martedì 30 luglio 2013

La Liturgia nel pensiero di Benedetto XVI

 





 

 

"La Chiesa nei suoi confronti un debito di gratitudine per la chiarezza di pensiero, l'invito alla bellezza e la promozione della liturgia"

di Giles D. Dimock



Benedetto XVI ama la liturgia, intesa come la dimensione nella quale il nostro essere viene assimilato al Mistero divino della salvezza, e ha promosso tale visione durante il pontificato con i suoi scritti, con la predicazione e il suo magistero. La sua spiritualità sembra avere non solo un'impronta agostiniana, ma mostra anche un'influenza dell'originario movimento liturgico tedesco, favorito in gran parte dai Benedettini verso i quali egli ha sempre avuto una grande devozione. In questo articolo, esamineremo il suo sviluppo liturgico da giovane in Germania fino al suo operato sulla cattedra di Pietro, per il quale siamo tutti grati.


La giovinezza

Il pensiero liturgico di Benedetto XVI si può ritrovare in gran parte nella sua autobiografia "La mia vita", che ne descrive la vita fino alla sua venuta a Roma. Qui leggiamo il grande effetto che la liturgia ebbe su di lui quando era ragazzo nella sua chiesa parrocchiale, soprattutto la spogliazione della chiesa durante il sobrio tempo quaresimale. Fu ancor più introdotto ai santi misteri quando i genitori gli regalarono un messalino per i bambini simile al loro messale tascabile.

Al suo ingresso in seminario, scoprì il nuovo personalismo di Martin Buber insieme all'insegnamento di San Tommaso, la cui "logica cristallina" era "troppo racchiusa in sé, almeno nella rigida neo-scolastica" con cui veniva presentata. All'università, fu influenzato da Michael Schmaus che aveva abbandonato la neo-scolastica per il nuovo movimento liturgico che presentava la fede come un ritorno alle Sacre Scritture e ai Padri della Chiesa. Mi piace inserire qui una nota personale: mi sento in piena sintonia con lui, poiché anch'io lasciai una formazione tomistica estremamente rigida per studiare la liturgia, e più tardi riscoprii la grande sapienza del nostro fratello maggiore, San Tommaso. Era ormai nell'aria la "nuova teologia". Un suo professore era influenzato dalla "teologia del mistero" di Dom Odo Casel, OSB, mentre un altro vedeva nella Messa il momento centrale di ogni giorno, e lo studio della Sacra Scrittura era considerato l'anima della teologia... tutti temi che sarebbero stati ripresi dal Vaticano II.

Tuttavia agli inizi, il giovane Joseph Ratzinger aveva delle riserve: un certo "razionalismo e storicismo unilaterali" del movimento liturgico nel quale alcuni vedevano "valida soltanto una forma della liturgia", cioè quella della Chiesa primitiva. Non così invece per De Lubac, il cui insegnamento sull'unità della Chiesa sostenuta dall'Eucaristia influì profondamente il suo pensiero.


Il Vaticano II

Il racconto di Ratzinger sulla considerazione della liturgia al Vaticano II - al quale partecipò come 'peritus' - è interessante. Egli afferma che lo schema liturgico al Concilio non avrebbe suscitato controversie poiché nessuno si aspettava grandi cambiamenti. Ma avvenne che dalla Francia e dalla Germania ci furono pressioni per riformare la Messa secondo la forma più pura del Rito Romano in conformità alle riforme di Pio XI e Pio XII. Una Messa secondo tali linee fu respinta da un sinodo di Padri conciliari nel 1967, ma ciò nonostante divenne il modello operativo per la nuova Messa. La Sacrosanctum Concilium decretò di mantenere il latino e che i fedeli possano cantare l'Ordinario della Messa in latino, e allo stesso modo i chierici possano pregare l'Ufficio. Ben presto ciò divenne una questione controversa (Vittorio Messori, "Rapporto sulla Chiesa", intervista con il Cardinale Ratzinger).


Il Messale di Paolo VI

La reazione di Ratzinger all'introduzione del Messale di Paolo VI fu in qualche modo negativa, ma non del tutto. La proibizione del Messale di Pio V lo rattristò (in realtà solo un rifacimento del Messale del Rito Romano usato fin dal tempo di San Gregorio Magno). Ritenne che questa fosse una breccia nella prassi, per cui vediamo qui già un'anticipazione del Motu Proprio che avrebbe emanato da Papa. Sosteneva che molto di quanto doveva essere mantenuto fosse stato cancellato e che molti tesori fossero scomparsi nella nuova liturgia creata da una commissione, e spesso celebrata in modo trascurato e priva di qualità artistiche. Per cui chi critica l'attuale liturgia come banale in una comunità autocelebrativa, non necessariamente è integralista. La sua critica riguarda il fatto che "la liturgia non è celebrata in modo che il dato del grande mistero di Dio in mezzo a noi mediante l'azione della Chiesa risplenda". La Chiesa ci dona il rituale, ma non può generare la potenza, l'energia operante in tali riti, è infatti il totalmente Altro che agisce. Noi possiamo partecipare di fatto e realmente e personalmente spesso in profondo silenzio. Partecipiamo al Mistero che rimane incomprensibile.

Nel suo libro "La festa della fede", Joseph Ratzinger afferma di essere riconoscente per il nuovo Messale di Paolo VI in quanto contiene nuove preghiere e prefazi, molti dei quali provenienti da altri riti occidentali: il gallicano, il mozarabico e l'ambrosiano. Considera fuorvianti le preghiere all'offertorio della vecchia Messa, in quanto tendevano a identificare l'offerta del Sacrificio di Cristo con questa parte della Messa, invece che alla consacrazione stessa. Ratzinger criticava soprattutto il modo non tradizionale di interpretare la nuova liturgia, con una ermeneutica di discontinuità piuttosto che di continuità. Si rallegrò perciò dell'indulto di Papa Giovanni Paolo II che egli forse volle proseguire con il suo Motu Proprio.


Il sacrificio

Un grande tema teologico caro a Ratzinger concerne la convinzione che "l'Eucaristia è più di un convito fraterno". Primariamente è il sacrificio della Chiesa in cui il Signore prega con noi e si dona a noi. In "Feast of Faith", il futuro Papa chiarisce che se l'Eucaristia ha "il contesto di una cena", la "Eucharistia è la preghiera di anamnesi o sacrificio verbale nel quale il sacrificio di Cristo si rende presente". Pertanto, non è mai inutile parteciparvi, anche chi non può ricevere la comunione, come i divorziati e i cattolici risposati. Tale sacrificio è una festa in cui trascendiamo noi stessi in qualcosa di più grande... entriamo nella gioia cosmica della Risurrezione, il Mysterium Paschale. Nel suo libro "God is near Us", egli vede l'Eucaristia come la fonte di vita dal fianco aperto di Cristo in sacrificio, pienamente presente a tutti noi sparsi nel mondo e ai santi in cielo.


L'adorazione

Se Cristo è presente in modo reale nell'Eucaristia con il suo corpo risorto, noi rispondiamo non solo ricevendolo, ma pure adorandolo con gesti e posture, con la genuflessione e con il silenzio. La riscoperta dell'aspetto di convito non elimina la necessità dell'adorazione. Si è dimenticato, egli dice, che adorare è intensificare la comunione, tanto è vero che la processione del Corpus Christi è una intensificazione della processione di comunione, un camminare con il Signore. In "Feast of Faith", racconta la storia di questa processione: il Signore come capo di Stato, visita le strade di ogni villaggio, una processione trionfale di Cristo Vincitore nella sua lotta contro la morte. E' una bella pratica anche se non è di origine patristica ma medievale, la Chiesa infatti è sempre viva e sia la Chiesa del Medio Evo che quella dell'era barocca svilupparono una profondità liturgica che deve essere bene esaminata prima di abbandonarla. Nel libro "Spirit of the Liturgy", il nostro autore sottolinea che il dibattito medievale sulla transustanziazione ha dato origine ai tabernacoli di ogni sorta, esposizione, ostensori, processioni: "tutti errori medievali" secondo alcuni, Ratzinger però non è affatto d'accordo. Egli fa risalire la custodia eucaristica alla Chiesa primitiva che la riservava per i malati, e attribuisce all'evangelizzazione francescana e domenicana l'enfasi sull'Eucaristia mediante le colombe eucaristiche, le nicchie per i vasi sacri, e le torri sacramentarie costruite per custodire l'Eucaristia. Afferma che questa devozione medievale fu "un meraviglioso risveglio spirituale" e che "una chiesa senza la presenza eucaristica è morta", il che mi ritrova perfettamente d'accordo. Concludiamo questo paragrafo con la sua osservazione sul fatto che se l'Eucaristia è il centro della vita della Chiesa, ciò presuppone gli altri sacramenti a cui si riferiscono. Presuppone anche preghiera personale, familiare, extra liturgica come la Via Crucis, il Rosario e in particolare la devozione alla Madonna.


