venerdì 29 maggio 2020

Ecco perché dire no alla Santa Comunione sulla mano



Aldo Maria Valli, 29-05-2020

Cari amici di Duc in altum, circa la questione della Comunione sulla mano don Alfredo Maria Morselli ha scritto, in forma di appunto, un testo che è di grande aiuto. Poche righe, molto contenuto. Da leggere. Con un grazie a don Alfredo.

A.M.V.

***



La Santa Comunione in mano…


1) È DISSACRANTE perché si riceve ciò che vi è di più sacro sotto il cielo come pane comune (e san Pio X richiedeva, per dare la Santa Comunione ai bambini, che sapessero ben distinguere il pane comune dal Santissimo Sacramento, l’esatto opposto di quello che succede oggi).

2) PRODUCE LA DISPERSIONE DI FRAMMENTI, favorendo quindi l’oblio della Transustanziazione, per cui la Sostanza è tutta in ogni parte: quindi favorisce la fine della fede nella Presenza reale.

3) favorisce così il PROLIFERARE DI TEOLOGIE ERETICHE che fanno prevalere l’atteggiamento (l’io-penso-soprattutto) del soggetto sul dono oggettivo da parte di Dio indipendentemente da noi (transfinalizzazione, transignificazione ecc.)

4) favorisce L’OBLIO DELLA SOSTANZIALE DIFFERENZA DELLA DIVINA PRESENZA NEL Santissimo Sacramento rispetto ad altre forme di presenza vera ma di tutt’altro genere e meno perfette (nell’anima per grazia, nella Sacra Scrittura ecc.) per cui la Presenza Eucaristica è detta REALE non perché le altre non siano vere, ma per antonomasia, cioè perché lo è NEL MODO PIÙ PERFETTO E CHE TRASCENDE TUTTI GLI ALTRI.

4) Aumenta la possibilità dei FURTI SACRILEGHI.

5) È una pratica che SI È INTRODOTTA CON L’INGANNO; Paolo VI aveva concesso l’indulto SOLO per quei paesi in cui una illecita pratica consolidata avrebbe messo in discussione il principio di autorità con una conclamata rivolta. Per i modernisti è stato il piede nella porta, il grimaldello per sfondare la porta. È ciò che entra con l’inganno non può essere opera dello Spirito Santo.

Obiezioni:

1) Nell’antichità bla bla bla…

Risposta all’obiezione. Lo Spirito Santo, non una manica di reazionari, ha guidato la Chiesa a ricevere in bocca e in ginocchio la Santa Comunione, perché la storia plurisecolare della Chiesa è guidata dallo Spirito Santo. Cosa che non si può dire dell’opera dissacratoria degli ultimi sessant’anni.

In Corde Matris

Sac. Alfredo M. Morselli











giovedì 21 maggio 2020

Ricomincia la celebrazione della SANTA MESSA in latino a Pistoia





Da domenica 24 maggio

ricomincia la regolare celebrazione della 

SANTA MESSA in latino

 alle ore 18:00 

nella chiesa di San Vitale (via della Madonna 2) a Pistoia.


I fedeli dovranno indossare la mascherina e detergersi le mani con il gel igienizzante posto all'ingresso della chiesa, rispettare le distanze di sicurezza ed evitare assembramenti.









lunedì 18 maggio 2020

IL RICORDO di Grygiel: «Io, Wojtyła e la Verità da interrogare»






«Conobbi il professor Wojtyła e subito mi cambiò la tesi: “Lavora su Sartre per aiutare i marxisti a capire il loro errore antropologico e noi a prepararci ad affrontare la laicizzazione incalzante”. Aveva ragione perché sapeva leggere “storia” della persona umana alla luce dell’atto della creazione, del Principio, del logos. E parlava dicendo “si, si - No, no!”: sapeva che tutto ciò che è in sovrappiù proviene dal Maligno, dall’Antilogos, dall’Anticristo. Ci insegnava a porre domande sulla verità, rivelandoci la sua felicità. E non si vergognava di nulla perché tutto ciò che era in lui, virtù e difetti, lo orientavano a Dio. Da lui ho imparato che non si scherza impunemente con la verità e con il senso dell’uomo». A 100 anni dalla nascita il ricordo intimo di Giovanni Paolo II da parte del suo allievo Stanislaw Grygiel. E la sua eredità filosofica. 






EDITORIALI
Stanislaw Grygiel, 18-05-2020

Quando ci volgiamo al 1920, l’anno della nascita di Karol Wojtyła, poi Papa Giovanni Paolo II, i miei pensieri tornano al giorno in cui per la prima volta ebbi l’occasione di parlare con lui. Ciò avvenne sul finire del 1958. Domandai all’allora giovane professore, appena nominato vescovo ausiliare di Cracovia, di accogliermi nel suo seminario per i dottorandi che egli dirigeva all’Università Cattolica di Lublino. Dopo una breve discussione, cambiò il mio progetto di scrivere la tesi sulla filosofia della dignità dell’uomo nelle opere di Albert Camus. Propose invece una comune meditazione sulla filosofia di Jean-Paul Sartre, dal momento che – diceva - questa filosofia avrebbe aiutato i marxisti a capire il loro errore antropologico, la negazione della libertà, e aiutato noi a prepararci ad affrontare la laicizzazione incalzante. Solo tanti anni dopo mi sono reso conto fino a qual punto il suo pensiero fosse unito alla realtà del momento presente, cosa che gli consentiva di raggiungere il futuro lontano e scorgervi le tenebre che si avvicinavano.

Egli leggeva la “storia” della persona umana alla luce dell’atto della creazione da cui essa scorre come un grande torrente fino ad ora (Il Padre “opera sempre” - cfr. Gv 5, 17). Di uomini così fatti diciamo che sono mandati al mondo da Dio, che con testimonianza da loro resa alla verità della Sua creatura, preserva l’uomo dallo smarrire la via tracciata verso la casa paterna. Questa casa è la bellezza della verità e del bene affidati al lavoro di ogni uomo nell’unità con gli altri uomini. L’uomo lavora sulla verità e sul bene nella misura in cui entra nel lavoro degli altri e allo stesso tempo li lascia entrare nel lavoro al quale egli stesso è stato chiamato. Il professore Karol Wojtyła sapeva entrare nel lavoro degli altri e sapeva aprire agli altri il suo stesso lavoro. Egli era maestro evangelico, testimone cioè della verità e del bene, uno che apparteneva ad essi e che attraverso di essi riceveva da Dio il nome e la libertà, e perciò la dignità.

L’esperienza della stupidità e della malvagità dell’occupante tedesco e poi di quello sovietico aveva purificato nella persona del futuro Papa il senso della verità e del bene che si rivelano e si realizzano nel dono della bellezza in cui ogni uomo viene in questo mondo. Il disprezzo per questa bellezza da parte degli occupanti gli aveva fatto vedere la necessità di rendere alla bellezza dell’uomo la testimonianza nel pieno senso di questo termine. Nella lingua greca il testimone è martyros e il verbo martyromai parla non solo del rendere testimonianza alla verità ma anche del protestare contro la sua distruzione. L’uomo, se così posso dire, viene in questo mondo per rendere testimonianza alla verità fino a dare la vita per lei. La verità dell’uomo si è rivelata nella Persona di Cristo. Per conoscere questa verità non basta quindi parlare dell’uomo concreto, di come egli vive qui ed ora. La filosofia e ancora di più la teologia che oggi vengono limitate al raccontare il presente sociologico e psicologico della persona umana, dei matrimoni e delle famiglie in cui essa dimora, tradiscono l’uomo e Dio. Li tradiscono di solito per le monete d’argento ricevute da qualche lacchè dell’Antilogos.

È soprattutto il marxismo ad averci introdotti in un così insidioso pensare dell’uomo. Il suo principio, che le nostre azioni (praxis) sono la conoscenza della verità e del bene, perché li creano, continua a devastare le menti e i cuori della cosiddetta élite del mondo occidentale, nonostante l’esperimento sovietico di formare la vita umana secondo questo principio si fosse infranto nel tragico scontro con i testimoni della verità e del bene, che alla menzogna e al male dicevano: “No!”.

Oggi, in occasione dell’anniversario della nascita di san Giovanni Paolo II, bisogna ritornare al suo parlare che sempre era: “Si, si - No, no!”. Questo Papa sapeva che tutto ciò che è in sovrappiù proviene dal Maligno, dall’Antilogos, dall’Anticristo. Perciò Egli richiamava ripetutamente al ritorno al Principio, cioè all’atto della creazione “dell’universo e della storia” (Redemptor hominis, 1), per leggere alla luce del Principio il mondo creato da Dio nel Suo Figlio, Logos, il mondo dato e affidato come compito all’uomo creato maschio e femmina. L’Amore che è Dio crea l’uomo perché in questo lavoro diventi amore “a immagine e somiglianza” proprio dell’Amore che lo sta creando. Nella storia della creazione l’amore che fa l’uomo e la donna “una carne” rappresenta un paradigma secondo il quale occorre giudicare tutti gli amori e tutte le amicizie umane. Al punto che solo il linguaggio nato nell’amore che unisce l’uomo e la donna possiamo parlare dell’amore che ci unisce con Dio.

Il moderno Antilogos deve colpire questo amore, se vuole formare l’uomo e la società così da renderli disposti a seguire la sua ragione diabolicamente calcolante. Deve colpire anche la fede, intesa come l’affidamento della persona alla persona, e la speranza, che si identifica con il riporre fiducia nelle conseguenze della fede e dell’amore. Nel dono che sono la fede, la speranza e l’amore, si rivela e si realizza il dono della libertà. L’Antilogos deve colpire in definitiva la libertà e la dignità dell’uomo.

