mercoledì 30 settembre 2015

L’affondo di Cordes: «La fede non si piega ai segni dei tempi. Sciogliere il matrimonio è una bizzarria»


 


 
di Lorenzo Bertocchi
30-09-2015
 
Il cardinale tedesco Paul Josef Cordes, presidente emerito del Pontificio consiglio Cor Unum, è uno degli undici cardinali che hanno collaborato al libro Matrimonio e famiglia, in uscita in questi giorni per le edizioni Cantagalli. Il contributo del porporato tedesco ha un titolo che richiama un discorso di Benedetto XVI del 2009 alla Plenaria della Congregazione per il Clero, quando esortava i pastori «alla comunione con l'ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure, né tentazioni di discontinuità». Nel suo intervento il cardinale Cordes si occupa in particolare di quel tema che tanto ha movimentato il dibattito sinodale e che riguarda il possibile accesso dei divorziati risposati alla eucaristia. Un tema che, parafrasando il titolo, rischia davvero di generare “cesure e discontinuità” nel sinodo che sta per iniziare. Di questo argomento si parlerà anche oggi, 30 settembre, a Roma nel convegno internazionale "Permanere nella verità di Cristo", co-organizzato da La Nuova Bussola Quotidiana.


Eminenza, a proposito della eucaristia per i divorziati risposati, la Chiesa tedesca da tempo si impegna per risolvere il problema. Al Sinodo delle diocesi della Repubblica Federale Tedesca del 1972-1975 si cercava la “scappatoia della misericordia”. Cosa può insegnare la storia alla chiesa tedesca di oggi?

«Siccome in quel periodo ero il referente per la sezione pastorale nella segreteria della Conferenza Episcopale Tedesca, ho ben presente quello che è accaduto. La Plenaria del Sinodo durante le consultazioni sul tema “Matrimonio e Famiglia” aveva formulato un voto: chiedere alla Santa Sede la possibilità dell'accesso dei divorziati–risposati ai sacramenti. Una commissione di vescovi e di professori universitari progressisti dovevano formulare tale voto. Io ero segretario della commissione. Abbiamo discusso diverse volte l'argomento, ma non riuscivamo a produrre un testo che fosse presentabile: se le formulazioni del Nuovo Testamento e dei Concili dovevano rimanere per noi vincolanti, non si sarebbe trovata nessuna “scappatoia della misericordia”. Inoltre, ci venivano degli scrupoli: quali conseguenze avrebbe provocato per i matrimoni in crisi una nuova disciplina pastorale, che avrebbe permesso ai divorziati-risposati l'accesso alla Comunione? Non avrebbe finito per indebolire la volontà di rimanere fedeli nei momenti di tensione coniugale?».

Il vescovo di Osnabruk, monsignor Franz-Josef Bode, alla plenaria della Conferenza episcopale tedesca del febbraio 2015 ha parlato della necessità di un «cambio di paradigma». Nella pastorale famigliare, secondo Bode, si dovrebbe prestare maggiore attenzione ai cosiddetti “segni dei tempi”. La vita e la storia come fonte della fede?

«Il tentativo di armonizzare l'esperienza di vita dell'uomo con la fede, è motivato senza dubbio da un grande intuito pastorale. Tuttavia, la cura pastorale si perverte in un'illusione rovinosa, se dai “segni dei tempi” vengono dedotti contenuti di fede. Durante l'elaborazione della Costituzione La Chiesa e il mondo contemporaneo del Vaticano II (Gs) questo aspetto occupò i padri conciliari, ed il teologo conciliare Joseph Ratzinger riferisce in modo dettagliato il rifiuto di una tale teoria teologica. La discussione girava intorno alla rilevanza in termini di fede del fenomeno sociale ed ecclesiale e si fermava sull'espressione biblica “segni dei tempi”: Vediamo o sentiamo in questi segni l'indicazione o la voce di Dio? Possiamo interpretarli come verità teologica? Nelle discussioni poi venne rifiutato categoricamente di rintracciare questi “segni dei tempi” nella vita degli uomini come “fonte della fede” - come era stato formulato inizialmente da Gs nr. 11. Occorreva piuttosto discernere tali segni. In questo modo i padri conciliari spiegavano che nuovi avvenimenti e bisogni dei cristiani che si presentavano servivano ai pastori della Chiesa come impulso, e dovevano essere letti alla luce della fede, provati, e occorreva rispondervi a partire dalla verità della Rivelazione. I padri hanno escluso di proposito il cortocircuito penoso, secondo cui un fenomeno che sfida la Chiesa diventerebbe già per se stesso una fonte della fede (locus theologicus); ciò è stato da loro spiegato in modo approfondito. A questo proposito si può ricordare che Joseph Ratzinger descrive in modo dettagliato, come i padri conciliari hanno affrontato questa questione nel commentario al nr. 11 della Costituzione Gs, nel Lexikon für Theologie und Kirche (XIII, Freiburg 1968.) D'altronde la stessa Costituzione del Concilio sulla “Divina Rivelazione” non lascia alcun dubbio sul fatto che la Chiesa cattolica deve la sua fede solamente alla Sacra Scrittura e all'insegnamento della Chiesa (Cfr. H. de Lubac, Die göttliche Offenbarung, Einsiedeln 2001, 140 ss.). La Parola di Dio, interpretata dall'insegnamento della Chiesa cattolica, è pertanto la pietra, che dà alla Chiesa il fondamento sicuro (cfr. Lc 6,47 ss.). La cosiddetta ortoprassi o la “mistica del popolo” sono sempre imbevuti dello “spirito del mondo” (cfr. Rm 12,2) e oscurano la verità della fede».

Leggendo il suo contributo nel libro degli 11 cardinali colpisce il titolo di un paragrafo: “Scurrilità”. Mi scusi la domanda: ma a chi e a cosa si riferisce?

«Il senso esatto della parola italiana “scurrilità” non mi è familiare. In tedesco chiamiamo “skurril” ciò che è strano e bizzarro. La volontà sfrenata di annacquare l'indissolubilità del matrimonio seduce anche professori universitari a proferire astrusità teologiche. Vorrei dimostrarlo con due citazioni. Le ho trovate in un volume pubblicato da Herder-Verlag (G. Augutin/I. Proft (Hg.), Ehe und Familie. Wege zum Gelingen aus katholischer Perspektive, Freiburg 2014). In un contributo l'ordinario di una facoltà cattolica è a favore di un secondo matrimonio dopo il divorzio, a motivo della “sacramentalità generativa, che toglie il limite al sacramento del matrimonio. Il primo matrimonio sacramentale continua ad esistere, ma la rottura fattiva non demolisce il carattere indistruttibile della promessa di fedeltà di Dio, ma mette in azione nuovamente la Sua promessa...” (391).  Con questa speculazione il “secondo matrimonio” viene interpretato come una specifica fonte di grazie! Un altro insegnante universitario cattolico utilizza un passaggio dell'Apostolo delle genti ai Corinzi, per ammettere la possibilità della ricezione indegna del Corpo di Cristo. Mentre Paolo spinge a esaminare se stessi minacciando diversamente il castigo - “Perchè chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore mangia e beve la propria condanna.  É per questo che tra voi ci sono molti malati e infermi e un buon numero sono morti” (1 Cor. 11,29 ss). Il professore rovescia il senso dell'apostolo, facendogli dire che consiglia la Comunione indegna, perchè essa “non porta alla condanna, ma alla salvezza” (418). Veramente una interpretazione sbalorditiva!».











http://www.lanuovabq.it/it/articoli-laffondo-di-cordes-la-fede-non-si-piega-ai-segni-dei-tempi-sciogliere-il-matrimonio-e-una-bizzarria-13963.htm




 

"Inaccettabile". Il documento base del sinodo "compromette la verità"








Alla vigilia dell'assise, tre teologi con il sostegno di cardinali e vescovi criticano e rigettano l'"Instrumentum laboris". Ecco il testo integrale del loro atto d'accusa

  

di Sandro Magister


ROMA, 29 settembre 2015 – Il testo che qui è reso pubblico si aggiunge ai numerosi pronunciamenti di diverso segno sui temi della famiglia, del matrimonio, del divorzio, dell'omosessualità, che si sono susseguiti con intensità crescente, nell'avvicinarsi dell'apertura del sinodo.

Si presenta come opera collettiva. Non solo perché sono tre i firmatari del testo, ma più ancora perché esso è nato e cresciuto, nell'arco di quasi un anno, per iniziativa e con l'apporto di numerosi altri cattolici, sacerdoti e laici, di varie nazioni d'Europa, e con l'attenzione e il sostegno di vescovi e cardinali, alcuni dei quali prossimi padri sinodali.

Il testo ha per oggetto i paragrafi più controversi della "Relatio" finale del sinodo del 2014, poi confluiti nei "Lineamenta" e nell'"Instrumentum laboris", riguardanti la comunione ai divorziati risposati, la cosiddetta "comunione spirituale" e gli omosessuali.

A giudizio dei promotori del testo, questi paragrafi qua e là contraddicono la dottrina insegnata a tutti i fedeli dal magistero della Chiesa e dallo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica, al punto da "compromettere la Verità" e quindi rendere "non accettabile" l'intero "Instrumentum laboris", come pure ogni "altro documento che ne riproponesse i contenuti e fosse posto ai voti alla fine della prossima assemblea sinodale".

I tre sacerdoti e teologi che firmano il testo sono:

– Claude Barthe, 68 anni, Parigi, cofondatore della rivista "Catholica", esperto di diritto e di liturgia, promotore dei pellegrinaggi a sostegno della "Summorum Pontificum", autore di saggi quali "La messe une forêt de symboles", "Les romanciers et le catholicisme", "Penser l’œcuménisme autrement".

– Antonio Livi, 77 anni, Roma, decano emerito della facoltà di filosofia della Pontificia Università Lateranense, socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso e presidente dell'unione apostolica "Fides et ratio" per la difesa della verità cattolica. La sua ultima opera, del 2012, si intitola:  "Vera e falsa teologia".

– Alfredo Morselli, 57 anni, Bologna, parroco, confessore e predicatore di esercizi spirituali secondo il metodo di sant'Ignazio. Licenziato al Pontificio Istituto Biblico, é autore di saggi quali "La negazione della storicità dei Vangeli. Storia, cause, rimedi (2006)  e "Allora tutto Israele sarà salvato (2010). Il suo arcivescovo è il cardinale Carlo Caffarra.

Il testo può essere letto nella sua integralità, nella lingua originale italiana, in quest'altra pagina di www.chiesa:

> Osservazioni sull'"Instrumentum laboris"

Qui di seguito sono riprodotti la premessa e due dei quattro capitoli in cui il testo si articola: il primo sulla comunione ai divorziati risposati e il terzo sull'omosessualità.


