sabato 30 novembre 2019

INTERVISTA A BUX. I 50 anni della nuova Messa, speranza che si è fatta crisi





«Dalla speranza alla Pachamama: interroghiamoci». Il 30 novembre di 50 anni fa entrava in vigore la nuova Messa di Paolo VI. Il bilancio in chiaroscuro di don Nicola Bux: «Paolo VI voleva avvicinare l'uomo a Dio, ma vide con dolore che la Riforma tradiva il Concilio. Il fumo di Satana era per le deformazioni della Messa mentre fautori come Bouyer e i gesuiti ammisero che era ormai "malleabile" come il caucciù. La svolta con Ratzinger: capì che la crisi della Chiesa era prima una crisi liturgica». Che fare? «Tornare al diritto di Dio di essere adorato. E seguire il
Summorum Pontificum: la Messa antica contagerà le Messe di oggi». 




Andrea Zambrano, 30-11-2019

50 anni fa oggi entrava in vigore il nuovo messale promulgato da Papa San Paolo VI. Che fare? Festeggiare o interrogarsi su quale sia lo stato della liturgia oggi? Lo abbiamo chiesto a don Nicola Bux, liturgista e teologo, che alle distorsioni della nuova messa ha dedicato molte pubblicazioni tra cui il fortunatissimo Come andare a messa e non perdere la fede (Piemme).

Don Nicola, lei nel 1969 aveva su per giù 20 anni…

Esatto. Ho vissuto quella riforma, quando fu promossa. A noi giovani di allora sembrava una cosa buona e diciamo che l’ho ritenuta tale per molti anni collaborando sia a livello diocesano che nazionale con quelli che erano i maestri principali della sua applicazione, come l’abate benedettino Mariano Magrassi, che poi divenne arcivescovo di Bari.

Che cosa le sembrava buono?

L’idea che allora andava per la maggiore: non doveva essere una rivoluzione bensì di una rimessa in forma – se ci sia permesso - del culto divino in maniera da rendere più evidente questa esigenza del rapporto dell’uomo con Dio. Questo era nella mens del pontefice al di là delle intenzioni maliziose di vari novatori: rendere ancor più stretto il rapporto tra Dio e l’uomo.


Eppure, i risultati ci dicono di una grande disaffezione alla Messa.
Quello che oggi si vede non era minimamente immaginabile. Del resto, quando si cita Paolo VI con le sue dichiarazioni allarmate circa le deformazioni della liturgia ci si riferisce a qualcosa che nessuno, a cominciare dallo stesso pontefice, poteva immaginarsi. Bisogna ammettere che all’epoca nessuno – o quasi – immaginasse uno snaturamento del genere della liturgia che oggi è passata dall’essere culto a Dio a culto dell’uomo.

Quando anche lei si accorto che qualcosa non funzionava?

Il giro di boa è avvenuto con la pubblicazione di Rapporto sulla fede di Ratzinger con Messori. Lì anche noi liturgisti ci accorgemmo che qualcosa non andava.

Era il 1984.

A 15 anni da quella riforma l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede provò a fare un bilancio e il risultato non fu dei più incoraggianti.

Perché?

Perché dovette certificare che l’idea di crisi della Chiesa, che stava emergendo, fosse strettamente collegata alla crisi della liturgia. In effetti c’è uno rapporto strettissimo tra l’essere Chiesa e il manifestarlo attraverso la preghiera e il culto. Ratzinger comprese che era crollato qualcosa e più tardi, da Pontefice, disse che la crisi della Chiesa dipendeva in gran parte dal crollo della liturgia.


Che cosa intende per crollo della liturgia?
Lo scadimento della liturgia che diventa una autocelebrazione del popolo. Ricordo l’esempio che portava a sostegno di quella tesi: una danza a vuoto attorno al vitello che siamo noi stessi. Una deformazione clamorosa del culto.

Questa è la diagnosi. Ma di chi è stata la responsabilità?
Non sarebbe giusto attribuire questa intenzione né a Paolo VI né ai primi fautori della riforma sebbene siano state ampiamente dette e fatte critiche ai cosiddetti consiglieri della riforma come i membri del famoso consilium. Devo riconoscere che il giudizio più lapidario lo diede Louis Bouyer, che da luterano si fece cattolico e partecipò ai lavori. Nel suo celebre volume sull’Eucarestia diede un giudizio molto duro: dice che se prima della riforma la liturgia era un cadavere imbalsamato, dopo la riforma divenne un cadavere decomposto.

Lo condivide?

Eccessiva, ma è sicuramente vero che le direttive del Concilio non avrebbero mai permesso gli abusi e le deformazioni che poi sono diventate comuni. La situazione è sfuggita di mano perché se confrontiamo la Costituzione Liturgica Sacrosantum Concilium con quanto accade oggi mediamente nelle nostre chiese, è evidente che c’è una distanza in tanti punti e questa è stata tradita.

Il latino, il gregoriano…

Esatto.

E l’orientamento del celebrante, non più ad Deum, ma versus populum…Di questo non ne parla proprio. Il punto critico è che c’è un’infinità di discrasie tra quella che è la Costituzione liturgica e l’applicazione attraverso cui passa il Messale nuovo.

Eppure, Paolo VI era consapevole degli attacchi che si stavano portando alla liturgia da certi ambienti molto vicini ai protestanti…
E' inevitabile che ci siano delle responsabilità, ma bisogna sempre salvare la buona fede del pontefice. Credo che molto dipenda dal lavorìo svolto da Bugnini, che è il padre della Riforma. Però è vero che quella Messa poi si rivelò lontana dalla sensibilità del Papa tanto che ebbe a lamentarsi quando scoprì ad esempio che l'Ottava del Corpus Domini era stata abolita così come il dies irae nelle Messe da requiem.

Paolo VI cercò di correre ai ripari contro le storture che vedeva?
Io ricordo che parlai con monsignor Virgilio Noè, che fu cerimoniere del Papa e poi prefetto del Culto divino e Cardinale. Mi disse – e poi lo mise per iscritto nel suo memoriale pubblicato recentemente – che le famose parole di Paolo VI sul fumo di Satana, pronunciate nel 1972 erano da attribuire alle deformazioni della liturgia.


Come spiegare tutto questo?
Non è che tutto si debba imputare alla riforma liturgica, ma come Ratzinger ha detto la crisi della desacralizzazione ha snaturato la liturgia e quindi tutto il resto. Nel 40ennale della Sacrosantum Concilium, la Civiltà Cattolica, che è la rivista dei Gesuiti scrisse che quella vecchia era una Messa di ferro, quella nuova una Messa di caucciù...

Per via della facilità di "manomissione"?

E' evidente...

Diciamo la verità: non è che il Messale attuale si presta per caso a svariati snaturamenti…?

Mah… vede … il problema è che oggi siamo già oltre il Messale, che non è più ritenuto nemmeno vincolante né normativo perché è entrato in crisi il concetto di diritto di Dio nella liturgia: cioè, Dio non ha nessun diritto di dire in qual modo deve essere adorato, ma se oggi siamo arrivati in maniera inconsapevole a portare in chiesa una piroga con la sagoma di divinità come la Pachamama senza che nessuno si meravigli più di tanto, questo vuol dire che è venuta meno l’idea stessa del culto da dare a Dio.

E la liturgia svanisce?

Per forza! Perché dovrei rispettare le norme se devo adattare tutto alle esigenze della gente? E’ chiaro che qui non possiamo non attribuire una responsabilità enorme alla svolta antropologica di Karl Rahner che ha influito sul popolo cattolico. Rahner diceva che con la venuta di Cristo il profano è scomparso e non esiste più la distinzione tra sacro e profano. Ma questo è falso.

Perché?

Perché se fosse così non vedremmo le sopraffazioni e le violenze a cui invece assistiamo.


C’è un rimedio?
Avere il coraggio di tornare al sacro. Riavvicinare Dio all’uomo, celebrare Messa come se Dio fosse presente.

Non accade?

Le sembra che oggi con tutte le disfunzioni cui assistiamo, dalla trattoria in chiesa al Credo inventato, lo si faccia?

Sta dicendo che servirebbe una riforma della riforma?

Sì. Papa Benedetto XVI aveva ragione.

Come si inserisce in questo anniversario il Summorum Pontificum che sdogana definitivamente la messa tridentina?

Si inserisce come rimedio. E’ stato un dono di Benedetto XVI, ma non è un rimedio a tavolino, è un rimedio che lui ha preso andando in giro per il mondo e vedendo che nonostante tutte le deformazioni insopportabili – come disse lui - la concezione corretta del culto divino aveva resistito: nei monasteri e nelle comunità e soprattutto tra i giovani che hanno capito che il cosiddetto “rito” tridentino o “rito” gregoriano dava frutti. Non era una velleità di qualche nostalgico perché i giovani per definizione non sono nostalgici.

Però il Summorum pontificum, che codifica la Messa antica come forma extraordinaria dell’unico rito romano, non tocca la Messa nuova…

E invece nella mens profetica di Benedetto XVI la tocca, perché la forma straordinaria non può non contagiare positivamente quella ordinaria. Nel senso del recupero di una devozione o di una ars celebrandi che sia veramente rispettosa del sacro. E comunque nella consapevolezza che la devozione si deve esprimere come atteggiamento di adorazione costante a Dio. Questo è il miglior modo per contagiare positivamente la nuova Messa perché non diventi una vuota danza attorno a un idolo.














ABORTO, PIETRA D’INCIAMPO PER I CRISTIANI. IL CASO JUSTIN WELBY




Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, nei giorni scorsi Radio Roma Libera ha pubblicato un podcast di chi scrive, sulla questione dell’aborto e dell’atteggiamento dei cristiani riguardo ad esso. Se volete ascoltarlo, potete farlo a questo link. Qui sotto trovate il testo della trasmissione. Buon ascolto, e buona lettura.



§§§

ABORTO, LA PIETRA D’INCIAMPO PER I CRISTIANI DI OGGI.


Questa è una notizia che riguarda apparentemente soprattutto la Gran Bretagna e la Chiesa anglicana, ma attenzione: quello che è accaduto in quell’area non è molto lontano né da noi, né da quello che sta diventando la Chiesa cattolica.

La notizia, in breve è questa. L’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, è stato ospite di una radio, al ElleBiCi (LBC). Un ascoltatore, in diretta, gli ha chiesto: “Lei appoggia le buffer zones intorno alle cliniche per gli aborti?”.

Le buffer zones sono aree, intorno alle cliniche, in cui gli antiabortisti non possono entrare, stazionare, mostrare i loro cartelli o pregare pubblicamente. Nelle settimane passate in Gran Bretagna ha destato scalpore l’arresto di un pro-life disabile perché pregava di fronte a una clinica per aborti.

E che cosa ha risposto alla domanda l’arcivescovo Welby, erede di una lunga tradizione di cristianità, a chi gli chiedeva se era d’accordo con queste limitazioni?

“Sì, sono d’accordo, perché le persone che vanno a una….uhhh….clinica di aborti, qualsiasi cosa pensiate dell’aborto, sono esseri umani”.

Welby poi ha cercalo di correggere le sue prime parole, chiaramente prive di senso, aggiungendo: “Potete dire che fanno la cosa sbagliata, o potete dire che fanno la cosa giusta, ma potete dire che è il loro diritto, che il bambino ha dei diritti..uhhh”.

E infine ha concluso: “La Chiesa d’Inghilterra è molta chiara su questo”, ma si è rifiutato di “entrare in dettaglio, perché stiamo finendo il nostro tempo, ma la Chiesa d’Inghilterra ha una visione molto chiara su questo e ce l’ha sin dagli anni ‘80”.

Forse la Chiesa d’Inghilterra ha una visione chiara, ma non sembra che l’arcivescovo di Canterbury goda di altrettanta chiarezza. E ha concluso con un tocco amorevole: “Amiamo le persone che vanno là, le trattiamo come esseri umani, le stimiamo e le rispettiamo?”.