Nella persona che è presente a noi e che a noi si affida, che pone in noi la speranza e ci ama, si rivela la Verità da cercare affinché la diventiamo. Essa si rivela nel suo riflesso lasciato sulla persona così presente. Il giovane vescovo Karol Wojtyła era consapevole della soppravveniente crisi della persona e della società, cioè della crisi della fede, della speranza e dell’amore, della crisi della libertà. Questa crisi si annunciava con la sostituzione delle domande fondamentali sulla verità e sul bene con le domande sulle cose immediate, da essi lontane.

L’uomo lancia la domanda sulla verità alla Trascendenza che è la Persona, poiché solo Lei è in grado di rispondere o, meglio, di essere risposta ad una tale domanda. Lancia dunque la sua domanda nell’affidamento a questa Persona nella speranza e nell’amore che l’orientano proprio a Lei. La modernità distrugge questa domanda, deformando la fede, la speranza e l’amore, cioè deformando la libertà dell’uomo. Per chiudere l’uomo nel mondo delle domande sulle cose immediate, la modernità cerca di togliergli la capacità di leggere “il segno”, che è “l’universo e la storia” dell’amore a lui affidato come compito.

La modernità ha distolto perciò i pensieri e il cuore dell’uomo dal “centro dell’universo e della storia” (Redemptor hominis, 1), sicché il suo intellectus ha smesso di leggere ciò che avviene tra questo “centro” e lui stesso (il termine intellectus deriva dal verbo inter-legere che parla della lettura dell’evento della verità tra due realtà). Non sono rimasti che i numeri e le operazioni della ragione calcolante, cioè della ratio (dal verbo reor, ratum, calcolare). Il razionalismo matematico ordina a questa ragione di creare varie trascendenze e di credere che in esse avvengono “l’universo e la storia”. Ognuna di queste trascendenze è Antilogos in cui non c’è né il Principio, né la Fine. Di conseguenza l’universo e la storia vengono radicati nel vuoto.

La crisi della domanda sulla verità, cioè la crisi del ricevere il dono della fede, della speranza e dell’amore che sono dono della libertà, è un segno di come la filosofia e la teologia si staccano dalla realtà che avviene tra il Principio e la Fine. Quanti filosofi e quanti teologi, infatti, pensano ancora in modo escatologico! E quanti di quelli che cercano ancora la verità vengono chiusi nelle riserve assegnate agli ultimi moicani dell’escatologia!

La mancanza delle domande escatologiche sulla verità spinge gli uomini ad entrare nella miseria della solitudine che consiste nel loro stare l’uno accanto l’altro ma senza essere presenti l’uno all’altro. Ognuno si trova in una stanza dove l’Antilogos ha chiuso tutte le porte. Proprio contro questo misterioso Antilogos che suscita orrore e paura Giovanni Paolo II aveva protestato (martyros) gridando: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”. Aprite le porte ad un altro uomo! Salvezza della persona è sempre un’altra persona. Alla fine, lo è la Persona del Figlio in cui Dio crea ciascuno di noi.

Il professore Karol Wojtyła ci insegnava a conoscere l’uomo, insegnandoci a porre domande sulla verità della “storia” del suo amore: “Dove andare?”. Nello stesso tempo ci insegnava a cercare la risposta in un’altra persona. L’uomo ri-nasce in lei. La presenza di un’altra persona dà inizio ad una nuova vita in lui. L’altra persona è trascendenza, sulla quale rimane il riflesso della Trascendenza della Persona del Padre che ci illumina ed affascina, ed è su queste Divine altezze che ci aspettano l’Amore e la Libertà desiderati dal nostro “cuore inquieto”.

In tutto ciò che il professore Karol Wojtyła diceva si sentiva la verità dell’uomo creato nella differenza ontologica (il Creatore – il creato) e in quella sessuale (“Dio creò l’uomo maschio e femmina”). Queste due differenze formano l’antropologia adeguata e la teologia del corpo che nacquero nella contemplazione della bellezza della persona umana, la bellezza rimandante alla Bellezza che è soltanto Dio. Queste due differenze formano le domande di Karol Wojtyła sull’amore, sull’affidamento della persona alla persona, sulla loro speranza. Esse formano la sua comprensione della libertà, cioè la comprensione del dono dell’amore e della sua “storia”. Egli sentiva che eliminare queste differenze dalla visuale della persona umana avrebbe provocato il caos e la confusione nei pensieri e nei cuori delle persone e nella società. Approfittando del caos e della confusione l’Antilogos introduce oggi non solo nella società ma anche nella Chiesa i nuovi paradigmi della fede, dell’amore e della speranza e i nuovi paradigmi del parlare che eliminano il dire alla Verità del Logos: “Si!”, e il dire all’Antilogos: “No!”. Per l’Antilogos gli uomini devono essere antilogici.

La persona del professore Karol Wojtyła irradiava l’ordine interno. In lui si rivelava la felicità che lo penetrava e di cui Cristo parla nel Discorso della Montagna (cfr. Mt 5, 3-12). Senza questa beata felicità non c’è né una buona filosofia, né una buona teologia. Egli ci insegnava a porre domande sulla verità, rivelandoci la sua felicità. Non si vergognava di nulla, perché tutto ciò che era in lui, virtù e difetti, lo orientava a Dio, pregando di mostrargli la Verità. In questo senso egli era un uomo umile, cioè un uomo che poteva indicare la direzione in cui bisogna andare in cerca della verità, senza mortificare quelli che vivevano e pensavano in un altro modo. Guardava tutti con uno sguardo sorridente. Proprio per questo egli era qualcuno che è più che un professore. Quando chiamava a vivere delle domande fondamentali sulla verità, cioè a pensare, chiamava a convertirsi al Principio della vita, Principio che è anche la sua Fine. Egli era maestro che insegnava a pensare bene, quindi a vivere bene.

Se dovessi rispondere alla domanda di che cosa sono debitore al professore Karol Wojtyła, risponderei: Gli devo soprattutto la convinzione e la sicurezza che la filosofia è un’azione dell’uomo così importante e così grave che chi la rende un gioco scherza con il fuoco pericoloso per sé stesso e per l’ambiente. Il fuoco tempra, ma trattato con spensieratezza lascia soltanto rovine e riduce tutto in cenere. Non si scherza impunemente con la verità e con il senso dell’uomo e dell’universo in cui gli è stato dato di vivere.













domenica 17 maggio 2020

Ecco perché dobbiamo consacrarci a Maria. E l’affidamento non basta







Aldo Maria Valli, 17/05/2020

Cari amici di Duc in altum, torniamo sulla questione delle differenze tra consacrazione e affidamento a Maria. L’occasione è offerta da un contributo che don Bruno Borelli, parroco a Erba (Como), mi ha inviato e volentieri vi propongo.

A.M.V.


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Consacrazione o affidamento? È questo un dilemma teologico suscitato dalla attuale, nuova teologia modernista a favore dell’affidamento e contraria alla consacrazione. Il dibattito si inserisce nella tendenza ecclesiale di oggi a ridurre la mariologia ai minimi termini, accantonando secoli di “esaltazione” spirituale, dogmatica, devozionale verso la Madonna. La desacralizzazione di Maria e la riduzione ai minimi termini delle pratiche di culto e di preghiera mariane sono frutto del dialogo col protestantesimo, iniziato con il Concilio Vaticano II, dialogo che ha determinato nella teologia una progressiva protestantizzazione.

È noto che Padre Pio non vedeva di buon occhio il Concilio, soprattutto nelle applicazioni future dei suoi documenti: a un gruppo di vescovi andati a trovarlo in un momento di pausa dei lavori conciliari, pare abbia detto accomiatandoli: “Trattatemi almeno bene la Madonna!”.


Non mi addentro nel dilemma teologico che si può trovare ben esposto, a favore della consacrazione, nell’articolo di padre Settimo M. Manelli I fondamenti biblici della consacrazione alla Vergine Maria. Mi basta applicare ai favorevoli all’affidamento le parole di Gesù: “Ti benedico, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Infatti, ci vuole un animo di piccoli, cioè di umili, ci vuole un cuore di figli per arrivare a dire: “La Madonna a Fatima ha chiesto la consacrazione”. Lei ne sa sicuramente di più di tutti i teologi messi insieme. Se ha chiesto alla Chiesa e al papa la consacrazione della Russia, cioè del comunismo ateo elevato a sistema politico, noi semplicemente e con ubbidienza le dobbiamo credere, come i bambini che dicono: “L’ha detto la mamma! E si fa così!”.


La consacrazione a Maria Santissima e al suo Cuore Immacolato è il fondamentale atto di amore a Maria, e san Massimiliano Kolbe ha detto quella frase significativa: “Non dobbiamo temere di amare tanto la Madonna, perché non l’ameremo mai tanto quanto l’ha amata Gesù”.

A questo punto la cosa migliore è analizzare la differenza tra consacrazione e affidamento, per sottolineare la superiorità della consacrazione.


L’affidamento fa pensare a un bambino che prende la mano di una donna a cui si affida come se fosse sua madre; cioè è un atto di fiducia generica della mente pensante di un bambino verso una madre qualunque. La consacrazione, invece, fa pensare a un figlio che abbraccia il grembo della sua mamma sentendo che è il “sacrario” della sua vita; cioè è un atto di amore particolare del cuore amante di un figlio verso la sua propria mamma.


L’affidamento è un atto di fede che mira ad avere “una grazia” dalla Madonna. La consacrazione invece è un atto di amore che mira a essere “in grazia” alla Madonna. L’essere in grazia di figli è più e viene prima dell’avere qualche grazia; infatti si ottengono grazie in conseguenza di essere buoni e devoti figli della Madonna.