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OSSERVAZIONI SULL'"INSTRUMENTUM LABORIS"

di Claude Barthe, Antonio Livi, Alfredo Morselli



In questo documento vengono articolate, in maniera puntuale, alla luce del Catechismo della Chiesa Cattolica e, in generale, del "depositum fidei", delle perplessità verso la "Relatio Synodi" dello scorso Sinodo straordinario, ripresa ed ampliata poi nell’"Instrumentum laboris" per la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

Anzi, è appena il caso di osservare come l’"Instrumentum" superi la stessa "Relatio", ampliandone la portata, andando al di là delle intenzioni degli stessi Padri sinodali. In effetti, questo documento ha avuto cura di riprendere e rielaborare persino quelle proposizioni, che, non essendo state approvate a maggioranza qualificata dalla scorsa assise sinodale straordinaria, non dovevano né potevano essere incluse nel documento finale di quel Sinodo e che, perciò, dovevano reputarsi respinte.

Perciò, anche laddove l’"Instrumentum" appaia adeguarsi alla Rivelazione ed alla Tradizione della Chiesa, ne risulta, in generale, compromessa la Verità, sì da rendere complessivamente non accettabile il documento, o altro che ne riproponesse i contenuti e fosse posto ai voti alla fine della prossima assemblea sinodale.

La pastorale non è l’arte del compromesso e del cedimento: è l’arte della cura delle anime nella verità. Per cui, per tutti i Padri sinodali valga il monito del profeta Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro” (Isaia 5, 20).

Non ultimo, va notato come l’"Instrumentum" sia stato, in larga misura, svuotato di significato teologico e superato, dal punto di vista canonico, dai due Motu proprio dello scorso 15 agosto, resi noti l’8 settembre seguente.


SOMMARIO


1 – Osservazioni sul § 122 (52)

A. – Un’ipotesi incompatibile con il dogma
B. – Un uso improprio del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone erroneamente argomenti per suffragare una forma di etica della situazione
C. – Un argomento non ad rem


2 – Osservazioni sui §§ 124-125 (53)

Non univocità del termine "Comunione spirituale" per chi è in grazia di Dio e per chi non lo è


3 – Osservazioni sui §§ 130-132 (55-56)

"Instrumentum laboris" e attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale: lacune e silenzi


4 - Comunione spirituale e divorziati risposati

Studio più approfondito sulla Comunione spirituale

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1 – OSSERVAZIONI SUL § 122 (52)


Premessa

La prossima assemblea del Sinodo dei Vescovi vuole trattare tanti problemi riguardanti la famiglia. Tuttavia, anche grazie al clamore mediatico e alle grandi attenzioni del Papa nei confronti dei divorziati risposati, la prossima assise è di fatto considerata come il Sinodo della Comunione ai divorziati. Uno dei temi che sarà affrontato sembra essere, di fatto e per i più, il tema del dibattito.

Si sa che, per risolvere un problema, è essenziale impostarlo bene. Purtroppo abbiamo di che ritenere che il documento che dovrebbe fornire la corretta impostazione di tutta la questione – ovvero l'"Instrumentum laboris" – sia invece fuorviante e pericoloso per la nostra fede.

Presentiamo alcune osservazioni sul paragrafo più problematico, riguardante la questione dell'ammissione alla S. Comunione di chi vive "more uxorio" pur non essendo canonicamente sposato; si tratta del § 122, che ripropone il § 52 della versione definitiva della "Relatio finalis" dell'assemblea del 2014.


Il testo in questione, il § 122 (52):

"122 (52).  Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)".

Ci sono motivi per ritenere che il § 122 contenga:

A. – Un’ipotesi incompatibile con il dogma
B. – Un uso improprio del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone erroneamente argomenti per suffragare una forma di etica della situazione.
C. – Un argomento non "ad rem"


A. – Un’ipotesi incompatibile con il dogma, tale da configurarsi come dubbio volontario in materia di fede


“Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia”.

Questa riflessione è illecita e ricade sotto la specie del dubbio volontario in materia di fede, in base a quanto ha dichiarato solennemente il Concilio Vaticano I: ”coloro che hanno ricevuto la fede sotto il magistero della Chiesa non possono mai avere giustificato motivo di mutare o di dubitare della propria fede”. In piena conformità con tutta la Tradizione della Chiesa, anche il Catechismo della Chiesa Cattolica pone il dubbio tra i peccati contro la fede:

CCC 2088: “Ci sono diversi modi di peccare contro la fede. Il dubbio volontario circa la fede trascura o rifiuta di ritenere per vero ciò che Dio ha rivelato, e la santa Chiesa ci propone a credere. […] Se viene deliberatamente coltivato, il dubbio può condurre all’accecamento dello spirito”.

Che l’affermazione “i divorziati civilmente risposati conviventi 'more uxorio' non possono accedere alla Comunione Eucaristica” appartenga a ciò che è proposto a credere come rivelato dalla Chiesa – e quindi non possa più essere rimesso in discussione –, è provato da:

Giovanni Paolo II, Esort. apost. "Familiaris consortio", 22 novembre 1981, § 84:

La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia”. 

Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14 settembre 1994:

"5. La dottrina e la disciplina della Chiesa su questa materia sono state ampiamente esposte nel periodo postconciliare dall'Esortazione Apostolica «Familiaris consortio». L'Esortazione, tra l'altro, ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la partecipazione dei divorziati risposati a diversi momenti della vita della Chiesa. Nello stesso tempo ribadisce la prassi costante e universale, «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati» (Esort. apost. Familiaris consortio, n. 84: AAS 74 (1982) 185), indicandone i motivi. La struttura dell'Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni.

"6. Il fedele che convive abitualmente «more uxorio» con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona (Cf. 1 Cor 11,27-29) e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa (Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 978 § 2). Devono anche ricordare questa dottrina nell'insegnamento a tutti i fedeli loro affidati".

Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione circa l'ammissibilità alla santa comunione dei divorziati risposati, 24 giugno 2000:

“Il Codice di Diritto Canonico stabilisce che: «Non siano ammessi alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (can. 915). Negli ultimi anni alcuni autori hanno sostenuto, sulla base di diverse argomentazioni, che questo canone non sarebbe applicabile ai fedeli divorziati risposati. […]

"Davanti a questo preteso contrasto tra la disciplina del Codice del 1983 e gli insegnamenti costanti della Chiesa in materia, questo Pontificio Consiglio, d’accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede e con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dichiara quanto segue:

"1. La proibizione fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa. Il testo scritturistico cui si rifà sempre la tradizione ecclesiale è quello di San Paolo: «Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1 Cor  11, 27-29. Cfr. Concilio di Trento,  Decreto sul sacramento dell’Eucaristia: DH 1646-1647, 1661)".

Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica “ribadisce la prassi costante e universale «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati»” e “gli insegnamenti costanti della Chiesa in materia”:

CCC 1650: «Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (“Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”: Mc 10,11-12 ), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza».


Conclusioni del § A.

Il § 122 dell’"Instrumentum laboris" ammette la possibilità di ciò che, per un cattolico, è del tutto impossibile. L’accesso alla comunione sacramentale ai divorziati risposati è presentata come una legittima possibilità, quando, invece, tale possibilità è stata già definita illecita dal magistero precedente (FC, CdF 1994, CCC, Pont. C. Testi Legislativi); è presentata come una possibilità non solo del tutto teorica (ragionando “per impossibile”), ma reale, quando invece l’unica possibilità reale per un cattolico coerente con la Verità rivelata è affermare l’impossibilità che lecitamente i divorziati risposati accedano alla comunione sacramentale. La questione è presentata come teologicamente aperta, quando è stata già dottrinalmente e pastoralmente chiusa (Ibidem); è presentata come se si partisse dal nulla del magistero precedente, quando, invece, il magistero precedente si è pronunciato con tale autorevolezza, da non ammettere più discussioni in merito (Ibidem).

Se qualcuno si ostinasse a voler ridiscutere ciò che viene proposto a credere come rivelato dalla Chiesa, formulando delle ipotesi che risultano incompatibili con il dogma, indurrebbe i fedeli a un dubbio volontario in materia di fede.


B. – Uso improprio del Catechismo della Chiesa Cattolica, traendone erroneamente argomenti per suffragare una forma di etica della situazione


"Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)".

In queste ultime righe del § 122 dell’"Instrumentum laboris", si rimanda al § 1735 del Catechismo della Chiesa Cattolica per suffragare "la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti", in vista di un'eventuale ammissione ai sacramenti dei "divorziati risposati". Che cosa dice in realtà il § 1735 del Catechismo? Leggiamolo per intero:

“L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali".

E adesso cerchiamo di spiegare questo testo: ipotizziamo il caso di una povera ragazza in India o in Cina che viene sterilizzata subendo pressioni, o una ragazza di oggi in Italia che viene indotta ad abortire dai parenti suoi e del fidanzato... In questi casi sicuramente l’ imputabilità è sminuita o annullata, ma non direttamente (simpliciter) per le tristi circostanze, ma per l'imperfezione dell'atto: un atto moralmente giudicabile – un atto umano, in termini più precisi – deve essere libero e consapevole.

Oggi, anche in Italia, con la cattiva educazione che si riceve fin dalla scuola materna, una ragazza può benissimo non rendersi conto che l'aborto è un omicidio: inoltre potrebbe essere psicologicamente fragile e non avere caratterialmente la grinta per andare contro tutti e tutto.  È chiaro che la responsabilità morale di questa ragazza è attenuata.

Altro è il caso di un divorziato, risposato civilmente, che ha ritrovato la fede a giochi fatti: ipotizziamo sia stato abbandonato dalla moglie, che si sia risposato con l'errata idea di rifarsi una famiglia, e che non possa più ritornare con la prima vera unica moglie (magari questa si è riaccompagnata con un altro uomo e ha avuto dei figli da lui); questo fratello, pur pregando e partecipando attivamente alla vita della parrocchia, benvoluto dal parroco e da tutti i fedeli, consapevole del suo stato di peccato e neppure ostinato a volerlo giustificare, vive more uxorio con la moglie sposata civilmente, non riuscendo a vivere con lei come fratello e sorella. In questo caso, la scelta di accostarsi alla nuova moglie è un atto perfettamente libero e consapevole, e quanto detto dal § 1735 del Catechismo della Chiesa Cattolica non si può applicare nel modo più assoluto.

Lo stesso Catechismo insegna infatti, al § 1754:

"Le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un’azione intrinsecamente cattiva".

E Giovanni Paolo II, nell'enciclica "Veritatis splendor", al § 115, affermava:

"È la prima volta, infatti, che il Magistero della Chiesa espone con una certa ampiezza gli elementi fondamentali di tale dottrina, e presenta le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche.

"Alla luce della Rivelazione e dell'insegnamento costante della Chiesa e specialmente del Concilio Vaticano II, ho brevemente richiamato i tratti essenziali della libertà, i valori fondamentali connessi con la dignità della persona e con la verità dei suoi atti, così da poter riconoscere, nell'obbedienza alla legge morale, una grazia e un segno della nostra adozione nel Figlio unico (cf. Ef 1,4-6). In particolare, con questa Enciclica, vengono proposte valutazioni su alcune tendenze attuali nella teologia morale. Le comunico ora, in obbedienza alla parola del Signore che a Pietro ha affidato l'incarico di confermare i suoi fratelli (cf. Lc 22,32), per illuminare e aiutare il nostro comune discernimento.

