venerdì 31 dicembre 2021

31 dicembre: Ultimo dell’Anno. Perché dobbiamo sempre ringraziare…






Cari Pellegrini, l’Ultimo dell’Anno è un giorno molto importante.

Liturgicamente l’anno inizia con l’Avvento, ma “civilmente” con il 1° gennaio.

In questo giorno dobbiamo prima di tutto meditare su tutte le grazie che il Signore ci ha concesso nell’anno appena trascorso e avere un senso di profonda gratitudine.

Ricordiamo che se non tutto è voluto da Dio, certamente tutto è permesso da Dio, per cui ciò che ci è capitato di bello o di brutto è stato permesso da Dio affinché, con il suo aiuto, lo potessimo trasformare in grazia per raggiungere la Salvezza.

Oggi non siamo più abituati a chiedere a Dio, figuriamoci se lo siamo a ringraziare.

Eppure è su questo che si manifesta la vera sapienza.

Noi uomini contemporanei, abituati a “leggere” il tempo unicamente come qualcosa che non abbia senso, oppure come qualcosa a nostra completa disposizione, palesiamo in tal modo tutta la nostra stoltezza.

Una volta non era così.

Una volta si chiedeva e si ringraziava.

Una volta si chiedeva e, anche se non si otteneva, si ringraziava ugualmente.

Una volta il tempo era visto come una grazia.

Oggi come una maledizione.


PREGHIERA

Te deum

(offriamo la versione in italiano e in latino)

Noi ti lodiamo, Dio *
ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre, *
tutta la terra ti adora.

A te cantano gli angeli *
e tutte le potenze dei cieli:
Santo, Santo, Santo *
il Signore Dio dell’universo.

I cieli e la terra *
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli *
e la candida schiera dei martiri;

Le voci dei profeti si uniscono nella tua lode; *
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico figlio, *
e lo Spirito Santo Paraclito.

O Cristo, re della gloria, *
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre *
per la salvezza dell’uomo.

Vincitore della morte, *
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre. *
Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.

Soccorri i tuoi figli, Signore, *
che hai redento col tuo sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria *
nell’assemblea dei santi.

Salva il tuo popolo, Signore, *
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo, *
lodiamo il tuo nome per sempre.

Degnati oggi, Signore, *
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia: *
in te abbiamo sperato.

Pietà di noi, Signore, *
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza, *
non saremo confusi in eterno.

***

Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem, * omnis terra venerátur.
Tibi omnes ángeli, *
tibi cæli et univérsæ potestátes:
tibi chérubim et séraphim *
incessábili voce proclamant:

Sanctus, * Sanctus, * Sanctus *
Dóminus Deus Sábaoth.
Pleni sunt cæli et terra * maiestátis glóriæ tuae.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
te prophetárum * laudábilis númerus,
te mártyrum candidátus * laudat exércitus.
Te per orbem terrárum *
sancta confitétur Ecclésia,
Patrem * imménsæ maiestátis;
venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.

Tu rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Filius.
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem, *
non horruísti Virginis úterum.
Tu, devícto mortis acúleo, *
aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.
Te ergo, quæsumus, tuis fámulis súbveni, *
quos pretióso sánguine redemísti.
ætérna fac cum sanctis tuis * in glória numerári.

Salvum fac pópulum tuum, Dómine, *
et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.
Per síngulos dies * benedícimus te;
et laudámus nomen tuum in sæculum, *
et in sæculum sæculi.
Dignáre, Dómine, die isto *
sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, *
quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: *
non confúndar in ætérnum.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri









giovedì 30 dicembre 2021

Il comandamento degli animalisti: Non nominare il cane invano


Il cane del film “Tutti pazzi per Mary” (1988)


Una kan-zone per il mondo cane

Gli animalisti lanciano la proposta di non utilizzare più il nome dell'amico quattrozampe per insultare il prossimo (e al povero porco chi ci pensa?)





Rachele Schirle, 30/12/2021


Bisogna buttarla sul ridere, perché altrimenti non si capisce come fare a prenderla questa perorazione dell’associazione animalista Aidaa affinché non si utilizzi più la parola «cane» in senso dispregiativo. «È una vergognosa appropriazione e un offesa del migliore amico dell’uomo il cui nome (cane appunto) viene impropriamente utilizzato per epiteti ed insulti».

Ergo, basta con le bestemmie – che offendono il cane, più che Dio, par di capire – e i vari «porco cane, figlio di cane, cane bastardo», tutte espressioni denigratorie per il nostro amico scodinzolante e innaffia-cespugli.
Il lupo cattivo

Per l’Aidaa è una questione serissima, altroché, è una questione educativa, perbacco. «Crediamo che occorra spiegare fin dalla scuola materna ed approfondire poi nella scuola dell’obbligo ai bambini che l’uso della parola cane dentro epiteti violenti e volgari oltre che insultanti che si estendono fino all’offesa a Dio non solo è scorretta ma profondamente sbagliata».


«Non vogliamo qui fare del facile moralismo (per carità, ndr) ma cosi come avviene con, ad esempio, le favole dove si presenta sempre, sbagliando, il lupo come un animale cattivo, occorre che qualcuno si prenda la briga di iniziare a modificare questo linguaggio che trasforma il migliore amico dell’uomo in un aggettivo insultante. Ci auguriamo che le varie accademie che curano con amore e gelosia la purezza della nostra lingua prendano posizione in merito a questa nostra richiesta».

E al porco chi ci pensa?

Ergo, via le favole di Esopo che, a questo punto, diventano diseducative, con quella loro morale alla fine che offende i lupi (sempre stronzi), le cicale (sempre scioperate), le volpi (sempre furbette), l’asino (sempre stupido). Ed, ergo, via anche la visione dei film Disney che potrebbero indurre nei bambini una gran confusione sulle qualità morali dei paperi – ve ne sono di buoni e di cattivi – o dei topolini.

E chissà se a questo punto qualche animalista si prenderà a cuore la sorte del povero maiale, il più sfortunato e vilipeso dei quattrozampe, il cui buon nome viene utilizzato per insultare tutti, dall’Onnipotente al maschio ingrifato, fino, appunto, al cane.

Povero mondo cane che ha perso la trebisonda e, soprattutto, come cantava Claudio Chieffo, «poveretti i padroni dei cani che li amano più dei bambini / e gli danno carezze e bacini, preferendoli agli esseri umani, / poveretti i padroni, poveretti i padroni, poveretti i padroni… e anche i cani!» (Can-zone, titolo originale “Kan-zóne”, 2001).







mercoledì 29 dicembre 2021

India anti-cristiana, stretta sulle Suore di Madre Teresa





Gli integralisti indù non tollerano che i cristiani accolgano anche i fuori casta trattandoli da pari. Negli Stati si moltiplicano le leggi "contro le conversioni forzate". Le chiese sono aggredite. E nel mirino sono finite anche le Missionarie della Carità.




CRISTIANI PERSEGUITATI
LIBERTÀ RELIGIOSA
Anna Bono, 29-12-2021

In India quasi l’80% della popolazione è di fede indù. I cristiani sono circa 24 milioni, poco più del 2%. La comunità dei cattolici però è la seconda più grande in Asia, preceduta soltanto da quella delle Filippine. Sono apprezzati per le ottime scuole aperte a tutti, per le molteplici attività caritatevoli anch’esse prestate senza escludere nessuno. Al tempo stesso, proprio questo rivolgersi al prossimo senza discriminare suscita disagio, risentimenti, ostilità perché inevitabilmente viola il sistema delle caste indù al punto da accettare come pari i dalit, i fuori casta, chiamati anche intoccabili e paria, relegati in una condizione sociale e umana infima, trasmessa di padre in figlio e invalicabile.

Per gli integralisti indù questo basta a considerare i cristiani come minacce: pericolosi perché scardinano i fondamenti della loro religione e della loro plurimillenaria struttura sociale. Li perseguitano, soprattutto negli Stati della federazione controllati da partiti conservatori, premono sui governi per ottenere che ne limitino le libertà e istigano contro di loro il resto della popolazione. Ci riescono con sempre maggiore successo da quando nel 2014 le elezioni politiche sono state vinte da una coalizione che comprende il partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp) il cui leader, Narendra Modi, da allora è primo ministro (riconfermato con una vittoria schiacciante nel 2019).

Sempre più di frequente arrivano dall’India notizie di chiese violate, di incontri di preghiera interrotti brutalmente, di accuse a sacerdoti e missionari di convertire al cristianesimo i dalit e i tribali con l’inganno e la forza, di scuole e ospedali fondati e diretti da personale cristiano assaliti e danneggiati. Nessuno, per noto che sia il buon lavoro svolto in favore della collettività, può considerarsi al sicuro. Nel mirino degli integralisti sono finite più volte persino le Missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa di Calcutta, e il giorno di Natale il ministro dell’interno indiano ha annunciato che il governo ha deciso di revocare la loro autorizzazione a ricevere fondi dall’estero, adducendo come motivazione “fattori negativi” non meglio specificati e aggiungendo che il provvedimento resterà in vigore “finché la questione non sarà risolta”.

La “questione” a cui fa riferimento il ministro è molto probabilmente l’accusa alle suore di Madre Teresa di svolgere attività caritatevoli allo scopo di convertire degli indù al cristianesimo; in altre parole, di attirare nelle loro strutture persone bisognose offrendo assistenza e poi indurle, se non addirittura costringerle ad abbracciare la fede cristiana. Nel mese di dicembre, ad esempio, sono state denunciate le Missionarie della Carità che gestiscono una casa-rifugio per giovani donne senza famiglia ad Ahmedabad, nello stato del Gujarat. Le suore hanno respinto questa come altre precedenti accuse. Inoltre il 14 dicembre una suora e una operatrice sociale sono state condannate per aver organizzato, secondo denunce che le suore hanno peraltro sempre respinto come infondate, adozioni illegali di bambini ospitati dalle Missionarie della Carità di Vadodara, nello stato del Jharkhand. La denuncia risale al 2018.

La congregazione fondata nel 1950 da Santa Teresa di Calcutta oggi è una delle più conosciute nel mondo. In India le suore che ne fanno parte seguono centinaia di progetti: scuole, ambulatori, ricoveri, case per bambini abbandonati, case rifugio… Proibire che ricevano donazioni da altri Paesi vuol dire comprometterne le attività. Analoghe disposizioni sono state adottate dal governo indiano a partire dal 2015 nei confronti di molti altri istituti caritatevoli e di organizzazioni non governative. Lo scorso anno è toccato a Greenpeace e Amnesty International e ne è seguito anche il blocco dei loro conti bancari. Per il momento non pare essere il caso dei conti delle Missionarie della Carità. Il governo federale ha ufficialmente smentito la notizia che fossero stati congelati data via Twitter dal primo ministro dello stato del Bengala Occidentale, Mamata Banerjee.

