giovedì 31 marzo 2022

Sulla guerra. Impossibile vivere con il male come se non ci fosse







Silvio Brachetta, 31-03-2022

Prima di dire qualcosa della guerra, o della dottrina cattolica sulla guerra, è importante definire la pace, in senso cristiano. La parola «pace», nel Vangelo, non è univoca e ha un duplice significato. C’è la pace di Cristo, innanzi tutto: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi»[1]. C’è, dunque, una pace di Dio e una pace del mondo, che non viene da Dio. Di questa pace mondana, Cristo dice: «Non crediate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada»[2].

Si tratta, in questo caso – scrive san Tommaso d’Aquino –, della «pace cattiva», avversata da coloro che «fanno delle guerre giuste», i quali «hanno di mira la pace» di Cristo[3]. San Tommaso, assieme a tutta la tradizione apostolica[4], distingue tra pace buona e pace cattiva, così come tra guerra giusta e guerra ingiusta. Del resto Tommaso cita in abbondanza sant’Agostino d’Ippona, in questa sua questione sulla guerra. Agostino, a sua volta, è sostenuto dall’insegnamento di san Giovanni Battista – e quindi della Rivelazione – che dice ai militari: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe»[5]. Non dice loro che «viene proibito il mestiere del soldato», aggiunge Tommaso.

Guerra giusta e ingiusta

Tre cose si richiedono – afferma Tommaso – perché una guerra sia giusta: che sia proclamata dal principe (dal potere politico) a motivo di difesa; che vi sia una «giusta causa», ovvero una «colpa» evidente nel nemico da combattere; che l’intenzione di chi combatte sia retta e non sostenuta da cupidigia o crudeltà. È, infatti, Agostino a dire che «si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie» e san Paolo a insegnare che il principe «non porta la spada inutilmente», poiché «è ministro di Dio e vindice nell’ira divina per chi fa il male»[6].

Come mai, allora, Gesù ha detto «Tutti coloro che prenderanno la spada periranno di spada.»[7]? Anche qua risponde Agostino: il «magistero divino ha fatto delle eccezioni alla legge di non uccidere»[8]. E le eccezioni sono queste: i «casi d’individui che Dio ordina di uccidere sia per legge costituita o per espresso comando rivolto temporaneamente a una persona». Detto con più chiarezza: «non uccide chi deve la prestazione al magistrato» e «non trasgrediscono affatto il comandamento […] coloro che han fatto la guerra per comando di Dio ovvero, rappresentando la forza del pubblico potere, secondo le sue leggi, cioè a norma di un ordinamento della giusta ragione, han punito i delinquenti con la morte»[9].

Quanto poi alla guerra ingiusta, ne tratta ancora Agostino, citato da Tommaso nella Summa: «Sono giustamente riprovate nella guerra la brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere»[10]. In questo caso l’uomo ridiventa un omicida e la guerra è illegittima.

Guerra e Provvidenza


Giusta o ingiusta, la guerra resta però un orrendo spargimento di sangue e un grande male, anche per via dei molti innocenti coinvolti. Benedetto XV, riferendosi al primo conflitto mondiale, definisce questa guerra «calamità», «follia universale», «carneficina» e «inutile strage»[11]. Specialmente la guerra moderna ha coinvolto non solo i militari, ma anche i civili giungendo, nel XX secolo, a provocare la morte di milioni di persone. Questo tipo di guerra andrebbe certamente evitata, ricordando che fino al Medioevo ed oltre la guerra era affare quasi esclusivo dei militari e degli eserciti; e non contemplava nemmeno la leva di massa, sopraggiunta con la modernità.

La divina Provvidenza permette la guerra, così come altre catastrofi (alluvioni, terremoti, epidemie), perché Dio sa trarre il bene anche dal male causato dall’uomo. L’uomo è autore diretto delle guerre e responsabile indiretto dei cataclismi naturali, che la divina giustizia consente a causa del peccato umano, originale o attuale. La guerra, come attesta la Scrittura, non abbandonerà mai la storia, sebbene possano verificarsi lunghi o brevi periodi di non belligeranza. Si tratta della «pace cattiva» di san Tommaso, della pace mondana, in cui la tregua delle armi non corrisponde alla pace secondo il volere di Dio, che si può avere solo con la penitenza e la conversione del cuore.

Sembra da escludere, inoltre, che la guerra – in senso globale – possa essere un bene, anche se combattuta da alcuni a fin di bene. Per un esercito che si difende, infatti, ce n’è uno che attacca: il conflitto che si origina è dunque cattivo nel suo insieme, anche solo a causa degli innocenti coinvolti.

Paradiso e pace socialista


La guerra è un mistero, che però l’uomo può e deve accostare, con l’aiuto della grazia. È, anzi, solo per mezzo del cristianesimo e della Rivelazione che può venire una qualche luce all’intelletto umano. Ne è convinto, tra altri, il filosofo russo Nikolaj Berdjaev (1874-1948), che pone la lotta, anche sanguinosa, tra gli uomini come il «frutto del dissidio del peccato»[12].

La guerra, secondo Berdjaev, è «un grande bene» e «un grande male» allo stesso tempo, essendo «antinomica per natura». Nella guerra vi è tutta la contraddizione e la tragedia dell’umana esistenza, essendovi in essa una continua tensione tra l’odio e l’amore, così come tra l’ombra e la luce. Eppure la guerra viene a mettere in crisi – nel senso di sconfessare apertamente – gran parte delle suggestioni moderne e socialiste, per le quali tutto è misurabile e prevedibile (razionalismo, positivismo, scientismo), oppure tutto è pace fraterna senza espiazione (socialismo, pacifismo), o ancora tutto è fisso (democratismo), mentre la storia è un evidente «dinamismo». La modernità, insomma, nega la realtà stessa dell’uomo, come individuo e come essere sociale.

Gli scopi della guerra sono troppo misteriosi e incomprensibili per un razionalista, sono troppo meschini per chi crede che con la morte fisica finisca tutto e, soprattutto, per chi non riconosce che il mondo ha una vocazione, un telos, un significato che deve compiersi – ogni cosa, cioè, è in «lotta per realizzare il proprio fine nel mondo». Inutilmente la pretesa democratica cercherà di razionalizzare la guerra, come inutilmente la rivoluzione cercherà d’imporre il paradiso sulla terra, nonostante sia ben chiaro che «la nostra vita pacifica è piena d’odio e di rancore».

Qua Berdjaev è molto chiaro: il rivoluzionario s’illude che sia possibile «convivere con il male come se non ci fosse», convinto che il movimento della pace vada dall’esterno all’interno, dalle istituzioni al cuore. L’ideologia socialista predica pace e fratellanza, creando però solo «simulacri esteriori». Al posto dell’Apocalisse – che descrive la fondazione della Gerusalemme celeste dopo la restaurazione interiore del cuore umano – il rivoluzionario sostituisce il Millenarismo – che, al contrario, fonda la Gerusalemme nel secolo e pretende che sia santa per umana virtù.

Via del penitente e dovere del principe


Con il Millenarismo socialista, ateo e pacifista, poi, si pone la guerra alle spalle e l’avvenire radioso nel futuro. Non così insegna l’Apocalisse di Cristo: alla fine della storia vi saranno conflitti terribili, fame, pestilenza e ingiustizia. Lungo tutta la storia vi è una «lotta tremenda» tra «il regno dell’anticristo e il regno di Cristo»; per questo motivo «il sentimento apocalittico della storia è tragico».

Berdjaev non intende dire affatto che la via da seguire sia l’appoggio alle guerre. Tutt’altro: «È peccato desiderare solo la guerra e inebriarsi di essa. È empio. Bisogna desiderare anche la pace, bisogna sentire l’afflizione e l’orrore della guerra». Però «la guerra non è un male in sé, ma è piuttosto legata al male, è una conseguenza del male più profondo», che ha origine nel peccato. Berdjaev rimprovera alla modernità di essere superficiale ed ingenua, poiché cercando (invano) di eliminare la tensione, il pathos, tra bene e male, essa esce dalla concretezza e si rinchiude nella fantasia.

È fantasia credere che l’ordine e la tranquillità siano definitivi e oramai acquisiti. Ed è pure una fantasia pensare che le nazioni e gli stati non nascano dalle annessioni armate. La polemos di Eraclito regge il mondo e Berdjaev si limita in fondo a dire che la guerra non è contro l’ordine del mondo, ma è prevista da esso. Tra nazioni e stati vi è, inoltre, una tensione o «forza ontologica», che impone di andare a perfezione nell’essenza. È chiaro che si va a perfezione nella pace del cuore e nella misericordia, ma non tutti gli uomini scelgono questa strada – e ve ne saranno di costoro fino al giorno del giudizio. Costruire pace e fratellanza, allora, significa in Berdjaev un duplice atteggiamento nei confronti delle vicende storiche: cercare la pace e la conversione (via del penitente), ma anche proteggere le esigenze della giustizia (dovere del principe).



(Foto: Opera di Giulio Aristide Sartorio)



[1] Gv 14, 27.

[2] Mt 10, 34.

[3] S. Th., IIª-IIae, q. 40, art. I. Tutta la quaestio 40 tratta della guerra.

[4] È la dottrina degli apostoli, diffusa, interpretata e codificata dai Padri e dai Dottori della Chiesa.

[5] Lc 3, 14.

[6] Rm 13, 4.

[7] Mt 26, 52.

[8] Agostino d’Ippona, De civitate Dei, I, 21.

[9] Ivi.

[10] S. Th., cit., ibidem.

[11] Benedetto XV, Lettera ai capi dei popoli belligeranti, 1 agosto 1917.

[12] N. Berdjaev, “Sulla guerra”, in Lettere ai miei nemici. Filosofia della disuguaglianza, La Casa di Matriona, Milano 2014, pp. 233-245. Tutte le citazioni successive, ove non diversamente specificato, sono tratte da qui.






mercoledì 30 marzo 2022

LE LINEE GUIDA dell'Oms: Aborto fino alla nascita. Richiesta orribile





Nelle sue nuove linee guida, l’Organizzazione mondiale della sanità chiede ai Paesi membri di abrogare le leggi anti-aborto che fissano “limiti gestazionali” e che violerebbero i diritti di “donne, ragazze o altre persone incinte” (sic!). L’Oms attacca anche l’obiezione di coscienza. Esultano i gruppi abortisti. Ma la competenza in materia spetta sempre agli Stati.




Luca Volontè, 30-03-2022

Non c’è più alcun dubbio: l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ormai è massicciamente dedita a tentare di imporre a tutti i Paesi del mondo l’aborto illimitato.