L'architettura

Il nostro autore ha una prospettiva ben definita sull'architettura sacra. Nel suo "Introduzione allo spirito della Liturgia", cita Bouyer per il concetto che come la sinagoga rifletteva la presenza di Dio a Gerusalemme, così le prime chiese erano volte verso oriente dove sorge il sole, segno di Cristo Sole di giustizia che esce "come sposo dalla stanza nuziale" (Salmo 19). Camminiamo verso Cieli nuovi e terra nuova e verso Cristo luce del mondo. L'immagine di Cristo in questo modo si fonde presto con l'immagine della croce sull'abside orientale della chiesa, secondo Ratzinger. L'altare sotto la croce nell'abside è "il luogo dove si apre il cielo" e dove noi siamo condotti alla gloria eterna. Seguendo Bouyer, sottolinea come nelle prime chiese siriane i fedeli si riunivano dapprima attorno al presbiterio per la Liturgia della Parola, e poi si accostavano all'altare e all'oriente per l'Eucaristia, volti insieme al celebrante nella stessa direzione, "conversi ad Dominum", guardando ad oriente. A Roma, la basilica di San Pietro a causa della topografia della collina vaticana, era volta non a oriente ma ad occidente, e l'altare al centro della navata si volgeva a oriente attraverso le porte principali. Quando San Gregorio Magno fece portare avanti l'altare sulla tomba di San Pietro, pose le basi per il successivo sviluppo della Messa 'versus populum'. Altre chiese a Roma copiarono San Pietro per la sua direzione verso il popolo (ma non si hanno riscontri fuori Roma), e ciò divenne l'ideale del rinnovamento liturgico anche se non fu esplicitamente menzionato nella Sacrosanctum Concilium del Vaticano II. Ratzinger mantiene la forte convinzione che sia più importante il mandato che tutti si volgano ad Dominum, piuttosto che sacerdote e fedeli si pongano l'uno di fronte agli altri. Riorientare tante chiese sarebbe un compito improbo e costoso, per cui egli propone di appendere una croce sospesa sull'altare o di collocarla sull'altare stesso, in modo che tutti sarebbero orientati ad Dominum invece che l'uno verso gli altri. Coloro che hanno partecipato a Messe papali in San Pietro o hanno assistito a quelle celebrate dal Papa nella sua visita in altri Paesi, ricordano che la croce (crocifisso) era sempre sull'altare davanti al Papa, e spesso anche le candele.


La bellezza

Ratzinger è assai attratto dalla bellezza come irradiazione della verità e dichiara in "Feast of Faith" che i cristiani devono fare della chiesa edificio un luogo in cui la bellezza sia di casa, e con drammaticità afferma che senza bellezza il mondo diventa l'ultimo cerchio dell'inferno. I teologi che non "amano l'arte, la poesia, la musica e la natura possono essere pericolosi (perché) la cecità e la sordità verso il bello non sono incidentali, ma si riflettono necessariamente nella teologia". Le immagini sacre sono necessarie e tutte le forme storiche di arte dalla cristianità primitiva al barocco pongono i principi dell'arte sacra nel futuro. Non si deve buttare via tutta l'arte che si è formata da San Gregorio Magno in poi. La solennità e la bellezza sono ricchezze di tutti (compresi i poveri) che le desiderano ardentemente e che sanno perfino privarsi del necessario pur di tributare onore a Dio.


La musica

Musicista egli stesso, Benedetto XVI si è molto impegnato ad incoraggiare la buona musica sacra, dedicando perfino un libro all'argomento "A new song for the Lord". Suo fratello Georg sacerdote era direttore della corale della grande cattedrale di Regensburg, il cui nome è sinonimo della grande tradizione del bel canto e della eccellente polifonia. Benedetto pensa che in nome della partecipazione popolare, abbiamo dato alla gente "musica di servizio", vale a dire banale e monotona, al suo minimo denominatore comune. La liturgia semplice non deve essere banale, perché la vera semplicità viene solo da una ricchezza spirituale, culturale e storica. La Chiesa deve suscitare la voce del cosmo, magnificarne la gloria facendo sì che esso diventi anche glorioso, bello, abitabile e amato. Egli cita San Tommaso d'Aquino nella II-IIae della Summa q 91, a I, resp. 1 poiché il gaudio nel Signore, la gioia condivisa per essere alla Sua presenza, è l'effetto della nostra lode che ci fa ascendere a Dio per essere condotti a un senso di riverenza, essendo "l'orazione vocale necessaria non per Dio, ma per l'orante". L'uomo vuole cantare, afferma Sant'Agostino, perché "amare è cantare", ma anche l'ascolto è una forma di partecipazione: "ascoltare la grande musica è partecipazione interiore così come ascoltare il coro che canta grandi brani di musica corale rallegra il cuore ed eleva lo spirito", e l'assemblea può unirsi alla bella e semplice musica.


L'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis

Nell'Esortazione Apostolica sull'Eucaristia 'Sacramentum Caritatis' (pubblicata dopo il Sinodo dei Vescovi sull'Eucaristia dell'ottobre 2005), Benedetto XVI, nel suo primo magistero pontificio sulla liturgia, articola - secondo il suo modo originale - la classica fede cattolica sulla Eucaristia come mistero e sacrificio. Viene trattata la relazione della SS.ma Trinità con questo mistero e in particolare lo Spirito Santo, la relazione della Chiesa con l'Eucaristia, e il rapporto con gli altri sacramenti. Infine si rapporta l'Eucaristia alla escatologia e alla Beata Vergine Maria.

E' da sottolineare la sua interpretazione dell'ars celebrandi dell'Eucaristia e l'enfasi che pone al rito stesso, ricordando che questo è il modo migliore per garantire una actuosa participatio (SC 38). Ci sollecita inoltre al rispetto dei libri liturgici, ai colori liturgici dei paramenti, all'arredo e al luogo sacro per l'arte, le parole, i movimenti del corpo e i silenzi che nella liturgia "hanno una varietà di registri di comunicazione che consentono di mirare al coinvolgimento di tutto l'essere umano" (SC 40). Pone in luce l'architettura della chiesa e la sua disposizione per la celebrazione dei sacri misteri, e proponendo la collocazione del tabernacolo, che deve essere segnalato da una lampada e facilmente visibile da tutti nella chiesa. Si possono usare vecchi altari maggiori oppure un altare centrale nel presbiterio, purché non vi stia davanti la cattedra del celebrante. Si possono usare cappelle per la custodia eucaristica, secondo il giudizio dell'Ordinario (SC 69). La musica liturgica deve essere bella nel rispetto del grande patrimonio ecclesiale. Tratta anche la struttura della Messa, la liturgia della Parola e l'omelia. Sottolinea l'esigenza di una buona predicazione basata sui testi del Lezionario, senza temere di usare le quattro colonne del Catechismo: il Credo, i Sacramenti, i 10 Comandamenti, e la Preghiera (SC 46). Nella liturgia eucaristica, invita a sapersi controllare nello scambiarsi il segno della pace (in un'altra occasione, ha proposto di spostare il segno della pace al termine della Liturgia della Parola 'cfr. S. Giustino'). Ricorda la partecipazione attiva interiore (SC 52)e l'adorazione eucaristica (SC 66-68). Solleva la questione di grandi concelebrazioni che possono distogliere dall'attenzione, l'unità del sacerdozio e l'obbligo di studiare il latino per quelli che si preparano al sacerdozio in modo da poter celebrare e cantare in latino (SC 62).