Il provvedimento contro le suore di Madre Teresa è tuttavia di per sé estremamente grave. Inoltre segue di pochi giorni un’altra pessima notizia che ha gettato lo sconforto tra i cristiani del Karnataka. Due giorni prima di Natale il parlamento di quello Stato ha approvato un disegno di legge anti-conversione che proibisce e sanziona le cosiddette “conversioni forzate”, quelle di cui i cristiani vengono sempre più spesso accusati. Il relatore del disegno di legge, Goolihatti Shekhar, esponente del Bjp, nel presentarla al parlamento ha affermato che le conversioni religiose “con la forza o con l’induzione sono dilaganti” nel Karnataka. Nel suo collegio elettorale – ha dichiarato – si sarebbero convertite al cristianesimo più di 15mila persone, tra le quali anche sua madre.

Altri otto Stati indiani hanno già adottato leggi anti-conversione e sono quelli in cui i cristiani sono più perseguitati: Uttar Pradesh, Orissa, Madhya Pradesh, Chhattisgarh, Gujarat, Himachal Pradesh, Jharkhand e Uttarakhand. In altri due Stati, l’Arunachal Pradesh e il Rajastan, la legge è stata approvata, ma non è in vigore e nel Tamil Nadu la legge era stata approvata, ma poi è stata abrogata. Gli integralisti indù stanno esercitando pressioni affinché venga adottata una legge anti-conversione a livello federale.







Venere e Marte





BastaBugie n.749 del 29 dicembre 2021


Violenze inventate che spingono gli uomini al suicidio, figli tolti a padri perbene, uomini incolpevoli costretti a dormire in macchina (VIDEO: Donne che odiano gli uomini)



di Silvana De Mari

Siamo una nazione senza nuovi nati, che si avvia allo squallore dell'estinzione, dove ogni anno ci sono 4000 suicidi, 800 di donne e 3200 di uomini. I numeri oscillano da un anno all'altro, quello che non oscilla è il dolore degli uomini. Dovrebbe essere evidente a chiunque abbia capacità cognitive (è una maniera cortese per scrivere a chiunque non sia stupido) che l'emergenza è il suicidio degli uomini, è l'orrendo malessere degli uomini. Il numero dei suicidi degli uomini è approssimato per difetto. Molti suicidi vengono spacciati per incidenti, incidenti sul lavoro o incidenti stradali. L'uomo si vergogna del suicidio.

Esiste una violenza di uomini contro le donne, uomini che odiano le donne, che le maltrattano, che le picchiano fino a distruggerle.

Esiste una violenza delle donne contro gli uomini, una violenza che a volte uccide, altre spinge al suicidio, violenze inventate, figli tolti a padri perbene, uomini incolpevoli lasciati e costretti a tornare a vivere nella loro stanzetta di ragazzo, a dormire in macchina.


I MALTRATTAMENTI SONO ALL'80% UN'ARMA DI RITORSIONE

Le false accuse sono un fenomeno reale. Un uomo che picchia una donna è ignobile. Una donna che inventa di essere stata picchiata è ignobile. Farsi un livido e poi correre il ospedale permette di essere equiparate alle vere vittime di stupri e percosse, e quello che è tragicamente grave è che questo a volte avvenga con l'avallo di avvocati, che sono professionisti privati, o, peggio, con avallo di assistenti sociali, che sono funzionari dello Stato, e psicologi, che sono periti dello Stato. Il risultato è un'ulteriore danno sulle donne vittime vere di violenza, e un danno su uomini innocenti trattati come criminali, e su tutti gli uomini, addosso ai quali viene buttato un'ombra.

«I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un'arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni...», «...è appurato che le versioni fornite dalle presunte vittime sono gonfiate ad arte. Solo in 2 casi su 10 si tratta di maltrattamenti veri, il resto sono querele enfatizzate e usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione...». Sono affermazioni della dottoressa Carmen Pugliese, Sostituto Procuratore c/o Trib. di Bergamo - all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2009, previa autorizzazione del Proc.Gen Addano Galizi, 29/1/2009.

«Onestà intellettuale vuole che (...) si parli anche dei casi di "false" violenze o meglio di "false" denunce di violenza subita...».., «Inutile dire che per l'esperienza fatta le false denunce provengono quasi nella totalità da donne, spesso madri che in tal modo tentano di allontanare gli ex mariti dai figli...», scrive la dottoressa Jacqueline Monica Magi, Sostituto Procuratore c/o Trib. di Pistoia - sul Sole 24 Ore, del 25/10/2009.

«L'accusa di violenza sessuale è il modo più facile per estromettere il padre dalla vita dei figli. La donna non solo si libera del partner come coniuge ma anche come padre, facendolo uscire definitivamente dalla sua vita...», «La legge attuale non garantisce né il padre, né il minore. Per quanto riguarda il bambino (...) quando si rivela la falsa accusa, che di solito è fatta su istigazione della madre, la situazione si rivolta proprio contro di lui...» spiega la dottoressa Maria Carolina Palma, CTU c/o Trib. di Palermo - Avvenire, 13/4/2009.


IL COLLOQUIO CON IL BAMBINO

Il caso tragico della Bassa Modenese e i casi drammatici di Bibbiano e più recentemente di Torino dimostrano purtroppo che non sempre i servizi sociali sono neutri e lo stesso vale per gli psicologi. Non è un caso che in tutti questi casi fosse coinvolto lo stesso centro "Hansel e Gretel" di Moncalieri. Sono strutture spesso politicizzate, ideologicamente portate al disprezzo per la famiglia tradizionale e per la figura maschile. A questo si aggiunge l'altro caso tragico del Forteto, dove lo sforzo ideologico di costruire la menzogna che possano esistere molti tipi di famiglia, mentre quella vera è ritenuta inadeguata a prescindere, ha fatto sì che bambini fossero strappati alla famiglie con false accuse per essere rinchiusi in un luogo dove hanno subito abusi veri. Fino a quando qualcuno non ha scoperchiato il verminaio sia il Forteto che Bibbiano sono stati considerati fiori all'occhiello dei servizi sociali. I contribuenti ringraziano commossi. Ogni bambino deportato è costato fiumi di denaro alla comunità. Abbiamo pagato anche i congressi di beatificazione.

Il colloquio con il bambino dovrebbe sempre essere fatto con presenza di un avvocato, perché sono possibili manipolazioni gravi se non è condotto correttamente. Non devono mai essere fatte domande cui si possa rispondere semplicemente sì, perché i bambini sono assertivi e compiacenti, soprattutto se sono spaventati, e possono rispondere sì per semplice compiacenza o perché la tortura del colloquio finisca. La domanda "Il babbo ti toccava e ti faceva male, vero?", è una domanda sbagliata. Occorre chiedere genericamente cosa il bambino faceva col genitore, cosa gli piaceva fare, cosa detestava fare e così via.

Riascoltate il video in cui la psicologa del centro Hansel e Gretel urla contro un bambino di 7 anni, pare dopo essersi travestita da lupo, pagata con denaro pubblico 140 euro l'ora. Rileggete l'agghiacciante audizione alla Camera della dirigente dei servizi sociali Federica Anghinolfi di Bibbiano, dove dichiara con infinita fierezza che "al minimo sospetto", i servizi sociali di Bibbiano si precipitano a sequestrare un bambino per rinchiuderlo nell'orrore di una casa famiglia, dopo aver mandato i carabinieri per trascinarlo via urlante, distruggendo la sua serenità per sempre, distruggendo la sua famiglia per sempre. Il minimo sospetto può essere dato da una denuncia di un vicino di casa malevolo, da un disegno dove il bambino ha riprodotto quanto gli è stato imposto di imparare alle sempre più folli lezioni di educazione sessuale.

Dopo che il bambino è stato sequestrato per un tragico errore, trascinato in una casa famiglia a mangiare cibo da mensa, dove passa tutta la prima notte a piangere, dove degli educatori si alternano ogni otto ore, quale assistente sociale avrà l'onestà morale di riconoscere che ha fatto un tragico errore? Qualcuno sicuramente sì, ma non tutti. Altri condurranno le cose così da dimostrare la colpevolezza della famiglia.


LE FALSE MEMORIE

A Bibbiano erano stati addirittura alterati disegni per inventare inesistenti abusi, deportare i bambini e consegnarli a estranei. Alterare i disegni è una tecnica molto grossolana, che un grafologo può svelare facilmente. Ci sono tecniche più astute per ottenere disegni con implicazioni psicologiche. Si chiede al bambino di fare una serie di disegni, si sceglie quello che ha un contenuto meno pacifico, che contiene qualcosa che potrebbe essere considerato come violento. Si invita il bambino a fare altri disegni come quello, si mostra di preferirli e prima o poi il bambino disegnerà quello che vogliono da lui. Tenendo presente che ormai tutti i bimbi i sono esposti a immagini televisive crude, anche di cartoni animati, non è difficile ottenere il disegno violento che non corrisponde alla situazione psichica del bambino.
Un interrogatorio mal condotto può creare false memorie. L'uso della tecnica EMDR mal condotta può creare false memorie.

Come è possibile che dopo il Forteto, Bibbiano e soprattutto la Bassa Modenese, noi permettiamo che dei bambini restino soli con psicologi e assistenti sociali senza la presenza di un avvocato o di un perito di parte? Come è possibile che non si siano imposte queste regole di sicurezza dopo il caso della Bassa Modenese: uomini onesti accusati di stupri di bambini e sacrifici durante messe nere, figli strappati che sono cresciuti in mano a estranei, innocenti morti suicidi o di infarto. In altri casi sono coinvolti gli stessi psicologi coinvolti nella Bassa modenese, che hanno sede a Moncalieri, e vengono spostati in Emilia Romagna moltiplicando i costi e pagati cifre assurde. In Emilia Romagna non ci sono psicologi?

Gli psicologi e gli assistenti sociali sono persone che hanno superato degli esami e preso una laurea. Nessuno dei loro esami testimonia onestà o salute mentale. Chi ritiene che queste parole siano troppo dure si rivada ad ascoltare le intercettazioni di Bibbiano, riguardi i disegni alterati per dare l'impressione che un uomo innocente abbia abusato la sua bambina. "Ho sbagliato ad allontanare quel bambino dalla sua famiglia, ma ho eseguito gli ordini della mia dirigente", sono le candide dichiarazioni di due assistenti sociali, una del Forteto e una di Bibbiano, entrambe tuttora in servizio. La difesa del bambino è il primo compito dello stato. Quanti uomini perbene sono stati esclusi dal loro diritto di essere padri, o incriminati per false accuse? Tutto questo a poche centinaia di metri da luoghi dove bambini e bambine vivono di mendicità e prostituzioni in luoghi troppo vivaci perché i servizi sociali desiderino visitarli.

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 8 minuti) dal titolo "Donne che odiano gli uomini" riproponiamo una puntata di "Nemo - Nessuno escluso" andata in onda su Rai Due il 13/04/2017 che parla delle violenze che hanno subito degli uomini da parte di donne. Questo dimostra che la violenza e la cattiveria sono sempre sbagliate indipendentemente dal sesso di chi maltratta e di chi subisce. Invece la cultura contemporanea condanna solo gli uomini perché vuole far aumentare la diffidenza delle donne rispetto agli uomini. Ma una volta alimentata questa diffidenza chi proteggerà le donne? Lo Stato? Ma per piacere...





https://www.youtube.com/watch?v=pxF3J5Q5A3Y

Titolo di BastaBugie: Nessuno parla mai della violenza delle donne contro gli uomini  
Fonte: Silvana De Mari Community, 22 dicembre 2021
Pubblicato su BastaBugie n. 749







Il cattolico del ma




Concilia gli opposti, trova sempre eccezioni “misericordiose”. Si dice contrario a contraccezione, divorzio, aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, unioni civili, ma non sempre… Persegue fini buoni, ma compiendo azioni malvagie e dimenticando gli assoluti morali. Eppure, su altre questioni è intransigente. L’identikit del cattolico del ma.




