeva un’età maggiore. Gesù Eucaristico diede al prete, che aveva opposto il suo no, e a noi tutti, una grande lezione di amore: “…proprio davanti a lei, a un tratto, apparve a mezz'aria una luminosissima particola. Il sacerdote capì che non si sarebbe potuto rifiutare: così prese l'ostia e comunicò la ragazzina. La Lambertini entrò immediatamente in estasi e così rimase. Morì con un'espressione di gioia sul viso che rimase impressa negli astanti” [2].

La Beata Imelda morì dunque di una morte di amore, di amore per la SS. Eucaristia: ma cosa vuol dire esattamente morire di amore? Perché la beata Imelda ha ultimato la sua vita terrena in questo modo, subito dopo aver ottenuto miracolosamente ciò che aveva tanto desiderato?

I presupposti per la risposta a questa domanda ci sono data da colui che, per dichiarazione del Cielo stesso, dell’Eucarestia disse bene [3], il solito S. Tommaso d’Aquino; precisamente in Summa Theologiae, IIIª q. 80 a. 2 co. (Se l'uomo soltanto, oppure anche gli angeli, possano ricevere spiritualmente questo sacramento):

“Nell'Eucarestia è presente Cristo stesso, non già nel suo stato naturale, ma sotto le specie sacramentali. Perciò ci si può cibare spiritualmente di lui in due modi. Primo, fruendo di Cristo nel suo stato naturale. Ed è così che si nutrono spiritualmente di Cristo gli angeli, unendosi a lui con il godimento della carità perfetta e con la visione manifesta (ed è questo il pane che ci attende nella patria): non già con la fede che ci unisce a lui qui sulla terra.
Secondo, ci si può cibare spiritualmente di Cristo in quanto è presente sotto le specie di questo sacramento: cioè credendo in Cristo e desiderando di ricevere questo sacramento. E ciò non è soltanto nutrirsi spiritualmente di Cristo, ma è anche nutrirsi spiritualmente del sacramento dell'Eucarestia. E questo va escluso per gli angeli. Agli angeli quindi, sebbene si cibino spiritualmente di Cristo, non spetta ricevere spiritualmente questo sacramento”[4].

Vediamo di spiegare questo testo: in Paradiso gli Angeli e i beati non si nutrono di Cristo sotto le specie Eucaristiche, ma sono in perfetta comunione con lui (la realtà significata analogicamente dal cibarsi) mediante il godimento della carità perfetta e la visione manifesta. Non è necessario il segno di cosa sacra, possedendo i beati realmente ciò che il segno significa.

Evidentemente il desiderio di Imelda di ricevere Gesù era in lei così perfetto, che non poteva ulteriormente crescere nella carità se non comunicandosi come gli angeli, cioè fruendo di Cristo nel suo stato naturale ("prout in sua specie consistit"), e non più soltanto con la fede che ci unisce a lui qui sulla terra ("non per fidem, sicut nos hic ei unimur").
Comprendiamo così che il desiderio di comunicarsi comprende in qualche modo il santo desiderio di morire, desiderando chi si comunica la Comunione perfetta simpliciter.

Sono così ancora più chiari i versi dell’Aquinate, nell’inno Adoro Te devote:

Iesu, quem velatum nunc aspicio,
oro fiat illud quod tam sitio;
ut te revelata cernens facie,
visu sim beatus tuae gloriae.
La gloriosa morte della Beata Imelda sta dunque nel fatto che ella ha gustato le delizie di una Comunione sacramentale perfetta, ed è passata direttamente da una perfetta Comunione come si può fare su questa terra alla Comunione assolutamente perfetta del Cielo.

Ella ha patito anche il dolore di vedersi negata la possibilità di comunicarsi sacramentalmente, lei che invece ne era particolarmente degna; oggi succede tristemente l’esatto opposto: si vuole dare la S. Comunione a chi non è oggettivamente in condizione di riceverla.

Possa ella intercedere perché si dissolva come il fumo che si disperde [5] questa prassi eretica: possa essere non solo la patrona dei bambini che si accostano per la prima volta a Gesù Eucaristico, ma anche di coloro che, trovatisi a navigare nel mare in tempesta di questa epoca scristianizzata, non riescono ancora a mettersi nelle condizioni di potersi lecitamente e fruttuosamente comunicare. La Beata ottenga loro che arrivino ai sacramenti non compatiti da una falsa misericordia, ma vittoriosi per l’abnegazione.

La piccola grande Imelda, non di meno, possa aiutare anche chi accede lecitamente ai sacramenti, perché non si impantani nella vomitevole tiepidezza (cf. Ap 3,16) di S. Comunioni poco fervorose.