Quando Gesù sulla Croce ha detto a Giovanni: “(Figlio) ecco tua Madre”, ebbene, quell’”ecco” è un imperativo “consacratorio” di un figlio alla Madonna Madre sua. “Ecco” sta per una forte dichiarazione, come quella di Pilato: “Ecco l’uomo” (Gv 19,5), che non indica solo un uomo e una madre da vedere simbolicamente, da immaginare figurativamente e da guardare analogicamente.

Quell’”ecco”, nella mentalità ebraica e semitica, va tradotto come “considera ufficialmente”, come “intendi giuridicamente”, come “riconosci realmente”, come “sappi veramente” che “quella donna è tua Madre”. Non siamo quindi a livello di una madre affine e rappresentativa, ma di una madre personificata e incarnata, reale e legale. Di conseguenza, anche Giovanni diventa la personificazione, l’incarnazione, cioè la “consacrazione” di un vero figlio di questa Madre.


Per un’analisi più completa può essere opportuno anche un confronto tra l’adozione e l’affido. La Madonna, chiedendo la consacrazione, è come se intendesse le parole di Gesù come un’adozione legale, è come se Gesù avesse detto a Giovanni: “Figlio, sei adottato, considerati adottato da tua Madre”, è come se avesse detto a Lei: “Donna, accogli in adozione il figlio tuo”. Maria vuole essere considerata da noi come Madre adottiva e non come Madre affidataria, interpretando così in modo forte e vero l’”ecco” di Gesù dalla croce. Infatti, il figlio adottato è un figlio vero e reale, mentre il figlio affidato è un figlio verosimile e virtuale. Il figlio adottato è un figlio effettivo, mentre il figlio affidato è un figlio apparente. Il figlio adottato è un figlio giuridico, mentre il figlio affidato è un figlio sociologico. Si potrebbe dire, con un sorriso, che il figlio adottato è un figlio “digitale-reale”, non “analogico-similare” come quello affidato.

Ora possiamo approfondire meglio il confronto e dire che l’affidamento è un atto sociale, parziale, condizionato, mentre la consacrazione è un atto religioso, perpetuo, incondizionato. L’affidamento mi può lasciare come sono, impegnandomi in modo minimo, indiretto, inefficace, mentre la consacrazione mi chiede tutto, in modo forte, diretto, efficace, perpetuo, sia come conversione, sia come santità, sia nella missione, sia nell’apostolato. Ma il punto più importante è che l’affidamento è un atto che mi impegna con gli uomini, con chiunque e per qualunque cosa, mentre la consacrazione mi impegna con Dio e per Dio. Consacrarsi significa letteralmente “rendersi sacri”, e il “sacro” è Dio e tutto ciò che è di Dio, come Maria. La “sacralità” è la traduzione teologica della “santità” divina biblica. La sacralità mi relaziona con Dio, mi impegna con quel Dio che ha detto: “Siate santi perché io sono Santo” (Lev 11,44). Dio è il “Santo di Israele” (Salmo 71,22); è il tre volte Santo e la consacrazione mi rivolge a Dio e mi fa appartenere a Dio, per servire Dio, amare Dio, benedire Dio. Allora capiamo perché Maria, che è la perfetta consacrata, la tutta Santa, chiede anche a noi di consacrarci a lei per diventare sempre più e perfettamente religiosi e morali, onesti e sinceri, buoni e giusti, pii e devoti, immacolati, come lei.


È importante considerare l’altra faccia della medaglia che ha la consacrazione e che non c’è invece nell’affidamento. Il “sacro” infatti si contrappone al “profano”. La sacralità richiama anche il suo opposto, il suo contrario da cui ci si deve distaccare, separare, che è da rifiutare, cioè la profanità. Profanità è sinonimo di mondanità, terrenità, materialità, carnalità, peccaminosità, viziosità, empietà, e da ultimo il profano è anche demoniaco, satanico.

Questo volere e dovere passare dal peccato alla grazia non è presente nell’affidamento, ma è richiesto molto chiaramente dalla consacrazione. Infatti, l’affidamento nasce da una situazione di sofferenza, di malattia, di povertà che riguarda prevalentemente la corporalità e la socialità, circostanze da cui ci si vuole liberare e guarire. Invece la consacrazione nasce più da una situazione di male, di peccato, di vizio, di errori da cui ci si deve correggere, purificare, convertire, distaccare, facendo pentimento, penitenza, riparazione. Ora, queste sono le cose più necessarie, urgenti, primarie che la Madonna chiede a noi e vuole che noi chiediamo a lei, prima e più delle grazie di liberazione, di guarigione, di provvidenza, di protezione, di aiuto e soccorso.

Ecco allora la superiorità della consacrazione: in ultima analisi la consacrazione è comunione con Dio e con Maria, è un dono consacratore di Dio a noi prima che un nostro donarci e affidarci a lui; è un’iniziativa sacralizzante di Dio e di Maria e non una nostra iniziativa umana, come l’affidamento. Di conseguenza la consacrazione ha più valore ed efficacia, ci fa partecipi della stirpe, della discendenza, della progenie e della famiglia della “Donna” di cui si parla nella Genesi (3,15) e nell’Apocalisse (12,14). È quella “Donna” che ritroviamo sulle labbra di Gesù a Cana di Galilea, come mediatrice di tutte le grazie e avvocata ( Gv 2,4) e sotto la croce coma addolorata e corredentrice (Gv 19,26).


Parafrasando la frase di san Massimiliano Kolbe, non dobbiamo temere di consacrarci a Maria e al suo Cuore così tanto e spesso perché non ci consacreremo mai tanto quanto il Figlio suo Gesù che si è per sempre e in tutto consacrato a lei e al suo cuore materno, nella divina incarnazione. È Gesù che vuole questa nostra consacrazione a Maria come una nostra filiale incarnazione spirituale in lei, Madre sua e Madre nostra.

O Maria, consacratrice di figli di Dio, prega per noi!

Don Bruno Borelli


Parrocchia San Maurizio

Erba (Como)














sabato 16 maggio 2020

Nicola Bux: "La preghiera multireligiosa è un “surrogato” della preghiera cattolica"





Riportiamo qui di seguito le riflessioni inviateci da Mons. Nicola Bux (qui la sua Biografia) sulla giornata del 14 Maggio 2020, promossa dal Pontefice per la "liberazione da tutte le pandemie". Eccole di seguito.





La specificità cristiana non impedisce, sebbene non tutto nelle religioni sia ugualmente valido, di convivere e rispettare coloro che le seguono, in specie se sono coscienti di intendere e adorare Dio in modo diverso. Invece si è fatta strada l’idea che il cristiano debba giungere ad ospitare nella sua chiesa il musulmano che prega Allah secondo le sue usanze, e che a sua volta il musulmano nella sua moschea dovrebbe ospitare il cristiano che pregherà secondo il suo credo. Alcuni episodi sono interpretati come attuazione di tale auspicato desiderio: le riunioni convocate da Papa Giovanni Paolo II proprio in Assisi dei leaders delle religioni a pregare per la pace, l’afflusso di induisti e altri uomini religiosi avvenuto a Calcutta per i funerali di madre Teresa, i meetings della comunità di Sant’Egidio. E’ vista con entusiasmo la preghiera dei partecipanti a questi incontri, eseguita secondo i diversi modi e i diversi costumi, ma avente ugual fine: adorare il Signore, comunque lo si voglia immaginare. Si ritiene infatti che non vi sia alcuna differenza se un uomo adora una icona o un totem, una qualsiasi sembianza del dio in cui crede: può sembrare che adori un essere supremo diverso da quello adorato da altri, ma nella sostanza adora lo stesso Dio, diversamente raffigurato, in base a diversi attributi e dogmi.

Si deve premettere che solo tra i cristiani si è diffusa tale opinione, che per la sua apparente capacità di valorizzare il diverso, paradossalmente finisce per avallare proprio la differenza e la superiorità del cristianesimo. Ciò non toglie che sia una distorsione, innanzitutto perché l’esistenza di tante religioni con lo stesso grado di validità non spiega la loro molteplicità; poi, perché nel caso del cristianesimo non sono i cristiani a farsi l’immagine di Dio ma è Dio a aver dato la sua immagine in Gesù Cristo; noi abbiamo un’idea di Dio come persona, che non è propria delle altre religioni, salvo in certo modo il giudaismo. A questo punto dobbiamo ricorrere all’approfondimento che Ratzinger offre sulla preghiera multireligiosa e quella interreligiosa (Fede.Verità.Tolleranza. Il Cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p 110 s.): una volta assodato che ci sono almeno due modi di intendere il divino, quello di un Dio impersonale, lontano e quello di un Dio vicino, personale, egli indica per il primo tipo di preghiera due condizioni per svolgerla: 1.che debba rimanere eccezionale; 2. che ad evitare confusione sia dichiarato in partenza che non esista appunto una comune idea di Dio e una comune fede in lui. Quanto alla preghiera interreligiosa, dubitando che si possa fare in verità e onestà, il cardinale pone tre condizioni elementari da garantire, senza le quali diventa una negazione della fede: 1.Deve esservi unanimità su cosa sia Dio e cosa il pregare; ancora, che Dio è persona, cioè può conoscere e amare, ascoltare e rispondere, e il male non gli appartiene. 2.Deve essere chiaro che cosa è degno di preghiera. Non possono essere oggetto di preghiera, richieste opposte a quelle contenute nel Padre nostro. 3.Deve escludere ogni impressione relativistica circa l’unicità di Dio e di Cristo davanti ai non cristiani, o l’idea dell’interscambiabilità delle religioni.