"Ciascuno di noi conosce l'importanza della dottrina che rappresenta il nucleo dell'insegnamento di questa Enciclica e che oggi viene richiamata con l'autorità del successore di Pietro. Ciascuno di noi può avvertire la gravità di quanto è in causa, non solo per le singole persone ma anche per l'intera società, con la riaffermazione dell'universalità e della immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi".


Conclusioni del § B.

Le parole di San Giovanni Paolo II sono inequivocabili: con l'autorità del successore di Pietro vengono riaffermate l'universalità e l' immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi. Inoltre viene confutata la artificiosa e falsa separazione di chi pretende di lasciare inalterata la dottrina immutabile, ma poi di conciliare l'inconciliabile, ovvero di comportarsi pastoralmente in modo non consequenziale con la dottrina stessa.

Infatti lo stesso santo Pontefice non ha scritto l'enciclica come un'esercitazione speculativa fuori dal mondo, ma ha voluto offrire le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche.

Certamente un divorziato risposato, come quello descritto nell'esempio precedente (caso assolutamente non raro), va amato, seguito, accompagnato verso la conversione completa e solo allora potrà ricevere la SS. Eucaristia. Questa conversione va annunciata come realmente possibile con l'aiuto della grazia, con la pazienza e la misericordia di Dio, senza contravvenire a una verità indiscutibile della nostra fede, per cui non si può fare la S. Comunione in stato di peccato mortale.


C. – Un argomento non "ad rem"


"… casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste".

L’ammissione ai Sacramenti non ha niente a che vedere con le situazioni irreversibili, in cui non è più possibile ricostituire il primo e vero matrimonio.

In queste situazioni, il principale obbligo morale che i divorziati risposati hanno nei confronti dei figli è quello di vivere in grazia di Dio, per poterli meglio educare; l’ammetterli o non ammetterli ai sacramenti non c’entra niente con gli obblighi nei confronti della prole. A meno che non si voglia negare che invece la Chiesa “con ferma fiducia crede anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità” (Familiaris consortio, 84).


[…]


3 – "INSTRUMENTUM LABORIS" E ATTENZIONE VERSO LE PERSONE CON TENDENZA OMOSESSUALE: LACUNE E SILENZI


L'attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale non è certo una novità nel magistero della Chiesa. L'"Instrumentum laboris", rispetto alla "Relatio finalis" del 2014, rintuzza la lacuna più grave di quest'ultimo documento, ponendo più attenzione alle famiglie comprendenti persone omosessuali (famiglie quasi completamente dimenticate nella "Relatio"). Una pur giusta raccomandazione di evitare discriminazioni ingiuste alle persone con tendenza omosessuale, accennando appena alle loro famiglie, è quasi un "off-topic", in un sinodo sulla famiglia.

Nella redazione dell'"Instrumentum laboris", da un lato è stato aggiunto un paragrafo (il § 131) che raccomanda attenzione a questi nuclei familiari, tuttavia non c'è traccia di importanti e fondamentali indicazioni ribadite dal Magistero ordinario in materia.

Riteniamo che in un sinodo sulla famiglia, affrontare la problematica della omosessualità limitandosi a dire che non bisogna trattare male gli omosessuali e non lasciare sole le loro famiglie, sia un peccato di omissione.

Ecco il testo in questione:

"L’attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale

"130. (55) Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).

"131. Si ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società. Sarebbe auspicabile che i progetti pastorali diocesani riservassero una specifica attenzione all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse persone.

"132. (56) È del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso".

Ci sembra che al suddetto testo si possano fare le osservazioni che riportiamo di seguito.


Lacune e silenzi


Visto che siamo santamente esortati a metterci nella “condizione di ospedale da campo che tanto giova all’annuncio della misericordia di Dio”, è opportuno ricordare che, in ogni ospedale che si rispetti, i medici fanno il loro dovere quando: 1) diagnosticano la malattia, 2) somministrano la cura, 3) seguono il paziente fino alla guarigione; inoltre la Chiesa, “conoscendo le insidie d'una pestilenza”, mentre “si consacra alla guarigione di coloro che ne sono colpiti”, “cerca di guardare sé e gli altri da tale infezione”.

Ridurre (o tacere di tutto il resto) l’opera della Chiesa ad accogliere le persone con tendenze omosessuali con “rispetto e delicatezza” può essere assimilato tutt’al più – sempre seguendo la metafora dell’ospedale da campo – a una cura palliativa.

Inoltre ricordare solo il dovere di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione, senza dire altro, può sembrare un accodarsi alla propaganda contro la cosiddetta omofobia, che sappiano bene essere un grimaldello per introdurre nelle legislazioni norme esiziali, e nella coscienze l’accettazione della teoria del "gender".

La Congregazione per la Dottrina della Fede faceva saggiamente osservare, nel 1986, che “una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione”.

Quando si parla di ingiusta discriminazione della persone omosessuali è dunque opportuno anche spiegare con chiarezza che cosa sia veramente ingiusta discriminazione e che cosa sia invece la doverosa denuncia del male.

Sempre la stessa Congregazione ribadiva che “ogni allontanamento dall'insegnamento della Chiesa, o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale, non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. Solo ciò che è vero può ultimamente essere anche pastorale”.


1 - Riteniamo che si debba con chiarezza diagnosticare la malattia, come per esempio ha fatto la Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 2003; vediamo come la questione dell’ingiusta discriminazione è trattata in un contesto assai chiaro:

“Gli atti omosessuali, infatti, «precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357).

"Nella Sacra Scrittura le relazioni omosessuali «sono condannate come gravi depravazioni... (cf.  Rm  1, 24-27; 1 Cor  6, 10;  1 Tm  1, 10). Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione 'Persona humana', 29 dicembre 1975, n. 8).

"Lo stesso giudizio morale si ritrova in molti scrittori ecclesiastici dei primi secoli  (Cf. per esempio S. Policarpo,  Lettera ai Filippesi, V, 3; S. Giustino,  Prima Apologia, 27, 1-4; Atenagora,  Supplica per i cristiani, 34) ed è stato unanimemente accettato dalla Tradizione cattolica.

"Secondo l'insegnamento della Chiesa, nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali «devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358; cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 10). Tali persone inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità (Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2359; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1º ottobre 1986, n. 12). Ma l'inclinazione omosessuale è «oggettivamente disordinata» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358) e le pratiche omosessuali «sono peccati gravemente contrari alla castità» (Ibid., n. 2396)”.

Inoltre deve essere ammessa la possibilità del peccato da parte di persone con tendenze omosessuali, non escludendo la confessione come aiuto soprannaturale talvolta necessario:

“Dev'essere comunque evitata la presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa. In realtà anche nelle persone con tendenza omosessuale dev'essere riconosciuta quella libertà fondamentale che caratterizza la persona umana e le conferisce la sua particolare dignità. Come in ogni conversione dal male, grazie a questa libertà, lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla grazia di Dio, potrà consentire ad esse di evitare l'attività omosessuale”.

L’amore si mostra anche svelando prospettive di falsa felicità:

“Come accade per ogni altro disordine morale, l'attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l'omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico”.


2 - In secondo luogo è necessario prescrivere la cura:

a) prevenendo le infezioni dello spirito del mondo…

“… Coloro che si trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l'attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia un'opzione moralmente accettabile”.

“[La Chiesa] si preoccupa sinceramente anche dei molti che non si sentono rappresentati dai movimenti pro-omosessuali, e di quelli che potrebbero essere tentati di credere alla loro ingannevole propaganda”.

b) … facendo ricorso anche alle scienze umane: la cura prescritta non deve essere solo di carattere morale: come la Chiesa, per favorire il retto uso del matrimonio, promuove la costituzione di consultori dove si insegnano i metodi naturali, così è opportuno che la Chiesa favorisca tutte quella forme di supporto psicologico, che in questi anni sono state fornite, con incoraggianti successi:

“In particolare i Vescovi si premureranno di sostenere con i mezzi a loro disposizione lo sviluppo di forme specializzate di cura pastorale per persone omosessuali. Ciò potrebbe includere la collaborazione delle scienze psicologiche, sociologiche e mediche, sempre mantenendosi in piena fedeltà alla dottrina della Chiesa”.

c) … e infondendo speranza: bisogna accompagnare le persone con orientamento omosessuale in un itinerario anche culturale, inteso a smascherare tutte le teorie omosessualiste (quali la teoria del "gender") e slogan tipo "si nasce omosessuali"; questo slogan assopisce la coscienza di chi vuole restare così, e sopprime la speranza di chi vorrebbe uscirne.


3 - In terzo luogo bisogna seguire il paziente fino alla guarigione, che è la vita di grazia e la santità stessa; qualunque cosa, prescindendo dalla fede, viene chiamata disagio, è – per il credente – occasione provvidenziale di santificazione: "Diligentibus Deum, omnia cooperantur in bonum" (Rm 8, 28). Anche per questo aspetto, non troviamo parole migliori di quelle della Congregazione per la Dottrina della Fede:

“Che cosa deve fare dunque una persona omosessuale, che cerca di seguire il Signore? Sostanzialmente, queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, unendo ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore. Per il credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono la vita e la redenzione. Anche se ogni invito a portare la croce o a intendere in tal modo la sofferenza del cristiano sarà prevedibilmente deriso da qualcuno, si dovrebbe ricordare che questa è la via della salvezza per tutti  coloro che sono seguaci di Cristo.

"In realtà questo non è altro che l'insegnamento rivolto dall'apostolo Paolo ai Galati, quando egli dice che lo Spirito produce nella vita del fedele: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé» e più oltre: «Non potete appartenere a Cristo senza crocifiggere la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal  5, 22. 24).

"Tuttavia facilmente questo invito viene male interpretato, se è considerato solo come un inutile sforzo di auto-rinnegamento. La croce è sì un rinnegamento di sé, ma nell'abbandono alla volontà di quel Dio che dalla morte trae fuori la vita e abilita coloro, che pongono in Lui la loro fiducia, a praticare la virtù invece del vizio.

"Si celebra veramente il Mistero Pasquale solo se si lascia che esso permei il tessuto della vita quotidiana. Rifiutare il sacrificio della propria volontà nell'obbedienza alla volontà del Signore è di fatto porre ostacolo alla salvezza. Proprio come la croce è il centro della manifestazione dell'amore redentivo di Dio per noi in Gesù, così la conformità dell'auto-rinnegamento di uomini e donne omosessuali con il sacrificio del Signore costituirà per loro una fonte di auto-donazione che li salverà da una forma di vita che minaccia continuamente di distruggerli.