Le nuove linee guida pubblicate dall’organizzazione dell’Onu con sede a Ginevra, ampiamente controllata e condizionata dai finanziamenti delle multinazionali del farmaco e dalle fondazioni ‘filantropiche’ dei soliti noti, chiedono ai Paesi membri di legalizzare l’aborto senza alcun limite di tempo gestazionale. Già il titolo fa rabbrividire: “Abortion care guideline”, l’aborto linguisticamente camuffato in una cura per le donne, dove l’omicidio del bambino sarebbe l’unico strumento della “cura” delle gestanti. Già l’inglese Daily Mail nei giorni scorsi ha fatto un’analisi obiettiva delle linee guida, pubblicate dall’Oms il 9 marzo. Ma anche oltreoceano si sono levate voci di profondo dissenso sia per il metodo seguito nell’elaborazione del testo, sia per l’inaccettabile e indifendibile contenuto.

Le nuove linee guida affermano che le leggi che impediscono l’aborto in qualsiasi momento della gravidanza rischiano di violare i diritti di “donne, ragazze o altre persone incinte”
. Da notare il linguaggio in ossequio all’ideologia transgender e il bando della parola “mamma”. Il testo raccomanda: la “piena decriminalizzazione dell’aborto” e la rottamazione delle leggi e dei regolamenti che “proibiscono l’aborto sulla base dei limiti gestazionali” e “limitano l’aborto” per qualsiasi motivo; si afferma che una serie di 21 studi diversi avrebbe valutato i limiti legislativi alle interruzioni di gravidanza più tardive (dal 3° al 9° mese) “incompatibili con il rispetto dei diritti umani” internazionalmente riconosciuti.

Non è tutto. L’Oms vuole anche limitare al minimo i diritti all’obiezione di coscienza medica (“se si dimostra impossibile regolare l’obiezione di coscienza in un modo che rispetti, protegga e compia i diritti di chi cerca di abortire, l’obiezione di coscienza nella fornitura di aborti può diventare indifendibile”) e permettere pure l’aborto selettivo in base al sesso del nascituro. In particolare gli Stati dovrebbero: permettere l’aborto in tutte le circostanze; permettere alle donne di bypassare l’approvazione di un medico o di un infermiere per avere un’interruzione di gravidanza; permettere le “pillole abortive per posta”, anche solo dopo una telefonata; limitare il diritto dei professionisti medici di rifiutarsi di prendere parte agli aborti per motivi di coscienza.

Da nessuna parte nel documento di 210 pagine (incluse le raccomandazioni) si parla dei diritti del nascituro, né del fatto che perfino molti abortisti considerano immorale abortire dopo 22-24 settimane, quando il feto ha buone possibilità di sopravvivere se nasce prematuramente. “Essere in grado di ottenere un aborto sicuro è una parte cruciale dell’assistenza sanitaria”, ha detto alla presentazione del documento Craig Lissner, direttore ad interim per la salute sessuale riproduttiva e la ricerca all’Oms. “Quasi tutte le morti e le ferite che derivano da un aborto non sicuro sono interamente prevenibili. Ecco perché raccomandiamo che le donne e le ragazze possano accedere all’aborto e ai servizi di pianificazione familiare quando ne hanno bisogno”. Il concetto dell’Oms è tanto chiaro quanto falso: le ragazze incinte muoiono per le difficoltà che incontrano nell’abortire e dunque salviamole liberalizzando la soppressione dei loro bambini. Queste linee guida rendono chiaro che la preoccupazione qui non è per le donne, ma piuttosto per espandere le politiche anti-nataliste, eugenetiche e maltusiane, facendo ingrassare i conti delle multinazionali dell’aborto.

Tra le voci critiche c’è quella di Elyssa Koren, direttrice dell’Adf International presso l’Onu, che ha denunciato come “l’Organizzazione mondiale della sanità sta cercando di far leva sulla sua enorme influenza e sul suo potere di bilancio per intaccare le disposizioni internazionali e stabilire un nuovo regime giuridico che approvi i 'diritti' all’aborto senza limiti e senza diritto all’obiezione di coscienza”.

Una breve scorsa agli esperti esterni che hanno contribuito alla stesura del documento fa ben capire di che pasta son fatti: dei 12 esperti responsabili della redazione finale, elencati a pag. 158, ben 8 sono parte integrante delle multinazionali abortiste International Planned Parenthood Federation, Marie Stopes International o loro affiliati, altri provengono da governi o università ultrabortiste. La cosiddetta esperta sui diritti umani, Christina Zampas, è responsabile per l’Onu della multinazionale abortista Center for Reproductive Rights di Ginevra. Nessuno degli esperti ha dichiarato di avere un “conflitto di interessi”. Uno scandalo allo stato puro.

Esulta, intanto, il direttore generale dell’Ippf, Alvaro Bermejo, che ha assicurato il proprio impegno “a stretto contatto” con l’Oms perché si attuino le nuove linee guida, “sia all'interno dell’Ippf che con i governi e i partner”. La rete degli abortisti è già al lavoro e, a pochi giorni dalla pubblicazione dell’Oms, un Tribunale in Kenya ha deliberato come l’aborto sia un diritto umano e - seppur vietato dalla Costituzione - Governo e Parlamento devono liberalizzarlo. Avviso ai naviganti: l’Oms non ha alcuna autorità legale per imporre l’aborto, materia di competenza dei singoli Stati, e il nascituro è riconosciuto da convenzioni internazionali come una persona con diritti.




L’abolizione dell’Uomo. Condizione odierna e previsioni di C. S. Lewis







Fabio Trevisan, 30-03-2022

Nel 1943 Clive Staples Lewis (1898-1963) pubblicava una raccolta di tre brevi saggi, dal titolo: “L’abolizione dell’Uomo”, che costituiranno la base dei contenuti espressi in quel racconto inquietante del 1945: “Quell’orribile forza”, il cui sottotitolo, Una favola moderna per adulti, sembrava stemperare l’incubo descritto nel libro. Per accostarsi al pensiero lungimirante di Lewis è necessario leggere e meditare le sue profonde analisi senza alcuna fretta. Credo che abbia ancora molto da insegnarci, soprattutto in merito alla comprensione delle condizioni storico-sociali che stiamo vivendo. Dobbiamo evitare quindi dannose scorciatoie di pensiero, pregiudizi irriflessi, lasciandoci così sorprendere dalla stupefacente genialità e attualità di questo grande scrittore. Ad esempio, iniziamo a chiederci cosa Lewis intendesse veramente con il titolo del primo saggio: “Uomini senza petto”, tappa per l’approdo finale dell’abolizione dell’Uomo.

Uomini senza petto


Elaborato nel contesto del sistema educativo, questo primo saggio contraddice quanto ancor oggi viene sottolineato con il luogo comune: “Bisogna superare il sentimentalismo o l’emotivismo con la ragione”. Lewis contesta, soprattutto in merito all’educazione delle nuove generazioni, la convinzione che tutte le emozioni suscitate dalle associazioni di idee siano in sé stesse contrarie alla ragione. “Il compito degli educatori moderni – osserva il grande scrittore nativo dell’Irlanda del Nord – non è di sfrondare le giungle, ma di irrigare i deserti. La giusta difesa contro i falsi sentimenti è di inculcare giusti sentimenti”. Non si trattava quindi di salvaguardare le menti contro le emozioni ma, recuperando Sant’Agostino del De Civitate Dei, definire la virtù ordo amoris, l’ordinata distribuzione degli affetti in cui a ogni oggetto è tributato quel genere e grado di amore che gli è appropriato. L’educazione moderna era volta, secondo Lewis, a produrre Uomini senza Petto, ove per Petto egli intendeva l’indispensabile collegamento tra uomo cerebrale e uomo viscerale; era in forza del Petto, sosteneva Lewis recuperando teologi e filosofi medievali come ad esempio Alano di Lilla, che le emozioni erano organizzate in sentimenti stabili e in cui l’uomo poteva diventare un vero uomo. Oltre allo sviluppo del pensiero – sosteneva Lewis – non si doveva impedire che la fertile e generosa emozione facesse la sua parte. L’atrofia del petto -concludeva Lewis- faceva apparire la testa più grande dell’ordinario. Il problema educativo non doveva considerare tutti i sentimenti come non-razionali, quasi fossero un velo tra il soggetto e gli oggetti reali. Non considerare il Petto significava portare avanti il ridimensionamento dell’Uomo, in quanto la testa governava il ventre per mezzo del petto.

Quale strada percorrere?

Nel secondo saggio, La via, Lewis si interrogava su quale strada intraprendere per evitare la distruzione della società e l’abolizione dell’Uomo, mettendo a confronto la saggezza antica originaria delle idee platoniche, aristoteliche, stoiche, cristiane e orientali, rinvenendo nella dottrina del valore oggettivo ciò che le accomunava tutte. Scelse l’espressione Tao quale Via da percorrere non tanto per un debito verso la secolare cultura tradizionale e religiosa cinese, quanto perché il Tao indicava, secondo le testuali parole dell’autore, la realtà oggettiva di là da tutti i predicati: “Poiché i nostri consensi e dissensi sono riconoscimenti di un valore oggettivo o reazioni a un ordine oggettivo, ecco che gli stati d’animo possono essere in armonia con la ragione o in disarmonia con la ragione… il cuore non potrà mai prendere il posto della testa: ma può, e dovrebbe, obbedirle”. Quella che Lewis indicava come Via, il Tao, si sarebbe potuto chiamare, secondo le stesse parole dell’autore, Legge Naturale o Morale Tradizionale o Primi Principi della Ragione Pratica o Primi Luoghi Comuni (le maiuscole erano così scritte dall’autore medesimo).

Cosa rappresentavano allora i sistemi ideologici moderni, dall’evoluzionismo all’eugenetica, dallo scientismo al transumanesimo, se non la pretesa esasperata di strappare un frammento del Tao dal contesto globale e, dopo averlo isolato, imporlo arbitrariamente? Ecco, come, attraverso una significativa immagine, Lewis condensava la rivolta delle ideologie contro il Tao: “È la rivolta dei rami contro l’albero: distruggendolo, i ribelli scoprirebbero di avere distrutto sé stessi”. Nell’illustrata Appendice a conclusione del libro, di là dall’intenzione di fornire paralleli eruditi, Lewis confrontava ed evidenziava un medesimo nucleo di Legge Naturale che scaturiva dalle fonti sapienziali dell’Antico Egitto fino a quello Ebraico, dall’Induismo agli Analetti di Confucio, dai Greci ai Latini, dall’Antico Norvegese al Babilonese, fino ad arrivare agli Aborigeni australiani e ai Pellirosse.

