mercoledì 30 novembre 2022

Il business del Frankestein Food. Il cibo artificiale come via al transumanesimo





 

Di Wanda Massa 30 NOV 2022

Il 10 novembre 2022, Coldiretti, la più importante organizzazione di imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo, ha promosso una raccolta firme contro il cibo sintetico.

Nonostante si tratti di una ricerca estremamente costosa – il primo hamburger in provetta, prodotto nel 2013 è costato 300.000 dollari – gli investimenti sulla carne artificiale sono centuplicati nell’ultimo decennio, raggiungendo i 1,4 miliardi di dollari nel 2021, mentre il numero degli investitori privati interessati al business è in costante crescita.

Secondo gli analisti di McKinsey, circa 350 milioni di dollari durante l’anno della pandemia sono stati stanziati da grandi player come Tyson e Nutreco, aziende internazionali del settore delle proteine animali e holding finanziarie come Temasek e SoftBank. Le startup operative nel settore sono quasi cento e l’attore Leonardo Di Caprio, attivista per lo sviluppo sostenibile, ha di recente investito su Aleph Farms e Mosa Meat, due società, rispettivamente israeliana e svedese, impegnate nella produzione di carne ricavata da cellule bovine modificate (rif: qui).

Il business del cosiddetto Frankestein food coinvolge in primis le multinazionali della tecnologia (Big Tech) e i colossi della finanza mondiale; il pregevole video informativo prodotto dal Centro Studi Divulga per la Coldiretti, cita ad esempio:

Bill Gates (fondatore di Microsoft)
Eric Schmidt (cofondatore di Google)
Peter Thiel (cofondatore di PayPal)
Marc Andreessen (fondatore di Netscape)
Jarry Yang (cofondatore di Yahoo)
Vinod Khosla (cofondatore di Sun Microsystems)

Da tempo è in atto una diffusa campagna mediatica in favore del cibo sintetico, perché sarebbe maggiormente conforme alle esigenze dell’ideologia ecologista e animalista, tanto che a Singapore già nel 2020 è stata autorizzata la commercializzazione di polpette di pollo artificiale.

Il video della Coldiretti smonta gli argomenti a favore della carne in provetta e mostra, invece, come la sua diffusione rischi di condurci ad una catastrofe alimentare, umana, sociale e ambientale senza precedenti.

La carne sintetica infatti è un prodotto artificiale e ingegnerizzato: viene ottenuta a partire da fasce di fibra muscolare, coltivate attraverso la fusione di cellule staminali embrionali. La crescita avviene in un bioreattore, sviluppando le cellule in vitro.

Gli eufemismi “carne coltivata” o “carne pulita” utilizzati per propagandare la bistecca artificiale sono assolutamente fuorvianti.

La carne sintetica rispetto a quella naturale richiede un consumo superiore di energia e di acqua; il metano degli allevamenti rimane nell’atmosfera per circa 12 anni, mentre l’anidride carbonica dell’industria della carne sintetica persiste e si accumula per millenni, senza contare i residui chimici e organici, estremamente inquinanti, che vengono rilasciati nell’ambiente.

Non è neppure vero che la bistecca in laboratorio riduca la sofferenza animale, infatti il procedimento utilizzato per l’estrazione dei tessuti, prevede che, dopo la macellazione della vacca madre, venga prelevato il feto di età gestazionale superiore a 3 mesi e si proceda all’estrazione dei relativi tessuti dalla creatura viva, senza la somministrazione di alcuna anestesia per non alterare il prodotto.

Si tratta dello stesso procedimento utilizzato nella cannibalizzazione dei feti umani per l’impiego nell’industria farmaceutica (rif: qui), alimentare e cosmetica e da solo varrebbe per opporre legittima obiezione di coscienza al relativo consumo (rif. qui).

In definitiva, la verità che non viene pubblicizzata è che il Frankestein food:non salva gli animali perché viene fabbricato cannibalizzando i feti degli animali,
non salva l’ambiente perché inquina e consuma maggiori risorse,
non aiuta la salute perché non c’è alcuna garanzia che i prodotti chimici impiegati siano sicuri per il consumo alimentare ed è noto il potenziale cancerogeno delle cellule staminali embrionali,
è costosa, quindi non è accessibile a tutti,
da ultimo, non è neppure propriamente carne ma, come ribadito, si tratta un prodotto sintetico e ingegnerizzato.

Purtroppo, non c’è solamente la bistecca in provetta. Ad essere a rischio è tutto il cibo: sono già avviate le ricerche per la produzione di uova, latte, pesce e formaggi artificiali.

La società Remilk, ad esempio, intende aprire una fabbrica chimica in Danimarca per la produzione di latte sintetico realizzato in laboratorio senza mucche. In Germania si lavora a bastoncini di sostanza ittica coltivati in vitro senza aver mai neppure visto il mare, mentre negli Usa si sta sperimentando il sushi in provetta (rif. qui).

Spostare i sistemi alimentari verso la carne sintetica penalizza gravemente agricoltori e consumatori, infrange lo straordinario legame tra cibo e natura e dissolve il patrimonio di arte e tradizione culinaria, per cui il nostro paese è noto e apprezzato in tutto il mondo.

È il momento di reagire per scongiurare questo ulteriore incubo per noi e i nostri figli.

È possibile firmare la petizione per una proposta di legge che vieti la produzione, uso e commercializzazione della carne sintetica in Italia direttamente presso la sede della Coldiretti più vicina, oppure collaborare nella raccolta delle firme mediante l’utilizzo del modulo che si può richiedere per mail.

“Le bugie sul cibo in provetta confermano che c’è una precisa strategia delle multinazionali che con abili operazioni di marketing puntano a modificare stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “siamo pronti a dare battaglia poiché quello del cibo Frankenstein è un futuro da cui non ci faremo mangiare”.








Il diavolo può sconvolgere le leggi naturali per far apparire il Signore come spietato




 30 NOVEMBRE 2022


Da La Sacra Scrittura. Commento a Giobbe, di don Dolindo Ruotolo


Quello che Satana tentò contro Giobbe per farlo bestemmiare, lo tenta anche oggi, e sconvolge le leggi naturali per far apparire il Signore come spietato. (…) Noi dobbiamo essere accorti e capire che certi disastri sono prodotti dallo spirito maligno, per farci venir meno nella sottomissione e nell’amore che dobbiamo al Signore. Satana può fare scrosciare la pioggia quando tu desideri il sereno, per poi tentarti, farti impazientire e farti disperare; può spingere i perversi contro di te, può eccitarli a rubarti, a farti del male, a tramarti insidie, per scuotere la tua fede e la tua fiducia.

Certe sventure naturali hanno proprio il carattere diabolico, e noi non dobbiamo essere così stolti da ribellarci al Signore, ma proprio allora dobbiamo adorare i suoi giudizi e dobbiamo rendergli testimonianza di amore e di fede. Quante bestemmie si dicono allorché il terremoto, la frana, l’eruzione, la voragine, la valanga devastano una regione! Eppure quelle sventure sono quasi sempre promosse da Satana che vuole screditare la divina Provvidenza! Satana si nasconde accuratamente dietro le leggi naturali e non si fa scorgere, affinché gli uomini rimangano scossi nella loro fede e maledicano Dio.

Anche nelle cose più comuni può entrarci lo spirito maligno, anche in un cavallo che s’impenna, in una macchina che rovina, in una sventura che sembra iattura, in un ladrocinio, in un ferimento, in una calunnia.

E’ necessario rimanere calmi e sottomessi alla divina Volontà, perché allora Satana se ne fugge e la nostra tribolazione si muta in bene come si mutò quella del santo Giobbe. Certo non è a caso che Dio ci ha lasciato un esempio così impressionante di quello che può lo spirito nella nostra vita, e noi non possiamo fare i superuomini, negando l’intervento diabolico, per capitare così nelle sue reti e gettarci in braccio alla disperazione.




Fonte 








martedì 29 novembre 2022

Ecco la mia storia di conversione al cuore di Gesù, per intercessione di Maria




29 NOV 22

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by Aldo Maria Valli

Cari amici di Duc in altum, ho ricevuto una bella testimonianza e mi fa piacere, specie in questo tempo di Avvento, condividerla con tutti voi. Per ragioni di riservatezza ho omesso il nome della protagonista. Mi sembra significativo che le persone si aprano così attraverso il blog. Ormai siamo una comunità nel senso più vero della parola. Buona lettura.

***
Testimonianza 
  

Caro Valli,

desidero raccontarle la mia storia di conversione, di ritorno a Cristo.

Nasco formalmente cattolica, ma fino a due anni fa ero annoverata tra i “non praticanti”, qualunque cosa significhi questo termine, perché oggi si tende a definirsi così per non vedere la verità per come è, ossia che se credi allora devi anche praticare, altrimenti non credi.



A Messa “quando me la sento”, confessione non pervenuta e preghiere ogni tanto. Questa ero. Ho sempre voluto bene al Signore, ma sostanza poca.

Fino a due anni fa, dicevo. Ma se devo essere onesta questa storia d’Amore inizia nel 2018, grazie alla Vergine Maria.



All’epoca mio figlio ha solo sei mesi e gli viene diagnosticata una rara forma di epilessia infantile. Vedo l’inferno in faccia: è la disperazione. Della malattia, rara, non si sa molto. Arrivati nel grande ospedale cittadino, corro a cercare una cappella. Appena dentro, piango tutte le lacrime che ho, chiedendo alla Vergine di aiutarmi. Chiedo al Signore di guarirmi il bambino, gli dico che non voglio niente dalla vita, né ricchezze né successi: voglio solo che i miei figli, in particolare lui, siano sani.



Deve sapere che quando si tratta di epilessia non è facile trovare la cura adeguata, specie in termini di dosaggio, almeno così mi hanno detto. E questa forma un po’ particolare avrebbe potuto causare ritardi nello sviluppo psicomotorio.

Uscita dalla cappella mi sento pervasa da una forza e una pace che non so spiegarmi. Aspetto che mio figlio si addormenti per pregare il Rosario: non so quanti ne dico!



Già dopo la prima iniezione di farmaco, con una dose bassissima, meno di 1ml, mio figlio sta bene. Nel giro di una settimana l’elettroencefalogramma torna regolare, nessuno spasmo, TAC al cervello nella norma Il primario del reparto di neurologia infantile mi dice che una guarigione così rapida non l’ha mai vista in quarant’anni di professione: ha più del miracoloso che dello scientifico.

Ad oggi mio figlio, che ha ormai cinque anni, è sano come un pesce e molto vispo.

Quella storia mi ha profondamente segnata, ma ha anche sancito il mio primo legame stretto con Maria. Avevo ancora una devozione debole, ma la Vergine è paziente e mi ha aspettata. Forse la Medaglia miracolosa che da allora iniziai a portare al collo mi ha attirato molte Grazie.

Arriviamo al 2020. L’infausto 2020. Grazie al terrorismo mediatico, mi trovo anch’io tra quelli che hanno paura perfino di respirare. Non tanto per me, quanto per i miei figli.



Ancora una volta chiedo aiuto alla Vergine e lei subito corre da me. Ricordo molto bene quei giorni. Le dico: “Salvami”.

Succede che un giorno qualcuno posta su Instagram lo screenshot di un video di YouTube con un sacerdote che tiene una catechesi su san Michele Arcangelo.

Incuriosita, data la mia passione per gli angeli, vado ad ascoltare e scopro che il sacerdote invita a fare la novena per il 29 settembre. Allora cerco su YouTube la novena e, arrivata sul canale di un santuario, inizio a pregarla. Finita la novena, il giorno dopo faccio la consacrazione a san Michele.