"Le persone omosessuali sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità. Se si dedicano con assiduità a comprendere la natura della chiamata personale di Dio nei loro confronti, esse saranno in grado di celebrare più fedelmente il sacramento della Penitenza, e di ricevere la grazia del Signore, in esso così generosamente offerta, per potersi convertire più pienamente alla sua sequela”.


4 - Infine cercare di guardare sé e gli altri da tale infezione:

“La coscienza morale esige di essere, in ogni occasione, testimone della verità morale integrale, alla quale si oppongono sia l'approvazione delle relazioni omosessuali sia l'ingiusta discriminazione nei confronti delle persone omosessuali. Sono perciò utili interventi discreti e prudenti, il contenuto dei quali potrebbe essere, per esempio, il seguente: smascherare l'uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione, richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso”.


Conclusioni


Il richiamo del tema dell’aiuto alle famiglie con figli con tendenza omosessuale offre occasione di interrogarsi sul perché di questa menzione a discapito di altri disagi ben più diffusi che le famiglie vivono; inoltre la tematica è posta in modo da scivolare da problema della famiglia a problema delle persone omosessuali tout-court, "off-topic" rispetto all’oggetto proprio del sinodo.

Inoltre, il paragrafo in questione, pur dovendosi quantitativamente mantenere nello spazio di poche righe, omette il richiamo delle vere problematiche legate alla pastorale delle persone omosessuali; questo silenzio è tanto più colpevole quanto spaventosa è oggi l’avanzata dell’ideologia del "gender".

[…]

__________


Il documento base del sinodo, oggetto delle "Osservazioni":

> Instrumentum laboris



www.chiesa



martedì 29 settembre 2015

L'intervista al Card. Scola: "I miei timori sulla famiglia. Ci si sta pensando poco"

di Aldo Cazzullo

 Cardinale Scola, domenica prossima si apre il Sinodo conclusivo sulla famiglia. Un anno fa lei disse al «Corriere»: niente comunione ai divorziati risposati; il Papa non potrà fare altrimenti. Conferma?
«Avevo espresso un auspicio, vedremo come andrà a finire. Se mi si vuol far dire che personalmente non ho trovato ragioni adeguate per accettare la proposta del cardinale Kasper, va bene, fate pure i vostri grafici distinguendo “chi sta con il Papa”, “chi non sta con il Papa”... Però la mia preoccupazione è di natura completamente diversa. Ho l’impressione che si stia “pensando” poco. A tutti i livelli».

Si è passati dall’intellettuale Ratzinger al populista Bergoglio?
«No, Ratzinger è un “umile servitore della vigna” e Francesco non è per nulla un populista. È un grande uomo di fede che, fin dal primo giorno, ha innovato in due direzioni. Ha capito che se non ci si coinvolge di persona non si risulta autorevoli; per questo papa Francesco dà grande importanza ai gesti. E la sua idea della povertà teologica è fondamentale».

Povertà teologica?
«Sì. Il Papa dice: se, seguendo il Vangelo, osserviamo la realtà partendo dalla periferia, dall’esperienza concreta dei poveri, lo vedremo secondo una visuale più completa che facendo il contrario, partendo dal centro e andando verso la periferia. Le due cose dimostrano che ha un fortissimo senso del popolo, un carisma straordinario di coinvolgimento con tutta quanta la realtà. Ed esprime una visione teologica e culturale efficace. Che abbia potuto imparare questa attitudine in un Paese come l’Argentina, dove il popolo ha avuto un peso storico rilevante, senza cadere in facili cortocircuiti — peronismo o non peronismo —, questo è pure un dato importante. Non a caso Bergoglio ha contribuito a far evolvere la teologia della liberazione in una teologia di popolo, liberandola dal rischio dell’ideologia. Se mi è permesso un paragone ardito, la gente diceva di Gesù: “è uno che parla con autorità”. Perché era coinvolto con quello che diceva. Il Papa è così: il populismo non c’entra niente. Semmai il problema è l’uso che si può fare di questo papato».

Che cosa intende?
«Bisogna vigilare sulle strumentalizzazioni esterne, che potrebbero reintrodurre nella Chiesa una logica ideologica, in un momento in cui c’è più che mai bisogno di “mescolare le carte”, di superare le sterili dispute, di ascoltarsi reciprocamente. Se invece si ricade nella logica degli schieramenti contrapposti: “Ecco, avevamo ragione noi che dicevamo certe cose prima”, oppure “No, questo non si deve neppure dire”, è finita. Questa è la sfida che tocca alla Chiesa italiana».

A cominciare dal Sinodo. Lei aveva proposto, anziché scontrarsi sulla comunione, di rendere più agevole la dichiarazione di nullità del matrimonio. Finirà così?
«Resta una differenza qualitativa tra i due problemi. Un conto è snellire la verifica di nullità, cosa che il Santo Padre ha già fatto con il motu proprio, un conto è riammettere alla comunione sacramentale i divorziati risposati, perché la verifica della nullità non ha mai un esito scontato. Se si appura che il matrimonio c’era, c’è. Il rapporto tra Cristo e la Chiesa, entro il quale i due sposi esprimono davanti alla comunità cristiana il loro consenso, non è un modello esteriore da imitare. È il fondamento del matrimonio che nasce. Io, sposo, non potrei mai fondare il “per sempre”, l’indissolubilità, sulle sabbie mobili della mia volontà. E come posso fidarmi in maniera definitiva che mia moglie mi sarà fedele sempre? Cosa succede nel consenso reciproco espresso all’interno dell’atto eucaristico? Che io voglio il dovere del “per sempre” e decido non sulla base della mia fragile volontà, ma radicandomi nel rapporto nuziale tra Cristo e la Chiesa. È questo che, attraverso il sacramento, fonda il matrimonio».

Sta dicendo che la comunione non è un accessorio, ma un fondamento stesso del matrimonio?
«Esattamente».

Ma legare la nullità del matrimonio alla mancanza di fede di uno degli sposi non è un ammorbidimento del vincolo?
«È chiaro che la dimensione soggettiva della fede non è verificabile: io non mi posso permettere di giudicare quanta fede hai o non hai tu. Però la fede non è un fatto individualistico, è inserita organicamente nella comunione. Gesù ha detto: “Quando due o tre di voi si riuniranno in nome mio io sono in mezzo a loro”. L’Eucaristia è il vertice espressivo di questa natura comunionale della fede. Pertanto, rispettando fino in fondo la coscienza di ogni singolo, si può valutare se egli intende o meno fare ciò che la Chiesa fa quando unisce due in matrimonio. L’urgenza prioritaria, per me, è che il Sinodo possa suggerire al Santo Padre un intervento magisteriale che unifichi semplificandola la dottrina sul matrimonio. Un intervento teso a mostrare il rapporto tra l’esperienza di fede e la natura sacramentale del matrimonio».

Don Carron dice che sulle unioni omosessuali serve il dialogo, non il muro. Lei cosa ne pensa?
«Ho già detto che nel riconoscimento pieno della dignità personale di quanti provano attrazione per lo stesso sesso anche noi cristiani siamo stati un po’ lenti. Ma la famiglia è qualcosa di unico, con una fisionomia molto specifica, legata al rapporto fedele e aperto alla vita tra un uomo e una donna. Non reputo conveniente una legislazione che, nei principi o anche solo nei fatti, possa produrre confusione a questo livello. Tra l’altro non sono molto convinto che lo Stato debba occuparsi direttamente di queste cose e sono anche un po’ seccato di fronte a questo Parlamento europeo, perché non ha il diritto di premere sui singoli Stati in favore di una normativa in campo etico. Ho piuttosto l’impressione che, essendo povero di poteri reali, si occupi di queste cose a sproposito, senza tener conto delle differenze tra gli Stati. L’Italia non è certo la Svezia o l’Olanda».

I cattolici dovrebbero far sentire di più la loro voce?
«Sì, attraverso la testimonianza, anche pubblica, del bell’amore. Bisogna distinguere bene la questione delle unioni omosessuali dalla famiglia, essendo però estremamente attenti al percorso che le persone con questa attrazione compiono. Qualche giorno fa ho ricevuto esponenti di una associazione molto interessante, Courage, promossa nel 1980 dal cardinal Cooke, allora arcivescovo di New York. Persone che si impegnano a vivere la castità in questo tipo di attrazione...».

Se ad esempio due omosessuali vivessero insieme in modo casto, la Chiesa non li condannerebbe?
«Certo che no. In questo campo non esiste il bianco e il nero. Come nella situazione dei divorziati e risposati: ogni caso è personale. Tutto ciò che ha a che fare con la dimensione sessuale dell’io è personale e può essere trattato solo singolarmente. Non esiste la categoria degli omosessuali o la categoria dei divorziati e risposati. Ognuno di noi, che sia omosessuale o eterosessuale, da quando nasce a quando muore deve fare i conti con questa dimensione. È quello che taluni psicoanalisti chiamano “il processo di sessuazione”. Allora, tutti noi dobbiamo essere rispettosi fino in fondo del cammino sia degli omosessuali sia degli eterosessuali. A me non piacciono le semplificazioni esasperate, per cui tutto il Sinodo si riduce al problema dell’ammissione dei divorziati alla comunione sacramentale, per cui quando si parla di unioni omosessuali tutto si riduce al diritto di essere famiglie, e non si entra mai in un pensiero forte, non si toccano mai le questioni che ci sono dietro, le uniche in grado di promuovere la dignità di tutti e la loro equilibrata libertà».

Per questo dice che si pensa poco?
«Certo. Guardi anche all’immigrazione».

Una famiglia di migranti in ogni parrocchia: è d’accordo?
«A Milano abbiamo iniziato da tempo a muoverci in questa direzione. La Chiesa fa il buon Samaritano: accoglie, cura. Ma si sta affrontando in profondità il problema? Non è più solo un’emergenza, è un fenomeno strutturale, e nei prossimi 30-40 anni diventerà imponente. Non sarà qualche commissione di tecnocrati che a tavolino risolverà tutto. Potrà essere utile anche quella, ma c’è bisogno di una visione politica che sappia valorizzare i dati dell’esperienza. Preparando i “Dialoghi di vita buona” che faremo a Milano con varie voci della società civile — rettori delle università, imprenditori, filosofi — una domanda era ricorrente: “Siamo tutti davanti all’evidenza che un’epoca sta finendo. E adesso?”. Stiamo entrando in una fase in cui la discontinuità sarà un elemento ineludibile. Si incrociano fattori dirompenti gravemente sconnessi tra di loro, dalle bioingegnerie genetiche alle neuroscienze, alla civiltà delle reti, al meticciato, alla mutazione antropologica, a un modo di valutare i comportamenti individuali e i comportamenti sociali. E tuttavia non c’è mai il puro frammento. Questa inedita discontinuità va governata riconoscendo la rottura, ma nello stesso tempo cercando di cucire quel che può essere cucito. Altrimenti non riusciremo ad andare oltre lo smarrimento della domanda: “E adesso cosa succede?”».
 
