venerdì 8 agosto 2025

Il Papa deve difendere la fede e sradicare i falsi insegnamenti





Leone XIV, un pontificato temporaneo?


Di Don Claude Barthe, 7 ago 2025

[Res Novae.fr] «Simone, Simone, ecco, Satana ha cercato di vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Luca 22:31-32).

Abbiamo avuto modo di dire che il pontificato bergogliano, con la sua pomposità, potrebbe ben costituire, se non la fase terminale del periodo post-conciliare, almeno l’avvicinarsi della sua fine. A patto, naturalmente, che vi siano uomini di Chiesa che abbiano la necessaria determinazione a voltare pagina. In mancanza di ciò, e nel frattempo, possiamo sperare nell’adozione di una sorta di realismo provvisorio, in virtù del quale le forze cattoliche ancora esistenti verrebbero lasciate vivere e svilupparsi. Ma in ultima analisi, è al grande ritorno dell’ordine magisteriale che la Chiesa di Cristo aspira e che i suoi pastori devono preparare.

Un Papa per “allentare le tensioni”

I papi successivi al Concilio dedicarono tutte le loro energie a superare le fratture inevitabilmente causate dal crollo liberale della dottrina ecclesiologica e, dopo Francesco, di quella del matrimonio. Queste fratture dottrinali furono illustrate da quelle causate dalla riforma liturgica, anch’essa liberale e annacquata. Nessuna “ermeneutica” riuscì a ricomporre i pezzi del vaso rotto. Il messaggio missionario della Chiesa continuò a evaporare, mentre il numero dei suoi sacerdoti e dei suoi fedeli diminuiva. Inoltre, lo stile d’azione del pontificato di Francesco causò un caos diffuso.

È dunque, più che mai, il ritorno all’unità che si esige dal nuovo papa, uomo di riflessione, di preghiera, di ascolto attento, e anche impenetrabile. Ma quale unità? Quella sognata da chi lo ha portato al pontificato, tutti provenienti dall’ambiente conciliare, e per di più nel suo tono bergogliano, ovvero un consenso pacifico che comprende l’adesione alle grandi “conquiste”? O piuttosto l’unità attorno alla parola di Dio, “efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio” (Eb 4,12)?

Negli ultimissimi giorni prima del conclave di maggio, i giornalisti italiani notarono che il cardinale Prevost, un prelato autoproclamatosi serio e riservato, il cui nome era stato indicato dai più informati come quello che se ne sarebbe andato, sembrava particolarmente preoccupato. Lo si sarebbe potuto essere meno. La prospettiva di assumere la guida di una Chiesa nello stato in cui si trova non poteva che far tremare.

I cardinali che volevano fare il re avevano cercato un uomo di continuità, ma in modo diverso. Nonostante alcune frizioni passate, Papa Bergoglio ha saputo individuare le qualità di questo religioso agostiniano. Perché non si può negare a Francesco il suo carisma, la sua capacità di leadership, anche su questo punto, ovvero quello di saper preparare un successore diverso e rassicurante. Ha elevato in brevissimo tempo alla massima carica Robert Francis Prevost, che aveva individuato nel 2018 durante la sua visita apostolica in Perù. Ha affidato all’amministratore apostolico (2013) e poi vescovo (2014) di Chiclayo nel 2023 l’incarico di Prefetto del Dicastero dei Vescovi, ovvero l’incarico essenziale nel governo romano di fare i vescovi – e anche disfare i vescovi –, ancora più essenziale sotto il pontificato di Francesco che, con una determinata volontà politica, si è impegnato a rinnovare il corpo episcopale e il collegio cardinalizio. Meno di due anni prima della sua elevazione al soglio di Pietro, il vescovo Prevost divenne prefetto, cardinale, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina [1] .