Il potere dell’Uomo sulla Natura


Nell’ultimo saggio, dal titolo L’abolizione dell’Uomo, Lewis si chiedeva cosa significasse il potere dell’Uomo sempre più esteso sulla Natura, portando ad esempio tre oggetti: l’aeroplano, la radio, i contraccettivi, scorgendo in essi quanto l’Uomo ne fosse dipendente, dalle bombe dell’aeroplano a quelle propagandistiche della radio fino alla contraccezione, attraverso la quale veniva negata l’esistenza. Il potere dell’Uomo sulla natura si configurava quindi come un dominio di alcuni uomini sopra molti altri uomini. Quando ancora oggi ci si preoccupa quale mondo migliore lasciare ai nostri figli, l’argomento sarebbe stato ridimensionato da Lewis, in quanto egli sottolineava che le generazioni successive sarebbero state indebolite, in quanto soggette all’ipoteca dei grandi pianificatori e condizionatori. Nel rimarcare quindi il potere di alcuni di fare degli altri ciò che vogliono, Lewis paventava l’ultimo stadio della lotta dell’Uomo con la Natura, con la possibilità di produrre coscienza e quale genere di coscienza; quale Via, o Tao artificiale produrre, quale tipo di concetto di “bene” instillare. Questa piccola minoranza di Condizionatori, una volta allontanatisi dal Tao, avrebbero fatto un salto nel vuoto arrivando a produrre artefatti umani: “La conquista finale dell’Uomo si è rivelata come l’abolizione dell’Uomo”. Con la liquefazione dell’Uomo dovuta ai condizionamenti subiti, l’Uomo diventava in realtà schiavo e fantoccio di colui al quale avrà ceduto l’anima: “Una volta che abbiamo rinunciato alle nostre anime, il potere così acquistato non ci apparterrà”. In questo processo senza limiti e senza controllo, dove i valori tradizionali erano ridimensionati e dove il genere umano era modellato secondo la volontà di alcuni, il problema sarebbe stato quello di sottomettere la realtà ai desideri dell’Uomo e non, come la saggezza dei tempi antichi, conformare l’anima alla realtà.

Conclusioni

Il campanello d’allarme suonato un’ottantina di anni fa da Lewis era volto a recuperare nell’uomo la sua originaria unità tra anima e corpo, tra giusti sentimenti e ragioni plausibili, tra immaginazione creatrice e, al tempo stesso, razionale e affetti saldi ben riposti: “L’uomo che definiva sublime la cascata non intendeva semplicemente descrivere le proprie emozioni: proclamava anche che l’oggetto (la cascata) era tale da meritarle”. Il rifiuto della Strada Maestra, della Legge Naturale, della Via o del Tao avrebbe portato, come ammoniva con lungimiranza Clive Staples Lewis, all’abolizione dell’Uomo, alla produzione di “scimmie vestite” o “beoti cittadini”. Nello stadio finale della conquista, la natura umana sarà l’ultima parte della Natura ad arrendersi all’Uomo. Allora la battaglia – ammoniva perentoriamente Lewis – sarà vinta e pochi saranno liberi di fare di miliardi di altri uomini qualsiasi cosa vogliono.






martedì 29 marzo 2022

Giovanni Formicola: "Il modernismo sociale"

Riprendiamo da Messa in latino un interessante analisi di Giovanni Formicola sul cosiddetto, "modernismo sociale".




27 MARZO 2022

Dopo il golpe dell’Ottobre in Russia da parte dei bolscevichi, una dopo l’altro falliscono o si esauriscono le insurrezioni armate, gli assalti al potere attuati o tentati sul modello di quello del comunismo russo. Episodio determinante, che costringe il mondo comunista a ripensare la sua tattica, è il cosiddetto «”miracolo della Vistola” – la battaglia in cui, il 15 agosto 1920, l’esercito dello Stato polacco “risuscitato” sotto la guida del maresciallo Jòzef Piłsudski [1867-1935], fermò davanti a Varsavia l’Armata Rossa in marcia verso il cuore dell’Europa per sostenere manu militari i moti spartachisti tedeschi» (Cantoni [1938-2020], 1994, 3 inedito). 

Tale episodio, insieme con tutti gli altri fallimenti, sollecita una riflessione, che trova nell’italiano Antonio Gramsci (1891-1937) uno dei suoi maggiori protagonisti, sulle «difficoltà della Rivoluzione nei paesi a grande articolazione sociale, cioè nei cosiddetti “punti alti” del capitalismo» (Ibidem), che porterà alla elaborazione di una via per la quale «l’egemonia culturale ha il primato su quella politica» (Ibidem). «[…] Gramsci – che intendeva riferirsi in particolare all’Italia e in generale ai Paesi occidentali – chiariva come […] il primato della coscienza sull’essere, […] si rendeva indispensabile» (Settembrini, 1997, 71). 

La Rivoluzione – di cui il comunismo è allora l’ala marciante, ma che consiste più in generale in un tematico e titanico sforzo anti-cristiano di allontanarsi dall’ordine dell’essere, cioè dalla verità, per fondare un mondo nuovo, dal quale Dio sia stato definitivamente espulso, per un uomo nuovo, e quindi è progressismo radicale –, dunque, si dava una curvatura culturale: l’egemonia sugli spiriti, più che il dispiegamento della forza, com’era stato in Russia. In più, rispetto ad una concezione positivista del materialismo – si direbbe «engelsiana» –, nell’italiano Gramsci prevale quella dialettica, per la quale le basi materiali dell’esistenza («l’essere») sono condizionate, se non determinate, dalle idee, dal pensiero, dalla cultura («la coscienza»). Perciò si pone l’esigenza di conquistare l’anima della società prima ancora del suo corpo.


In mondi ricchi di storia e di cultura, di articolazione e stratificazione sociali, dunque, la conquista del potere politico non basta: la società ha una sua soggettività che la rende capace di reazione e resistenza, tali da poter infliggere alla Rivoluzione una storica sconfitta. Occorre allora pazientemente conquistarla dal di dentro: come s’è detto, l’egemonia culturale su quest’ultima per essere in condizione poi di cogliere finalmente il potere politico come un frutto maturo, senza dover poi temere alcun sussulto reattivo.

L’egemonia di cui parla Gramsci non si caratterizza come direzione esplicita ovvero come infiltrazione: la sua essenza è l’influenza, la penetrazione «radioattiva» nella società per orientarne la mentalità, il costume, la cultura. In questo sforzo, il partito comunista italiano, oltre a dover affrontare la complessità dell’articolazione della società, deve fare i conti con la sua identità nazionale, con la sua cultura profonda, con il suo senso comune, tutti inequivocabilmente cattolici, e perciò nemici per definizione. 

Ma come agire su questa identità? La via non può essere quella di un anticlericalismo – ma sarebbe più esatto dire «antiecclesialismo», anticristianesimo – «borghese», ottocentesco, provocatorio. Occorre «dialogare», al fine di coesistere in vista di uno svuotamento del cattolicesimo italiano dei suoi contenuti culturali e di una modifica del senso comune nazionale in direzione secolaristica, laica. 

E «dialogare» con chi? Nell’immediato dopo guerra (ma già negli anni dei governi di unità nazionale), si distingue «tra la posizione della DC e di De Gasperi [Alcide (1881-1954)] e quella del Vaticano, ma anche all’interno della DC tra la posizione di De Gasperi e quella degli altri dirigenti» (Aga Rossi, Zaslavsky [1937-2009], 1998, 115), facendo propria la lezione gramsciana sulle capacità disgregatrici dell’identità e della presenza cattoliche da parte del popolarismo. 

«Il cattolicismo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida. […] Perciò non fa paura ai socialisti l’avanzata impetuosa dei popolari […]. I popolari stanno ai socialisti come Kerensky [Alexander (1881-1970)] a Lenin [1870-1924]» (Gramsci, 1919, 286). Egli, cioè, del cattolicesimo democratico coglie tutta la vena progressista, conformemente alla sua natura di espressione politico-sociale del modernismo teologico: «Il modernismo non ha creato “ordini religiosi” ma un partito politico, la democrazia cristiana» (Gramsci, 1975, II, 1384), cioè, «modernismo significa politicamente democrazia cristiana» (ibid., 1305). 

Non occorre essere filosofi né dottori in filosofia per capire che il marxismo filosofico è un ossimoro che unisce il materialismo dialettico – che significa totale assenza di punti fermi e «libertà» nel fine, cioè mancanza di una meta, nello svolgimento della storia –, e il materialismo storico, ch’è determinismo in purezza. 

Allo stesso modo, non occorre essere teologi per capire, alla scuola della Pascendi Dominici gregis di s. Pio X (1903-1914), che il modernismo è cronolatra, intende nei fatti «segni dei tempi» come divenire della rivelazione, per cui ogni «verità» è relativa al suo tempo. 

Questa ricezione della prospettiva hegeliana – secondo la quale «dio» è un avvenimento in divenire dialettico («dialettico» da intendersi come appena specificato), cioè non È, ma avviene, diventa – ha un riflesso forte oltre che a livello dogmatico, pastorale ed ecclesiologico, anche e forse soprattutto a livello culturale e sociale, come aveva ben intuito Gramsci. 

La totale subalternità al comunismo e comunque ad ogni forma di progressismo, perché consentirebbero allo «spirito» di avvenire, liberandolo nella sua fenomenologia storica da tutti i freni e le pastoie d’una supposta immutabile tradizione, cioè da una resistenza conservatrice se non reazionaria alla sua azione, sempre innovatrice e «sorprendente». Il che comporta il rifiuto d’ogni dottrina definita e stabile, compresa ovviamente quella sociale per una civiltà cristiana. Ed in effetti nulla può interessare di meno ai modernisti che l’idea stessa d’una cristianità, anzi le sono francamente ostili.

Ed infatti, storici esponenti democristiani si esprimeranno con grande chiarezza sul punto (e il florilegio che segue non ha alcuna pretesa di esaustività, ma solo di esemplarità), ma soprattutto terranno condotte politiche assolutamente consentanee e coerenti a tale visione, favorendo ogni scivolata a sinistra, cioè la laicizzazione laicista, la secolarizzazione dell’Italia che fu cattolica e il suo allontanamento dal modello e dalla realtà della cristianità.

Comincia De Gasperi, «Noi ci siamo definiti “un Partito di centro che si muove verso sinistra”» (De Gasperi, 1945), e se non fosse stato chiaro ribadisce, «La democrazia Cristiana [è un] partito di centro inclinato a sinistra, [che] ricava quasi la metà della sua forza elettorale da una massa di destra» (Idem, 1949). E su questa linea si muoverà, con le parole e i fatti, tutta la classe dirigente (elettori e base sono un’altra cosa, fondamentalmente ingannati) e intellettuale della DC. 

Leopoldo Elia (1925-2008), più volte parlamentare, ministro ed anche Presidente della Corte Costituzionale, dirà che «De Gasperi avvertiva il pericolo che fare dell’anticomunismo la ragione dominante della propria fortuna politica poteva alimentare tendenze reazionarie [e non sia mai!]» (L. Elia, 2003 [1984], 147). 