 
 

27 settembre 2015
© Corriere della Sera
 
 
 
 
 

Oggi la Chiesa ricorda l'Arcangelo Michele e, nel Novus Ordo, anche Gabriele e Raffaele

 





La festa liturgica dell'Arcangelo San Michele ricorre il 29 settembre, data indicata nel Sacramentario Leoniano e nel Martirologio Geronimiano. Dal 1970 la festa è unita a quella degli Arcangeli San Gabriele e San Raffaele.

Il suo nome, Mi-ka-El, “chi è come Dio?”, è citato cinque volte nella Sacra Scrittura; tre volte nel libro di Daniele, una volta nel libro di Giuda e nell'Apocalisse di s. Giovanni Evangelista ed è considerato “capo supremo dell’esercito celeste”, cioè degli angeli in guerra contro il male, che nell’Apocalisse è rappresentato da un dragone con i suoi angeli e che, sconfitto nella lotta, fu scacciato dai cieli e precipitato sulla terra.
In Oriente San Michele è venerato con il titolo di "archistratega", che corrisponde al titolo latino di princeps militiae caelestis (principe delle milizie celesti) che compare nella preghiera composta da Leone XIII recitata alla fine di ogni Messa usus Antiquior, riportata di seguito.


Invochiamo il suo potente aiuto per noi, per la Chiesa tutta e per il mondo intero.


San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia contro le malvagità e le insidie del diavolo, sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi ! E Tu, Principe della milizia celeste con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell'inferno satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime.
Amen

Sancte Michaël Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude.
Amen.

Il 13 ottobre 1884, dopo aver terminato di celebrare la Santa Messa nella cappella vaticana, Leone XIII restò immobile una decina di minuti e si precipitò nel suo studio senza dare spiegazioni a chi lo aveva visto profondamente turbato. Compose immediatamente una preghiera a San Michele Arcangelo, dando istruzioni perché fosse recitata ovunque al termine di ogni Messa bassa. Successivamente il Papa darà la sua testimonianza raccontando (sinteticamente) di aver udito satana e Gesù e di aver avuto una terrificante visione dell'inferno : « ho visto la terra avvolta dalle tenebre e da un abisso, ho visto uscire legioni di demoni che si spargevano per il mondo per distruggere le opere della Chiesa ed attaccare la stessa Chiesa che ho visto ridotta allo stremo. Allora apparve S. Michele e ricacciò gli spiriti malvagi nell'abisso. Poi ho visto S. Michele Arcangelo intervenire non in quel momento, ma molto più tardi, quando le persone avessero moltiplicato le loro ferventi preghiere verso l'Arcangelo ».

Nel 1994, Papa Giovanni Paolo II ha chiesto che questa preghiera torni attuale : « che la preghiera ci fortifichi per la battaglia spirituale... Papa Leone XIII ha ha certamente avuto un vivo richiamo di questa scena quando ha introdotto in tutta la Chiesa una speciale preghiera a S. Michele Arcangelo... Chiedo a tutti di non dimenticarla e di recitarla per ottenere aiuto nella battaglia contro le forze delle tenebre e contro lo spirito di questo mondo ».
Se, invece di chiedere, l'avesse ufficialmente ripristinata sicuramente sarebbe stato più efficace.






http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/


lunedì 28 settembre 2015

Card. Scola: il fondamento del matrimonio è il rapporto tra Cristo e la Chiesa

    

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“Se mi si vuol far dire che personalmente non ho trovato ragioni adeguate per accettare la proposta del cardinale Kasper, va bene, fate pure i vostri grafici distinguendo “chi sta con il Papa”, “chi non sta con il Papa”… Però la mia preoccupazione è di natura completamente diversa. Ho l’impressione che si stia “pensando” poco. A tutti i livelli.”.

Così ha risposto il cardinale Angelo Scola alla domanda di Aldo Cazzullo a proposito della comunione ai divorziati risposati, manifestando il fatto che in generale si parla tanto, ma si pensa poco alla situazione reale della famiglia. Quindi, chiede il giornalista del Corriere, meglio spostare lo scontro sulla questione dell’accelerazione dei processi di nullità matrimoniale, rispetto a quello sull’eucaristia?

“Un conto è snellire la verifica di nullità, cosa che il Santo Padre ha già fatto con il motu proprio, un conto è riammettere alla comunione sacramentale i divorziati risposati, perché la verifica della nullità non ha mai un esito scontato. Se si appura che il matrimonio c’era, c’è”, risponde Scola. “Il rapporto tra Cristo e la Chiesa, entro il quale i due sposi esprimono davanti alla comunità cristiana il loro consenso, non è un modello esteriore da imitare. È il fondamento del matrimonio che nasce. Io, sposo, non potrei mai fondare il “per sempre”, l’indissolubilità, sulle sabbie mobili della mia volontà. E come posso fidarmi in maniera definitiva che mia moglie mi sarà fedele sempre? Cosa succede nel consenso reciproco espresso all’interno dell’atto eucaristico? Che io voglio il dovere del “per sempre” e decido non sulla base della mia fragile volontà, ma radicandomi nel rapporto nuziale tra Cristo e la Chiesa. È questo che, attraverso il sacramento, fonda il matrimonio». 

In altre parole, come suggerisce Cazzullo al suo interlocutore, l’eucaristia non è un accessorio, ma un fondamento del matrimonio.

Durante l’intervista l’arcivescovo di Milano si è soffermato anche su di una questione piuttosto spinosa e che riguarda proprio la riforma del processo per il riconoscimento di nullità recentemente varata dal Papa mediante Motu proprio.

“La dimensione soggettiva della fede”, precisa Scola, “non è verificabile: io non mi posso permettere di giudicare quanta fede hai o non hai tu. Però la fede non è un fatto individualistico, è inserita organicamente nella comunione. Gesù ha detto: “Quando due o tre di voi si riuniranno in nome mio io sono in mezzo a loro”. L’Eucaristia è il vertice espressivo di questa natura comunionale della fede. Pertanto, rispettando fino in fondo la coscienza di ogni singolo, si può valutare se egli intende o meno fare ciò che la Chiesa fa quando unisce due in matrimonio. L’urgenza prioritaria, per me, è che il Sinodo possa suggerire al Santo Padre un intervento magisteriale che unifichi semplificandola la dottrina sul matrimonio. Un intervento teso a mostrare il rapporto tra l’esperienza di fede e la natura sacramentale del matrimonio.”

Sulle unioni omosessuali la posizione del cardinale Scola  è questa: «Ho già detto che nel riconoscimento pieno della dignità personale di quanti provano attrazione per lo stesso sesso anche noi cristiani siamo stati un po’ lenti. Ma la famiglia è qualcosa di unico, con una fisionomia molto specifica, legata al rapporto fedele e aperto alla vita tra un uomo e una donna. Non reputo conveniente una legislazione che, nei principi o anche solo nei fatti, possa produrre confusione a questo livello. Tra l’altro non sono molto convinto che lo Stato debba occuparsi direttamente di queste cose e sono anche un po’ seccato di fronte a questo Parlamento europeo, perché non ha il diritto di premere sui singoli Stati in favore di una normativa in campo etico. Ho piuttosto l’impressione che, essendo povero di poteri reali, si occupi di queste cose a sproposito, senza tener conto delle differenze tra gli Stati. L’Italia non è certo la Svezia o l’Olanda».









Pubblicato il in sinodo2015.
http://sinodo2015.lanuovabq.it/card-scola-il-fondamento-del-matrimonio-e-il-rapporto-tra-cristo-e-la-chiesa/






 

Leggi Micromega e scopri un progetto di Chiesa


 
Micromega
 
di Stefano Fontana
28-09-2015

Micromega, la rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais, è sempre una conferma, non delude mai, già prima che sia pubblicata si sa già cosa dirà, figurati dopo la pubblicazione. Prendi per esempio il numero appena presentato e tutto dedicato al prossimo Sinodo dei Vescovi. Uno, prima ancora di leggere il fascicolo, si chiede cosa diranno mai gli autori e poi prova ad indovinare: il Sinodo come un Vaticano III, la svolta di Bergoglio dopo i reazionari Wojtyla e Ratzinger, la Chiesa in uscita secondo la teologia di Johann Batpist Metz, la prassi fa la verità e non la dottrina, le trame della Curia romana sul Papa argentino, il cardinale Müller è un reazionario … Uno riesce perfino a prevedere chi saranno gli autori ospitati: potranno mai mancare Pierluigi Di Piazza e Vinicio Albanesi, Raniero La Valle o don Vitaliano della Sala?

Poi apri il numero di Micromega e trovi esattamente tutto quello che avevi previsto. Il mondo eterodosso rappresentato da Micromega ha una sua ortodossia molto precisa, ha la sua nomenklatura che definisce e difende quella ortodossia (tutti gli ospiti del fascicolo la pensano allo stesso modo, come seminaristi usciti dallo stesso seminario), ha una dottrina che vorrebbe imporre nonostante come vada il Sinodo e senza parlare di dottrina ma solo di pastorale, ha i suoi dogmi e quindi i suoi eretici, lancia le sue scomuniche, insomma è un mondo molto clericale. Ecco perché non delude, è perfettamente prevedibile ed è perfino utile: ci dà una specie di manuale dell’anti-Sinodo. Se uno vuol sapere cosa il prossimo Sinodo non deve essere o i pericoli che corre legga Micromega.

Il punto più adoperato è il concetto che prima viene la persona e poi la dottrina. Ormai lo slogan lo si sente in tutte le parrocchie e Micromega lo inserisce nel suo nuovo catechismo. Ma senza la dottrina cattolica l’Occidente non saprebbe nemmeno cosa voglia dire essere persona e ogni fedele, se non illuminato dalla dottrina della fede, ancora oggi non riesce a vedere negli uomini delle persone. Sarebbe come dire: io ti accolgo come persona e poi ti guardo con lo sguardo di Cristo. La dottrina cattolica è lo sguardo di Cristo. Ma lo sguardo di Cristo non è lo sguardo umano più qualcosa.

Il punto suddetto è funzionale all’altro principio, che pure ormai ha di gran lunga travalicato le pagine di Micromega: la gradualità della verità, la gradualità del bene e quindi la gradualità della pastorale. E’ l’ormai famosa tesi, condivisa anche da Bruno Forte, che la convivenza è un matrimonio allo stato embrionale, che non bisogna condannare ma far crescere. Che la relazione omosessuale è amore ancora incerto e allo stato di germoglio ma pur sempre amore che non va per ciò condannato ma fatto crescere. Che la proposta di Cristo non contiene comandi (non c’è nessun “devi”) ma solo ideali da raggiungere, nei confronti dei quali qualcuno è un po’ indietro e qualcun altro un po’ più avanti ma tutti stiamo camminando verso di essi. Serve la legge della gradualità, applicata però alla gradualità della legge, contrariamente a quanto insegnava Giovanni Paolo II. Avevano ragione i vescovi polacchi a dire che al Sinodo c’è qualcuno che vuole distruggere l’insegnamento del Santo Papa polacco sull’amore umano. Micromega lo dimostra.