Con Prevost, più peruviano che americano, era l’America Latina in Curia. Al suo fianco una figura chiave, l’influentissimo vescovo Ilson de Jesus Montanari, prelato brasiliano di 65 anni, segretario del Dicastero per i vescovi, efficiente funzionario, bergogliano della cerchia ristretta, nominato da Francesco nel 2013. Supervisionò – e supervisiona tuttora – la preparazione dei dossier dei vescovi da nominare e di quelli da dimettere, diventando, inoltre, segretario del Dicastero per i vescovi, segretario del Collegio cardinalizio e quindi chiamato a fare il segretario del conclave. Francesco lo aveva anche nominato vice-camerlengo della Chiesa (il camerlengo in questo caso era il cardinale Kevin Farrell, che ha diretto le questioni temporali durante la vacanza della sede). Nel complesso, Montanari, divenuto una sorta di segretario esecutivo del governo bergogliano, svolse un ruolo di primo piano nel periodo della sede vacante e normalmente avrebbe dovuto diventare cardinale durante la prima promozione operata da Leone XIV.

Sembra che i cardinali latinoamericani abbiano avuto un ruolo importante nella promozione del cardinale Prévost. Anche il cardinale Versaldi, già prefetto della Congregazione per l’educazione, gli ha spianato la strada al pontificato. Il cardinale Hollerich ha negoziato, dopo il primo scrutinio, il ritiro di Pietro Parolin in favore di Robert F. Prévost, che gli ha assicurato un’elezione clamorosa? Dopo l’elezione, Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, ha presentato il nuovo papa come il prescelto per scongiurare il rischio di disgregazione del cattolicesimo [2] . E Alberto Melloni, storico e capofila della scuola bolognese, ne ha sottolineato la riconosciuta capacità di “distendere le tensioni”, di “smussare gli spigoli” [3] .

Il 4 maggio, quattro giorni prima delle elezioni, don Antonio Spadaro SJ, del Dicastero per la Cultura e l’Istruzione, già direttore de La Civiltà Cattolica, scriveva in un articolo programmatico per La Repubblica: «La vera sfida non è l’unità ma la diversità», articolo che abbiamo già citato [4] : «Impegniamoci a fare delle nostre differenze un laboratorio di unità e comunione, di fraternità e riconciliazione, perché ciascuno nella Chiesa, con la sua storia personale, impari a camminare con gli altri [5] ». La Chiesa, come ogni realtà collettiva, non può più «esprimersi in modo uniforme e monotono», diceva Spadaro, «la coesione non può essere cercata nell’uniformità, ma nella capacità di accogliere e armonizzare la molteplicità».

È probabile che Leone XIV avesse una concezione della molteplicità armonizzabile meno estesa di quella di Antonio Spadaro, ma fu proprio per questo scopo, per armonizzare, per pacificare, che fu chiamato al Sovrano Pontificato. Il suo primo messaggio, la sera della sua elezione, conteneva la parola “pace” dieci volte, invitando a “costruire ponti attraverso il dialogo, attraverso l’incontro”. Lo stile e il vocabolario, molto più spirituali di quelli del suo predecessore, sottolineavano questo desiderio di pacificazione. C’è nel personaggio una felice miscela di semplicità, vicinanza alle persone e desiderio di incarnare la funzione con i suoi attributi simbolici.