NOTE


[1] Per chi volesse approfondire la storia della vita della Beata Imelda, segnaliamo le seguenti opere: P. TIMOTEO CENTI, O.P. La Beata Imelda Lambertini, Vergine domenicana. Con studio critico e documenti inediti, Firenze: Il Rosario 1955, pp.133; P. TOMMASO ALFONSI, O.P., La B. Imelda Lambertini - Domenicana, Bologna: LTP, 1927, pp. 267. Entrambe le opere sono scaricabili gratuitamente in formato pdf qui: http://www.arpato.org/studi.htm.


[2] RINO CAMMILLERI, Santi dimenticati, Piemme, 1996, cit. in «Imelda Lambertini», http://it.wikipedia.org/wiki/Imelda_Lambertini.


[3] Mi riferisco al fatto miracoloso avvenuto della Basilica di San Domenico Maggiore, a Napoli, quando, mentre l’Aquinate era in preghiera nel Cappellone del Crocifisso, fu udita la voce di Gesù, rivolta allo stesso dottore angelico: “Bene de me dixisti Thoma”.


[4] “Respondeo dicendum quod in hoc sacramento continetur ipse Christus, non quidem in specie propria, sed in specie sacramenti. Dupliciter ergo contingit manducare spiritualiter. Uno modo, ipsum Christum prout in sua specie consistit. Et hoc modo Angeli spiritualiter manducant ipsum Christum, inquantum ei uniuntur fruitione caritatis perfectae et visione manifesta (quem panem expectamus in patria), non per fidem, sicut nos hic ei unimur. Alio modo contingit spiritualiter manducare Christum prout est sub speciebus huius sacramenti, inquantum scilicet aliquis credit in Christum cum desiderio sumendi hoc sacramentum. Et hoc non solum est manducare Christum spiritualiter, sed etiam spiritualiter manducare hoc sacramentum. Quod non competit Angelis. Et ideo Angeli, etsi spiritualiter manducent Christum, non convenit tamen eis spiritualiter manducare hoc sacramentum”.


[5] Sal 68,3: "Come si dissolve il fumo, tu li dissolvi; come si scioglie la cera di fronte al fuoco, periscono i malvagi davanti a Dio".






Chi è la Beata Imelda Lambertini



Novizia domenicana (1322–1333) 12 maggio


Bellissime le figure di questi santi bambini, che riescono a raggiungere vette di spiritualità impensate. Ed è proprio in questa purezza di cuore che Dio trova fertile terreno per dare a tutti noi un grande esempio di umiltà e di abbandono.

Il culto di Imelda, santa bambina, fu confermato dalla Santa Sede nel 1826, quasi cinquecento anni dopo la sua morte. Imelda nacque a Bologna in una delle famiglie più illustre della città, quella dei Lambertini. Il padre Egano fu capo del casato e cavaliere, aumentò notevolmente il censo della famiglia agli inizi del Trecento avendo ricevuto il titolo di conte. Soprattutto “con l’integrità della vita, con la gravità del senno e con la prudente e onesta destrezza nel maneggio degli affari pubblici” Egano esercitò una grande influenza morale sui cittadini tanto che, in quei tempi molto difficili, fu chiamato a ricoprire cariche delicate anche in altre città.

Quando nel 1321, un periodo burrascoso per la vita civile della città e per la Famiglia Galluzzi, Imelda venne alla luce, Egano era Podestà a Città di Castello ed era già passato a seconde nozze (infatti nel 1315 aveva perduto la prima moglie Misina Guastavillani da cui aveva avuto un figlio) con Castora dei Galluzzi, anche lei di famiglia nobile e famosa per molti suoi membri illustri per santità e dottrina. Castora, oltre ai beni materiali, aveva portato in casa Lambertini il corredo inestimabile delle più elette virtù cristiane, e diventò presto un modello di sposa e di madre cristiana.

Fin dal suo primo apparire alla vita Imelda respirò una fede cristiana viva e profonda e, sicuramente, rimase contagiata dalla pietà della madre poiché fin da piccola incominciò a manifestare grande interesse per le cose di Dio. Si narra che ascoltava attentamente tutto ciò che aveva attinenza con la religione, in particolare la recita dei salmi, e che preferiva le storie sacre e i racconti delle vite dei santi a qualunque fiaba. Si dilettava ad adornare un angolo tranquillo della casa con fiori e pitture sacre.