Fin qui gli interventi su Micromega dicono, tutto sommato, cose ancora moderate. Sbagliate ma moderate. Ad esse si aggiungono poi le grandi sparate ideologiche. Per Di Piazza bisogna “liberare la Chiesa dal potere dottrinale”, per Vittorio Bellavite di Noi Siano Chiesa-Italia bisogna “accogliere e riaccogliere tutti nella Chiesa”, per Franco Barbero “in Vaticano è presente un vero e proprio antipapa che continua a tessere la rete con tutti i tradizionalisti” (Benedetto XVI) e il cardinale Müller è “un reazionario pressoché onnipotente nei sacri palazzi”, per don Aldo Antonelli “La Curia e il Vicariato sono delle brutte, strane bestie, che quando ti abbracciano ti strozzano”, per don Paolo Farinella “i due papi precedenti avevano messo in naftalina il Vaticano II perché strutturalmente tradizionalisti e quindi pieni di paura nei confronti della modernità”. Non stupisce che questo mondo della sinistra cattolica barricadera esprima simili posizioni esasperate; colpisce piuttosto che il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, si sia unito al loro coro, dentro un fascicolo che adula strumentalmente Papa Francesco per poi lanciargli forti accuse di populismo.

Eppure c’è un rapporto tra le posizioni ancora moderate viste prima e queste denunce urlate. Slogan come “prima la persona e poi la dottrina”, oppure la legge della gradualità che diventa gradualità della legge sono già ampiamente presenti nella base cattolica e già veicolano una prassi nuova, anche se il Sinodo si deve ancora tenere. Essi però non si fermeranno lì, perché la spinta non si arresta se non alla conclusione. Il loro esito finale sarà qualcosa di più radicale, che le denunce urlate di Micromega prefigurano.





http://www.lanuovabq.it/it/articoli-leggi-micromega-e-scopri-un-progetto-di-chiesa-13941.htm






 

Abuso (liturgico) di smartphone: se anche il sacerdote perde il senno per un selfie

 
Abuso (liturgico) di smartphone: se anche il sacerdote perde il senno per un selfie
 
 
Foto dalla Messa celebrata da papa Francesco sabato scorso nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo di Filadelfia. Nella terza immagine, l'autore del selfie è padre Stephen Paolino, parroco della parrocchia di St. Aloysius a Pottstown, Pennsylvania.

 




 
 
 
 
 
 
 
da «Nbc News», tramite IL TIMONE, 28 settembre 2015
 
 
 
 
 

domenica 27 settembre 2015

Il Papa: difendiamo la famiglia perché lì si gioca il nostro futuro




(©Afp) Francesco a Filadelfia


La veglia al Boulevard Franklin Parkway: «La famiglia è una fabbrica di speranza, di speranza di vita e resurrezione». Un popolo «che non sa prendersi cura dei bambini e dei nonni è un popolo senza futuro perché non ha la forza e la memoria»




ANDREA TORNIELLI
Filadelfia 27/09/2015

«Custodiamo la famiglia, curiamo la famiglia, difendiamo la famiglia perché lì si gioca il nostro futuro». È calata ormai la sera sul grande boulevard Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, originario di Filadelfia. Al termine di una lunga giornata Francesco partecipa alla festa delle famiglie e alla veglia di preghiera. Charles Chaput, arcivescovo di Filadelfia, «una città di murales», lo accoglie donandogli un grande murale di Cesare Viveros, che ha lavorato tutta l'estate per realizzarlo e che sarà montato sulla parete della scuola St. Malachy.

La veglia è lunga. Il Papa ascolta molte testimonianze, letture e canti. C'è il presentatore Mark Wahlberg che attribuisce senza un'ombra di dubbio il suo successo come attore e produttore cinematografico alla sua fede cattolica. C'è Gianna Emanuela Molla, la figlia di santa Gianna Beretta Molla, la patrona dei bambini non nati. Ci sono testimonianze da varie parti del mondo. Lesya Borys, ucraina immigrata negli Usa, abbandonata dal marito, racconta le difficoltà per tirare su i suoi due figli. Nidal Mousa Sweidan, giordano, che vive con la sua famiglia a poca distanza dal confine siriano, parla del dramma dei rifugiati, delle famiglie di cristiani costrette ad abbandonare le loro case. C'è Andrea Bocelli con la Philadelphia Orchestra.

Francesco ha lasciato da parte il discorso preparato, e ha iniziato raccontando la domanda fattagli un giorno da un bambino: «Padre, che cosa faceva Dio prima di creare il mondo?». «Mi è costata fatica rispondere e gli ho detto: prima di creare il mondo Dio amava, perché Dio è amore. Ed era così grande il suo amore - quanto dico non è così teologico - era così grande che non poteva essere "egoista" doveva andare oltre sé per avere qualcuno da amare anche fuori di sé. Lì Dio creò il mondo, questa meraviglia che vediamo e che oggi noi stiamo distruggendo».

Dio, ha continuato il Papa «ha creato l'uomo e gli ha donato il mondo, tutto l'amore che ha messo in questa creazione meravigliosa l'ha donata a una famiglia. Torniamo indietro un po': tutto l'amore, tutta la bellezza che Dio ha, la dona alla famiglia. Una famiglia è veramente famiglia quando apre le braccia per ricevere tutto questo amore».

Ma, ha osservato ancora Bergoglio, «il paradiso terrestre non è più qua, la vita ha i suoi problemi, gli uomini per l'astuzia del demonio hanno imparato a dividersi e tutto questo amore che Dio ci ha dato, quasi si perde. E in poco tempo, ecco il primo crimine, il primo fratricidio, un fratello uccide un fratello, la guerra. L'amore, la bellezza di Dio, e la distruzione della guerra. Tra queste due posizioni camminiamo noi oggi noi. Tocca a noi decidere quale via percorrere».

«Torniamo ancora indietro - ha detto ancora Francesco, ricordando il Libro della Genesi e il peccato originale - Quando l'uomo e la sua sposa hanno commesso un errore, Dio non li ha lasciati soli. Tanto è il suo amore che ha cominciato a camminare con l'umanità, con il suo popolo, fino a quando è arrivato il momento di dare il dono d'amore più grande, suo Figlio. E dove lo ha mandato? In un palazzo? In un'impresa? Lo ha mandato in una famiglia! E ha potuto farlo perché questa famiglia era una famiglia con il cuore aperto all'amore, che aveva le porte aperte all'amore».

«Pensiamo a Maria - ha aggiunto il Papa continuando a parlare a braccio - una ragazza, non poteva credere, come può succedere questo? E quando glielo hanno spiegato, ha obbedito. Pensiamo a Giuseppe, che si ritrova con questa sorpresa che non comprende. La accetta, obbedisce, e in questa obbedienza d'amore di questa donna, Maria, e di questo uomo Giuseppe, c'è la famiglia in cui viene Gesù. Dio sempre bussa alla porta dei cuori, gli piace farlo, ma soprattutto gli piace bussare alla porta della famiglia, incontrare famiglie unite, che si amano, che crescono i figli e costruiscono una società di verità, bontà e bellezza».

«Siamo alla festa della famiglia, e la famiglia che ha carta di cittadinanza divina - ha detto Francesco - La carta di cittadinanza gliel'ha data Dio, perché nel suo seno crescesse sempre di più la verità, la bontà e la bellezza. Qualcuno mi potrebbe dire: padre, lei parla così perché non è sposato! Nella famiglia ci sono difficoltà, in famiglia discutiamo, a volte volano i piatti, i bambini provocano mal di testa e non voglio parlare delle suocere... Nella famiglia sempre ci sono croci, sempre... Però nella famiglia, dopo la croce, c'è resurrezione, perché il Figlio di Dio ci ha aperto questo cammino. Perché la famiglia è una fabbrica di speranza, di speranza di vita e resurrezione».

«I figli, danno lavoro, noi come figli abbiamo dato lavoro, a volte vedo alcuni dei miei collaboratori che vengono a lavorare stanchi, hanno un bambino di un mese, e dicono: non ha mai dormito questa notte. Nella famiglia ci sono difficoltà, però queste difficoltà si superano con l'amore. L'odio non supera alcuna difficoltà. La divisione dei cuori non supera alcuna difficoltà. Solo l'amore è capace di superare le difficoltà. E l'amore è festa, gioia, è andare avanti. Io non voglio parlare ancora perché è tardi - ha aggiunto Bergoglio - però vorrei segnalare due punti sulla famiglia. Avere una speciale attenzione per i bambini e per i nonni. I bambini e i giovani sono il futuro, la forza che porta avanti, su di loro poniamo speranza. I nonni sono la memoria della famiglia, ci hanno dato la fede, ce l'hanno trasmessa. Curare i nonni e i bambini è la dimostrazione d'amore, non so se più grande, ma più promettente per la famiglia perché promette il futuro. Un popolo che non sa prendersi cura dei bambini e dei nonni è un popolo senza futuro perché non ha la forza e la memoria».

La famiglia è bella - ha concluso il Papa - però costa e crea problemi. A volte c'è inimicizia, mariti che lottano con le mogli, o i figli che guardano male i genitori. Vi suggerisco di non concludere mai la giornata senza fare la pace. In una famiglia non si può finire il giorno in guerra. Che Dio vi animi ad andare avanti: curiamo la famiglia, difendiamo la famiglia perché lì si gioca il nostro futuro».









http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/francesco-usa-43615/



Futuri preti… di dal Covolo

 
 

L’università pontificia lateranense (il cui rettore è mons. Enrico dal Covolo) ha creato un corso a numero chiuso per management pastorale per i futuri parroci, in cui s’insegnerà come gestire “beni e capitali economici ed umani” (clicca qui). Detto papale papale, ormai la Chiesa è vista come un’impresa manageriale (contrariamente alle parole del Papa) in cui vi sono sia i clienti (i battezzati), che il prodotto da vendere (un nuovo mondo), gestito non da sacerdoti (ministri di Cristo), ma da manager pastorali in clergyman (impiegati clericali aziendali).
 
 
Abbiamo chiesto – per non essere autoreferenziali – il parere, su questa iniziativa, ad un ateo, fin dall’adolescenza, esperto in management. Egli ha 56 anni, ed ha diverse lauree universitarie. Non è, dunque, un comune mangiapreti, ma una persona che ragiona ed ha onestà intellettuale.
 
«Personalmente, mi pare un tentativo maldestro di scimmiottare quelle iniziative di molte gestioni economiche e finanziarie – usando addirittura la stessa terminologia – per trovare rimedi alla crisi occidentale. Eppure abbiamo visto che non hanno avuto successo.
 
Inoltre, anche per me è evidente che l’attività pastorale non può essere management. Il manager, sostanzialmente, deve far quadrare costi e ricavi, ma un prete non può occuparsi di questo, poiché le anime non sono beni di consumo.
 