L’intellettuale cattolico democratico, Pietro Scoppola (1926-2007), ha ulteriormente – ed autorevolmente – confermato questa tesi sull’azione e l’identità politica autentiche della DC: «In sostanza, la Dc ha sempre raccolto un elettorato prevalentemente moderato, che è stato tuttavia coinvolto in una politica prevalentemente diretta (tranne alcune parentesi) ad un ampliamento verso sinistra delle basi di consenso alla democrazia e alla funzione di governo» (ibidem, 132). 

E se possono non stupire le dichiarazioni di un «estremista» come Ciriaco De Mita, che facendo eco quasi letterale, non so quanto consapevolmente, alla frase di un vecchio democristiano francese (poi transitato all’estrema destra), Georges Bidault (1899-1983), «gouverner au centre et faire, avec les moyens de la droite, la politique de la gauche», afferma con orgoglio modernista che «Quando gli storici si occuperanno di fatti e non solo di propaganda spiegheranno che il grande merito della DC è stato quello di avere educato un elettorato che era naturalmente su posizioni conservatrici se non reazionarie a concorrere alla crescita della democrazia. La DC prendeva i voti a destra e li trasferiva sul piano politico a sinistra» (Corriere della Sera, 1999). 

Forse potrebbero ancora stupire quella di un «moderato» (e così, in un certo senso, si chiude il cerchio modernista-progressista nel quale è collocata tutta la leaderhip DC), «Un Doroteo doc come Flaminio Piccoli [1915-2000] non teme affatto l’ipotesi di un accordo a sinistra. “È dagli anni ’60 – afferma – che la Dc non è più anticomunista. Anzi, se fosse stato per noi il Pci sarebbe rimasto al potere ben oltre la vicenda Moro. Non fummo mica noi a dire basta, sa? Fu Mosca a ordinare a Berlinguer di uscire dal governo…”» (Messina 1990). 

Né si può dire che ciò sia effetto di una degenerazione intellettuale di uomini convinti, e perciò spaventati, che il comunismo e il progressismo fossero ineluttabili, e che non si potesse contrastarli, ma si dovesse patteggiare con loro. No. Il peccato è originale. «Il partito popolare italiano […] è nato come un partito non cattolico, aconfessionale, come un partito a forte contenuto democratico […] che non prende la religione come elemento di differenziazione politica» (Sturzo [1871-1959], 1919), là dove il «forte contenuto democratico», non può significare altro che relativista, sui princìpi e la prassi. Quindi, ha solo ragione Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) quando afferma che «La Democrazia Cristiana non è altro che un dispositivo ideologico e politico specificamente fatto per trascinare verso l’estrema sinistra uomini di destra e soprattutto centristi ingenui».

E questo modernismo sociale – com’è avvenuto nella Chiesa per quello dogmatico-pastorale-ecclesiologico – è stata capace di modificare un volto storico. Come insegna Augusto Del Noce (1910-1989), che pure fu parlamentare con la DC, sia pure da indipendente, «È bensì vero che presto si fece innanzi un’[…] idea della democrazia cristiana che, a partire dal riconoscimento della laicità dello stato, praticamente giungeva alla soppressione dell’aggettivo. Il termine designava il partito di quei cattolici che intendevano collaborare alla realizzazione di una democrazia cui altro non chiedevano, rispetto ai valori religiosi ed etici, che di essere neutrale. È la concezione modernistica, già condannata nella Pascendi e di cui Gentile diceva, non a torto, che riusciva a negare insieme il valore dello stato e quello della chiesa» (Del Noce, 1995 [1971], 105). E ciò, come s’è appena detto, con effetti epocali, cui la DC è concorsa e che certo non ha ostacolato: «Da un quarto di secolo il partito dei cattolici è in Italia al governo […], ma forse mai si è avuto un così rapido ed esteso progresso dell’irreligione» (Del Noce, 1995 [1971], 176).





Bibliografia dei riferimenti tra parentesi

1. Cantoni 1994, Giovanni Cantoni, Le grandi linee politiche in Italia nel quindicennio dal 1979 al 1994 in una prospettiva contro-rivoluzionaria con qualche orientamento operativo, del 6 maggio 1994, inedito.

2. Settembrini 1997, Domenico Settembrini, Il fascino perverso del Diciassette, in Ideazione. I percorsi del cambiamento, anno quarto, n. 5, settembre ottobre 1997.

3. Aga Rossi-Zaslavsky 1998, Elena Aga Rossi e Victor Zaslavsky (1937-2009), Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, il Mulino, Bologna 1998.

4. Gramsci 1919, Antonio Gramsci, I popolari, in L’Ordine Nuovo, anno I, n. 24, 1-11-1919, in L’Ordine Nuovo. 1919-1920, Einaudi, Torino 1954.

5. Gramsci 1975, A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975.

6. De Gasperi 1945, Alcide De Gasperi, Intervento al Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, del 31 luglio-3 agosto 1945.

7. De Gasperi 1949, A, De Gasperi, Discorso al III Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana, Venezia 2/5-6-1949.

8. Elia 2003, Leopoldo. Elia, Dossetti [1913-1996], Lazzati [1909-1986] e il patriottismo costituzionale, in L. Elia e Pietro Scoppola (1926-2007), A colloquio con Dossetti e Lazzati. Intervista di Leopoldo Elia e Pietro Scoppola (19 novembre 1984), il Mulino, Bologna 2003.

9. Corriere della Sera 1999, Intervista all’on. Ciriaco De Mita, 23-8-1999.

10. Messina 1990, Sebastiano Messina, «Muoviti Dc, il nemico non c’è più», in la Repubblica, 16-3-1990.

11. Sturzo 1919, don Luigi Sturzo, Discorso a Verona 16-3-1919.

12. Del Noce 1995, Luigi Del Noce, «Antifascismo» e «unità antifascista», in L’Europa, V, 5, 15-4-71, pp. 41-60, ora in Idem, Fascismo e antifascismo. Errori della cultura, Mondadori, Milano 1995.

13. Del Noce 1995, Idem, «Repubblica della cultura» e realtà politica, in L’Europa, V, 6, 15-11-71, pp. 33-34, ora in ibidem.








Cosa diceva san Gregorio Magno sui sacerdoti che non condannano gli errori?





29 MARZO 2022


Queste parole sono tratte dalla “Regola Pastorale” di papa san Gregorio Magno (2,4). Sono parole di straordinaria attualità in questi tempi in cui molti cattolici, soprattutto sacerdoti e vescovi che hanno l’obbligo di proteggere il gregge dai lupi, tendono a fare silenzio, a non ammonire gli erranti e a condannare gli errori, facendo sì che molte anime rischino la dannazione eterna. Leggiamo e meditiamo.
La guida delle anime sia discreta nel suo silenzio e utile con la sua parola affinché non dica ciò che bisogna tacere e non taccia ciò che occorre dire. Giacché come un parlare incauto trascina nell’errore, così un silenzio senza discrezione lascia nell’errore coloro che avrebbero potuto essere ammaestrati.

Infatti, spesso, guide d’anime improvvide e paurose di perdere il favore degli uomini hanno gran timore di dire liberamente la verità; e, secondo la parola della Verità, non servono più alla custodia del gregge con lo zelo dei pastori ma fanno la parte dei mercenari (cf. Gv. 10, 13), poiché, quando si nascondono dietro il silenzio, è come se fuggissero all’arrivo del lupo.

Per questo infatti, per mezzo del profeta, il Signore li rimprovera dicendo: Cani muti che non sanno abbaiare (Is. 56, 10). Per questo ancora, si lamenta dicendo: Non siete saliti contro, non avete opposto un muro in difesa della casa d’Israele, per stare saldi in combattimento nel giorno del Signore (Ez. 13, 5). Salire contro è contrastare i poteri di questo mondo con libera parola in difesa del gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del Signore è resistere per amore della giustizia agli attacchi dei malvagi.

Infatti, che cos’è di diverso, per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle col proprio silenzio? Ma chi si espone in difesa del gregge, oppone ai nemici un muro in difesa della casa di Israele. Perciò di nuovo viene detto al popolo che pecca: I tuoi profeti videro per te cose false e stolte e non ti manifestavano la tua iniquità per spingerti alla penitenza (Lam. 2, 14).

È noto che nella lingua sacra spesso vengono chiamati profeti i maestri che, mentre mostrano che le cose presenti passano, insieme rivelano quelle che stanno per venire. Ora, la parola divina rimprovera costoro di vedere cose false, perché mentre temono di scagliarsi contro le colpe, invano blandiscono i peccatori con promesse di sicurezza: essi non svelano le iniquità dei peccatori perché si astengono col silenzio dalle parole di rimprovero. In effetti le parole di correzione sono la chiave che apre, poiché col rimprovero lavano la colpa che, non di rado, la persona stessa che l’ha compiuta ignora.

Perciò Paolo dice: “(Il vescovo) sia in grado di esortare nella sana dottrina e di confutare i contraddittori (Tito 1,9).

Perciò viene detto per mezzo di Malachia: “Le labbra del sacerdote custodiscano la scienza e cerchino la legge dalla sua bocca, perché è angelo del Signore degli eserciti.” (Malachia 2,7)

Perciò per mezzo di Isaia, il Signore ammonisce dicendo: “Grida, non cessare, leva la tua voce come una tromba.” (Isaia 58,1)

Insomma, chiunque si accosta al sacerdozio assume l’ufficio di banditore perché, prima dell’avvento del Giudice che lo segue con terribile aspetto, egli lo preceda col suo grido.

Se dunque il sacerdote non sa predicare, quale sarà il grido di un banditore muto?


Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Fonte: Il Cammino dei Tre Sentieri




lunedì 28 marzo 2022

Pax Christi in Regno Christi






Don Samuele Cecotti, 28 MAR 2022

Venerdì 25 marzo, Annunciazione del Signore, si è compiuta la Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria. A consacrare i due popoli, storicamente fratelli anche se oggi tragicamente coinvolti in un violento conflitto, papa Francesco che così ha risposto alla supplica della Conferenza Episcopale Ucraina compiendo il gesto tanto atteso nello spirito della profezia di Fatima. Si sono uniti a papa Francesco nella solenne Consacrazione il papa emerito Benedetto XVI e tutti i Vescovi della terra.

Questo atto, così denso di significato, compiuto dal Papa e da tutti i Vescovi del mondo risponde a quanto rivelato dalla Madonna ai pastorelli nel 1917 circa la Russia e i destini del mondo e della Chiesa. La Vergine Maria chiama il mondo alla conversione, alla penitenza, alla riparazione e chiede la Consacrazione della Russia al Suo Cuore Immacolato. La promessa della Vergine è la pace! Se l’umanità si convertirà a Cristo, farà penitenza per i molti peccati commessi, riparerà e la Russia sarà consacrata, allora ci sarà la pace. La pace che la Madonna di Fatima promette non è la pace come la dà il mondo, non è la mera assenza di guerra, ancor meno è il deserto postbellico imposto dai vincitori ai vinti («ubi solitudinem faciunt, pacem appellant» Tacito), è la pace di Cristo, è tranquillitas ordinis (Agostino), è armonia di vita nell’unità in Cristo, è pace esteriore e temporale come riflesso della pace interiore e spirituale, è pace tra gli uomini perché prima di tutto è pace con Dio, è “opera di giustizia” (cf Is 32, 17), è bellezza, è sapiente disegno di unità.