Così Imelda imparò a nutrire il gusto di “piacere al Signore” e a tenersi lontana dalle vanità, infatti, da bambina, avvertì il desiderio di offrire tutta se stessa al Signore e, poi, all’età di nove anni, giovanissima, come era consuetudine in quel tempo, scelse di entrare nel Monastero domenicano di S.Maria Maddalena in Valdipietra. Il Monastero, scelto anche grazie alla vicinanza della sua famiglia all’Ordine dei Frati Predicatori, era costituito da poche monache, ma di fervida osservanza, secondo lo Spirito di San Domenico, qui Imelda si mise alla scuola dei grandi maestri della spiritualità domenicana.

Della sua vita interiore non si sa nulla purtuttavia si può dire che sicuramente Imelda fu fedele alla celebrazione della divina Liturgia diurna e notturna, culto gradito a Dio, da cui si lasciò educare per penetrare sempre più nel mistero dell’amore di Dio per l’uomo e per corrispondervi. È indubbio che al centro della sua solida pietà ci fu l’amore a Gesù Eucaristia, nutrito già nell’ambito della sua famiglia e della sua città. A Bologna, infatti, il culto eucaristico, pur non manifestandosi in esposizioni solenni, processioni, celebrazioni di Messe e Comunioni frequenti, cose apparse solo inseguito nella tradizione della Chiesa, era molto vivo e sentito.

I fedeli non solo versavano considerevoli somme per illuminare il Corpus Christi, ma per le provviste per le Sacre Specie destinavano anche campi a speciali coltivazioni di grano e di viti. Ricevere la Comunione Eucaristica, non era permesso in quei tempi prima di aver compiuto i 12 anni, ma l’educanda Imelda aveva un solo desiderio, che era quello di ricevere l’Ostia consacrata e ne faceva continua richiesta, sempre rifiutata.

In Imelda però il desiderio di ricevere Gesù era così grande che Gesù stesso le venne finalmente incontro e Imelda al suo primo e miracoloso incontro con l’Ostia santa, come in un’estasi d’amore, fu resa perfetta nella sua intima unione con Dio. Nel giorno della solennità dell’Ascensione il 12 maggio 1333 accadde che, dopo la S. Messa e la recita dei Salmi le Suore si ritirarono dal Coro, il Sacerdote rimase in Sacrestia come di consueto e Imelda rimase in preghiera davanti all’altare, sola. Ad un tratto apparve dall’alto un’ostia circonfusa di luce, visibile a tutti, un odore fragrante di pane si diffuse per tutto il monastero.

Accorsero le suore e il sacerdote, il quale, raccolta l’ostia in una patena, comunicò Imelda che, mentre era raccolta in fervente preghiera, passò alla vita di gloria nella comunione eterna con il suo Signore insieme al Padre, allo Spirito Santo e all’immensa schiera degli Angeli e dei Santi. Subito dopo raggiante di gioia e ancora inginocchiata, Imelda Lambertini spirò in un’estasi d’amore, non ancora dodicenne. Le sue spoglie furono racchiuse in un artistico sepolcro di marmo con un’iscrizione e si cominciò a recitare in suo onore un’antifona.

Un così grande miracolo circondò subito Imelda dell’aureola dei Santi. Le monache di Valdipietra nel 1335 posero nel martirologio del Monastero al 12 maggio la “Memoria di Imelda Lambertini. Il culto si estese subito e lo si riferì al culto eucaristico della città. Le reliquie del corpo furono custodite, inizialmente dalle monache e dalla famiglia, la quale però, dopo il pontificato di Benedetto XIV, Prospero Lambertini, poiché si andava estinguendo, ne affidò la custodia ai marchesi Malvezzi.

Verso il 1798, con il beneplacito dell’arcivescovo, le reliquie vennero trasferite e venerate nella chiesa di San Sigismondo che allora godeva del patronato dei Malvezzi stessi. Leone XII ne approvò il culto nel 1825 e, nel 1908 Pio X la indicò come protettrice dei fanciulli che per la prima volta si accostano alla Prima Comunione. Questa doveva essere la sua prima e ultima comunione poiché spirò immediatamente.


La Chiesa pone sulle nostre labbra un’invocazione:


“O beata Imelda, segno d’amore per Gesù eucaristico, ottieni anche a me di desiderare sempre ardentemente, come tu desiderasti, l’incontro gioioso con Gesù nell’Eucaristia. Quando Egli viene in me, fa che si trasfiguri la mia vita: sia essa azione di grazie e di amore, sia ogni giorno serena e luminosa testimonianza della mia amorosa ricerca della verità nella comunione permanente con Lui. Amen”


Ancora oggi le sue reliquie si trovano nella chiesa di San Sigismondo in Bologna, nel cuore della Città universitaria, quasi come un segno, come un invito particolare ai giovani a nutrirsi del “ vero pane disceso dal cielo“, a non aver paura di accogliere Cristo l’unico Salvatore del mondo, a spalancare le porte a lui, vera e unica risposta alle richieste del cuore dell’uomo .