In quei giorni, intuendo che i mass media non ci stanno raccontando la verità, chiedo alla Vergine e a san Michele di potermi rendermi utile, di poter fare qualcosa. Voglio “combattere”. Ma nella mia testa è ancora tutto a livello umano.



Inizio ad ascoltare le catechesi sui dieci comandamenti proposte dai sacerdoti di quel canale YouTube e… Lo ricorderò finché avrò vita: sto lavorando e intanto ascolto il sacerdote parlare. D’un tratto mi blocco: un raggio luminoso mi apre la scatola dei ricordi.

Incomincio a vedermi come in un film. A osservare tutti i miei peccati commessi in passato. Tutti. Sin da quando ero piccola. Anche quelli che uno dimentica facilmente. L’esperienza dura una manciata di secondi, e ne esco più morta che viva. Mi vedo per quella che sono, e sto male.

Capisco che ho bisogno di confessarmi, ma provo molta vergogna. Cosa dirà il mio parroco? Dentro di me inizia quindi una lotta: la mente dice che devo andare, non dormo tranquilla, mi sento sporca. Ma qualcosa o qualcuno mi frena con la scusa della vergogna.

Un mio amico con molta dolcezza in quei giorni cerca di farmi capire che se andrò a confessarmi poi starò bene. Ma non sono del tutto convinta. Penso: dovrei cercare un prete che non conosco. E poi mi dico che alcuni peccati, i più brutti, li potrò sempre confessare in punto di morte. Ma devo trovare un sacerdote che non sia il mio parroco.



“Casualmente” quella settimana mi viene il desiderio di andare a messa nel pomeriggio. Ci vado e trovo un sacerdote molto anziano, un uomo che mi appare subito buono e mite. È novembre. L’omelia è sui Novissimi. Niente di peggio per chi è nella mia situazione. D’un tratto penso che potrei chiedere a questo prete di confessarmi, ma non appena la messa finisce lui se ne va. Ormai però sono decisa. Torno il giorno dopo e questa volta riesco a parlargli: prendo appuntamento per la confessione.

Senza nemmeno sapere cosa sia, faccio una confessione “generale”, come lui stesso mi chiede. Poi mi dice: “Ti ringrazio, perché mi hai raccontato una conversione.”

Come mi sento leggera dopo! Ho confessato tutto, anche i peccati che avevo in mente di dire solo in punto di morte.

Nel frattempo inizio, con fatica, le quindici orazioni di santa Brigida, per un anno. Distrazioni del maligno a non finire. Durante il santo Rosario sento bestemmie nella testa. Per cercare di concentrarmi imparo le preghiere in inglese, ma non cambia molto. Le brutte voci smettono quando imparo le preghiere in latino.



Vengo anche sottoposta a prove di fedeltà al Signore. Io sono assolutamente ignorante in campo teologico e dottrinale, ma ho delle intuizioni che mi guidano.

Il Signore inizia a quel punto a mandarmi messaggi. Per quasi due anni trovo scritta sento la frase di Ef 6, 12: “La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. Ogni giorno è così. La sento ovunque. Credo di impazzire. E non capisco perché.

Nel 2021 conosco una certa associazione. Decido di aderirvi, ma capisco presto che non è la mia strada. Avverto che dicono cose poco cattoliche. La prova è dura. Ripeto: non ho una formazione teologica o dottrinale, ma capisco quando c’è l’eresia. Il mio angelo custode, efficientissimo, mi dà sempre i consigli giusti. Deciso di allontanarmi da quel gruppo.

Inizio a frequentare la messa in rito antico, e la mia devozione cresce. Questa messa mi cambia profondamente. All’inizio non capivo il perché di tutti quegli inginocchiamenti, ma ora mi inginocchio a lungo anche alla messa parrocchiale novus ordo, e pazienza se altri, vedendomi, mormorano. Ho fatto investitura dello scapolare del Carmelo e consacrazione al Cuore Immacolato di Maria.

Alla fine ho capito solo qualche mese fa che cosa volesse dirmi il Signore con Ef 6, 12. Io ho sempre chiesto al Signore di permettermi di aiutare chi avesse bisogno, ma in modo orizzontale. E invece ad un certo punto ho finalmente compreso. Sono stata chiamata tra le schiere dei combattenti per fare una battaglia non sul piano fisico, ma su quello spirituale.

È la preghiera, il pregare per altri che aiuta nel progetto di Dio, nel progetto della Vergine. La mia fede doveva maturare. E quando finalmente sono arrivata alla comprensione, ho smesso di vedere e di sentire quella frase.

Mi son fatta carico delle esigenze degli altri, partendo dai miei famigliari, pregando per loro. Facendo novene. E sa cosa succede? Le richieste arrivano una dopo l’altra. Finita una novena ne inizio un’altra. E molti rosari.

Di fronte alla difficoltà di trovare il tempo di pregare di più, si è aperta la porta della preghiera contemplativa. Si è aperta da sola, senza che io dovessi sforzarmi. So solo che ho iniziato con una pia invocazione inventata da me e ora mi rendo conto che vado avanti a dirla continuamente. Ovviamente il combattimento spirituale riguarda anche me personalmente. Se uno vuol progredire nel cammino di perfezione non può rifiutarsi di combattere il maligno dentro di sé.

Il Signore mi ha fatto e mi fa ogni giorno molte grandi Grazie. Una veramente grossa me l’ha fatta l’anno scorso. Riflettendo sul mio passato sono scoppiata a piangere di dolore. Ero al lavoro e sono andata a nascondermi in bagno per piangere.

Non ne faccio motivo di vanto, mi considero sempre un nulla e sono ben lontana dalla perfezione cristiana che il Signore vuole da me. Ma mi sono resa conto di come per intercessione della Vergine, che mi ha presa nel Suo Cuore Immacolato, io stia camminando sempre più svelta verso il Cuore di Cristo. È Lei la porta del Cielo. Se non le avessi chiesto aiuto, non penso che sarei qui ora.

Ecco, questa è la mia storia.

Grazie.

Prego per lei e per tutti i lettori di Duc in altum.

Lettera firmata




lunedì 28 novembre 2022

Un sinodo senza scelta (quello tedesco)





28 novembre 2022



Problematiche imposte, incompetenza da parte dei delegati nominati con criteri discutibili, voti di parte... Una recente testimonianza offusca l'immagine di un sinodo tedesco fatto di progresso, libertà e trasparenza, e che dovrebbe rappresentare il volto della Cattolicesimo d'oltrereno.


Il presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) probabilmente avrebbe fatto a meno di queste nuove grane. Mons. Georg Bätzing, in visita ad limina a Roma, ha voluto spiegare al Sommo Pontefice le sue preoccupazioni per una presunta "incomprensione" del processo sinodale da parte del Vaticano: compito reso più difficile dall'intervento - probabilmente calcolato – da un gruppo di intellettuali tedeschi.


Un'élite contraria al Cammino sinodale


Neuer Anfang, o Rinascimento, riunisce eminenti laici che, lungi dall'essere tradizionalisti, sono tuttavia spaventati dagli abusi di una Chiesa in Germania che cammina a passo spedito e calpestando spudoratamente l'insegnamento infallibile della Chiesa e la sua divina Costituzione.

Una dei membri di questo gruppo, Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, direttrice dell'Istituto europeo di filosofia e religione dell'Università filosofica e teologica di Heiligenkreuz (Austria), vincitrice del Premio Ratzinger nel 2021, spiega come il treno del sinodo abbia deragliato: una testimonianza di prima mano, visto che la stessa filosofa ha preso parte alle riunioni sinodali.


"Sono stata designata dopo le nomine 'normali', quando è diventato chiaro che si desideravano solo opinioni specifiche. Alcuni vescovi hanno insistito per nominare fino a 20 persone al di fuori del mainstream ufficiale", dice Gerl-Falkovitz.


Dove si capisce, tra le righe, che i dadi erano truccati fin dall'inizio, e che gli organizzatori del sinodo hanno voluto imporre i temi più trasgressivi. Ma per la nostra filosofa le sorprese non erano finite: "I problemi sono emersi chiaramente durante la prima sessione nella primavera del 2021. I primi auspici riguardavano già l'omosessualità, di farla accettare, e l'accesso illimitato per le donne al sacramento dell'Ordine".


Delegati politici, incompetenti in materia religiosa


C'erano dei progetti progressisti che restavano da far passare solo facendo affidamento sulle carenze dei delegati sinodali. Riguardo allo ZdK, il Comitato centrale dei cattolici tedeschi, partner della Conferenza episcopale per il sinodo, la dott.ssa Gerl-Falkovitz ne riconosce l'utilità nella rappresentanza politica dei cattolici tedeschi, ma non per una riforma della Chiesa.


Così, i membri dello ZdK "sono lungi dall'avere tutte le competenze richieste in teologia, molti provengono dal mondo degli affari, o da organizzazioni cattoliche specializzate in questioni sociali: nessuno infatti rappresenta i cattolici tedeschi, poiché non sono stati scelti da questa parte della popolazione", precisa l'accademica tedesca.

Ma, prosegue la filosofa, "dopo la crisi degli abusi del 2018, ho l'impressione che i vescovi si siano sentiti impotenti e abbiano cercato disperatamente aiuto dai laici. Il problema è la regola [delle votazioni]: un uomo, una voce, indipendentemente dalla capacità teologica, pratica e devozionale, e indipendentemente dall'ordinazione o dai voti".


Deviazioni inammissibili


L'accademica indica anzitutto la struttura permanente, composta da chierici e laici, prevista per vigilare sulle diocesi. "Questo “Consiglio” permanente pone un grande problema: è assolutamente impossibile vedere come i laici siano teologicamente legittimati a guidare le diocesi con i vescovi. La legge ecclesiastica e la tradizione cattolica sono rigorosamente contrarie a questo concetto".


Rileva inoltre che il testo del riconoscimento dell'omosessualità come "dono di Dio", sebbene rifiutato dal voto dei vescovi, sarà ripreso da alcuni di loro nelle loro diocesi, con conseguente benedizione delle coppie omosessuali, e la loro partecipazione al servizio della Chiesa.


Il Papa deve parlare


Per la filosofa è tempo che Roma "ricordi la linea rossa da non oltrepassare", perché "le idee del cammino sinodale tedesco potrebbero agire come un virus che si diffonde in tutta la Chiesa". "Ho scritto personalmente al Papa", aggiunge. "Dovrebbe parlare chiaramente; tante persone in Germania non capiscono il suo giudizio e sono diventate incerte. Anelano alla chiarezza. Dovrebbe parlare chiaramente; la sua opinione è sfuggita a molte persone in Germania, che sono perplesse, poiché desiderano chiarezza".

Ma in Argentina, quanto altrove, si sa che è una perdita di tempo chiedere a un arbitro di annunciare la fine della partita finché non ha ritrovato il suo fischietto apparentemente fuori posto...


(Fonte: National Catholic Register – FSSPX.Actualités)





domenica 27 novembre 2022

La perdita dolorosa del dott. Ulderigo Morandi

 

Foto della prima Messa in rito antico a Pistoia,
nella chiesa della Madonna del Carmine,
il 23 ottobre 2010



Il dott. Ulderigo Morandi il 25 novembre è mancato all’affetto dei suoi cari e delle persone che lo hanno conosciuto e amato. 

Oltre ad essere stato uno stimato chirurgo, un uomo di valore e di profonda fede, padre e marito affettuoso, lo ricordiamo per essere stato promotore della Messa in rito antico a Pistoia. 