Una simile pace, che è dono del Cielo, non può essere frutto di trattati internazionali o di astute mosse geopolitiche, è il frutto di una universale conversione degli uomini a Cristo, Principe della Pace. La promessa di Fatima è dunque molto più che una pace terrena, è la promessa di una nuova era di Cristianità, è promessa di una umanità convertita a Cristo. «Il mio Cuore Immacolato trionferà», in queste parole è contenuta l’idea d’una conversione a Cristo mediata dalla maternità di Maria, l’idea di un Regno sociale di Cristo che è anche Regno di Maria, l’idea di una diffusione nel mondo così grande della devozione al Cuore Immacolato da poter essere celebrata come trionfo universale. La pace promessa, dunque, è il frutto della conversione degli uomini a Cristo e il dono di Dio al mondo. Il trionfo del Cuore Immacolato segnerà l’inaugurarsi di questo tempo di pace in cui l’umanità sarà unita ai piedi di Cristo e protetta sotto il manto della Madonna.

Vedremo noi quella pace? Vedremo noi il trionfo del Cuore Immacolato di Maria Santissima? Vedremo noi la nuova Cristianità? Solo Dio conosce i tempi ma noi sappiamo già ora cosa ci è chiesto: convertirci, fare penitenza, riparare ai peccati commessi nostri e altrui, pregare, essere santi. Il trionfo del Cuore Immacolato e la pace promessa iniziano da noi, dal nostro essere fedeli a Dio e alla Sua Legge, dal nostro lasciarci guidare a Cristo da Maria. La pace si costruisce prima di tutto nel silenzio della preghiera, nel filiale affidamento alla Madonna, nella sincera ricerca della santità, in una reale conversione di vita tale da mettere il Signore al centro di tutto e sopra ogni cosa. La promessa della Madonna non è la pace come la dà il mondo ma la pace di Cristo: Pax Christi in Regno Christi.







domenica 27 marzo 2022

La domenica del Laetare





domenica 27 marzo 2022

Dominica IV in Quadragesima - Laetare

La Domenica della gioia.

Questa Domenica chiamata Laetare, dalla prima parola dell'Introito della Messa, è una delle più celebri dell'anno. In questo giorno la Chiesa sospende le tristezze della Quaresima; i canti della Messa non parlano che di gioia e di consolazione; si fa risentire l'organo, rimasto muto nelle tre Domeniche precedenti; il diacono riveste la dalmatica e il suddiacono la tunicella; è consentito sostituire i paramenti violacei coi paramenti rosa. Gli stessi riti li abbiamo visti praticare durante l'Avvento, nella terza Domenica chiamata Gaudete. Manifestando oggi la Chiesa la sua allegrezza nella Liturgia, vuole felicitarsi dello zelo dei suoi figli; avendo essi già percorso la metà della santa quaresima, vuole stimolare il loro ardore a proseguire fino alla fine [1].
La Stazione.

La Stazione è, a Roma, nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme, una delle sette principali chiese della città eterna. Disposta nel IV secolo nel palazzo Sessoriano, per cui venne pure chiamata Basilica Sessoriana, essa fu arricchita delle più preziose reliquie da sant'Elena, la quale voleva farne come la Gerusalemme di Roma. Con questo proposito, ella vi fece trasportare una grande quantità di terra prelevata sul Monte Calvario, e depositò in questo tempio, insieme ad altri cimeli della Passione, l'iscrizione sovrapposta sulla testa del Salvatore mentre spirava sulla Croce; tale scritta ivi ancora si venera sotto il nome del Titolo della Croce. Il nome di Gerusalemme legato a questa Basilica ravviva tutte le speranze del cristiano. perché gli ricorda la patria celeste, la vera Gerusalemme dalla quale siamo ancora esiliati. Per questo fin dall'antichità i sovrani Pontefici pensarono di sceglierla per l'odierna Stazione. Fino all'epoca della residenza dei Papi in Avignone veniva benedetta fra le sue mura la rosa d'oro, cerimonia che ai nostri giorni ha luogo nel palazzo dove il Papa ha la sua attuale residenza.
La Rosa d'oro.

La benedizione della Rosa è dunque ancora oggi uno dei particolari riti della quarta Domenica di Quaresima, per la quale ragione viene anche chiamata la Domenica della Rosa. I graziosi pensieri che ispira questo fiore sono in armonia coi sentimenti che oggi la Chiesa vuole infondere nei suoi figli, ai quali la gioiosa Pasqua presto aprirà una primavera spirituale, in confronto della quale la primavera della natura non è che una pallida idea. Anche questa istituzione risale ai secoli più lontani. La fondò san Leone IX, nel 1049, nell'abbazia di S. Croce di Woffenheim; e ci resta un sermone sulla Rosa d'oro, che Innocenzo III pronunciò quel giorno nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme (PL 217, 393). Nel Medio Evo, quando il Papa risiedeva ancora al Laterano, dopo aver benedetta la Rosa, seguiva in corteo tutto il sacro Collegio, verso .a chiesa della Stazione, portando in testa la mitra e in mano questo fiore simbolico. Giunto nella Basilica, pronunciava un discorso sui misteri rappresentati dalla Rosa per la sua bellezza, il suo colore e il suo profumo. Quindi si celebrava la Messa; terminata la quale, i1 Pontefice ritornava al palazzo Lateranense, attraversando la pianura che separa le due Basiliche, sempre con la Rosa in mano. Arrivato alla soglia del palazzo, se nel corteo era presente un principe, toccava lui reggere la staffa ed aiutare il pontefice a smontare dal cavallo; in ricompensa della sua cortesia riceveva la Rosa, oggetto di tanto onore.
Ai nostri giorni la funzione non è più così imponente; ma ne ha conservati tutti i principali riti. Il Papa benedice la Rosa d'oro nella Sala dei Paramenti, la unge col sacro Crisma e sopra vi spande una polvere profumata, conforme il rito d'un tempo; e quando arriva il momento della Messa solenne, entra nella Cappella del palazzo, tenendo il fiore fra le mani. Durante il santo Sacrificio la rosa viene posta sull'altare e fissata sopra un rosaio d'oro fatto a questo scopo; finalmente, terminata la Messa, la si porta al Pontefice, il quale all'uscire dalla Cappella la tiene sempre fra le mani fino alla Sala dei Paramenti. Molto spesso il Papa suole inviare la Rosa a qualche principe o principessa che intende onorare; altre volte è una città oppure una Chiesa che vien fatta oggetto di una tale distinzione.
Benedizione della Rosa d'oro.

Daremo qui la traduzione della bella preghiera con la quale il sovrano Pontefice benedice la Rosa d'oro: essa aiuterà i nostri lettori a meglio penetrare il mistero di questa cerimonia, che aggiunge tanto splendore alla quarta Domenica di Quaresima: "O Dio, che tutto hai creato con la tua parola e la tua potenza, e che ogni cosa governi con la tua volontà, tu che sei la gioia e l'allegrezza di tutti i fedeli; supplichiamo la tua maestà a voler benedire e santificare questa Rosa dall'aspetto e dal profumo così gradevoli, che noi dobbiamo oggi portare fra le mani, in segno di gioia spirituale: affinché il popolo a te consacrato, strappato al giogo della schiavitù di Babilonia con la grazia del tuo Figliolo unigenito, gloria ed allegrezza d'Israele, esprima con sincero cuore le gioie della Gerusalemme di lassù, nostra madre. E come la tua Chiesa, alla vista di questo simbolo, sussulta di felicità per la gloria del Nome tuo, concedigli, o Signore, un appagamento vero e perfetto. Gradisci la sua devozione, rimetti i suoi peccati, aumentane la fede; abbatti i suoi ostacoli ed accordagli ogni bene: affinché la medesima Chiesa ti offra il frutto delle sue buone opere, camminando dietro ai profumi di questo Fiore, il quale, uscito dalla pianta di Jesse, è misticamente chiamato il fiore dei campi e il giglio delle convalli; e ch'esso meriti di godere un giorno la gioia senza fine in seno alla celeste gloria, in compagnia di tutti i Santi, col Fiore divino che vive e regna teco, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen".
La moltiplicazione dei pani.

Veniamo ora a parlare d'un altro appellativo che si da alla quarta Domenica di Quaresima, e che si riferisce alla lettura del Vangelo che la Chiesa oggi ci presenta. Questa Domenica infatti, in parecchi antichi documenti, è indicata col nome di Domenica dei cinque pani; il miracolo ricordato da questo titolo, mentre completa il ciclo delle istruzioni quaresimali, aumenta anche la gioia di questo giorno. Dimentichiamo per un istante la Passione imminente del Figlio di Dio, per occuparci del più grande dei suoi benefici: perché sotto la figura di questi pani materiali moltiplicati dalla potenza di Gesù. la nostra fede scopra quel "pane di vita disceso dal cielo che dà al mondo la vita" (Gv 6,33). La Pasqua s'avvicina, dice il Vangelo, e fra pochi giorni lo stesso Salvatore ci dirà: "Ho desiderato ardentemente di mangiare con voi questa Pasqua" (Lc 22,15). Prima di lasciare questo mondo per il Padre, egli vuole sfamare la folla che segue i suoi passi, e per questo si appella a tutta la sua potenza. Con ragione voi rimanete ammirati davanti a questo potere creatore, cui bastano cinque pani e due pesci per dar da mangiare a cinque mila uomini, così che dopo il pasto ne avanza da riempire dodici sporte. Un sì strepitoso prodigio basta senza dubbio a dimostrare la missione di Gesù; ma voi vi vedete solo un saggio della sua potenza, solo una figura di ciò che sta per fare, non una o due volte solamente, ma tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli; e non in favore di cinque mila persone, ma di una moltitudine innumerevole di fedeli. Contate sulla faccia della terra i milioni di cristiani che prenderanno posto al banchetto pasquale; colui che abbiamo visto nascere in Betlemme, la Casa del pane, sta per dare se stesso in loro alimento; e questo cibo divino mai si esaurirà. Sarete saziati come furono saziati i vostri padri; e le generazioni che verranno dopo di voi saranno, come voi, chiamate a "gustare e a vedere quanto è soave il Signore" (Sal 33,9).
È nel deserto che Gesù sfama questi uomini, figura dei cristiani. Tutto un popolo ha lasciato il chiasso della città per seguirlo; bramando d'udire la sua parola, non ha temuto né la fame, né la stanchezza; ed il suo coraggio è stato ricompensato. Similmente il Signore coronerà le fatiche del nostro digiuno e della nostra astinenza al termine di questo periodo, di cui abbiamo già passato la metà. Rallegriamoci, dunque, e passiamo questa giornata confidando nel prossimo nostro arrivo alla mèta. Sta per arrivare il momento in cui l'anima nostra, saziata di Dio, non si lamenterà più delle fatiche del corpo; perché, insieme alla compunzione del cuore, queste le avranno meritato un posto d'onore nell'immortale banchetto.
L'Eucarestia.

La Chiesa primitiva non mancava di presentare ai fedeli il miracolo della moltiplicazione dei pani come l'emblema dell'inesauribile alimento eucaristico: ed anche nelle pitture delle Catacombe e sui bassorilievi degli antichi sarcofaghi cristiani lo si riscontra frequentemente. I pesci dati a mangiare insieme ai pani, pure apparivano in questi antichi monumenti della nostra fede, essendo soliti i primi cristiani figurare Gesù Cristo sotto il simbolo del Pesce, perché in greco la parola Pesce è formata di cinque lettere, ognuna delle quali è la prima delle parole: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.
In questo giorno, ultimo della settimana Mesonèstima, i Greci onorano san Giovanni Climaco, celebre Abate del monastero del Monte Sinai, del VI secolo.
Messa

EPISTOLA (Gal 4,22-31). - Fratelli: Sta scritto che Abramo ebbe due figlioli: uno dalla schiava e uno dalla libera; e mentre quello della schiava nacque secondo la carne, quello della libera nacque in virtù della promessa. Queste cose hanno un senso allegorico. Rappresentano le due alleanze: una del monte Sinai che genera schiavi, e sarebbe Agar: infatti il Sinai è un monte dell'Arabia, ed ha molta relazione con la Gerusalemme attuale, che è schiava coi suoi figlioli. Ma la Gerusalemme superiore è libera, essa è la nostra madre; sta scritto infatti: Rallegrati, o sterile che non partorisci, prorompi in grida di gioia, tu che non divieni madre, perché molti sono i figlioli dell'abbandonata, e più numerosi di quelli di colei che ha marito. Quanto a noi, o fratelli, siamo come Isacco, figlioli della promessa, e come allora quello nato secondo la carne perseguitava colui che era nato secondo lo spirito, così pure succede ora. Ma che dice la Scrittura? Caccia la schiava e il suo figliolo, perché non dev'essere il figlio della schiava erede col figlio della libera. Pertanto, o fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della libera, per quella libertà con la quale Cristo ci ha liberati.La vera libertà.

Rallegriamoci, figli di Gerusalemme e non più del Sinai ! La madre che ci ha generati, la santa Chiesa, non è schiava, ma libera; ed è per la libertà che ci ha dati alla luce. Israele serviva Dio nel timore; il suo cuore, sempre inclinato all'idolatria, aveva bisogno d'essere incessantemente frenato, con un giogo che doveva pungolare le sue spalle. Ma noi, più fortunati, lo serviamo nell'amore; e per noi "il suo giogo è soave, e leggero il suo carico" (Mt 11,30). Noi non siamo cittadini della terra: solo l'attraversiamo; la nostra unica patria è la Gerusalemme di lassù. Lasciamo quella di quaggiù al Giudeo, che non gusta se non le cose terrene, e nella bassezza delle sue speranze, misconoscendo il Cristo, si prepara a crocifiggerlo. Troppo tempo abbiamo strisciato con lui sulla terra, schiavi del peccato; ma più le catene della sua schiavitù si appesantivano sopra di noi, più aspiravamo d'esserne liberi. Arrivato il tempo favorevole ed i giorni della salvezza, docili alla voce della Chiesa, abbiamo avuto la sorte di entrare nei sentimenti e nelle pratiche delle santa Quarantena. Oggi il peccato ci sembra come il giogo più pesante, la carne come un peso pericoloso, il mondo come un crudele tiranno; cominciamo a respirare, e l'attesa della prossima liberazione c'infonde una viva contentezza. Ringraziarne con effusione il nostro liberatore, che, togliendoci dalla schiavitù di Agar, ci risparmia i terrori del Sinai, e sostituendoci all'antico popolo, ci apre col suo sangue le porte della celeste Gerusalemme.
VANGELO (Gv. 6,1-15). In quel tempo: Gesù andò al di là del mare di Galilea, cioè di Tiberiade; e lo seguiva gran folla, perché vedeva i prodigi fatti da lui sugl'infermi. Salì pertanto Gesù sopra un monte ed ivi si pose i sedere con i suoi discepoli. Ed era vicina la Pasqua, la solennità dei Giudei. Or avendo Gesù alzati gli occhi e vedendo la gran turba che veniva a lui, disse a Filippo: Dove compreremo il pane per sfamare questa gente? Ma ciò diceva per metterlo alla prova; egli però sapeva quanto stava per fare. Gli rispose Filippo: Duecento danari di pane non bastano neanche a darne un pezzetto per uno. Gli disse uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che è questo per tanta gente? Ma Gesù disse: Fateli mettere a sedere. C'era lì molta erba. Si misero pertanto a sedere in numero di circa cinque mila. Allora Gesù prese i pani, e, rese le grazie, li distribuì alla gente seduta; e così pure fece dei pesci, finché ne vollero. E, saziati che furono, disse ai suoi discepoli: Raccogliete gli avanzi, che non vadano a male. Li raccolsero adunque; e riempirono dodici canestri dei pezzi che erano avanzati a coloro che avevan mangiato di quei cinque pani d'orzo. Or quegli uomini, visto il prodigio fatto da Gesù, dicevano: Questo è davvero il profeta che deve venire al mondo. Ma Gesù, accortosi che stavano per venire a rapirlo per farlo re, fuggì di nuovo solo sul monte.Regalità spirituale di Cristo.

Questi uomini che il Salvatore aveva sfamati tanto amorosamente e con una potenza così miracolosa, hanno un solo pensiero: proclamarlo loro re. Una tale potenza e bontà riunite in Gesù lo fanno giudicare degno di regnare sopra di loro. Che faremo allora noi cristiani, che abbiamo sperimentato questo doppio attributo del Salvatore incomparabilmente meglio dei poveri Giudei? Perciò invochiamolo che presto il suo regno venga dentro di noi. Abbiamo visto nell'Epistola ch'egli venne a portarci la libertà, col liberarci dai nostri nemici. Ora tale libertà non la possiamo conservare, se non entro la legge. Gesù non è un tiranno, come il mondo e la carne; l'impero suo è dolce e pacifico, e noi siamo più figli suoi che sudditi. Alla corte di questo gran re, servire è regnare. Veniamo quindi ai suoi piedi a dimenticare tutte le passate schiavitù; e se c'impediscono ancora delle catene, affrettiamoci a romperle; la Pasqua è infatti la festa della liberazione, e già l'alba di questo giorno spunta all'orizzonte. Camminiamo decisi verso la mèta; Gesù ce ne darà il riposo e ci farà ristorare sull'erbetta, come fece alla moltitudine del Vangelo; e il Pane che ci avrà preparato ci farà subito dimenticare ogni fatica sostenuta durante il cammino.
Preghiamo
Fa', o Dio onnipotente, che noi, giustamente afflitti a causa delle nostre colpe, respiriamo per l'abbondanza della tua grazia.____________________________

[1] Siccome anticamente la Quaresima non cominciava il Mercoledì delle Ceneri, ma la prima Domenica di Quaresima, ne seguiva che la quarta Domenica segnava esattamente metà del periodo quaresimale. Era la Domenica di Metà-Quaresima. Più tardi si anticipò la Quaresima di quattro giorni, e la Metà-Quaresima venne trasportata dalla Domenica al Giovedì. Ma niente di tutto ciò figurava nei testi liturgici.(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 586-592)




venerdì 25 marzo 2022

Zarismo, bolscevismo & Affini




 In dialogo col direttore del TG2
MAR 25, 2022



Stefano Fontana 

«La Russia è come noi occidentali 400-500 anni fa. Cioè, loro nel 1860, quando noi avevamo il pensiero illuminato di Mazzini, loro la servitù della gleba, che è una forma di schiavitù conclamata. Poi sono passati all’assolutismo monarchico zarista e all’assolutismo bolscevico. Quindi è chiaro che un processo democratico richiede tempo. Noi abbiamo avuto la rivoluzione francese, l’illuminismo prima, la grande speculazione filosofica di un Locke, di un Voltaire, poi abbiamo avuto Hegel, e così via».

Queste parole sono state dette da Gennaro Sangiuliano, direttore del TG2 in una trasmissione televisiva, La guerra in Crimea fa brutti scherzi e fa pensare e dire cose improponibili da un punto di vista strettamente culturale. Balza agli occhi nelle parole di Sangiuliano la proposta continuità tra “assolutismo monarchico zarista” e ”assolutismo bolscevico”. Una tesi insostenibile dal punto di vista storico e culturale. Il bolscevismo non ha origini russe, non nasce in continuità con la storia russa, ma è stato un virus esportato clandestinamente in Russia. Lenin arrivò in Russia in un vagone piombato mandato là da chi voleva mandarlo là. Il bolscevismo distrusse lo zarismo e non ne fu la continuità. È anche ridicolo etichettare l’impero russo dei Romanov con la spregiativa espressione “assolutismo monarchico”, dato che era una realtà molto complesse e articolata secondo schemi certamente non in voga oggi attuali ma non per questo sbagliati o ingiusti.

Il marxismo fu un prodotto culturale della filosofia moderna europea. Non è nato in Russia ma a Londra. Per di più il marxismo, come osservava Del Noce, è la fase più matura del razionalismo moderno, quella che conduce il suo immanentismo al punto che solo il nichilismo ne può essere la prosecuzione. Ciò spiega gli effetti di secolarizzazione non solo religiosa ma anche etica che il marxismo ha prodotto sia in Russia sia negli altri Paesi europei (e non solo europei). Come sia possibile fare di tutto ciò, invece, una prosecuzione della Russia zarista rimane inspiegabile.

Essendo il marxismo la fase matura della filosofia moderna, esso non si oppone né a Voltaire, né alla rivoluzione francese, né a Mazzini, né ad Hegel. Con ciò non si vuol dire che costoro fossero marxisti (come è ovvio), ma che il marxismo trova la sua originaria matrice nella loro stessa matrice culturale. A diverso titolo lo hanno preparato. La rivoluzione francese fu la prova generale del bolscevismo e da essa derivò non solo la democrazia totalitaria ma anche ogni dittatura della Volontà generale. Voltaire fu il maggiore protagonista della moderna “irreligione occidentale”, ossia della rescissione delle proprie radici da parte dell’Europa. Hegel certamente è uno dei padri di Marx, sia per avergli fornito i criteri fondamentali per una critica alla religione, sia per fornirgli il criterio storicistico della dialettica che imprigiona l’uomo nella storia e fa derivare la verità dalla prassi. Tutta questa storia di idee viene commerciata come una storia di libertà, ma è stata una storia di schiavitù. Rimane quindi problematico come Sangiuliano, con notevole approssimazione, possa vantarsene.

Purtroppo la filosofia moderna ha prodotto molte ideologie distruttive, tra le quali il marxismo, ma non solo. Molti studiosi, infatti fanno dipendere il marxismo addirittura dal liberalismo (di Rousseau, Voltaire e lo stesso Locke fatte le debite distinzioni), mentre Sangiuliano vede il bolscevismo marxista come prosecuzione della società zarista e lamenta che in Russia non ci siano state le correnti di pensiero che hanno prodotto il marxismo. Infatti là non c’erano, erano qui da noi.

Stefano Fontana






giovedì 24 marzo 2022

Pace: l’altra condizione della Madonna






di Julio Loredo

Da quando Papa Francesco ha annunciato che consacrerà la Russia (e l’Ucraina) al Cuore Immacolato di Maria, insieme a tutti i vescovi del mondo – ai quali ha rivolto un preciso appello in questo senso – tutto il mondo cattolico vive nell’attesa di questo storico evento.

C’è chi, mosso da spirito pio, vede nel gesto pontificio una soluzione definitiva che metterà fine alla guerra, porterà alla conversione della Russia e al risanamento morale del mondo moderno. Altri, invece, mossi da spirito critico, vi segnalano possibili omissioni e contraddizioni. In ogni caso, bisogna rimarcare come l’annuncio di Papa Francesco – mettendo Fatima al centro degli avvenimenti contemporanei – abbia toccato una fibra profonda nell’opinione pubblica mondiale.

L’atto di Francesco si collega a una precisa richiesta fatta dalla Madonna a Fatima nel 1917.

Parlando ai pastorelli, la Madonna volle parlare al mondo intero, esortando tutti gli uomini alla preghiera, alla penitenza, all’emendazione della vita. In modo speciale, Ella parlò al Papa e alla sacra Gerarchia, chiedendo loro la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato.

Queste richieste, la Madre di Dio le fece di fronte alla situazione religiosa in cui si trovava il mondo intero all’epoca delle apparizioni. La Madonna indicò tale situazione come estremamente pericolosa. L’empietà e l’impurità avevano a tale punto preso possesso della terra, che per punire gli uomini sarebbe esplosa quella autentica ecatombe che fu la Grande Guerra 1914-1918.

Questa conflagrazione sarebbe terminata rapidamente, e i peccatori avrebbero avuto il tempo di emendarsi, secondo il richiamo fatto a Fatima. Se questo richiamo fosse stato ascoltato, l’umanità avrebbe conosciuto la pace. Nel caso non fosse stato ascoltato, sarebbe venuta un’altra guerra ancora più terribile. E, nel caso che il mondo fosse rimasto sordo alla voce della sua Regina, una suprema ecatombe, di origine ideologica e di portata universale, implicante una grave persecuzione religiosa, avrebbe afflitto tutti gli uomini, portando con sé grandi prove per i cattolici: “La Russia diffonderà i suoi errori nel mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa (...) I buoni saranno martirizzati. Il Santo Padre dovrà soffrire molto”.

“Per impedire tutto questo – continua la Madonna – verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se accetteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace”. Dopo un periodo di estrema tribolazione e di terribili castighi “come non si sono mai visti” (santa Giacinta di Fatima), la Madonna promette il trionfo finale: “Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo un periodo di pace”.

Ancor oggi gli esperti discutono sulla validità o meno delle varie consacrazioni fatte da Pio XII e da Giovanni Paolo II. La Madonna aveva posto tre condizioni: che la consacrazione fosse fatta dal Sommo Pontefice, che menzionasse la Russia, e che fosse fatta in unione con tutti i vescovi del mondo. In un modo o nell’altro, a tutte le consacrazioni – 1942, 1952, 1982, 1984 – mancava almeno una di delle condizioni. Dopo aver affermato perentoriamente che la consacrazione del 1984, fatta da Giovanni Paolo II, non era valida, la veggente suor Lucia aveva cambiato opinione, attestando invece la sua conformità a quanto richiesto dalla Madonna. Questa è la posizione più diffusa negli ambienti della Chiesa e fra i fedeli in generale.

Non vogliamo entrare in un tema tanto complesso. Facciamo però notare che, alla Cova da Iria, la Madonna indicò due condizioni, entrambe indispensabili, perché si allontanassero i castighi con cui ci minacciava.

Una di queste condizioni era la consacrazione. Supponiamo che sia stata fatta nel modo richiesto dalla santissima Vergine. Rimane la seconda condizione: la divulgazione della pratica della comunione riparatrice dei primi cinque sabati del mese. Ci sembra evidente che questa devozione non si è propagata fino a oggi nel mondo cattolico nella misura desiderata dalla Madre di Dio.

E vi è ancora un’altra condizione, implicita nel messaggio ma anch’essa indispensabile: è la vittoria del mondo sulle mille forme di empietà e di impurità che oggi, molto più che nel 1917, lo stanno dominando. Tutto indica che questa vittoria non è stata ottenuta, e, al contrario, che in questa materia ci avviciniamo sempre più al parossismo. Così, un mutamento di indirizzo dell’umanità sta diventando sempre più improbabile. E, nella misura in cui avanziamo verso questo parossismo, diventa più probabile che avanziamo verso la realizzazione dei castighi.

A questo punto bisogna fare una osservazione, e cioè che, se non si vedessero le cose in questo modo, il messaggio di Fatima sarebbe assurdo. Infatti, se la Madonna affermò nel 1917 che i peccati del mondo erano giunti a un tale livello da richiedere il castigo di Dio, non parrebbe logico che questi peccati siano continuati ad aumentare per più di mezzo secolo, che il mondo si sia rifiutato ostinatamente e fino alla fine di prestare ascolto a quanto gli fu detto a Fatima, e che il castigo non arrivi. Sarebbe come se Ninive non avesse fatto penitenza e, nonostante tutto, le minacce del profeta non si fossero realizzate.

Per di più, la stessa consacrazione richiesta dalla Madonna non avrebbe l’effetto di allontanare il castigo se il genere umano dovesse restare sempre più attaccato alla empietà e al peccato. Infatti, fintanto che le cose staranno così, la consacrazione avrà qualcosa di incompleto.

Insomma, siccome non si è operato nel mondo l’enorme trasformazione spirituale richiesta alla Cova da Iria, stiamo sempre più avanzando verso l’abisso. E, nella misura in cui avanziamo, tale trasformazione sta diventando sempre più improbabile.

Applaudiamo l’atto di Papa Francesco e ci sommiamo toto corde a esso se seguirà i requisiti posti dalla Madonna a Fatima. Tuttavia, finché a questo atto non seguirà una vera e propria crociata spirituale contro l’immoralità dilagante – aborto, omosessualità, LGBT, mode indecenti, pornografia, gender e via dicendo – la semplice consacrazione della Russia – per quanto gradita alla Divina Provvidenza – non allontanerà il castigo.

Mi sia permesso di sollevare un’altra perplessità, e non di piccolo peso.

A Fatima la Madonna indicò, come l’elemento allora più dinamico del processo rivoluzionario che portava l’umanità verso l’abisso, gli “errori della Russia”, ossia il comunismo, che proprio nell’Unione Sovietica trovò la sua sede e fuoco di espansione. Non ci sarà una vera conversione finché questa ideologia non sarà rigettata in ogni sua manifestazione.

Ora, proprio in questo campo il pontificato di Papa Francesco si è contraddistinto per la sua prossimità all’estrema sinistra: dalla vicinanza alla dittatura cubana, al sostegno ai “movimenti popolari” latinoamericani di matrice marxista, senza dimenticare i contatti col patriarca Kiryll, che della dittatura sovietica fu fedele servitore e propagandista.

Anche qui, salvo miglior giudizio, ci sembra che, finché all’atto di venerdì a San Pietro non seguirà una vera e propria crociata spirituale contro il comunismo e i suoi epigoni, la sola consacrazione della Russia non fungerà da toccasana per risparmiare una catastrofe alla civiltà contemporanea.






mercoledì 23 marzo 2022

La Chiesa palliativa




NEWSSOCIETÀ


Date: 22 Marzo 2022 Author: Stefano Fontana


In un mio precedente intervento ho trattato della società palliativa [Vedi qui]. A ben vedere, però, oggi abbiamo anche una Chiesa palliativa. Anche di questo conviene allora parlare.

Come avevo sostenuto, sulla scorta di alcune analisi svolte da altri autori, nel precedente intervento a cui rimando, la società palliativa è quella che intende eliminare il dolore e quindi anestetizza i cittadini. Non solo non più dolore fisico, ma anche non più contagi mediante una vaccinazione preventiva, generale e perpetua, non più ansie o angosce tramite una terapia generalizzata, non più conflitti tramite una condivisione di servizi conferiti dal centro, non più tensione tra libertà e autorità tramite un controllo sociale e una sorveglianza politica presentati come necessari per il benessere pubblico. La società palliativa combina il liberismo capitalista con la sorveglianza e il controllo sociale: il cittadino iper-sorvegliato ringrazia pure di esserlo.

Domenica scorsa, la lettura del Vangelo durante la messa era quella del fico sterile. È un testo minaccioso e ansiogeno. Parla di punizioni per chi non produce frutti e la minaccia di sradicare il fico sterile equivale ad una condanna alla morte spirituale per il credente che, come il fico, non dia frutto. Ma il sacerdote che ha tenuto l’omelia nella mia chiesa deve aver considerato tutto ciò troppo inquietante e ha pronunciato una omelia palliativa. Non ha parlato di minacce di punizioni, ma si è concentrato sulla concessione della proroga da parte del padrone del campo. Il Vangelo infatti racconta che egli ha concesso al fico un’altra possibilità, lo avrebbe fatto concimare e avrebbe aspettato un altro anno per vedere se i frutti arrivassero. Il sacerdote celebrante ha quindi insistito su Dio che dà sempre all’uomo un’altra possibilità, che “investe il suo tempo nell’uomo”, che pazientemente attende la nostra conversione… tacendo sul fatto che ad un certo punto, secondo la parabola, il tempo finirà, compresa l’ultima proroga concessa.

Il Vangelo è pieno di parabole e insegnamenti che parlano di punizioni possibili, di condanne da evitare fin che si è in tempo, di modi di essere pericolosi e di situazioni non reversibili. La Chiesa palliativa di oggi, però, li censura, come è avvenuto con il fico sterile, perché il fedele deve comunque uscire di chiesa sereno e in pace con se stesso, privo di preoccupazioni e confidente che “tutto andrà bene”: il tutto suggellato dal “buona settimana” che ormai segue sempre il missa est. La misericordia prevale sempre sulla giustizia, si ricorda continuamente che Cristo non è venuto a condannare ma a salvare, tralasciando che se non è venuto a condannare è però venuto anche a giudicare. La Chiesa palliativa attribuisce anche a Dio la domanda “chi sono io per giudicare?”.