EDITORIALI
Tommaso Scandroglio, 29-12-2021

Dopo il cattolico ombra, il cattolico omissivo, il cattolico adulto e il cattolico benaltrista eccoci arrivati a fare un rapido identikit di un altro credente a modo suo, il cattolico del ma. Costui con abilità riesce a conciliare in modo armonico gli opposti, a trovare sempre eccezioni misericordiose alla regola, ad individuare il famigerato spirito evangelico anche nell’errore e nel male. È un ossimoro vivente.

E così è contrario all’aborto, ma, in caso di stupro, misericordia comanda di scrivere un bel licet sopra questa pratica. È contrario alla contraccezione tra i coniugi, ma se questi per difficoltà economiche o di salute o perché hanno già uno o due figli non vivono le condizioni ideali per accoglierne un altro allora è bene ricorrere alla pillola. È contrario all’eutanasia, ma quando il malato è molto sofferente carità cristiana suggerisce di staccare la spina per staccarlo dal dolore. È contrario alla fecondazione artificiale, ma se la coppia desidera ardentemente un figlio (quindi: tutti i casi di fecondazione extracorporea) ecco che il ricorso alla provetta può essere benedetto. È contrario alla sperimentazione sugli embrioni, ma se serve per salvare vite (altrimenti, per quale motivo si farebbe sperimentazione?) non solo è moralmente lecito, ma addirittura doveroso. È contrario al divorzio, ma se la convivenza è diventata intollerabile (difficile che si chieda il divorzio in caso si viva d’amore e d’accordo) allora per salvare il bene reciproco degli sposi, la serenità dei figli e i vincoli di carità è quanto mai opportuno andare dall’avvocato. È contrario alle unioni civili, ma se c’è autentico affetto tra le due persone dello stesso sesso (anche qui l’eccezione comprende tutti i casi) e la coppia vive animata da spirito cristiano allora occorre incoraggiare questo tipo di unioni. È contrario agli abusi liturgici (difficile, d’altronde, essere a favore di un abuso di qualsiasi tipo), ma se la celebrazione può avvalersi di qualche espediente scenografico e teatrale per tener desta l’attenzione del pubblico, pardon, dei credenti o popolo di Dio allora porte aperte alla fantasia sull’altare.

In buona sostanza il cattolico del ma perseguendo fini buoni - la misericordia, la carità, il desiderio di avere figli, la lotta contro il dolore, la cura di malattie, la pace tra i coniugi, la custodia della liturgia - compie azioni malvagie: aborto, eutanasia, etc. Inoltre pensa che applicando questi fini a casi eccezionali possa cavarsela dal punto di vista morale, ma anche in casi eccezionali non si può compiere il male. Gli assoluti morali non tollerano eccezioni, non tollerano i “ma”, non tollerano dunque il cattolico del ma.

Va da sé che per alcune tematiche lo stesso cattolico del ma diventa il cattolico del senza se e senza ma. L’immigrazione? Non ci sono ma che tengano: tutti dentro senza regole. Le persone omosessuali? Sono sempre discriminate. Il maschio? È sempre tendenzialmente violento. L’ambiente? Una priorità assoluta che non tollera eccezioni di sorta. La Costituzione italiana? La più bella del mondo e guai a dire il contrario. Insomma, il cattolico del ma è intransigente quando non dovrebbe e non lo è quando dovrebbe.







martedì 28 dicembre 2021

Mosebach: Nessun Papa è al di sopra della Tradizione





Articolo apparso su First Things




di Martin Mosebach

Col motu proprio Traditionis Custodes, papa Francesco ha emesso un ordine. Lo fa in un momento in cui l’autorità papale si sta disfacendo come mai prima d’ora. La Chiesa è da tempo giunta ad uno stato ingovernabile. Ma il Papa continua a combattere. Abbandona i suoi principi più cari – “ascolto”, “tenerezza”, “misericordia” – che rifiutano di giudicare o dare ordini. Papa Francesco è scosso da qualcosa che lo turba: la Tradizione della Chiesa.


Il limitato respiro che i suoi predecessori hanno concesso alla tradizione liturgica non è più occupato solo da nostalgici senili. La Messa tradizionale in latino attira anche i giovani, che hanno scoperto e imparato ad amare il “tesoro nascosto nel campo”, come papa Benedetto ha chiamato l’antica liturgia. Agli occhi di Papa Francesco, questo è così grave che deve essere cancellato.


La veemenza del linguaggio [della lettera di accompagnamento] del motu proprio suggerisce che questa direttiva è arrivata troppo tardi. Gli ambienti che aderiscono alla tradizione liturgica sono infatti drasticamente cambiati negli ultimi decenni. Alla Messa tridentina non partecipano più solo coloro che sentono la mancanza della liturgia della loro infanzia, ma anche coloro che hanno riscoperto la liturgia e ne sono affascinati, compresi molti convertiti, molti che sono stati a lungo lontano dalla Chiesa. La liturgia è la loro passione e ne conoscono ogni dettaglio. Tra loro ci sono molte vocazioni sacerdotali.

Questi giovani non frequentano solo i seminari tenuti dalle fraternità sacerdotali della Tradizione. Molti di loro seguono la consueta formazione al sacerdozio, e sono tuttavia convinti che la loro vocazione sia rafforzata proprio dalla conoscenza del rito tradizionale. La curiosità per la Tradizione cattolica eliminata è cresciuta, anche se molti avevano descritto questa tradizione come obsoleta e malsana. Aldous Huxley ha illustrato questo tipo di stupore ne Il mondo nuovo, in cui un giovane dell’élite moderna, senza un senso della storia, scopre le ricchezze traboccanti della cultura premoderna e ne rimane incantato.


L’intervento del Papa può ostacolare per qualche tempo la crescita del recupero liturgico della tradizione. Ma potrà fermarlo solo per il resto del suo pontificato. Perché questo movimento tradizionale non è una moda superficiale. Ha dimostrato nei decenni della sua repressione prima del motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto che persiste una devozione seria ed entusiasta alla completa pienezza del cattolicesimo. Il divieto di papa Francesco susciterà resistenza in chi ha ancora la vita davanti e non permetterà che il proprio futuro venga oscurato da ideologie obsolete. Non era buono, ma non era nemmeno saggio, mettere alla prova l’autorità papale.


Papa Francesco vieta le messe in rito antico nelle chiese parrocchiali; esige che i sacerdoti ottengano il permesso di celebrare la Messa antica; chiede anche ai sacerdoti che non hanno ancora celebrato nel rito antico di ottenere questo permesso non dal loro vescovo, ma dal Vaticano; e richiede un esame di coscienza dei partecipanti alla Messa antica. Ma il motu proprio di Benedetto Summorum Pontificum ragiona su un piano totalmente diverso. Papa Benedetto non ha “permesso” la “vecchia Messa” e non ha concesso alcun privilegio per celebrarla. In una parola, non ha preso un provvedimento disciplinare che un successore può ritirare. La novità e la sorpresa del Summorum Pontificum è la dichiarazione che la celebrazione dell’antica Messa non necessita di alcun permesso. Non era mai stato proibito perché non poteva essere proibita.


Si potrebbe concludere che qui troviamo un limite fisso, invalicabile, all’autorità di un papa. La Tradizione sta al di sopra del Papa. La Messa antica, radicata profondamente nel primo millennio cristiano, è, in linea di principio, al di là dell’autorità del papa, quindi non può essere proibita. Molte disposizioni del motu proprio di papa Benedetto possono essere accantonate o modificate, ma questa decisione magisteriale non può essere eliminata così facilmente. Papa Francesco non tenta di farlo, lo ignora. Rimane in piedi, anche dopo il 16 luglio 2021, il riconoscimento dell’autorità della Tradizione secondo cui ogni sacerdote ha il diritto morale di celebrare il vecchio rito mai proibito.


La maggior parte dei cattolici del mondo non si interesserà affatto del Traditionis Custodes. In considerazione del piccolo numero di comunità tradizionaliste, la maggior parte difficilmente capirà cosa sta succedendo. C’è infatti da chiedersi se il Papa non avesse faccende più urgenti – in mezzo alla crisi degli abusi sessuali, agli scandali finanziari della Chiesa, ai movimenti scismatici come il cammino sinodale tedesco e alla situazione disperata dei cattolici cinesi – che cancellare questa piccola comunità devota.


Ma gli aderenti alla Tradizione devono concedere al Papa questo: come loro, pure lui prende sul serio la messa tradizionale, che risale almeno ai tempi di Gregorio Magno. Lui, però, la giudica pericolosa. Scrive che i papi in passato crearono più e più volte nuove liturgie e abolirono quelle vecchie. La verità è l’opposto. Piuttosto, il Concilio di Trento prescrisse l’antico messale dei papi romani – sorto nella tarda antichità – per uso generale, perché fu l’unico che non venne rovinato dalla Riforma protestante.


Forse non è la Messa antica ciò che più preoccupa il Papa.


Francesco sembra simpatizzare per l’ermeneutica della rottura, quella scuola teologica che afferma che con il Concilio Vaticano II la Chiesa ha rotto con la sua Tradizione. Se questo è vero, allora ogni celebrazione della liturgia tradizionale deve essere impedita.


Finché la Messa antica in latino sarà celebrata in un garage, il ricordo dei duemila anni precedenti non si estinguerà. Questa memoria, tuttavia, non può essere sradicata dall’esercizio brusco del positivismo giuridico pontificio. Tornerà ancora e ancora, e sarà il criterio con cui la Chiesa in futuro dovrà misurarsi.








Ecco come la "cattiva" Ungheria soccorre i cristiani






Si chiama Hungary helps. È il programma del Governo Orban di soccorso ai cristiani perseguitati. Parla alla Bussola il responsabile Tristan Azbej. «Il nostro è un modello di successo anche per la politica migratoria e questo ci è costato numerosi attacchi. Ma per noi è più importante il parere dei leader delle Chiese africane che le critiche della comunità internazionale».




Nico Spuntoni, 28-12-2021

In Europa sono in pochissimi a saperlo, ma dal 2017 esiste un programma di assistenza umanitaria a cui le comunità cristiane di Africa, Asia e Medioriente devono molto. Si chiama “Hungary Helps” ed è stato istituito dal Governo ungherese appositamente per fornire aiuti alle Chiese e alle comunità cristiane perseguitate. Il sostegno ai cristiani che soffrono nel mondo è una priorità per il Governo di Orban come ha spiegato in quest’intervista alla Bussola il responsabile del programma Tristan Azbej, Segretario di Stato per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati.

Quante persone sono state aiutate da “Hungary helps” in questi anni?