Il motu proprio Summorum Pontificum

Papa Benedetto XVI ci ha dunque offerto una splendida teologia dell'Eucaristia nella Sacramentum Caritatis e ha altresì indicato una nuova direzione alla vita liturgica della Chiesa con il suo Motu Proprio che ha reso disponibile la Messa in latino di San Pio V.

Benedetto XVI nel documento sottolinea il ruolo dei Papi nell'assicurare rituali degni da offrire alla suprema Maestà e le Chiese particolari concorrono con la Chiesa universale non solo nella dottrina ma anche nei segni sacramentali e nelle consuetudini universalmente accettate dalla tradizione apostolica, che devono essere osservati non soltanto per evitare gli errori ma pure per trasmettere l'integrità della fede, perché lex orandi statuit lex credendi (San Prospero di Aquitania). Elogia poi San Gregorio Magno che contribuì a codificare il Rito Romano e inviò il grande Ordine di San Benedetto in tutta Europa. E rende omaggio al santo domenicano, Papa Pio V, per il rinnovamento di quel medesimo rito al tempo del Concilio di Trento.

Menziona la radicale riforma del Messale Romano di Papa Paolo VI e la sua traduzione in vernacolare, come pure la terza edizione tipica di Papa Giovanni Paolo II. Tuttavia, nota che "non sono pochi" gli affezionati al vecchio rito e quello stesso Papa lo aveva permesso a certe condizioni nel 1984 (Quattuor Adhinc Annis) e successivamente i vescovi esortarono ad essere generosi nel permetterlo ai devoti del vecchio rito nel 1988 (Ecclesia Dei). Considerando come ci fosse ancora necessità, dopo aver consultato il Concistoro dei Cardinali nel 2000, Papa Benedetto pubblicò il Motu Proprio Summorum Pontificum il 7 luglio 2007, con il quale autorizza i sacerdoti a celebrare la Messa del Messale del Beato Giovanni XXIII. Le disposizioni sono le seguenti:

Nella lettera accompagnatoria il Papa esprime il timore di alcuni secondo i quali questa concessione sarebbe un voltare le spalle al Vaticano II. Afferma che la forma ordinaria per i cattolici continuerà ad essere il rito corrente. Alcuni ritengono che questo porterà disunione nella Chiesa. Il Papa chiarisce che l'uso del vecchio rito richiede formazione liturgica, conoscenza del Messale e del latino, cosa non possibile per tutti. Un uso che sarà perciò limitato. Osserva che il duplice uso del Rito Romano sarà mutualmente arricchente, con nuovi santi e prefazi per il vecchio Messale e maggiore riverenza per la Messa nel nuovo Messale. Esprime la speranza che ciò porti una più grande unità nella Chiesa, soprattutto da parte dei dissidenti a destra, come è già avvenuto.

Il Papa ritorna sulla continuità della tradizione della Chiesa, che aveva già ricordato negli auguri natalizi alla Curia nel 2005. Non sorprende la continuità nel suo approccio con la liturgia. Il nuovo Maestro delle celebrazioni pontificie, Mons. Guido Marini, ha estratto ricchezze della tradizione che erano state dimenticate e di cui oggi ci possiamo riappropriare. Nelle Messe papali vengono indossate magnifiche casule, e in altri momenti permane il più fluente gotico. Vecchi troni e altri paramenti pontifici vengono rispolverati, non per un ritorno al trionfalismo ma come oggetti che manifestano la bellezza al servizio della liturgia. La ristrutturazione della Congregazione per il Culto Divino ha assegnato ora un ufficio per promuovere l'arte, l'architettura e la musica liturgica. Il direttore di questo nuovo ufficio è l'abate Michael Zelinski, OSB, esperto in canto gregoriano. Sono da attendersi cose egregie in futuro.

Abbiamo dunque percorso il pensiero liturgico di Joseph Ratzinger nel suo sviluppo dall'adolescenza alle esperienze da seminarista e da perito al Vaticano II, da professore universitario, Arcivescovo di Monaco, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e infine da Papa, e tutto con una costante coerenza di principio. Vedremo come la sua teologia e l'indirizzo pastorale toccherà la liturgia della Chiesa e il suo desiderio di continuità, ma credo che prometta bene e certamente costituisce la sua eredità alla Chiesa del futuro. Abbiamo un gran debito di gratitudine a Papa Benedetto per la chiarezza di pensiero, l'invito alla bellezza e la promozione della liturgia, e ora egli prega per noi.




The Institute for Sacred Architecture, vol 23 - spring 2013

www.sacredarchitecture.org/articles/the_liturgy_in_the_thought_of_benedict_xvi/

trad. it. di d. G. Rizzieri

http://www.diocesiportosantarufina.it/home/news_det.php?neid=2622

domenica 28 luglio 2013

ERESIA ED AVARIZIA

 

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Laddove un governo o una politica sono attenti alla verità sull’uomo, facilmente troviamo l’armonia con la dottrina della fede e la comunione ecclesiale; dove invece essi mirano ad arraffare, alla prepotenza o alla dittatura, troviamo lo spregio simultaneo delle esigenze della giustizia e della verità di fede. L’ingiustizia e l’eresia vanno sempre di pari passo

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Jean Fouquet – il diavolo tenta Bernardo di Chiaravalle (particolare)


L’ideologia del liberalismo e dell’illuminismo ci ha abituati ormai da tre secoli ad un falso quanto ostinato stereotipo dell’eretico inteso come genio incompreso, profeta di progresso, uomo disinteressato e martire del libero pensiero, dalla vita austera ed esemplare, perseguitato o represso dall’oscurantistico, arcigno e retrivo strapotere della Chiesa Romana.

Meno male – così alcuni pensano – che col Concilio Ecumenico Vaticano II la Chiesa non ha più lo sguardo torvo e schifiltoso, ha smesso di parlare di “eresie”, di mitragliare a tutto campo, si è aggiornata e si é fiduciosamente, gioiosamente ed amorevolmente aperta al mondo moderno in un dialogo dalla ricchezza inesauribile.

In realtà l’eretico, almeno nella concezione cattolica, è un battezzato che rinnega volontariamente, per superbia, uno o più dogmi della fede cattolica, ossia le interpretazioni della divina rivelazione proposte a credere ai fedeli da parte della Chiesa, e si adopera astutamente a far valere la sua idea, senza badare all’onestà dei mezzi e dei fini, con grave danno per le anime.

L’eresia non è un innocuo “delitto di opinione”, come credono i soloni del liberalismo, ma un delitto contro la verità e la coscienza di fede, che non sono affatto un’opinione, ma sono verità sacra, oggettiva, universale, immutabile, assolutamente certa e vincolante in coscienza, almeno per il credente, in quanto fondata non su di un’autorità umana o su contingenti circostanze storiche, ma sulla stessa autorità divina di Cristo, che si è rivelato alla sua Chiesa incaricandola di trasmettere a tutto il mondo tale verità al fine di garantirgli il cammino della salvezza. La Chiesa, infallibile soltanto nell’annuncio del Vangelo, ha sempre poi lasciato la massima libertà di opinione, anche in teologia, in quel campo che non mettesse in pericolo i valori della fede e della morale.

L’eresia concerne evidentemente l’esercizio dell’intelligenza, poiché è questione di verità ed è l’intelletto che ha per oggetto la verità. Tuttavia nella vita umana la volontà, la prassi e quindi gli interessi economici interagiscono con gli interessi intellettuali e conoscitivi secondo una reciproca influenza che può recar beneficio ma anche danno sia alle idee che al comportamento. Il modo e i contenuti del pensiero certamente influiscono sull’azione, ma anche le inclinazioni, gli affetti, i bisogni e gli interessi pratici e materiali influiscono sulle dottrine, sulle credenze e sul sapere.