Fondatore nel 2010 dell’Associazione Madonna dell’Umiltà, gruppo di fedeli cattolici della diocesi di Pistoia che hanno applicato il motu proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI, della quale è stato per molti anni presidente. 

Una perdita dolorosa per tutti noi. 

Le esequie in rito antico saranno officiate in forma solenne dai sacerdoti dell’ICRSS nella chiesa di San Vitale (in via della Madonna 58 a Pistoia) alle ore 15:00 di lunedì 28 novembre 2022.



                   Gli amici dell’Associazione Madonna dell’Umiltà












Capire bene l’Avvento con il Catechismo di san Pio X e il cardinale Schuster





27 NOV 22


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by Aldo Maria Valli

Catechismo Maggiore di san Pio X. Dell’Avvento

1

D. Perché si chiamano Avvento le quattro settimane che precedono la solennità del santo Natale?

R. Le quattro settimane che precedono la solennità del santo Natale si chiamano Avvento, che vuoi dire venuta, perché in questo tempo la Chiesa ci dispone a celebrare degnamente la memoria della prima venuta di Gesù Cristo in questo mondo colla sua nascita temporale.

2

D. Che cosa ci propone la santa Chiesa a considerare nell’Avvento?

R. La Chiesa nell’Avvento ci propone a considerare quattro cose: le promesse che Dio aveva fatte di mandarci il Messia per la nostra salute; le brame degli antichi Padri, che ne sospiravano la venuta; la predicazione di S. Giovanni Battista, che esortata il popolo a far penitenza per disporlo a ricevere il Messia; l’ultima venuta di Gesù Cristo nella sua gloria per giudicare i vivi ed i morti.

3

D. Che cosa dobbiamo noi fare nell’Avvento per secondare le intenzioni della Chiesa?

R. Per secondare le intenzioni della Chiesa, nell’Avvento dobbiamo fare cinque cose: meditare con viva fede e con ardente amore il grande beneficio dell’incarnazione del Figliuolo di Dio; riconoscere la nostra miseria e il sommo bisogno che abbiamo di Gesù Cristo; pregarlo istantemente che venga a nascere e crescere spiritualmente in noi colla sua grazia; preparargli la strada colle opere di penitenza, e specialmente col frequentare i santi sacramenti; pensar sovente all’ultima terribile sua venuta, e in vista di questa conformare la nostra alla sua santissima vita per poter essere con Lui a parte della sua gloria.

*

Lo spirito di Avvento

A differenza della Quaresima, in cui predomina il concetto di penitenza e di lutto pel deicidio che va ormai consumandosi in Gerusalemme, lo spirito della sacra liturgia durante l’Avvento, al lieto annunzio della vicina liberazione, Evangelízo vobis gáudium magnum quod erit omni pópulo (Luc., II, 10.), è quello d’un santo entusiasmo, d’una tenera riconoscenza e d’un intenso desiderio della venuta del Verbo di Dio in tutti i cuori dei figli di Adamo. Il nostro cuore, al pari d’Abramo il quale exultávit, dice Gesù Cristo, ut vidéret diem meum, vidit et gavísus est (Joan., VIII, 56.), deve essere compreso di santo entusiasmo pel trionfo definitivo dell’umanità, la quale per mezzo dell’unione ipostatica del Cristo viene sublimata sino al trono della Divinità.

I canti della messa, i responsori, le antifone del divin Ufficio sono perciò tutti ingemmati di Alleluia; sembra che la natura intera, come la descrive pure l’Apostolo nell’attesa della finale parusia, “Expectátio enim créaturæ revelatiónem filiórum Dei expéctat“ (Rom., VIII, 19.) si senta come esaltata dall’incarnazione del Verbo di Dio, il quale, dopo tanti secoli d’attesa, viene finalmente su questa terra a dare l’ultima perfezione al capolavoro delle sue mani, Instauráre ómnia in Christo (Ephes., 1, 10.).



La sacra liturgia durante questo tempo raccoglie dalle Scritture le espressioni più vigorose e meglio atte ad esprimere l’intenso desiderio e la gioia colla quale i santi Patriarchi, i Profeti e i giusti di tutto l’Antico Testamento hanno affrettato coi loro voti la discesa del Figlio di Dio. Noi non possiamo far di meglio che associarci ai loro pii sentimenti, pregando il Verbo umanato che si degni di nascere in tutti i cuori, estendendo altresì il suo regno anche su tante regioni ove finora il suo santo Nome non è stato annunziato, ove gli abitanti dormono tuttavia nelle tenebre ed ombre di morte.



Cardinale A. I. Schuster, osb, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul messale romano, II, Torino-Roma, Marietti, 1930, pp. 109-113

__________

Fonte: centrostudifederici.org








sabato 26 novembre 2022

Cardinale Zen condannato, una vergogna per la Santa Sede



La prima condanna inflitta al cardinale Zen dal tribunale di Hong Kong è lieve ma con un grande significato politico e religioso. E a breve ci sarà un secondo processo per "cospirazione" che metterà ancora più in imbarazzo una Santa Sede che continua a mantenere un ingiustificabile silenzio per salvare l'Accordo con Pechino.




HONG KONG
EDITORIALI

Riccardo Cascioli 26-11-2022

Come previsto il cardinale Joseph Zen, insieme ad altri cinque imputati, è stato condannato dal tribunale di Hong Kong al pagamento di una sanzione per non aver registrato in modo corretto un fondo umanitario che ha assistito i protagonisti delle manifestazioni pro-democrazia del 2019. La pena è, tutto sommato lieve, 4mila dollari di Hong Kong (poco meno di 500 euro), quando il massimo della pena sarebbe stato quattro volte più salato, ma ha ovviamente un forte significato simbolico.

Ed è solo l’antipasto, perché il cardinale Zen dovrà a breve affrontare un processo ben più pesante, quello di “collusione” con forze straniere, sempre relativo al sostegno delle manifestazioni pro-democrazia, che la contestata Legge sulla sicurezza del 2020 considera reato molto grave. Anche qui, sebbene sarebbe assai improbabile la carcerazione del cardinale Zen data la sua età avanzata (quasi 91 anni), una eventuale condanna avrebbe comunque un significato politico e religioso enorme.

La vicenda è nota: il cardinale Zen, insieme agli altri imputati, aveva creato nel giugno 2019 il Fondo Umanitario 612 per fornire assistenza economica, psicologica, sanitaria alle persone arrestate o ferite durante le manifestazioni pro-democrazia. Le autorità di Hong Kong, con la Legge sulla sicurezza, hanno giudicato questo Fondo a carattere politico e non umanitario, contestando quindi la modalità di registrazione.

Il processo e la condanna del cardinale Zen sarebbe già un gesto grave in tempi normali, ma il fatto che a fare da contorno ci sia l’accordo segreto tra Cina e Santa Sede per la nomina dei vescovi, rinnovato appena un mese fa, rende tutta la vicenda uno scandalo enorme. Anzitutto per la Chiesa, che appare sottomessa al regime cinese, Chiesa che è disposta a barattare la propria libertà con il classico piatto di lenticchie di promesse nomine di vescovi, peraltro con il contagocce e fedeli al Partito comunista cinese. E infatti anche davanti a un clamoroso quanto iniquo processo a un cardinale, la Segreteria di Stato vaticana continua a mantenere un ingiustificabile silenzio. Oltretutto dando ragione a chi ritiene che a Roma non siano così tanto dispiaciuti visto che il cardinale Zen – molto critico sull’Accordo Cina-Santa Sede – è personaggio indigesto tanto a Pechino quanto in Vaticano.

Del resto, l’aumento della persecuzione contro i cattolici in Cina non frena in alcun modo il processo di apertura della Santa Sede a Pechino (apertura che appare evidente sia in una sola direzione) ed è difficile dare credito alla Segreteria di Stato vaticana quando continua a sostenere che si tratti soltanto di un accordo religioso: «Siamo stati rassicurati, e rassicurati, e rassicurati che il dialogo tra Vaticano e Cina riguarda solo questioni di tipo religioso, non politico», ha detto nei giorni scorsi alla Bussola il ministro degli Esteri taiwanese Jaushie Joseph Wu.

Ma malgrado la buona volontà di Taipei - con cui la Santa Sede mantiene le relazioni diplomatiche - che vuole collaborare con il Vaticano per favorire la libertà religiosa in Cina, appare abbastanza chiaro che il tema della libertà religiosa è passato in secondo piano a Roma, ed è inevitabile che l’accordo con Pechino abbia immediate ripercussioni politiche. Anche se in luglio la Santa Sede ha nominato un nuovo incaricato d’affari ad interim a Taipei (dal 1972 non risiede più un nunzio nell’isola) nella persona di monsignor Stefano Mazzotti, la mossa è stata controbilanciata dal rafforzamento della “missione di studio” a Hong Kong, che è diventata il vero punto di osservazione e consulenza sulla Cina.
E altri segnali hanno mostrato la progressiva presa di distanza della Santa Sede da Taiwan, come ha documentato Marinellys Tremamunno sulla Bussola, compresa l’imbarazzata e imbarazzante presenza di monsignor Paul Richard Gallagher (numero 2 della Segreteria di Stato) alla celebrazione a Roma per gli 80 anni delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Repubblica di Cina (Taiwan).

Tutti segnali inviati a Pechino per dimostrare che la Santa Sede è pronta a trasferire la sua rappresentanza diplomatica non appena il regime comunista lo desideri. E forse in Vaticano si spera che il silenzio a cui è costretto il cardinale Zen faciliti l’operazione. Probabilmente l’inciampo di questa prima condanna, lieve nella sanzione, può essere superato senza troppi danni, visto che le voci di protesta nella Chiesa non sono troppo alte; ma una nuova, prevedibile, condanna per “cospirazione” con forze straniere sarebbe ben più difficile da spiegare al mondo cattolico, per quanto addormentato esso sia.

Il cardinale Zen è una figura limpida, un pastore che non ha un approccio politico, ma si è sempre battuto per la libertà della Chiesa e in soccorso ai cattolici perseguitati; un pastore che sta dando la vita per la Chiesa cinese come tanti suoi santi predecessori in Cina. Farlo passare per un vecchio rompiscatole, che non capisce le esigenze dei cattolici cinesi, è solo l’ultima ignominia di una Cupola vaticana di cui, forse non a caso, sta emergendo tutto il marcio in un processo intentato all’interno dello stesso Vaticano.







venerdì 25 novembre 2022

Ma in Italia si può parlare di persecuzione anticattolica?







di Mauro Faverzani, 16 Novembre 2022 

Secondo l’art. 21 della Costituzione italiana, tutti avrebbero «diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione». Ma è proprio così? O anche in Italia serpeggia un mainstream sostanzialmente, magari subdolamente, avverso alla cultura ed anche alla sola presenza cattolica nel sociale? O anche qui si cerca di mettere il bavaglio a chiunque non voglia uniformarsi al coro e preferisca ragionare con la propria testa, col proprio cuore e con la propria fede? Possibile che quelle censure, quei boicottaggi, quelle aggressioni, di cui tante volte diamo conto su Corrispondenza Romana, non avvengano soltanto all’estero, bensì anche qui, nella democraticissima, civilissima, “cattolicissima” Italia?

Quanto accaduto negli ultimi anni indurrebbe a risponder di sì a questa serie di interrogativi, inquietanti certo, ma corroborati dai fatti.