È PATRONA: – dei bambini che si accostano alla prima comunione




http://biscobreak.altervista.org/2013/05/beata-imelda-lambertini/







giovedì 22 marzo 2018

CHI È HÜNERMANN. Il teologo che "odiava" Ratzinger





Il teologo tedesco autore di uno dei volumi celebrativi di papa Francesco sostiene una interpretazione della Amoris Laetitia in chiaro contrasto non solo con il magistero di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II, ma con tutta la Tradizione. Una lettura che demolisce l'impianto della morale cattolica.


Luisella Scrosati
ECCLESIA
22-03-2018

Come è noto, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ed è altrettanto risaputo che al buon Dio non manchi il senso dell’umorismo. E così è avvenuto che la grande notizia che avrebbe dovuto sigillare definitivamente la continuità del Magistero del Pontefice regnante con quello del Pontefice emerito (e dei suoi predecessori), ha finito per porre davanti a tutti l’esatto contrario. Benedetto XVI curiosamente omette di parlare di una continuità “esteriore” e propone una non ben precisata continuità interiore. Ed indica anche in Peter Hünermann una specie di quintessenza dell’opposizione agli ultimi pontificati, fino al suo incluso.

Quelle di Benedetto XVI sono poche righe per cercare di blindare quanto è ormai da anni esposto al fuoco incrociato di nemici dichiarati e di tiratori franchi. Tre indicazioni in quelle poche righe, che dicono più di un’enciclica: Peter Hünermann, Kölner Erklärung, Veritatis Splendor. In altre parole: andate a vedere le critiche di Hünermann (e degli altri firmatari) contenute nella Dichiarazione di Colonia del 1989; fate attenzione soprattutto alla sua posizione nei confronti di Veritatis Splendor e dei temi etici, durante il periodo del pontificato di Giovanni Paolo II; unite i puntini e…

Andiamo con ordine. Anzitutto, una critica che Hünermann ha rivolto costantemente ai pronunciamenti etici del recente magistero, mirando principalmente su Humanae Vitae e Veritatis Splendor (l’altro bersaglio è la Dominus Iesus, che nel nostro discorso interessa meno) è che questi insegnamenti, estranei alla rivelazione, sarebbero stati imposti ai fedeli, ed in particolare ai teologi, come se si trattasse invece di insegnamenti contenuti nella rivelazione. Ratzinger, negli anni in cui era Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, dovette fare indigestione dei continui slogan virulenti contro l’operato della Congregazione: fondamentalismo, assolutismo, centralismo romano, etc. Hünermann ha sempre rimproverato il fatto che le cosiddette affermazioni “tenenda” (cioè da tenere, osservare, in quanto legate indissolubilmente alla rivelazione, ma non direttamente contenute in essa) fossero un’invenzione, rifiutata dal Vaticano II.

Ecco perché nella Dichiarazione di Colonia, dopo aver chiaramente espresso l’accusa che «i concetti di verità fondamentale e di rivelazione divina vengono usati dal Papa per sostenere una dottrina estremamente specifica che non può essere fondata né ricorrendo alla Sacra Scrittura né rifacendosi alla tradizione della Chiesa», i firmatari potevano affermare che «la norma sancita dall’enciclica Humane vitae del 1968 in materia di regolazione delle nascite rappresenta semplicemente un orientamento che non sostituisce la responsabilità della coscienza dei fedeli».

L’8 ottobre 2000, dalle colonne dell’Osservatore Romano (riprendendo un’intervista del 22 settembre al Frankfurter Allgemeine Zeitung), il cardinal Ratzinger, dopo aver ribadito che in realtà il Vaticano II ha mantenuto e addirittura rafforzato la distinzione ed il valore delle proposizioni “credenda” e “tenenda”, dovette spiegare che «con insegnamenti a cui attenersi ("tenenda") si intende qualcosa di più di "teologicamente ben fondati"», perché questi ultimi «in realtà sono mutevoli. La letteratura annovera fra questi "tenenda" gli importanti insegnamenti morali della Chiesa (per esempio il rifiuto dell'eutanasia, del suicidio assistito), i cosiddetti fatti dogmatici (per esempio che i vescovi di Roma sono i successori di San Pietro, la legittimità dei concili ecumenici e così via)».