E come la virtù intellettuale facilmente va d’accordo con la virtù morale, così il vizio del pensiero facilmente si sposa col vizio morale. Per questo, ponendosi eresia ed avarizia sul piano del vizio – vizio del pensiero e vizio dell’azione – è facile trovare un nesso, anche se non sempre in tutti i casi, tra l’eretico e lo schiavo di Mammona.

L’eresia, come ho detto, è causata direttamente e propriamente dalla superbia, per la quale il soggetto si ritiene in grado o in dovere di notare di falso la dottrina della Chiesa, quasi che, grazie ad un contatto diretto con Dio, sia a conoscenza della divina rivelazione meglio della Chiesa stessa o sappia meglio interpretare Bibbia e Tradizione, e in forza di questa superiore conoscenza, si ritenga capace di correggere la Chiesa rifiutando il suo insegnamento.

Ma la superbia a sua volta è strettamente legata ad uno smodato bisogno di potenza, di dominio, di godimento e di possesso, ad un idolatrico attaccamento al mondo, ad un’esagerata cura dei propri interessi e della propria immagine, alla tendenza a sfruttare gli altri a proprio vantaggio, ad una puntigliosa, stizzosa e vendicativa difesa del proprio io, ad una profonda inquietudine polemica, ad un bisogno narcisistico ed insaziabile di emergere, di esibizionismo e affermazione dell’io, il quale esplicitamente o implicitamente, ritenendosi l’unica ed l’assoluta “autocoscienza”, rifiuta di sottomettersi a Dio o identificandosi con Dio (panteismo) o sostituendosi a Lui (ateismo).

L’eretico, quindi, in vista di assicurare al suo io il primato sull’essere, facilmente è soggetto al vizio dell’avarizia, ossia a quella ricerca di potere e di possesso economico o per conto proprio o per mezzo di altri, che gli consente di esercitare concretamente e materialmente sugli altri quel dominio e quella sopraffazione che sono l’effetto immediato della superbia nel campo dei rapporti col prossimo.

I contenuti stessi dell’eresia, al di là di progetti falsamente spiritualistici o materialistici in modo aperto ed esplicito, propongono una visione della vita umana chiusa in prospettive meramente terrene per non dire economiche ed esaltano il possesso e il godimento delle ricchezze come ideale supremo della vita umana, incuranti del bene comune e delle esigenze della giustizia e della solidarietà sociali. Sotto questo profilo l’eretico o trae dalle sue idee un profitto economico personale o agisce a servizio di forze economiche o si serve di queste forze che si muovono nel senso delle sue idee ereticali.

L’eresia è una menzogna nel campo della fede ed è il segno di un’impostazione di vita alla quale non interessa la verità, ma il successo, il piacere e il potere e facilmente l’interesse si volge al potere economico, dunque l’avarizia. Per questo l’eresia facilmente attecchisce in quelle classi di governo o ambienti politici ai quali non interessa la verità circa il bene comune, i diritti umani o i bisogni della gente, ma la conservazione di una posizione di prestigio e l’esercizio dello sfruttamento economico.

Laddove un governo o una politica sono attenti alla verità sull’uomo, facilmente troviamo l’armonia con la dottrina della fede e la comunione ecclesiale; dove invece essi mirano ad arraffare, alla prepotenza o alla dittatura, troviamo lo spregio simultaneo delle esigenze della giustizia e della verità di fede. L’ingiustizia e l’eresia vanno sempre di pari passo.

La preoccupazione per la giustizia e la pace senza una corrispettiva adeguata attenzione al pericolo che viene dall’eresia, è un difetto diffuso nella pastorale di oggi, ed è una cattiva interpretazione della pastorale promossa dal Concilio. Tale atteggiamento dimostra impreparazione teologica, infedeltà al Magistero, inescusabile dabbenaggine e forse anche in certi casi insincerità e nascoste connivenze con la stessa eresia.

Così si deve dire che l’avarizia, che intacca l’onestà, la temperanza e la sobrietà nella vita fisica, cammina parallelamente alla disonestà o slealtà della menzogna sul senso trascendente o teologico della vita, che caratterizza l’eresia. Nella Bibbia troviamo sempre assieme la duplice detestazione della brama delle ricchezze come dell’orgoglio ereticale, in quanto sorgenti radicali di tutti i mali, del corpo e dell’anima. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esca dalla bocca di Dio”.

Dal punto di vista economico sembrerebbe di trovare una condanna dell’avarizia simile a quella che Marx fa dell’ingiustizia sociale come principio dell’alienazione dell’umanità, se non fosse che nel materialismo marxiano, amante dei sofismi dialettici, manca la doverosa condanna della disonestà intellettuale, tipica dell’eresia, come principio altrettanto grave dell’infelicità, della schiavitù e della perdizione dell’uomo.

Un certa corrente filomarxista della teologia della liberazione condannata a suo tempo dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, nel momento in cui accentua l’esigenza della giustizia in una prospettiva meramente terrena, chiusa al futuro ultraterreno e soprannaturale[1], si oppone all’avarizia solo apparentemente, ma in realtà finisce per bloccare il vero processo della liberazione evangelica dell’uomo, cedendo quindi ad una visione ereticale.

Su questa linea è il famoso teologo ex-francescano Leonardo Boff, i cui scritti furono a suo tempo condannati, il quale si è di recente rifatto vivo nella speranza di accaparrarsi il Papa con mossa perfida contrapposto da lui a Benedetto XVI che lo ha condannato.

E così parimenti certe visioni apparentemente personalistiche e spiritualistiche come il rahnerismo, che sembrerebbero del tutto aliene dal favoreggiare l’avarizia, in realtà col loro immanentismo finiscono per esaltare un umanesimo chiuso al trascendente e quindi tutto orientato al possesso e al dominio dei beni terreni, il che è eretico e nello stesso tempo favoreggia l’avarizia.

L’avarizia è occasione ed incentivo all’eresia. L’avarizia infatti, immergendo la mente negli interessi terreni, le impedisce di elevare lo sguardo, di avere quella limpidezza e quella libertà con la quali potrebbe attingere alle superiori verità della fede, gustarle e metterle in pratica. In tal modo l’avarizia, mantenendo la mente raso terra, riproduce sé stessa e si chiude alla verità della fede. Ecco dunque l’eresia.

La pratica intensiva, organizzata ed abile dell’avarizia, dal canto suo, quello che alcuni chiamano “senso degli affari”, è spesso sorgente di lauti ed illeciti proventi per l’eretico e per i suoi seguaci e sponsorizzatori. Infatti esiste un vasto pubblico che preferisce la dolce menzogna alla dura verità, per cui esso volentieri acquista i prodotti degli eretici.

Quale responsabilità hanno qui le case editrici cattoliche! Il vizio promuove la falsità e la falsità è causa del vizio. E tutti sappiamo quanto il danaro sia legato al vizio, benchè col danaro si possano compiere meravigliose ed utilissime opere religiose e sociali, come dimostra la vita dei santi e degli onesti imprenditori e dirigenti d’azienda nel campo dell’industria e dello sviluppo economico. Il capitalismo, come spiega la recente dottrina della Chiesa, non è un male in sé, se viene impiegato a servizio del bene comune.

I mali tuttavia in generale si incrementano a vicenda sul piano del pensiero e dell’azione, anche se poi avviene che ciò si verifica, grazie a Dio, anche per i beni. Come avarizia ed eresia si richiamano a vicenda, altrettanto sono sorelle la fede ortodossa e la giustizia sociale.

Quanto all’avarizia, la gravità di questo vizio è ben nota e denunciata già dai saggi pagani. Ricordiamo la famosa detestazione della auri sacra fames di virgiliana memoria. Per capire l’odiosità di questo vizio non occorrono infatti speciali rivelazioni celesti o acume speculativo, ma è sufficiente una minima dose di buon cuore e di senso di umanità, che però purtroppo non albergano sempre di fatto in tutti.