Ciò che disturba molto è la presenza nel sociale del mondo e dei valori cattolici, specie quando significativa. Come dimenticare quando nel 2014, a Roma, la giunta di Centrosinistra dell’allora sindaco Ignazio Marino, che pur si definiva cattolico, negò la richiesta di patrocinio alla Marcia nazionale per la Vita col risibile pretesto della mancanza di fondi…? Niente wc chimici, niente volontari della Protezione Civile e neanche la distribuzione di bottigliette d’acqua ai partecipanti, che anzi han dovuto ripulire le strade dopo l’evento. Solo poche settimane dopo lo stesso primo cittadino accordò invece il patrocinio al Gay Pride tenutosi nella Capitale e partecipò anche personalmente alla manifestazione, facendo esporre in Campidoglio ed in tutte le sedi municipali le bandiere arcobaleno. Due pesi e due misure vergognosamente ideologiche ed inaccettabili.

E che dire dell’edizione 2019 sempre della Marcia nazionale per la Vita, seguita in diretta dall’emittente americana Ewtn, ma ignorata totalmente dalla televisione di Stato, la Rai? Si trattò di una censura scandalosa contro il maggior evento pro-life italiano, che pur fu in grado di richiamare a Roma migliaia di persone. Questo provocò il lancio di una petizione online di protesta, dimostratasi in grado di raccogliere in pochi giorni migliaia di adesioni.

Nel 2015 nuovo episodio di boicottaggio: niente patrocinio del Comune di Mogliano e niente comunicazione ai genitori degli alunni da parte dei dirigenti scolastici in merito ad un dibattito promosso dall’A.Ge.-Associazione Genitori sul tema dell’educazione all’affettività nelle scuole. Evidentemente c’è chi è convinto di poter infischiarsene di regole e regolamenti, quando si tratti di ostacolare e discriminare i fautori del no all’ideologia gender.

Nel 2016 nel mirino è finito il diritto all’obiezione di coscienza all’aborto: il Consiglio d’Europa ha accolto il ricorso presentato in merito dalla Cgil, atto definito «sconcertante» ed «assolutamente intollerabile» dall’Associazione Medici Cattolici Italiani e dalla Federazione europea delle Associazioni mediche cattoliche: «È intollerabile che la democrazia diventi demagogia – hanno scritto in una memorabile nota –. L’obiezione di coscienza è un diritto lecito e doveroso. Il medico non può compiere, contro la propria coscienza, azioni di soppressione della vita. Occorre ricordare che nessuna autorità politica può imporre ai medici ed agli operatori della Sanità azioni ritenute non necessarie e dannose; tanto meno nessuna legge può imporre loro di compiere azioni non condivise. Gli operatori sanitari sono chiamati dalla professione e dalla propria deontologia a curare e sostenere la vita sin dal concepimento e pretendono di essere rispettati nella propria autonomia. L’obiezione di coscienza è un diritto fondamentale della persona, costituzionalmente tutelato dall’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per cui l’intervento del Consiglio d’Europa si configura palesemente come violazione di una norma costituzionale e merita censura da parte dei cittadini europei».

V’è poi tutta l’azione di censura operata nel 2020 con la rimozione dei manifesti contro la pillola Ru486 già regolarmente affissi a Ravenna, a Milano e a Bergamo (circa quest’ultima, da due anni il sindaco, Giorgio Gori, non risponde all’interrogazione, presentata in merito dal consigliere comunale orobico Filippo Bianchi, che definisce tale prolungato ed ingiustificato silenzio «un’omissione di atti d’ufficio»).

Passiamo al mondo dei media: inutile soffermarci sulla derisione, sullo scherno, sull’aggressione, sull’ostilità, di cui nei talk show ed in molti programmi “d’informazione” presunta sono oggetto e bersaglio la morale ed i valori cattolici, poiché gli esempi sono per quantità, qualità e frequenza tanto numerosi, da non necessitare nemmeno di spiegazioni: a chiunque, accendendo il televisore, sarà prima o poi capitato d’imbattersi in casi di questo tipo. Ma anche nel cinema, benché ambiente più composto ed ovattato, non sono un mistero le difficoltà incontrate da due pellicole in particolare ovvero la prima nel 2013, Cristiada, sulle violente persecuzioni patite negli Anni Venti del secolo scorso dai cattolici messicani a causa del governo anticlericale e massonico del presidente Plutarco Elías Calles e la seconda nel 2021, Unplanned, che racconta la vera storia di Abby Johnson, ex- dipendente di una delle cliniche della multinazionale Planned Parenthood, divenuta pro-life convinta dopo aver scoperto cosa realmente accada, al di là delle menzogne, durante un aborto. Entrambi i film, pur potendo contare su cast d’eccezione e sull’impatto emotivo di vicende autentiche, benché “scomode”, sono state rifiutate, boicottate, ignorate in molti, troppi casi, nelle sale e sulla stampa. Ad Unplanned, oltre tutto, il Ministero dei Beni Culturali ha inflitto un’assurda censura, vietandone la visione ai minori di 14 anni, negli stessi giorni in cui al Festival di Venezia veniva premiata col Leone d’Oro una pellicola filo-abortista, assolutamente frutto di fantasia. A 14 anni, a quanto pare, in Italia si può abortire, ma non guardare un film, che spieghi cosa sia davvero l’aborto e quali le sue conseguenze.

Venendo ai nostri giorni è possibile annoverare tra i fatti di (triste) cronaca la Sala della Promoteca in Campidoglio negata a fine ottobre ai promotori pro-family di un convegno sui temi della disforia di genere e della riassegnazione sessuale; la vile aggressione perpetrata lo scorso 20 ottobre da una ventina di membri del Collettivo femminista di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma ai danni di cinque studenti dell’associazione Universitari per la Vita, “rei” soltanto di aver volantinato contro l’aborto nel piazzale antistante l’ingresso dell’Ateneo, peraltro con regolare autorizzazione della Questura (riprovevole episodio, che fa il bis con quanto avvenuto nell’ottobre del 2018 nella medesima Università); l’esclusione dell’associazione ProVita&Famiglia onlus dal Consiglio delle Donne di Bergamo, organo consultivo del consiglio comunale. La sua richiesta di adesione è stata bocciata con 11 no, 6 sì e 16 astensioni: un fatto senza precedenti, un esito fortemente voluto dalle Sinistre, una decisione «molto grave – come ha commentato Filippo Bianchi, consigliere comunale di Fratelli d’Italia – Il Consiglio delle Donne, presieduto e partecipato a maggioranza dalle Sinistre, si dimostra ancora una volta strumento politico di censura, che non tollera il confronto ed il pluralismo, ma soprattutto discriminatorio nei confronti dei soggetti e delle iniziative a difesa dei valori della vita e della famiglia». Già nel febbraio 2019, però, sempre a Bergamo, all’ultimo minuto, il Consiglio delle Donne con un solo voto in più (16 sì, 15 no, 1 astenuto) escluse il presidente di FederVita Lombardia, Paolo Picco, dal novero dei relatori al convegno «Nascere a Bergamo: presente e prospettive future» con una motivazione, a dir poco, discriminatoria e aberrante: per non rendere cioè «il Consiglio delle Donne ostaggio dell’azione di conservatori e anti-abortisti, portatori di una visione retrograda e svilente della donna e dei suoi diritti», come dichiarato dalle ultra-femministe di Non una di meno, sigla che peraltro non faceva nemmeno parte di detto organismo consultivo del consiglio comunale orobico, da cui si dimisero a quel punto, prendendone le distanze, molti membri, non condividendo più il modo di procedere, dichiaratamente ideologico. Patrocini e spazi negati, norme e regolamenti ignorati, manifesti strappati, eventi “silenziati”, film censurati, boicottaggi, aggressioni, relatori “scomodi” cancellati, organismi pubblici vietati contro qualsiasi regola, zero copertura massmediatica… I casi sono due: o in Italia la democrazia è schiava di un’ideologia contraria alla vita, alla famiglia ed alla fede cattolica, il che sarebbe molto grave, configurando una situazione di dittatura de facto, di odio etico e religioso; oppure è la democrazia in quanto tale ad essere malata, avvelenata, corrotta dal cancro di un’ideologia onnipervasiva, il che sarebbe ancora più grave, ponendo un serio problema istituzionale. In entrambi i casi, possiamo davvero dire che in Italia morale, valori ed ideali cattolici non siano vittime di una persecuzione reale, sia pur fatta coi guanti di velluto (ovviamente rosso…)?

Il beato Imperatore Carlo e lo spirito cattolico: fonte di speranza in tempi tragici





Duca Paul von Oldenburg

Il giovane Imperatore Carlo dovette vivere in tempi tragici, come sono anche tragici i tempi che si stagliano davanti a noi. Alle nostre porte infuria una guerra che può sfociare in un conflitto mondiale.

L’analogia non si ferma qui. Entrambe le guerre sono state precedute da lunghi decenni di euforia e di ottimismo: accumulazione di ricchezza, un turbine di feste e di viaggi, disinteresse per l’immediato futuro. Unica differenza: oggi non c’è più lo splendore, l’eleganza e il fascino della Belle Époque. A confronto del maestoso protocollo delle Corti europee di allora, i festeggiamenti repubblicani odierni sembrano dei funerali...

Anche dal punto di vista della vita religiosa c’è una certa analogia tra i primi anni del Novecento e i nostri giorni. Già allora l’eresia modernista – oggi dominante nei seminari, nelle facoltà teologiche, nei giornali cattolici e nelle file del clero – era oggetto di grandi polemiche. Già allora questa eresia aveva invaso molti ambienti cattolici, infestandoli con lo spirito del mondo.

In campo religioso, la grande differenza tra i tempi dell’Imperatore Carlo e quelli nostri è che sul trono di S. Pietro sedeva san Pio X, che combatté il modernismo con estrema energia, mentre oggi l’autorità ecclesiastica non solo tollera la diffusione delle eresie ma, in alcuni casi, perfino le promuove. Alcuni autori parlano di un’eclissi del Magistero pontificio.

Queste analogie ci permettono di cogliere i “segni dei tempi”, cioè il senso provvidenziale degli avvenimenti, e di ricordare l’abitudine della Divina Provvidenza di suscitare vocazioni simboliche, che riflettono cioè quelle virtù opposte ai vizi di una certa epoca.

Il carattere provvidenziale dell’ascesa di Karl von Habsburg è innegabile. E non mi riferisco solo alla misteriosa profezia di san Pio X alla giovane coppia di arciduchi che sarebbero saliti al trono austro-ungarico. Senza una serie di circostanze, alcune delle quali tanto inaspettate quanto drammatiche, l’arciduca Carlo non sarebbe mai diventato l’erede del suo prozio Francesco Giuseppe.

La breve ma ricca biografia di Carlo I d’Austria, IV d’Ungheria, III di Boemia, IV di Croazia - Slavonia, Re di Dalmazia, Galizia e Lodomiria, colpisce perché ci fa vedere il richiamo della grazia divina a praticare virtù in contrasto con i vizi e gli errori dei suoi contemporanei.

Mentre suo padre - come tanti alla Corte viennese - conduceva una vita di scandali, Carlo beneficiava della vicinanza di due donne di grande virtù e di grande spirito cattolico: sua madre, la principessa Maria José di Sassonia, e la madre di costei, l’Infanta Maria Ana del Portogallo, che gli trasmise la serietà e la religiosità tipica di quella terra dove “il nero è un colore”, una religiosità che si intravede negli occhi scuri e profondi di Giacinta e Francisco, i due pastorelli di Fatima.

Carlo era molto legato anche alla principessa Maria Teresa di Bragança, la terza moglie del nonno, che aveva solo dieci anni in più della madre. Era figlia di Miguel I, legittimo erede al trono portoghese, fedele cattolico e tradizionalista, che in esilio sposò Adelaide zu Löwenstein – Wertheim – Rosenberg, del ramo cattolico dei Löwenstein, e che, dopo aver avuto un figlio e sei figlie, terminò la sua vita nella comunità monastica di Solesmes. Suo fratello era il famoso principe zu Löwenstein che, dopo aver avuto molti figli ed essere rimasto vedovo, divenne domenicano.