In altre parole, il Papa emerito scrive a Viganò di non poter minimamente dare l’impressione di approvare posizioni che ritengono di poter derubricare gli insegnamenti morali (e non solo) degli ultimi pontificati come semplicemente “teologicamente ben fondati”. Essi sono invece “tenenda”. Un chiaro messaggio a tutti quelli che stanno cercando di trasformare, medianti strani passaggi di teologia alchemica, la proibizione della contraccezione contenuta in Humanae Vitae, in una liceità caso per caso; come anche a quelli che stanno dissolvendo l’insegnamento chiaro di Veritatis Splendor, in particolare sulle azioni considerate come intrinsece mala (azioni intrinsecamente cattive), ricorrendo alla parola magica del discernimento.

Ma c’è un altro interessante aspetto della critica di Hünermann a Veritatis Splendor. In un suo recente contributo all’opera collettanea A point of no return? Amoris Laetitia on Marriage, Divorce and Remarriage l’affermazione di Veritatis Splendor, relativamente alle azione intrinsecamente cattive, andrebbe considerata nel seguente modo: «Esistono azioni intrinsecamente cattive, che non sono condizionate da circostanze esterne, ma che sono sicuramente condizionate da elementi interni, soggettivi». Questo significa che, poiché la “pista esterna”, quella cioè relativa all’azione in sé, non permette alcuna via d’uscita, occorre spostare il baricentro sulla “pista interna”, quella relativa ai condizionamenti soggettivi.

Si tratta di una originale formulazione dell’ormai noto “cambiamento di paradigma”: «Sebbene l’uomo sia obbligato in coscienza ad osservare i principi etici generali e i comandamenti, e ad agire di conseguenza, la consapevolezza di ciò non può mai sostituire la decisione della sua coscienza, che egli deve prendere personalmente – perché l’universalità dei principi morali e dei comandamenti non può mai raggiungere pienamente la singolarità e la particolarità delle situazioni e delle azioni individuali. Entrambe le autorità rimangono [cioè la legge universale e i comandamenti da una parte e la coscienza dall’altra, n.d.a.]. Esse sono nel contempo distinte e inseparabili».

In realtà Hünermann non salva né le capre né i cavoli, perché cade nel diffusissimo errore di impostare l’azione morale come l’applicazione di una legge generale ad un caso concreto, insabbiandosi nella secca della tensione tra l’universale, inteso come principio astratto, ed il concreto. Accettando questa imposizione si finisce sempre per porre il dilemma: salviamo la legge universale o la persona concreta? La prospettiva della legge morale, che si coglie sempre nella coscienza illuminata, come bene concreto della persona, è sparita. Si dà invece spazio alla pretesa di poter conoscere con esattezza il grado di imputabilità di un’azione - cosa che in realtà solo Dio conosce - e sulla base di una presunta diminuzione di consapevolezza e avvertenza si lascia che le persone continuino a commettere azioni che sono un male, anzitutto per loro e per tutta la Chiesa (il peccato, anche quello commesso da soli nel chiuso della propria camera - occorre ricordarlo -, ha sempre una dimensione “sociale”). Sarebbe come dire che ad un automobilista che ha contratto la consuetudine di passare col rosso, e che lo fa senza piena coscienza della pericolosità per sé e per gli altri di queste sue azioni, la polizia stradale conceda di continuare: dopotutto non lo fa apposta.
Ma attenzione all’ultimo passaggio di Hünermann: quanto affermato fin qui «spiega perché Amoris Laetitia non riporti certi passaggi di Familiaris Consortio, di Veritatis Splendor e del Catechismo della Chiesa Cattolica: è perché essi contengono delle erronee interpretazioni delle azioni intrinsecamente cattive. Affermazioni di Humanae Vitae non sono citate, perché contengono un’estensione della legge etica naturale nella particolarità delle azioni individuali». La necessità di “purgare” i documenti sopra riportati scaturirebbe dal fatto che Amoris Laetitia sposerebbe quindi la critica di Hünermann ai documenti sopra riportati. Quella critica che il Papa emerito sembra non gradire.












mercoledì 21 marzo 2018

Un altare cattolico?







Digitando su un qualsiasi "motore di ricerca" Pfarrkirche Heilig Kreuz altar si possono vedere tanti, troppi raccapriccianti esempi di "presbitèri" e di "altari" in località diverse della Germania.
La distruzione dei presbiteri e la ridicolizzazione dei nuovi spazi celebrativi (altari compresi) fanno parte del tristissimo primato tedesco di sfascio liturgico, devozionale e culturale conseguente al Concilio Vaticano II. 