La figura commovente e nobile del buon samaritano sta sempre ad insegnarci che il senso naturale ed onesto della solidarietà umana, anche in soggetti in buona fede non istruiti dal punto di vista della dottrina, può averla vinta su di una cultura religiosa raffinata ed ipocrita che finisce però in realtà, a causa dell’egoismo e della durezza di cuore, per celare la vergogna dell’eresia.

Accade così che il comando divino dell’amore del prossimo (“amatevi come Io vi ho amato”), fondamentale verità di fede del cristianesimo, elevando la naturale solidarietà umana alla dignità soprannaturale di fratellanza in Cristo, abbia per contrapposto che l’avarizia si presenti non solo come ingiustizia sul piano delle virtù morali e del diritto naturale, ma anche e soprattutto come vera e propria eresia, peccato contro la fede e contro il Vangelo.

Gesù, nella sua polemica contro i farisei, li accusa simultaneamente di ipocrisia per la loro incredulità e falsa fede in Jahvè, nonché di avarizia per il loro sfruttare un’apparente professione di vita religiosa per bassi fini egoistici o di potere economico. Viceversa il Vangelo è annunciato ai poveri sia nel senso dei bisognosi economicamente che nel senso dei bisognosi di verità, umilmente aperti alla Parola del Vangelo.

Quanto ancor oggi purtroppo la polemica di Gesù resta attuale per tutti quegli ambienti religiosi e clericali nei quali la professione di fede vien falsata per essere considerata non come il vertice degli interessi - fons et culmen - ma come fonte di loschi affari e guadagni illeciti!

Quanto spesso nei discorsi, nei capitoli e nelle riunioni di ecclesiastici o di religiosi che dovrebbero essere luce della Chiesa ed esempio di vita sobria, le questioni trattate con maggior serietà, calore e sottigliezza di argomenti degni di miglior causa, non sono quelle dottrinali o pastorali, ma quelle relative a vendite, acquisti, affari, guadagni, intrallazzi, profitti e cose del genere!

In tal modo capita che la Chiesa, che di per sé è una comunione spirituale, avendo essa anche un aspetto terreno ed essendo composta di uomini fallibili e peccatori, scada a volte nello stile di una qualunque società umana con i suoi egoismi e discutibili interessi per non dir di peggio, per cui è sempre bisognosa di essere corretta, riformata e riportata sulle vie del Vangelo.

Tutti i Concili ecumenici della storia hanno sempre avuto questa funzione di richiamo alla verità contro gli eretici e simultaneamente di restaurazione della giustizia contro reati amministrativi - pensiamo al “giubileo” ebraico - o contro i falsi pastori che invece di nutrire il gregge ingrassano sé stessi o scappano davanti al lupo.

Anche Papa Francesco si accinge ad una riforma della Curia Romana a cinquant’anni dal riforma promossa da Paolo VI alla luce del Concilio Vaticano II. Che cosa è successo? Forse la riforma promossa dal Concilio era difettosa? O forse non è stata applicata bene? Difficile dirlo.

Questa riforma de fide et morbus dovrà muoversi su due binari, come sempre: eliminazione dell’eresia e delle ingiustizie nell’amministrazione dei beni della S.Sede. L’immaginario collettivo è particolarmente colpito dalla vicenda dello IOR, mentre i modernisti cercano di distogliere l’attenzione dalla CDF, dato che sono parte in causa, ma non dimentichiamo il problema più grave che è quello della crisi di fede, della quale parlava Papa Benedetto XVI nella sua dichiarazione di dimissioni.

Anche la Congregazione per la Dottrina della Fede ha bisogno di uomini dalla fede purissima ed integerrima, considerando il loro ruolo delicatissimo di aiutanti del Papa nella tutela della retta fede, così come del resto anche lo IOR necessita di persone totalmente disinteressate, di eccellente competenza e di specchiata onestà. Ma lo IOR e la CDF devono procedere in piena reciprocità sotto la guida del Papa, così come anima e corpo devono procedere in armonia sotto la guida della stessa anima.

Le Opere di Religione non possono essere ben condotte ed amministrate se nonalla luce della fede, non per altri interessi che non siano quelli della fede e della diffusione del Vangelo. Ed ecco dunque riaffacciarsi il problema dell’eresia, che non è necessariamente negazione di un dogma speculativo, ma anche di quel dogma fondamentale che è la pratica della giustizia evangelica.

Preghiamo per il Santo Padre perché lo Spirito Santo e l’intercessione di Maria SS.ma gli diano la forza di compiere questa impresa gigantesca e rischiosa, circondato da fidati e capaci collaboratori. Ed in ogni caso la Chiesa andrà avanti di vittoria in vittoria, giacchè secondo la promessa del divin Fondatore, portae inferi non praevalubunt.




[1] Vedi il rifiuto della dottrina dei “due mondi” (questo mondo e il futuro mondo celeste ultraterreno) da parte del fondatore della teologia della liberazione Gustavo Gutierrez.


sabato 27 luglio 2013

Il rischio che luci e chitarre oscurino il messaggio spirituale





di Matteo Matzuzzi

Il pop e lo spirito, le due anime di Francesco che convivono (felici) a Rio

Cori gospel, luci stroboscopiche, palchi che sembrano navicelle spaziali per quello che gli organizzatori avevano pensato come “un grande show del futuro”. E’ questo il lato pop della prima Giornata mondiale della gioventù di Francesco, il Papa argentino che dopo una rapida occhiata al programma abbozzato per Joseph Ratzinger ha deciso di intensificare gli appuntamenti pubblici, per stare un po’ di più in mezzo a quel gregge che deve essere sempre il primo riferimento per il pastore, il vescovo (di Roma o della più sperduta e piccola diocesi sulla Terra). C’era curiosità e attesa per vedere il Papa – che lo scorso maggio, durante la veglia per i movimenti ecclesiali redarguiva la piazza che scandiva il suo nome “anziché quello di Gesù” – alle prese con un evento che rischiava di spostarsi più sul lato mondano che su quello spirituale. Niente latino, niente canti gregoriani, paramenti un po’ così, fatti con materiale di recupero. E la spianata di Guaratiba dove si celebreranno la veglia e la messa conclusiva: con quelle strane forme appuntite e i mezzi corni a circondare la grande croce, sembrava tutto tranne che un altare. Su tutto, poi, il fatto che a Bergoglio l’aspetto liturgico interessi marginalmente. Musica sacra, candelieri e arredi vari non sono in cima ai suoi pensieri, lo ammisero qualche mese fa perfino dal Vaticano.

L’esordio della Giornata mondiale dava credito alle perplessità e ai timori di chi vede nello stile di Francesco l’archiviazione del paziente recupero avviato da Ratzinger di elementi liturgici caduti in disuso o abbandonati dopo il Concilio. E anche ad Aparecida, mercoledì, quella sfilata di bandiere all’offertorio ha ricordato a più d’uno le coreografie wojtyliane. D’altronde, il confronto con Madrid 2011 parla chiaro: per dirne una, dal “Tu es Petrus” di Bartolucci si è passati al “Francisco, Papa Francisco” che della sacralità aveva ben poco. Sono tutti aspetti cui Bergoglio non dedica la minima importanza. L’accento vuole metterlo sull’elemento spirituale, e non a caso ai momenti pop e agli show si stanno affiancando la visita all’ospedale per abbracciare i tossicodipendenti, la mattinata spesa nella favela in mezzo agli ultimi, i lunghi minuti di silenzio e preghiera davanti all’Immagine della Vergine, ad Aparecida. E Bergoglio, in tutti e tre i casi, si è commosso. Volto tirato, sguardo fisso all’icona, alla croce, grande o piccola che fosse. Momenti che, come ricordava su questo giornale il professor Roberto de Mattei, sono e valgono più di un discorso. Francesco vuole mischiarsi alla gente, vivere con il popolo la sua missione. Incontrando i giovani argentini giunti a Rio, ha detto di sentirsi “in gabbia”, di voler essere loro “più vicino” ma che “per motivi di sicurezza non è possibile”. E’ questo che conta per il vescovo che si dispera per non poter uscire dal Vaticano e andare a confessare nelle chiese di Roma. E’ ben più importante dello show rutilante, dei momenti discotecari e dei cori gospel a Copacabana.