Negli ultimi cinque anni, il numero di beneficiari diretti si avvicina a mezzo milione di persone. Ci siamo focalizzati sui cristiani, ma non in via esclusiva. Infatti, abbiamo aiutato anche persone di altre fedi o che non hanno fedi e lo abbiamo fatto proprio in nome dei valori di solidarietà che provengono dalla cristianità.

Perché questo focus sui cristiani?

Perché i cristiani sono il gruppo più perseguitato al mondo. Lo dicono i numeri, ad esempio quelli forniti da un’agenzia indipendente come Open Doors secondo cui i cristiani discriminati sono quasi 300 milioni. Siamo di fronte ad una delle più grandi crisi umanitarie del nostro tempo ma non se ne parla molto. Soprattutto, non ne parlano molto le organizzazioni internazionali nate per tutelare i diritti umani. Ne parlano solo le Chiese, le strutture caritative ed il Governo ungherese.

Perché, secondo lei, se ne parla così poco?

Ci sono ragioni politiche ed ideologiche a determinare ciò: le statistiche dicono che i cristiani sono il gruppo religioso maggioritario in molti Paesi. Quindi non è politicamente corretto denunciare questa situazione. Ci sono, poi, politici che attribuiscono alla cristianità la responsabilità di persecuzioni e vedono i cristiani come degli oppressori anziché degli oppressi. Ma sono i fatti a smentirli e a dire che milioni di cristiani sono discriminati nel mondo solo in virtù della loro fede. Noi dobbiamo provare a rompere questo muro di silenzio e d’indifferenza sulla persecuzione che subiscono.

Secondo lei, può influire anche il giudizio internazionale sulla linea del Governo ungherese in materia di immigrazione?
Noi in Ungheria pensiamo che l’immigrazione di massa non sia la soluzione ad alcuna crisi umanitaria. Ci opponiamo duramente all’immigrazione illegale. Non abbiamo mai detto che tutti i migranti sono terroristi, ma abbiamo visto che c’è un legame tra terrorismo e migrazioni. Inoltre, siamo convinti che l’immigrazione di massa provochi tensioni sociali. Una volta un leader della Chiesa siriana mi ha detto che non bisogna supportare l’immigrazione perché rischia di avvantaggiarsene l’Isis. L’Isis, infatti, vuole distruggere la cristianità e le comunità cristiane in Siria ed in Iraq. Dunque, ha tutto l’interesse affinché i giovani del posto vadano via dalla loro terra. Per questo motivo, noi diciamo stop all’immigrazione illegale e al tempo stesso offriamo una risposta all’insegna della solidarietà per aiutare le comunità dei Paesi da cui partono i flussi.

Li aiutate a casa loro?

È un principio fondamentale del programma Hungary Helps che l'aiuto dovrebbe essere fornito nel luogo in cui è necessario, invece di importare problemi qui. Quello ungherese è un modello di successo perché frena i flussi migratori ai confini ungheresi ed europei e, al tempo stesso, consente a milioni di persone di rimanere nella loro terra in sicurezza e a molti altri di tornare da dove erano partiti. Sono molti i casi di famiglie tornate in patria grazie ai frutti dell’assistenza umanitaria offerta dal nostro programma. Tuttavia, nonostante il nostro sia un modello di successo rispetto all’idea pericolosa di promuovere in maniera indiscriminata l’immigrazione, questo ci è costato numerosi attacchi. Ma per noi è più importante il parere dei leader delle Chiese africane che le critiche della comunità internazionale.

Polonia e Croazia hanno recentemente lanciato programmi simili al vostro per aiutare i cristiani perseguitati in Medio Oriente. Ma questo non avviene nei Paesi dell'Europa occidentale…

Voglio fare una precisazione: non siamo stati i primi in assoluto ad iniziare un programma del genere perché le Chiese lo portavano avanti già da anni. Siamo stati, invece, precursori a livello di Governi ed ora siamo felici di vedere che l’esempio viene seguito da Polonia, Croazia, ma anche Estonia e Brasile, spesso in cooperazione con noi. Anche gli Stati Uniti, al tempo dell’amministrazione Trump, avevano avviato un programma simile in Iraq. Ma purtroppo è vero che, in linea generale, i governi occidentali non condividono l’approccio da noi adottato.

Che motivazioni si è dato?

In alcuni casi, si preferisce promuovere le migrazioni; in altri, invece, è da attribuire ad un erroneo concetto di neutralità. O, per meglio dire, al politicamente corretto. C’è chi non vuole supportare le comunità cristiane perché pensa che, così facendo, apparirà imparziale. Ma attraverso il sostegno ai cristiani in Medioriente o in Africa, si sostengono anche quelle comunità che vivono accanto ai cristiani. Mi consenta di fare un esempio pratico.

Prego...

Noi stiamo aiutiamo tre ospedali cattolici in Siria. Altri governi, invece, hanno preferito non farlo perché non era politicamente corretto. In questi tre ospedali, però, la maggior parte dei pazienti sono islamici perché i dottori e gli infermieri cattolici hanno scelto di curare tutti, a prescindere dalla fede d’appartenenza. Questo progetto da noi finanziato ha aiutato non solo i siriani cristiani ma, in generale, ha promosso la coesistenza pacifica tra cristiani e islamici. Dove c’è questo clima, non c’è estremismo. Gli islamici guariti in questi ospedali diventano testimoni del fatto che, a differenza di quanto dicono gli estremisti, i cattolici non sono dei loro competitors. Progetti come questo, che prevedono il coinvolgimento anche di Chiese locali, non limitano l’internazionalità di un intervento umanitario ma la allargano. Mi auguro che un domani sempre più governi che si oppongono al nostro tipo di approccio possano unire le loro forze alle nostre per preservare la coesistenza pacifica di comunità nel Medioriente e in Africa.

A proposito di lotta al fondamentalismo: ci può parlare dei vostri sforzi per la riabilitazione delle donne yazide liberate dall’ISIS?

L’Isis ha commesso molti crimini, uno dei peggiori ai danni di queste donne che sono state rapite, ridotte per anni in cattività, costrette a subire abusi sessuali. Anche dopo la liberazione, molte di loro continuano a soffrire per anni di sindromi post-traumatiche. Hungary Helps ha sostenuto la creazione di una panetteria vicino al campo profughi della città di Khanke, nella regione del Kurdistan. Ho visitato personalmente questo posto e devo dire che è meraviglioso vedere come queste donne, sopravvissute alle violenze dei terroristi, trovino nel forno la possibilità di formarsi professionalmente e cominciare poi un lavoro. Grazie a questo progetto non imparano soltanto un mestiere ma ritrovano quella dignità che pensavano di aver perso a causa dei soprusi vissuti.








Ma i teologi non stanno esagerando con la psicologia?






Ma i teologi non stanno esagerando con la psicologia? Anzi con lo psicologismo? A. Läpple e il ritratto di san Paolo: quando lo psicologismo ci fa dimenticare che il vero Autore delle Sacre Scritture non è l’uomo, ma Dio stesso 





di Francesco Lamendola,  24 Dicembre 2021

Uno dei segnali infallibili che indicano come e perché la teologia contemporanea tanto spesso ha abbandonato la retta via e si è smarrita nel labirinto dei sentieri perduti, che non conducono da nessuna parte se non al relativismo e alla progressiva perdita della fede, è l’abuso della psicologia, o meglio dello psicologismo, nella lettura e nell’interpretazione dei passi scritturali.

Citiamo a titolo d’esempio una pagina del teologo Alfred Läpple (1915-2013), che fu docente di Catechesi e pedagogia religiosa presso la Facoltà teologica dell’Università di Salisburgo, tratta dal suo lavoro Messaggio biblico per il nostro tempo. Manuale di catechesi biblica; titolo originale: Biblische Verkündigung in der Zeitenwende, Verkbuch zur Bibelkatechese in 3 voll., Don Bosco Verlag, München; versione italiana delle benedettine di S. Maria in Rosano, Modena, Edizioni Paoline, 1973, pp. 424-425 e 426-427):

A differenza di Gesù di Nazaret, Paolo era un TIPICO UOMO DI CITTÀ. Cresciuto un una grande città (At 21,39), amava il dialogo e la discussione. Non provava alcun timore nel comparire davanti a gruppi piuttosto numerosi. Conosceva la retorica e possedeva meglio di qualsiasi altro apostolo l’arte del manager. Sapeva organizzare, sapeva pianificare a lunga scadenza e far lavorare altri per i suoi scopi. Nello stesso tempo era geloso e vigile nel difendere il suo ruolo di guida e non permetteva che lo si ignorasse e lo si misconoscesse. Uomo della grande città, sapeva far fronte anche alle situazioni più aggrovigliate e apparentemente senza via d’uscita. Nei suoi discorsi e nelle sue lettere sapeva manovrare il registro della teologia e dell’ascesi altrettanto bene di quello della polemica, della caricatura e talvolta anche del sarcasmo.

Indicativi della sua origine cittadina sono anche i paragoni da lui usati nelle lettere, paragoni desunti spesso dal CAMPO DEL DIRITTO DELLO SPORT O DELLA VITA MILITARE.

Paolo era tutt’altro che un uomo giovanile [o gioviale?] e cordiale. Era un COMPAGNO “DIFFICILE”, che doveva combattere con se stesso e non rendeva la vita facile ai collaboratori. Era duro e inesorabile con sé ed esigeva dai collaboratori lo stesso impegno e la stessa dedizione disinteressata.

Qualche volta si è tentato di spiegare il suo carattere difficile come una conseguenza della sua costituzione e della sua salute. Non ci si è peritati di additare in lui uno psicopatico, un neurotico, addirittura un epilettico, richiamandosi in qualche modo a quelle parole: «Spina nella carne» (2 Cor 12,7).


Qualche volta si ha la sensazione che egli abbia avuto delle fasi di sovraffaticamento e di esaurimento e che dopo essersi riposato e ripreso, volesse recuperare con un’attività frenetica quanto aveva dovuto tramandare [o tralasciare?] durante le settimane di malattia. Alcune difficoltà da lui incontrate con alcune comunità cristiane dipendono certamente anche dalla sua mentalità, dal suo temperamento, dalla sua pretesa di dirigere e dalla sua attività missionaria spossante. (…)

Una caratteristica della teologia paolina consiste sicuramente nel fatto che si tratta della TEOLOGIA DI UN CONVERTITO, elaborata in netto confronto e contrapposizione alle concezioni e agli aderenti alla religione precedente. La psicologia dei convertiti predilige la pittura in bianco e nero e talvolta sottolinea anche intenzionalmente certi punti, che in realtà non meriterebbero tanto rilievo.

Altra nota peculiare della mentalità e della pietà dei neoconvertiti è quella di porre elevate esigenze alla nuova vita di fede di essere critici verso i correligionari di più antica data, che si accontentano di un impegno piuttosto mediocre.