L'arte e la cultura cattolica tedesca, che ha prodotto immensi capolavori di arte e di architettura sacra, nel corso della storia "moderna" ha subito la diabolica e feroce iconoclastia protestante, le devastazioni prima e dopo la caduta del Terzo Reich ed infine la radicalizzazione ridicolmente interpretativa del Concilio Vaticano II.
Nel giro di pochi anni è stata scientemente distrutta ogni forma di cultura e di devozione cattolica in quasi tutto il suolo tedesco.
Umanamente tutto questo "orrore liturgico/devozionale/culturale" non è sanabile così come non si riesce ad arginare la crescente fuga di fedeli cattolici da una chiesa dittatorialmente iper-progressista che rasenta spesso il ridicolo e il blasfemo.
Oggi l'attenzione è concentrata sul presbiterio rinnovato della Chiesa Parrocchiale della Santa Croce di Zweibrücken (in Renania-Palatinato): vi sembra un altare cattolico questo?
Con un capro? ...

E' vero che tentano di giustificarlo dicendo che si tratta dell'Agnello dell'Apocalisse ... ma ... l'immagine è fin troppo eloquente... Nel sito della Parrocchia (link sotto) apprendiamo che Altare e l'Ambone sono stati l'ultimo lavoro del domenicano P. Burghildis Roth di Landstuhl (1932-1987) che ne ha disegnato e creato i modelli.
La fusione è avvenuta nella fonderia di metalli Becker a Pirmasens.
L'altare è di forma quadrata ed ha quattro superfici nelle quali sono raffigurati alcune tematiche tratte dal libro dell'Apocalisse di San Giovanni Apostolo.
Sul lato nord vediamo le persone in grande tribolazione con il volto e mani allineati con Gesù che è rappresentato da un "occhio coronato" (durch einen gekrönten Auge dargestellt).
Davanti l'altare (v.foto) Cristo è simboleggiato dall'Agnello che troneggia sopra le diciassette zone che simboleggiano gli altrettanti quartieri della parrocchia dopo la sua ristrutturazione.
Il lato sud mostra un torchio con dell'uva pensata come segno del giudizio di tutti i popoli.
Il lato ovest infine l'adorazione del santo dei santi all'apertura del settimo sigillo sotto un fulmine. 






Il motivo dell'ambone (v.foto) è di più facile lettura (ma non meno inquietante. N.d.R).
Gli animali in catene sono riconducibili all'Apocalisse e simboleggiano la furia bellica che distrusse anche la vecchia chiesa di Santa Croce (la grande nuvola di fuoco simboleggia la distruzione!).
Dalla devastazione tuttavia rinascono i segni della vita: le rose fiorite e, soprattutto il libro aperto dell'Apocalisse di Giovanni. ("Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati")


La storia della chiesa parrocchiale della Santa Croce
La prima chiesa della Santa Croce del 1879 fu una costruzione neogotica a forma di croce con un campanile.
Ma nella notte di bombardamento del 14 marzo 1945, fu distrutta tranne che per le mura esterne.
La ricostruzione negli anni 1949/50 ebbe luogo secondo i piani dell'architetto di Würzburg Prof. Albert Boßlet sulle vecchie fondamenta.
La costruzione della Gutenbergstraße fu ampliata di 16 metri. Il 17 settembre 1950 fu inaugurata la nuova chiesa di Santa Croce.
Nel 1959 fu aggiunto il campanile con un ottimo concerto di campane ( QUI )
Gli anni che vanno dal 1987 al 1988 videro una profonda trasformazione dell'interno secondo le linee guida del Concilio Vaticano II (sic!).
Gli altari laterali, la balaustra della comunione e il pulpito furono rimossi.
Il presbiterio fu esteso alla comunità e vi fu collocato nel mezzo il nuovo altare.
L'ambulacro della chiesa prebellica fu aperto e incluso nella chiesa.
La chiesa ha avuto anche delle nuove vetrate e finalmente nel 1995 è stato collocato un nuovo organo opus della storica Ditta austriaca Rieger , famosa in tutto il mondo, con 3 manuali, 3003 canne, 44 registri reali e 33 canne di facciata in armonia con il colore delle vetrate.