Ma c’è il rischio che dei due piani su cui si muove Francesco, alla fine a prevalere sia quello esteriore, delle chitarre, del Papa che va in giro a bordo di una jeep scoperta oppure su una vecchia utilitaria grigia. Il messaggio pop e giovanilistico esasperato, usato quasi come strumento per recuperare proprio in Brasile il terreno perduto nei confronti degli evangelici, forti, ricchi e affascinanti, le cui file vedono ogni giorno arrivare sempre più cattolici insoddisfatti, tristi e annoiati. E’ questo il cuore della missione di Bergoglio: far capire che “un cristiano non può essere triste, non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo”. Lo ha ripetuto anche l’altro giorno ad Aparecida, nelle pieghe di un’omelia che aveva il concetto della gioia tra i suoi tre cardini fondamentali.



il Foglio 25 luglio 2013

Comunione in mano o in bocca?


Nel 1989 la Santa Sede concede alle Diocesi italiane un “indulto”, un permesso speciale di dare la comunione in mano in modo straordinario in alcune circostanze particolari:
-Accanto all’uso della Comunione sulla lingua, la Chiesa permette di dare l’Eucaristia deponendola sulle mani dei fedeli. Il modo consueto di ricevere la Comunione deponendo la particola sulla lingua rimane del tutto conveniente. (Decreto sulla Comunione Eucaristica, Cei 19 luglio 1989).
Il Papa Benedetto XVI ci ha donato un esempio meraviglioso sul come possiamo ricevere la Santa Comunione: inginocchiandoci e ricevendola direttamente in bocca. Per secoli la Chiesa ha dato la Santa Comunione così e tutte le persone hanno sempre portato grande rispetto e adorazione verso la presenza reale di Gesù nell’Eucarestia. Oggi prendendola in mano molte persone hanno perso il senso di rispetto e di adorazione verso Gesù. Per molti è diventato un pezzo di pane, un biscotto che posso prendere in mano come tutti gli oggetti che prendo in mano ogni giorno… molti non sanno più che lì c’è Gesù vivo!
Il Cardinale Canizares, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, testimonia: “Io credo che sia necessario in tutta la Chiesa che la comunione si riceva in ginocchio. Infatti se ci si comunica in piedi, bisogna genuflettersi o inginocchiarsi profondamente, cosa che non viene fatta”.
Inizia anche tu: accostati alla Santa Comunione, come ci insegna il Papa, riscoprirai che Gesù è vivo e ti vuole incontrare!

Gesù è vivo e presente nell’Eucaristia
“Sii vigilante affinché tu non perda niente del corpo del Signore. Se tu lasciassi cadere qualcosa, devi considerarlo come se tu avessi tagliato uno dei membri del tuo proprio corpo. Dimmi, ti prego, se qualcuno ti desse granelli d’oro, tu per caso non li terresti con la massima cautela e diligenza, intento a non perdere niente? Non dovresti tu curare con cautela e vigilanza ancora maggiore, affinché niente e nemmeno una briciola del corpo del Signore possa cadere a terra, perché è di gran lunga più prezioso dell’oro o delle gemme?” (San Cirillo 315-387).
Quali sono i frutti della santa Comunione?
La sacra Comunione accresce la nostra unione con Cristo e con la sua Chiesa, conserva e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo e nella Cresima e ci fa crescere nell’amore verso il prossimo fortificandoci nella carità, cancella i peccati veniali e ci preserva in futuro dai peccati mortali.
(dal Compendio al Catechismo della Chiesa Cattolica, 202)

Come posso fare bene la Comunione?
I sei passi per ricevere Gesù
All’Agnello di Dio mi metto in ginocchio sul banco e mi preparo
Se sono in grazia di Dio, mi avvicino al sacerdote con grande raccoglimento
Davanti al sacerdote mi inginocchio e tengo le mani giunte
Alle parole: “Il Corpo di Cristo”, io rispondo con fede: “Amen”
Ricevo la particola consacrata direttamente in bocca
Ritorno al mio posto e in ginocchio ringrazio Gesù che ora vive in me

Ad ogni Messa posso fare la Comunione?
Forse quando arrivi in chiesa ti chiedi: oggi farò la comunione? Spesso rispondi: “mi sento di farla…” oppure “non mi sento, mi sento lontano/a da Gesù”.
Ricorda che per fare una buona comunione è necessario:
-

essere in grazia di Dio, ovvero non avere sulla coscienza alcun peccato grave non confessato, altrimenti è necessario prima confessarsi;
-
rendersi conto di Chi si va a ricevere, il Figlio di Dio vivo e vero;
-
desiderarlo con tutto il cuore; comunicarsi in modo degno e devoto.
Se non puoi accostarti a Gesù Eucarestia perché ti trovi a vivere una situazione particolare, puoi pregare stando al tuo posto per ottenere la “comunione spirituale”.

Comunione spirituale
Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a te; non permettere che mi separi mai da te.

giovedì 25 luglio 2013

San Jacopo

 



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Il culto di San Jacopo, detto "il maggiore”, apostolo di Gesù, è vivo a Pistoia già nell’anno 866. In quest’anno la città fu minacciata da un’invasione saracena e tutta la popolazione si rivolse in preghiera a San Giacomo, poi detto San Jacopo, affinché proteggesse la città dalle scorribande saracene e così avvenne, come raccontano le "Historiae di Pistoia” di Salvi:

"Correndo l’anno 849 vennero i Saraceni in Italia, e scorso tutto il Latio, eransi condotti fino alle mura di Roma, il che sentendo i Pistoresi, gran […] se ne presero, temendo fortemente di qualche grave danno o crudele invasione alla loro Città; hora perché essi dalla pubblica fama inteso avevano, come nei prossimi passati anni, cioè nell’820 al Re Ramiro di Spagna travagliato e combattuto dagl’istessi Saraceni, era apparito a vista di tutti i Cattolici, S. Iacopo Maggiore, Apostolo di Cristo, con una Croce rossa nella bandiera e nel petto, coperto tutto di armi lucenti, affiso sopra bianco cavallo, promettendo a lui, ch’egli medesimo, combattendo in favor suo, a lui harebbe data, contro a questa barbara Natione, gloriosa Vittoria, (si come poi avvenne, che però la Spagna invocò e ricevette questo Santo per suo particolare Protettore) i Pistoresi mossi da tale esempio, pensarono anco essi alla protetione del medesimo Santo ricorrere, e così invocatolo con viva fede e ricevutolo per loro Protettore, con solennissime Feste e processioni, una Chiesa in honore e gloria di lui, nella Fortezza del Castellare, fabbricarono, e la Città loro non meno dal pericolo che dal timore, restò liberata”.

Fu uno dei primi apostoli a subire il martirio poiché fu decapitato per ordine di Erode Agrippa verso il 42 d.C. Il suo culto, vivissimo in Spagna, conobbe a Pistoia il massimo sviluppo quando vi pervenne una reliquia del santo da Santiago di Compostela. I documenti dell’Opera di San Jacopo, un’istituzione formata da laici risalente al 1160 circa, ci parlano di un tale Ranieri, un ecclesiastico pistoiese educato alla scuola del vescovo Atto, che lasciò la sua città natia per approfondire la propria formazione spirituale.
Tra la Francia e l’Inghilterra, costui fece tappa nella Galizia spagnola toccando il santuario di Compostela, dove erano conservate le reliquie del santo e ivi diventò un membro importante di questa chiesa. A tal proposito il vescovo Atto, desideroso di offrire alla città di Pistoia una reliquia del santo venerato, chiese a Ranieri di mediare affinché la ottenesse dall’arcivescovo e dai canonici di Compostela.
Così fu. Secondo una versione:

"L’Arcivescovo Didaco, volendo esaudire le pressanti richieste del vescovo Atto e del diacono Ranieri, a lui particolarmente caro, fece aprire il sarcofago in cui si conservava il corpo del santo Apostolo e v’introdusse la mano, con l’intento di staccare dalla testa una ciocca di capelli. Sennonché, insieme ai capelli, venne su anche un frammento d’osso di piccole dimensioni”.