La teologia paolina è conseguentemente una TEOLOGIA POLEMICA sia nei confronti del giudaismo, sia soprattutto nella critica vigile di fronte ad ogni svuotamento e minimizzazione del messaggio di Cristo in campo cristiano. Tutte le volte che l’evento di Cristo veniva decurtato e frainteso con le parole o nella celebrazione della eucarestia, Paolo è insorto appassionatamente. Senza questo continuo confronto con gli altri, Paolo non sarebbe Paolo. Altrettanto appassionatamente reagiva, quando si attaccava o si metteva in dubbio la sua missione e la sua autorità di apostolo. Allora diventava veramente polemico, sorretto da una fiducia molto lucida in se stesso: «Quand’anche noi stessi o un angelo disceso dal cielo vi annunziasse un Vangelo diverso da quello che noi vi abbiamo predicato, sia scomunicato!» (Gal 1,8).

La teologia paolina è una TEOLOGIA MISSIONARIA, che mira a conquidere, convincere, conquistare. Paolo vuole tutt’altro che comunicare una semplice informazione neutrale. Nella sua vita egli ha sperimentato Cristo come la cosa più grande, più beatificante, pacificante e affascinante che ci sia e si sente spinto a dischiudere agli altri la via che porta a Lui. La sua teologia missionaria sa sottolineare gli accenti giusti sia dal punto di vista psicologico che teologico. Parla agli abitanti di Efeso in modo diverso che a quelli di Atene. Prende visione dei problemi e dei bisogni degli ascoltatori e poi formula la risposta adatta. Lavorando come missionario delle prima ora su un terreno vergine, non si è preoccupato di elaborare un catechismo completo. Quel che egli presenta è un catechismo di punti focali, in cui tratta le questioni decisive e scottanti, ma in cui lascia anche aperte e senza risposta non poche altre domande, appunto perché non costituivano un problema per quella data comunità. Egli ha anticipato e praticato come cosa ovvia quel che il Vaticano II ha denominato “hierarchia veritatum”.


Non da ultimo la teologia paolina è una TEOLOGIA DELL’ESPERIENZA ED ESISTENZIALE. Non è la teologia di una testa calda e di un cuore freddo. Paolo non è pensabile senza la sua teologia, ma meno ancora senza il suo incontro e la sua vita con Cristo. Egli è uno che è stato colpito da Cristo. Per lui le sottili questioni della filosofia ellenistica sono pula e stoltezza, poiché in Cristo ha trovato tutta la sapienza.

Läpple, che fu un caro amico di Ratzinger ai tempi del Concilio, e perciò condivise le sue aperture moderniste, è fra quelli che nutrono seri dubbi sulla paternità di alcune lettere paoline, anche se non entra nello specifico di tale discussione, ed è anche persuaso che non si debba salvare ad ogni costo “l’armonia” fra i quattro Vangeli, vale a dire la loro concordanza finalizzata a fornire un quadro unitario e coerente, ma che sia più giusto accettare la ”sfida” delle incongruenze e delle cesure che emergono da una considerazione puramente storico-critica fra essi. Pur non ponendosi, insomma, sul versante estremo dei “demitologizzatori”, seguaci diretti o indiretti della lezione di Rudolf Bultmann, è insomma un teologo progressista, che non esita ad affrontare con piglio deciso i nodi che la Tradizione, a giudizio di costoro, ha lasciato irrisolti, e che devono essere invece sciolti per guadagnarsi la patente di cattolici adulti.

Nel tratteggiare il ritratto morale di san Paolo e nel porre la questione di come vadano lette le sue lettere, lo storicismo che è alla base di tale concezione appare in maniera piuttosto evidente. Nel delineare le sue caratteristiche psicologiche, si notano sottili ma frequenti forzature, allo scopo di “umanizzare” il più possibile la figura dell’Apostolo, in modo da ridurne l’eccezionalità e abbassarla al livello degli uomini comuni. Nulla da obiettare sul fatto che egli fosse un tipico uomo di città; il fatto però che non avesse alcun timore a presentarsi davanti a gruppi numerosi di persone non ci sembra sia una conseguenza del suo essere tipicamente cittadino, ma un aspetto del suo temperamento. Gesù, che era un “tipico” uomo della campagna, e san Pietro e gli altri Apostoli, dopo l’inizio della loro missione evangelizzatrice, che erano pescatori o comunque abitanti di villaggi e modeste cittadine, sapevano fare altrettanto, e con pari disinvoltura. Che poi san Paolo fosse un abile organizzatore, non c’è dubbio; ma da qui a definirlo in possesso più di ogni altro dell’arte del manager, ce ne corre, almeno stando al vocabolario: il quale dice che il manager è il dirigente o l’amministratore di un’azienda o un’impresa, oppure colui che cura la rappresentanza degli interessi di uno sportivo, di un attore, di un cantante, ecc. Insomma non esageriamo nel volerlo calare a tutti i costi nel clima della società produttiva; non facciamone un Machiavelli che adopera qualsiasi mezzo per giungere al fine. Sarà stato anche vero che san Paolo sapeva affrontare qualsiasi situazione, anche la più ingarbugliata, riuscendo sempre a trovare la via d’uscita; ma non è vero che sapeva far lavorare gli altri per i suoi scopi. Non era il tipo d’uomo che non si fa scrupoli nello strumentalizzare gli altri; al contrario, lavorava con gli altri e più degli altri, anche fisicamente, per uno scopo comune che era lì, sotto gli occhi di tutti, assolutamente trasparente: l’evangelizzazione dei pagani. Dire poi che nei suoi scritti sapeva manovrare il registro della teologia altrettanto bene di quello della polemica o del sarcasmo è un’altra forzatura. Nelle lettere san Paolo ci si mostra in tutta la sua statura di teologo; che poi quel teologo, in alcuni passi a carattere più contingente, cioè rivolti a delle comunità affette da problemi e difficoltà specifici, sapesse talvolta usare con efficacia anche la polemica (non diremmo il sarcasmo), è un altro paio di maniche. La teologia è la sostanza del discorso, la polemica è – talvolta - la forma: non si possono mettere sullo stesso piano, come fossero due “registri” letterari di pari significato. L’ascesi, poi, è un’altra cosa ancora: se uno scritto è di carattere ascetico, lo è perché da esso traspare l’intima e ineffabile esperienza dell’anima che desidera innalzarsi verso Dio; non è un registro che si possa “manovrare” a piacere.

Quando poi Läpple passa a definire san Paolo un uomo tutt’altro che cordiale e un compagno difficile, va molto al di là di ciò che i testi del Nuovo Testamento permettono ragionevolmente di dedurre, e si spinge arbitrariamente sul terreno delle congetture gratuite. Se la base per questo severo giudizio è Atti,15, 37-40, dove si narra di un dissidio fra Paolo e Barnaba a proposito di Giovanni detto Marco, ci sembra davvero un po’ poco: che cosa penseremmo di chi ci definisse delle persone difficili e litigiose (perché questo, in definitiva, significa tutt’altro che cordiali), solo perché una volta, in una singola occasione, abbiamo avuto un forte contrasto con qualcuno e magari abbiamo anche perso la pazienza? Un solo episodio è sufficiente per formulare un giudizio così tranchant sul nostro carattere? Si dirà che, oltre a quell’episodio nella vita missionaria di Paolo, ci sono dei passi, nei suoi scritti, dai quali emerge un atteggiamento fiero e risentito verso alcuni detrattori. Ebbene, ciò mostra che Paolo era dotato d’un temperamento appassionato, caldo, “meridionale”: cosa ben diversa dall’essere una persona arcigna e un attaccabrighe. Quando poi l’autore propone di spiegare il carattere difficile di Paolo come l’effetto di non meglio precisabili problemi di salute, assume una cosa tutta da dimostrare, cioè che egli avesse realmente un “carattere difficile”, come possibile spiegazione di un’altra cosa, i suoi problemi di salute. Ma che san Paolo rendesse la vita non facile ai suoi collaboratori (si noti la formulazione pudibonda, un tantino ipocrita, del concetto di rendere la vita difficile), è un’illazione che non trova appigli nei testi: da essi non risulta nulla del genere. Anche la congettura che lo stile di san Paolo tradisca fasi di sovraffaticamento (dovute anche alla sua non meglio precisata pretesa di dirigere) e fasi di ripresa, è del tutto gratuita: senza contare che fa rientrare dalla finestra l’ipotesi, in apparenza scacciata dalla porta, che egli fosse uno psicopatico, un nevrastenico o un epilettico, cioè un malato di mente.

Quello che poi l’autore dice della teologia di san Paolo, che è la teologia di un convertito, che è una teologia polemica, che è missionaria e che è una teologia dell’esperienza ed esistenziale, nella sostanza ci sembra abbastanza condivisibile; tuttavia è dall’insieme di queste puntualizzazioni e sottolineature che emerge un quadro a nostro avviso non troppo convincente. Ci spieghiamo meglio: è vero che san Paolo era un convertito recente e che perciò portava nella sua predicazione tutto l’entusiasmo e, se si vuole, tutta l’intransigenza che ai cristiani di più vecchia data dovevano apparire ammirevoli, ma forse un po’ eccessivi, e magari anche lievemente fastidiosi. Tutto vero. Sappiamo che chi si adagia e si “addormenta” nella fede non ama i bruschi risvegli: e san Paolo, come san Francesco d’Assisi, se si vuole, e anche come sant’Agostino, era un brusco risvegliatore, proprio perché sentiva l’urgenza di riguadagnare il tempo “perduto” e di comunicare agli altri il suo stesso zelo e il suo stesso entusiasmo. D’altra parte, porre l’accento su questo aspetto suggerisce che vi è qualcosa di esagerato nella teologia di Paolo, per non parlare del suo carattere duro e spigoloso. Stessa cosa per le altre sottolineature. Ma Paolo, come uomo, è – ovvia tautologia – null’altro che un uomo; la sua grandezza, come quella di tutti gli autori della Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, viene dalla grazia. Ci chiediamo: dopo una simile scorpacciata di psicologia, anzi di psicologismo, non finiremo per dimenticarci che il vero Autore delle Sacre Scritture non è l’uomo, ma Dio stesso?









Fonte 




«In Cina non permettiamo di festeggiare il Natale»





Dall'Henan allo Shandong, dal Guangdong al Guangxi, le autorità locali vietano a molte comunità cristiane di riunirsi per Natale. E dall'1 marzo saranno vietati anche gli eventi online





Leone Grotti28/12/2021


Decine di milioni di cristiani non hanno potuto ritrovarsi in Cina a Natale dopo essere stati minacciati dalle autorità statali. È quanto riporta Radio Free Asia dopo aver parlato con molti responsabili religiosi in tutto il paese.


«Qui non ammettiamo riunioni per Natale»

Chen, pastore di una chiesa protestante non ufficiale nella provincia del Guangdong, ha dichiarato che il 22 dicembre la polizia locale lo ha contattato per assicurarsi che la sua chiesa non organizzasse nulla prima, durante e dopo il 25 dicembre. «Nella nostra città non ammettiamo riunioni per Natale, per non parlare di feste», gli hanno detto. «Divieti simili non vengono emanati solo qui, ma anche nell’Henan e in altri posti. E la pandemia viene usata come pretesto. L’unica cosa che ci resta è vederci online», spiega il pastore.