La storia della parrocchia e le foto sono state prese dal sito della Parrocchia della Santa Croce QUI














martedì 20 marzo 2018

Oltre il relativismo






Fabrizio Cannone

Sotto Benedetto XVI (2005-2013) era divenuto frequente – nella Chiesa– parlare di dittatura del relativismo. L’espressione, come si capisce subito, è fortemente critica verso un pensiero che, mentre pone se stesso come aperto, libero, senza pregiudizi e dialogico su tutto, all’atto pratico rischia di trasformarsi nell’opposto di questa sua rosea presentazione. E questo è del tutto logico. Mettendo infatti l’uomo al centro di tutto (antropocentrismo assoluto ed esclusivista) è facile poi decentrare e lasciare ai margini della società e del pensiero tutto ciò che pare incompatibile con la propria arbitraria definizione di uomo, fossero pure valori, principi, certezze, evidenze di chiaro rilievo antropologico.

È altresì accertato che oggi – nell’ultimo lustro di storia ecclesiale – parlare di relativismo è divenuto più raro. E denunciare il relativismo come un male da combattere, è ormai un emblema e quasi il segno di riconoscimento dell’appartenenza ad una parte ben precisa, e marginale, della Chiesa…

Il relativismo etico: da paradigma di ciò che si contrappone, irriducibilmente, al pensiero razionale (e cristiano) in tutte le sue possibili dimensioni (si vedano le parole calibrate e taglienti di Veritatis splendor), ad una filosofia tutto sommato interessante e stimolante, con cui dialogare senza pregiudizi, cercando una via mediana di incontro… Come è stato possibile questo radicale cambiamento? E quali ne sono le ragioni profonde?

In ogni caso, l’errore resta tale anche se non viene più confutato come lo fu in un tempo pregresso. E se la “Congregazione per la dottrina della fede” ha sentito il bisogno, in questo 2018, di censurare nuovamente delle attitudini spirituali tipiche dello gnosticismo e del pelagianesimo (cf. Placuit Deo), combattute ai tempi di Ambrogio ed Agostino, tanto più giova oggi reimmergersi – fino a un certo punto però – nelle acque opache del relativismo, dello scetticismo e del soggettivismo moderno.

In tal senso è apprezzabile e da lodare lo sforzo di Francesco Coralluzzo, che ha mostrato la coerenza interna e il vuoto dottrinale del pensiero dominante, contemporaneamente nichilista, debole e totalitario (cf. F. Coralluzzo, Oltre il relativismo. Comprendere e superare le ragioni di Nietzsche, Heidegger e Vattimo, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, euro 20).

Nella Presentazione del libro (pp. 7-14), mons. Antonio Livi mostra bene la fluidità del relativismo, riducibile non ad una o più tesi filosofiche, “ma a una posizione mentale che nasce dal volontario rifiuto della ragioneragionante” (p. 11). Questo rifiuto a priori, si inserisce in un contesto che senza dubbio lo favorisce e lo alimenta. Infatti, “le diverse agenzie culturali operanti nel nostro tempo (dai mass media alle formazioni politiche, dalle istituzioni culturali e scientifiche alle comunità religiose e alle scuole filosofiche indipendenti) diffondono messaggi contraddittori e sconcertanti” (p. 8). Probabilmente ad un livello e con una intensità mai raggiunta in passato. I sofisti sono arrivati al potere?

Questo caos del pensiero tende a sabotare il pensiero stesso, poiché l’uomo medio, colui che dà vita alla pubblica opinione, può dirsi, fra sé e sé: Come fare a conoscere la verità, tra tante istanze contrastanti e contradditorie? Chi può dirci come è bene vivere? I concetti di bene e male sono di fatto evoluti nel tempo, e non potrebbero cambiare ancora una volta domani?

E così finirà, presto o tardi, per scegliere di non scegliere (tra le tante parti in causa), illudendosi di non aver scelto nulla… Ma si tratta di una illusione mortale, poiché astenersi è comunque una scelta (non solo in politica), e non è la meno pericolosa. Cosa dirà poi tale uomo medio, reso scettico dalle circostanze, alla figlia sedicenne che vuole abortire poiché non se la sente? La incoraggerà all’aborto, o la scoraggerà, o non dirà nulla. Ma in ogni caso, avrà fatto una scelta colui che non voleva scegliere! Vivere si deve per forza (se non si opta per il suicidio), e quindi anche pensare. Il relativismo è una tendenziale abolizione del pensiero, “è la ricorrente tentazione di abbandonare l’impegno della ricerca, è un’ideologia (in altre epoche chiaramente marginale, ma oggi apparentemente maggioritaria” (p. 9).