Devo supporre che nostro Signore quando ha insegnato a rivolgersi al Padre celeste non immaginasse che i suoi sarebbero ritornati ad usare verso Dio, in parallelo, nomi ed espressioni enigmatiche e non vere, magari pensando di convincere le altre religioni della bontà dell’obbiettivo salvifico assegnato alla sua Chiesa! La liturgia è cattolica in quanto adorazione della paternità universale di Dio, quindi prevede l’arrivo di altri popoli alla fede, abbracciati proprio dalla cattolicità della preghiera: ricorrere ordinariamente a forme interreligiose vuol dire non credere che la nostra preghiera sia cattolica o, come si dice nella Messa, preghiera universale. Potrebbe esserci qualcosa di più universale e “interreligioso” della croce di Gesù Cristo da cui viene l’efficacia stessa della preghiera filiale? E’ nel Figlio che possiamo rivolgerci al Padre. Ogni altra preghiera è al più un surrogato non cattolico. Anzi, secondo Paolo, è idolatria da rifuggire, perché "ciò che i Gentili sacrificano agli idoli, è sacrificato ai demoni e non a Dio". Non si può dai cristiani "partecipare della mensa del Signore e della mensa dei demoni" (1 Cor 10,14.20-21). Il Signore è uno solo e non tollera concorrenti.

A questo punto mi sembra che, meglio del sacramento dell’altare, nulla aiuti a distinguere il Dio personale cristiano dagli altri dèi (cfr Es 20,3; Dt 5,7), e soprattutto ad orientare chi non lo è all’adorazione dell’unico vero Dio; Gesù dovette ricordarlo a Satana: “Adorerai il Signore Dio tuo e a lui solo servirai" (Mt 4,10). Qui si giunge all’Essere e alla linea di demarcazione della storia delle religioni, perché dinanzi a Cristo si manifesta tutta l’originalità cristiana dell’invito alla conversione: infatti significa anche che l’uomo, con libertà di coscienza, deve poter cambiare religione. Mentre per buona parte delle religioni politeiste è ritenuto indifferente il passaggio da una religione all’altra quando addirittura non si tollera la doppia appartenenza, per il monoteismo giudeo-cristiano, imitato da quello islamico, l’abbandono o distacco (in greco apostasia) è considerato una colpa grave. Ciò nonostante, il passaggio da una religione all’altra – per il cristianesimo deve essere una metanoia, una trasformazione del nous, la mente - è sintomo del fatto che nella religione c’è un fattore di movimento, opposto ad una concezione statica che porta a rifiutare la missione. Se la catechesi odierna prova imbarazzo o censura la conversione da un’altra religione a Cristo, proprio la dinamica interna ad ogni religione dimostra che la missione conserva tutta la sua urgenza, il dialogo non può sostituirla, perché, nonostante certe ambiguità nell’ecumenismo, al dono di Cristo hanno diritto tutti e sempre nel mondo.

fonte 






venerdì 15 maggio 2020

“Verrà un giorno…”: la profezia ritrovata di Pio XII




Nel 1972 uscì in Francia una biografia su papa Pio XII intitolato 
Pie XII devant l’Histoire, scritta da mons. Georges Roche e da Philippe Saint Germain, mai tradotta in italiano. Gli autori riportano alcune confidenze inedite che l’allora cardinale Eugenio Pacelli, nel “lontano” 1933, fece a due amici, il conte Enrico Pietro Galeazzi e monsignor Slozkaz, riguardo le apparizioni di Fatima e l’apostasia della Chiesa cattolica. È interessante notare che suor Lucia Dos Santos mise per iscritto le visioni e i segreti solamente nel 1941 e nel 1944, per cui ciò che disse l’allora cardinal Pacelli — che si sta avverando tragicamente — farebbe pensare che non tutto ci è stato rivelato durante il Giubileo del 2000. Abbiamo tradotto per voi quelle confidenze, vere e proprie profezie del futuro Pio XII: leggete e meditate.


il video del testo:






«Supponiamo che il comunismo sia uno degli strumenti di sovversione più evidenti usati contro la Chiesa e la Tradizioni della Rivelazione Divina. Quindi assisteremo alla contaminazione di tutto ciò che è spirituale: filosofia, scienza, legge, insegnamento, arti, media, letteratura, teatro e religione.

Sono preoccupato per le confidenze della Vergine alla piccola Lucia di Fatima. Questo insistere da parte della Buona Signora sui pericoli che minacciano la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio che rappresenta l’alterare la Fede nella sua liturgia, nella sua teologia e nella sua anima.

Sento intorno a me che gli innovatori desiderano smantellare la Sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, rifiutare i suoi ornamenti e renderla piena di sensi di colpa per il suo passato storico. Ecco, sono convinto che la Chiesa di Pietro dovrà rivendicare il suo passato, altrimenti si scaverà la sua stessa tomba.

Io combatterò questa battaglia con tutte le mie forze all’interno della Chiesa, come al di fuori di Essa, anche se le forze del male forse un giorno potrebbero approfittare della mia persona, delle mie azioni o dei miei scritti, come si prova oggi a deformare la storia della Chiesa. Tutte le eresie umane che alterano la Parola di Dio sono fatte per sembrare di essere migliori di Essa.



Verrà un giorno in cui il mondo civilizzato rinnegherà il proprio Dio, quando la Chiesa dubiterà come dubitò Pietro. Essa sarà allora tentata di credere che l’uomo è diventato Dio, che suo Figlio è solo un simbolo, una filosofia come tante altre. Nelle chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Gesù li aspetta; come la peccatrice in lacrime davanti alla tomba vuota, grideranno: “Dove lo hanno portato?”.

Sarà allora che si alzeranno i sacerdoti dall’Africa, dall’Asia, dalle Americhe – quelli formati nei seminari missionari – che diranno e proclameranno che il “pane di vita” non è un pane ordinario, che la Madre del Dio-uomo non è una madre come molte altre. Ed essi saranno fatti a pezzi per aver testimoniato che il Cristianesimo non è una religione come le altre, poiché il suo capo è il Figlio di Dio e la Chiesa (cattolica) è la sua Chiesa».










giovedì 14 maggio 2020

Nigeria, seminarista ucciso «perché annunciava il Vangelo con coraggio eccezionale»


Un’immagine dei funerali del giovane seminarista Michael Nnadi



Caterina Giojelli 10 maggio 2020 Tempi 

L’uomo arrestato per l’omicidio del seminarista Michael Nnadi racconta di averlo giustiziato perché la sua fede «non mi dava pace»
Devono far riflettere le parole del Vescovo di Sokoto monsignor Matthew Hassan Kukah pronunciate durante i funerali del suo seminarista diciottenne rapito e ucciso dai terroristi islamici : "Dobbiamo negare il fatto che i rapitori separano i musulmani dagli infedeli o costringono i cristiani a convertirsi o morire?"




Michel non gli ha dato pace un solo giorno di prigionia, continuava a pregare e annunciare il Vangelo con «coraggio eccezionale». Per questo uno dei suoi aguzzini ha deciso di giustiziarlo. Ha fatto il giro del mondo l’intervista rilasciata dal ventiseienne Mustapha Mohammed, arrestato con l’accusa di essere l’assassinio di Michael Nnadi, il più giovane dei quattro seminaristi del Buon Pastore rapiti l’8 gennaio nello Stato di Kaduna, nel nord-ovest della Nigeria.

IL «CORAGGIO ECCEZIONALE» DEL SEMINARISTA

Parlando al Daily Sun da un carcere di Abuja, Mohammed ha detto di averlo ammazzato perché non sopportava la forza e la speranza del ragazzo, che guardandolo dritto negli occhi lo invitava a smettere di essere un uomo malvagio ricordandogli che le sue azioni lo avrebbero condannato. «Un coraggio eccezionale», ripete l’aguzzino, che al telefono con i cronisti ha spiegato di fare parte di una banda composta da 45 membri dedita a seminare il terrore sulla temutissima superstrada Kaduna-Abuja, la stessa dove fu ritrovato vivo ma con le ossa fracassate un altro dei seminaristi rapiti, il «più testardo e resistente». A fine gennaio erano tornati in libertà anche gli altri due, mancava solo Nnadi: monsignor Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, aveva annunciato con dolore il suo assassinio il 1° febbraio, quando venne ritrovato e identificato il corpo del giovane insieme a quello di una donna, moglie di un medico, una delle tante persone sequestrate dagli islamisti insieme ai ragazzi del Buon Pastore.

«NON MI DAVA PACE»

«Non mi dava pace, sapeva che non condividevamo la stessa fede», così Mustapha ha deciso di spedirlo nella tomba. Il bandito ha spiegato che attaccare il seminario sarebbe stata una ghiotta occasione per fare soldi, l’irruzione è stata preparata con cura e grazie alle informazioni di un affiliato che viveva accanto al seminario. Dopo cinque giorni di sorveglianza, indossando i panni dei militari, i banditi avevano sequestrato i quattro ragazzi e usato il cellulare di Nnadi per presentare le loro richieste alle autorità scolastiche: 100 milioni di naira, in seguito ridotti a 10 (da 250 mila a 25 dollari), per il rilascio degli studenti.

CARNE DA MACELLO PER ISLAMISTI

L’intervista ha avuto ampia risonanza in un paese in cui i cristiani sono ormai carne da macello per islamisti: sono circa 120 i fedeli che si trovano ancora nelle mani di Boko Haram, tra i quali giovani donne che non hanno voluto abiurare la fede cristiana, come Leah Sharibu e Grace Taku, impossibili da contare invece le vittime della persecuzione anticristana come il reverendo Lawan Andimi, guida locale della Christian Association of Nigeria (Can) decapitato il 20 gennaio, o quelle degli attacchi dei saccheggiatori fulani.