Un pastore dello Shandong conferma che anche nella sua provincia sta avvenendo lo stesso: «Ci hanno avvisato prima di Natale che non avremmo dovuto organizzare alcuna attività. Noi viviamo in città ma lo stesso vale per le chiese in periferia. Dovremo riunirci di nascosto».


Divieti anche nelle scuole


Il divieto è stato esteso anche alle scuole, agli alunni e ai genitori nella provincia del Guangxi. Il dipartimento dell’educazione della contea di Rong’an, ad esempio, ha ordinato agli istituti di «evitare di celebrare feste straniere» e di concentrarsi sulla «cultura cinese tradizionale».

Se molte comunità cristiane, alle quali è stato impedito di ritrovarsi, si sono rifugiate online, anche questa possibilità svanirà presto.
La Cina bandisce i contenuti religiosi online

A partire dall’1 marzo 2022, infatti, entreranno in vigore nuove misure amministrative per regolare i contenuti religiosi online «e sopprimere ogni attività religiosa online», spiega Bob Fu, presidente del gruppo in difesa dei diritti dei cristiani cinesi ChinaAid.

I nuovi regolamenti, infatti, obbligano chiunque voglia divulgare contenuti online a ottenere una licenza e include tra le pratiche vietate «l’utilizzo della religione per incitare la sovversione del potere statale o opporsi alla leadership del Partito comunista cinese». Banditi anche i contenuti online che «inducono i minori a credere nella religione oppure organizzare e obbligare i minori a partecipare ad attività religiose».


@LeoneGrotti

Foto Ansa







lunedì 27 dicembre 2021

Natale, parola delegittimata dal pluralismo religioso





Il pluralismo religioso non permette di fondare la legittimità dell’uso della parola Natale. Chi adopera l’argomentazione dell’attuale pluralismo religioso, sia perché attuale sia perché è pluralismo religioso, e, in questo modo, lo valorizza e ne promuove l’estensione nel tempo, condanna la parola Natale a non avere giustificazione alcuna per quanto riguarda il suo uso in pubblico e ad essere eliminata, se non oggi, domani.



Stefano Fontana, 27/12/2021

Il periodo immediatamente precedente il Natale era stato caratterizzato, come si ricorderà, dalla bozza di documento europeo che vietava di adoperare la parola Natale per essere inclusivi nei confronti di chi la pensa diversamente, ossia aderisce ad altre religioni oppure a nessuna religione. Il documento fu poi ritirato, ma non si creda che non sarà riproposto a tempo debito, né che solo il fatto di averlo proposto non abbia avuto conseguenze nell’indicare un comportamento. Infatti il primo ministro spagnolo Sanchéz ha applicato di fatto quella disposizione, anche se ritirata, e ha evitato di usare la parola “Navidad” nei suoi auguri. I processi di mentalità e di prassi si inducono anche con documenti ritirati.

Si ricorderà anche che Francesco ha commentato quel documento dicendo che era “anacronistico”, perché oggi l’Unione europea ammette il pluralismo religioso. Non ha affermato che è sbagliato per questo e per questo motivo, ma che è anacronistico, ossia non è al passo con i tempi, non collima con la situazione esistente oggi. Il concetto di “anacronistico” non è però in grado di delegittimare nessun principio o comportamento. Il giudizio di anacronismo è una semplice constatazione di fatto e non di diritto, dice che qualcosa c’è ma non dice perché c‘è e se è giusto o meno che ci sia. L’anacronismo non emette un giudizio basato su un dover-essere [le cose stanno così, ma dovrebbe stare invece così…] ma tiene conto solo di ciò che è di fatto. Il commento di Francesco, quindi, né giudica negativamente in sé l’eventuale dispositivo del documento di evitare la parola Natale, né giustifica in sé positivamente il motivo per cui invece la parola Natale può e deve avere un uso pubblico.

Un giudizio basato sulla valutazione di anacronismo è “cronolatrico”, come perfino Maritain aveva criticato nella sua ultima opera, Il Contadino della Garonna. Cronolatria è una forma di idolatria del presente. Il presente però non dura che un attimo. Quindi la cronolatria è costretta a cambiare continuamente quanto ritenere vero e buono. Se per giustificare l’uso pubblico della parola Natale si fa ricorso al concetto di “anacronismo”, si deve sapere che la situazione attuale che ora funge da criterio domani potrà essere diversa e, magari, non ammettere più nemmeno l’attuale pluralismo religioso. A quel punto bisognerà allora accettare il divieto di dire Natale.

Se poi entriamo nel merito del pluralismo religioso eretto a criterio di giudizio sulla legittimità di dire Natale in pubblico, si deve riconoscere che a spingere allora i redattori del documento sopracitato e ora il premier spagnolo, è proprio il concetto di pluralismo religioso. Essi infatti vorrebbero vietare la parola Natale per rispetto delle altre religioni. Si tratta della versione del pluralismo religioso che comporterebbe l’espulsione dallo spazio pubblico dei simboli – anche una parola è un simbolo – religiosi. Ma allora diventa difficile adottare il pluralismo religioso come garanzia di validità dell’uso della parola Natale se è proprio in virtù del pluralismo religioso che si vorrebbe vietarne l’uso. In altre parole il pluralismo religioso non permette di fondare la legittimità dell’uso della parola Natale. Chi adopera l’argomentazione dell’attuale pluralismo religioso, sia perché attuale sia perché è pluralismo religioso, e, in questo modo, lo valorizza e ne promuove l’estensione nel tempo, condanna la parola Natale a non avere giustificazione alcuna per quanto riguarda il suo uso in pubblico e ad essere eliminata, se non oggi, domani.

Bisogna anche aggiungere che, con questa motivazione, la visione cristiana del Natale è messa sullo stesso piano dei principi delle altre religioni, cessando di avere qualcosa da dire a tutti. Se il motivo della liceità pubblica del suo uso è l’esistenza di fatto del pluralismo religioso, adoperare quella parola diventerà significativo non per tutti, ma solo per i credenti della religione cristiana. Non potrà, allora, avere una vera e propria pretesa pubblica, rimarrà una pretesa privata di alcuni. Non avrà la pretesa di indicare una prospettiva comprensiva anche delle (poche o tante) verità presenti altrove, ma solo di verità relative, parziali, di alcuni e per alcuni. Verità che rimarranno prigioniere di quel pluralismo religioso assunto per giustificare la loro espressione pubblica con la parola Natale. Se infatti la parola Natale indicasse una verità unica e assoluta, dovrebbe alimentare non solo una animazione cristiana del pluralismo religioso ma un vero e proprio annuncio, che relega tutte le altre religioni in secondo piano, proponendosi come unica. Il che, ovviamente, contrasterebbe con il pluralismo religioso e susciterebbe la reazione violenta delle istituzioni europee.

Se, infine, si dicesse che la parola Natale esprime i valori umani di pace, giustizia e fratellanza che sono naturalmente comuni a tutti, si degraderebbe il Natale a generico umanesimo e si tratterebbe di una nuova forma di naturalismo che pone in secondo piano e oscura la soprannaturalità dell’evento.







POLEMICHE SULLA RICOSTRUZIONE DI NOTRE DAME: DIVENTERÀ IL TEMPIO MULTIMEDIALE DELLA RELIGIONE UNICA



Trasformano Notre Dame nella cattedrale del politically correct


Rino Cammilleri, 26 dicembre 2021

I giacobini distrussero ogni chiesa, cappella e abbazia di Francia. A Parigi non scampò di certo Notre Dame, dove una ballerina vestita da Dea Ragione si esibì sull’altare semidemolito. In Notre Dame c’erano anche le statue degli antichi re di Francia. Ebbene, decapitarono pure quelle, non bastando ai sanculotti le teste vere. I diavoli si accanirono particolarmente sulla Primogenita della Chiesa, ben sapendo che, infettando questa, il morbo si sarebbe diffuso ovunque. E rimase pervicace.


Nel 1905 l’ex seminarista Émile Combes, divenuto capo del governo, con una furia degna di miglior causa riprovò a fare tabula rasa del cattolicesimo francese, questa volta per via amministrativa. Tutte le chiese, cappelle, abbazie ancora in piedi o restaurate dopo le follie rivoluzionarie, come Notre Dame, vennero espropriate dalla République. La quale, perciò, oggi è proprietaria di Notre Dame e la sua ricostruzione post-incendio è a carico non più della Chiesa ma del contribuente, anche quello ateo o musulmano. Bel boomerang. A proposito, a che punto sono le indagini sul rogo? Continuano o sono finite sotto al tappeto?

Infatti, nella Francia macroniana dove la laïcité viene insegnata obbligatoriamente a scuola, sotto al tappeto ci sono anche le centinaia di vandalismi a danno di chiese, cimiteri e simboli cristiani che ogni anno vengono colà perpetrati. E Notre Dame è l’edificio cristiano principale dell’ex Primogenita. A questo proposito, negli anni Novanta finì in mondovisione il rogo della torinese cappella del Guarini, e la Sindone fu salvata a stento da un eroico pompiere. Accidentale anche quell’incendio? O anch’esso sotto il tappeto? L’odio contro i maggiori simboli cristiani dell’Occidente ex cristiano (nelle élites, il popolo ancora regge) andrebbe forse spiegato non dai sociologi ma dagli esorcisti.

Ebbene, poiché Notre Dame deve risorgere a furor di popolo (ricordate le immagini della gente che pregava con le lacrime agli occhi vedendo ardere la guglia di Viollet le Duc?), come ai tempi di Combes magari bisogna ricorrere ad altri mezzi. Cioè: ricostruita, sì, però snaturata nel suo contenuto. E questa volta, duole dirlo, con la spensierata partecipazione del clero progressista. Cappelle a tema. Effetti sonori. Luci laser. Percorsi tematici. Temi ecologici e inclusivi. Insomma, il tempio multimediale della Religione Unica, quella del “volemose bene tutti quanti” attorno alla rousseauiana Natura. Non è l’Essere Supremo di Robespierre, né il Grande Architetto dei massoni, tranquilli. È il Pantheon del dio del XXI secolo: il kitsch. Ma il popolo di cui si diceva è insorto: no alla Disneyland politicamente corretta nel cuore (letterale, non geografico) della Francia.