L’assicurazione di Prévost che l’impegno della Chiesa nel processo sinodale sarebbe continuato ha giocato un ruolo importante nella sua elezione. Continuità, quindi, ma stabilizzata da una rifocalizzazione canonica e spirituale. Ad esempio, padre Alberto Royo Mejía, storico dei santi contemporanei, promotore della fede presso il Dicastero per le Cause dei Santi, è molto stimato dal nuovo pontefice, o padre Clodovis Boff, francescano brasiliano, che è stato uno dei grandi nomi della teologia della liberazione con il fratello Leonardo, quest’ultimo nel frattempo uscito dal clero. Un mese dopo l’elezione, il 13 giugno, Clodovis Boff indirizzò una lettera aperta a tutti i vescovi del CELAM, il Consiglio episcopale latinoamericano [6] , la cui 40ª assemblea ordinaria si era appena conclusa, a cui Leone XIV aveva indirizzato un messaggio. Clodovis li interrogò sul tema: avete capito cosa vi chiedeva il Papa? «Voi, vescovi del CELAM, ripetete sempre la stessa vecchia storia: sociale, sociale e sociale. E lo fate da 50 anni». E ha chiesto loro di portare «la buona novella di Dio, di Cristo e del suo Spirito», quella della «grazia e della salvezza», della «preghiera e dell’adorazione, della pietà verso la Madre del Signore» e altri temi simili.

Dobbiamo cogliere la complessità delle posizioni e renderci conto che non ci stiamo allontanando dalla linea di Bergoglio. Clodovis Boff, nel 2007, quando la V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano si riunì presso il santuario mariano brasiliano di Aparecida, partecipò con l’arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Bergoglio, che presiedeva la commissione incaricata di redigere le conclusioni della conferenza, all’offensiva contro il “riduzionismo socializzante” della teologia della liberazione. Perché, contrariamente alle approssimazioni, Jorge Bergoglio il peronista era antimarxista.

Una liberalizzazione della liturgia tradizionale come passo?

Se l’indecifrabile Leone XIV intende “allentare le tensioni”, un maggiore spazio di libertà potrebbe aprirsi a tutte le tendenze, in modo controllato, dopo una cauta attesa. Ma tutti lo auspicano, sia i prelati tedeschi, guidati dal progressista vescovo Georg Bätzing di Limburgo, sia i fautori della liturgia tradizionale.

Che la liturgia tradizionale possa trovare un po’ di respiro è tanto più plausibile in quanto sarà più facile per Leone XIV concedere a coloro che vi sono legati libertà che possono essere analizzate come tolleranze rassicuranti, ponti gettati per accogliere tutti, senza dover prendere posizione sulla sostanza. È vero che in Francia, un buon numero di vescovi, per i quali il mondo tradizionale è percepito come una concorrenza insopportabile, non sono pronti a questo e si attengono a una linea massimamente riduzionista. Il loro desiderio di ridurre il più possibile la presenza nelle loro diocesi di un clero specializzato nella liturgia antica e in grado di fornire tutte le altre cure pastorali e catechetiche persisterà, anche se i rapporti di forza diventeranno gradualmente più favorevoli al rito antico, ad esempio nelle città di provincia.

Infatti, se Leone XIV, conciliarista senza scrupoli, non ha la vicinanza che Benedetto XVI aveva acquisito con una parte del mondo tradizionale, il suo desiderio di pacificazione potrebbe unirsi a quello dei fautori di un liberalismo “di sinistra”. Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, presidente della Conferenza episcopale italiana, membro di spicco della Comunità di Sant’Egidio, è un buon esempio di un’apertura di questo tipo, che può essere paragonata al pensiero di padre Spadaro. Quest’ultimo arrivò persino ad accogliere con favore, nell’articolo sopra citato, il fatto che papa Francesco avesse concesso possibilità sacramentali ufficiali alla Fraternità San Pio X. Quanto al cardinale Zuppi, non esitò a celebrare pontificalmente in rito antico, e arrivò persino a presiedere, nel 2022, la cerimonia di apertura del pellegrinaggio Summorum Pontificum a Roma. A differenza dei vescovi francesi che preferirebbero vedere i tradizionalisti unirsi al mondo lefebvriano, Zuppi (e Leone XIV?) ritiene che sia meglio per i fruitori della liturgia tradizionale rimanere “dentro”, piuttosto che svilupparsi “fuori” in modo incontrollabile.