L’ULTIMA SCORRIBANDA DEI FULANI

Francis Clement, contadino trentenne nello stato di Plateau ha perso il conto degli amici e dei parenti ammazzati dai pastori islamisti, «ogni volta che proviamo a risollevarci da un attacco ci colpiscono ancora con furia ancora più mortale. Uccidono persone, bruciano case e distruggono fattorie» ha spiegato a The Punch raccontando l’assalto più recente, avvenuto due settimane fa nella sua comunità, quando trovò a terra coperti di sangue due dei suoi fratelli. Gli assalitori hanno sparato anche a suo padre, «penso sia stato Dio a salvargli la vita perché nello stesso istante in cui venne colpito alla gamba l’attenzione del suo sicario venne catturata dalla figura del nostro pastore che aveva raggiunto il luogo della sparatoria. Il sicario uccise il chierico ma mio padre ebbe tempo per nascondersi». Quando Clement arrivò al villaggio trovò a terra tra gli altri cadaveri i corpi stesi immobili di due suoi fratelli e quello ancora vivo del fratellino più piccolo, ferito dai banditi. Il piccolo è stato dimesso ma la famiglia di Clememt non ha le 200 mila niara richieste dal medico che si è preso cura della gamba del capofamiglia.

«SOLO DIO PUÒ AIUTARCI»

«Siamo nelle mani di Dio. Solo lui può aiutarci, nessun altro ci difende, nessuno fermerà l’uccisione della nostra gente», ha spiegato raccontando l’inanità del governo che lascia il suo popolo in balia dei carnefici. La stessa denunciata a gran voce da monsignor Matthew Hassan Kukah: «Nessuno avrebbe potuto immaginare che dopo aver conquistato la presidenza, il generale Buhari avrebbe portato il nepotismo e la clanicità nell’esercito e nelle agenzie di sicurezza; che il suo governo sarebbe stato contrassegnato da politiche suprematiste e di divisione, che avrebbero portato il nostro Paese sull’orlo del baratro. Questo presidente ha mostrato il massimo grado di insensibilità nella gestione della ricca diversità del nostro Paese». Queste le parole del vescovo di Sokoto durante l’omelia dei funerali di Michael Nnadi.

mercoledì 13 maggio 2020

FATIMA, OGGI. GARABANDAL. L’AVVERTIMENTO È VICINO?




Marco Tosatti, 13/05/2020

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Sergio Russo, il nostro artigiano scrittore poliedrico Sergio Russo ci ha mandato una sua riflessione legata alle apparizioni mariane di Garabandal, quella che è stata definita la “Fatima Spagnola”. Prima di leggere quello che scrive Sergio Russo riporto quanto scrive un collega, David Murgia, molto attento ai fenomeni mariani. Scrive David Murgia:


Una delle cose che mi rammarico di non essere riuscito a fare – ma che mi prometto di fare al più presto – è occuparmi di quanto avvenuto a Garabandal, un piccolo paesino delle Asturie spagnole.

È una gran bella storia di cui qui in Italia si parla poco ma che merita di essere conosciuta.

A Garabandal, infatti, definita come la “Fatima spagnola”, quattro bambine – tra giugno del 1961 e novembre del 1965 – affermarono di aver visto più volte una Bella Signora e di aver udito da lei profezie sul futuro del mondo.
Esistono video e foto incredibili di quanto accaduto a Garabandal e delle esperienze che queste bambine (quasi tutte dodicenni) affermano di aver vissuto. E fa quasi commuovere vedere i loro volti e il contesto socio-culturale in cui tutto questo sarebbe avvenuto.
Tre di queste bambine sono ancora in vita. Alcune di loro hanno lasciato la Spagna e vivono negli States, in completo anonimato.
Sarebbe interessante poterle intervistare.
Su Garabandal la Chiesa si espressa più volte (con due commissioni) e ha dato sempre un parere negativo, anche se non del tutto. Nel senso che ha negato l’origine soprannaturale del fenomeno ma allo stesso tempo ha riconosciuto come il messaggio di queste esperienze non sia contrario all’insegnamento della Chiesa.
Ebbene, nelle visioni la Madonna avrebbe confidato alle veggenti, soprattutto a Conchita, alcuni avvenimenti interesserebbero il mondo intero. Avvenimenti in linea con la famosa profezia dei Tre Giorni di Buio.
Queste sono le fasi che ci interesseranno:
L’Avvertimento: viene direttamente da Dio per preparaci. si vedrà in cielo in ogni parte del mondo e sarà sentito da tutti, qualunque sia la loro condizione e conoscenza di Dio, esattamente nello stesso tempo. Sarà un’esperienza terribile, ma è per il bene delle nostre anime, perché vedremo dentro noi stessi, nella nostra coscienza, il bene e il male che abbiamo fatto.
Il Grande Miracolo: avverrà un giovedì alle 20.30 e durerà un quarto d’ora; ma un segno rimarrà visibile ai pini sino alla fine dei tempi. Coinciderà con un grande evento ecclesiale. Guariranno i malati presenti, i peccatori si convertiranno e gli increduli crederanno. Conchita sa la data del Miracolo e lo annuncerà otto giorni prima.
Il Castigo: Se dopo il Miracolo il mondo non cambierà, ci sarà un castigo. Dice Conchita: “Il castigo, se non cambiamo, sarà terribile. Quando lo vidi, sentii una grande paura, malgrado stessi vedendo allo stesso tempo la Vergine in tutta la Sua bellezza e indescrivibile bontà!”.
Ebbene secondo alcuni, questo tempo di Coronavirus coinciderebbe con i tempi dell’Avvertimento.
Tempi che coinciderebbero anche con i famosi 10 segreti di Medjugorje
§§§

E oggi è il 13 maggio, il giorno in cui 103 anni fa la Vergine apparve a Fatima. E lo stesso giorno in cui san Giovanni Paolo II fu ferito, e salvato, a piazza San Pietro. Ed ecco che cosa ci scrive Sergio Russo. Buona lettura.


***



IL GRANDE AVVERTIMENTO È ORAMAI MOLTO PROSSIMO…
In questi giorni stavo studiando, o meglio, ristudiando le Apparizioni Mariane di Garabandal (per chi già le conosce non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni, mentre per coloro che ne hanno soltanto sentito parlare e vogliono approfondire, consiglio di leggere qui: http://ladivinavolonta.org/wp-content/uploads/2016/08/apparizionidiGarabandal.pdf , un breve ma documentato opuscolo, curato da un bravo e colto sacerdote, don Pablo Martin Sanguiao), Apparizioni avvenute fra il 1961 e il ’65 – più o meno gli stessi anni in cui si stava svolgendo il Concilio Vaticano II – nella frazione di San Sebastian de Garabandal, provincia di Santander, in Spagna.

La mia attenzione si è quindi soffermata su alcune parole pronunciate da una delle quattro veggenti, Mari Loli, che rispondeva a chi gli domandava appunto chiarimenti, sul Grande Avvertimento.


In questa Apparizione infatti, l’Avvertimento (che proviene da Dio, e che di seguito vedremo in cosa consiste) sarà preceduto da una particolare situazione sociale, diffusa a livello mondiale, la quale permetterà d’intuire che siamo ormai proprio molto prossimi al compiersi di detto Avvertimento.

Alla domanda: «Ricordi cosa abbia detto la Santa Vergine a proposito della tribolazione comunista che dovrebbe precedere l’Avvertimento?»

Mari Loli risponde: «Sembrerà come se il comunismo avesse invaso il mondo intero e fosse diventato difficile praticare la religione, per i sacerdoti sarà difficile dire Messa e per i fedeli aprire le chiese.»

Ho avuto allora come una felice intuizione – eppure l’avevo letta diverse volte prima – non riuscendo, sino ad ora, a capire cosa c’entrasse la “tribolazione comunista”, considerato il fatto che nel 1989 era già caduto il “muro di Berlino” e, benché in Cina, come in altri paesi, ci sia effettivamente ancora il comunismo, questo restava comunque circoscritto a quei determinati territori…

Ha proprio ragione chi ha detto che “le profezie si cominciano a capire dal momento che esse iniziano a compiersi”! Ed è così che stavolta ho fatto ben attenzione all’esatto significato delle parole “sembrerà come se il comunismo avesse invaso il mondo intero…” (poiché la veggente non dice, come invece ci si potrebbe aspettare, “il comunismo invaderà il mondo intero…”) ed ho quindi compreso, oggi, in piena emergenza ‘covid-19’, che tale virus, non casualmente proveniente dalla Cina comunista, ha fatto sì che l’agenda globalista (e questo termine lo conoscono molto bene coloro che s’interessano di geopolitica, specialmente considerata dal punto di vista dell’escatologia cristiana) ha potuto mettere in atto delle misure coercitive senza precedenti, contro la libertà personale, oltreché a porre un rigido controllo a livello individuale – misure che, fino a qualche mese fa nessuno, neppure lontanamente, si sarebbe mai immaginato potessero concretizzarsi – limitazioni attuate da tutti i governi del pianeta, a somiglianza appunto, di ciò che già avviene nei paesi a regime comunista (controllo della popolazione e dei relativi spostamenti, decisioni governative sulle attività economiche e sociali della gente), oggigiorno operate, non dal comunismo direttamente, bensì da quella “sinistra globalista” che detiene ben saldamente, ai nostri giorni, le redini della cultura, dell’informazione, dell’economia e – oggi: novità assoluta! – anche della Chiesa Cattolica, questa gradatamente evolutasi (a partire dal 2013) in una sorta di “agenzia onu”, ecologista, ambientalista, ecumenista e… appunto, filogovernativa!