Grazie al cielo c’è ancora una Francia vandeana che resiste. E c’è sempre stata. Quando, nella Grande Guerra, i soldati francesi si cucivano l’immagine del Sacro Cuore sulla giubba, il governo «laico» intervenne a vietarlo. Ma quando i tedeschi arrivarono quasi a Parigi il generalissimo Foche fece di testa sua e consacrò personalmente l’intera Armée al Sacro Cuore. E in breve tempo i tedeschi cominciarono a indietreggiare.









domenica 26 dicembre 2021

Il vero significato del Prologo di san Giovanni






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di Corrado Gnerre, 26 DICEMBRE 2021

Il Prologo di San Giovanni: educare alla Somma Verità, alla Somma Bontà e alla Somma Bellezza

Ha scritto Benedetto XVI: “(Il prologo di San Giovanni ) è un testo mirabile, che offre una sintesi di tutta la fede cristiana. Dall’esperienza personale di incontro e di sequela di Cristo, Giovanni, che la tradizione identifica nel «discepolo che Gesù amava» (Gv 13,23; 20,2; 21,7.20), «trasse un’intima certezza: Gesù è la Sapienza di Dio incarnata, è la sua Parola eterna fattasi uomo mortale». Colui che «vide e credette» (Gv 20,8) aiuti anche noi a poggiare il capo sul petto di Cristo (cfr Gv 13,25), dal quale sono scaturiti sangue ed acqua (cfr Gv 19,34), simboli dei Sacramenti della Chiesa. Seguendo l’esempio dell’apostolo Giovanni e degli altri autori ispirati, lasciamoci guidare dallo Spirito Santo per poter amare sempre di più la Parola di Dio.” (Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, n.5)


LA SOMMA VERITA’

All’inizio di tutto è il Logos, ovvero la ragione, la razionalità

«In principio era il Verbo»

Il Faust di Goethe (illustre esponente del romanticismo) ha una scena in cui il dottor Faust sta nel suo studio riflettendo sul Prologo del Vangelo di san Giovanni. Egli non accetta che in principo sia il Verbo, bensì afferma che in principio debba essere l’azione. Ciò è perfettamente attinente all’essenza della filosofia romantica, che è appunto l’azione, la prassi e non certo il fondamento metafisico, cioè la verità. Tutta la filosofia moderna, costruendosi sul progressivo abbandono della metafisica, pone come essenza di se stessa il pensiero dell’uomo, che poi si traduce in un porre l’agire dell’uomo a fondamento di tutto, perché, senza il riconoscimento di un vero oggettivo, questo agire diviene criterio di se stesso.

Il Cristianesimo, invece, si pone su un piano diverso. Tutto si fonda sul riconoscimento della verità e tutto parte dalla verità. E ciò per un motivo ben preciso: perché Dio s’identifica con la verità, con la ragione. Dio non è concepito solo sotto l’aspetto della volontà, ma anche e soprattutto sotto l’aspetto della ragione. Dio non può patire in sé alcuna contraddizione. Dio è verità immutabile.

Con ciò si spiega perché il Cristianesimo abbia fatto giustamente tesoro del miglior patrimonio della filosofia greca. Nel celebre di discorso che Benedetto XVI fece a Ratisbona il 12 settembre del 2006 troviamo queste parole che, non a caso, fanno riferimento al Prologo di San Giovanni: «A questo punto si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell’intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: “In principio era il λόγος”. È questa proprio la stessa parola che usa l’imperatore (il Papa sta facendo riferimento ad un celebre dialogo tra l’imperatore bizantino Michele II Paleologo con un persiano colto): Dio agisce „σὺν λόγω”, con logos. Logos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista. L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: “Passa in Macedonia e aiutaci!” (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una “condensazione” della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco.»[1]

La natura della monotriade: l’amore deve essere giudicato dalla ragione

«il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»

Il mistero della Santissima Trinità è un mistero e come tale non può essere compreso. Ma non per questo è qualcosa d’irragionevole. Nella dottrina cattolica ciò che è mistero è sì indimostrabile con la ragione, ma non è irrazionale, cioè non è in contraddizione con la ragione.

A proposito della Trinità si afferma che è costituita dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Non si dice: dallo Spirito Santo, dal Figlio e dal Padre o dal Figlio, dal Padre e dallo Spirito Santo, ma: dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Il tutto in una successione logica ma non cronologica. Ciò vuol che senza il Figlio non ci sarebbe lo Spirito Santo e senza il Padre non ci sarebbe il Figlio. Ma non che il Padre abbia creato il Figlio e il Figlio abbia creato lo Spirito Santo. Perché, se così fosse, il Figlio e lo Spirito Santo sarebbero delle creature e ciò non è.[2]

Dunque una successione logica, ma non nel tempo (cronologica). Il Cristianesimo ortodosso (quello dei Russi, dei Serbi, dei Greci, per intenderci) è lontano dal Cattolicesimo anche perché, a proposito della Trinità, non riconosce la dottrina cosiddetta del Filioque, cioè che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.[3] Lo Spirito Santo –dicono gli ortodossi- procede solo dal Padre. Questione di lana caprina, direbbe qualcuno. Inutili pignolerie, direbbero altri. E invece no, la questione è importante, per non dire importantissima.

Didatticamente si attribuisce al Padre l’azione della creazione, al Figlio quella della redenzione e allo Spirito Santo quella della santificazione. Questo non vuol dire che nel momento della creazione il Padre agiva e il Figlio e lo Spirito Santo non partecipavano, oppure nella redenzione il Figlio agiva e il Padre e lo Spirito Santo erano assenti. Nella creazione ha agito tanto il Padre, quanto il Figlio, quanto lo Spirito Santo e così nella redenzione (è la cosiddetta circuminsessione[4]), ma metodologicamente diciamo così: il Padre crea, il Figlio redime, lo Spirito Santo santifica.

Il Figlio lo chiamiamo anche Verbo (Parola) per indicare il fatto che è il Dio che si manifesta. Il Figlio è anche il Logos, la Verità, mentre lo Spirito Santo è l’Amore. Ed ecco il punto nodale. Già in Dio è pienamente rispettata la processione logica verità-amore. L’amore deve essere sempre giudicato dalla verità, altrimenti può diventare anche il sentimento più terribile. Facciamo un esempio. Un padre di figli che lascia la famiglia, perché “s’innamora” di un’altra donna, fa bene? Oggi molti risponderebbero di sì. Direbbero: se lo ha fatto per amore… Ma questo è il punto. L’amore se non è giudicato dalla verità può diventare molto pericoloso. Facciamo un altro esempio. Perché Hitler e i suoi decisero di perseguitare gli Ebrei? La risposta può sembrare paradossale ma non lo è: per troppo amore nei confronti della razza ariana. Perché Stalin decise di sterminare milioni e milioni di piccoli proprietari? Per troppo amore nei confronti dello Stato socialista. Perché Robespierre decise di tagliare teste su teste? Per troppo amore nei confronti della Rivoluzione che lui sentiva minacciata. Ecco cos’è l’amore sganciato dalla verità. E, se si riflette bene, questo è uno degli errori più tipici dei nostri tempi. C’è chi si lamenta che oggi ci sia poco amore. Verrebbe da dire: no, non è così, d’amore oggi c’è ne è fin troppo, ciò che manca è la consapevolezza della Verità, che è un’altra cosa!

Bisognerebbe ritornare a meditare sulla natura di Dio per capire come già nella Sua intima natura è presente questa verità, e cioè che l’amore è vero se è conforme al Vero. Solo così si potrà anche capire perché mai la Chiesa Cattolica ha tenuto fermo sul punto del Filioque.

La verità è in principio e la verità è nelle cose

«Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.»

Dunque, la verità è al principio di tutto. Nulla è possibile senza la verità. L’uomo non può vivere senza la verità, il che si traduce nel fatto che l’uomo non può vivere senza la ricerca di senso. D’altronde senza un significato, la vita cade sotto la condanna dell’irrazionalità. L’alternativa, infatti, è proprio questa: convincersi di essere frutto di un progetto di amore e quindi di essere accompagnati da questo progetto o invece convincersi di essere gettati nel mondo. Se la verità non esiste, non esiste il significato, e se non esiste il significato, tutto è illogico e irrazionale. Il Prologo di San Giovanni dice proprio questo: la verità è nelle cose. Dunque, la vita ha una sua ragione. Siamo frutto di un progetto.

Senza Dio, ogni cosa che si fa, anche se meravigliosa, grande, utilissima, è priva di luce, cioè è priva di significato. La luce è ciò che illumina il reale, ovvero ciò che rende conoscibile ciò che è posto dinanzi allo sguardo. Così come le cose esistono anche al buio, indipendentemente dall’essere illuminate o meno, parimenti tutto ciò che l’uomo compie o può compiere esiste anche se egli non ha inserito nella sua vita il fondamento, ma tutte queste cose, inevitabilmente, rimangono bue. Scrive Eliot: O buio, buio, buio. Tutti vanno verso il buio, / i vuoti spazi interstellari, il vuoto verso il vuoto, / i capitani, i grandi banchieri, gli eminenti letterati, / i generosi mecenati della’arte, gli statisti e i sovrani, / distinti impiegati statali, presidenti di molti comitati, / industriali e piccoli mediatori, tutti vanno verso il buio. / E’ buio il sole e la luna, e l’almanacco di Gotha. / E la gazzetta della borsa, e il consiglio de direttori, / e freddo il sentimento e perduto il motivo dell’azione. / E noi tutti andiamo insieme a loro, nel silenzio funerale, / funerale di nessuno, perché non c’è nessuno da seppellire.”[5]

Senza la verità, nulla esiste sul piano ontologico e tutto è possibile sul piano morale

Ha detto Benedetto XVI: «Mi sembra una cosa quasi incredibile che una invenzione dell’intelletto umano e la struttura dell’universo coincidano: la matematica inventata da noi ci dà realmente accesso alla natura dell’universo e lo rende utilizzabile per noi. […] Solo perché la nostra matematica è affidabile, la tecnica è affidabile. La nostra scienza, che rende finalmente possibile lavorare con le energie della natura, suppone la struttura affidabile, intelligente della materia.»[6]

Dire che tutto parte dalla verità, che Dio è Logos, che Dio è verità, vuol dire che la stessa creazione è avvenuta secondo una logica, cioè secondo un progetto. Vuol dire riconoscere che nella realtà creata vi è una legge, appunto: la legge naturale. Riconoscere l’esistenza di un diritto naturale.

Senza il riconoscimento del diritto naturale, tutto diviene possibile. La modernità, che si è costruita con l’allontanamento dalla dimensione metafisica, ha espunto il riconoscimento del diritto naturale aprendo inevitabilmente la strada al positivismo giuridico, che altro non è se non la riduzione della forza del diritto nel diritto della forza.[7]


LA SOMMA BONTA’


Il Verbo è Dio che conosce se stesso, non rimanendo chiuso in se stesso

«In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini»

Ovviamente il mistero della Santissima Trinità è un mistero, per cui non è possibile trovare per esso una spiegazione che possa davvero spiegare, cioè che possa davvero renderlo comprensibile. Ciò che si può dire è che il Verbo è Dio che conosce se stesso, perché solo l’Infinito può conoscere pienamente se stesso. Dalla conoscenza del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre procede l’amore che si personifica, che è lo Spirito Santo.