Con questi modelli, possiamo ben immaginare la profondità delle credenze cattoliche e l’esempio di pietà che la principessa Maria Teresa di Bragança instillò nel bambino Carlo. La vicinanza tra loro fu così grande che la principessa non esitò a seguire l’Imperatore nell’esilio a Madeira e a prendersene cura durante la sua ultima malattia, poiché aveva un diploma di infermiera.

Quando Carlo fece la sua prima comunione a Vienna nel 1898, era così ben preparato che uno degli assistenti osservò: “Se non sapessi pregare, imparerei da questo giovane”. Più tardi, dopo la Messa di fidanzamento, Carlo disse alla futura moglie, Zita di Borbone – Parma: “Ora dobbiamo aiutarci a vicenda per conquistare il paradiso!”. Egli consacrò la propria famiglia al Sacro Cuore di Gesù. Come Imperatore, partecipava ogni giorno alla Santa Messa e riceveva la Santa Comunione. Pregava quotidianamente il Rosario, e visitava i santuari dedicati alla Beata Vergine. All’inizio della guerra nel 1914 fece incidere sulla sua sciabola Sub tuum praesidium confugimus, Sancta Dei genitrix.

Questa profonda pietà, così come il suo carattere serio e riservato, ma allo stesso tempo aperto e caritatevole, erano agli antipodi del modello d’uomo positivista, irreligioso, frivolo e donnaiolo della Parigi o della Vienna del tempo, spesso massone e anti-clericale. Un modello ormai diffuso nei circoli aristocratici in tutta Europa.

Sebbene Carlo fosse stato educato al Liceo benedettino scozzese, prevalse l’influenza iberica della madre e della prozia. Egli praticava in modo esimio il principio dell’agere contra insegnato da Sant’Ignazio di Loyola, non solo nel suo aspetto individuale, cioè fare l’opposto del primo impulso, ma anche nel suo aspetto collettivo, cioè fare l’opposto del “socialmente corretto” o “politicamente corretto”.

Un esempio di questo agere contra è il fatto che, in soli dieci anni di matrimonio, diede alla moglie otto figli, contrastando in questo modo la pressione sociale a favore del controllo delle nascite, che già cominciava a soffiare come una tempesta nelle classi abbienti, e che spinse Papa Pio XI a pubblicare, nel 1930, l’enciclica Casti connubi, ricordando agli sposi il proprio dovere. Carlo aveva tanta simpatia per le famiglie numerose che, durante la guerra, decretò che ai soldati nelle cui famiglie ci fossero già due morti, e ai padri di famiglie con più di sei figli, non dovevano essere assegnati incarichi pericolosi.

Un altro campo in cui si può chiaramente osservare l’intento della Provvidenza di contrastare, attraverso Carlo, i pregiudizi rivoluzionari del tempo, fu l’austerità con cui adempiva ai suoi obblighi dinastici.

La mitologia rivoluzionaria aveva creato una caricatura della nobiltà e della regalità che servì da giustificazione psicologica per il rovesciamento delle monarchie. Secondo questa caricatura, i nobili, e ancor di più i re, erano un bell’ornamento della società, ma troppo costoso per il popolo, che doveva sostenerli con le tasse, in contrasto con la borghesia industriale e commerciale, che creava ricchezza con le sue aziende e contribuiva al Tesoro dello Stato. Secondo questa caricatura, i popolani erano gente seria, laboriosa e umile, mentre i nobili erano arroganti e beffardi della vita, perdevano il tempo in intrighi, erano seri nelle cose frivole e frivoli nelle cose serie.

Questa caricatura era sbagliata, almeno per quanto riguardava il mondo germanico e austro-ungarico, dove la nobiltà formava la spina dorsale dell’esercito e della pubblica amministrazione, e le cui terre erano lavorate con le più avanzate tecnologie. Ma la propaganda rivoluzionaria aveva ottenuto questa vittoria nell’immaginario popolare.

Al tramonto delle due grandi monarchie germaniche, la Provvidenza portò al trono più glorioso del mondo un giovane che aveva rifiutato radicalmente questa caricatura, assumendo la grave responsabilità con un alto senso del dovere. Quando indossò la Corona di Santo Stefano a Budapest, nel dicembre 1916, disse: “Essere re non significa soddisfare un’ambizione, ma sacrificarsi per il bene di tutto il popolo”.

Mettendo in pratica questo motto, si stabilì nel castello di Laxenburg, restrinse lo stile di vita e si dotò di moderni mezzi di governo. Fece ampio uso del telefono e del telegrafo, e moltiplicò i viaggi in treno per stabilire i collegamenti con l’esercito e la popolazione. Intraprese non meno di ottantadue viaggi e percorse 80.000 chilometri in soli 24 mesi. Trasformò il treno imperiale nella capitale itinerante della Monarchia.

Tuttavia, la dimensione più importante, che mostra l’opera della Provvidenza nella sua persona, fu il modo in cui l’imperatore Carlo si oppose all’anticlericalismo massonico e al secolarismo, allora l’aspetto più dinamico del processo rivoluzionario. Un decennio dopo che la Repubblica francese aveva spogliato la Chiesa di tutti i suoi privilegi, ponendo le basi dottrinali e legali per l’ipocrita laicità che ora regna in quasi tutti gli stati membri dell’Unione Europea, l’Imperatore Carlo scelse di perdere il trono prima che i possedimenti dell’Impero si trasformassero in territori apparentemente laici, in realtà atei.

Come è noto, fin dal Settecento le logge massoniche europee sognavano una società transnazionale e transdenominazionale, all’interno di una federazione degli Stati Uniti d’Europa. L’ostacolo principale a questo progetto era lo Stato Pontificio e la Monarchia Duale, plasmata dalla pietas austriaca della famiglia imperiale e dalle belle espressioni di unità tra Chiesa e Stato, come la partecipazione dell’Imperatore, dell’intera Corte e delle istituzioni pubbliche alla processione del Corpus Domini per le strade di Vienna.

Lo Stato Pontificio era stato liquidato con la breccia di Porta Pia; ora toccava alla monarchia austro-ungarica. Nel suo libro Requiem per un Impero Defunto, lo storico ebreo ungherese François Fejtö ammette che il progetto massonico degli Stati Uniti d’Europa prevedeva la distruzione della monarchia cattolica dell’Austria-Ungheria. Secondo lui, la massoneria ebbe un ruolo preponderante nella liquidazione dell’Impero.

Non è indifferente che proprio a Vienna, dopo la caduta dell’impero tedesco, il conte Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi sia stato iniziato alla Massoneria e abbia fondato il movimento paneuropeo. In uno dei suoi scritti paragona addirittura lo “spirito d’Europa” allo spirito di Lucifero: “Nella mitologia ebraica, lo spirito europeo corrisponde a Lucifero - in greco Prometeo: il portatore di luce, che porta sulla terra la scintilla divina, [...] il Padre della tecnologia, dell’illuminazione e del progresso”.

Sarebbe stato più vantaggioso per la Massoneria internazionale, invece di distruggere l’Austria, mettere il prestigio della Monarchia Duale al servizio dei suoi ideali, proprio come Stalin mise la Chiesa Ortodossa Russa al servizio dell’Unione Sovietica, con risultati notevolmente migliori rispetto alla persecuzione religiosa di Lenin.

Fu questa sottomissione del trono austriaco ai piani massonici che l’imperatore Carlo rifiutò. Ciò gli costò il trono e lo portò eventualmente alla morte su un’isola perduta nell’Atlantico. Questa verità storica è documentata nei due volumi della Congregazione per le Cause dei Santi – la Positio super virtutibus – serviti come base per la sua beatificazione.

Nella sua dichiarazione giurata durante il processo, l’Imperatrice Zita affermò che le attività dei massoni contro l’Imperatore Carlo si svilupparono in tre fasi consecutive:

– il contrasto ai tentativi di pace e la rivoluzione del novembre 1918;

– tre offerte nel 1919 per conquistare personalmente l’Imperatore deposto;

– un ultimo tentativo nel 1922 quando era già in esilio.

Secondo l’Imperatrice Zita, “la decisione finale della Massoneria di liquidare la monarchia austro-ungarica fu presa durante il Congresso eucaristico di Vienna del 1912”. L’allora arciduca Carlo ne venne a conoscenza pochi giorni dopo. Una risoluzione della Gran Loggia di Francia del 28 maggio 1915, allegata alla Positio, informava il governo britannico e francese che la Massoneria voleva la rovina della Casa d’Asburgo, come era successo ai Borbone in Francia.

La Positio super virtutibus contiene anche dichiarazioni dell’arciduchessa Isabella Carlotta, figlia di Carlo e Zita, e del fratello dell’Imperatrice, il principe Xavier di Borbone-Parma. Entrambi confermano che l’Imperatore fu avvicinato diverse volte da agenti della Massoneria, in Svizzera e Madeira. Questi agenti promettevano di riportarlo sul trono se Carlo fosse entrato nella Massoneria. Secondo il principe Xavier, gli agenti proposero a Carlo il ritorno a Vienna e la restaurazione politica ed economica dell’Austria-Ungheria in cambio del riconoscimento della Massoneria, dell’instaurazione di un’educazione laica e dell’introduzione del divorzio. In seguito, ridussero le esigenze alla semplice tolleranza della Massoneria.

L’Imperatore Carlo respinse tutti questi tentativi. Egli così si confidò col cognato: “Umanamente parlando avrei tutte le garanzie per riconquistare i miei stati. Sono state esercitate forti pressioni su di me da tutte le parti per non rifiutare quest’ultima opportunità. Ma davanti a Dio non posso giustificare il raggiungimento del bene con l’aiuto del male. Non ci sarebbe alcuna benedizione per questo”.

Carlo era consapevole che uno Stato riceve la benedizione divina solo se riconosce Dio nella sua legislazione e rimane unito all’unica vera Chiesa. Egli preferiva subire una tragedia per la sua famiglia, e persino per la Monarchia Duale, piuttosto che lasciare che il prestigio della corona servisse da copertura per i più grandi crimini, come accade oggi nei paesi con regimi monarchici, dove esistono l’aborto, l’eutanasia, le unioni omosessuali e altre nefandezze.

Lo stesso vale per il suo rifiuto di abdicare al trono, un gesto che mostra come, oltre le combinazioni politiche, egli aveva una speranza di matrice cattolica che sarebbe arrivato il giorno in cui il trono austro-ungarico (e, perché no, il trono di un Sacro Romano Impero risorto dalle sue ceneri?) sarebbe stato nuovamente occupato da uno dei suoi discendenti. Per gli atei questa prospettiva è una chimera, ma per le persone di fede tutto è possibile per coloro che confidano in Dio, come insegna san Paolo.

Com’è noto, dopo le successive sconfitte militari, le rivoluzioni scoppiate nei territori dell’Impero, la defezione di molti capi militari e autorità civili, nel novembre 1918 Carlo non poté che prendere atto dello scioglimento della sua autorità. Egli tuttavia non firmò l’abdicazione, bensì una rinuncia alla “partecipazione al governo austriaco”. Due giorni dopo rinunciò anche a qualsiasi “partecipazione agli affari dello Stato ungherese”. Tuttavia, era così convinto della sua legittimità che, con l’appoggio di papa Benedetto XV, tentò due volte di riprendere il trono ungherese, fallendo in ambedue le occasioni.