Può il nuovo pontificato evitare di dare maggiore libertà, non solo ai tradizionalisti, ma più ampiamente a ciò che con una certa esagerazione viene chiamato “le forze vive della Chiesa”, l’insieme delle tendenze cattoliche che oggi riempiono le chiese di fedeli, in particolare giovani, famiglie numerose, che producono vocazioni sacerdotali e religiose, che provocano conversioni, in Francia, ad esempio, la comunità dell’Emmanuele, la comunità di San Martino, alcuni fiorenti monasteri di religiosi e religiose contemplativi?

Esiste, tuttavia, un paradosso, persino un rischio, per coloro che rivendicano la libertà della liturgia tradizionale e del catechismo tradizionale, nel vedersi così accordata l’autorizzazione alla cattolicità liturgica e dottrinale. Abbiamo già avuto occasione di evocare l’esempio della situazione paradossale emersa nel XIX secolo , nel sistema politico francese, dove i più strenui sostenitori della Restaurazione monarchica, nemici per principio delle libertà moderne portate dalla Rivoluzione, lottarono costantemente per ottenere uno spazio di vita e di espressione, la libertà di stampa, la libertà di educazione. A parità di condizioni, nel sistema ecclesiale del XXI secolo, almeno nell’immediato, un allentamento del dispotismo ideologico della riforma potrebbe essere benefico.

Ma piuttosto che preoccuparci del rischio che comporterebbe per l’opposizione alla riforma liturgica la maggiore libertà di cui potrebbe beneficiare, dobbiamo soprattutto considerare che, se può essere proficua a breve o medio termine per questa opposizione, essa non può che essere, in ultima analisi, radicalmente insoddisfacente.

Aspettando Pio XIII…

“Il contenuto delle sue dichiarazioni [di Papa Leone] implica fortemente che egli intenda proseguire sul cammino di Papa Francesco per costruire una Chiesa sinodale. Leone ha indicato che l’accordo del Vaticano con la Cina sulla nomina dei vescovi continuerà. Ha anche continuato a promuovere l’enciclica di Francesco Laudato Si’ e l’appello del suo predecessore alla cura del creato. Leone ha attinto al messaggio pastorale dell’esortazione di Francesco Amoris Laetitia che è stata molto diffamata dai critici, affermando che promuovere l’incontro con Dio “non significa dare risposte affrettate a domande difficili, ma avvicinarsi alle persone, ascoltarle e cercare di capire” [7] .” Leone XIV, è un fatto, è responsabile dell’eredità di Francesco. Questa eredità, conciliare nella sostanza, se prescindiamo dalla sinodalità che resiste a ogni tentativo di definizione precisa e di impegno ecologico, può essere riassunta in tre testi: Amoris lætitia e Fiducia supplicans, sulla morale del matrimonio, e Traditionis custodes sulla liturgia tradizionale.

Riguardo alla moralità del matrimonio, sappiamo che Leone XIV è ostile alle benedizioni delle coppie omosessuali. Ma dobbiamo sapere che le benedizioni delle coppie irregolari, permesse dal n. 31 della dichiarazione Fiducia supplicans [8], riguardano essenzialmente le coppie divorziate e “risposate”. Le poche coppie omosessuali che chiedono una benedizione nascondono la foresta di coppie adultere che fanno pressione sui parroci affinché la benedizione funga da “matrimonio in chiesa”, e che in molti casi la ottengono. In effetti, Fiducia supplicans corrobora l’esortazione apostolica Amoris Laetitia, che è incontestabilmente un’approvazione del degrado del matrimonio cattolico. Tutta la difficoltà di Amoris Laetitia è concentrata nel n. 301 [9] , da cui potremmo trarre la seguente proposizione: alcuni di coloro che vivono in adulterio, anche se conoscono la norma che stanno trasgredendo, potrebbero non essere in stato di peccato mortale. Leone XIV dovrebbe accogliere questo insegnamento bergogliano, che mina gravemente la sacralità del matrimonio. Aggirarlo abilmente indirettamente non sarà sufficiente a invalidarlo. Dovrà necessariamente approvarlo o annullarlo.