Si può dire, essendo cristiani, che forse cercare di impedire che quelle persone commettano un omicidio è esattamente questo: amarle, trattarle come esseri umani, stimarle e rispettarle. Ma evidentemente anche questo è fuori portata per Welby.

Ma non per qualcuno della sua Chiesa. Christian Hacking, il disabile arrestato perché pregava davanti alla clinica di aborti Marie Stopes, si è detto estremamente deluso, perché il suo arcivescovo senza accorgersene ha approvato il suo arresto e la detenzione di otto ore causata dalla volontà di rispettare i comandamenti della Bibbia. Ha detto: “Justin non ha tradito solo me personalmente; ha tradito e questo è più serio, i settemila bambini non nati che sono stati avvelenati, fatti a pezzi e espulsi a Ealing l’anno scorso”.

È la Chiesa d’Inghilterra, voi direte…ma attenti: non dimentichiamoci che nell’ultima assemblea generale dei vescovi cattolici degli Stati Uniti c’è stata una grande battaglia per decidere se il problema dell’aborto fosse o no una questione preminente. Si è dovuto votare, e anche se – fortunatamente – la mozione è passata, ci sono stati ben 69 voti contrari. Il partito dei McElroy, dei Cupich e degli altri filo-democratici, filo-clintoniani sullo stile di McCarrick, con il favore di papa Bergoglio guadagna terreno. E non oso pensare a che cosa potrebbe votare la Conferenza Episcopale Italiana, o persone come Zuppi….


















venerdì 29 novembre 2019

San Pio X svelò l’inganno della fratellanza universale



dal Numero 44 del 10 novembre 2019

Già all’inizio del XX secolo papa san Pio X smascherava il grande inganno di un nuovo “cristianesimo planetario”, più universale della Chiesa Cattolica, che unisce gli uomini in una fratellanza universale senza Dio, né dogmi, né gerarchia.





di Fra’ Pietro Pio M. Pedalino
Giuseppe Sarto nacque a Riese, nella diocesi di Treviso, il 2 giugno 1835. Dopo l’Ordinazione sacerdotale fu inviato come cappellano nella parrocchia di Tombolo, dove rimase per nove anni; per altri otto svolse il ministero di parroco a Salzano, e successivamente fu nominato canonico e cancelliere della curia vescovile. Nel 1884 venne eletto vescovo della diocesi. Con la sua intensa azione pastorale anticipò, a Mantova, alcune delle linee che avrebbe adottato in seguito come pastore della Chiesa universale: promosse la vita del seminario, la pratica dei Sacramenti, il canto liturgico e l’insegnamento del catechismo. Nel 1888 convocò il Sinodo diocesano. Il 5 giugno 1892 fu chiamato alla sede patriarcale di Venezia e il 3 agosto 1903 fu eletto alla cattedra di Pietro, assumendo il nome di Pio X.

È il pontefice che nel Motu Proprio Tra le sollecitudini (1903) affermò che la partecipazione ai santi misteri è la fonte prima e indispensabile della vita cristiana. Difese con forza l’integrità della Fede cattolica, propose e incoraggiò la Comunione eucaristica anche dei fanciulli, avviò la riforma della legislazione ecclesiastica, si occupò positivamente della questione romana e dell’Azione Cattolica, curò la formazione dei sacerdoti, fece elaborare un nuovo catechismo, favorì il movimento biblico, promosse la riforma liturgica e il canto sacro. Morì il 21 agosto 1914. Pio XII lo beatificò nel 1951 e lo canonizzò nel 1954.

Soprattutto, però, san Pio X è giustamente noto per la lotta implacabile contro il modernismo che caratterizzò decisamente il suo pontificato: «La lucidità e la fermezza con cui Pio X condusse la vittoriosa lotta contro gli errori del modernismo – affermò Pio XII nel discorso di canonizzazione di papa Sarto – attestano in quale eroico grado la virtù della fede ardeva nel suo cuore di santo […]». Al modernismo, che si proponeva un’apostasia universale dalla fede e dalla disciplina della Chiesa, san Pio X opponeva un’autentica riforma che aveva il suo punto principale nella custodia e nella trasmissione della verità cattolica. L’enciclica Pascendi (1907), con cui fulminò gli errori del modernismo, è forse il documento teologico e filosofico più importante prodotto dalla Chiesa Cattolica nel XX secolo.



Eppure papa Sarto è stato anche uno “spirito veggente” capace di scrutare il senso della storia contemporanea offrendone una luce teologica e, soprattutto, cogliendo i gravi segni dei tempi della sua e – a fortiori – della nostra epoca.

Fin dalla sua prima Lettera enciclica E supremi apostolatus del 4 ottobre 1903, se da una parte san Pio X annunciava il programma del suo pontificato (riassumibile nel motto Instaurare omnia in Christo) dall’altra affrontava, con parole di fuoco, la situazione di confusione e di errori sulla fede nel mondo e della sua perdita da parte di molti nella Chiesa. È in questo contesto che vanno letti e compresi i riferimenti alla figura dell’Anticristo nonché alla sua filosofia, ai suoi inganni, al suo pensiero, al suo modus operandi, già così radicati nel tessuto sociale del tempo da fargli temere che l’uomo empio fosse già presente e all’opera nel mondo…

Nel documento leggiamo parole luminose che vale la pena riportare per esteso:

«Perciò se qualcuno chiederà quale motto sia l’espressione della Nostra volontà, risponderemo che esso sarà sempre uno solo: “Rinnovare tutte le cose in Cristo”. Nell’intraprendere e perseguire questa magnifica opera, Venerabili Fratelli, infonde in Noi un grande ardore la certezza di avere in voi tutti degli strenui collaboratori nel realizzare tale impresa. Se ne dubitassimo, dovremmo giudicarvi, a torto, come ignari o indifferenti verso questa nefasta guerra che ora e dovunque è dichiarata e condotta contro Dio. Infatti contro il loro Creatore “le nazioni ebbero fremiti di ribellione e i popoli concepirono idee insensate” [Sal 2,1], e quasi unanime è il grido dei nemici di Dio: “Allontànati da noi” [Gb 21,14]. Perciò si è estinta del tutto nei più la riverenza verso l’eterno Dio, e nella condotta della vita, sia pubblica sia privata, non si tiene in alcun conto il principio della Sua suprema volontà; ché anzi con tutte le forze e con ogni artificio si tende a sopprimere completamente addirittura il ricordo e la nozione di Dio. Chi considera ciò, deve pur temere che questa perversione degli animi sia una specie di assaggio e quasi un anticipo dei mali che sono previsti per la fine dei tempi; e che “il figlio della perdizione”, di cui parla l’Apostolo [2Ts 2,3], non calchi già queste terre. Con somma audacia, con tanto furore è ovunque aggredita la pietà religiosa, sono contestati i dogmi della fede rivelata, si tenta ostinatamente di sopprimere e cancellare ogni rapporto che intercorre tra l’uomo e Dio! E invero, con un atteggiamento che secondo lo stesso Apostolo è proprio dell’“Anticristo”, l’uomo, con inaudita temerità, prese il posto di Dio, elevandosi “al di sopra di tutto ciò che porta il nome di Dio”; fino al punto che, pur non potendo estinguere completamente in sé la nozione di Dio, rifiuta tuttavia la Sua maestà, e dedica a se stesso, come un tempio, questo mondo visibile e si offre all’adorazione degli altri. “Siede nel tempio di Dio ostentando se stesso come se fosse Dio” [2Ts 2,2]. Ma nessuno sano di mente può mettere in dubbio l’esito della battaglia condotta dai mortali contro Dio. È concesso infatti all’uomo, che abusa della propria libertà, di violare il diritto e l’autorità del Creatore dell’universo; tuttavia è da Dio che dipende sempre la vittoria: ché anzi è tanto più prossima la sconfitta, quanto più l’uomo, sperando nel trionfo, si ribella con maggiore audacia. Dio stesso ci ammonisce nelle Sacre Scritture: “Chiude gli occhi sui peccati degli uomini” [Sap 11,24] come fosse immemore della propria potenza e della propria maestà [Sal 77,65], ma poi, dopo questo apparente ripiegamento, “risvegliandosi come un potente inebriato dal vino, spezzerà le teste dei suoi nemici” [Sal 77,22] affinché tutti sappiano “che Dio è re di tutta la terra” [Sal 46,8] e “perché le genti comprendano che sono soltanto uomini” [Sal 9,20]».

Sette anni più tardi il grande Pontefice rincarava la dose e, affrontando più nello specifico il tema dell’inganno religioso ad opera di certi cattolici che proponevano una nuova cristianità senza dogmi né culto al vero ed unico Dio (1), smascherava il grande inganno di un nuovo “cristianesimo planetario” al di fuori della Chiesa unente gli uomini in una fratellanza universale edificabile senza Dio. È la grande impostura religiosa che oggi vediamo pienamente e palesemente proposta.

San Pio X, già allora, la anatematizzava con queste audaci parole:

«Ma sono ancora più strane, nello stesso tempo spaventose e rattristanti, l’audacia e la leggerezza di spirito di uomini che si dicono cattolici, che sognano di rifare la società in simili condizioni e di stabilire sulla terra, al di sopra della Chiesa Cattolica, “il regno della giustizia e dell’amore”, con operai venuti da ogni parte, di tutte le religioni oppure senza religione, con o senza credenze, purché dimentichino quanto li divide, le loro convinzioni religiose e filosofiche, e mettano in comune quanto li unisce, un “generoso idealismo” e forze morali prese “dove possono”. Quando si pensa a tutto quanto è necessario in forze, in scienza, in virtù soprannaturali per istituire la città cristiana, e alle sofferenze di milioni di martiri, e alle illuminazioni dei Padri e dei Dottori della Chiesa, e alla dedizione di tutti gli eroi della carità, e a una potente gerarchia nata dal Cielo, e ai fiumi di grazia divina, e il tutto edificato, collegato, compenetrato dalla Vita e dallo Spirito di Gesù Cristo, la Sapienza di Dio, il Verbo fatto uomo; quando si pensa, diciamo, a tutto questo, si è spaventati nel vedere nuovi apostoli intestardirsi a fare di meglio mettendo in comune un vago idealismo e virtù civiche. Che cosa produrranno? Che cosa sta per uscire da questa collaborazione? Una costruzione puramente verbale e chimerica, in cui si vedranno luccicare alla rinfusa e in una confusione seducente le parole di libertà, di giustizia, di fraternità e di amore, di uguaglianza e di umana esaltazione, il tutto basato su una dignità umana male intesa. Si tratterà di un’agitazione tumultuosa, sterile per il fine proposto e che avvantaggerà gli agitatori delle masse meno utopisti […]. Temiamo che vi sia ancora di peggio. Il risultato di questa promiscuità nel lavoro, il beneficiario di quest’azione sociale cosmopolitica, può essere soltanto una democrazia che non sarà né cattolica, né protestante, né ebraica; una religione […] più universale della Chiesa Cattolica, che riunirà tutti gli uomini divenuti finalmente fratelli e compagni, nel “regno di Dio”. […]. L’instaurazione di una chiesa universale, che non avrà né dogmi, né gerarchia, né regole per lo spirito, né freno per le passioni, e che, con il pretesto della libertà e della dignità umana, ristabilirebbe nel mondo, qualora potesse trionfare, il regno legale dell’astuzia e della forza, e l’oppressione dei deboli, di quelli che soffrono e che lavorano».

NOTA

1) Notre charge apostolique, Roma, 25 agosto 1910.












giovedì 28 novembre 2019

Il segreto per trovare la vera pace









Pax in lumine: questa è la divisa dell’abbazia del Barroux. La pace proviene dunque da una luce. Ma qual è questa luce capace di produrre un tale frutto? È l’umiltà, cuore della Regola di san Benedetto.

L’umiltà è quindi una luce che pacifica, poiché ponendoci al nostro posto giusto sotto lo sguardo di Dio, essa rimette tutto in ordine nella nostra vita e ci stabilisce così nella verità.