Un segno ancora più chiaro della sua speranza per una futura restaurazione del trono furono le due visite del console inglese a Madeira, chiedendo a Carlo di abdicare in cambio di grandi benefici materiali per sé e per la sua famiglia, cosa che egli rifiutò. La prima volta il Console informò Carlo, in nome della Conferenza degli Ambasciatori, che se avesse abdicato gli sarebbero state restituite tutte le sue proprietà e la sua famiglia avrebbe ricevuto sostegno materiale dall’Inghilterra. Se avesse invece rifiutato, non avrebbe ricevuto nulla e, anzi, sarebbe stato proibito qualsiasi invio di denaro per il suo mantenimento. Secondo le dichiarazioni dell’Imperatrice Zita nella Positio super virtutibus, Carlo rispose che la sua corona non era in vendita.

La seconda volta, lo stesso console minacciò l’Imperatore Carlo, in nome delle potenze vittoriose della Grande Guerra, che se fosse stato sospettato di pianificare un nuovo tentativo di restaurare la monarchia, sarebbe stato trasferito in un altro luogo e separato dalla moglie e dai bambini. Anche in questa occasione rimase irremovibile. Egli disse all’Imperatrice: “Dobbiamo confidare in Dio; il Sacro Cuore di Gesù dirigerà tutto in modo che la volontà divina, qualunque essa sia, possa essere compiuta”.

Con l’inizio della malattia che lo porterà tra le braccia del Creatore, l’Imperatore Carlo si convinse che Dio gli chiedeva il sacrificio della vita per la salvezza del suo popolo. Egli confidò questo pensiero a Zita, aggiungendo: “Io sono pronto al sacrificio!”, un’ultima indicazione che, oltre la tragedia, conservava nel suo cuore la luce della speranza che in futuro potesse avvenire una resurrezione spirituale dell’Austria-Ungheria.

È quella speranza che ci unisce stasera attorno alla sua memoria.

È una speranza che include non solo l’Austria e gli antichi possedimenti della Monarchia Duale, ma tutte le nazioni cristiane dell’Occidente. Posso immaginare la reazione degli scettici. A essi rispondo con le parole del prof. Plinio Corrêa de Oliveira sull’invincibilità della controrivoluzione:

“Omnia possum in eo qui me confortat (Fil 4,3). Quando gli uomini decidono di collaborare con la grazia di Dio, allora nella storia accadono cose meravigliose: la conversione dell’Impero romano, la formazione del Medioevo, la riconquista della Spagna a partire da Covadonga, sono tutti avvenimenti di questo tipo, che accadono come frutto delle grandi risurrezioni dell’anima di cui anche i popoli sono suscettibili. Risurrezioni invincibili, perché non vi è nulla che possa sconfiggere un popolo virtuoso e che ami veramente Dio”.

Poniamo questa speranza di una risurrezione dell’anima cristiana dell’Occidente ai piedi della statua della Madonna di Fatima, certi che con una grazia immensa Ella non solo convertirà la Russia e riporterà la pace nel mondo, ma farà sì che la Monarchia Duale risorga in tutto il suo splendore.



Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.





giovedì 24 novembre 2022

La solitudine intorno ai Tabernacoli



Una riflessione del Card. Siri sempre attuale, su cui meditare attentamente 




Card. Giuseppe Siri

"Gesù sapeva benissimo che sarebbe stato conservato nei Tabernacoli anche solitari, senza contorno nella notte, all'infuori di una fiammella che le leggi della Chiesa esigono. 

Sapeva benissimo che anche nel giorno, secondo il variare della densità di fede nei tempi, cristiani sarebbero andati e non andati a rendere adorazione alla sua ineffabile Presenza, lo sapeva. 

Forse qualcheduno di noi avrebbe potuto obbiettargli: "Signore, fa' in modo di essere presente quando c'è gente che Ti adora, altrimenti è inutile". Inutile? No.

Le Chiese possono essere vuote, ma Cristo nel tabernacolo non è inutile, perché l'Eucarestia, sia attraverso il Sacrificio – del quale oggi non parlo – sia attraverso il Sacramento permanente, è una fonte di forza, di grazia, di benedizione, di salvezza incessante. 

Ricordiamoci che è di lì che si germinano i vergini e le vergini, è di lì che sorgono i fondatori, è di lì che resistono i combattenti, è di lì forse che attraverso una vita apparentemente lontana da Dio si prepara la finale di salvezza nella sua misericordia, ma la si prepara attraverso questa Presenza, che appare a noi silenziosa e inerte, e non è né silenziosa né inerte. 

Non dobbiamo compiangere la solitudine che spesso è intorno ai Tabernacoli e che è sempre da condannarsi. 

Dobbiamo rimpiangere, dico rimpiangere e a piena ragione, coloro che si dimenticano che Gesù Cristo sta lì ad attenderli, come Egli, narrando la parabola del figliol prodigo, pone per tanto tempo immobile sulla soglia di casa il padre che non si stanca di aspettare il figlio, il quale alla fine ritorna ed è accolto come figlio, non come servo". 






Che cosa è la tolleranza?



Lot e le sue figlie scappano da Sodoma, 
bruciata dalla collera divina (cattedrale di Monreale, Sicilia)


Oggi, il termine “tolleranza” è usato in senso esclusivamente elogiativo, come anche i suoi derivati “accoglienza”, “fratellanza”, “misericordia” e via dicendo. La tolleranza è sempre un bene? Oppure vi sono casi in cui è un male, e può costituire perfino un crimine?



di Plinio Corrêa de Oliveira

In tema di tolleranza, la confusione, oggi, è talmente grande che, prima di entrare nel merito della questione, mi sembra conveniente chiarire il termine.

Che cosa è esattamente la tolleranza?

Immaginate la situazione di un uomo che ha due figli. Uno ha principi solidi e volontà ferma, l’altro ha principi indecisi e volontà vacillante. Nel luogo dove la famiglia sta trascorrendo le vacanze estive è di passaggio un insegnante che potrebbe impartire ai ragazzi lezioni scolastiche straordinariamente utili per entrambi. Il padre vuole che i suoi figli approfittino dell’occasione, ma è anche consapevole che ciò implicherebbe privarli di alcune gite, a cui tengono tanto. Calcolati i pro e i contro, egli arriva a una conclusione: è meglio che i figli rinuncino a qualche svago, perfettamente legittimo, piuttosto che perdere una rara opportunità di svilupparsi intellettualmente. Comunica, quindi, ai due figli la sua decisione: dovranno assistere alle lezioni dell’insegnante. Dopo un momento di riluttanza, il primo figlio accetta la volontà del genitore. L’altro, invece, brontola, si agita, supplica il padre di non imporgli questo dovere. Egli è talmente irritato da far temere un movimento di rivolta.

Di fronte a ciò, il padre mantiene la sua decisione per quanto riguarda il buon figlio. Considerando, invece, quanto costa al figlio mediocre lo sforzo intellettuale, e volendo evitare qualsiasi occasione di attrito che possa incrinare i rapporti famigliari, preferisce salvaguardare la pace domestica e sceglie di non insistere, sollevando quindi il secondo figlio dall’obbligo di seguire le lezioni.

Nei confronti del figlio mediocre e tiepido, il padre acconsentì a malavoglia. Il suo permesso non è affatto un’approvazione. Anzi, gli è stato quasi estorto con la forza. Per evitare un male (la tensione con il figlio), egli ha acconsentito a un bene minore (le gite vacanziere), rinunciando al bene maggiore (le lezioni). È questo tipo di assenso, dato senza approvazione e perfino con certo sdegno, che si chiama tolleranza.

A volte la tolleranza è un assenso dato, non a un bene minore per evitare un male, bensì a un male minore per evitarne uno maggiore. Sarebbe il caso di un padre che, avendo un figlio pieno di vizi, nell’impossibilità di combatterli tutti allo stesso tempo, sceglie di combatterne uno per volta, chiudendo temporaneamente un occhio sugli altri. Questa tolleranza nei confronti di alcuni vizi è un assenso dato con profondo sdegno, allo scopo di evitare un male maggiore e per permettere la graduale conversione del figlio. Questo è tipicamente un atteggiamento di tolleranza.

* * *

La tolleranza può essere praticata solo in situazioni anomale. Se non ci fossero i figli cattivi, non ci sarebbe bisogno di tolleranza da parte dei genitori. Così, in una famiglia, più i membri saranno costretti a praticare la tolleranza tra loro, più la situazione sarà anomala.

Ciò è di prima evidenza, per esempio, nel caso di un esercito o di un ordine religioso in cui i capi o i superiori siano costretti a usare una tolleranza illimitata nei confronti dei loro subordinati. Un tal esercito non è in grado di vincere battaglie. Un tale ordine non è in ascesa spirituale verso le vette della perfezione cristiana.

In altre parole, la tolleranza può essere una virtù. Però, è la virtù caratteristica delle situazioni anormali, traballanti, difficili. Potrebbe essere una virtù nei cattolici fervorosi, ma solo in epoche di desolazione, decadenza spirituale e rovina della civiltà cristiana.

Ecco perché la tolleranza è così frequente in questo nostro secolo di crisi e di catastrofi. In ogni momento, il cattolico odierno è nella contingenza di dover tollerare qualcosa: sul tram, per strada, nel posto di lavoro o di villeggiatura, ecc. Ovunque egli trova situazioni peccaminose che gli provocano un urlo interno di indignazione, che egli deve dissimulare per evitare un male maggiore. In tempi normali, tale urlo sarebbe un dovere morale, dettato dall’onore e dalla coerenza.

Per inciso, è curioso rilevare la contraddizione in cui cadono gli adoratori di questo secolo. Da una parte, esaltano le sue qualità fino alle stelle mentre silenziano i suoi difetti. Dall’altra, non cessano di biasimare i cattolici intolleranti, supplicandoli di mostrare tolleranza nei confronti del secolo. E non si stancano di proclamare che questa tolleranza deve essere costante, totale, estrema. Non si rendono conto della contraddizione in cui cadono. Se la tolleranza si esercita, per definizione, nei confronti di un’anomalia, nel proclamare la necessità di molta tolleranza nei confronti di questo secolo, affermano l’esistenza di molte anomalie.

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Alla luce di queste considerazioni, è facile vedere quanto sia errato e fuorviante il discorso sulla tolleranza oggi.

Di solito, oggi, si dà a questa parola un senso elogiativo. Quando diciamo che qualcuno è “tollerante”, affermiamo implicitamente che è una persona di grande anima, cuore generoso, larghe vedute, disinteressata, comprensiva, simpatica, giudiziosa, benevola e via dicendo. Al contrario, il qualificativo di “intollerante” porta con sé una lunga scia di rimproveri: spirito grezzo, temperamento bilioso, malevolo, incline alla diffidenza, odioso, vendicativo, pieno di risentimento, ecc.

In realtà, nulla di più unilaterale. Infatti, se vi sono casi in cui la tolleranza può essere un bene, vi sono altri casi in cui è un male. E può costituire perfino un crimine. Quindi, nessuno merita plauso per il fatto di essere metodicamente tollerante, oppure intollerante, bensì per essere l’uno o l’altro secondo le circostanze.

Il problema, quindi, si sposta. Non si tratta di sapere se dobbiamo essere tolleranti o intolleranti, come norma. Si tratta, piuttosto, di chiederci quando dobbiamo essere l’uno o l’altro.

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Innanzitutto, va notato che vi è una situazione in cui il cattolico deve essere sempre intollerante. E questa regola non ammette eccezioni. È quando, o per compiacere qualcuno o per evitare un male maggiore, gli si chiede di commettere un peccato. Ogni peccato è un’offesa a Dio. Ed è assurdo pensare che vi siano situazioni in cui Dio possa essere virtuosamente offeso.