Viviamo in un’epoca in cui ci sono tantissimi problemi materiali e spirituali – lo riconosce pure il sottoscritto – che impongono di occuparsi prima di tutto di persone, anziché di beni di consumo.
 
Siete, lo dico con rispetto, caduti in basso. Adesso, per essere un buon prete, non serve la preghiera, ma un titolo accademico?
 
Questo è quello che lascia intendere questo tipo di pubblicità. Mi riferisco non solo al taglio del marketing scelto, ma persino allo stesso testimonial. Non si riesce neppure a capire se si tratta di una specie di modello oppure di un vero prete, magari fresco di quell’assurdo titolo accademico.
Scusate, non vi rendete conto che non servono testimonial ma testimoni, tipo Madre Teresa di Calcutta?
 
Concludo dicendo che, stringi stringi, più che di corsi di gestione, il prete deve imparare a vivere quello che ha detto Gesù Cristo. Punto e basta. Nessuno vi ha imposto di essere cristiani, ma almeno siate coerenti con la scelta che avete fatto».
 
Concludiamo non con le nostre parole, ma con la Parola di Dio: «Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”» (Mc 16, 15-16).
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 http://www.papalepapale.com/strega/futuri-preti-del-ca-volo-di-dal-covolo/
 
 
 

sabato 26 settembre 2015

I valori diversi di papa Francesco

       Papa Francesco       
   
di Riccardo Cascioli
26-09-2015
Ognuno darà certamente valutazioni diverse, ma su una cosa difficilmente non si potrà convenire: i contenuti e l’approccio mostrati da papa Francesco in questa prima parte della visita negli Stati Uniti sono decisamente originali. Incontrando il presidente Obama, parlando al Congresso degli Stati Uniti e nell’intervento davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite, non ha scelto un argomento di riflessione da cui far scaturire una serie di applicazioni pratiche (lo stesso conduttore di Tv2000 confessava di non riuscire a trovare una chiave di lettura del lungo discorso all’Onu).Ha invece messo in fila una serie di problemi per i quali ha indicato una strada da seguire e ha chiesto un impegno preciso. Su alcuni di questi problemi c’è stata certamente una maggiore insistenza, argomenti particolarmente cari al Papa – immigrazione e ambiente su tutti, anche con novità che andranno riprese nei prossimi giorni – ma ne ha toccati molti altri: povertà, libertà di educazione, libertà religiosa, pace, giustizia, vita, famiglia.

A proposito di questi ultimi, è interessante notare come li abbia affrontati evitando di entrare in esemplificazioni che avrebbero potuto creare reazioni negative. Ad esempio, parlando al Congresso di rispetto del diritto alla vita si è soffermato sulla richiesta di abrogazione della pena di morte. Argomento certamente sensibile negli Stati Uniti, dove per motivi storici e culturali anche una larga fetta di cattolici è a favore, ma ha evitato accuratamente di parlare di aborto sebbene sia in corso al Congresso una vera e propria battaglia sui fondi da destinare alle cliniche abortiste di Planned Parenthood dopo l’esplosione dello scandalo della vendita degli organi dei feti abortiti. E malgrado l’amministrazione Obama sia il principale sponsor del diritto universale all’aborto. Stessa cosa all’Onu, seppure le sue agenzie siano le principali responsabili di quella “colonizzazione ideologica” che papa Francesco ha denunciato più volte, anche in riferimento alla definizione di famiglia.

A questo proposito, il Papa ha ricordato la centralità della famiglia ma quasi per inciso, senza mai affondare il colpo come è avvenuto invece su altri temi. All’Onu ha definito la famiglia «cellula primaria di qualsiasi sviluppo sociale», ha ricordato che nella natura c’è anche la distinzione tra uomo e donna, ma non ha neanche pronunciato la parola gender né fatto alcun riferimento al fatto che proprio all’Onu e alla Casa Bianca dominano le forze che stanno imponendo una rivoluzione antropologica a tutto il mondo.

Certamente sarà molto più esplicito nell’Incontro mondiale delle famiglie, ma è chiaro che nell’affrontare i grandi del mondo, su questi temi molto sensibili la linea scelta è quella del tono soft, del dire senza dare l’impressione di farlo, e puntare più sui gesti che sulle parole. E vorrebbe che anche i vescovi statunitensi facessero altrettanto. Interessante da questo punto di vista leggere insieme i due discorsi rivolti rispettivamente al presidente Obama e ai vescovi.

Da tempo c’è un duro scontro tra Casa Bianca e Chiesa cattolica americana sul tema della libertà religiosa, a causa del tentativo di Obama di imporre aborto e contraccezione senza rispettare l’obiezione di coscienza (vedi la riforma sanitaria). È uno scontro già arrivato nelle aule di tribunale ed è attualissimo (significativo che "fuori programma" il Papa sia andato a trovare le suore che hanno fatto causa a Obama). Ebbene, nel discorso al presidente, Papa Francesco ha toccato sì il tema della libertà religiosa, ma senza soffermarsi troppo; poi però ha ammonito i vescovi invitando a non fare della Croce «un vessillo di lotte mondane». Anche qui non è entrato nei dettagli, ma tutti hanno capito il messaggio: anche se li aveva ringraziati per l'impegno a favore di vita e famiglia li ha anche ripetutamente invitati alla modalità del dialogo e aveva anche detto che compito del pastore non è la «predicazione di complesse dottrine, ma l’annuncio gioioso di Cristo, morto e risorto per noi».

È questo un passaggio chiave che si può prestare a diverse interpretazioni. Tuttavia è del tutto improbabile che parlando di «dottrine complesse» si riferisse al dogma della Trinità o della verginità di Maria, questioni certamente non facili da spiegare. Più immediato pensare che sia la riproposizione di un giudizio dato più volte in questi anni di pontificato, ovvero la necessità di puntare sull’annuncio semplice di Cristo e non sulle conseguenze morali, sui valori. Non per niente l’espressione “princìpi non negoziabili” è sparita in questo pontificato.

Resta però il fatto che nei discorsi al Congresso e all’Onu il Papa ha apparentemente contraddetto questo monito: nessun riferimento a Gesù Cristo o alle Scritture, ma tanti temi “politici”, tante conseguenze morali. Di un altro segno però: poveri, immigrati, ambiente. Forse una via più facile per apririsi la strada nel cuore della gente e anche dei leader politici. Forse. Ma certamente «l’annuncio gioioso di Cristo, morto e risorto per noi» è un tema che merita ulteriori spiegazioni.








http://www.lanuovabq.it/it/articoli-i-valori-diversi-di-papa-francesco-13927.htm




 

venerdì 25 settembre 2015

Falso dire che Gesù non ha condannato l’omosessualità. I Vangeli dimostrano il contrario

 
 
 
 
 
di Paolo Pasqualucci
 
L’assordante propaganda omosessualista e omofila, sostenuta da tutti i grandi mezzi d’informazione, in crescendo nell'imminenza del Sinodo sulla Famiglia del 5 ottobre p.v., continua a ripetere a beneficio dei cattolici un vieto ritornello e cioè che Gesù Cristo non avrebbe mai parlato dell’omosessualità, ragion per cui la sua condanna non si potrebbe reperire nei Vangeli ma solo nelle Lettere apostoliche, segnatamente in quelle di san Paolo. Come se questo, annoto, facesse la differenza! Le Epistole paoline non vengono lette durante la Messa come “Parola di Dio”, allo stesso modo dei Vangeli? Ma prescindiamo da questa scorretta separazione tra le varie parti del corpo neotestamentario, del tutto inaccettabile, spiegabile solo alla luce della miscredenza attuale, che vuole escludere di fatto l’insegnamento di san Paolo dalla Rivelazione con l’argomento singolare che egli dettava norme e concetti validi solo per il proprio tempo!

Ciò che la propaganda omofila vuole insinuare a proposito dei Vangeli, è parimenti assurdo: non avendovi il Cristo mai nominato esplicitamente l’omosessualità, non la si dov­rebbe ritener da Lui condannata! La fornicazione e l’adulterio li ha con­dannati apertamente mentre la sodomia e affini (che sono fornicazione contro natura) li avrebbe invece assolti con il suo (supposto) silenzio? Ma ci rendiamo conto delle castronerie che vengono oggi propinate alle masse, peraltro ben felici di esser ingannate, a quanto pare?

Dove si trova, nei Vangeli, la condanna dell’omosessualità da parte di Nostro Signore? In maniera diretta tutte le volte che Egli porta ad esempio il destino toccato a Sodoma come condanna esemplare del peccato; in maniera indiretta in un passo nel quale elenca i vizi e peccati che ci mandano in perdizione.
1. La distruzione di Sodoma e Gomorra citata tre volte da Gesù come esempio di punizione esemplare di chi si ostina nel peccato: Mt 10, 15; 11, 24; Lc 10, 12; 17, 29.
Vangelo di san Matteo
Nel dare le istruzioni ai Dodici Apostoli mandati per la prima volta a predi­care e convertire i peccatori, il Verbo incarnato disse, a proposito di coloro che si fossero rifiutati di riceverli o ascoltarli:
In verità vi dico: nel giorno del Giudizio il paese di Sodoma e Gomorra sarà trattato meno severamente di quella città” (Mt 10, 15).
Il concetto fu da Lui ribadito poco dopo. Di fronte ai discepoli di Giovanni Bat­tista, Egli fece l’elogio del Battista per passare poi a rampognare l’incredulità di “questa generazione”, concludendo con un durissimo rimprovero alle città im­penitenti, che non avevano voluto pentirsi, nonostante i miracoli che Egli vi aveva fatto.
Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! Perchè se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i miracoli compiuti in mezzo a voi, già da gran tempo avrebbero fatto penitenza cinti di cilicio e ricoperti di cenere. Perciò vi dico: nel giorno del Giudizio Tiro e Sidone sarano trattate meno severamente di voi. E tu Cafarnao, sarai esaltata sino al cielo? Tu discenderai all’inferno: perchè se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli operati in te, oggi ancora sussisterebbe. E però vi dico, che nel giorno del giudizio il paese di Sodoma sarà trattato meno dura­mente di te” (Mt 11, 21-24).
Il parallelo con le antiche città pagane ha lo scopo di mettere nel massimo rilievo la gravità del peccato delle città ebraiche, che avevano rifiutato la “conversione” pur avendo visto i miracoli operati da Nostro Signore. Avevano peccato nella fede, contro lo Spirito Santo, possiamo dire. Tiro, Sidone, Sodoma, Gomorra erano diventate per gli Ebrei simboli della corruzione del mondo pagano, privo del vero Dio e nell’ignoranza della Salvezza. Ma questo non si poteva dire de­gli Ebrei, ragion per cui il loro peccato era più grave: più grave degli abomini carnali dei pagani era la loro incredi­bile mancanza di fede.