Furono mandati a prendere la reliquia due pistoiesi: Mediovillano«prudentissimo viro» e Tebaldo «eius avuncolo». Il loro ritorno a Pistoia ai primi di luglio del 1144 fu accolto con grandi celebrazioni. Per conservare adeguatamente la preziosa acquisizione fu fatta costruire nella Cattedrale di San Zeno una cappella dedicata a San Jacopo, consacrata il 25 luglio del 1145, dove fu posto un altare argenteo sul quale era esposto il reliquiario.

La cappella fu posta sotto l’Opera di San Jacopo e divenne tappa fondamentale della via Francigena. Questa antica strada nel medioevo era per lo più formata da un reticolo stradale romano e collegava il centro Europa all’Italia.

La denominazione francigena, che significa "via che ha origine dalla Francia”, si consolidò fra XI e XII secolo, nel periodo di maggiore fioritura del pellegrinaggio a Santiago di Compostela, infatti, questo iter era conosciutissimo da parte dei fedeli che si dirigevano verso il santuario della Galizia e da coloro che, viceversa, dalla Spagna si dirigevano verso Roma. Con la costruzione della Cappella la venerazione nei confronti del santo crebbe enormemente pertanto numerose persone offrivano i loro averi in segno di devozione. Grazie a questi lascivi si costituì il tesoro
di San Jacopo che fu conservato nella Cappella, la quale divenne talmente sfarzosa da essere definita in un antico documento "specchio e onore di devozione di questa città e similmente per fama di tutte l’altre nationi”.

I pellegrinaggi si intensificarono ulteriormente quando nel 1395 Andrea Franchi, Vescovo di Pistoia, ottenne da Roma per la Cappella di San Jacopo l’indulgenza.

Essendo quindi il patrimonio destinato ad accrescersi, fu creata l’Opera di San Jacopo, un’istituzione formata dai più eminenti membri del Consiglio del Comune. Inizialmente i compiti dell’Opera erano rivolti all’amministrazione degli affari interni relativi all’ornamento della cappella con opere artistiche; in seguito il suo ruolo fu modificato ed essa si affermò come autorità civile ed ente assistenziale occupandosi, in collaborazione con il Comune, che già dal 1177 pose la propria tutela sull’Opera, dell’organizzazione dei festeggiamenti sia sacri che profani legati al culto del santo.

Queste celebrazioni erano progettate con tale "pompa” da attirare a Pistoia personaggi illustrissimi. Numerose sono, nello Statutum dell’Opera di San Jacopo, le disposizioni atte a celebrare solennemente le feste patronali: si intuisce la volontà di fare, di quel momento eccezionale e "alto” nella vita della città, un’occasione spettacolare.

Dagli Ordinamenti del Popolo del 1284 e dagli Statuti del Podestà di Pistoia del 1296 si evincono diverse indicazioni relative allo svolgimento delle feste in onore di San Jacopo. I festeggiamenti principali che si preparavano erano: la presentazione degli omaggi, la processione religiosa, il palio, la fiera, la sontuosa colazione per la nobiltà pistoiese e forestiera, l’incendio dei fuochi, l’ostensione del tesoro di San Jacopo. C’era inoltre l’usanza di rilasciare alcuni prigionieri durante le feste e di distribuire pane ai poveri della città.

"In occasione dei festeggiamenti in onore del santo la Cattedrale era adornata all’interno con grandi festoni di verzura formati con rami di bussoli, di allori, di ellera, di ginepri, di meli recanti frutta, di rami di rose in fiore che pendevano da ogni arcata della Chiesa disposti in varie direzioni talché in un registro dell’Opera questo apparato è chiamato chapanna della verzura del duomo”.

Questo genere di addobbi fu usato fino al XVI secolo. All’esterno, la Cattedrale era adornata sotto il loggiato da festoni di alloro, di pungitopo e di rami di diverse piante intrecciate tra loro.

Ancora oggi la Cattedrale, in occasione del rito della vestizione e per tutto il mese di luglio, viene addobbata all’esterno di tralci di uva e ramoscelli di melo, secondo un’antica tradizione che chiamava l’uva e le mele nate alla fine del mese di luglio "uva saicopa” e "mele saiacope”, considerandole quindi un dono del santo.

La cerimonia della vestizione cui cooperano oggi il Comune, il Comitato cittadino, la Cattedrale e il Comando provinciale dei vigili del fuoco, consiste nel rivestire con una mantellina rossa la statua di San Jacopo che si trova al lato destro della facciata del Duomo. Questa cerimonia si ricollega ad un’antica locuzione pistoiese, «pagare a tanto caldo», usata per appellare i pagatori disonesti.

L’origine di questa strana similitudine può ricercarsi in una particolare leggenda tramandata oralmente nel corso dei secoli che ha per protagonista San Jacopo. Secondo tale versione, il santo prima di darsi alla vita spirituale faceva il sensale di cavalli, perciò acquistava i cavalli al mercato rimandando il pagamento al sopraggiungere della stagione calda.
In occasione della festa del luglio, momento di incontro tra gli abitanti della città e quelli della campagna, un creditore gli si avvicinò sicuro di poter riscuotere ma il santo si fece trovare tutto imbacuccato in un pastrano rosso fingendosi intirizzito dal freddo, rimandando così nuovamente il pagamento «a tanto caldo».

Il mantello usato per il rito della vestizione, ha assunto un’accezione simbolica rappresentando l’emblema di riconciliazione tra campagna e città, due mondi differenti e in passato in duro conflitto tra loro, nonché, attraverso il colore rosso, simbolo del martirio e della festa, la fusione tra il mondo laico e il mondo ecclesiastico. In passato sotto la loggia della Cattedrale era costruito un altare in legno in modo che la gente che non riusciva ad entrare poteva comunque assistere alla messa. Per proteggere i fedeli dal sole si stendeva sopra la piazza un enorme panno dipinto a scacchi e nicchi (conchiglie di San Jacopo). Per tutta la durata dei festeggiamenti in onore del santo il tesoro di San Jacopo si esponeva ai fedeli sull’altare della Cappella.

Prima della scoperta della polvere pirica, si parla, nei registri amministrativi del XIII sec. dell’Opera, della cosiddetta luminaria in onore di san Jacopo. Si trattava di pannelli unti in materie resinose, che quindi bruciavano a lungo, collocati sulle torre della Cattedrale e sopra i cornicioni dei palazzi pubblici.

Falò di paglia erano accesi nelle piazze della città e nelle zone limitrofe di Pistoia in modo tale che, volgendo lo sguardo verso le montagne, fosse possibile godere dei bagliori del fuoco tutt’intorno.

Particolarmente interessante è una tradizione ormai scomparsa: la colazione. Questo rinfresco era offerto in episcopio o in Comune alle autorità civiche, al clero e alle personalità convenute da fuori. Nei secoli XIV e XV si servivano confetti grossi, finocchiata e rinfreschi di trebbiano. Dopo la metà del XVI secolo si servivano anche confetture, cialdoni, pistacchi, frutta candita e vini pregiati.

Nel 1642 partecipò alla colazione Piero dei Medici, nel 1661 l’Arciduca di Innspruck cognato del Granduca Ferdinando II, nel 1683 il Principe ereditario di Danimarca, nel 1714 Mons. Caraffa, Nunzio Pontificio alla Corte di Toscana, nel 1729 Monsignore Niccolò Forteguerri.

L’usanza della colazione di San Jacopo seguitò fino al 1777 conoscendo ben poche interruzioni avvenute, come dicono gli atti dell’Opera, nel 1532, 1533 e 1534 a causa di guerre civili che agitavano la città in quel periodo. L’attrattiva profana di maggiore rilievo era ed è rimasta tutt’oggi il palio, "Giostra dell’Orso” dal 1947, di cui si parla negli Statuti dell’Opera del XIII sec..

La corsa del palio, che almeno fino verso la fine del sec. XIII era stata data soltanto in circostanze speciali, all’inizio del XIV sec. fu ammessa come parte integrante delle feste patronali contribuendo ad accrescere l’importanza di quei festeggiamenti e richiamando a Pistoia, oltre che devoti, una moltitudine di persone interessate alla gara.