Trovare la pace dipenderà perciò dall’umiltà con la quale vivremo la nostra relazione:

1. Con Dio. Siamo al nostro posto giusto quando Dio è il primo! “Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria” (Sal 113,1). Osserviamo se nelle grandi come nelle piccole cose della nostra quotidianità Dio è realmente servito per primo.

2. Con noi stessi. “Attribuire a Lui e non a sé quanto di buono scopriamo in noi, ma essere consapevoli che il male viene da noi e accettarne la responsabilità” (RB IV,42-43). Questo sguardo autentico verso sé stessi è pacificatore, perché ci incita a riporre la nostra speranza solo in Dio. Sappiamo inoltre che l’apertura umile e sincera a un padre spirituale è un mezzo efficace per trovare la pace dell’anima (RB VII, quinto grado dell’umiltà).

3. Con gli altri. La vera umiltà verso il prossimo è di cercare sempre di servirlo: “Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma piuttosto ciò che giudica utile per gli altri” (RB LXXII,7).

4. Con le cose. Siamo certi che l’ordine, la pulizia e il rispetto per le cose materiali contribuisce grandemente nella quotidianità a un clima di pace. Ciò dipende da tutto! San Benedetto ci tiene molto, lui che chiede di trattare “gli oggetti e i beni del monastero con la reverenza dovuta ai vasi sacri dell'altare” (RB XXXI,10), e dichiara che “se poi qualcuno trattasse con poca pulizia o negligenza le cose del monastero, venga debitamente rimproverato” (RB XXXII,4).

Vogliamo trovare la vera pace? Impariamo a vivere nell’umiltà. Ben sapendo che quaggiù la pace è un’assenza di problemi, ma non di battaglia!
La prossima volta, P come perdono.





[Fr. Ambroise O.S.B., “Saint-Benoît pour tous...”, La lettre aux amis, del Monastero Sainte-Marie de la Garde, n. 33, 22 novembre 2019, p. 4, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]




















mercoledì 27 novembre 2019

Supplica alla Santissima Vergine Maria nella festa della Medaglia Miracolosa


Immagine della Vergine - Roma, S.Andrea delle Fratte, luogo
della conversione di Ratisbonne e delle Medaglie miracolose





27 novembre 2019

Da recitarsi alle 17 del 27 novembre, festa della Medaglia Miracolosa, in ogni 27 del mese e in ogni urgente necessità.


O Vergine Immacolata, noi sappiamo che sempre ed ovunque sei disposta ad esaudire le preghiere dei tuoi figli esuli in questa valle di pianto, ma sappiamo pure che vi sono giorni ed ore in cui ti compiaci di spargere più abbondantemente i tesori delle tue grazie. Ebbene, o Maria, eccoci qui prostrati davanti a te, proprio in quello stesso giorno ed ora benedetta, da te prescelta per la manifestazione della tua Medaglia.


Noi veniamo a te, ripieni di immensa gratitudine ed illimitata fiducia, in quest'ora a te sì cara, per ringraziarti del gran dono che ci hai fatto dandoci la tua immagine, affinché fosse per noi attestato d'affetto e pegno di protezione. Noi dunque ti promettiamo che, secondo il tuo desiderio, la santa Medaglia sarà il segno della tua presenza presso di noi, sarà il nostro libro su cui impareremo a conoscere, seguendo il tuo consiglio, quanto ci hai amato e ciò che noi dobbiamo fare, perché non siano inutili tanti sacrifici tuoi e del tuo divin Figlio. Sì, il tuo Cuore trafitto, rappresentato sulla Medaglia, poggerà sempre sul nostro e lo farà palpitare all'unisono col tuo. Lo accenderà d'amore per Gesù e lo fortificherà per portar ogni giorno la propria croce dietro a Lui.
O Maria concepita senza peccato, prega per noi che a te ricorriamo e per quanti a te non ricorrono, in particolare per i peccatori e per coloro che ti sono raccomandati.

Questa è l'ora tua, o Maria, l'ora della tua bontà inesauribile, della tua misericordia trionfante, l'ora in cui facesti sgorgare per mezzo della tua Medaglia, quel torrente di grazie e di prodigi che inondò la terra. Fai, o Madre, che quest'ora, che ti ricorda la dolce commozione del tuo Cuore, la quale ti spinse a venirci a visitare e a portarci il rimedio di tanti mali, fai che quest'ora sia anche l'ora nostra: l'ora della nostra sincera conversione, e l'ora del pieno esaudimento dei nostri voti.
Tu che hai promesso, proprio in quest'ora fortunata, che grandi sarebbero state le grazie per chi le avesse domandate con fiducia: volgi benigna i tuoi sguardi alle nostre suppliche. Noi confessiamo di non meritare le tue grazie, ma a chi ricorreremo, o Maria, se non a te, che sei la Madre nostra, nelle cui mani Dio ha posto tutte le sue grazie? Abbi dunque pietà di noi.
O Maria concepita senza peccato, prega per noi che a te ricorriamo e per quanti a te non ricorrono, in particolare per i peccatori e per coloro che ti sono raccomandati.


Te lo domandiamo per la tua Immacolata Concezione e per l'amore che ti spinse a darci la tua preziosa Medaglia. O Consolatrice degli afflitti, che già ti inteneristi sulle nostre miserie, guarda ai mali da cui siamo oppressi. Fai che la tua Medaglia sparga su di noi e su tutti i nostri cari i tuoi raggi benefici: guarisca i nostri ammalati, dia la pace alle nostre famiglie, ci scampi da ogni pericolo. Porti la tua Medaglia conforto a chi soffre, consolazione a chi piange, luce e forza a tutti.
Ma specialmente permetti, o Maria, che in quest'ora solenne ti domandiamo la conversione dei peccatori, particolarmente di quelli, che sono a noi più cari. Ricordati che anch'essi sono tuoi figli, che per essi hai sofferto, pregato e pianto. Salvali, o Rifugio dei peccatori, affinché dopo di averti tutti amata, invocata e servita sulla terra, possiamo venirti a ringraziare e lodare eternamente in Cielo. Cosi sia. 

Salve Regina
O Maria concepita senza peccato, prega per noi che a te ricorriamo e per quanti a te non ricorrono, in particolare per i peccatori e per coloro che ti sono raccomandati.















martedì 26 novembre 2019

Mons. Bux: “il movimento della tradizione cattolica è inarrestabile”





Bruno Volpe, 24-11-2019

Lasagne di pollo in Vaticano ? Il consigliere di Ratzinger, Monsignor Nicola Bux, noto teologo barese, non ha dubbi e dice, in questa intervista che ci ha concesso, che sono i musulmani a doversi convertire ed aggiornarsi. E non fa sconti.

Monsignor Bux, secondo alcuni organi di stampa Bari presto potrebbe diventare una della capitali italiane del cattolicesimo tradizionale. Che ne pensa?



“Non so a cosa alluda che la possa far diventare tale. Constato sempre più, nei viaggi in Italia e all’estero, che il movimento della tradizione cattolica è inarrestabile, dappertutto, nei piccoli e nei grandi centri.I fedeli – intendo coloro che conoscono la verità cattolica e quindi sanno distinguerla dall’errore e dall’eresia – si accorgono che il ‘pasto’ della cosiddetta pastorale è una polpetta avvelenata e reagiscono, riunendosi e ricorrendo alla tradizione cattolica conservata nel Catechismo e nella Liturgia, in specie quella che Benedetto XVI ha liberalizzato. Invece, la teologia della liberazione o la sua versione indigenista, come abbiamo visto dai recenti atti compiuti in Vaticano – accentua il relativismo religioso,– si veda la Dichiarazione di Abu Dhabi – svuota la fede, fa fuggire verso le sette e porta all’idolatria; ma chi conosce l’insegnamento cattolico reagisce,seguendo “coloro che custodiscono la fede cattolica trasmessa dagli Apostoli”(Canone Romano), ossia la sacra Tradizione: questa, come dice il concilio Vaticano II, è una delle due fonti della Rivelazione, e ad essa ha attinto anche la redazione della Sacra Scrittura; da queste due fonti ispirate, i veri cattolici traggono le norme della vita morale. Se le chiese si svuotano, e i matrimoni civili e le convivenze aumentano, come documentano le statistiche, vuol dire che i vescovi e il clero non si occupano con le parole e i comportamenti, di catechizzare il popolo, ma sono affaccendati nell’agenda sociale, dietro i migranti, la legalità, il clima ecc., nonostante la maggioranza di cattolici l’abbia bocciata, in quanto la prima fame da soddisfare nell’uomo è quella di Dio. La Chiesa sembra diventata una succursale delle agenzie dell’Onu, interessate al relativismo di ogni tipo, alle quali piace che la Chiesa non annunci più Gesù Cristo, ma un “Dio unico” – mentre il Dio rivelato da Gesù è uno e trino – e invece si interessi di ambiente e culture indigene.”



Ci sono iniziative in vista?


“Dicevo che dappertutto, nei grandi e nei piccoli centri, nascono aggregazioni momentanee o stabili, che richiedono catechesi e insegnamenti cattolici, adorazione al Santissimo Sacramento, sacre liturgie degne di tal nome, perché celebrate davanti al Protagonista che è Gesù Cristo, e non davanti al prete che col microfono in mano guida l’assemblea come un conduttore televisivo. C’è bisogno di silenzio e di adorazione, per poter dare ragione della fede davanti al mondo, con dolcezza, rispetto e buona coscienza, come chiede l’apostolo Pietro. Si sta accentuando la persecuzione dentro e fuori la Chiesa; pertanto i cattolici devono difendere la fede e la ragione, e affinare così il giudizio, cioè esaminare ogni cosa e trattenere ciò che vale. Gesù Cristo per questo è venuto nel mondo, lo ha detto egli stesso: “è per un giudizio che sono venuto nel mondo, perché coloro che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi” (Gv,9,39). Suggerirei ai vescovi di prendere sul serio l’intervista data dal cardinal Ruini. Se amano il dialogo e il confronto, promuovano un pubblico dibattito e si confrontino con tutti i cattolici e non solo con una parte, peraltro sempre meno rilevante, perché accodata al pensiero di sinistra e radicale”.



E’ giusto parlare di tradizionalismo oppure ogni cattolico degno di tal nome deve essere difensore della tradizione?


“Gli -ismi, si sa, sono peggiorativi e buttano, come si suole dire, il bambino con l’acqua sporca. Tradizione viene dal latino e indica movimento: tradere;essa trasmette in modo arricchito e sempre nuovo quanto riceviamo dai padri. La tradizione è tutt’altro che mera conservazione. Lo dimostra il boom della cucina con le ricette tradizionali, e tanti altri ambiti. Allora, perché l’antica liturgia, all’improvviso, dovrebbe essere considerata dannosa e addirittura proibita, se ha formato generazioni di santi? Semmai dovrebbero i vescovi interrogarsi, come mai dopo tanti anni di nuova liturgia, questa non attrae più e la gente abbandona la Chiesa. I giovani sono sempre di meno nelle chiese, invece aumentano nella liturgia tradizionale, che non hanno mai conosciuta, e, per assurdo, c’è chi li accusa di essere nostalgici. Bisogna sapientemente tramandare e innovare, cose nuove e cose antiche, ma, chi ha assaggiato il vino vecchio, constata che questo è buono. Lo afferma il Signore nel vangelo di Luca(5,37). “



La tradizione è utile?


“La tradizione è parte della natura dell’uomo: noi siamo quello che abbiamo ricevuto, sia come dna sia come capacità; poi vi aggiungiamo del nostro. La Chiesa non avrebbe superato duemila anni di storia, se fosse andata dietro le mode; il modernismo è il veleno che sotto diverse versioni cerca di inquinarla, ma bisogna resistere, non conformandosi alla mentalità del tempo presente, come dice l’Apostolo ai Romani(12,2). Questo significa saper vagliare e trattenere ciò che vale(1 Ts 5,21).Si deve riprendere la missione al popolo, formarlo nella dottrina cristiana affinché rinasca la vita morale”.



Che cosa pensa del fatto che alla giornata mondiale dei poveri il Papa (ma accade ormai dovunque) abbia fato servire a tutti, inclusi italiani, lasagne senza carne di maiale?




“Evidentemente si è dimenticato che Gesù Cristo – come dice il vangelo di Matteo(cfr 7,1-23) – ha dichiarato puri tutti gli alimenti. Vogliamo tornare indietro rispetto a Cristo? Sono i musulmani che si devono aggiornare e convertire. Ne conosco, specie in Medioriente, che hanno studiato da noi e biasimano questo arretramento dell’Occidente e di certi cattolici.”



Questa scelta è inquadrabile come ha detto da Socci, in una sottomissione e comunque lancia questo segnale?


“Tutto ciò che va contro il vangelo è una apostasia,cioè un allontanamento, di conseguenza una sottomissione, che ha come esito la confusione ulteriore dei cristiani labili, che non conoscono bene i vangeli e si accodano pedissequamente ad ogni moda. E’un tradimento di Gesù Cristo. Per fortuna c’è sempre la reazione di tanti che ragionano, perché, disse Chesterton, in chiesa ci è chiesto di toglierci il cappello, non la testa”.



Non le pare irrispettosa verso gli italiani e magari che il buon senso richiedeva due tipi di sughi, con e senza maiale?


“Questo è un affare che non riguarda la Chiesa. E’ importante invece rilevare che la Tradizione il è un movimento che cresce irreversibilmente, perché asseconda la vera natura umana; bisogna dare tempo, a quelle parti ancora anestetizzate del corpo ecclesiale, di risvegliarsi. Ci vuole pazienza e resistenza, che poi sono aspetti della virtù della fortezza, una virtù cardinale.Fa riflettere quanto ha scritto mons. Carlo Maria Viganò: se il Papa non conferma i fratelli nella fede e non diffonde la fede cattolica con la missione verso tutti popoli, che Cristo ha ordinato a Pietro, si pone un grande problema di cui i Cardinali e i Vescovi per primi devono farsi carico.Però, c’è da ricordare la premessa che Gesù ha posto a Pietro: “tu, una volta convertito, conferma nella fede…”(Lc 22,32).Ci vuole prima la conversione a Gesù Cristo, distogliendo l’attenzione dal mondo e dalle sue mode temporanee. Invece, molti pastori sono voltati ancora da questa parte, come narcotizzati. Ma i fedeli laici e tanti sacerdoti cattolici li sveglieranno”.

Bruno Volpe



















domenica 24 novembre 2019

“La casa di Dio non è un mercato!”





Aldo Maria Valli, 24-11-2019

Cari amici di Duc in altum, vi propongo la trascrizione di parte di una recente omelia del padre carmelitano Giorgio Maria Faré. Riguarda il modo in cui ci comportiamo in chiesa. Spesso senza alcun senso del sacro e senza il minimo rispetto nei confronti di nostro Signore.

A.M.V.



***




[…] E notiamo che i profanatori non stavano nel tempio, ma nel cortile più esterno al tempio, dove era lecito anche ai pagani di entrare. Era uno dei cortili, non era il Santo e non era il Santo dei Santi, e ciò nonostante Gesù caccia fuori tutti. Quindi ci viene da pensare che non è sacro solo il tempio, ma tutto ciò che ne è attinenza, che ne è completamento.

Pensiamo ai giorni nostri, pensiamo alla sacrestia, per esempio, e a tutto quello che serve al culto divino. Ciò che appartiene a Dio non va mai profanato con un comportamento irrispettoso, che ha a cuore i propri interessi, le proprie faccende, anche se importanti.

Pensiamo alle nostre chiese: quante volte si vede la gente entrare, correre, andare, fare, da una parte all’altra, durante la Messa, senza neanche un atto di adorazione verso il Santissimo Sacramento, se non un inchino, una genuflessione sgangherata, un segno di croce brutto, buttato lì, senza nessuna percezione, coscienza che sei alla presenza di Dio. Per credere questo bisogna credere nell’Eucaristia, ma credere nell’Eucaristia non è che sia una cosa così diffusa, oggi.

La sacrestia, ad esempio, è il luogo di preparazione e di raccoglimento ai sacri Misteri, scrive san Carlo Borromeo. Non è il luogo delle chiacchiere, delle trattazioni di affari mondani, delle mormorazioni, delle risate, delle battute, degli alterchi, come se fosse un luogo di appuntamenti o di convegno. Ci dovrebbe essere silenzio, dice san Carlo, tanto rispettoso silenzio, sia per rispetto a Dio, sia per rispetto a chi vuole pregare. E se così dovrebbe essere la sacrestia, immaginiamoci la chiesa.

Quante persone soffrono, perché non si può più pregare in chiesa. Non è più possibile. Non c’è più silenzio. Alle Messe, prima e dopo, è un chiacchierare unico, e durante, suonano i cellulari. Non si sente più silenzio. Non si ha più la percezione della sacralità del luogo, e questa è una cosa gravissima.

In chiesa non si parla, mai, per nessuna ragione. Se devi parlare, vai fuori. Anche qui tra di noi succede. Anche dopo la Messa, al ringraziamento, a me capita di essere in chiesa e fare il ringraziamento, e sentire chiacchierare. «No, ma io devo dire una cosa…». No, ma tu non devi dire niente. «No, ma io parlo di Dio…». Non si parla di Dio, dice Padre Pio da Pietrelcina, in chiesa si parla a Dio, non di Dio. In chiesa si sta zitti. Non c’è una ragione valida per parlare in chiesa, perché è diritto di ciascun fedele poter pregare in santa pace. Non che tu ti metti lì a chiacchierare e a dire gli affari tuoi. Questa è una cosa sbagliatissima, un atto di grande maleducazione, oltre che di segno di irrispettosità verso Dio.

Ah, ma tu puoi dirlo quanto vuoi, tanto la gente fa quel che vuole. E perché la gente fa quel che vuole? Ma perché non c’è più fede. Essere in chiesa è come essere nel proprio salotto. Essere in chiesa è come essere in cucina. Anzi, in cucina, siccome parla il dio morto, che è la televisione, tutti devono stare zitti, perché quando parla la televisione, «Sssst!», non fiata nessuno. Poi, se c’è il dio pallone, non ne parliamo. Ma in chiesa, va bene tutto. E allora uno non può più pregare, perché uno alla fine si stufa, rimane distratto e se ne va.

La casa di Dio non è un mercato. Al mercato fai tutte le chiacchiere che vuoi, parli con le tue amiche, i tuoi amici, tutte le persone che vuoi. In chiesa, no.

E se poi pensiamo che la nostra anima è il tempio vivo di Dio, allora è importante ancora di più non profanarlo raccogliendovi, quasi fossero animali da traffico, le passioni, le aspirazioni disordinate ai beni della terra. Non scordiamoci che siamo creature di Dio, e nella vita abbiamo il dovere principale ed essenziale di conoscerlo, amarlo e servirlo. Ricordate queste tre cose, questi tre verbi: conoscere, amare e servire Dio. Ricordate che l’avete studiato nel Catechismo. Non è cambiato, è sempre quello il dovere. Quindi non compiamo questo dovere quando profaniamo il tempio di Dio con il disprezzo, la noncuranza, con il peccato, con la disordinata occupazione e la preoccupazione delle cose materiali.

Quando la nostra anima è piena di tutte queste cose, noi stiamo profanando il tempio di Dio. Quando in chiesa ci distraiamo, perché pensiamo agli affari nostri, noi stiamo profanando il tempio di Dio. In chiesa si pensa alle cose di Dio, non alle cose nostre. Quello è il tempo di Dio, non è il mio tempo. Il mio tempo è altrove.

Chiediamo quindi al Signore la grazia di buttare fuori, dal tempio vivo di Dio che è la nostra anima, buoi, pecore, colombe, cambiavalute, cioè tutto ciò che non è Dio, tutto ciò che occupa lo spazio di Dio, tutto ciò che è segno di mancanza di onore a Dio.

Sia lodato Gesù Cristo!

Padre Giorgio Maria Faré
















venerdì 22 novembre 2019

Mons. Athanasius Schneider. Perché il culto della Pachamama in Vaticano non era innocuo




Nella nostra traduzione da LifesSiteNews l'intervento reso pubblico in tedesco martedì 19 novembre su Kath.net, con il quale il vescovo Athanasius Schneider denuncia ancora una volta lo scandalo provocato dai nuovi simboli pagani nel culto della Pachamama in Vaticano. 




+ Atanasio Schneider*, 22-11-2019

Il 4 ottobre 2019, nella festa di San Francesco d'Assisi, alla presenza di Papa Francesco e di altri alti dignitari ecclesiastici, si è svolta nei Giardini Vaticani una cerimonia di evidente carattere religioso, come indicato nel comunicato stampa della stessa data: Nel corso della cerimonia di preghiera, a conclusione dell’iniziativa il “Tempo del Creato” promossa di recente da Papa Francesco, è stato piantato un albero proveniente da Assisi come simbolo di un’ecologia integrale, per consacrare il Sinodo Amazzonico a San Francesco, nell’imminente ricorrenza dei 40 anni della proclamazione papale del Poverello di Assisi come patrono dei cultori dell’ecologia. Alla cerimonia odierna prendono parte i rappresentanti dei popoli indigeni dell’Amazzonia, che hanno danzato e cantato in cerchio nel verde dei giardini, accompagnati dai loro strumenti tradizionali. Alla fine della celebrazione, il Santo Padre ha recitato il Padre Nostro. Rappresentanti delle popolazioni indigene Alla cerimonia hanno partecipato Amazzonia, frati francescani e vari membri della Chiesa.

Ma questa affermazione nasconde il fatto che durante questa cerimonia di preghiera sono stati celebrati riti religiosi delle religioni pagane dei nativi americani. Gesti e parole hanno avuto luogo esprimendo il culto religioso di figure mitologiche della religione aborigena; Soprattutto, sono stati compiuti atti di prostrazione di fronte a due figure femminili incinte nude, che dovrebbero rappresentare la fertilità. Intorno a questa figure è stata eseguita anche una danza religiosa durante la quale una donna vestita da sciamano usava sonagli che simboleggiavano dei pagani della fertilità. L'uso di "maracas" o sonagli da parte dello sciamano nei culti indigeni dell'Amazzonia rappresenta la voce degli spiriti e serve a chiedere l'aiuto del potere degli animali e degli spiriti. Le maracas, per questi popoli, sono tra i più potenti strumenti magici. La testa della "maraca" è una zucca; la testa del sonaglio è l'unione della fecondazione del mondo maschile (manico) con il mondo femminile (testa). Proprio queste "maracas" sono state usate durante la "Cerimonia di preghiera" del 4 ottobre.


Le statue raffiguranti donne incinte nude sono state poi collocate, ancora alla presenza del Papa, nella Basilica di San Pietro di fronte alla Tomba Petrina e, per la durata del Sinodo amazzonico, nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina in Via della Conciliazione. Nel corso delle preghiere regolarmente organizzate venivano venerate in una chiesa dove c'era un tabernacolo e la presenza eucaristica di Cristo. Inoltre, la statua della donna incinta nuda è stata persino portata in processione il 19 ottobre durante una Via Crucis organizzata dai partecipanti al Sinodo.


Nei primi giorni successivi a queste cerimonie, il Vaticano ha evitato di menzionare l'esatto significato delle due figure femminili nude in stato di gravidanza. Solo dopo che queste, il 21 ottobre, sono state rimosse dalla chiesa di Santa Maria in Traspontina e gettate nel Tevere, lo stesso papa Francesco, il 25 ottobre, ha dichiarato l'identità delle statuette rappresentando la Pachamama, in questi termini: "«... vi vorrei dire una parola sulle statue della pachamama che sono state tolte dalla chiesa nella Traspontina, che erano lì senza intenzioni idolatriche e sono state buttate al Tevere. Prima di tutto questo è successo a Roma e come vescovo della diocesi io chiedo perdono alle persone che sono state offese da questo gesto. Poi comunico che le statue, che hanno creato tanto clamore mediatico, sono state ritrovate nel Tevere. Le statue non sono danneggiate».


Il padre gesuita Fernando Lopez, uno degli organizzatori della venerazione delle statue di Pachamama, in Vaticano, ha affermato che queste statue sono state acquistate in un mercato artigianale a Manaus, una città amazzonica brasiliana, aggiungendo che Pachamama ha un significato per tutti noi e che dobbiamo continuare "la danza della vita su Madre Terra".


Affermare che tutti questi atti di culto delle statue di Pachamama, sistematicamente avvenuti durante una cerimonia di preghiera e nella chiesa, non sono né di culto né religiosi, ma costituiscono la semplice espressione di cultura e folklore, e dichiararli come innocui e insignificanti, nega i fatti e cerca di sfuggire alla realtà.


Di fronte alla grave realtà di tali discutibili atti di culto religioso, che sono evidentemente per lo meno vicini alla superstizione e all'idolatria, alcuni cardinali, vescovi, sacerdoti e molti laici hanno protestato pubblicamente, e alcuni addirittura ha invitato papa Francesco a pentirsi e fare ammenda. Sfortunatamente, queste voci coraggiose sono state criticate anche da buoni cattolici, considerandoli spesso come un attacco personale a papa Francesco. Tale ragionamento ricorda molto la storia dei nuovi vestiti dell'Imperatore. C'è poi chi considera innocuo il culto delle statue di Pachamama e paragona la questione a quella dei cosiddetti riti cinesi ( la "controversia sull'allineamento") nei secoli XVII e XVIII. Coloro che fanno tali affermazioni, mancano di conoscenze fattuali su ciò che la pachamama significa per i popoli indigeni e sulla propaganda mondiale odierna della nuova «religione di Gaia o della Madre Terra » nonché di conoscenza sui riti cinesi e della loro soluzione nel 20° secolo.


Il fatto che il fenomeno "Pachamama" abbia una connotazione chiaramente religiosa è già definito in modo conclusivo nelle fonti di informazione generalmente accessibili e più consultate, come ad esempio su Wikipedia, che afferma: "Pachamama è una dea venerata dai popoli indigeni Andini. È anche conosciuta come la madre della terra e del tempo. Nella mitologia Inca, Pachamama è una dea della fertilità che presiede alla semina e al raccolto, incarna le montagne e provoca terremoti. È anche una divinità sempre presente e indipendente che ha il suo potere creativo e autosufficiente per sostenere la vita su questa terra. Pachamama di solito si traduce come Madre Terra, ma una traduzione più letterale sarebbe "Madre del mondo" (in Aymara e Quechua). Si può fare riferimento alla dea Inca in molti modi; il principale è Pachamama. Altri nomi per lei sono: Mama Pasha, Pachamama e Madre Terra. La Pachamama differisce da Pachamama perché "La" significa il collegamento intrecciato che unisce la dea alla natura, mentre Pachamama - senza il "La" - si riferisce solo alla dea. "


Chiunque sia interessato al movimento ambientalista globale ha senza dubbio sentito il termine Gaia. Gaia è una rinascita del paganesimo che rifiuta il cristianesimo, considera il cristianesimo come il suo più grande nemico e considera la fede cristiana come l'unico ostacolo per una religione mondiale che si focalizza sul culto di Gaia e sull'unificazione di tutte le forme di vita concentrato attorno alla dea "Madre Terra" o "Pachamama". Una sofisticata miscela di scienza, paganesimo, misticismo orientale e femminismo ha trasformato questa adorazione pagana in una crescente minaccia per la chiesa cristiana. Il culto di "Madre Terra", o "Gaia" o "Pachamama", è al centro dell'attuale politica ambientalista globale.


L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 22 aprile 2009 "Giornata internazionale della Madre Terra". In quel giorno, il presidente boliviano Evo Morales, autoproclamato adoratore del Pachamama, fece questa dichiarazione all'Assemblea generale delle Nazioni Unite: "La" Pachamama "- La" Madre Terra "Quechua - è una divinità fondamentale della visione del mondo dei Nativi, basata sul totale rispetto per la natura. La terra non ci appartiene, ma noi apparteniamo alla terra. "


Il fatto che l'espressione "Madre Terra" o "Pachamama" non sia un nome culturale innocuo ma abbia caratteristiche religiose è dimostrato, ad esempio, da un Manuale per gli insegnanti pubblicato nel 2002 dall'UNESCO sotto il titolo significativo Manuale per gli insegnanti di Pachamama [qui]. Tra le altre cose, vi leggiamo ad esempio quanto segue: "Immagina che la Madre Terra assuma una forma fisica e come sarebbe incontrarla. Come sarebbe? Cosa le diresti? Quali sarebbero le tue principali preoccupazioni e domande? Come risponderesti? Dove potresti incontrarla? Pensa a un luogo dove potresti incontrarla. "


Come il luogo, ad esempio, dove si potrebbe incontrare la "Madre Terra" o "Pachamama" sotto forma di donne incinte nude scolpite in figure di legno: la cerimonia di preghiera nei Giardini Vaticani il 4 ottobre 2019, Basilica di San Pietro, Via Crucis il 19 ottobre e la chiesa di Santa Maria in Traspontina a Roma.


Il vescovo José Luis Azcona, vescovo emerito della prelatura amazzonica di Marajó, ha parlato in modo convincente dell'assurdità e dell'insostenibilità della minimizzazione del culto pachamama da parte del Vaticano [qui]. È un conoscitore delle religioni e dei costumi degli indios amazzonici, ha vissuto in mezzo a loro per più di 30 anni e li ha evangelizzati. In una lettera aperta del 1° novembre 2019, il vescovo José Luis Azcona ha sottolineato che sono soprattutto i "piccoli" nella Chiesa, e quindi i convertiti tra gli indiani amazzonici che vivono intensamente la fede cattolica, ad essere scandalizzati dal culto di il Pachamama in Vaticano. Sono stati turbati e profondamente feriti nel loro sensus fidei cattolico. La seguente dichiarazione del vescovo José Luis Azcona dà la misura dell'orrore: "Ma questo gesto [l'adorazione della Pachamama] costituiva uno scandalo (e non un fatto denunciato dal fariseismo) per milioni di cattolici in tutto il mondo. Sono soprattutto i poveri, i "piccoli", gli ignoranti, i "deboli", che apparentemente possiedono il "sensus fidei" e che sono difesi da Papa Francesco in modo giusto e permanente, che sono stati gravemente colpiti nella loro coscienza disarmata, completamente indifesi contro questa violenza religiosa. Almeno i poveri, i semplici, i "deboli", gli indifesi dell'Amazzonia sono i più colpiti nel profondo del loro cuore da questo colpo di stato idolatrico, che è un attacco alla fede cristiana, contro la convinzione del Chiesa per la quale l'unica regina dell'Amazzonia è la Madonna di Nazareth, la Madre di Dio Creatore e Redentore. Non c'è un'altra madre, nessun Pachamama delle Ande o altrove e nessuna Yemanja [dea madre dei culti afro-brasiliani]! ".


Il vescovo José Luis Azcona ha anche parlato dell'impatto devastante che gli atti pubblici del culto pachamama del Vaticano hanno avuto sui fedeli protestanti: "Per i fratelli protestanti e pentecostali, questo scandalo ha avuto un effetto devastante. Inorriditi, hanno assistito a scene di vera idolatria, e con stupore crescente, si sentono sempre più confermati nella loro errata visione che il cattolico è un adoratore di idoli, non di santi, Giuseppe, Maria, ma di veri demoni. Il dialogo ecumenico-interreligioso è stato quindi scosso con conseguenze umanamente irreparabili e gravi complicazioni ecumeniche per coloro che vogliono comprendere il mistero della Chiesa come "sacramento universale della salvezza" (Lumen Gentium)".


Il vescovo José Luis Azcona ha giustamente affermato che l'idea e il simbolismo della Madre Terra, "Gaia", e anche quello di "Pachamama", oggi diffuso, non possono essere scissi mentalmente e religiosamente dal fenomeno di molte divinità pagane nella storia: "Ricordiamo le innumerevoli divinità della Madre Terra che hanno preceduto e accompagnato la Pachamama come dea della fertilità in tutte le culture e religioni menzionate nella Bibbia. Nell'Antico Testamento, Astarte (Ashera) è la dea della fertilità, dell'amore sensuale come evocato dalla sua nuda rappresentazione. Nel Nuovo Testamento, Atti 19: 23-40; 20: 1 è l'Artemide di Efeso, "la Grande", la dea della fertilità; è rappresentata con metà del suo corpo ricoperta di seni. Riassume il significato della statua della Madre Terra "Pachamama". È impossibile collocare l'immagine della Madonna di Nazareth, Madre di Dio e della Chiesa, e la statua della Pachamama, dea della fertilità, sullo stesso altare o sulla stessa chiesa. "


Il confronto tra il culto della Pachamama in Vaticano e la disputa storica sui riti cinesi è insostenibile alla luce dei fatti. I rituali cinesi prevedevano atti di adorazione dell'immagine di Confucio, una figura storica venerata come un grande eroe nazionale e pensatore della cultura cinese. Si trattava inoltre del culto degli antenati defunti. In entrambi i casi, atti di venerazione come un'inchino o l'atto di accendere candele sono stati eseguiti di fronte ai ritratti di queste figure storiche. Poiché nel XVII e XVIII secolo questi riti erano ancora associati alle credenze superstiziose del confucianesimo come religione, la Chiesa li ha rigorosamente proibiti ad evitare qualsiasi manifestazione di superstizione e idolatria. Nel ventesimo secolo, gli atti di venerazione di Confucio erano di natura puramente civile e avvenivano in luoghi non sacri e non religiosi. Inoltre, le effigi degli antenati erano venerate dai cattolici senza la solita iscrizione "sede dell'anima", come nel caso dei pagani cinesi. Quindi, dopo la scomparsa di ogni apparizione di superstizione e idolatria, la Santa Sede ha autorizzato i riti cinesi nel 1939 con un'Istruzione della Congregazione per la propaganda della fede, alle seguenti condizioni: è consentito solo inchinare la testa di fronte a un'immagine di Confucio esposta in luoghi civili, e se si teme uno scandalo, la giusta intenzione dei cattolici dovrà essere spiegata pubblicamente. Inoltre, il L'istruzione afferma che i cattolici possono fare solo atti onorifici di natura puramente civile e, se necessario, spiegare la loro intenzione, al fine di correggere eventuali interpretazioni errate di tali atti. Lo stesso vale per l'atto di venerazione dei ritratti degli antenati. Inoltre, la Chiesa cattolica ha consentito l'uso esclusivo del nome divino inequivocabile "Signore del cielo", vietando altri nomi cinesi dell'ambigua divinità, come "Paradiso" o "Divinità suprema" o "Imperatore supremo" e questo divieto non è stato abrogato dall'istruzione del 1939.


La differenza essenziale tra i riti del culto di Pachamama e i cosiddetti riti cinesi sta nel fatto che la Pachamama è una costruzione di mitologie pagane, vale a dire, è venerata sia come un mito che come conglomerato inanimato e impersonale di materia, come la terra.



Chiunque sostenga che il culto di Pachamama sia innocuo e non abbia alcun aspetto religioso, ma solo un aspetto culturale, verrebbe meglio informato da una preghiera alla Pachamama pubblicata nel contesto del Sinodo amazzonico dalla "Fondazione Missio", un organo della Conferenza episcopale italiana, che dice: "Pachamama, buona madre, sii propizia! Sii propizia! Fa che la semente spunti bene, che non le accada nulla di male, che il gelo non la distrugga, che produca buon cibo. Ti chiediamo: dacci tutto. Sii propizia! Sii propizia! "


Il culto della Pachamama praticato in Vaticano durante il Sinodo dell'Amazzonia è sia una forma di superstizione idolatrica perché contiene gesti che, nella loro forma originale, implicano il culto della "Madre Terra" come divinità, sia una forma di superstizione non idolatrica. Perché questo culto di Pachamama esprime una credenza nella terra come essere vivente e personale, quindi è un sincretismo che introduce elementi ingannevoli nel culto cristiano, che, alla fine, deve sempre essere diretto al vero Dio.


In un articolo del 23 ottobre 2019 per il sito Web di Infocatolica (www.infocatolica.com), P. Nelson Medina, OP, egli stesso missionario nell'Amazzonia colombiana, ha smascherato la frode di un presunto innocente culto di Pachamama, con questa pertinente dichiarazione: "L'immagine [pachamama] portata a Roma non è rappresentativa dell'Amazzonia colombiana e credo che non esista da nessuna parte in Amazzonia. La figura non rappresenta gli "antenati" nella cultura amazzonica. Inoltre, la nostra fede adora o venera la fertilità, la vita o la donna in quanto tale attraverso il culto? Se non sono adorati, perché associare questa adorazione all'altare, su cui è presente il sacrificio unico e universale di Cristo? Non è esattamente una violazione pubblica e scandalosa del Primo Comandamento della Legge di Dio? Portare queste statue in luoghi sacri può solo significare che hanno un significato religioso, diversamente da ciò che sarebbe accaduto se fossero state esposte in una galleria d'arte o in un museo di storia etnica o amazzonica".


I funzionari vaticani hanno anche usato St. John Henry Newman a supporto della legittimazione del culto della Pachamama. Tuttavia, questo confronto è inverosimile e impreciso, come affermava in modo convincente P. Nelson Medina, dimostrando che John Henry Newman si riferiva ad azioni o oggetti relativamente neutri in se stessi poi trasformate nel loro significato per l'uso ecclesiale. Le immagini concepite per il Sinodo amazzonico non hanno nulla di questa neutralità: celebrare la "vita" senza adorare Dio, unico Creatore, è semplice paganesimo. E per quanto riguarda gli idoli pagani, che si tratti del vitello d'oro o del denaro dei mercanti del Tempio di Gerusalemme, sono necessari passi decisivi e chiari ... che possono portare al Tevere".


Da tempo immemorabile, e anche attraverso l'istruzione del 1939 sui riti cinesi, la Chiesa cattolica, imitando fedelmente il comportamento degli Apostoli, si è, per così dire, scrupolosamente impegnata nelle sue parole e azioni, al fine di evitare persino l'ombra dell'idolatria (idolatria) e della superstizione (supersitio) e non lasciano alcuna apparizione (vedi anche San Tommaso d'Aquino, Summa Theol., IIa IIae, q 93, a.1).


Come ha fatto Gianfranco Amato, avvocato e difensore della vita italiano, possiamo sintetizzare quanto segue riguardo al culto del Pachamama in Vaticano (vedi il suo testo in La Verità del 14 novembre 2019):

"Descrivere Pachamama come icona della cultura indigena dell'Amazzonia non significa solo distorcere la realtà, ma anche negare e umiliare la diversità delle vere culture amazzoniche al fine di imporre una visione teologica indigena per imporre obiettivi puramente ideologici e politici.
Il presidente messicano Lopéz Obrador ha celebrato un rito in onore della Pachamama, divinità peruviana, per chiederle il permesso di costruire la linea ferroviaria maya nel sudest del Messico? Hugo Chavez, Nicolás Maduro, Cristina Fernández de Kirchner, Andrés Manuel López Obrador, Evo Morales, Daniel Ortega, sono solo alcuni capi di stato che hanno partecipato ufficialmente ad atti di culto in onore della Madre Terra e che promuovono questa idea di un’unica ideologia indigena. Non si tratta, quindi, solamente di un mero fatto religioso peruviano, ma siamo difronte ad un vero e proprio fatto politico inserito in una precisa agenda politica, che prevede la promozione di un pensiero panteista, costruito a tavolino, in cui l’idea della Pachamama rappresenta la cultura latino-americana in totale contrapposizione con l’eredità culturale ispanica, a cominciare dalla religione cattolica. Curiosamente, però, questa visione panteistica è del tutto estranea alla maggior parte delle culture indigene. Proviene da altre concezioni filosofiche, sia occidentali che orientali, e persino da alcune fonti esoteriche. In realtà non si tratta di una vera e propria cosmovisione panteistica ma di un progetto politico che esclude di fatto il concetto cristiano di un Dio trascendente rispetto alla creazione e pone la dignità della terra sopra la dignità della persona umana. Si sta tentando una rivoluzione copernicana culturale: superare l’antropocentrismo della modernità con un “geocentrismo” ecologico. La terra, anziché l’uomo, al centro del cosmo. Fino al punto che ci tocca ascoltare discorsi in cui si arriva a teorizzare la limitazione dei diritti umani in favore dei “diritti” della terra.
La Pachamama è un inganno teologico per i cristiani. Si tratta, come abbiamo visto, di una divinità pagana inca. Le immagini che la riproducono, da un punto di vista teologico, sono semplicemente degli idoli. Il fatto che un teologo, un pastore, un sacerdote, un vescovo, un cardinale, un Papa o un semplice fedele non abbiano la capacità di riconoscere questo fatto evidentemente innegabile appare davvero inquietante e del tutto incomprensibile. Potremmo dire che siamo difronte ad una nuova eclisse della coscienza, questa volta non nell’ambito del diritto della vita, ma in quello del primo e più importante comandamento: il diritto di Dio. Con l’aggravante che così facendo non si oscura solo la coscienza di un popolo, bensì la coscienza della stessa Chiesa. Alla luce della Rivelazione Divina, contenuta nella Parola di Dio, nella Tradizione della Chiesa e nel Magistero, la questione è molto semplice: fabbricare idoli da adorare è un peccato gravissimo. Prostrarsi difronte agli idoli è idolatria. Fare loro offerte, sacrifici, portarli in trionfo, porli su un trono, incoronarli, bruciare loro incenso, rappresenta un evidente culto idolatrico gravemente immorale. Metterli su altari o all’interno di chiese consacrate per venerarli costituisce una vera e propria profanazione.
La Pachamama è un inganno per quanto riguarda il concetto di tolleranza. La sensibilità dei fedeli appare giustamente ferita quando assiste al desolante spettacolo di idoli che ricevono culto in chiese cattoliche. É un fatto profondamente disdicevole che richiede una ferma condanna. Non si tratta di una mancanza di rispetto o di tolleranza verso le persone che professano un’altra religione. Si rispetta il credo religioso di tutti, ma qui si tratta dell’imposizione di una tolleranza ad un culto idolatrico in templi e luoghi cattolici che vengono profanati dalla presenza di idoli. Questo non è accettabile. Tollerare tutto ciò significa essere complici della profanazione. Per questo il gesto di “idoloclastia” (distruzione degli idoli) che è stato coraggiosamente compiuto nella chiesa romana di Santa Maria in Transpontina, e che ha avuto vasta eco a livello mondiale, rappresenta un’espressione del più nobile senso della fede, e lungi dall’essere oggetto di riprovazione, merita un encomio.
La Pachamama è un inganno dell’inculturazione. Il principio di inculturazione è l’annuncio del Vangelo che riesce ad essere accolto da tutti i popoli di tutte le culture. La stessa dinamica dell’evangelizzazione stabilisce un processo graduale di trasformazione della cultura che accoglie la Parola di Dio, penetrando nel cuore di quella stessa cultura attraverso il mantenimento di ciò che di bene si trova in essa, la purificazione del male che essa contiene, lo sviluppo dinamico della fede che è sempre capace di rinnovare tutto. Senza tener conto del criterio della contrapposizione non si può parlare di inculturazione. È chiaro che l’evangelizzazione implica una necessaria contrapposizione con gli aspetti gravemente immorali delle culture che intende raggiungere, ed esige, ovviamente, la rinuncia all’idolatria."
La storia della Pachamama è un'accurata radiografia dello stato della Chiesa in questo drammatico momento della storia, che ricorda le parole veramente profetiche del professor Joseph Ratzinger nel suo saggio The New Gentiles and the Church, originariamente pubblicato in Rivista Hochland (ottobre 1958). Le strazianti parole di Joseph Ratzinger che seguono possono certamente essere lette come una sorta di commento tempestivo sugli atti di culto di Pachamama avvenuti in Vaticano e persino giustificati da Papa Francesco: "Il paganesimo si erge oggi nella stessa Chiesa, e questo è ciò che caratterizza la Chiesa oggi, così come il nuovo paganesimo: che è un paganesimo nella Chiesa e una Chiesa nel cui cuore vive il paganesimo.


Queste parole di fuoco, scaturite dal cuore di monsignor José Luís Azcona, missionario amazzonico e degno successore degli apostoli, rimarranno incise nella storia: "Uno degli aspetti più vergognosi di questo gesto idolatrico [in Vaticano] è stato lo schiacciare la coscienza dei "piccoli" con questo scandalo".


Data l'innegabile gravità oggettiva del culto Pachamama in Vaticano, con i suoi evidenti coinvolgimenti pseudo-religiosi e approccio sentimentalista per propagandare la religione globalista della" Madre Terra" si può ancora parlare di sicurezza o ci si rifugia nell'alibi di "Riti cinesi"? Ciò significherebbe difendere l'indifendibile.


Al tempo della grande confusione ecclesiale dottrinale e pastorale che ha segnato la crisi ariana del quarto secolo, Sant'Ilario di Poitiers, l'"Atanasio d'Occidente", era convinto che un tale stato non dovesse essere accettato in silenzio né minimizzando la situazione. Le parole citate di seguito sono perfettamente attuali e applicabili allo scandalo del culto della Pachamama in Vaticano: "D'ora in poi, il silenzio non sarà più chiamato moderazione, ma inerzia" (Cost.1)


A tutti coloro che oggi nella Chiesa non hanno per nulla minimizzato o accettato in silenzio gli atti di culto della Pachamama in Vaticano, ma hanno alzato voci di ammonimento, devono essere ringraziati e apprezzati,innanzi tutto ai laici, mossi dal loro sensus fidei soprannaturale e con queste azioni hanno espresso il loro vero amore e rispetto per il Papa e la loro madre, la Santa Chiesa cattolica.18 novembre 2019
+ Atanasio Schneider,
*vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Santa Maria d'Astana














giovedì 21 novembre 2019

“Tu appartieni a Gesù”. Quell’amicizia tra il medico abortista e il cattolico pro-life




Aldo Maria Valli, 21-11-2019

Avrete probabilmente letto la notizia riguardante un medico americano, Ulrich George Klopfer, nella cui casa, dopo la sua morte, sono stati rinvenuti i resti di più di duemila feti abortiti.

Klopfer, morto a settantacinque anni, era noto per essere un accanito abortista, esecutore di migliaia di aborti in cliniche dell’Indiana e dell’Illinois, al punto che nel 2016 gli era stata ritirata la licenza per non aver prestato cure ragionevoli alle pazienti e aver violato i requisiti richiesti a proposito della documentazione relativa agli interventi.

Dopo la sua morte, tuttavia, si è venuti a sapere che Klopfer nel corso degli anni aveva stretto una singolare amicizia con un uomo, convinto antiabortista, che era solito protestare davanti alle cliniche nelle quali il medico operava.

È stato padre Dan Scheidt, parroco cattolico di St. Vincent de Paul a Fort Wayne, a raccontare la vicenda, senza però fare il nome del parrocchiano che allacciò il rapporto con il medico.

“Anche dopo che la sua licenza medica fu ritirata dalle autorità – ha spiegato padre Scheidt – George Klopfer si recava nella clinica ormai chiusa e lì incontrava il parrocchiano, un fedele cattolico che si sedeva in macchina con il medico e parlava con lui, e questo succedeva ogni giovedì”.

“Io stesso – dice il parroco – fui presentato al medico dal mio parrocchiano e così per due volte parlai con quell’uomo, responsabile della fine di oltre trentamila vite umane. Ebbene, dalle nostre conversazioni risultò chiaro che Klopfer era un uomo assolutamente solo e che io e il mio parrocchiano eravamo i suoi unici amici”.

Padre Scheidt afferma di aver imparato molto su Klopfer e sulle sue sofferenze. Nato in Germania durante la seconda guerra mondiale, il futuro medico vide gli orrori del conflitto, “il totale abbandono degli esseri umani e il disinteresse dell’uno per l’altro”.

Secondo il parrocchiano, ha riferito padre Scheidt, prima di morire Klopfer ebbe forse un cambiamento nel suo cuore. L’amico antiabortista gli disse: “George, non è troppo tardi. Sei come il ladrone sulla croce, accanto a Gesù. Tu appartieni a Gesù. Accettalo, in quest’ultima ora”.

Non si sa se il medico visse veramente una conversione, ma il parrocchiano, che tante altre volte aveva avuto l’impressione di sbattere contro un muro, tornò dall’ultimo incontro del giovedì con la convinzione che il Signore avesse fatto breccia nel cuore di Klopfer.

Durante l’omelia nella parrocchia di St. Vincent de Paul padre Scheidt ha incoraggiato i fedeli a seguire l’esempio di quel parrocchiano: “Ogni persona è qualcosa di più della somma dei suoi peccati. Siamo tutti figli di Dio. Dobbiamo andare alla ricerca dell’immagine di Gesù che c’è in ogni persona. Io ho avuto la possibilità di vedere in George Klopfer non solo un uomo che ha massacrato migliaia di innocenti, ma una pecora smarrita. Dio possiede la capacità di trasformare e guarire la vita umana. Questa è la nostra storia e Gesù ci ha dato tutto, tutto, perché possiamo essere parte di un lieto fine”.

A.M.V.











mercoledì 20 novembre 2019

NUOVA CHIESA. Omosessualità, la scuola dei teologi che cambia la dottrina

martedì 19 novembre 2019

Il vescovo Cordileone si commuove celebrando nel Rito Antico la 'Messa delle Americhe'


Merita cliccare per ingrandire






19 novembre 2019
Estrapolo da gloria.tv. L'arcivescovo di San Francisco (USA), Salvatore Cordileone, ha celebrato il 16 novembre l'annuale Messa Solenne Pontificale in Rito Antico nella Basilica dell'Immacolata Concezione a Washington D.C.


L'enorme chiesa era gremita. Tra i fedeli c'era l'inviato di Gloria.tv Jungerheld.

Cordileone ha predicato che la bellezza nutre l'anima e ha suggerito che l'odierna mancanza di bellezza "spiega il turbamento spirituale in cui ci troviamo".
Verso la fine della Messa, quando è stato cantato il Salve Regina, Cordileone era così commosso che ha cominciato a piangere (foto a lato; nell'originale c'è il video -ndr).
Il coro ha cantato la "Messa delle Americhe" composta da Frank LaRocca. Ecco alcuni momenti musicali della Messa:- Kyrie
- Salve sancta parens
- Ave verum corpus

Altarworthy.com, che ha fatto i paramenti, ha detto a don Zuhlsdorf che sono stati incorporati alcuni elementi appena visibili, come scudi circondati da rose dorate su ambo i lati della dalmatica e titoli di Nostra Signora presi dalle Litanie Lauretane. 




Inoltre, da altra fonte [vedi], commuove vedere, attraverso la locandina (cliccare per leggerla ingrandita), l'immagine della Madonna di Guadalupe che ormai, dopo le recenti nefande profanazioni durante il Sinodo amazzonico, è sempre più vista e sentita come la vera Regina delle Americhe. 

Mentre vengono riportate alcune dichiarazioni significative del vescovo e di altri presenti alla celebrazione.
“Ero in estasi. Si ha la sensazione che qualcosa di veramente santo accada lì” (Arcivescovo Salvatore Cordileone)
"Ecco come appare una fiorente cultura religiosa: la pietà viene sollevata e sublimata nell'attuale liturgia della Chiesa". (Professore e poeta James Matthew Wilson)
"La grande tradizione cattolica è viva e vegeta, e sta solo aspettando una coraggiosa leadership pastorale e un patrocinio dalla visione lungimirante per continuare la sua grande storia nel punto di maggiore appartenenza: nel seno della Chiesa". (Professore e compositore Mark Nowakowski)













lunedì 18 novembre 2019

Don Roberto Spataro: “Il latino è patrimonio immateriale dell’umanità”




"Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto “sonoro” potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino". (Giovannino Guareschi)




Don Roberto Spataro, 18-11-2019

Illustri professori e studenti, cari amici,
nella relazione che sto per presentare, attenendomi al titolo che mi è stato affidato, svilupperò tre punti. Anzitutto, definirò il concetto di patrimonio immateriale e lo applicherò alla lingua latina; in secondo luogo, mostrerò alcune caratteristiche del latino liturgico; infine, presenterò la cosiddetta “Messa tridentina”, comunemente designata anche come “Messa in latino”, che valorizza moltissimo il latino liturgico.


1) Per definire il concetto di “patrimonio immateriale”, vorrei rifarmi ad un’iniziativa promossa circa due anni e mezzo fa da una benemerita istituzione culturale italiana, l’Accademia “Vivarium Novum”, che, con il sostegno di altri prestigiosi partner europei, ha raccolto moltissime adesioni perché l’Organizzazione delle Nazioni Unite dichiari la lingua latina e la lingua greca antica “patrimonio culturale immateriale dell’umanità “. Nella petizione che è stata diffusa, era descritto, pur se con altre parole, come “patrimonio immateriale dell’umanità” un qualche bene spirituale intangibile capace di creare una sorta di comunione diacronica tra gli uomini che ne usufruiscono. Come tutti le ricchezze culturali, esprime sempre un’esperienza significativa dell’avventura umana sulla terra che possa toccare l’anima dell’uomo in quanto tale, senza esclusioni e senza barriere nel tempo e nello spazio.

Appartengono a questa categoria lingue, non mai e/o non più parlate da nessun popolo, che hanno svolto nella storia delle idee e della cultura un ruolo fondamentale. Gli esempi sono numerosi: il sanscrito, soprattutto in India, ha trasmesso dottrine e speculazioni filosofiche da epoche remotissime fino ai nostri giorni; l’arabo classico e il persiano medievale ci hanno consegnato le meditazioni dei mistici sufi e le discussioni dei pensatori che riflettevano con profondità sui loro testi sacri e sulle opere della filosofia greca; la lingua ebraica, di recente riportata in vita con la nascita dello Stato d’Israele, ha per quasi due millenni tramandato la sapienza religiosa di una comunità di credenti dispersa nell’orbe. Queste ed altre lingue, e le civiltà che esse esprimono, costituiscono un grande patrimonio, che va rispettato, apprezzato, tutelato. Se disperso e trascurato, tutti diventano più poveri culturalmente, il che equivale a dire, tutti diventano più poveri di umanità. (1)


È a tutti evidente che il concetto di “patrimonio immateriale”, così come descritto, si applichi alle lingue latina e greca. Chi potrà negare che anche e principalmente nelle civiltà greca e latina sussistano le radici storiche e il tesoro inesauribile della memoria comune dell’Europa?

Il latino è patrimonio immortale dell’umanità perché è la lingua di autori che definiamo “classici” in quanto, secondo una felice intuizione di Italo Calvino, ogni volta che entriamo in dialogo con loro, scopriamo sempre qualcosa di nuovo che si incide nella nostra anima (2). Sono classici perciò Virgilio, con la sua dolorosa meditazione delle umane vicende, Seneca che sosteneva che tutti gli uomini hanno la stessa dignità, Agostino che, nella sua sofferta e pur serena autobiografia, ha scoperto la psicologia del profondo. Non è necessario moltiplicare i nomi dei “classici” latini ed il loro imperituro messaggio. Vorrei, invece, ricordare che, dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, avvenuto nel V secolo in concomitanza con l’irruzione di nuovi popoli, la lingua latina diventò immortale, mai più destinata a perire. A partire dal V secolo comunità civili e politiche scelsero il latino per le conversazioni quotidiane, per l’allacciamento di relazioni, per la stesura degli atti burocratici, per la composizione di opere di letteratura, per la celebrazione della preghiera. In tal modo i popoli europei, dialogando tra loro con l’uso della medesima lingua, maturavano un unico e medesimo spirito. Scrissero in latino i monaci eruditi che, maestri alla corte palatina di Carlo Magno, coltivarono gli studi umanistici ed avviarono un rinascimento delle lettere e delle arti. Tra essi eccelle Alcuino. In latino composero le loro summae di teologia i pii dottori del Medioevo per mostrare il modo in cui gli uomini, con argomentazioni razionali, possono comprendere i misteri della fede cristiana. Ed il nostro pensiero va al più grande tra essi, Tommaso d’Aquino. In latino Dante Alighieri, come altri suoi contemporanei, trattò problemi di natura politica. In latino gli umanisti dei secoli XV e XVI sostennero la grandezza e la dignità dell’uomo, come Erasmo da Rotterdam, profeta della pace, o Thomas More martire della giustizia. Usarono il latino gli autori, come Francesco de Vittoria, il grande filosofo di Salamanca, che rivendicarono i diritti inviolabili delle popolazioni indigene contrastando l’avidità dei conquistadores. In latino approfondirono temi di matematica studiosi illustri, quale Giovanni Napier che nel XVI secolo scrisse un’opera intitolata “Mirifici logarithmorum canonis descriptio” (3). Quanti capolavori di natura letteraria, filosofica, teologica, giuridica, scientifica, matematica, biologica sono stati composti in questa lingua fino al secolo XIX! E persino nell’ambito politico, il latino, era la lingua dei parlamenti, come quello croato e quello ungherese fino al secolo XIX, o la lingua della corrispondenza di uomini dotti, mercanti, esploratori, missionari: un enorme patrimonio, davvero universale nel tempo e nello spazio.

2) Negli ambiti in cui la lingua latina è stata usata eccelle senz’altro la liturgia della Chiesa Cattolica che ha quasi spontaneamente scelto la lingua di Roma per elevare la sua preghiera a Dio negli atti più solenni, i sacramenti, soprattutto la Santa Messa, e l’Ufficio divino. Tra le varie cause che hanno portato a questa felicissima simbiosi tra la preghiera ufficiale della Chiesa e l’uso del latino, vorrei ricordarne una: il latino è una lingua sacra. Gli argomenti che adduco per sostenere questa tesi sono cinque.

Anzitutto, le più remote testimonianze dell’uso letterario della lingua, rinviano ad un contesto rituale, gli antichissimi “carmina” perché le caratteristiche fonetiche del latino, con la sua alternanza di sillabe lunghe e brevi, con la sua sonorità robusta, ma mai sgraziata, di consonanti occlusive, ingentilita dalla frequenza di sibilanti e liquide, lo rende una lingua poetica e, dunque, la sottrae alla funzionalità della prosa, per immergerla nella sfera della bellezza, che è il mondo di Dio.
Inoltre, il latino è una lingua “sacra”, come ha notato Michael Lang sulla scorta delle osservazioni di Christine Mohrmann, perché è immutabile (4). Il latino, infatti, nelle sue strutture morfologico-sintattiche si è fissato una volta per sempre, come ricordavamo, intorno al V secolo d.C., conoscendo solo un graduale e fecondo arricchimento lessicale.
La lingua sacra, tra l’altro, è disponibile a recepire prestiti da altre lingue per esprimere realtà sacre, ed il latino liturgico si è mostrato molto duttile in questo tempo, recependo grecismi ed ebraismi.
Infine, la lingua sacra ha una struttura retorica tipica dell’oralità e che allo stesso tempo conferisce maestà e bellezza: basta leggere una qualsiasi orazione del Messale romano per rendersi conto dell’elaborazione retorica, perfetta nella sua sobrietà: chiasmi, iperbati, allitterazioni, equilibrio perfetto tra i cola, rispetto delle clausole che danno un ritmo inconfondibile.
C’è ancora un motivo evidente che fa del latino liturgico una lingua sacra. I testi liturgici sono plasmati come un’eco ed un approfondimento del testo sacro per antonomasia, la Bibbia. Per rivolgersi a Dio, infatti, le parole più appropriate sono quelle che Dio stesso, con la sua rivelazione, mette sulla bocca dei credenti e degli oranti. Ora, la Chiesa Cattolica ha assunto per la sua vita, per la sua preghiera e per la sua dottrina la Vulgata, ossia l’edizione latina della Bibbia, diffusa da Gerolamo nel IV secolo e poi rifatta dopo il Concilio di Trento.

3) E veniamo così all’ultima parte di questa relazione. Stabilito che il latino è un patrimonio immateriale dell’umanità e che, tra le sue espressioni, vi sia il latino liturgico in quanto il latino è una lingua sacra, vorrei affrontare una domanda che sicuramente è nata in ciascuna di noi: non ha forse la Chiesa Cattolica abbandonato l’uso del latino nella celebrazione della liturgia, con l’introduzione delle lingue nazionali, seguita alla riforma liturgica postconciliare? Il problema è complesso. Presento tre elementi che aiutano ad affrontare correttamente tale problema.


Anzitutto, va ricordato che i Padri del Concilio Vaticano II ammisero un uso limitato e ragionevole delle lingue nazionali che avrebbero dovuto coesistere accanto al latino (5). I motivi per i quali questa raccomandazione non sia stata rispettata ma stravolta saranno chiariti dagli storici.

In secondo luogo, tutte le editiones typicae dei testi liturgici sono in latino e i testi in lingue nazionali sono traduzioni dell’originale latino, operazione molto delicata perché è in gioco la fede della Chiesa, al punto che la Santa Sede avoca a sé il diritto/dovere di approvarle, prima di introdurle nella pratica. E sugli infiniti problemi delle traduzioni, vorrei fare due esempi. Al principio della Messa, sia nella forma ordinaria sia in quella straordinaria, si recita il Confiteor, pur se con alcune non irrilevanti variazioni tra l’una e l’altra. Questa bellissima preghiera si conclude con un appello del fedele alla Chiesa celeste e a quella militante di pregare a suo favore per ottenere il perdono dei peccati. In latino si dice: Ideo precor … orare pro me ad Dominum Deum nostrum. La traduzione in lingua italiana dice: “Supplico di pregare per me il Signore Dio nostro”, quella inglese “to pray for me to the Lord our God”. Eppure, in quel ad seguito dall’accusativo non è contenuto solamente il significato della direzione impressa alla preghiera, significato più comune nel tardo latino. Ad e l’accusativo, in dipendenza di un verbo che non indica movimento, come appunto confiteor, significano anche e principalmente “alla presenza di”. Quando si recita il Confiteor, insomma, ci mettiamo dinanzi a Dio perché nella Messa siamo realmente davanti a Lui, come peccatori, tutti quanti, e invochiamo il suo perdono perché siamo al cospetto di Colui che per perdonarci ha subito la Passione e la Morte: anche la posizione del Crocifisso ci aiuta ad assumere questo orientamento interiore. Ancora più sorprendente la traduzione in lingua italiana delle parole della consacrazione del Calice. ACCIPITE ET BIBITE EX EO OMNES: HIC EST ENIM CALIX SANGUINIS MEI NOVI ET AETERNI TESTAMENTI. La traduzione del Messale italiano dice: “Questo è il sangue per la nuova ed eterna alleanza”, un complemento di fine e non di specificazione. La traduzione è assolutamente inadeguata: al posto di un genitivo oggettivo-costitutivo, (questo è il sangue che “fa”, crea, costituisce la nuova e definitiva alleanza) c’è un ben più debole complemento “per la nuova ed eterna alleanza”. In questo punto, la lex orandi non corrisponde più alla lex credendi.

Infine, il Magistero supremo della Chiesa non ha mai cessato di incoraggiare l’uso della lingua latina anche nella liturgia rinnovata. In questo senso, l’esempio e l’insegnamento del Papa emerito, Benedetto XVI, sono stati luminosi. Tuttavia, vorrei ora proporre delle riflessioni su quella forma di celebrazione della Messa in cui l’uso della lingua latina è rimasto intatto ed integrale, la cosiddetta “forma straordinaria” del rito romano, secondo il Messale dell’anno 1962, che, con il Motu proprio Summorum Pontificum, è stato restituito alla Chiesa e che un numero di fedeli e di sacerdoti, per quanto estremamente esiguo rispetto alla maggioranza, ha adottato stabilmente (6).

La Messa tridentina – e così possiamo chiamarla – accentua molto la sacralità dell’azione perché è un atto di fede che potremmo così sintetizzare: Dio è presente in modo realissimo attraverso la consacrazione delle specie eucaristiche e nella Messa si rinnova in modo incruento il sacrificio del Calvario. Di fronte ad un evento tanto sublime, al sacerdote e ai fedeli viene chiesto di coltivare un atteggiamento di intima e convinta adesione, di silenziosa adorazione, di umile accoglienza, di preghiera raccolta. La lingua latina, in quanto lingua sacra, si addice sommamente ad esprimere quest’atmosfera. Christine Mohrmann, già citata, la grande storica del latino dei cristiani, afferma che la lingua sacra è un modo specifico di “organizzare” l’esperienza religiosa. Infatti, ogni forma di credere nella realtà soprannaturale, nell’esistenza di un essere trascendente, conduce necessariamente all’adozione di una forma di lingua sacra nel culto, mentre solo un laicismo radicale porta a respingere ogni forma di essa. Del resto, quasi tutte le grandi religioni adottano una lingua diversa da quella dell’uso quotidiano per gli atti di culto. Lo ricordava anche il Cardinale Ranjith in un’intervista di qualche anno fa: «L’uso di una lingua sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell’Induismo la lingua di preghiera è il sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa il Pali, lingua che oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell’Islam si impiega l’arabo del Corano. L’uso di una lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione dell’al-di-là» (7). In un convegno, tenutosi a Pavia poco più di un anno fa, don Marino Neri, appassionato cultore della Messa tridentina, ha spiegato che il Latino introduce meglio al mistero, al momento in cui l’Altro per eccellenza si comunica sensibilmente a noi. L’alterità, espressa da luoghi, gesti, abiti “altri”, passa anche attraverso il “principe” dei segni, la parola, che non media solo significati destinati all’intelletto, ma conduce l’astante al rapporto personale religioso, che si nutre di segni. Si tratta né più né meno di un principio formulato da San Tommaso d’Aquino, il teologo che dice le cose più ragionevoli che io conosca: “Ciò che si trova nei sacramenti per istituzione umana non è necessario alla validità del sacramento, ma conferisce una certa solennità, utile nei sacramenti a eccitare la devozione e il rispetto in coloro che li ricevono”. (8)

Alla sacralità del rito tridentino, potentemente ed efficacemente manifestata dall’uso del latino, lingua ieratica, si aggiungono altre caratteristiche in armoniosa simbiosi e che rendono la forma straordinaria del rito romano un’autentica esperienza mistica. Ne ricordo velocemente tre, ben note a coloro che vi hanno partecipato qualche volta o che abitualmente assistono alla Messa antica. Anzitutto, l’orientamento ad Deum, favorito dalla posizione assunta dai fedeli e dai celebranti che, spezzando il circolo un po’ autoreferenziale del guardarsi reciprocamente, volgono lo sguardo verso il Crocifisso, maestoso e semplice nel messaggio salvifico che trasmette: il Sangue di Cristo, sparso cruentemente sul Calvario, viene incruentemente effuso sull’Altare dove si rinnova il Santo Sacrificio. In secondo luogo, lo spazio dato al silenzio che avvolge discretamente l’intero svolgimento del rito, dalle apologie del sacerdote alla recitazione del Canon Missae, per dare risalto alla contemplazione e all’assimilazione intima del significato dei gesti compiuti e delle parole pronunciate. Infine, l’importanza della gestualità che, nella logica del simbolo, riassume l’antropologia cristiana, invitando i fedeli ad essere frequentemente in ginocchio per riconoscere la loro condizione creaturale di fronte al Creatore che li ama e li salva, e che nessuna dimensione della vita dell’uomo tralascia, neppure gli affetti diretti verso quell’Altare, figura eloquente di Cristo, vittima, sacerdote ed altare, che ripetutamente il sacerdote bacia delicatamente.


Concludo con un esempio della bellezza del latino liturgico, porzione non indifferente di questa lingua “patrimonio immateriale dell’umanità”. È una preghiera che il sacerdote pronunzia sommessamente alla fine della Messa, prima di impartire la benedizione finale, purtroppo scomparsa nella forma ordinaria del rito romano. Essa recita in tal modo:

Placeat tibi, sancta Trinitas, obsequium servitutis meae: et praesta; ut sacrificium, quod oculis tuae maiestatis indignus obtuli, tibi sit acceptabile, mihique et omnibus, pro quibus illud obtuli, sit, te miserante, propitiabile. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

In questa preghiera Cielo e terra si uniscono nelle parole del sacerdote, la Trinità invocata al principio della preghiera, i fedeli tutti per i quali il sacerdote prega e lavora. Si alternano il congiuntivo, placeat, e l’imperativo, praesta, che sono i modi verbali della preghiera cristiana: quando parliamo a Dio esprimiamo umilmente una speranza, ed ecco il congiuntivo, ma osiamo anche chiedere fiduciosi, nel nome del Figlio, ed ecco l’imperativo. Le richieste sono espresse ordinatamente: anzitutto la gloria di Dio ed ecco la proposizione ut sacrificium sit acceptabile, e poi la salvezza delle anime, sit propitiabile, la stessa disposizione dell’Oratio dominica, del Padre nostro. Le preghiere sono espresse in un elegante parallelismo, ma esso viene, per così dire, deviato da un ablativo assoluto, cioè da quella costruzione tipica della lingua latina, che esprime le circostanze che accompagnano il racconto di un fatto o l’enunciazione di un pensiero. Quell’ablativo assoluto, che esce dalla struttura parallela, si impone allora come una luce che illumina tutta la preghiera: te miserante, proprio le parole del motto scelto dal Papa Francesco. La misericordia delle Tre persone della Santissima Trinità, il messaggio imperituro del Vangelo che l’attuale Sommo Pontefice ci sta ricordando incessantemente e che la Messa tridentina, ridonataci da Benedictus Magnus, ci lascia alla conclusione di ogni sua celebrazione!


Roberto Spataro
Pontificium Institutum Altioris Latinitatis
Università Pontificia Salesiana

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(1) Cf. An appeal to Unesco on behalf of the Latin and Greek “heritage of humanity”. [qui]
(2) Cf. I. Calvino, Perché leggere i classici, Milano 1995.
(3) Cf. R. Spataro, Hortensius vel Sapientia veterum a Christifidelibus tradita, Grottaminarda (Av), 2014, p. 81.
(4) U. M. Lang, Il latino come lingua liturgica del Rito Romano. [qui]
(5) Cf. Sacrum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, Sacrosanctum Concilium, n. 36 §1, in Constitutiones, Decreta, Declarationes, cura et studio Secretariae Generalis Concilii Oecumenici Vaticani II, Typis Poliglottis Vaticanis, MCMLXVI, p. 22.
(6) Benedictus XVI, Litterae Apostolicae Motu proprio datae Summorum Pontificum (07.07.2007).
(7) M. Politi, Liturgia. Perché Ratzinger recupera il ‘sacro’, in “La Repubblica”, 31 luglio 2008, p. 42.
(8) Summa Theologiae III, 64, 2 (Ed. Leonina).