Livi, conclude la sua introduzione stabilendo una sorta di genealogia dei relativisti (e degli anti-relativisti) davvero gustosa e piccante. Il relativismo come impostazione mentale scettica e anti-metafisica nasce coi sofisti (combattuti da Socrate, Platone e Aristotele), va avanti con lo gnosticismo ereticale (avversato da Agostino e Tommaso), assurge a sistema con Cartesio (combattuto da Pascal e Buffier), prende nuova lena con Hume (contrastato da Thomas Reid), sembra divenire invincibile con Kant (sezionato da Jacobi e Balmes) ed infine è riproposto tant bien que mal dal semi-cristiano Bergson (sterilizzato da Garrigou-Lagrange e dal neo-tomismo successivo).

Proprio da qui prende le mosse il saggio analitico del Coralluzzo, trattando la nuova enfatica progenie del relativismo, la quale si ammanta nei nomi altisonanti di Nietzsche, Heidegger e Gianni Vattimo, capofila quest’ultimo di un pensiero debolissimo, fragilissimo e tendenzialmente vuoto come il nulla.

L’Autore, parte anch’egli dal contesto contemporaneo in cui, “la ricerca seria e impegnata delle verità fondamentali non è più apprezzata” (p. 15), specie dalle élite dirigenti, e così “il valore morale e le norme che ne derivano sono affidate esclusivamente all’arbitrio dell’individuo” (p. 16), senza alcun criterio stabile e definitivo. Questo terreno (in)fertile ha prodotto la mala pianta del relativismo, inteso dall’Autore come “rifiuto sistematico della verità come possibilità del pensiero” (p. 17).

Il fatto che il rifiuto della verità o l’impossibilità di conoscerla si ponga comunque come affermazione veritativa (e indubitabile) per chi la pone, non spaventa più i neo-sofisti scettici. Anzi oggi, spaventa la coerenza e a volte questa primula introvabile della post-modernità è perseguitata dalla legge; la liquidità dell’incoerente invece è apprezzatissima, come sale della democrazia e profilattico alle svolte autoritarie… D’altra parte, nichilismo viene da nihil e ha come missione universale di annientare “il carattere assoluto di ogni valore, soprattutto quello della verità e del bene” (p. 25, n. 1).

Il Vae victis classico si trasforma a poco a poco in guai ai giusti, guai ai retti, guai ai puri, guai ai forti (specie nel pensiero…), guai ai santi!

In effetti, se la democrazia e lo Stato di diritto sono allergici e impermeabili ad ogni evidenza valoriale pre-politica (come da decenni sostengono gli infallibili Flores d’Arcais, Zagrebelsky e MicroMega), allora è chiaro che vi sarà una alleanza oggettiva tra le democrazie senza assiomi e un pensiero scettico senza criteri.

Impossibile per un recensore, nello spazio di una recensione, lumeggiare tutti i contenuti illustrati dall’Autore. Ci teniamo però a sottolineare ciò: Francesco Coralluzzo si mostra ottimo conoscitore sia della filosofia perenne, la quale parte dalla realtà, dall’essere, dalle cose e alla luce di esse fonda il pensiero critico, dandogli sostanza e contenuti. Sia del pensiero-che-non-pensa, confutando in modo pacato e preciso le contraddizioni del relativismo e dello scetticismo, e aiutando l’umanità a liberarsi dai condizionamenti della filosofia tedesca degli ultimi 2 secoli.

Tra i 3 autori trattati nel libro, quello più tipico del vuoto di pensiero oggi dominante, è proprio l’ineffabile Gianni Vattimo (Torino, 1936). Il quale “arriva a sostenere la tesi secondo cui l’incertezza e il disagio spirituale in cui ci troviamo non derivano dal nichilismo attualmente predominante nella cultura occidentale, bensì dal fatto che siamo ancora troppo poco nichilisti” (p. 166). “Il nichilista compiuto, scrive Vattimo, è colui che ha capito che il nichilismo è la sua (unica) chance” (p. 88). “Si tratta appunto di realizzare […] una presa di congedo dalla pretesa di verità assolute” (p. 93). In pratica il bene e il male non esistono, però il fascismo è un male… Non esiste nessuna certezza, però l’eutanasia va legalizzata… Non esiste alcuna verità, però lui nel 2015 (!!) si è iscritto ad un neonato Partito Comunista…

Infondo qui si sta proponendo, dolcemente, l’eutanasia dell’uomo, del pensiero e delle assisi su cui poggia ogni società composta da essere razionali.

Tutti coloro che tengono all’uomo come tale, al bene comune dei popoli, alla scienza come via veritatis, alla felicità e al trionfo dell’armonia e della pace devono badare bene a non confondere mai la medicina e il virus, il vizio e la virtù, la saggezza come stile di vita e l’istinto di dominio e di auto-annientamento.