 

mercoledì 24 luglio 2013

Con Mons. Rifan e Juventutem, in diretta dalle GMG di Rio









[Fonte Paix Liturgique, via mail] - Le GMG di Rio sono cominciate questo martedì. Come è divenuta ormai un'abitudine (vedere la nostra lettera 28), i giovani legati alla forma straordinaria del rito romano si ritrovano sotto la bandiera di Juventutem [il link è al sito di Juventitem Italia] per delle attività specifiche, la cui organizzazione quest'anno, trattandosi del Brasile, è stata affidata all'Amministrazione apostolica personale San Giovanni Maria Vianney.
Ci sembra interessante rivolgere alcune domande a Monsignor Fernando Arêas Rifan, ordinario dell'Amministrazione apostolica, che farà la catechesi per i giovani di Juventutem. Approfittiamo di quest'occasione per ricordare che Monsignor Rifan sarà a Roma a fine ottobre per il pellegrinaggio Summorum Pontificum.

I - Intervista con Mons. Rifan

1) Come in occasione delle precedenti edizioni, anche nel corso delle GMG di Rio, i giovani attirati dalla liturgia tradizionale potranno beneficiare di momenti di preghiera e di catechesi specifica. Cosa ci può raccontare del programma di questi incontri di cui l'Amministrazione apostolica San Giovanni Maria Vianney ha preso in carico l'organizzazione in collaborazione con Juventutem?

Monsignor Rifan: Grazie a Dio, il comitato di organizzazione delle GMG ci ha riservato una chiesa molto bella e importante. Si tratta della chiesa di Nossa Senhora do Carmo da Antiga Sé, la vecchia cattedrale di Rio de Janeiro, che è stata destinata alle celebrazioni secondo la forma straordinaria durante le GMG. Per quel che mi riguarda , ho ricevuto una lettera da parte del Consiglio pontificale per i laici (il dicastero responsabile delle GMG, NdR), in cui mi si diceva espressamente: "Vorremmo chiederle di essere il punto di riferimento per la catechesi del gruppo Juventutem i 24, 25 e 26 luglio. La messa sarà celebrata secondo la forma straordinaria del rito latino, secondo il messale del 1962".
Al di là dei giovani di Juventutem, siamo fiduciosi nel fatto che possano arrivare anche altri partecipanti, visto che sia la chiesa che le messe celebrate secondo la forma straordinaria figurano nel programma ufficiale.

2) Qual'è la situazione della forma straordinaria in Brasile? Dall'Europa si ha l'impressione che si stia pian piano aprendo nuovi spazi e che le barriere ideologiche stiano crollando. Si può dire che ci sia un effetto "Summorum Pontificum"sulle vocazioni, sulla vita delle comunità religiose e su quella delle parrocchie?

Monsignor Rifan: La situazione della forma straordinaria in Brasile è ancora difficile anche se c'è stata una bella evoluzione in seguito al Motu Proprio Summorum Pontificum. La nostra Amministrazione apostolica, con l'appoggio di Monsignor Fernando Guimarães, vescovo di Garanhuns, ha già organizzato in varie diocesi del paese, in accordo con i vescovi locali, tre riunioni annuali "Summorum Pontificum" per sacerdoti e religiosi. La prima ha avuto luogo nella diocesi di Monsignor Guimarães, la successiva nell'arcidiocesi di Rio de Janeiro, e la terza si è svolta nell'arcidiocesi di Salvador. Quest'anno l'incontro si terrà durante le GMG presso Nossa Senhora do Carmo da Antiga Sé, la chiesa che è stata riservata alla liturgia tradizionale.

3) Che ci può dire dell'Amministrazione apostolica? Oltre alle vocazioni e alla significativa presenza di fedeli, ci sono sviluppi nelle relazioni con la Chiesa brasiliana? Anche in questo caso abbiamo l'impressione che si respiri un'aria più distesa... avete la possibilità di espandervi al di fuori dei confini della diocesi di Campos?

Monsignor Rifan: La nostra Amministrazione apostolica, oltre alle parrocchie e alle chiese delle quali ha la diretta responsabilità nella diocesi di Campos, si occupa anche, con l'assenso dei vescovi locali, delle comunità di fedeli di una dozzina di altre diocesi. Quest'anno il nostro seminario conta circa 40 seminaristi. La metà di questi viene dalla nostra regione, ma l'altra metà viene dal resto del paese.
C'è un grande rispetto verso la nostra Amministrazione apostolica da parte degli altri vescovi del Brasile. Io sono accolto molto bene nelle assemblee sia locali che generali della Conferenza episcopale.

4) Lei è venuto recentemente in Europa e ci ritornerà a fine ottobre per il pellegrinaggio del popolo Summorum Pontificum. Che impressione le ha fatto il nostro vecchio continente in via di scristianizzazione?

Monsignor Rifan: Mi sembra in effetti che l'Europa abbia perduto parte dell'entusiasmo cristiano. Penso però che sia in corso un risorgimento. Speriamo che il pontificato di Papa Francesco, in continuità con lo splendido insegnamento di Papa Benedetto XVI, possa pastoralmente produrre molti frutti per la nuova evangelizzazione.

5) Lei ha salutato Papa Francesco e partecipato alla sua messa mattutina a Santa Marta. Cosa gli ha detto?

Monsignor Rifan: Ho in effetti assistito alla messa a Santa Marta, in segno di comunione con Il Santo Padre: cum Petro et sub Petro. Nel nostro incontro, mi sono semplicemente presentato come il vescovo dell'Amministrazione apostolica San Giovanni Maria Vianney, che conserva la messa nella forma straordinaria del rito romano. Lui mi ha ascoltato tranquillamente e poi mi ha detto sorridendo che conosceva bene la nostra situazione per averne parlato con il Cardinale Castrillón.

II - Il programma delle attività di Juventutem durante la GMG

Descrizione dell'attività: partecipare alla forma straordinaria del rito romano con l'Amministrazione apostolica di San Giovanni Maria Vianney.
La nostra Amministrazione apostolica, creata dal Beato Giovanni Paolo II, vi invita a scoprire la ricchezza del rito romano tradizionale durante le GMG.

Catechesi in portoghese (Monsignor Rifan) mercoledì 24, giovedì 25 e venerdì 26 luglio alle 9 e 30, seguita, ogni giorno a mezzogiorno, da una messa celebrata da Monsignor Rifan.
Da martedì 23 a venerdì 26, dalle 14 alle 16, sacerdoti e religiosi saranno a disposizione dei pellegrini. Ci sarà anche una messa bassa alle 15 il giorno 23, il 25 e il 26.
Infine, mercoledì 24 alle 18, Monsignor Rifan celebrerà una messa solenne pontificale.

Tutte le attività si svolgeranno presso la “Paróquia Nossa Senhora do Carmo da Antiga Sé” : R. Sete de Setembro, 14 - Centro, Rio de Janeiro.

III - Il commento di Paix Liturgique

Per il Pontificio Consiglio per i laici non c'è alcun dubbio che sia "normale" che i giovani legati alla forma straordinaria del rito romano abbiano uno spazio proprio durante le GMG. Durante quelle di Madrid, il dicastero romano era addirittura intervenuto per mettere fine ad un artificio immaginato dalla gerarchia ecclesiastica locale per privare Juventutem di uno dei vescovi assegnati per la sua catechesi.

L'attitudine degli organizzatori delle GMG si ricollega perfettamente all'affermazione fatta l'anno scorso dal Prefetto del Culto divino, il Cardinale Cañizares, durante il pellegrinaggio Summorum Pontificum a Roma: "l'uso del Messale del 1962 è normale".

Visto che ancora oggi molti fedeli sono ancora ingiustamente privati dell'accesso alla forma straordinaria del rito romano, preghiamo dunque, con i giovani di Juventutem presenti alle GMG, perché i fedeli "straordinari" siano alla fine trattati ovunque e sempre come dei cattolici "normali". Niente più, niente meno.