Questo è così ovvio che sembra quasi superfluo ricordarlo. Tuttavia, in pratica, quante volte è necessario ricordare questo principio!

Così, ad esempio, con il pretesto di riscuotere la loro simpatia, nessuno ha il diritto di essere tollerante nei confronti di amici che vestono in modo immorale, hanno una vita dissoluta, vantano atteggiamenti licenziosi o frivoli, difendono idee temerarie o sbagliate e via dicendo.

Un altro esempio: un cattolico ha un dovere di lealtà nei confronti della filosofia scolastica. Non gli è lecito, con il pretesto di attirare la simpatia di un determinato ambiente, professare un’altra filosofia. È una forma di tolleranza inammissibile. Pecca contro la verità chi professa un sistema di pensiero nel quale sa che vi sono errori, anche se non sono direttamente contro la Fede.

In tali casi, i doveri dell’intolleranza vanno oltre. Non è sufficiente astenersi dal fare il male. Non bisogna mai approvarlo, sia per azioni sia per omissioni.

Un cattolico che, di fronte al peccato o all’errore, assume un atteggiamento di simpatia o di indifferenza, pecca contro la virtù dell’intolleranza. Questo succede, per esempio, quando assiste con un sorriso, senza restrizioni, a una conversazione o una scena immorale, o quando, in una discussione, riconosce che l’altro ha il diritto di professare qualsiasi punto di vista in tema di religione. Questo non è rispettare l’avversario, bensì acconsentire ai suoi errori e suoi peccati. Qui si sta approvando il male. E questo non è mai lecito per un cattolico.

A volte si arriva a questa situazione pensando che non si è peccato contro l’intolleranza. Ciò accade quando certi silenzi di fronte a errori o mali danno l’idea di un’approvazione tacita. In tutti questi casi, la tolleranza è un peccato, e solo l’intolleranza è una virtù.

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Leggendo queste affermazioni, è comprensibile che qualche lettore si infastidisca. L’istinto di socialità è naturale nell’uomo. E questo istinto ci induce a convivere con gli altri in modo armonico e piacevole.

Oggi si moltiplicano le occasioni in cui, nella logica della nostra argomentazione, un cattolico è costretto a ripetere, di fronte al nostro secolo, l’eroico “non possumus” di Pio IX: non possiamo accettare, non possiamo concordare, non possiamo tacere.

E subito si leva contro di noi quell’ambiente di guerra, fredda o calda che sia, con la quale i sostenitori degli errori e delle mode moderne perseguitano con un’intolleranza implacabile, e in nome della tolleranza, tutti quelli che osano essere in disaccordo con loro. Una cortina di fuoco, di ghiaccio o semplicemente di cellophane, ci avvolge e ci isola. Una scomunica sociale velata ci tiene a margine degli ambienti moderni. Proprio ciò che l’uomo, per il naturale istinto di socialità, teme quasi tanto quanto la morte.

O forse più della morte. Esageriamo? Per beneficiare della “cittadinanza” in tali ambienti, ci sono uomini che lavorano fino ad ammazzarsi con un infarto, e donne che digiunano più degli asceti della Tebaide, compromettendo seriamente la propria salute. Perdere una “cittadinanza” tanto “pregiata” solo per amore dei principi… ecco cosa vuol dire amare veramente i principi stessi!

E poi c’è la pigrizia. Studiare una questione, dominarla interamente, avere sempre a mano gli argomenti a suo favore… quanta fatica! Quanta pigrizia! Pigrizia nel parlare e nel discutere, ancor più nello studio. E, soprattutto, la pigrizia diventa suprema quando bisogna pensare seriamente a qualcosa, assumerla interamente, identificarci con un’idea, con un principio! Abbiamo la pigrizia sottile, impercettibile ma dominante, nell’essere seri, nel pensare seriamente, nel vivere in modo serio, rigettando quanto ci allontana da quell’intolleranza inflessibile, eroica e imperterrita, che, con frequenza sempre crescente, è diventata il vero dovere del cattolico nei giorni nostri.

La pigrizia è la sorella dell’indifferenza. Molti ci chiederanno perché tanta fatica, tanta lotta, tanto sacrificio, se una rondine non fa primavera. A cosa serve il nostro sacrificio, se gli altri non migliorano? Strana obiezione! Come se dovessimo praticare i comandamenti solo perché gli altri li pratichino… Come se fossimo esonerati dal praticarli finché gli altri non ci imiteranno…

Noi diamo testimonianza davanti agli uomini del nostro amore per il bene e del nostro odio per il male, per la gloria di Dio. E anche se tutto il mondo ci dovesse biasimare, noi continueremo a farlo. Il fatto che gli altri non ci accompagnino non intacca i diritti che Dio ha alla nostra totale obbedienza.

Queste ragioni non sono le uniche. C’è anche l’opportunismo. Conformarsi alle tendenze dominanti, apre tutte le porte e facilita tutte le carriere. Prestigio, comfort, denaro, tutto diventa più facile e più ottenibile se si è d’accordo con le tendenze dominanti.

Donde si vede quanto costa oggi il dovere dell’intolleranza. Quanto qui espresso fa da battistrada al prossimo articolo, in cui saranno analizzati i limiti dell’intransigenza e i mille modi per schivarla.



Fonte: “O que è a tolerância?”, Catolicismo, n° 75, marzo 1957. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.





mercoledì 23 novembre 2022

Vescovi alla deriva. Libero aborto fino al quinto mese.








di Sandro Magister

23 nov

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Ha riconosciuto lui per primo che la tesi da lui sostenuta arriva a “sovvertire la concezione dell’aborto da parte della Chiesa”. La tesi cioè che si è “persona umana” solo “dopo il quarto/quinto mese” di gravidanza, e quindi prima di questa data l’aborto non è più un omicidio e nemmeno un peccato, se compiuto con buone motivazioni.

A sostenere questa tesi è un vescovo molto noto e stimato, Luigi Bettazzi (nella foto), 99 anni, l’ultimo vescovo italiano ancora in vita che abbia preso parte al Concilio Vaticano II, quand’era ausiliare del cardinale e arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro che in quel Concilio svolse un ruolo di primissimo piano.

L’ha fatto in un articolo di due pagine su “Rocca” del 15 agosto, la rivista della “Pro Civitate Christiana” di Assisi, storica voce del cattolicesimo progressista e pacifista. Un articolo presentato come “Riflessioni sull’aborto” e intitolato “Posterius”, l’avverbio latino che significa “più tardi”.

L’eco di questa sua presa di posizione è stata inizialmente tenue. Ma a metà novembre, sempre su “Rocca”, un teologo moralista dei più letti e studiati, Giannino Piana, già docente di etica nelle università di Torino e di Urbino, ha ripreso e sviluppato le argomentazioni di Bettazzi, premettendo di condividerle. Anche lui riconoscendo che questa loro tesi “contrasta con la dottrina tradizionale della Chiesa”, ma per subito aggiungere che “l’autentica tradizione cristiana non può e non deve essere pensata come un blocco monolitico, da trasmettere in maniera mummificata e ripetitiva”. Perché anzi è “ una tradizione aperta e innovativa, costantemente in crescita” e “il coraggio di cambiare, nel pieno rispetto della sostanza evangelica, è la via da percorrere per renderla credibile e universalizzabile”.

Basta questo per avvertire la forza dirompente della tesi di Bettazzi e Piana. Ma non meno rivelatori sono gli argomenti con cui essi la sostengono.

Bettazzi comincia col distinguere tra “ragione” e “intuizione”, cioè tra una forma di conoscenza della realtà di stampo intellettualistico e calcolante, cartesiano, tutta centrata sull’”io”, e un’altra invece – da valorizzare – più attenta al pascaliano “esprit de finesse”, alle ragioni del cuore, e più centrata sul “noi”.

Poi cita la Genesi dove si legge che “Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”, per ricavarne che la narrazione biblica individua in ciò che è plasmato con la polvere del suolo “qualcosa di preliminare che non è ancora il singolo essere umano”, che diventerà tale solo dopo, con l’alito di vita.

E si chiede: “Quale sarebbe il momento dell’alito di vita che rende ciò che è preliminare una persona umana?”.

La “ragione”, risponde Bettazzi, “ci dice che quello sarebbe il momento in cui lo sperma maschile feconda l’ovulo femminile”. Ma l’”intuizione” è più incerta e aperta al mistero. Esita a dire che quella nuova realtà sia già una persona. Lo è forse dopo l’insediamento dell’ovulo fecondato nell’utero materno? Lo è a tre mesi di gravidanza, quando le varie parti del corpo sono già configurate?

No. risponde il vescovo. Molto più convincente, scrive, è ciò che ha sostenuto “una scienziata moderna” di cui tace il nome, secondo cui “l’essere umano diventa un autonomo individuo, una persona, solo quando diventa in grado, ancora nel seno materno, di poter vivere da essere umano e di respirare autonomamente: quindi non prima del quarto/quinto mese, come Giovanni Battista che nel sesto mese sussultò nel grembo di Elisabetta al saluto di Maria”.

Intervenendo a sua volta, il teologo Piana, specialista in bioetica e già presidente dell’Associazione italiana dei teologi moralisti, nel riprendere la tesi di Bettazzi insiste soprattutto sul “sentire” particolare della donna, “contrassegnato da un coinvolgimento esistenziale unico” nel conoscere “il processo umano in cui si diventa persona”, che “non è in alcun caso racchiudibile entro schemi predefiniti” e “si presenta come perennemente aperto”.

Quel che è certo, scrive Piana, è che “il momento di inizio della vita personale vada spostato ben in avanti rispetto all’atto della fecondazione e non si possa parlare in senso stretto di aborto se non a considerevole distanza da quell’evento”. Il che comporta che “la soppressione della vita che si verifica nei primi mesi della gravidanza, per quanto grave, non possa essere qualificata come omicidio”.

A questa tesi dirompente Roma ha risposto finora col silenzio. Eppure Francesco è molto drastico in materia. Ha detto e scritto più volte che compiere un aborto è “eliminare una vita umana”, è “assoldare un sicario per risolvere un problema”. E ha sempre fatto capire che per lui e per la Chiesa ogni nuova vita umana è “persona” a partire dal concepimento, non quattro o cinque mesi dopo.

Ma forse il papa non sa – o mostra di non sapere – quel che ha detto pubblicamente un suo vescovo, con voce sicuramente non isolata.




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martedì 22 novembre 2022

Le uova, san Tommaso e Chesterton. Ovvero: perché ogni attacco alla fede cattolica è un attacco all’uomo




22 NOV 22

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by Aldo Maria Valli



di Rob Mutsaerts*

La Chiesa cattolica ha sempre abbracciato la filosofia di Tommaso d’Aquino. Come mai? Perché si basa sul buon senso. La filosofia di san Tommaso è fondata sulla convinzione comune universale che le uova siano uova. Sembra ovvio, ma in questo nostro mondo confuso non lo è più. L’hegeliano può dire che un uovo è in realtà una gallina, perché fa parte di un infinito processo di creazione. Il berkeleiano può sostenere che le uova in camicia esistono solo quando esiste un sogno, perché è altrettanto facile chiamare sogno la causa delle uova come le uova la causa del sogno. Il pragmatico può credere che otteniamo il meglio dalle uova strapazzate dimenticando che una volta erano uova e ricordando solo le uova strapazzate. Ma nessuno leggendo san Tommaso deve scervellarsi per giungere alla conclusione che un uovo è solo un uovo. Il tomista sa che le uova non sono galline o sogni o mere supposizioni pratiche, ma cose confermate dall’autorità dei sensi. E così diceva il saggio apostolo GK Chesterton.