Per quanto riguarda Sodoma e il suo particolare peccato: nel giorno del Giudizio essa sarà trattata “meno duramente” delle città ebraiche impenitenti ma non sarà certamente assolta. Anzi, proprio la condanna di Sodoma serve da punto di riferimento, da metro di giudizio per determinare la gravità di un peccato e quindi per affermare che l’incredulità degli Ebrei è addirittura più grave di un peccato così grave come quello di Sodoma e Gomorra, di “Tiro e Sidone” in quanto ad esso assimilabile: la corruzione dei costumi spinta sino alla ribellione contro la legge naturale stabilita da Dio, in odio a Dio.

Il carattere esemplare del peccato e della condanna di Sodoma erano già ben presenti nella tradizione profetica. Li ritroviamo nel libro di Ezechiele.

Dio ammonisce Israele per i suoi tradimenti e le sue “abominazioni idolatriche”, tramite la voce dei Profeti. Nel libro di Ezechiele già compare il parallelo tra le colpe di Ge­rusalemme e quelle dei pagani, utilizzato anche da Nostro Si­gnore: le colpe di Gerusalemme verso Dio sono più gravi di quelle dei pagani, pur di per sé gravissime. Gerusalemme ha, infatti, avuto la Rivelazione, al contrario dei pagani.
Com’è vero che io vivo, dice il Signore Dio, tua sorella Sodoma e le sue figlie [le città dipendenti] non furono sì perverse come te e le figlie tue. Ecco, questa fu la colpa di Sodoma, tua sorella e delle sue figlie: superbia, sovrabbondanza di cibo e pigrizia: non aiutavano il povero e l’indigente; ma insuperbirono e fe­cero ciò ch’è abominevole davanti a me: per questo io le distrussi non appena vidi la loro condotta” (Ez 16, 48-50).
Sodoma è rappresentata qui dal profeta come “sorella” nella colpa di Ge­rusalemme, “adultera” nella fede. La punizione di Sodoma sarà anche quella di Gerusalemme colpevole, ed anzi ancor più colpevole; sarà la punizione inferta alle “adultere e omicide” (ivi, 38). Il profeta, ispirato da Dio, descrive la colpa di Sodoma: la superbia innanzitutto, nutrita dal benessere materiale, che comportava pigrizia e disprezzo per “il povero e l’indigente”. L’ozio prodotto dal benessere è il padre dei vizi, come si suol dire. E alla base della ribellione contro la legge divina e naturale nei rapporti sessuali c’è la superbia e la mancanza di giustizia: “insuper­birono e fecero ciò ch’è abominevole davanti a me”. Un gran benessere materiale, il narcisismo e la superbia all’origine dell’omosessualità. Dal narcisismo e dalla superbia la ribellione contro Dio e le sue leggi. Tutto ciò lo vediamo riprodursi oggi, nelle nostre sventurate società, e in molti casi con la complicità dello Stato.
Vangelo di san Luca
Luca riporta l’invettiva di cui a Mt 11, 21-24, in modo quasi identico, aggiungendovi un illuminante commento del Signore stesso.
Io vi dico che, nel gran giorno [del Giudizio], Sodoma sarà trattata meno rigorosamente di quella città [dove non vi avranno accolti]. Guai a te , Corazin!, guai a te, Betsaida! […] E tu Cafarnao, sarai forse elevata fino al cielo? Tu sarai precipitata sino all’inferno! Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me. Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10, 12-15).
Ma Nostro Signore nominò di nuovo Sodoma nelle profezie sugli ultimi tempi, che avrebbero visto il ritorno del Figlio dell’uomo, predetto quale avvenimento improvviso e fulminante, che non avrebbe lasciato scampo a nessuno.
E come avvenne al tempo di Noè, così avverrà al tempo del Figlio dell’uomo: mangiavano e bevevano, si sposavano e facevano sposare i propri figliuoli, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca; ma venne il diluvio e li fece tutti perire. Altrettanto avvenne al tempo di Lot: mangiavano e bevevano, compravano e vendevano, piantavano e costruivano; ma il giorno in cui Lot uscì da Sodoma, Dio fece piovere fuoco e zolfo dal cielo e fece perire tutti”. (Lc 17, 26-29).
Continuando nella profezia, Nostro Signore aggiunse:
Lo stesso avverrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo dovrà apparire”. In quel giorno nessuno dovrà voltarsi indietro, non gli sarà consentito: “Ricordatevi della moglie di Lot! Chi cercherà di salvare la sua vita, la perderà; e chi la perderà, la conserverà” (ivi, 30-32).
Il Diluvio e la fine di Sodoma sono dunque proposti più volte da Nostro Signore quali esem­pi della giustizia divina, esempi classici, si potrebbe dire, nella cultura e nella mentalità ebraiche. Ciò significa che Egli approvava quelle condanne e quei castighi; riteneva giusto che l’umanità fosse punita per i suoi peccati nel modo che Dio ritenesse opportuno, a seconda della loro gravità. Riteneva quindi giusto che il peccato contro natura dei sodomiti fosse stato punito col fuoco e lo zolfo caduti subitaneamente dal cielo. Si noti la sfumatura: ricorda che al tempo di Noè gli uomini, tra le altre cose, “si sposavano e facevano sposare i propri figli”; al tempo di Lot invece, cioè a Sodoma e Gomorra, tra le loro molteplici attività (“piantavano e costruivano”) mancava ovviamente il costruir famiglie, lo sposarsi e far figli secondo natura, realtà dalle quali i sodomiti (omosessuali e lesbiche) si escludono a priori, perché da loro detestate.

Riscontrato tutto ciò sui Sacri Testi, come si fa a dire che Gesù non ha mai parlato dell’omosessualità e quindi non l’ha (per ciò stesso) mai condannata? Nella più perfetta tradizione ebraica, ha portato o no più volte a monito, approvan­dola, la condanna di Sodoma quale esempio di condanna divina esemplare dei peccati gravi e ostinati di un’intera comunità? E ciò non basta a dimostrare che Egli ha condannato l’omosessualità e la conseguente falsità radicale della tesi degli omofili? Che altro doveva dire? Aveva forse bisogno di fare tanti discorsi per condannare il peccato e un peccato come quello? Invece di cercare di falsare il senso autentico delle Sacre Scritture, i propagandisti e sostenitori a vario livello della presente, terrificante deriva omosessualista (attivi purtroppo anche nella Gerarchia!), non farebbero meglio a meditare le parole stesse di Nostro Signore sul giusto castigo di Sodoma sventurata? Sembrava ai depravati che tutto dovesse continuare in eterno come prima, immersi nel benessere, nelle loro intense attività e nei loro vizi, ma improvvisamente un giorno, “il giorno in cui Lot uscì da Sodoma, Dio fece piovere fuoco e zolfo dal cielo e fece perire tutti”. Senza preavviso fece perire tutti di una morte orribile, tutti inceneriti in un batter d’occhio, come i poveri giapponesi a Hiroshima e Nagasaki, peraltro vittime innocenti della crudeltà della guerra. Anzi, peggio, perché in Giappone ci furono dei superstiti e la vita è tornata nelle città ricostruite. A Sodoma e Gomorra, invece, non si è salvato nessuno e il luogo, inizialmente fertilissimo, è da allora un tetro e spettrale deserto di sale, acqua salmastra e bitume. Se si continuerà ad offendere gravemente Dio, come a Sodoma, andrà a finire anche per noi come a Sodoma, quale che sia la forma specifica del castigo, se l’acqua o il fuoco o la terra, che si spalancherà sotto di noi.
2. L’omosessualità deve ritenersi inclusa da Gesù nella condanna di tutte le “fornicazioni” .
Polemizzando contro il legalismo dei Farisei e la loro ossessione con le purificazioni rituali, Gesù dissse ai discepoli, che ancora non avevano afferrato adeguatamente il concetto:
Non capite che quanto entra per la bocca, passa nel ventre e va a finire nella latrina? Ma quel che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è questo che contamina l’uomo; poiché dal cuore vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie: queste cose contaminano l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non contamina l’uomo” (Mt 15, 17-20).
Egli distingue nettamente tra “adulteri” (adulteria, moichetai) e “fornicazioni” (fornicationes, porneiai).
L’adulterio è l’infedeltà coniugale. E le fornicazioni? Evidentemente, tutti i rapporti sessuali di persone non sposate. E quindi tutte le violazioni del Sesto Comandamento, secondo natura e contro natura che siano. Anche l’adulterio è “fornicazione”, però con aggiunto il peccato della violazione della fede coniugale. Nell’adulterio ci sono due peccati in un unico atto.
Potrebbero le “fornicazioni” qui menzionate dal Signore escludere quelle contro natura? Non potrebbero, evidentemente: per la natura stessa del concetto, tale da impedire di per sé simile eccezione. Inoltre, il termine porneia (scortatio, fornicatio), che risale a Demostene ed è usato dai LXX, anche nel Nuovo Testamento indica “ogni uso illegittimo della venere, compreso l’adulterio e l’incesto. In Mt 15, 19 si distingue dalla moicheia ossia dall’adulterio. Vedi anche Mc 7, 21, [passo parallelo]”. E a riprova di tale impossibilità abbiamo l’evidente approvazione manifestata (tre volte) da Gesù per la condanna di Sodoma e Gomorra, rappresentate addirittura come esempio di grave peccato che merita di esser colpito anche in questo mondo dall’ira divina, con tutta la sua terribile potenza, quando un intero popolo vi si induri.

Lo scopo di quest’articolo è solo quello di ricordare la condanna evidente e manifesta del peccato di omosessualità da parte di Cristo, per sbarazzare il campo dalle falsità pullulanti sulla nostra religione e ristabilire il vero. Per completezza di documentazione, voglio ricordare che Sodoma e Gomorra sono rammentate anche nella Seconda Lettera di san Pietro, allo stesso modo di Nostro Signore e con ulteriori precisazioni, relative alla sopravvivenza e comunque alla salvezza dell’anima dei giusti che siano costretti a vivere in una società dominata dall’empietà.
“[…] se Dio condannò alla distruzione e ridusse in cenere le città di Sodoma e Gomorra, perché fossero di esempio a tutti gli empi futuri, e se liberò il giusto Lot, rattristato dalla condotta di quegli uomini senza freno nella loro disso­lutezza – poiché quest’uomo, pur abitando in mezzo a loro, si manteneva giu­sto di fronte a tutto quello che vedeva ed ascoltava, nonostante che tormen­tassero ogni giorno la sua anima retta con opere nefande – il Signore sa liberare dalla prova gli uomini pii e riserbare gli empi per esser puniti nel giorno del Giudizio, specialmente quelli che seguono la carne nei suoi desideri immondi e disprezzano l’autorità. Audaci e arroganti, essi non temono d’insultare le glorie dei cieli, mentre gli stessi angeli ribelli, pur essendo supe­riori a costoro per forza e potenza, tuttavia non osano portare contro di esse un giudizio ingiurioso davanti al Signore” (2 Pt 2, 6-11).
da «Chiesa e post concilio», tramite IL TIMONE, 25-09-2015