La Chiesa è infatti depositaria del contenuto della Rivelazione e della dottrina della fede e della morale a cui è necessario aderire per essere salvati. La sua unità si costruisce attorno a questa dottrina che il Papa, Successore di Pietro, e i vescovi, successori degli Apostoli, sono incaricati di insegnare. In difesa della fede, non ci si può accontentare di dichiarazioni che attenuino tale eterodossia o la controbilancino con insegnamenti contrari che tuttavia permettano all’insegnamento corrotto di permanere. È necessario, per la salvezza delle anime, sradicare il falso insegnamento.

Questi nodi formati da Papa Francesco non sono forse paradossalmente provvidenziali? L’obbligo, se assolto da Leone XIV, di sistemare opportunamente questa eredità bergogliana offrirebbe l’opportunità di tornare a un magistero pienamente autorevole, separando in nome di Cristo il vero dal falso su tutte le questioni controverse della morale familiare, dell’ecumenismo, ecc. Distinguendo non solo ciò che è cattolico da ciò che non lo è, ma chi è cattolico da chi si dice cattolico e non lo è. Altrimenti, continueremo a non sapere dove sta l’esterno e dove sta l’interno di una Chiesa sommersa da una sorta di neocattolicesimo senza dogma.

Concedere la libertà della tradizione liturgica e di tutto ciò che ne consegue è certamente eminentemente auspicabile, ma come soluzione provvisoria. La vera medicina che il popolo cristiano ha il diritto di aspettarsi dal Papa è il servizio dell’unità in quanto tale, un servizio positivo attraverso la definizione delle verità da credere, un servizio negativo attraverso la condanna degli errori da respingere. Perché se la regola oggettiva dell’unica fede è la Parola di Dio, è il magistero del solo Papa o del Papa e dei vescovi uniti a lui che fa conoscere il contenuto del messaggio della Rivelazione e che rende obbligatorio aderirvi. Non è forse compito del Successore di Pietro confermare i suoi fratelli (Lc 22,31-32)? I suoi fratelli vescovi per primi. Spetta inoltre ai suoi fratelli nell’episcopato interrogarlo, sollecitarlo e persino anticiparlo nelle chiarificazioni e nelle condanne dottrinali, sotto l’arbitrato ultimo della sua parola definitiva di Successore di Pietro.

Per questo grande ritorno all’esercizio del magistero ordinario e universale – ed eventualmente del magistero solenne – in luogo di questo magistero autolimitante che è il magistero pastorale, il problema estremamente delicato e irritante della disputa liturgica potrebbe svolgere un ruolo decisivo. Grazie a Papa Bergoglio, la questione è diventata molto semplice: l’intero approccio repressivo della Traditionis Custodes si basa infatti sul suo articolo 1: “I libri liturgici promulgati dai Santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”. L’adagio lex orandi, lex credendi, coniato al tempo della crisi pelagiana riguardo al potere della grazia, significa che si trovano nelle preghiere della Chiesa formule che esprimono ciò in cui essa crede.

L’adagio è generalmente valido [10] . Secondo la Traditionis custodes, a causa della riforma, la liturgia romana prima di questa riforma avrebbe quindi perso il suo status di lex orandi. Ripetiamo: è eminentemente auspicabile che il nuovo papa conceda a questa liturgia più libertà, direttamente o indirettamente. Ma ciò concesso, resta il fatto che nella Chiesa viene ora insegnata la seguente proposizione: i libri liturgici in vigore prima della riforma di Paolo VI non esprimono la lex orandi del Rito romano. La questione che il magistero della Chiesa è ora tenuto a decidere è la seguente: questa proposizione è vera o falsa? Nella seconda ipotesi, deve essere condannata. Con le conseguenze che ne deriveranno.



(Foto di Proinséas, wikicommons)



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