Apparentemente al giorno d’oggi di tomisti e chestertoniani ne sono rimasti pochi. Parlo di persone per le quali è chiaro che un ragazzo è un ragazzo e una ragazza è una ragazza. Sono dati biologici che puoi percepire con i tuoi sensi. Un ragazzo non è qualcosa che esiste come esiste un sogno; non è il sogno la causa del suo essere e non è l’essere la causa del suo sogno. Puoi fare tutta la chirurgia plastica che vuoi e poi dimenticare com’era originariamente il corpo, ma questo non cambia il fatto che quello è un ragazzo.

Come si è arrivati ​​all’attuale confusione?

Ci sono due verità centrali che Chesterton difende: la famiglia e la fede. Tutta la società moderna è in guerra contro queste due verità. L’attacco alla famiglia è un attacco alla vita stessa, e l’attacco alla fede è un attacco al Creatore della vita.

Chesterton sostiene che la famiglia è l’unità fondamentale della società, come la cellula lo è per il corpo. Se frammenti la cellula in parti più piccole, distruggi il corpo. Pertanto, quando enfatizziamo i diritti individuali, miniamo sempre la famiglia e finiamo per dare il controllo di tutto a una forza esterna e innaturale: lo Stato. La famiglia è come un piccolo regno che crea e ama i propri cittadini. “Le prime cose devono essere le fonti stesse della vita, dell’amore, della nascita e dell’infanzia; e queste sono sempre fontane coperte, che scorrono nei silenziosi cortili della casa”.


Chesterton dice di simpatizzare più con il “normale ladro allegro” che con il cinico architetto dello Stato moderno, che “invece di rubare decentemente per la sua famiglia, vuole rubare l’idea di famiglia per se stesso”. Questo è esattamente ciò che è successo. La famiglia è minata da tutte le parti. Ci sono nemici della famiglia che stanno cercando di distruggerla ridefinendola, invocando il matrimonio gay, invocando il non matrimonio, chiamando famiglia chiunque viva con chiunque e faccia qualsiasi cosa voglia. Le maggiori vittime di questo attacco alla famiglia sono i bambini, che vengono maltrattati, trascurati o, peggio, spazzati via. Chesterton riconosce un triplice attacco alla famiglia: divorzio, femminismo e immoralità sessuale.


Il divorzio è l’attacco più ovvio, ma ironicamente, poiché è così ovvio, è diventato il più ignorato. Ci siamo rassegnati ad accettare il divorzio come se fosse una cosa normale. Il matrimonio ha perso il suo significato perché il voto ha perso il suo significato. Il divorzio è solo metà del problema. L’altra metà è un nuovo matrimonio. Chesterton sottolinea che se il voto matrimoniale può essere facilmente infranto e poi fatto di nuovo con qualcun altro, questo elimina l’elemento romantico dal voto e lo de-enfatizza. Questo è ciò che Chesterton chiama la “superstizione” del divorzio: l’idea che i voti improvvisamente significhino qualcosa in un secondo matrimonio, mentre nel primo matrimonio apparentemente non significavano nulla. “L’effetto più ovvio di un divorzio frivolo è un matrimonio frivolo”.


Mentre il divorzio fa letteralmente a pezzi la famiglia, il femminismo e l’immoralità sessuale sono nemici più sottili che minano la famiglia dall’interno e dall’esterno. Il problema fondamentale del femminismo è l’idea sbagliata che uomini e donne siano uguali. Sentirselo dire potrebbe essere uno choc per alcune persone, ma c’è davvero una differenza tra uomini e donne. Chesterton dice: “La differenza tra uomini e donne spiega quasi tutto quello che è successo. Dobbiamo rendercene conto quando cerchiamo di rendere uguali uomini e donne”.


Dice che fra i due sessi la donna ha la posizione più potente. La donna controlla la casa, unità fondamentale della società. Se controlli la casa, controlli la società. Commenta Chesterton: “Quando penso al potere della donna, le mie ginocchia si piegano”. Ironia della sorte, rinunciando al loro potere in patria, nella casa, le femministe hanno rinunciato a tutto il loro potere. Quando si sono trasferite sul posto di lavoro, la maggior parte delle donne è diventata come la maggior parte degli uomini, in quanto sono diventate schiave del salario, ma non hanno guadagnato nulla, e certamente non hanno guadagnato il potere. È stato un chiaro passo indietro. “Quella che viene chiamata l’indipendenza economica delle donne è la stessa cosa che viene chiamata la schiavitù economica degli uomini”. Le femministe hanno ceduto il privilegio di crescere i propri figli a un asilo nido o a una scuola pubblica. Oppure hanno fatto qualcosa di peggio: hanno ucciso i loro figli.


Chesterton ha parlato in modo eloquente contro il controllo delle nascite, attaccando prima l’ingiustizia del termine stesso. Si chiama controllo delle nascite quando in realtà non è né nascita né controllo. In una delle sue numerose affermazioni profetiche, Chesterton scrive: “Potrei dire a quegli umanitari che hanno incubi su bambini nuovi e indesiderati – perché alcuni umanitari sono a tal punto aberranti nei confronti dell’umanità – che se il recente calo del tasso di natalità continuasse, alla fine non ci sarebbero affatto bambini, e questo li conforterebbe molto”.

Lo scrittore avvertì che il controllo delle nascite avrebbe portato all’aborto e sarebbe stato visto come un segno di “progresso”. Progresso è termine privo di significato elogiato da una società laica. Non puoi fare veri progressi finché non definisci il tuo obiettivo o ideale; quindi puoi determinare se ti stai avvicinando o meno al raggiungimento di esso. Ma il mondo considera qualcosa “progressista” non per ciò a cui si avvicina, ma per ciò che lascia. Quando una tradizione viene distrutta, lo chiamano “progresso”. Il progresso è una parola sfuggente che continua a cambiare forma. Nel suo libro profetico Eugenics and Other Evils (Eugenetica e altri malanni) Chesterton afferma che il male usa sempre l’ambiguità: “Il male vince sempre grazie al potere dei suoi meravigliosi ingannatori”.



Il femminismo è certamente un esempio della disastrosa alleanza tra innocenza e male. Le femministe lamentano vere e proprie ingiustizie nei confronti delle donne, ma poi alludono a un male ben peggiore. Glorificano qualcosa chiamato “scelta” (altra parola ambigua) e si convincono che uccidere i bambini abbia qualcosa a che fare con la dignità e la libertà. Le femministe hanno rinunciato alla libertà e al potere che avevano a casa per diventare schiave del salario sul posto di lavoro, e hanno rinunciato ai più sacri doni di Dio, la nascita e la maternità, mentre affermano di esercitare la “libertà riproduttiva”.

Il controllo delle nascite, ovviamente, apre la strada all’immoralità sessuale, che è un’altra forza distruttiva contro la famiglia. Nel 1926 Chesterton avvertì che la prossima grande eresia sarebbe stata un attacco alla moralità, in particolare alla moralità sessuale. “La follia di domani non è a Mosca, ma molto di più a Manhattan”. In effetti, il comunismo sovietico è crollato sotto il suo stesso peso (come aveva predetto Chesterton) e non si è rivelato la vera minaccia per il mondo libero. Ma l’industria del sesso, sotto il mantello del capitalismo, è una bestia silenziosa e viscida che si insinua nel buio e ha i suoi tentacoli ovunque, e distrugge la nostra società.

L’attacco alla famiglia è direttamente collegato all’attacco alla fede. Questo perché la famiglia è direttamente collegata alla Sacra Famiglia. Ogni padre è Giuseppe: lavoratore, custode, capofamiglia. Ogni madre è Maria: servizievole, modello, avvocata. Ogni bambino è Gesù: un visitatore del cielo, affidato per un tempo ai suoi genitori. Il matrimonio è un sacramento. Rivela una verità religiosa: che l’amore è incondizionato e vivificante. L’attacco alla famiglia è soprattutto un attacco a una verità religiosa. Ed è un attacco alla religione che ha rivelato questa verità: la Chiesa cattolica romana. Difendere la fede significa difendere la famiglia. Ma significa anche difendere i precetti, le pratiche, la purezza della Chiesa. Gli attacchi provengono da tutte le parti e sono sia sottili che palesi. Chesterton dice: “Quello che è veramente all’opera nel mondo di oggi è l’anti-cattolicesimo e nient’altro”.



Ciò che stiamo combattendo è una nuova e falsa religione, molto più potente ma molto meno nobile di quella contro cui la nostra civiltà ha combattuto in passato. Si affida interamente all’anarchia dell’ignoto e, a meno che la civiltà non riesca a calmarla con uno choc di delusione, sarà per sempre inesauribile nel trovare nuove perversioni e nell’orgoglio.

È il più sottile di tutti gli attacchi alla Chiesa: l’idea che non importa ciò in cui credi, ed è per questo che è meglio non parlarne nemmeno. Chesterton dice che la libertà di religione è la libertà di parlare della nostra religione. In pratica, però, ben difficilmente ci è permesso parlarne. Ironia della sorte, siamo arrivati ​​al punto in cui ci è permesso parlare solo del tempo, che chiamiamo libertà di parola e “completa libertà di tutte le credenze”.

Chesterton: “Gli oppositori del cristianesimo crederebbero a tutto tranne che al cristianesimo”. Infatti, vediamo che le sette e i culti più bizzarri sono presi sul serio, mentre la Chiesa è ridicolizzata.

Ogni eresia ha preso una parte della verità e scartato il resto. Così i luterani divennero ossessionati dalla “sola fede”, i calvinisti dalla sovranità di Dio, i battisti dalla Bibbia, gli avventisti del settimo giorno dal sabato e così via. La Chiesa cattolica è sotto attacco per essere troppo austera o troppo appariscente, troppo materiale o troppo spirituale, troppo mondana o troppo ultraterrena, troppo complicata o troppo semplicistica. I cattolici sono criticati per essere celibi ma anche per avere troppi figli, per essere ingiusti con le donne ma anche perché solo le donne vanno a messa. I modernisti si lamentano che la Chiesa cattolica è morta, ma si lamentano ancora di più perché ha tanto potere e influenza. I laici ammirano l’arte italiana mentre disprezzano la religione italiana per aver confessato i propri peccati. I protestanti affermano che i cattolici non prendono sul serio la Bibbia e poi li criticano per essere stati così letterali riguardo all’Eucaristia. In definitiva, qualsiasi attacco alla Chiesa è un attacco al sacerdozio e all’Eucaristia. Ogni attacco alla Chiesa è un attacco a Cristo, Dio che si è fatto bambino, che ha fondato una Chiesa e che ha alzato il pane e il calice e ha detto: “Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue”.



Chesterton ha difeso la Chiesa anche quando era un outsider. Ironia della sorte, oggi a volte dobbiamo difendere la Chiesa contro gli addetti ai lavori, contro i cattolici – perfino a Roma – che vogliono minare la propria fede. Quando Chesterton morì, nel 1936, Papa Pio XI lo definì un difensore della fede. È ancora un difensore della fede, un apologeta del buon senso e della rivelazione divina, perché le sue parole sono ancora armi efficaci contro gli attacchi che vengono da ogni parte. Elimina i suoi avversari con facilità. E sta ancora facendo proseliti, facendosi amici i suoi nemici e alleati i suoi avversari.

*vescovo ausiliare della diocesi di Bois-le-Duc (’s-Hertogenbosch in fiammingo), Paesi Bassi

Fonte: vitaminexp.blogspot.com