Ecco perché, a stabilire il come e quando si debbano officiare riti e amministrare sacramenti, lo decide adesso con decreto (nel nostro caso in Italia, ma la situazione è pressoché identica nelle altre nazioni cristiane) un improbabile quanto inopportuno, ministro del consiglio di turno, oltretutto non eletto, e che rappresenta la “minoranza” del paese…

Ed ecco dunque il ‘lampo di comprensione’, finalmente, sulle parole “sarà diventato difficile praticare la religione: per i sacerdoti sarà difficile dire Messa e per i fedeli aprire le chiese” – giustappunto la situazione odierna! – aggiungendo pure, al fine di chiarimento ulteriore, un’altra domanda dell’intervistatore: «Sarà perché ci saranno persecuzioni e non perché la gente non sarà più praticante?»

Mari Loli risponde: «Sì, però penso che molti non praticheranno più. Chiunque vorrà praticare dovrà nascondersi.»

Ed ancora più esplicito ciò che riporta Don Pablo nel suo opuscolo: “Prima dell’Avvertimento verrà una tribolazione comunista [e ciò già sappiamo come vada inteso], sembrerà come se i ‘comunisti’ si siano impadroniti del mondo intero: sarà molto difficile praticare la religione, e che i sacerdoti possano celebrare la Messa o che il popolo possa aprire le porte delle chiese. Sembrerà che la Chiesa sia scomparsa, a motivo delle persecuzioni religiose, e perché molta gente lascerà di praticare la religione, ma chi la praticherà dovrà farlo clandestinamente. Per i sacerdoti sarà molto difficile poter celebrare la Messa. Questo accadrà dappertutto, in tutte le nazioni.”

Vediamo adesso, molto sinteticamente, cosa sia questo ‘Avvertimento’: «Sarà una cosa che verrà direttamente da Dio e che si potrà vedere in tutto il mondo, dovunque ognuno si troverà. Sarà una cosa soprannaturale, che la scienza non potrà spiegare. Lo si potrà vedere e sentire. Sarà come una rivelazione dei nostri peccati, e sarà visto e sperimentato sia dai credenti che dai non credenti e dalle persone di ogni religione. Sarà la correzione della coscienza del mondo, e anche quelli che non conoscono Cristo (che non sono cristiani), crederanno che è un Avvertimento di Dio. In quel momento tutte le persone del mondo vedranno un segnale, una grazia o un castigo nel loro interno, vale a dire, un Avvertimento. Ognuno si troverà totalmente solo nel mondo in quel momento, indipendentemente da dove stia, solo con la propria coscienza e davanti a Dio. Vedranno allora tutti i loro peccati e quello che i loro peccati hanno causato. Si tratta di un fenomeno che sarà visto e avvertito dappertutto nel mondo; sempre faccio l’esempio di due stelle che si scontrassero. Tale fenomeno non produrrà dei danni fisici, ma ci spaventerà, perché proprio in quel momento vedremo le nostre anime ed il danno che abbiamo fatto. Sarà come se fossimo in agonia, ma non moriremo a causa di ciò, sebbene sarà possibile morire dalla paura o dallo sgomento di vedere noi stessi.» (Conchita).


Davvero molto interessante ciò che ci dice, sempre la stessa veggente, Conchita, quando all’allora morte di Papa Giovanni XXIII, avvenuta nel 1963, la Madonna le rivela che: «Ancora tre Pontefici, e poi la fine dei tempi…», un termine preciso dunque, a quell’epoca ancora non compreso dalla veggente, ma che tuttavia non indicava affatto la fine del mondo, bensì, lo ripetiamo di nuovo, molto esattamente, dal punto di vista teologico: “la fine dei tempi”…

Ed anzi, per maggior precisione, Conchita aggiunse che “la Santa Vergine mi parlò di quattro papi, ma uno non lo teneva in conto, perché sarebbe durato poco tempo!”

E così viene confermata – una volta di più – la celebre profezia di san Malachia, arcivescovo di Armagh e maestro di san Bernardo, ché infatti, dopo Giovanni XXIII- Pastor et nauta, si sarebbero succeduti Paolo VI-Flos florum, Giovanni Paolo I-De medietate lunae, Giovanni Paolo II-De labore solis, ed infine Benedetto XVI-Gloria olivae.

Concludo quindi lanciando un’angosciata domanda, visto che di ciò si parla persino nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ai nn. 675-677, nei quali si tratta de L’ultima prova della Chiesa: “Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti… e che svelerà il ‘mistero d’iniquità’ sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia della verità.”

La domanda è dunque la seguente: «Ma se molti cattolici non si sono accorti, oggi, dell’attuale presenza ed azione del Falso Profeta, come riusciranno mai ad accorgersi, un domani, dell’ormai prossima ed imminente, comparsa ed azione della figura dell’Anticristo?».










domenica 10 maggio 2020

La liturgia e l’unica domanda che conta





Aldo Maria Valli, 10/05/2020

Cari amici di Duc in altum, volentieri vi propongo un contributo di don Marco Begato in tema di liturgia. Ii testo è uscito in inglese nel sito altaredei.com.


***



Mi occupo qui della tendenza di certi liturgisti contemporanei i quali propongono di operare per la creazione di nuovi riti, ispirati a una simbolica cosmico-esistenziale in senso ampio, in sostituzione o come evoluzione dei riti e dei costumi ecclesiali attuali.

Vorrei designare questa corrente come una sorta di terza via del mondo liturgico, alternativa alle due linee già diffuse, entrambe peraltro da scartare secondo tali esperti. Ma quali sarebbero queste due vie? E perché i nuovi esperti vorrebbero scartarle?


La prima via è quella della liturgia tradizionale, si tratti dell’antico rito tridentino o della riforma della liturgia attuale secondo il gusto ereditato dalla tradizione. L’una e l’altra opzione hanno visto in Benedetto XVI un sostenitore autorevole. Secondo i liturgisti contemporanei non è possibile salvare né realizzazioni né intenzioni di questa corrente. Chi ancora indugi su simili visioni dimostra di non aver colto il richiamo del Progresso dentro e fuori la Chiesa, è legato a un passato defunto e irraggiungibile. Su tale via incombe un giudizio di tipo storicistico e idealistico.

La seconda via è quella di chi ha provato ad assumere l’impegno della riforma liturgica negli anni Settanta, accogliendo in qualche modo la struttura fondamentale del nuovo Messale di Paolo VI, ma ornando l’atto liturgico con componenti tratte dalla cultura moderna: danze, strumenti, colori, recitazioni. L’esito spesso è stato di cattivo gusto estetico, si è certamente staccato con vigore dal costume liturgico tradizionale, ma sembra non aver trovato molta accoglienza nel popolo di Dio (a giudicare dallo svuotamento delle assemblee), né accompagnato i fedeli in un cammino spirituale sufficientemente solido e fruttuoso (a giudicare dalla impreparazione dei fedeli rimasti). I liturgisti contemporanei denunciano tali tentativi, li considerano un fallimento e vedono in essi il rischio di suscitare la richiesta di un ritorno alla tradizione.


Alla luce di ciò, gli innovatori si adoperano per proporre, come dicevo, una terza via liturgica, caratterizzata da grande ricercatezza estetica tanto a livello teorico quanto a livello pratico.

A livello teorico si va ad attingere a importanti riflessioni filosofico-teologiche, che insistono da un lato su elementi strutturali quali “simbolo” e “forma” e dall’altro su elementi antropologici esterni e interni: percezione, relazione, agire, corporeità. A livello pratico si cerca di riscoprire la forza intrinseca che si sprigiona dalla materia (pietra, cera, olio, acqua), dall’energia (luce, sonorità), dall’umanità (gesti di prossimità, sguardi, posizioni). L’esito è un prodotto artistico di discreta qualità, relativamente distante dagli esiti trash dello sperimentalismo anni Settanta (tutt’ora vigenti) e assolutamente separato da qualsivoglia richiamo alla tradizione liturgica ecclesiale.

Come possiamo giudicare tale posizione?

In primo luogo, noto una tendenza che accomuna i liturgisti ai teologi contemporanei: gli uni e gli altri lamentavano una eccessiva sudditanza della tradizione ecclesiale al mondo. Secondo i teologi attuali la Chiesa è stata troppo tempo in coda al pensiero aristotelico-tomista; secondo i liturgisti attuali la Chiesa è stata troppo tempo in coda a riti di impronta carolingia ed eurocentrica. Entrambi i gruppi però non riescono realmente a sganciare la Chiesa da forme di sudditanza di nuovo tipo. I teologi, finalmente liberi dalle metafisiche greco-scolastiche, sono ora in affanno per reggere il passo delle filosofie del nulla e dell’idealismo; i liturgisti sono proni ai piedi delle conquiste artistico-figurative del secolo scorso. Il gesto isolato, il minimalismo, la materia, i giochi di luci, la fisicità: tutti elementi del nuovo corso liturgico che sui teatri di mezzo mondo sanno di già visto.

In secondo luogo, e a partire da qui: l’insieme di tali elementi, un po’ simbolici e un po’ primitivisti, ampiamente teorizzati dai manifesti artistici del secolo scorso, si concentrano su aspetti di natura e di percezione antropologica, certamente interessanti e stimolanti, però anche spaventosamente neutri. Sospettosamente neutri.


L’insistenza su rito, simbolo, alterità, percezione è svolta nei manuali dedicati al tema in modo da potersi perfettamente predicare di qualsivoglia religione e divinità. Questo dovrebbe fortemente insospettirci, allorquando tali approcci sono pressoché gli unici invocati per il ripensamento del liturgico.
Quanto più si insiste su simili termini e si fa leva sulla centralità dell’uomo, quanto più si marginalizza il primato di Gesù Cristo, quanto più si dà rilevanza a ideali tratti dalla cultura non cristiana (tipico di tutte le sensibilità progressiste), tanto più sappiamo che ci troveremo a fare i conti con espressioni liturgiche generiche e anonime, al punto da poter risultare sincretiste e paganeggianti. Mi chiedo addirittura se ciò non possa implicare in qualche maniera un carattere anti-cristico.

A questo punto, anziché continuare a interrogarci sulle forme – tradizionali, sessantottine o simbolico-universali – sposterei la nostra domanda sull’unico contenuto di interesse che dovrebbe competere alla liturgia: dov’è Cristo?


Nell’approccio naturalistico: dov’è Cristo? Nella simbolica neopagana: dov’è Cristo? Nell’allontanamento dalla tradizione: dov’è Cristo? Nella cura dell’acqua, della luce, del volto: dov’è Cristo? Intendo, dove possiamo riconoscere quei segni come segni chiaramente riferiti a Cristo? Cosa ci assicura che, nell’attenzione posta sul corporeo o sulla creatività, ci si rivolga a Cristo e non si stia semplicemente evocando un rituale naturalistico, generico, cosmico e appunto in questo paganeggiante?

In conclusione: il motivo per cui non mi convince la proposta liturgica dei moderni, mentre al contrario mi sta interrogando profondamente la “prima via” (che ho scoperto tardivamente), è di ordine anzitutto teologico e cristologico, cristocentrico in particolare. Pur riconoscendo tutti gli avvicendamenti umani che hanno plasmato la liturgia cattolica dalle origini fino al XXI Concilio, il Vaticano II, resta che la celebrazione nel rito secondo la cura tradizionale mi comunica fortemente il principio cristocentrico: mi parla di Cristo, mette al centro Cristo, lo sento consegnato da Cristo (certo attraverso mediatori, non esclusa la mediazione data da una continuità culturale storica). Al contrario la proposta dei moderni non riesco a farla rientrare in nessuno degli elementi appena elencati.


Non trovo Cristo nella cascata di riferimenti sessantottini, espressione non di un’epoca (per esempio quella monastica, quella carolingia, quella tridentina) ma di una stagione (peraltro antireligiosa e storicamente sconfitta).

Non trovo con oggettiva chiarezza Cristo nelle proposte dei liturgisti contemporanei paganeggianti. Anzi, mi sia concesso tornare su di un timore prima evocato: l’affermazione di una tale raffinatissima e dottissima Liturgia, la quale mette al centro l’uomo e in ciò rimuove Cristo, ha per me un sapore anticristico senza se e senza ma. Anticristo non significa per forza un’azione consapevolmente opposta al mistero di Cristo; può essere benissimo un moto di quieto e quasi inconscio allontanamento dalla centralità di Cristo.

I pagani non celebravano Cristo perché ancora non lo conoscevano; noi per quale motivo dovremmo marginalizzarlo e posporlo al sentire antropologico e naturalista? Per quale motivo o almeno con quale esito? Con quale esito celebreremo l’uomo e la natura e il simbolo universale, se non con l’esito di allontanare Cristo? Fino a cacciarlo e scalzarlo.

E così, al di là dei movimenti culturali anticristiani e al di là di eventuali Stati o leader capaci di attirare a sé le masse e di manovrarle contro o senza Cristo (tutte possibili figure classiche dell’Anticristo), ecco che potremmo trovarci noi stessi – noi cristiani! – nella situazione di convocare il popolo di Dio senza Dio, di radunare l’assemblea cristiana senza Cristo, di svolgere il compito dell’Anticristo.


Ora, non so se qualche autore ne abbia mai parlato, ma rimango con una domanda che mi assilla: chi ha detto che l’Anticristo debba essere per forza una persona? E se fosse un rito?

Don Marco Begato, SdB










sabato 9 maggio 2020

Lo scandalo dei bimbi dell'utero in affitto bloccati in Ucraina (video choc)




CRONACA

Le immagini dei 46 neonati chiusi nell'albergo di una clinica della maternità surrogata sono strazianti. A prendere le loro parti non è stata la Chiesa né il mondo cattolico, ma la rete italiana delle femministe che, con una lettera all'ambasciatore italiano e a Di Maio, ribadiscono che l'«utero in affitto è un reato», per cui non può venire «concesso alcun permesso speciale per recarsi a “ritirare” i bambini». Che fare di loro? Lo spiegano bene le femministe.






Benedetta Frigerio 09-05-2020

Strillano, strillano, strillano. È un pianto straziante quello dei 46 neonati, soli nelle loro culle, una adiacente all’altra, privati della madre e del padre e strappati dai seni delle donne che li hanno messi al mondo.

È con le grida innocenti che comincia il video della clinica ucraina Biotexcom che il 30 aprile scorso ha messo in circolazione le immagini dei piccoli (incuranti della loro privacy) per confortare le persone che, avendo pagato profumatamente le pratiche dell’utero in affitto, si domandano in che stato siano i "prodotti". Immagini che provano a mascherare un crimine umanitario, fra i più crudeli che l'uomo abbia mai commesso, dietro ad una melassa sentimentale che però può convivere solo chi abbia il cuore veramente assuefatto dal relativismo. Sappiamo bene infatti di quanto bisogno abbiano i neonati, soprattutto nei primi istanti della vita, di sentire l’odore materno, di ricevere il latte dalla madre, di un ambiente sicuro, protetto, silenzioso.

Nel video i piccoli sono accuditi in uno stanzone da alcune babysitter come fossero bambole, come se questi figli non avessero diritto (come tutti gli altri bambini) al calore del seno e all’affetto di un papà. Privati dell'accoglienza gratuita di due genitori da cui si viene al mondo come un dono non prorio e misterioso, non come un prodotto di fabbrica di cui servirsi per accontentare i propri desideri.

Ma l'ipocrisia della pretesa confusa per amore porta, ad certo punto del video, una delle dirigenti della clinica ad avere il coraggio dire ai propri clienti che «ci spezza il cuore per questa situazione!», nonostante la situazione sia stata prodotta proprio da loro e da chi li ha pagati per mettere al mondo bambini come oggetti. Sì, perché nessun bambino nato naturalmente da mamma e papà oggi, nonostante il Covid-19, si trova in una situazione come questa. Ma siccome il diavolo fa le pentole e non i coperchi, prima o poi le contraddizioni del male emergono, come in questo filmato che mostra cosa può accadere quando la procreazione viene disgiunta dall'atto sessuale pur di soddisfare le voglie di un adulto (nella maggior parte di questi casi con tendenze omosessuali e deciso a privare il nascituro di una madre o di un padre).

«Alcuni Stati sono già andati incontro ai propri cittadini ed hanno avviato il processo», spiega l'avvocato Biotexcom, che sprona le coppie a rivolgersi al proprio ministero degli Esteri per chiedere una deroga al lockdown. Ma se la pratica, ancora vietata in Italia, viene di fatto tollerata nel silenzio, con i fatti alla luce del sole sarebbe gravissimo se le istituzioni, come richiesto nel video, facessero un’eccezione alle norme varate per l’emergenza Covid-19 mandando i colpevoli a ritirare il frutto del proprio reato.

A prendere le parti dei bimbi, che in diverse zone del mondo, non solo in Ucraina (dove Monica Ricci Sargentini su Il Corriere della Sera parla di 500 neonati bloccati), si trovano in questa situazione, e a difendere i loro diritti non è stata la Chiesa né il mondo cattolico, che da anni ha abbandonato le battaglie sui princìpi non negoziabili, ma la rete italiana delle femministe che condanna la pratica come abominevole. “Rete Italiana contro l’Utero in Affitto”, a cui aderiscono “In Radice-per l’Inviolabilità del Corpo Femminile”, “RadFem Italia”, “Se Non Ora Quando Libere”, “Udi” e perfino “Arcilesbica Nazionale”, ha inviato una lettera a Davide La Cecilia, ambasciatore italiano in Ucraina e al ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Nella missiva si chiede «di verificare le effettive condizioni di salute dei bambini e quanti e chi siano gli italiani clienti di Biotexcom e di altre cliniche», ribadendo che l’«utero in affitto è un reato e chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 600.000 a un milione di euro». Ragion per cui non può venire «concesso alcun permesso speciale, in deroga al lockdown, per recarsi a “ritirare” i bambini». Ma ieri sera Sargentini ha raccontato di aver chiamato l'ambasciatore per chiedergli se aveva ricevuto la lettera della Rete contro l'utero in affitto sul caso dei 46 neonati: «Non mi lascia nemmeno parlare. Mi zittisce con un no comment. Io rispondo: scusi ma non sa nemmeno cosa voglio chiederle? Lui: va bene, mi dica. Non appena pronuncio la parola bambini dice nuovamente no comment e attacca...Una reazione veramente scomposta che fa pensare».

Che fare allora di questi piccoli? Chi ne ha parlato, pur condannando la pratica, non fa ipotesi. Oppure pensa che, dato che ormai ci sono, questi bambini vadano consegnati alle coppie che hanno pagato somme ingenti per la loro venuta al mondo. Addirittura un articolo di Avvenire sulla vicenda si conclude così: «Il problema esiste però anche all’interno dei Paesi: The Indian Express ieri dava notizia di 17 neonati parcheggiati nell’Akanksha Infertility Center, nel Gujarat, uno dei centri di surrogata più grandi del Paese: i loro genitori committenti, tutte coppie indiane,…non possono raggiungere la clinica a causa del lockdown. E i bambini aspettano». Ma Sargentini che telefonato all'ambasciatore spiegando sul suo profilo Facebook così: «

Ma se si afferma che l’utero in affitto è un crimine gravissimo sia contro le donne sia contro i bambini, bisogna poi dire che le coppie che l'hanno favorito macchiandosi di un reato nei loro confronti non sono idonee a crescerli. Anzi, come ricorda la lettera delle femministe queste persone dovrebbero pagare le pene previste dalla legge. Inoltre, se si allontanano dalle case dei genitori naturali bambini verso cui vengono compiute violenze, per darli in affido o in adozione ad altre coppie, la logica vuole che anche in questo caso lo Stato italiano debba muoversi in questo senso, cercando coppie per l’affido o l’adozione. E tutto ciò va detto anche in forza dell’assenza di una legge che riconosce il diritto a coppie delle stesso sesso di avere figli.

E se dirlo è ritenuto troppo rischioso per chi preferisce non avere nemici, per fortuna ci hanno pensato sempre le femministe che concludono la loro lettera chiarendo che l’Italia dovrebbe attivarsi affinché i minori «vengano affidati, di preferenza, alle madri che li hanno messi al mondo. Oppure, se esse non possono o non intendono farsene carico, a famiglie che se ne possano prendere cura. O che vengano dichiarati in stato di adottabilità» (Per aderire all’appello scrivere a inviolabili01@gmail.com).








venerdì 8 maggio 2020

IL PROTOCOLLO SULLA MESSA. Ecco le liturgie biocompatibili.





ECCLESIA
Nel protocollo d’intesa Cei-Governo, la sicurezza è certamente garantita. Bene l’indicazione di aumentare il numero delle Messe e il non aver ceduto sui termoscanner. Ingiustificato il “no” all’acquasantiera, a Cresime e Prime Comunioni, e la mancanza dell’eccezione al distanziamento per i nuclei familiari. Misure confuse e iper-igieniste sull’Eucaristia. Resta di buono che potrà essere distribuita anche in bocca.






Paolo Gulisano, 08-05-2020

Per la prima volta nella storia, dovremo sperimentare delle celebrazioni liturgiche biocompatibili con un’epidemia. Il tutto sarà regolato dal protocollo per il quale la CEI ha ottenuto l’autorizzazione dal “Comitato tecnico-scientifico” che supporta le decisioni del presidente del Consiglio.

In realtà c’è un precedente storico per quanto riguarda il fatto che un’autorità statale possa fissare le norme per le celebrazioni liturgiche, ed è lo scisma anglicano di Enrico VIII. Ma in quel caso le motivazioni non erano di tipo igienico-sanitario come oggi.

Cosa si può dire di questa regolamentazione? Se la prima preoccupazione dei governanti, così come dei vescovi, era la sicurezza - cioè il fatto che un fedele o un sacerdote possa partecipare alla Messa senza che ciò rappresenti un’occasione di contagio - possiamo dire che il protocollo la garantisce a sufficienza. Naturalmente il rischio non può essere azzerato, così come per nessun’altra attività, peraltro. Una chiesa non è assolutamente un luogo più a rischio di un supermercato, un centro commerciale, una tabaccheria, un’edicola, e soprattutto un ospedale, luogo di contagio per eccellenza.

Il protocollo prende in considerazione i princìpi fondamentali della prevenzione di una malattia trasmissibile, ovvero il distanziamento di un metro tra una persona e l’altra, e quindi avremo una partecipazione di popolo più diradata, quantomeno dimezzata. Il protocollo recepisce fortunatamente l’indicazione che era stata suggerita di aumentare il numero di Messe. Quindi, niente sciagurati “maxischermi” come qualcuno aveva ventilato, con celebrazioni in due settori, quello interno e quello esterno. La CEI è riuscita anche ad evitare l’imposizione di Messe tutte all’aperto, che non aveva alcun senso da un punto di vista sanitario, col rischio poi tra qualche settimana - quando esploderà il caldo - di patologie da insolazioni o colpi di calore. Dunque tutti in chiesa, anche se contingentati.

La CEI è riuscita ad evitare anche l’imposizione dei costosi termoscanner, o di altre procedure di misurazione della temperatura. È prevalso un criterio di autoresponsabilità: se non sto bene, se ho la febbre, non vado a Messa. Più problematica è invece un’altra richiesta del protocollo: niente celebrazione per chi è stato in contatto con “persone positive” nei giorni (quanti?) precedenti. Anche qui comunque ci si deve appellare al senso di responsabilità dei fedeli, e all’ovvia evidenza che se uno è un contagiato o un familiare convivente dovrebbe essere stato già posto in quarantena dalle autorità sanitarie locali.

Varcata la fatidica soglia della chiesa, cosa attende il fedele? Non c’è l’acquasantiera, ma il dispenser del disinfettante per le mani. Il no all’acquasantiera da un punto di vista medico è ingiustificato: non c’è infatti nessuna evidenza scientifica che il Covid-19 sopravviva nell’acqua. Ma evidentemente i tecnocrati hanno manifestato dei dubbi sulle qualità organolettiche dell’H2O benedetta. In compenso ci sono i dispenser, perché - a differenza di quanto era stato suggerito - non è previsto l’uso di guanti. Un’assenza quantomeno strana. Quindi a Messa a mani nude, ma disinfettate. Mani che non ne stringeranno altre, perché non c’è più nella celebrazione lo scambio della pace. Un addio (o un arrivederci?) senza alcun rimpianto vista la confusione che spesso questo gesto comportava.

Avremo Messe decisamente più composte, e per di più senza cori o coretti, non previsti dal protocollo. Solo musica d’organo. Anche qui potremmo dire che non tutti i protocolli vengon per nuocere. E nemmeno avremo le collette: le offerte dovranno essere versate in appositi contenitori. Insomma: ci sarà una certa cura affinché siano limitati al minimo i contatti fisici, possibili fonti di trasmissione del virus.

C’è tuttavia una criticità: si era suggerito ai Vescovi di consentire un’eccezione alla norma del distanziamento dei fedeli sulle panche: i nuclei familiari. Una famiglia vive insieme, mangia insieme, dorme insieme. Che senso ha che in chiesa debba essere “distanziata”? Una famiglia - ad esempio - di cinque persone dovrebbe occupare ben tre panche. E i bambini piccoli? Devono stare all’estremità di una panca, lontani dai genitori? Si rischia che i bambini non vengano più a Messa, o che le famiglie vi vengano scaglionate.

Veniamo poi ad una misura che era stata oggetto nei giorni scorsi di varie ipotesi e illazioni: la distribuzione della Comunione. Purtroppo questo protocollo si è dimenticato di indicare come i fedeli devono recarsi a riceverla. Erano state date delle indicazioni sul distanziamento e sull’“incolonnamento” dei fedeli, ma non sono state recepite, così come l’indicazione che a distribuirla fosse il solo celebrante, il quale si era precedentemente disinfettato le mani. I “ministri straordinari” non resteranno disoccupati, perché bardati con guanti (loro sì) e mascherine di ordinanza potranno ancora distribuire la Comunione. A proposito di mascherine: anche se la misura del distanziamento le renderebbe non indispensabili, queste sono ormai un oggetto-simbolo della nuova società pandemica, e quindi sono state imposte dalle disposizioni. Ciò purtroppo darà all’assemblea dei fedeli un aspetto davvero spettrale. Speriamo dunque che l’obbligo di mascherina sia molto transitorio.

Ma torniamo all’Eucaristia: il sacerdote dopo essersi igienizzato le mani, aver indossato i guanti, e con la mascherina sul viso, avrà cura - dice il protocollo - “di offrire l’ostia senza venire in contatto con le mani dei fedeli”. Già, perché le mani dei fedeli potrebbero essere contaminate. Quindi, questo passaggio può essere interpretato in due modi: il celebrante lascia cadere la Particola sulle mani, oppure la posa sulle labbra del fedele avendo cura di non venire a contatto con esse. La Comunione può dunque essere fatta in tutte e due le modalità oggi previste, mentre in un primo tempo si parlava di un’esclusiva della Comunione sulla mano.

Resta una perplessità: se questo “passaggio” dell’Ostia è giudicato tanto critico da far mettere al celebrante i guanti, a rigor di medicina i guanti stessi andrebbero cambiati ogni volta che si “consegna” la Comunione. O meglio ancora sarebbe ogni volta disinfettare le mani. Un po' macchinosa come operazione.

Infine, una perplessità: alla luce di queste indicazioni, possono essere anche celebrati i Sacramenti della Riconciliazione (al di fuori del confessionale), nonché funerali, matrimoni e battesimi. Stranamente escluse sono le Cresime. A cui si aggiungono le Prime Comunioni. Non se ne comprende proprio il motivo: la celebrazione di questo importantissimo Sacramento potrebbe avvenire tranquillamente con un ridotto numero di partecipanti, cresimandi, padrini e madrine, parenti. Certo: i Vescovi dovrebbero sobbarcarsi l’impegno di moltiplicare gli impegni pastorali in cui celebrare questo Sacramento, ma i tempi difficili richiedono a tutti un surplus di impegno, e siamo certi che i Pastori non vorranno tirarsi indietro. Ci auguriamo dunque che questo punto del protocollo venga presto rivisto.

Da ultimo, tra le raccomandazioni finali del protocollo c’è il suggerimento, che non c’entra nulla con le misure di sicurezza sanitaria, di favorire le trasmissioni delle celebrazioni in modalità streaming. In realtà questo tipo di Cyberchiesa è proprio quella che i fedeli vogliono lasciarsi quanto prima alle spalle come un brutto ricordo del triste tempo dell’epidemia.


Paolo Gulisano