Ora, mentre le azioni ad intra, cioè intratrinitarie sono necessitate, quelle ad extra sono del tutto libere. Ciò vuol dire che Dio non era affatto costretto a creare, eppure lo ha fatto. Dice santa Caterina da Siena: «Come creasti, dunque, o Padre eterno, questa tua creatura? Io sono grandemente stupefatta di ciò; vedo infatti, come tu ti mostri, che per nessuna altra ragione la facesti, se non perché con il lume tuo ti vedesti costringere dal fuoco della tua carità a darci l’essere, nonostante le iniquità che dovevamo commettere contro di te, o Padre eterno. Il fuoco dunque ti costrinse. O amore ineffabile, benché nel lume tuo tu vedessi tutte le iniquità, che la tua creatura doveva commettere contro la tua infinita bontà, tu facesti vista quasi di non vedere, ma fermasti l’occhio nella bellezza della tua creatura, della quale tu, come pazzo ed ebbro d’amore, t’innamorasti e per amore la traesti da te, dandole l’essere all’immagine e simitudine tua. Tu, verità eterna, hai dichiarato a me la verità tua, cioè che l’amore ti costrinse a crearla (…)”.»[8]


LA SOMMA BELLEZZA


La dimensione della bellezza

«La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta»

Benedetto XVI così disse ad un gruppo di artisti incontrati nella Cappella Sistina: L’autentica bellezza (…) schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé.”[9] Sono parole, queste, che esprimono molto bene la vera essenza della bellezza. E’ bello ciò che conduce verso l’oltre, verso un significato che possa rispondere pienamente alla dimensione di tutto. Ma per far sì che questo avvenga occorre che tale significato da dare alla dimensione del tutto si leghi a ciò che possa inglobare il tutto, che ne sia la vera ragione.

Le parole di Benedetto XVI, inoltre, colgono anche un’altra importante questione, ovvero quanto la bellezza, per essere veramente tale, debba legarsi al vivere. E’ bello ciò che risponde alla questione fondamentale dell’esistere. E’ bello ciò che attiene alla questione del senso della vita. Ora, dal momento che la vita non può essere davvero “risolta” se non in un Significato che vada oltre l’ hic et nunc, cioè che vada oltre il limite umano per approdare verso l’Infinito, è bello ciò che conduce verso questo Infinito.

La bellezza è dunque nostalgia del divino. Intendendo per nostalgia non un ricordo di ciò che già si è assaporato, così come la poteva intendere Platone con la sua teoria delle idee, bensì un “marchio” di provenienza: l’uomo ha nostalgia del divino in quanto dal divino “proviene” perché da Dio è stato creato; e la bellezza come nostalgia del divino è nell’identificazione del divino con la bellezza.

Dio è bellezza

Sant’Agostino definisce Dio “bellezza”. Egli ha scritto nelle Confessioni: “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato.”[10] Il Santo di Ippona non parla del suo incontro con Dio sottolineandone una dinamica esclusivamente intellettuale, astratta, puramente concettuale, bensì vuole significare quasi fisicamente questo incontro, ne vuole evidenziare la dimensione dell’abbraccio, la dimensione sensibile, quasi “carnale”, arrivando appunto ad appellare Dio come “bellezza”. Tanto è vero ciò, che c’è un prosieguo a queste parole: “Tu mi chiamasti, e il tuo gridò perforò la mia sordità. Tu balenasti, e il tuo fulmine dissipò la mia cecità. (…) Tu mi toccasti, e il desiderio di Te non fece che aumentare.”[11] Sant’Agostino parla addirittura di esser stato “toccato” da Dio, ovvero il Signore si è talmente fatto presente nella sua vita, lo ha abbracciato talmente, da non aver potuto resistere a quell’incontro.

Questo perché il Dio del Cristianesimo non solo è vero, ma è anche buono e bello. Si tratta di proprietà legate fra loro costitutivamente ma anche logicamente; tant’è che si potrebbe anche dire che Dio è buono e bello proprio perché è vero. La bontà e la bellezza sono costitutive nella natura di Dio, sono entrambe coeterne, ma logicamente conseguono alla verità di Dio, ovvero al suo essere logos, al suo essere verità immutabile, al suo essere ragione-di-tutto-ciò-che-esiste e che non può patire alcuna contraddizione. Il Prologo di San Giovanni dice chiaramente che in principio è il Verbo (cioè il Logos) e il Verbo è la luce che splende e che dissipa le tenebre. Il Verbo, dunque, è anche luce, ma è luce in quanto Verbo, cioè in quanto è verità.

La bellezza non può essere legata a stati d’animo contraddittori, per cui, relativamente a come ci sentiamo, dovremmo giudicare diversamente le cose. No. Se fosse così, non potremmo avere nemmeno un’oggettiva idea di felicità e di tristezza, cosa che invece è evidente nella nostra natura. Quando l’uomo è triste, riconosce la sua tristezza e la riconosce perché la compara a quello stato d’animo di felicità e di appagamento che ha già sperimentato; così come quando è felice, riconosce la sua felicità perché la compara a quello stato d’animo di tristezza e di sconforto che ha già sperimentato. Dunque, così come la felicità non è legata alla dimensione volitiva, né tantomeno può scaturire da una decisione della volontà, così è anche per la bellezza. La bellezza è legata alla verità, all’immutabilità, al fondamento. Dio è bello in quanto è vero, in quanto è immutabile, in quanto è logos, in quanto è ragione di tutto non suscettibile di contraddizione.

La natura è bellezza

Nel Genesi si parla dello Spirito di Dio che si fa artefice e modellatore di tutto, trasformando (particolare importante) il chaos in kosmos, cioè il disordine in ordine.[12] Ma non solo. Questo Spirito comunica bontà alle cose che crea. Ripetutamente il Genesi afferma che Dio giudica il creato come “cosa buona”.[13] Tutto il creato è buono perché Dio è buono. Tutto il creato è bello perché Dio è bello. Ci sono delle parole di Giovanni Paolo II che ben esprimono ciò che stiamo dicendo. Sono parole che rivolse agli artisti: “Cari artisti, voi ben lo sapete, molti sono gli stimoli, interiori ed esteriori, che possono ispirare il vostro talento. Ogni autentica ispirazione, tuttavia, racchiude in sé qualche fremito di quel “soffio” con cui lo Spirito creatore pervadeva sin dall’inizio dell’opera della creazione. Quando l’artista realizza la sua opera lo raggiunge una sorta di illuminazione interiore, che unisce insieme l’indicazione del bene e del bello, e risveglia in lui le energie della mente e del cuore, rendendolo atto a concepire l’idea e a darle forma nell’opera d’arte. Si parla di momenti di grazia, perché l’essere umano ha la possibilità di fare una qualche esperienza dell’Assoluto che lo trascende.”[14]

Dunque, l’artista (ma dovremmo dire: il vero artista) compie nel piccolo e nel già-creato ciò che Dio ha compiuto agli inizi, nell’opera creatrice per eccellenza. Come Dio, per analogia, ha comunicato alla realtà creata la sua natura, cioè la sua verità, la sua bontà e la sua bellezza; così anche l’artista deve con la sua arte unificare il vero, il buono e il bello.

La bellezza è espressione visibile del Bene

Vi è un grande problema originatosi con la modernità prima e con la postmodernità dopo: venendo progressivamente meno il metafisico come fondamento imprescindibile sia per lo sviluppo del pensiero e sia per la comprensione dell’agire (è appunto il “In principio era il Verbo” del Prologo di San Giovanni), la concezione del bello non solo ha perso, altrettanto gradatamente, i canoni dell’oggettività (cioè il rapporto con il Vero), ma anche i canoni morali (cioè il rapporto con il Bene).

Nella già citata Lettera agli artisti del 4 aprile 1999, Giovanni Paolo II dà un giudizio ben preciso sulla bellezza: “(la bellezza) è in un certo senso l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza. Lo avevano ben capito i greci che, fondendo insieme i due concetti, coniarono una locuzione che li abbraccia entrambi: ‘Kalokagathia’, ossia ‘bellezza-bontà’.”

Prendiamo in considerazione i bambini. Questi solitamente non distinguono i termini “buono” e “bello” e “cattivo” e “brutto”. Se una cosa buona, dicono spesso: “è bella!” Così se una cosa è cattiva, dicono: “è brutta!” Si tratta di un modo di non distinguere perché il bambino non pone l’osservazione nella dinamica della dimensione intellettuale, nel senso che il suo conoscere è soprattutto incentrato sul guardare ed eventualmente sullo stupirsi e sul meravigliarsi. Nei bambini la dimensione intellettuale si conserva strumento del vedere e del conoscere, senza che fagociti l’osservazione. Quando, infatti, la dimensione intellettuale si rende dominante, arrivando ad esautorare lo sguardo, si cade in quella prospettiva chiamata “intellettualismo”, che è la degenerazione della giusta utilizzazione dell’intelletto. Ed ecco perché i bambini quando osservano, giudicano; e così, quando vedono il bello, lo collegano immediatamente al buono, come quando vedono il brutto, lo collegano immediatamente al cattivo.



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[1] Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti della scienza a Ratisbona, 12.9.2006.

[2] “Dio Padre si contempla nel Figlio (verbo) e si ama: quest’amore che unisce ineffabilmente il Padre col Figlio, costituisce un terzo termine, che si chiama Spirito Santo. La seconda processione ha come principio il Padre e il Figlio, come termine lo Spirito Santo. E così il Figlio procede dal Padre, lo Spirito Santo dal Padre e dal Figlio insieme.” (P.Parente – A.Pionati – S.Garofalo, Dizionario di Teologia Dommatica, Editrice Studium, Roma, 1957, IV edizione, voce: “Trinità”, p.420).

[3] Cfr. il mio Studiare le religioni per rafforzare la Fede, 2a edizione ampliata, Studi apologetici Joseph oboedientissimus, Benevento, 2010, pp.177-179.

[4] “Circumnsessione è la mutua immanenza delle tre Persone divne, nessuna delle quali può stare senza le altre: nel Padre è il Figlio e viceversa; nello Spirito Santo è il Figlio e il Padre e viceversa. La ragione dell circuminsessione è l’unità numerica dell’essenza divina comune alle tre Persone.” (P.Parente – A.Piolanti – S-Garofalo, Dizionario di Teologia Dommatica, cit., voce: “Circuminsessione”, p.73)

[5] T.S.Eliot, East Cocker, III tempo.

[6] Benedetto XVI, Incontro in preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù in piazza S. Pietro, 6-4-2006.

[7] Il positivismo giuridico afferma che non c’è altra legge se non la legge positiva (cioè posta dallo Stato), non c’è altra legge che la legge scritta. Insomma, non c’è altra legge che la legge dello Stato. Il che vuol dire che ciò che conta è solo la conformità a tale legge. Dunque, è del tutto legittimo quel governo che si afferma attraverso le procedure dell’ordinamento giuridico, indipendentemente dalle sue decisioni. Attenzione: il positivismo giuridico afferma che bisogna conformarsi alla legge positiva, non necessariamente alla legge giusta. Ciò che conta non è il contenuto della legge, ma la sua forma. Il maggior rappresentante del positivismo giuridico è l’austriaco Hans Kelsen (1881-1973).

[8] CATERINA da SIENA, Orazione V.

[9] Benedetto XVI, Discorso agli artisti, 21.11.2009.

[10] Aurelio Agostino, Confessioni, X.

[11] Aurelio Agostino, Confessioni, X.

[12] Cfr. Genesi 1,3.

[13] Ivi

[14] Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 15, 4.4.1999. Un concetto di questo tipo ben lo espresse anche il famoso poeta Mario Luzi (1914-2005) che disse: “a un certo livello, verosimilmente il più alto, la parola del poeta tradisce la stessa origine e scaturigine della parola profetica.” (M.Luzi, La naturalezza del poeta. Saggi critici, Garzanti, Milano, 1995, p.154)


Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri