giovedì 31 agosto 2017

UN CATTOLICESIMO INTEGRALE, FONDATO SULLA TRADIZIONE DELLA CHIESA. COSÌ RINASCE UNA PARROCCHIA






Tratto da un articolo apparso il 20 agosto 2017 sul sito Cruz, scritto da Valerie Schmalz, giornalista del settimanale dell’arcidiocesi di San Francisco. (Nel video a fianco, padre Joseph Illo, il parroco protagonista dell'articolo, parla dell'importanza della celebrazione ad Orientem. Qui il sito della parrocchia).



Nella solennità dell'Annunciazione, la scorsa primavera, l'arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone ha dedicato la rinnovata Cappella dell'Adorazione della chiesa Stella del Mare, parlando di «un momento cruciale nella storia di questa parrocchia». «Vogliamo fondare il rinnovamento della nostra parrocchia sulla Santa Eucaristia» ha detto padre Joseph Illo, «il nostro proposito è evangelizzare iniziando dal dono della Santa Eucaristia. Questo significa mettere molta energia nella cura della Messa domenicale, compresa la musica e la predicazione».

Nominato parroco tre anni fa, nell’agosto 2014, padre Illo ha riportato l’attenzione - in una città ultra “progressista” come San Francisco - su aspetti tradizionali del culto. E il risultato è che la frequenza alla Messa e il numero dei parrocchiani sono cresciuti del 10% ogni anno.

«Per la prima volta nella mia vita sento di appartenere a una parrocchia, di appartenervi veramente» dice Eva Muntean, copresidente della Marcia per la Vita della West Coast e che due volte al mese organizza un’attività evangelizzazione di strada, nei pressi di un mercato agricolo non lontano dalla chiesa.

Una delle prime cose padre Illo ha fatto è stato riaprire la bella chiesa in stile romanico dalle 6:30 di mattina alle 5:30 di pomeriggio, ogni giorno, migliorandone l'illuminazione e il riscaldamento. «Ora la gente può fermarsi e accendere una candela» racconta il sacerdote.

Quando è arrivato, la parrocchia fondata nel 1887 nel quartiere di Richmond era in difficoltà. Nonostante la collocazione in una via molto frequentata, le sue porte erano chiuse per la maggior parte della giornata, a parte gli orari delle Messe.

In poco tempo le offerte sono raddoppiate e la parrocchia è stata una delle prime a raggiungere il target proposto ogni anno dall’arcidiocesi, una cifra che serve per contribuire al mantenimento di servizi e apostolati nelle comunità diocesane più in sofferenza. C’è una nuova sezione di Cavalieri di Colombo, un potenziato servizio per i senzatetto, è attivo il Progetto Gabriele per le donne incinte in difficoltà, c’è un gruppo di giovani adulti, un cineforum, un gruppo parrocchiale di filippini e uno di cinesi. Le Messe, in inglese e in latino, sono accompagnate dal canto gregoriano o da musica polifonica.

L’ossatura della parrocchia restano «i buoni e fedeli parrocchiani di lungo corso» dice padre Illo.

«Abbiamo avuto esperienza di diversi pastori, molto diversi fra loro. E abbiamo visto la parrocchia passare per diverse fasi, di crescita, di declino e di rinascita» commenta Lorna Feria, un’amministratrice che è anche responsabile del settore formazione. Lei e suo marito Bud, che hanno cinque figli, sono entrati a far parte della parrocchia 26 anni fa. «Questa che stiamo vivendo è una rinascita».

Le confessioni sono disponibili prima di ogni Messa. «Ciò ha attirato molta gente» ritiene padre Illo. Dopo la maggior parte delle Messe domenicali ci si ritrova insieme per prendere un caffé e assaggiare dolci fatti da messicani, cinesi e filippini.

«Offriamo uno stile di adorazione più tradizionale, più classico e la risposta del vicinato è molto buona» continua il parroco. «Investiamo in musicisti professionisti», aggiunge, indicando anche l’impegno per la formazione del coro parrocchiale fatto di volontari.

I sacerdoti alla chiesa Stella del Mare distribuiscono la comunione alla balaustra. In Quaresima padre Illo ha iniziato un periodo sperimentale di celebrazione “ad Orientem”, che significa che il sacerdote è rivolto all'altare e al crocifisso durante le parti della Messa dove ministro e popolo si indirizzano a Dio. La Messa nella forma straordinaria del rito romano era iniziata prima dell’arrivo di pare Illo, ora ce ne sono due alla domenica e una quotidiana, in aggiunta alle Messe secondo il rito ordinario, in inglese.

Subito dopo la sua nomina padre Illo ha fatto discutere per la decisione di voler formare solo ragazzi e maschi adulti per il servizio all'altare come ministranti: «Il servizio all’altare è un’esperienza di formazione e di avviamento al sacerdozio, oltre che utile per formare il senso di leadership nei ragazzi, così come lo sono i programmi per sole ragazze in tante delle nostre scuole». Oggi la polemica è svanita.

Tre adulti della parrocchia sono da poco entrati in Seminario e un altro, lo scorso 15 agosto, nel noviziato dei domenicani. Un altro giovane che serviva regolarmente la Messa è entrato in Seminario l’estate in cui padre Illo è arrivato.

«Ho comprato casa nel quartiere di Richmond e uno dei fattori determinanti per la mia scelta è stato il poter accedere facilmente alla parrocchia Stella del Mare» dice Marcus Quintanilla, un avvocato che si è trasferito dal sud della California e spende il suo mercoledì sera facendo adorazione eucaristica insieme alla fidanzata.

In un party che è durato fino alle 2 di mattina, con musica arrosto e sangria fatta in casa, i parrocchiani hanno hanno dato il benvenuto a 13 nuovi cattolici, la maggior parte adulti, che sono stati battezzati la scorsa vigilia di Pasqua.

«Mi stavo allontanando dalla fede e ora sono qui» sorride Mariella Zevallos, artista e insegnante che è stata assunta come coordinatrice a tempo pieno per le attività parrocchiali.








http://www.iltimone.org/36376,News.html







martedì 29 agosto 2017

Liturgia. La controrelazione del cardinale Sarah





di Sandro Magister (29/08/2017)

Chiaramente non è farina del suo sacco il discorso che papa Francesco ha letto il 25 agosto ai partecipanti alla settimana annuale del Centro di Azione Liturgica italiano. Un discorso ricco di riferimenti storici, di citazioni dotte con le rispettive note, su una materia che egli non ha mai padroneggiato.

In esso però è facile cogliere dei silenzi e delle parole che riflettono molto bene il suo pensiero.

Ciò che più ha fatto notizia è stata questa sua dichiarazione solenne, a proposito della riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II:

"Possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile".

La dichiarazione è stata interpretata dai più come un altolà intimato da papa Francesco alla presunta retromarcia avviata da Benedetto XVI col motu proprio "Summorum pontificum" del 2007, che restituiva piena cittadinanza anche alla forma preconciliare della messa in rito romano, consentendone la libera celebrazione, come seconda forma "extraordinaria" del medesimo rito.

E in effetti nel lungo discorso letto da papa Francesco si citano a iosa Pio X, Pio XII e Paolo VI. Ma per Benedetto XVI, grandissimo cultore della liturgia, non c'è nemmeno un cenno. Tanto meno per il suo motu proprio, nonostante proprio questa estate ricorra il suo decennale.

Marginalissimo è anche il riferimento alle imponenti degenerazioni in cui è sfortunatamente incorsa la riforma liturgica postconcicliare, fuggevolmente denunciate come "ricezioni parziali e prassi che la sfigurano".

Silenzio totale anche sul cardinale Robert Sarah, prefetto della congregazione per il culto divino, e soprattutto sulle sue boicottate battaglie per una "riforma della riforma" che restituisca alla liturgia latina la sua natura autentica.

Quella che segue è appunto la controrelazione sullo stato della liturgia nella Chiesa che il cardinale Sarah ha pubblicato questa stessa estate, poco prima del discorso di papa Francesco. Una controrelazione incentrata proprio su Benedetto XVI e il motu proprio "Summorum pontificum".

Il suo testo integrale può essere letto, in francese, sul numero di luglio-agosto del mensile cattolico "La Nef":

> Pour une réconciliation liturgique


Qui di seguito ne è riprodotto un estratto.

In esso il cardinale enuncia un obiettivo futuro notevolissimo: un rito romano unificato che accorpi il meglio dei due riti preconciliare e postconciliare.

Non vi mancano, naturalmente, i richiami a temi su cui Sarah è particolarmente sensibile: il silenzio e la preghiera rivolta "ad orientem".

Ma c'è anche l'accantonamento della formula "riforma della riforma", rifiutata dallo stesso papa Francesco e divenuta inservibile. Al suo posto il cardinale Sarah preferisce parlare di "riconciliazione liturgica", nel senso di una liturgia "riconciliata con se stessa, con il suo essere profondo".

Una liturgia che sappia appunto far tesoro delle "due forme del medesimo rito" autorizzate da papa Benedetto, in "arricchimento reciproco".


*

PER UNA RICONCILIAZIONE LITURGICA




di Robert Sarah

"La liturgia della Chiesa è stata per me l'attività centrale della mia vita, è divenuta il centro del mio lavoro teologico", afferma Benedetto XVI. Le sue omelie rimarranno documenti insuperabili per generazioni. Ma bisogna anche sottolineare la grande importanza del motu proprio "Summorum pontificum". Lungi dal riguardare solamente la questione giuridica dello statuto dell'antico messale romano, il motu proprio pone la questione dell'essenza stessa della liturgia e del suo posto nella Chiesa.

Ciò che è in causa è il posto di Dio, il primato di Dio. Come sottolinea il "papa della liturgia": "Il vero rinnovamento della liturgia è la condizione fondamentale per il rinnovamento della Chiesa": Il motu proprio è un documento magisteriale capitale sul senso profondo della liturgia e di conseguenza di tutta la vita della Chiesa. Dieci anni dopo la sua pubblicazione, occorre fare un bilancio: abbiamo messo in opera questi insegnamenti? L'abbiamo compreso in profondità?

Sono intimamente persuaso che non si è ancora finito di scoprire tutte le implicazioni pratiche di questo insegnamento.. Ne voglio tirare qui alcune conseguenze.

VERSO UN NUOVO RITO COMUNE

Poiché c'è continuità profonda e unità tra le due forme del rito romano, allora necessariamente le due forme devono illuminarsi e arricchirsi reciprocamente. È prioritario che, con l'aiuto dello Spirito Santo, esaminiamo, nella preghiera e nello studio, come ritornare a un rito comune riformato, sempre con la finalità di una riconciliazione all'interno della Chiesa.

Sarebbe bello che coloro che utilizzano il messale antico osservino i criteri essenziali della costituzione sulla sacra liturgia del Concilio. È indispensabile che queste celebrazioni integrino una giusta concezione della "participatio actuosa" dei fedeli presenti (SC 30). La proclamazione delle letture deve poter essere capita dal popolo (SC 36). Così pure, i fedeli devono poter rispondere al celebrante e non contentarsi di essere degli spettatori estranei e muti (SC 48). Infine, il Concilio fa appello a una nobile semplicità del cerimoniale, senza ripetizioni inutili (SC 50).

Toccherà alla commissione pontificia "Ecclesia Dei" procedere in questa maniera con prudenza e in forma organica. Si può auspicare, là dove è possibile, se delle comunità ne fanno la domanda, una armonizzazione dei calendari liturgici. Si devono studiare le vie verso una convergenza dei lezionari.

IL PRIMATO DI DIO

Le due forme liturgiche fanno parte della medesima "lex orandi". Che cos'è questa legge fondamentale della liturgia? Permettetemi di citare ancora papa Benedetto: "La cattiva interpretazione della riforma liturgica che è stata a lungo propagata nel seno della Chiesa cattolica ha portato sempre di più a mettere al primo posto l'aspetto dell'istruzione, e quello della nostra attività e creatività. Il 'fare' dell'uomo ha quasi provocato l'oblio della presenza d Dio. L'esistenza della Chiesa prende vita dalla celebrazione corretta della liturgia. La Chiesa è in pericolo quando il primato di Dio non appare più nella liturgia e, di conseguenza, nella vita. La causa più profonda della della crisi che ha sconvolto la Chiesa si trova nell'oscuramento della priorità di Dio nella liturgia".

Ecco dunque ciò che la forma ordinaria deve tornare ad apprendere per prima cosa: il primato di Dio.

Consentitemi di esprimere umilmente il mio timore: la liturgia della forma ordinaria potrebbe farci correre il rischio di allontanarci da Dio a motivo della presenza massiccia e centrale del prete. Egli è costantemente davanti al suo microfono e ha senza interruzione lo sguardo e l'attenzione rivolti verso il popolo. È come uno schermo opaco tra Dio e l'uomo. Quando celebriamo la messa, allora, mettiamo sempre sull'altare una grande croce, una croce bene in vista, come punto di riferimento per tutti, per il prete come per i fedeli. Così abbiamo il nostro Oriente, perché in definitiva l'Oriente cristiano è il Crocifisso, dice Benedetto XVI.

"AD ORIENTEM"

Sono persuaso che la liturgia può arricchirsi delle attitudini sacre che caratterizzano la forma extraordinaria, tutti quei gesti che manifestano la nostra adorazione della santa eucaristia: tenere le mani giunte dopo la consacrazione, fare la genuflessione prima dell'elevazione o dopo il "Per ipsum", comunicarsi in ginocchio, ricevere la comunione sulle labbra lasciandosi nutrire come un bambino, come Dio stesso ci dice: "Sono io il Signore tuo Dio. Apri la tua bocca, la voglio riempire" (Salmo 81, 11).

"Quando lo sguardo su Dio non è determinante, tutto il resto perde il suo orientamento", ci dice Benedetto XVI. È vero anche l'opposto: quando si perde l'orientamento del cuore e del corpo verso Dio, si cessa di determinarsi in rapporto con lui, letteralmente, si perde il senso della liturgia. Orientarsi verso Dio è prima di tutto un fatto interiore, una conversione della nostra anima verso il Dio unico. La liturgia deve operare in noi questa conversione verso il Signore che è la Via, la Verità, la Vita. Per questo essa utilizza dei segni, dei mezzi semplici. La celebrazione "ad orientem" è uno di questi. È un tesoro del popolo cristiano che ci permette di tener vivo lo spirito della liturgia. La celebrazione orientata non deve diventare l'espressione di un'attitudine partigiana e polemica. Deve al contrario restare l'espressione del movimento più intimo e più essenziale di ogni liturgia: rivolgerci verso il Signore che viene.

IL SILENZIO LITURGICO

Ho avuto occasione di sottolineare l'importanza del silenzio liturgico. Nel suo libro "Lo spirito della liturgia", il cardinale Ratzinger scriveva: "Chiunque fa l'esperienza di una comunità unita nella preghiera silenziosa del Canone sa che ciò rappresenta un silenzio autentico. Qui il silenzio è al tempo stesso un grido possente, penetrante, lanciato verso Dio, e una comunione di preghiera riempita dallo Spirito". A suo tempo, egli aveva affermato con forza che la recitazione a voce alta dell'intera preghiera eucaristica non era l'unico mezzo per ottenere la partecipazione di tutti. Dobbiamo lavorare a una soluzione equilibrata e aprire degli spazi di silenzio in questo campo.

LA VERA "RIFORMA DELLA RIFORMA"

Faccio appello con tutto il mio cuore perché si metta in opera la riconciliazione liturgica insegnata da papa Benedetto, nello spirito pastorale di papa Francesco! Mai la liturgia deve diventare lo stendardo di un partito. Per alcuni, l'espressione "riforma della riforma" è diventata sinonimo di dominio di un partito sull'altro, questa espressione rischia allora di diventare inopportuna. Preferisco dunque parlare di riconciliazione liturgica. Nella Chiesa, il cristiano non ha avversari!

Come scriveva il cardinale Ratzinger, "dobbiamo ritrovare il senso del sacro, il coraggio di distinguere ciò che è cristiano da ciò che non lo è; non per innalzare barricate, ma per trasformare, per essere veramente dinamici". Più che di "riforma della riforma", si tratta di una riforma dei cuori! Si tratta di una riconciliazione delle due forme del medesimo rito, di un arricchimento reciproco. La liturgia deve sempre riconciliarsi con se stessa, con il suo essere profondo!

Illuminati dall'insegnamento del motu proprio di Benedetto XVI, confortati dall'audacia di papa Francesco, è tempo di venire a capo di questo processo di riconciliazione della liturgia con se stessa. Quale segno magnifico sarebbe se potessimo, in una prossima edizione del messale romano riformato, inserire in appendice le preghiere alla base dell'altare della forma extraordinaria, forse in una versione semplificata e adattata, e le preghiere dell'offertorio che contengono una epiclesi così bella che completa il Canone romano. Sarebbe finalmente manifesto che le due forme liturgiche si illuminano reciprocamente, in continuità e senza opposizione!








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lunedì 28 agosto 2017

USA: SCUOLA CATTOLICA RIMUOVE LE STATUE RELIGIOSE – MADONNA E BAMBINO INCLUSI – PER ESSERE PIÙ “INCLUSIVA”.








MARCO TOSATTI (28/08/2017)

Una scuola cattolica negli Stati Uniti ha deciso di rimuovere tutte le statue religiose, e anche icone e immagini di minor grandezza, così da diventare più inclusiva. Naturalmente un gesto del genere ha provocato reazioni da parte di alcuni genitori cattolici. Gli oggetti rimossi sono stati messi in un deposito. La notizia è stata data dal Marin Independent Journal. La scuola interessata è un istituto domenicano, intitolato a San Domenico.

Shannon Fitzpatrick ha scritto una mail al Comitato direttivo della scuola: “Articolare un fondamento inclusivo – ha scritto – appare con il significato di lasciar cadere oltre 167 anni di tradizione di San Domenico come scuola cattolica e di avere paura, e di vergognarsi di celebrare il proprio patrimonio e ciò in cui si crede”, ha scritto Fitzpatrick, il cui figlio, di otto anni, frequenta l’istituto.

E ha aggiunto: “In questo periodo la parola ‘Cattolica’ è stata rimossa dalla dichiarazione di missione, i sacramenti sono stati tolti dal curriculum, il curriculum scolastico inferiore è stato modificato in ‘religioni del mondo’, il logo e i colori sono stati cambiati per essere ‘meno cattolici’ e l’uniforme è stata modificata per essere meno cattolica”. E ha concluso: “ci sono altre famiglie che hanno le stesse preoccupazioni che faccio. Molti genitori sentono che se la scuola si stava dirigendo in una direzione diversa la comunità di San Domenico avrebbe dovuto essere avvisata prima della firma di iscrizione per l’anno successivo.” Cheryl Newell, che ha quattro figli che hanno frequentato San Domenico, ha detto, “io sono estremamente delusa nella scuola e nella direzione che stanno prendendo. Non è una cosa nuova, che stiano intenzionalmente erodendo loro eredità cattolica. Stanno cercando di essere qualcosa per tutti e che non accontentano nessuno”.

Kim Pipki, la cui figlia ha lasciato San Domenico due anni fa, dopo la promozione dalla terza media, ha detto alcune delle statue sono state importanti anche per le famiglie che non sono cattoliche. “La statua principale, quella che ha indignato tutti, era quella di Maria con il Bambino Gesù”, ha detto Pipki. “Era al centro del cortile della scuola primaria”. Pipki ha raccontato che la scuola aveva una cerimonia nella quale i bambini ponevano una corona sulla statua di Maria. “Era meno parlare di Dio, e più trasmettere alcune tradizioni. La gente è rimasta choccata che la statua sia stata messa in deposito”.

Amy Skewes-Cox, che dirige il Consiglio dei fiduciari della scuola di San Domenico ha detto che la delocalizzazione e la rimozione di parte delle 180 icone religiose della scuola era “completamente in conformità” con il nuovo piano strategico di San Domenico, approvato all’unanimità dal Consiglio dei fiduciari e dalle Suore domenicane di San Rafael lo scorso anno. Ha detto che almeno 18 icone rimangono, tra cui una statua di s. Domenico al centro del campus.

Suor Maureen McInerney, Priora generale delle suore domenicane di San Rafael, ha detto di non aver visitato il campus e di non voler entrare nei dettagli. “San Domenico è una scuola cattolica; accoglie anche persone di tutte le fedi” ha detto. “Sta facendo uno sforzo per essere inclusiva di tutte le fedi”.

Un obiettivo dichiarato del piano strategico è quello di “rafforzare l’identità di San Domenico come independent school” e articolare chiaramente il suo “fondamento spirituale inclusivo”.

San Domenico è stata fondata dalle Suore Domenicane nel 1850 come una scuola indipendente, cattolica — che significa che non è di proprietà o gestita da una parrocchia o un ordine religioso. “San Domenico è una scuola cattolica e una scuola indipendente,” ha detto la preside Cecily Stock, “ma stavamo scoprendo dopo aver fatto qualche ricerca che nell’opinione pubblica più ampia eravamo conosciuti come una scuola cattolica e non come una scuola indipendente. Vogliamo fare in modo che le potenziali famiglie siano consapevoli del fatto che siamo una scuola indipendente”.

Di 660 studenti che frequentano la scuola di K-12, 121 sono residenti e 98 di questi vengono da British Columbia, Beijing, Shanghai, Hong Kong, Messico, Corea, Thailandia e Vietnam. Gli studenti che frequentano San Domenico provengono da una varietà di sfondi religiosi oltre al cristianesimo: ebraismo, buddismo, induismo e islam.

Skewes-Cox ha detto, “Se camminate sul campus e la prima cosa che incontrare sono tre o quattro statue di San Domenico o San Francesco, questo potrebbe essere alienante per chi è di un’ altra religione, e non abbiamo voluto aumentare quella sensazione.”

Stock ha detto che i genitori di alcuni possibili nuovi studenti che hanno visitato il campus hanno espresso preoccupazione per questo.

Nella sua e-mail alla scuola, Fitzpatrick ha scritto che ha cominciato a preoccuparsi quando sono stati aboliti l’insegnamento che portava alla prima confessione e alla prima comunione. Stock ha detto che due anni fa la scuola ha iniziato ad offrire il Catechismo nel dopo scuola e poi l’anno scorso è stato abbandonato”. Stock ha detto, “negli ultimi anni abbiamo avuto un minor numero di studenti cattolici come parte della Comunità e un numero maggiore di studenti di varie tradizioni di fede. Al momento circa l’80 per cento delle nostre famiglie non si identificano come cattoliche”.

Invece di fare lezione agli studenti in teologia cattolica, San Domenico offre agli studenti informazioni in filosofia e religioni del mondo. “Si tratta di responsabilizzare ogni studente e dare loro le informazioni in modo da poter scoprire il proprio scopo, la propria verità,” ha detto Stock. “Crediamo che il modo migliore per capire la propria fede sia imparare riguardo alle fedi altrui.”

Mirza Khan, direttore della scuola di filosofia, etica e religioni del mondo, ha detto, “la filosofia di insegnamento domenicana non è insegnare che c’è solo una verità. È favorire la conversazione intenzionalmente invitare i partecipanti che hanno prospettive diverse in un processo molto aperto di indagine filosofica e spirituale. Che è stata una lunga parte della tradizione domenicana.”

Khan, il cui padre e nonno erano maestri Sufi in India, ha ricevuto un grado di bachelor in religioni comparate al Bard College. Prima di diventare un insegnante presso San Domenico circa 10 anni fa, ha lavorato come assistente di ricerca di un professore all’Università ebraica di Gerusalemme.

È tutto molto bello e istruttivo. Ma perché continuare a chiamarsi “cattolici” se sembra una parola imbarazzante, di cui vergognarsi?










http://www.marcotosatti.com/













Seminaristi tedeschi espulsi se partecipano alla Messa in latino








Notizie dalla "Chiesa della Misericordia"


Nel seminario dell'arcidiocesi di Colonia, Germania, gli studenti sono espulsi se si viene a sapere che hanno partecipato alla Messa tradizionale in latino, ha detto il filologo tedesco Heinz-Lothar Barth al suo pubblico durante uno stage nel monastero cistercense di Rito tradizionale di Vyšší Brod (Hohenfurth), Repubblica Ceca, il 5 luglio.

Il seminario dell'arcidiocesi di colonia si trova a Bonn. Secondo Barth, un crescente numero di studenti di teologia frequentano la messa diocesana in latino a Bonn. Ma hanno paura che si venga a sapere, perché ciò significherebbe "la fine della loro formazione".




https://gloria.tv/article/RYeLmqEJQshb3sHCkfzHE8MMu





domenica 27 agosto 2017

AVVENIRE: L'INFERNO NON E' ETERNO E ALLA FINE ANCHE IL DIAVOLO SARA' ACCOLTO IN PARADISO

Il Diavolo di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova


Il quotidiano della CEI rilancia la vecchia idea dell'Apocatastasi di Origene, già condannata dalla Chiesa nel 5° Concilio Ecumenico del 553 (VIDEO: l'inferno non è vuoto)



di Michelangelo Socci

Ieri, "Avvenire", il giornale dei vescovi italiani, in terza pagina, ha dato una notizia clamorosa, da cui si potrebbe perfino evincere che per 2000 anni siamo stati presi per i fondelli: l'Inferno non c'è.
Anzi, precisiamo, l'Inferno c'è, ma è molto simile al nostro mondo, in particolare all'Italia. Difatti i dannati "costruiscono, organizzano e i loro edifici crollano."

Però non sarà così per sempre. Infatti, dopo questo breve periodo d'infelice apprendistato, ci sarà il via libera. Tutti salvi, Lucifero incluso, come se fossero stati tutti su "Scherzi a parte".
L'autore dell'articolo Roberto Righetto - per questa sorprendente rivelazione - si rifà ad alcuni passi di un libro del filosofo cattolico Jacques Maritain.
Certo, quella dell'intellettuale francese è solo un'ipotesi, ma esplosiva.
"Poiché l'eternità consuma tutti i tempi," scrive Maritain, "bisognerà pure che a un certo momento i luoghi bassi dell'Inferno siano svuotati. Se è così, Lucifero senza dubbio sarà l'ultimo a cambiare. (...) E alla fine anche lui sarà restituito al bene."


UNA ERESIA GIA' CONDANNATA NEL 553

Meraviglioso. Come non rallegrarsi di una simile notizia che ci libera da tutte le preoccupazioni e le angosce sulla nostra salvezza eterna?

Peccato che tale "ipotesi" somigli così tanto a una vecchia idea di Origene di Alessandria, del terzo secolo dopo Cristo, chiamata "Apocatastasi" e già condannata dalla Chiesa nel Quinto Concilio Ecumenico del 553.
L'Apocatastasi sostiene - in aperta contraddizione con i (circa) venti passi del Vangelo sull'Inferno, dove Gesù descrive drammaticamente le pene infernali e la loro eternità - che alla fine dei tempi avverrà una redenzione universale dalla quale neanche Satana verrà escluso.
Insomma, l'Inferno, stando ad "Avvenire", potrebbe essere in fin dei conti quasi una terra delle opportunità, migliore dell'America. Di certo è più facile trovarci lavoro. I dannati, si legge nell'articolo, sono "degli attivi, lavorano tutto il tempo, hanno la religione del lavoro. (...) Senza posa fanno della politica. La loro vita forse non deve essere immaginata tanto differente dalla nostra." Dunque, in fin dei conti, dei gran lavoratori, buoni diavoli.
"Scherzi a parte", la sottovalutazione dell'Inferno è un tema che periodicamente fa capolino nella teologia progressista.
C'è perfino chi - come Eugenio Scalfari - ha attribuito a papa Francesco strane idee in proposito.
Infatti, dopo uno dei loro tanti colloqui, ha riferito quanto segue (senza essere stato smentito): "il Papa ritiene che, se l'anima d'una persona si chiude in se stessa e cessa d'interessarsi agli altri, quell'anima non sprigiona più alcuna forza e muore. Muore prima che muoia il corpo, come anima cessa di esistere. La dottrina tradizionale insegnava che l'anima è immortale. Se muore nel peccato lo sconterà dopo la morte del corpo. Ma per Francesco evidentemente non è così. Non c'è un Inferno e neppure un Purgatorio. Per le anime che non sono scomparse nel nulla c'è la beatitudine d'essere ammesse alla luce del Dio che le ha create."
Contraddizione plateale con gli insegnamenti di sempre della Chiesa che nei secoli non si è mai stancata di mettere in guardia dall'immenso pericolo rappresentato dalla perdizione eterna.


I SANTI HANNO SEMPRE CREDUTO ALL'ESISTENZA DELL'INFERNO

San Francesco d'Assisi scriveva: "chiunque muore in peccato mortale il diavolo rapisce l'anima di lui e tutti i talenti e il potere e la scienza e la sapienza che credevano di possedere sarà loro tolta e andranno all'Inferno dove saranno tormentati eternamente."
Ad alcuni mistici è stato addirittura concesso di assistere in visione ai tremendi tormenti infernali.
Santa Teresa d'Avila, ad esempio, ha così descritto il regno del Diavolo: "l'entrata mi pareva come un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto; il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi. Nella parete di fondo vi era una cavità come di un armadietto incassato nel muro, dove mi sentii rinchiudere in uno spazio assai ristretto. Ma tutto questo era uno spettacolo persino piacevole in confronto a quello che qui ebbi a soffrire."
Santa Faustina Kowalska, in un passo del suo diario del 1936, scrive che l'Inferno "è un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l'Inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi della coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale, acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie."
Oggi purtroppo stiamo assistendo a ciò che Benedetto XVI ha definito come "banalizzazione del male".
L'uomo, che in fin dei conti si sente buono, crede che la Redenzione gli spetti di diritto. E "la presunzione di salvarsi senza merito" è proprio uno di quei "peccati contro lo Spirito Santo" che, dice il Catechismo, non possono essere perdonati.
Due maestri spirituali come don Luigi Giussani e don Divo Barsotti hanno spiegato che l'esistenza dell'Inferno è la prova e la garanzia della libertà dell'uomo, che può anche rifiutare la salvezza. E hanno insegnato che se non si capisce l'Inferno non si capisce la grandezza degli atti umani e la serietà dell'amore di Dio.
Scrive Joseph Ratzinger: "Dio non può semplicemente ignorare tutta la disobbedienza degli uomini, tutto il male della storia, non può trattarlo come cosa irrilevante ed insignificante. (...) L'ingiustizia, il male come realtà non può semplicemente essere ignorato, lasciato stare. Deve essere smaltito, vinto. Solo questa è la vera misericordia". La bontà di Dio "non può mai essere in contraddizione con la verità e la connessa giustizia".



Nota di BastaBugie: nel seguente video padre Serafino Lanzetta spiega con la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione della Chiesa che l'inferno esiste, è eterno e non è vuoto. Durata della conferenza: 1 ora.


https://www.youtube.com/watch?v=uYZkEHurfjU

Titolo originale: Avvenire chiude l'inferno e libera Lucifero
Fonte: La Verità, 18/8/2017
Pubblicato su BastaBugie n. 520








venerdì 25 agosto 2017

L'aborto di tutti i Down come libera scelta? Era la speranza dell'eugenetica





di Benedetta Frigerio (25/08/2017)

Applaudono i giornali italiani che questa settimana hanno dato notizia della possibilità di una nazione come l’Islanda di riuscire a liberarsi dei bambini con la sindrome di Down (trisomia 21), dopo che la Danimarca aveva promesso di debellarla uccidendo tutti i malati entro il 2030. Applaudono sì, ma non troppo forte, che altrimenti sarebbe evidente la loro volontà eugenetica ed efficientista che odia gli imperfetti.

Infatti, come si leggeva nei giorni scorsi sul Corriere della Sera, basta farne una questione di scelta individuale e il gioco è fatto: non esiste coercizione degli Stati, scrivono i benpensanti, dunque il paragone con l’eugenetica nazista non sussisterebbe. Peccato che gli screening prenatali di massa, l’obbligo di informare le donne della loro esistenza e un mondo in cui chi mette al mondo figli disabili è visto come un pazzo egoista, di fatto spingono la gente ad abortire nel caso di sospetta anomalia, incrementando anche l’omicidio di tanti sani (mal diagnosticati come malati). Così, consapevoli o meno, i grandi giornali fanno lo stesso ragionamento di chi capì che dopo il crollo del Terzo Reich l’eugenismo “attivo" non era più praticabile: l’eugenista britannico Carlos P. Blacker parlò di una strategia per ripresentarlo attraverso "una politica di cripto-eugenetica". Nel 1956 Frederick Osborne la spiegò sostenendo che bisognava incidere specialmente sul costume e sulle aspettative sociali del popolo, in modo che "gli individui scelgano da soli la soluzione eugenetica". Osborne la chiamò "selezione volontaria inconsapevole".

E’ evidente che ci siamo: oggi si sceglie (pensando di farlo liberamente) di debellare la malattia assassinando senza conseguenze, se non applauditi, i propri figli malati. Come disse il genetista scopritore della sindrome di Down, Jerome Lejeune, spiegando la follia di chi pensava di sconfiggere la trisomia 21 uccidendo i malati. Follia, anche perché rimarranno sempre persone che decidono di non eliminare i propri bimbi malati e perché la diagnostica non sarà mai completamente perfetta. Dunque, l’unico modo per arrivare davvero ad una percentuale di malati dello zero per cento può essere solo la coercizione ad abortirli e, nel caso di diagnosi errata, ad ucciderli appena nati.

Ma prima di allora basterà, appunto, la strategia della “selezione volontariainconsapevole”, alimentata anche dalla rappresentazione falsa dei bambini Down come degli infelici e dal disegnare scenari allucinanti di vita dei loro genitori. Eppure a chi ne conosceva anche uno solo di bimbo disabile, accolto e amato dalla sua famiglia, tutto ciò pare niente di meno che una menzogna ideologica. La maggioranza di questi bambini non solo vuole vivere, ma spesso sa vivere meglio dei cosiddetti sani (chi lo è davvero?). Che siano attaccati alla vita lo dice il piccolo paziente che si rivolse al medico Jerome Lejeune, il quale scoprì l'origine della sindrome di Down, chiedendogli di difenderlo da quanti volevano eliminarlo, così come una sua piccola paziente, Cecilia, che ai suoi funerali disse: “Mio Dio, per favore veglia sul ‘mio amico’; per la mia famiglia io sono brutta assai, lui mi trova persino carina, perché sa com’è fatto il mio cuore”. Dimostrando, così che egoista non è chi accoglie questi bimbi fragili come un dono da amare, ma chi li vuole eliminare per incapacità di sacrificio, che poi è la definizione vera dell’egoista.

Mentre che i disabili spesso sanno vivere meglio di molte persone in salute lo dicono i loro genitori. Kate Davis-Holmes, mamma di Elijah, il 17 agosto ha scritto: “Mio figlio è straordinario, ha un entusiasmo per la vita che non ho mai visto in nessun altro essere umano. Ha una determinazione che io me la sogno, è felice, sta bene ed è amato…queste sono le caratteristiche che il mondo medico non vede, che i media non vogliono vedere… la gioia che arreca questa piccola persona a me e a tutti quelli che gli stanno intorno supera ogni sfida e negatività… lui è il mio maestro”. Poi, facendo emergere l’ideologia dell’uomo perfetto la donna sottolinea: “C’è un test per individuare un extracromosoma” ma non “per individuare un assassino o un pedofilo”. E, dunque, come la mettiamo con l'uomo perfetto?

Cosa significa vedere il mondo attraverso le lenti di questi bambini lo ha testimoniato anche la mamma di Max all’inizio di giugno, spiegando che ci “insegna cos’è importante. Ama come non ho mai visto amare nessuno. Mi aiuta a rallentare e ad apprezzare i momenti importanti… andare nel college migliore non vale come trovare il compimento della vita e sperimentare l’amicizia e l’amore veri”. Curtney continua: “Mi ritengo graziata per essere stata scelta come sua madre. Sì, ho bisogno di più aiuto di un’altra madre… ma lui è un dono".

Adrian Warnock, medico e scrittore inglese, ha riportato la testimonianza di una madre la cui figlia, Megan, è affetta dalla trisomia 21: “La mia vita è profondamente arricchita da mia figlia… lei ha questo modo unico di tirarmi su di morale, “dai mamma, mi dice, stai su. Andrà tutto bene”. Poi mi fa uno dei suoi sorrisi sfacciati… Megan mi ricorda il valore di rimanere bambini nell’approccio alla vita. Non puerile, ma innocente, per i cristiani la fede dei bambini e una delle migliori. La fede di un bambino non mette in dubbio qualsiasi cosa, come quella cinica degli adulti, la fede di un bambino ha fiducia e crede. Mia figlia vede poi la bellezza intorno a sé, vede il divertente e il buono in ogni circostanza…lei non giudica, ma è veloce nel riprendere qualcuno se è sgarbato o se vede un atto scortese”. Un giorno, ricorda poi la donna, una parrucchiera sbagliò tagliandole un ciuffo di capelli e “Megan cominciò a piangere”. La parrucchiera mortificata abbracciò la ragazzina scusandosi. Megan, immediatamente, “si asciugò le lacrime e disse: “Non preoccuparti, è nel passato, ti ho già perdonato”… meno di un minuto era passato e per lei quello sbaglio non c’era già più… quanto sarebbe più facile la vita se fossimo capaci di vivere così… Spesso penso quanto sarebbe migliore il mondo se tutti potessimo avere questo modo di guardare la vita… io ho imparato così ad essere positiva, grata e buona”. E oggi, “come mia figlia, assaporo ogni momento con cui Dio mi benedice”

Ma perché tendenzialmente i bambini malati, accolti ed amati, sanno vedere quello che il mondo pare non vedere più? Forse che la malattia costringe alla dipendenza e quindi all’abbandono in chi li ama? Forse che spinge gli uomini dal cuore duro ad intenerirlo? Forse che questi bimbi generano intorno a loro carità? Forse che il ritardo li aiuta a guardare, mostrandola al mondo, la realtà senza le lenti del razionalismo moderno troppo complicato per loro? Ma, allora perché tutta questa smania di eliminarli? Forse perché, guardando la realtà come un dono, disturbano l’orgoglio dell’uomo che vuole farsi padrone di un mondo a sua misura.














Fonte: La nuova Bussola Quotidiana 




giovedì 24 agosto 2017

Monsignor Schneider al X Pellegrinaggio toscano (7 ottobre)






Monsignor Athanasius Schneider al X pellegrinaggio del Coordinamento toscano a Montenero (sabato 7 ottobre 2017)
Il Coordinamento toscano per l'applicazione del motuproprio Summorum Pontificum è lieto di annunciare che la Santa Messa Pontificale di chiusura del decimo pellegrinaggio toscano (sabato 7 ottobre 2017) al Santuario della Vergine di Montenero (Livorno), Patrona della Toscana, sarà celebrata da Sua Ecc.za Monsignor Athanaius Schneider, Vescovo ausiliare di Astana, che ringraziamo fin d'ora per aver accolto il nostro invito.


In seguito alla S. Messa secondo i libri liturgici del 1962, il vescovo Schneider terrà una conferenza sul messaggio di Fatima.


Invitiamo finora tutti i fedeli a segnarsi la data e a diffondere la notizia dell'evento. A breve saranno diramate ulteriori informazioni e diffusa la locandina con il programma definitivo del pellegrinaggio.




martedì 22 agosto 2017

Osservatore o pastore?





di Giovanni Scalese (21/08/2017)

Nel mio post successivo all’elezione del Card. Jorge Mario Bergoglio al supremo pontificato (17 marzo 2013) riferivo un paio di frasi — amplificate dai media — che sarebbero state da lui pronunciate poco dopo l’elezione. La prima sarebbe stata la risposta data, la sera stessa del 13 marzo, a Mons. Guido Marini che gli stava porgendo la mozzetta: «Questa se la metta lei! È finito il tempo delle carnevalate!». La seconda sarebbe stata pronunciata l’indomani, durante la visita alla basilica di Santa Maria Maggiore; visto l’Arciprete, il Card. Bernard Law, Papa Francesco avrebbe detto: «Allontanatelo dalla basilica!». Lí per lí, fui portato a non dare credito a certi “spifferi” e, in ogni caso, a non dar loro eccessiva importanza.


Qualche mese dopo, un’altra soffiata ci fece conoscere il reale motivo per cui Papa Bergoglio aveva disertato il concerto organizzato dal Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione in occasione dell’Anno della fede (22 giugno 2013): «Non sono un principe rinascimentale», avrebbe detto ai suoi piú stretti collaboratori. Anche se la cosa in questo caso sembrava piú credibile, rimaneva pur sempre, almeno per chi non era direttamente coinvolto, nulla piú che un episodio divertente, da archiviare quanto prima.


Poi, col passare degli anni, gli episodi di questo genere si sono moltiplicati e hanno cominciato a insospettirmi. Non era mai accaduto che, nei pontificati precedenti, si venisse a sapere quel che il Pontefice pro-tempore aveva detto nella tale o nella talaltra occasione. Non che non trapelassero segreti (basti pensare all’imbarazzante scandalo Vatileaks), ma per lo meno quel che diceva il Papa entro le mura domestiche non era dato sapere. Per cui a poco a poco si è fatto strada in me il sospetto che non si trattasse di occasionali fughe di notizie, ma di una strategia mediatica pianificata, per far sapere in giro che cosa realmente pensasse il Papa, sollevandolo nel contempo da ogni responsabilità, dal momento che si trattava, in fin dei conti, solo di voci che potevano essere facilmente smentite, se necessario. La cosa, devo essere sincero, mi dava non poca noia, dal momento che mi sembra che questo sia il modo migliore per distruggere il papato. Onestamente, di quel che pensa il Papa come persona, non ce ne cale. Egli può tranquillamente fare con i suoi intimi tutti i commenti e le battute che vuole. E deve essere libero di farli, senza correre il rischio di ritrovarli l’indomani spiattellati sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo. Come tutti, del resto. E nessuno di noi si scandalizza al pensiero che il Papa possa avere le sue idee personali. Ripeto, non ce ne può importar di meno. Non moriamo dalla curiosità di sapere qual è stata l’ultima battuta del Papa. L’unica cosa che ci attendiamo dal Romano Pontefice è che ci confermi nella fede, perché questo è il compito che Cristo gli ha affidato; non altro. E per svolgere questo compito sono sufficienti pochi interventi — se non sempre solenni, per lo meno rivestiti di una certa ufficialità — fatti con le parole giuste al momento giusto. Il resto son chiacchiere; ma chiacchiere che alla lunga possono spogliare il papato di qualsiasi autorevolezza.


È dei giorni scorsi (2 agosto 2017) la notizia che Papa Francesco avrebbe detto al Vescovo di Rouyn-Noranda (Québec), Mons. Dorylas Moreau (foto), preoccupato della carenza di vocazioni: «Il futuro della Chiesa è piú intorno alla parola di Dio che attorno all’Eucaristia». In questo caso, la situazione è diversa rispetto agli esempi precedentemente riportati. Innanzi tutto, non si tratta di un leak anonimo; qui sappiamo nome e cognome di chi ha riferito le parole del Papa; e perciò non abbiamo alcun motivo per dubitare della loro sostanziale autenticità. Inoltre — ed è la cosa piú importante — si tratta di un’affermazione che tocca un aspetto dottrinale di non poco conto. Si potrebbe facilmente scusare il Pontefice dicendo che, in tale occasione, piú che come Papa, egli parlava in veste di “osservatore”, stava facendo una semplice costatazione avalutativa: non che egli sia fautore di un deprezzamento dell’Eucaristia a favore della parola di Dio; si tratterebbe solo di prendere atto di una realtà, per quanto spiacevole, ma pur sempre una realtà. A poco a poco, vista la penuria di sacerdoti, sarà inevitabile che le comunità cristiane si ritrovino per riflettere sulla parola di Dio, senza la presenza di un sacerdote e quindi senza la celebrazione della Messa (ciò sta già avvenendo, purtroppo, in molte parti del mondo). Sarà anche vero, ma ciò non toglie che una simile rivelazione non giovi a nulla e a nessuno. A parte il fatto che, anche come semplice osservazione, essa è alquanto discutibile, il problema è che le analisi della situazione è meglio lasciarle agli analisti; dal Sommo Pontefice ci si aspetterebbe altro. Da lui ci attendiamo, nella fattispecie, che ci indichi le strade per valorizzare, come si conviene, e la parola di Dio e l’Eucaristia, e, in relazione a ciò, che ci dica come fare per superare l’attuale crisi vocazionale. Se il pastore non indica al gregge una meta da raggiungere, che pastore è?
Q

Pubblicato da Querculanus 







lunedì 21 agosto 2017

Perché i giovani e i bambini amano la Tradizione e i vecchi no? Ve lo diciamo noi





20 AGOSTO 2017


Un amico ci ha riferito questo episodio. Nulla di originale, anzi quante ne volete di episodi del genere. Ma è un episodio significativo. Andando a fare una visita ad un noto santuario mariano della sua città, si è trovato al momento dell’uscita di una Messa. Ha visto tre sacerdoti avviarsi all’altare (si trattava di una concelebrazione). I tre, sommati a ritroso i loro anni, sarebbero arrivati all’epoca precedente la Rivoluzione francese.

Due sacerdoti molto anziani, che si trascinavano a fatica, si sono posti ai lati dell’altare (evidentemente non avevano più la possibilità di celebrare da soli) quello più giovane (si fa per dire, comunque ottantenne) si è invece posto al centro per farsi carico della celebrazione. L’amico ci ha riferito che vedendo questa scena gli è uscito spontaneo fare tra sé questa considerazione: Ecco la primavera della Chiesa!

Lo disse già Paolo VI: il Concilio doveva rappresentare la primavera, e invece è arrivato un freddissimo inverno. Roba da ghiacciare tutto: entusiasmo, vocazioni, devozioni…e chi più ne ha più ne metta.

Il bello è che quando ci si iniziò ad accorgere che le cose non stavano andando come dovevano, coloro che storcevano il naso venivano immediatamente zittiti con l’espressione: è inutile essere nostalgici, prima c’era la quantità ma non la qualità… Roba da “ultime parole famose”: adesso non c’è né la quantità né la qualità. Basterebbe pensare agli scandali che colpiscono spesso gli ambienti sacerdotali.

Eppure, malgrado questo quadro, i giovani danno speranza. In Francia -per esempio- a soffrire di meno della crisi vocazionali sono le congregazioni che hanno scelto la Liturgia tradizionale.

Insomma, giovani iniziano ad affezionarsi alla Tradizione. Attenzione! Noi del C3S non amiamo la definizione “tradizionalisti”, perché ambigua e lo abbiamo già spiegato con questo articolo (clicca qui), amiamo solo la definizione di “cattolici”. Piuttosto possiamo definirci “Cattolici della Tradizione”, perché il cattolico in quanto tale non può non essere della Tradizione.

La Tradizione sapete cos’è? E’ la Verità… punto! E la Verità non muta.

La Verità, proprio per ché non muta, rimane sempre giovane.

Sono le mode ad invecchiare. Le mode, infatti, nel momento in cui compaiono, già sono vecchie perché suppongono che il tempo sia l’unico criterio; e se è il tempo l’unico criterio, è evidente che dopo un po’ tutto passa e tutto non è più alla moda.

La Tradizione no. La Tradizione è nell’Eterno. E l’Eterno è sempre giovane. Anzi: bambino!

Come dice il grande Chesterton: Dio è bambino perché non si annoia mai di ciò che si ripete. Il vecchio si annoia. Il bambino no. E ogni volta che il sole sorge e tramonta, Dio si stupisce di ciò che si ripresenta al suo “sguardo”…e si rinnova.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza



Il Cammino dei Tre Sentieri








http://itresentieri.it/perche-i-giovani-e-i-bambini-amano-la-tradizione-e-i-vecchi-no-ve-lo-diciamo-noi/






martedì 15 agosto 2017

Don Elia. Con l’autorità della Signora



don Elia (12 agosto 2017)



… et in Ierusalem potestas mea (Sir 24, 15).

La tradizione liturgica d’Oriente e d’Occidente utilizza nelle feste mariane i passi dell’Antico Testamento in cui parla la Sapienza di Dio personificata. La lettura cristiana di quei testi ispirati li riferisce in prima istanza al Verbo, la Persona divina in cui sussiste la Sapienza creatrice del Padre. Anche l’interpretazione mariana, tuttavia, deve essere molto antica, dato che è comune ai due grandi “polmoni” della Chiesa; potrebbe risalire persino all’epoca apostolica o subapostolica. Non c’è per questo contraddizione, dato che la Sacra Scrittura può essere compresa a partire da varie prospettive; tra Madre e Figlio, oltretutto, c’è una tale unione e affinità che quanto appartiene all’uno per natura è proprio anche dell’altra per partecipazione. Nonostante l’ultima riforma della liturgia romana abbia completamente espunto quei testi sapienziali dalle feste della Madonna, dunque, è più che lecito – se non doveroso – cercare di conservare e comprendere una primitiva intuizione che potrebbe provenire dal più intimo di Gesù e Maria, l’apostolo che, rappresentando tutti noi, La ricevette come madre sul Calvario.


La difficoltà maggiore che sembra opporsi all’applicazione mariana è l’idea che la Vergine abbia in qualche modo cooperato alla Creazione, secondo quel che la Sapienza dice in prima persona nel capitolo ottavo del libro dei Proverbi. Certamente non si intende affermare la preesistenza della Sua anima, in accordo con un errore origeniano condannato dal II Concilio di Costantinopoli nel 553. Tuttavia l’acume contemplativo di san Giovanni, grazie alla profonda familiarità con la Madonna, potrebbe aver ricevuto una luce particolare dello Spirito Santo circa il mistero della Sua persona. Senza alcun dubbio, Ella ha cominciato ad esistere al momento della Sua concezione immacolata, ma da tutta l’eternità era ben presente nel progetto di Dio, il quale L’aveva eletta e predestinata a un compito del tutto speciale nel piano di salvezza. Su questo tutti concordano; ma come concepire un Suo eventuale ruolo nell’opera creatrice? Jean-Jacques Olier, uno dei massimi autori della Scuola francese di spiritualità, in una vetta della mistica giunge a immaginarla come una gran signora che predispone la dimora dello sposo.


Quanto affermato dalla Sapienza personificata – ribadisco – si applica anzitutto e propriamente al Lógos creatore; eppure non si può credere che Colui che ha così strettamente associato la Madre alla Redenzione non L’abbia in qualche modo coinvolta nel realizzarne la premessa. Mi piace pensare che, nell’Eccomi dell’Annunciazione, Ella abbia non solo acconsentito all’Incarnazione e a tutto ciò che ne sarebbe scaturito, ma anche espresso la propria accoglienza, a nome di tutto l’essere creato, dell’iniziativa creatrice che il Padre aveva realizzato per mezzo del Figlio. Nella Sua prescienza Dio sapeva che, un giorno, una creatura eletta vi avrebbe corrisposto nel modo più puro e perfetto possibile, come neppure i Progenitori erano in grado di fare, ancor prima del peccato originale. Nell’eterno presente del mondo divino, quell’adesione attiva all’opera di creazione, seppure storicamente successiva, dev’essere valsa come quella collaborazione sponsale che la Chiesa, nella sua liturgia, ha visto profetizzata nei libri sapienziali.


Nel libro del Siracide la Sapienza, che si incarna nella Legge, percorre il cielo e la terra in cerca di un luogo in cui fissarsi e trovare riposo, stabilendosi infine in Gerusalemme, centro del suo potere e della sua irradiazione (cf. Sir 24). Anche in questo caso la tradizione cristiana, soprattutto nel Medioevo, dopo aver colto il pieno adempimento di questo testo sacro nel Verbo incarnato, lo applica poi anche a Colei che L’ha messo al mondo. Nel nuovo Israele la Figlia di Sion occupa un posto di assoluto rilievo e detiene un’autorità specifica, seppure a livello spirituale, piuttosto che giurisdizionale. Con una trasposizione analogica di quanto Pio XI, nell’enciclica Casti connubii, insegna a proposito della famiglia, si può affermare che anche nella Chiesa, famiglia di Dio, c’è un primato di governo (quello esercitato dal padre) e un primato d’amore (quello esercitato dalla madre). Al Capo del collegio apostolico, san Pietro, compete il primo, ma il secondo spetta alla Madre di Gesù. Già il Nuovo Testamento la vede nel cuore della Chiesa nascente (cf. At 1, 14), mentre antichissime tradizioni gerosolimitane, poi riprese da Leone XIII nell’enciclica Adiutricem populi, raccontano come gli Apostoli facessero continuo riferimento a Lei, andando e venendo dalle loro missioni, per riceverne consiglio, incoraggiamento, sostegno, forza e consolazione.


È allora del tutto naturale che i Papi, soprattutto negli ultimi due burrascosi secoli, Le abbiano riservato speciale devozione e filiale obbedienza. Meraviglia però che, fra tanti atti di consacrazione del mondo, delle diocesi, delle parrocchie e di singoli fedeli, sia finora mancata una consacrazione della Santa Sede. Dal punto di vista del ruolo, ovviamente, un atto del genere potrebbe essere compiuto unicamente dal Sommo Pontefice; tuttavia chi riconosce l’autorità spirituale della Madre della Chiesa può presumere, con l’audacia del figlio, di effettuarlo ricorrendo ad essa. Consacrare la Sede petrina al Cuore immacolato di Maria, in questo centenario di Fatima, significa dichiarare pubblicamente che anch’essa, sul piano spirituale, Le appartiene e Le è sottomessa, come pure la Chiesa intera. Se questo è vero – come è vero – si reclama in pari tempo, nel modo più intenso possibile, il Suo intervento materno: Ella non può lasciare che la barca di Pietro sia travolta dalla tempesta ed è l’unica che possa ancora ottenere dal Figlio, perché la situazione si capovolga in meglio, un atto di clemenza che le gravissime infedeltà di tanti cristiani non meritano più.


Ai teologi e ai dotti un’idea simile sembrerà pazzesca; noi preferiamo ritrovarci fra quei piccoli che il Signore custodisce e la Regina porta in grembo, istruendoli e nutrendoli. Dato che la Madonna non può consacrare qualcosa a Se stessa, lo può fare per mezzo dei Suoi figli, così come Dio, non potendosi glorificare da Sé, riceve gloria da chi Lo serve con fede e amore. Se Ella vorrà condurci sulla tomba di colui che fu scelto come roccia della Chiesa e ci concederà di consacrarle la sua Sede, ci lasceremo usare come Suoi strumenti. Tutto è possibile a chi crede e si abbandona nelle mani di Maria, purché si sforzi di esserle obbediente in tutto, come per trent’anni fece il Figlio di Dio. Con la Sua grazia, che dalle mani della Mediatrice si riversa senza sosta su di lui, chi Le è consacrato e si impegna ad attuare concretamente la propria consacrazione in una vita santa può cooperare in modo sorprendente al bene del Corpo mistico, nuova Creazione. Probabilmente non vedremo effetti immediati, ma anche noi, a Dio piacendo, potremmomettere in moto un processo. Nelle dinamiche soprannaturali gli sviluppi positivi cominciamo in modo nascosto, apparentemente insignificante, ma basta un granello di senape.



Pubblicato da Elia 







«Senza Maria non si può salire in Cielo»





di Gloria Riva (15/08/2017)

Immagine: Konrad von Soest, Marie Altair, pannello della morte di Maria, olio su tavola, 1420, Marienkirche a Dortmund

Ha subito una vera e propria persecuzione l’Altare Mariano di Konrad von Soest, della Marienkirche a Dortmund, in Germania, al punto da non permetterci più, quasi, di determinare l’esatta posizione delle opere e forse anche il loro numero.

Nel 1720 un rifacimento dell’altare maggiore della chiesa di Dortmund ha compromesso alcune parti dei pannelli dell’altare originale. Nel 1944 un attentato dinamitardo distrusse parte dei pannelli. Oltre a pesanti ridipinture, nel 1926 i pannelli esterni furono segati nel corso di un restauro. E via di questo passo.

L’avverso destino che ha colpito questo polittico mariano sembra disegnare il diagramma del declino dell’amore a Maria (non solo in Germania ma anche) in Europa dal 1400 ad oggi.

Una festa mariana fra le più belle, una festa fondamentale per la nostra fede è proprio l’assunzione della Beata Vergine, nota nel mondo orientale anche come dormitio della Vergine. Una festività che, come l’altare di Dortmund, non manca d’esser perseguitata, tanto da essere ormai conosciuta con il nome di Ferragosto, antico termine pagano di Feriae Augusti, che consegnava il popolo a gite fuori porta, lauti pranzi al sacco e bagni ristoratori nei mari, nei fiumi e nei laghi. Le nostre ferie, insomma! L’Assunzione, al contrario, obbliga a uno sguardo più certo verso le cose di lassù.

Con ciò non si vuole certo stigmatizzare il meritato riposo che le ferie ci regalano, ma la concomitanza di questa festa con le vacanze estive invita certamente a vivere anche il riposo in modo da non dimenticare le cose ultime, per le quali sempre dovremmo vivere.

Nel pannello della Dormitio Mariae dell’Altare di Soest la compromissione subita è facilmente riconoscibile; ciò che resta, tuttavia, è sufficiente per farci gustare la profonda meditazione pittorica che l’artista renano ci ha regalato.

In un cielo dorato, che pare voler custodire gelosamente, il Cielo che attende la Vergine, angeli in volo, appena abbozzati e quasi in filigrana ci obbligano a guardare la scena sottostante. Qui Maria, adagiata sul suo giaciglio, sta per lasciare questo mondo. Non può neppure appoggiare il capo sul guanciale perché sei angeli turchini la tengono sollevata. Sembra che il Cielo stesso sia sceso per dare l’estremo saluto alla Benedetta fra tutte le donne. Nell’esalare l’ultimo respiro Maria passa la candela della fede a Giovanni. La mano della Madonna è già livida, ma il suo volto è ancora roseo e tradisce una pace celestiale. Giovanni, da par suo, mentre riceve la candela porge alla Madre la palma del martirio. Il duplice gesto non è certo casuale. La Madonna ha tenuto alta fino alla fine la fiaccola della fede e ora, benché muoia di morte naturale, riceve dal Signore la palma della suprema testimonianza avendo vissuto intimamente la passione del Figlio e quella della Chiesa a lei affidata (che Giovanni rappresenta).

Proprio dietro al letto della Madonna ecco un San Tommaso addolorato che sta preparando l’incenso per rendere omaggio alla salma. Il gesto conferma, in certo modo, l’incredulità proverbiale del discepolo, il quale, ignaro della grazia dell’assunzione, appronta diligentemente le esequie.

Un probabile san Pietro (senza aureola, in memoria, forse, del suo antico tradimento al Signore) sta invece scrutando le Scritture per comprendere come sia possibile che un corpo incorrotto (quello della Madonna), un corpo che ha generato il Verbo di Dio e che ha seguito fedelmente il Salvatore, possa essere consegnato alla morte. Il capo di Pietro è coperto, similmente a quello di Mosè, quando volendo vedere la Gloria di Dio, fu costretto a velarsi il capo (Esodo 33). Le Scritture antiche non avevano sufficienti elementi per rispondere al quesito. Ma, a ben guardare, libri accuratamente rilegati e un rotolo scritto a caratteri neri ed evidenti, quasi a stampa, giacciono indisturbati sul comodino della Vergine, Quello che invece regge l’Apostolo sembra un rotolo manoscritto, forse una lettera di Paolo. È san Paolo, infatti in almeno due lettere (la Prima ai Corinzi e la lettera ai Romani), ad offrire i fondamenti teologici della risurrezione di Cristo e quindi della nostra risurrezione, quale adempimento pieno delle promesse fatte a Israele.

Nella lettera ai Romani (6,22) san Paolo scrive: Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. Se è lecito affermare ciò di ogni uomo, che mai si potrà dire della Vergine Maria? No, Pietro non resterà deluso. Benché lento, il cammino di riflessione della Chiesa attorno all’Assunzione della Madonna, giungerà a compimento. Convenendo con ciò che già nel IV secolo sosteneva Timoteo di Gerusalemme e cioè che la Vergine sarebbe rimasta immortale, poiché Colui che abitò in Lei, l’avrebbe trasferita nei luoghi della sua ascensione.

L’apostolo pensoso, intento alla lettura, suggerisce inoltre le due scuole di pensiero che si contesero il dogma per secoli: una, volendo sottolineare l’umanità della Vergine, la volle morente e deposta, come Cristo, in un sepolcro; trovato vuoto dagli apostoli solo successivamente. Un’altra invece, volendo sottolineare la nuova economia che Cristo ha inaugurato con la sua Risurrezione, della quale Maria è la primizia, la volle semplicemente dormiente nel suo ultimo giaciglio e da lì rapita direttamente in Cielo.

Per alcuni aspetti il dibattito resta aperto, risolto soltanto da alcune rivelazioni private (come ad esempio la vita di Maria narrata alla Valtorta), tuttavia certo è che l’assunzione della Vergine richiama tutti noi alla verità dei novissimi. Il giudizio avviene per l’anima nell’atto stesso del morire e come saremo trovati, così saremo collocati. Per questo la coperta nella quale è avvolta la Madonna è dello stesso blu che circonda il clipeo che si intravvede nel cielo dorato. Qui Cristo, tenendo probabilmente nella mano sinistra l’animula di Maria, approva benedicente.

Siamo tutti destinati alla gloria; Maria è, come afferma la liturgia, quel segno di sicura speranza che rende più certa l’eternità. In questo nostro secolo, dove la sacralità della vita e della morte è messa a dura prova dall’indifferenza verso il Mistero dei novissimi, è ancora più urgente affermare quanto con grande fede cantava un’antica Lauda mariana attribuita a Adam de Antiquis: Senza te, sacra Regina non si può in Ciel salire.















fonte: La nuova Bussola Quotidiana 








lunedì 14 agosto 2017

PISTOIA: AVVISO di SOSPENSIONE della MESSA



 


chiesa di San Vitale - via della Madonna 2, Pistoia


Nella chiesa di San Vitale, in via della Madonna, a Pistoia,

la celebrazione della Santa Messa 
nella forma straordinaria del Rito Romano

 è sospesa
 sabato 19 e 26 agosto

 e riprenderà sabato 2 settembre 
all'orario consueto:
ore 21:20 
preceduta dal Santo Rosario alle 20:45.







Dialogo? No, grazie. Meglio la disputa





scritto da Aldo Maria Valli

Oggi «abbiamo a che fare con un’inflazione del dialogo. Si vuole “aprire un dialogo” con ognuno e possibilmente con tutti… Non è tanto importante l’argomento che trattiamo; è più importante la relazione che intessiamo nel dialogo. Il percorso è la meta».

Questa critica del dialogo ecumenico fine a se stesso, coltivato come un bene in sé, al di là della questione su cui si dialoga, non arriva da qualche rappresentante del conservatorismo cattolico. Anzi, l’autore non è nemmeno cattolico. Si tratta infatti di Jürgen Moltmann (Amburgo, 1926), il teologo evangelico già docente a Tubinga e autore del celebre «Theologie der Hoffnung», «Teologia della speranza», del 1964.

La riflessione sul dialogo è contenuta nel suo articolo «La Riforma incompiuta. Problemi irrisolti, risposte ecumeniche», pubblicato in «Concilium» (n. 2, 2017, pag. 142), ed è resa ancora più interessante dal fatto che Moltmann introduce una distinzione tra «dialogo» e «disputa». Scrive infatti: «Il dialogo dei nostri giorni non è funzionale alla verità», bensì alla «comunione», ed è così che subisce una sorta di edulcorazione. Il tentativo di evitare gli spigoli porta all’appiattimento, e la teologia ne risente.

«In passato – scrive il novantunenne Moltmann dall’alto della sua lunga esperienza – la gente si lamentava della voglia di litigare che avevano i teologi (“rabies theologicorum”); oggi la teologia è diventata una faccenda talmente innocua che difficilmente trova ancora pubblica considerazione».

Alla ricerca della comunione, le asperità sono limate fin quasi a scomparire. E ciò che resta è spesso una tolleranza priva di contenuti che sacrifica la passione per la verità.

Moltmann è esplicito nel suo elogio della disputa: «Dobbiamo imparare nuovamente a dire di no. Una controversia può portare alla luce più verità di un dialogo tollerante. Abbiamo bisogno di una cultura teologica della disputa, condotta con risolutezza e rispetto, per amore della verità. Senza professione di fede la teologia è priva di valore e il dialogo teologico degenera in puro scambio di opinioni».

Più chiaro di così l’anziano teologo evangelico non potrebbe essere, ed è significativo che la sua rivalutazione della disputa, contro l’inflazione del dialogo, arrivi proprio nell’anno in cui, tra molteplici inni al dialogo e ben poca attenzione per la questione della verità, si celebra il mezzo millennio dalla Riforma. «Comunione e verità non procedono più di pari passo?», si chiede Moltmann.

«C’è anche l’evidenza – commenta Silvio Brachetta su «Vita nuova», il settimanale cattolico di Trieste – della scomparsa della via di mezzo: le discussioni odierne possono essere dialoghi o polemiche. Quasi mai c’è un dibattito costruttivo, per la dimostrazione di un qualcosa. Si assiste ad incontri rilassati, a basso contenuto scientifico; e si oscilla tra qualche considerazione in serenità o all’impeto eristico di chi cerca di avere ragione con foga. In genere si preferisce il monologo, perché ha il pregio di non dover essere dimostrato a tutti i costi: l’interlocutore non deve fare la fatica di controbattere, ma oppone semplicemente un altro suo monologo».

Osservazioni condivisibili, alle quali però il professor Stefano Fontana, sempre su «Vita nuova», aggiunge un’ulteriore riflessione: «Silvio Brachetta ha ragione a dire che il dialogo senza verità è morto e a lodare il teologo protestante Jürgen Moltmann per averlo detto. Però non va dimenticato che l’assolutizzazione del dialogo deriva proprio dalla penetrazione nella Chiesa cattolica della mente protestante».

«La questione dell’abuso cattolico del dialogo – scrive Fontana – è antica. Già le opere preconciliari di Karl Rahner ponevano le basi per un dialogo senza contenuti. Il conciliarismo successivo al Vaticano II ha applicato e sviluppato il concetto, utilizzando maldestramente l’enciclica “Ecclesiam Suam” di Paolo VI». È vero: «Oggi si dialoga senza sapere più per quali contenuti dialogare», ma, proprio in omaggio alla verità, non bisognerebbe dimenticare che «questo vizio è dovuto alla penetrazione del protestantesimo nella mente cattolica».

È d’altra parte significativo che il fastidio per il dialogo fine a se stesso sia manifestato da un protestante come Moltmann. «Vuoi vedere – si chiede Fontana – che i protestanti si ravvedono prima dei cattolici?».

E qui il professore fa un approfondimento necessario: «La teologia cattolica ha sempre insegnato che la fede è composta di due aspetti: la “fides qua”, ossia l’atto personale di fede, e la “fides quae”, ossia i contenuti rivelati che si credono per l’autorità di Dio rivelante. Lutero separa i due aspetti, anzi elimina il secondo, sicché la fede è solo un rapporto soggettivo di coscienza del fedele con Dio. È una fede “fiduciale”, un fidarsi cieco, un mettersi nelle mani di Uno senza motivi di contenuto. La fede protestante è infatti una fede senza dogmi e la Chiesa è solo spirituale, fatta cioè da tutti coloro che si affidano, in questo modo “fiduciale”, a Cristo. Per questo motivo l’unità non è data dalla comune confessione degli stessi contenuti di fede, come la Chiesa cattolica ha sempre insegnato a cominciare, appunto, dai Confessori della Fede, ma è data dal con-venire delle singole soggettività in un unico atto di fiducia. Il con-venire soggettivo sostituisce i motivi rivelati del convenire stesso».

«L’accento si sposta sull’atto e non più sui contenuti dell’atto. Ecco perché oggi, anche nella Chiesa cattolica, la pastorale “come azione ecclesiale” viene prima della dottrina, ne è indipendente e, addirittura, riformula la dottrina. Si tratta di una concezione di origine protestante. Ecco perché ad ogni convegno ecclesiale si insiste sulla bellezza del con-venire, anche se in queste convention poi si sentono mille eresie dal punto di vista dogmatico. Ecco perché si parla di una Chiesa “plurale” o “aperta”, secondo l’indicazione di Karl Rahner – che era cattolico nella forma ma protestante nei contenuti – della quale possono fare parte tutti, compresi eretici ed atei. La “fides quae” viene persa di vista o, comunque, considerata di importanza derivata. L’eresia viene derubricata a diversità di opinione».

L’argomentazione di Fontana è cristallina e non avrebbe bisogno di ulteriori spiegazioni, ma è l’autore stesso ad attualizzare il tutto con un riferimento a una vicenda che ha causato tanto dolore: «Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla tragedia del piccolo Charlie Gard. Gli uomini di Chiesa sono arrivati in ritardo, hanno balbettato cose diverse, il quotidiano “Avvenire” ha deviato l’attenzione dai temi veri e ha detto l’opposto di quanto aveva detto nel 2009 per Eluana Englaro. Non siamo più in grado di confessare insieme nemmeno i principi elementari della legge morale naturale e nemmeno i dieci comandamenti. Su molte cose lasciamo che sia la coscienza a discernere. Alla Chiesa del con-venire manca sempre di più su cosa e Chi convenire, se sul Cristo della fede o sul Logos che rivela la verità perché è la Verità».

Stefano Fontana nel suo articolo accenna all’«Ecclesiam Suam» di Paolo VI (1964), che può essere effettivamente considerata l’origine della «svolta dialogica» in teologia. Tuttavia papa Montini nel documento non dice che il dialogo ha valore in sé, ma che occorre dialogare per convertire, e sebbene Romano Amerio, in «Iota Unum», parli di equazione incoerente e impossibile «tra il dovere che incombe alla Chiesa di evangelizzare il mondo e il suo dovere di dialogare col mondo», bisogna ricordare che Paolo VI esalta il «dialogo della sincerità» e, a proposito di ecumenismo, precisa: «Noi siamo disposti a studiare come assecondare i legittimi desideri dei Fratelli cristiani, tuttora da noi separati» perché «nulla tanto ci può essere più ambito che di abbracciarli in una perfetta unione di fede e di carità», però «dobbiamo pur dire che non è in nostro potere transigere sull’integrità della fede e sulle esigenze della carità».

Paolo VI non esita nemmeno a mettere in guardia dal relativismo, eppure la sua enciclica è stata abbondantemente utilizzata in senso relativistico.

Eliminati tutti i punti in cui Montini stigmatizza il «compromesso ambiguo» così come l’irenismo e il sincretismo («Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede… Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo»), l’«Ecclesiam Suam» è stata ridotta a manifesto di una superficiale e indistinta amicizia tra la Chiesa e il mondo, e, come giustamente ricorda Brachetta, bisognerà aspettare Joseph Ratzinger, con la «Dominus Iesus» (anno 2000) per una denuncia di quella «ideologia del dialogo» che, penetrata anche nella Chiesa cattolica, «si sostituisce alla missione e all’urgenza dell’appello alla conversione».

Insomma, a dispetto delle preoccupazioni di Paolo VI, il relativismo è entrato nella Chiesa ed ha usato l’idea di dialogo in modo strumentale. Ecco perché chi ha a cuore la questione della Verità dovrebbe far sua la proposta di Moltmann e rivalutare la disputa, lo scambio vivace di opinioni, la controversia che mette sul tavolo ragioni diverse.

Solo che, per disputare, occorre saper ragionare, e proprio questo, oggi, è il problema. Perché la nostra è sì crisi di fede, ma forse, prima ancora, è crisi della ragione.

Aldo Maria Valli

















domenica 13 agosto 2017

Concilio e storia




di Giovanni Scalese (11/08/2017)

La settimana scorsa il Prof. Roberto de Mattei ha pubblicato sull’agenzia d’informazione Corrispondenza Romana, un breve articolo dal titolo “Il Concilio Vaticano II e il messaggio di Fatima”, nel quale, prendendo spunto da un recente intervento di Mons. Athanasius Schneider, ribadisce la propria posizione sul Concilio Vaticano II, per poi soffermarsi su un punto specifico: la mancata consacrazione della Russia al Cuore immacolato di Maria, richiesta dalla Vergine a Fatima e sollecitata, durante il Concilio, da un gruppo di oltre cinquecento Presuli, la cui petizione fu totalmente ignorata da Paolo VI e dalla maggioranza dei Padri.


Non intendo attardarmi su quest’ultimo aspetto, a proposito del quale mi trovo pienamente d’accordo col prof. De Mattei. Il Concilio Vaticano II sembrerebbe davvero una sequela di occasioni mancate: dalla mancata condanna del comunismo alla mancata consacrazione della Russia. Va detto però che la storia non si fa con i “se”; non ci si aspetterebbe di leggere da uno storico una frase del genere: «Se la consacrazione richiesta fosse stata fatta, una pioggia di grazie sarebbe caduta sull’umanità». Sarà anche vero, ma la consacrazione… non è stata fatta. E questo è l’unico dato storico che conta.


Vorrei invece soffermarmi sulla prima parte dell’articolo, quella in cui si riprende la spinosa questione del giudizio da dare sul Concilio Vaticano II. La posizione del prof. De Mattei in proposito è nota: il suo giudizio — che è il giudizio di uno storico — è «impietoso e senza appello». Esso può essere riassunto nella frase:
Il Concilio Vaticano II non fu solo un Concilio mancato o fallito [è evidente il riferimento alla posizione di Mons. Brunero Gherardini, N.d.R.], fu una catastrofe per la Chiesa.
La novità di quest’ultimo intervento del Professore mi pare che vada ricercata nel fatto che mentre in precedenza (questa è per lo meno la mia impressione, ma potrei sbagliarmi) escludeva la possibilità di una qualsiasi altra valutazione accanto a quella storica, ora sembrerebbe ammetterla. Nell’articolo si distingue chiaramente fra due piani, quello teologico e quello storico. La differenza fra i due livelli starebbe nel fatto che, mentre sul piano teologico il giudizio può essere articolato («Ogni testo, per il teologo, ha una diversa qualità e un diverso grado di autorità e di cogenza»), sul piano storico invece
il Vaticano II costituisce un blocco non scomponibile: ha una sua unità, una sua essenza, una sua natura. Considerato nelle sue radici, nel suo svolgimento e nelle sue conseguenze, esso può essere definito una Rivoluzione, nella mentalità e nel linguaggio, che ha profondamente modificato la vita della Chiesa, avviando una crisi religiosa e morale senza precedenti.
Di qui il giudizio negativo inappellabile su riportato.


Anzi, il Prof. De Mattei nel suo intervento non si limita ad ammettere un diverso approccio al Vaticano II, ma sembrerebbe addirittura incoraggiarlo:
Sul piano teologico, tutte le distinzioni possono e debbono essere fatte per interpretare i testi del Vaticano II, che è stato un Concilio legittimo: il ventunesimo della chiesa cattolica. I suoi documenti potranno di volta in volta essere definiti pastorali o dogmatici, provvisori o definitivi, conformi o difformi alla Tradizione … Il dibattito è dunque aperto.

Se ben ricordo, fino a qualche tempo fa non era questa la posizione del Prof. De Mattei. Facendo propria (sebbene dalla sponda opposta) la nota tesi — squisitamente ideologica — della Scuola di Bologna, egli sembrava svalutare completamente i documenti del Concilio, per dare importanza esclusivamente all’evento conciliare. Non è poco riconoscere la legittimità del dibattito teologico sui testi conciliari e ammettere che da un suo fruttuoso svolgimento potrebbe dipendere la soluzione alla questione lefebvriana.


Personalmente sono sempre stato convinto dell’utilità e della necessità di una riflessione teologica spassionata sul Concilio Vaticano II (si veda l’articolo con cui si apriva questo blog nel lontano 2009: Concilio e “spirito delConcilio”). Questo senza nulla togliere all’importanza dell’approccio storico. Il libro del Prof. De Mattei Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau, Torino, 2010) rimane, a mio parere un punto di riferimento imprescindibile per ricostruire la dinamica dei fatti: è doveroso sapere come andarono veramente le cose. Come è giusto prendere serenamente atto degli effetti negativi del Concilio nella vita della Chiesa. Nell’articolo del 2009 li descrivevo, senza falsi pudori, nei termini seguenti:
La riforma liturgica ha rese deserte le chiese; il rinnovamento della catechesi ha diffuso l’ignoranza religiosa; la revisione della formazione sacerdotale ha svuotato i seminari; l’aggiornamento della vita religiosa sta mettendo a rischio l’esistenza di molti istituti; l’apertura della Chiesa al mondo, nonché favorire la conversione del mondo, ha significato la mondanizzazione della Chiesa stessa.
Si tratta di dati storici difficilmente controvertibili. Dobbiamo però chiederci: tale spregiudicata costatazione dei fatti giustifica il giudizio storico «impietoso e senza appello» del Prof. De Mattei? Il Vaticano II deve necessariamente essere liquidato come una «catastrofe per la Chiesa»? Personalmente non lo credo. E questo cercando di rimanere su un piano strettamente storico.


1. Non è storico affermare che il Concilio Vaticano II avrebbe avviato una crisi religiosa e morale senza precedenti, ignorando — o fingendo di ignorare — che tale crisi era già in corso da decenni, se non da secoli. Presentare la Chiesa preconciliare come una Chiesa perfetta, dove tutto procedeva senza problemi, è semplicemente falso. Senza imbarcarsi in lunghe e impegnative ricerche, basta chiedersi: Da dove venivano fuori i teologi che, dentro e fuori il Concilio, maggiormente spingevano per una radicale trasformazione della Chiesa? Erano dei marziani? Non erano forse teologi che operavano liberamente già prima del Concilio e si erano formati nei seminari e nelle facoltà ecclesiastiche prima del Concilio? Ciò significa che certe idee già circolavano nella Chiesa, tanto è vero che prima Pio X (enciclica Pascendi) e poi Pio XII (enciclica Humani generis) avevano sentito il bisogno di intervenire per cercare di porre freno a certe tendenze. Senza riuscirci. Si dirà: ma almeno i Papi prima del Concilio si opponevano a quelle tendenze; il Vaticano II le ha fatte proprie. Io vedrei la cosa in maniera diversa: il Concilio, prendendo atto del fallimento dei precedenti interventi pontifici, ha tentato una strada diversa, quella del “discernimento”: distinguere nelle tendenze novatrici ciò che vi era di valido, per farlo proprio, e ciò che era erroneo, per respingerlo.


2. Non è storico considerare nello svolgimento del Concilio solo le lotte fra gli opposti schieramenti, i giochi di potere, i maneggi delle lobby, i soprusi della presidenza, i compromessi al ribasso. Sono, questi, fatti storici incontestabili; ma non sono gli unici. È storia anche lo sforzo di Paolo VI per raddrizzare il Concilio; è storia anche l’impegno della maggioranza dei Padri in quell’opera di discernimento di cui si diceva; sono storia anche i documenti conclusivi del Concilio. Questi non possono essere situati in una dimensione a-storica o meta-storica; sono talmente storici che possiamo ricostruirne la genesi, fissarne il diverso valore teologico, evidenziarne i limiti, ecc.


3. Un atteggiamento veramente storico inoltre dovrebbe prendere in seria considerazione la distinzione, fatta da Benedetto XVI nel suo ultimo incontro col clero romano prima della rinuncia (14 febbraio 2013), fra “Concilio dei Padri” e “Concilio dei media”, “Concilio reale” e “Concilio virtuale”; e verificarne i riflessi nella realtà: quale di questi due “concili” ha avuto maggiore influsso nella vita della Chiesa? Le conseguenze negative del “Concilio” sono da attribuire al Concilio dei Padri o a quello dei media? In altre parole, ai documenti del Concilio o allo “spirito del Concilio”? Queste sono domande a cui uno storico non può sottrarsi. Qui non si sta parlando di quale interpretazione dare ai testi conciliari — che è compito del teologo — ma si sta cercando di capire come sono andate effettivamente le cose. E questo spetta esclusivamente allo storico, il quale non può limitarsi a dire che il Concilio è stato una catastrofe, una rivoluzione che ha avviato una crisi religiosa e morale senza precedenti. Si tratta di una semplificazione assolutamente antistorica.


4. Non è storico, nell’esame del periodo postconciliare, considerare solo gli evidenti e incontestabili disastri provocati da una malintesa applicazione del Concilio. Va pure considerato lo sforzo di difesa e di ricostruzione operato dai Pontefici postconciliari (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI). Questi hanno dato l’unica, legittima interpretazione del Concilio, hanno dato attuazione alla sua opera riformatrice e si sono opposti ai tentativi di sovvertire la Chiesa in nome del “Concilio”. I Papi che si sono succeduti negli ultimi cinquant’anni, fra le nebbie che si sono diffuse dopo il Concilio, sono stati dei fari che hanno indicato ai fedeli la rotta da seguire. Pur fra mille difficoltà e contraddizioni — che non vanno nascoste, ma non devono meravigliare — hanno fatto chiarezza su molti punti. Non che abbiano eliminato la confusione, ma hanno individuato alcuni punti fermi, sui quali non era possibile continuare a discutere indefinitamente.


Bene, siccome ai nostri giorni, uno dopo l’altro, si stanno rimettendo in discussione proprio quei punti fermi, che sembravano ormai acquisiti; siccome si sta smantellando tutto quanto si era ricostruito nel periodo postconciliare, come se cinquant’anni fossero trascorsi invano; siccome si sta cercando di far passare l’idea che il vero Concilio non è quello dei documenti, ma quello di un non meglio precisato “spirito”, che continuerebbe ad agire nella Chiesa a prescindere da qualsiasi criterio previamente dato; non credo che serva a nulla continuare a polemizzare contro il Vaticano II, considerandolo come l’origine di tutti mali della Chiesa; non credo che l’attuale situazione possa essere considerata semplicisticamente come un “frutto” del Concilio. Anzi credo che sia giunto il momento di cominciare a difendere il vero Concilio da chi pretende di farsene abusivamente interprete, spacciando per “Concilio” ciò che ne è una semplice caricatura. Credo che sia giunto il momento in cui i veri amanti della tradizione incomincino a considerare il Vaticano II e il magistero postconciliare come parte della tradizione (con tutti i possibili distinguo sul piano teologico) e a difenderli in nome della tradizione. Pensare che la tradizione si sia fermata al 1962 (o al 1958) significherebbe dare ragione a quanti prima, durante e dopo il Concilio, fino ai nostri giorni, hanno cercato e stanno cercando di sovvertire la Chiesa. Il Concilio, quello vero, non è stato una rivoluzione, ma solo un tentativo, piú o meno riuscito, di rinnovare la Chiesa nel solco della tradizione. La rivoluzione è quella che hanno cercato e stanno cercando di imporre i modernisti di ieri e di oggi. Ad essi occorre opporsi non solo in nome della tradizione, ma anche in nome dello stesso Concilio, che di quella tradizione è parte integrante.
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Pubblicato da Querculanus