Un elemento che conferma il corso della nuova Chiesa palliativa che tranquillizza le coscienze garantendo sempre un esito positivo è l’abolizione del termine peccato e, soprattutto, della nozione teologica del peccato delle origini. All’inizio della santa messa ormai con grande frequenza il celebrante invita a chiedere perdono delle “nostre debolezze”, delle “nostre fragilità”, di quando siamo stati “troppo concentrati su noi stessi” e così via. La parola peccato viene adoperata raramente. Della dottrina del peccato originale poi non si sente più parlare non solo nell’omiletica ma anche nella teologia. Il fedele dovrebbe essere contento dello stato di natura decaduta, che sarebbe da considerarsi voluto da Dio e dentro il quale trovare il proprio equilibrio. Il peccato e il peccato delle origini in particolare sono considerati fonti di ansia da prevenire.

Una occasione straordinaria per mostrare il volto della Chiesa palliativa è stata la pandemia di questi due ultimi anni. La Chiesa si è fatta ministero della sanità, ha fatto proprie – perfino accrescendole – tutte le misure stabilite dal potere politico facendo coincidere la carità cristiana con l’applicazione rigidissima dei dpcm governativi. Ha impedito che i fedeli pensassero e ha condiviso l’idea che siamo tutti malati e che l’onere della prova ricade su chi non è malato piuttosto che su chi lo è. Ma che siamo tutti malati è proprio l’assunto della società palliativa che così motiva la profilassi generalizzata e continua e il controllo occhiuto dei comportamenti dei cittadini, che la chiesa ha importato dentro di sé. Tutte le dittature sanitarie, e non solo sanitarie, si fondano su questo presupposto.

Il fondamento principale della Chiesa palliativa è però di carattere strettamente teologico. Dopo la “svolta antropologica” la Chiesa non può più essere segno di contraddizione, perché è obbligata ad andare d’accordo col mondo. Se finisce la tensione tra Chiesa e mondo – “Dio e mondo non riusciranno mai a intendersi” (C. Fabro) – l’anestesia diventa obbligata, le tensioni devono venire addolcite, le azioni sempre e comunque cattive devono essere riassorbite dentro condizioni che le rendano reversibili. Con la svolta antropologica proprio questo è avvenuto: se Dio si auto-comunica nella storia profana dell’umanità, ossia nel mondo, ciò che Dio vuole e che la Chiesa deve testimoniare saranno i segni dei tempi a dirlo. Tranquilli, quindi, “tutto finirà bene”.

Stefano Fontana



Fonte 



martedì 22 marzo 2022

I bambini bombardati in guerra e quelli uccisi per legge



Perché stupirsi che Putin, figlio del suo tempo, non risparmia nemmeno i bambini? C’è da pensare che questo atteggiamento, globale e pervasivo nelle nostre società, di disprezzo verso i più piccoli abbia contribuito a creare le condizioni per disprezzarli anche in guerra. Se ti “alleni” a non rispettare in tempo di pace l’indifeso più indifeso, l’innocente più innocente, come potrai aspettarti di rispettarlo in tempo di guerra?



IL CASO MARIUPOL
EDITORIALI

Tommaso Scandroglio, 22-03-2022

Il teatro di Mariupol è stato bombardato dai Russi nonostante nella piazza antistante e in quella retrostante allo stesso comparisse la scritta, a carattere cubitali, “Bambini”. Pare che all’interno del teatro ci fossero tra i 500 e gli 800 civili e che il rifugio sotto il teatro abbia resistito. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha reso noto che, fino al 16 marzo, i bambini uccisi sono stati 103. Ma poi ci sono gli adulti ugualmente innocenti: dieci persone in fila per il pane dilaniate da una granata a Chernihiv; 26 civili, soprattutto pensionati, uccisi a Donetsk mentre erano in fila per prelevare contante al bancomat (ma non si sa se il missile omicida fosse russo o ucraino). 43 sono le strutture sanitarie finite sotto il fuoco nemico, tra cui ricordiamo l’ospedale pediatrico di Mariupol. In data 17 marzo siamo arrivati a 726 civili uccisi e 1.174 feriti. Ma sono alla fine cifre approssimative. E tra i feriti c’è chi è in coma e forse domani morirà, chi ha perso gambe o braccia o entrambe. Come la piccola Sasha, nove anni, che scappava in auto con papà, mamma e sorella. L’auto è stata centrata dai proiettili russi. Il padre è morto, lei ha perso un braccio. Al risveglio in ospedale ha domandato: “Perché i russi ci hanno sparato?”.

La domanda non trova una risposta semplice. Nella domanda è però nascosto un altro quesito: perché tanto accanimento contro i civili e soprattutto tanta crudeltà anche sui bambini? Vi sono possibili ragioni prossime: Putin vuole terrorizzare i nemici, bloccare un intero Paese svuotandolo della sua forza lavoro e altre motivazioni simili. Ma vi sono forse anche ragioni remote e più importanti. Pensando ai bambini, una motivazione di fondo potrebbe essere la seguente, che vogliamo esplicitare con una domanda decisamente retorica: non è che ci siamo abituati ad uccidere nel corpo e nell’anima i bambini? Se così fosse, sarebbe scontato che Putin non abbia sacrosanto timore di toccare i più piccoli.

Il mondo è da decenni abituato a violentare nel corpo e nella psiche i bambini. Pensiamo all’aborto. Attenendoci alle stime ufficiali, sicuramente sottostimate, siamo intorno ai 45milioni di bambini uccisi all’anno nel mondo. Proprio la Russia è stato capostipite di questo delitto: l’aborto venne legalizzato nel 1920. Era la prima volta che accadeva in tutto il mondo. All’aborto è poi connesso il commercio di tessuti e organi provenienti dai feti.

Poi pensiamo alla fecondazione artificiale: la provetta, in tutto l’orbe terracqueo, provoca all’anno decine e decine di milioni di morti tra i nascituri. E sia quelli morti che quelli nati sono stati concepiti come se fossero un prodotto. Questo fenomeno della reificazione del bambino raggiunge il suo apice con la maternità surrogata che ha uno dei suoi centri più attivi in Europa proprio a Kiev. Se parli di fecondazione artificiale, girato l’angolo t’imbatti nella sperimentazione sugli embrioni: altro caso di cosificazione dei bambini che, tra l’altro, porta alla loro sicura soppressione.

Proseguiamo: l’eutanasia da anni ha trovato nei neonati pretermine i primi e migliori candidati per la “dolce morte”. Ma anche l’infante fortemente disabile può incappare nelle maglie eutanasiche. Ricordiamo a tal proposito i famigerati casi di Charlie Gard, Alfie Evans, Isaiah Haastrup e molti altri.

Passiamo al divorzio dove le prime vittime sono ancora i bambini. La pratica è diffusissima in Russia: il divorzio venne introdotto nel 1917 dopo poche settimane che i bolscevichi presero il potere. A seguire abbiamo la pedofilia, anche nella sua variante della prostituzione minorile, che è una piaga endemica e non certo elitaria. E poi come non menzionare il fenomeno dei baby trans? L’ideologia gender sta spingendo moltissimo in Occidente per promuovere la cosiddetta “transizione sessuale” nei minori. Di conserva non si può non citare l’omogenitorialità, ossia l’inserimento dei bambini, come figli riconosciuti o adottati, all’interno di coppie omosessuali. E parlando di educazione, a seguire rammentiamo la cosiddetta educazione gender nelle scuole e tramite media: bambini che vengono istruiti secondo il credo arcobaleno. Programmi didattici che sono l’esito di decenni di indottrinamento rivolto ai minori per una sessualità precoce e libera, senza pensieri grazie alla contraccezione e all’aborto. Infine ricordiamo il lavoro o schiavitù minorile, i bambini soldato e le spose bambine, fenomeni che, insieme alla pedofilia, paiono essere l’unica forma di violenza a danno dei bambini che viene socialmente riprovata.

Dunque perché stupirsi che Putin, figlio del suo tempo, non risparmi nemmeno i bambini? C’è da pensare che questo atteggiamento, globale e pervasivo nelle nostre società, di disprezzo verso i più piccoli abbia contribuito a creare le condizioni per disprezzarli anche in guerra. Se ti “alleni” a non rispettare in tempo di pace l’indifeso più indifeso, l’innocente più innocente, come potrai aspettarti di rispettarlo in tempo di guerra? E poi, più correttamente, è da decenni, se non da un secolo, che in realtà abbiamo mosso guerra ai bambini sferrando contro loro un attacco con tutte le armi di distruzione di massa minorile che abbiamo elencato sopra e dunque perché meravigliarsi che questa guerra condotta con armi convenzionali, “civili”, spesso benedette dalla legge, ora abbia portato a sganciare bombe sugli ospedali dove sono ricoverati i bambini? È solo un altro modo per far loro del male.

Infine appare ovvio che tutelando i bambini, tuteliamo noi stessi, la pace di tutti, piccoli e grandi. A tal proposito tornano profetiche la parole di Madre Teresa quando ritirò il Nobel per la pace nel 1979: "Se una madre può uccidere suo figlio, chi impedisce agli uomini di uccidersi tra di loro?".





lunedì 21 marzo 2022

In sinodo, tutti insieme. Verso l’autodistruzione della Chiesa cattolica?




21MAR22


Tratto dal blog di  Aldo Maria Valli


di monsignor Héctor Aguer*

infocatolica.com

Sono turbato e trovo difficile superare il mio turbamento. A questo punto, dovrei dire, “niente di nuovo sotto il sole”. Di cosa si tratta adesso? Prima di tutto voglio ripetere ciò che ho scritto frequentemente. Ritengo che nella Chiesa cattolica il fervore e lo slancio missionario dei Paesi che un tempo erano caratterizzati da una maggioranza numerica si stia restringendo sempre di più. Ma ora è emersa una prospettiva agghiacciante. Il Sommo Pontefice – come evidenziato dai media -, parlando ai partecipanti al Capitolo Generale degli Agostiniani Recolletti, ha messo in guardia sul calo delle vocazioni sacerdotali. Sai la novità! Da questo angolo lontano che è l’Argentina, posso osservare, in primo luogo, ciò che sta accadendo qui: diocesi senza sacerdoti per assistere, come si deve, i fedeli cattolici; sviluppo di un’efficace azione missionaria; mancanza di vocazioni, sia sacerdotali che religiose, ma abbondanza, per non dire sovrabbondanza, di vescovi ausiliari.

Quando nel giugno 2018 sono stato indecentemente “misericordiato” come arcivescovo metropolita di La Plata, due giorni dopo il mio 75° compleanno, ho lasciato nel Seminario Maggiore San José (che quest’anno celebra il suo centenario) una trentina di candidati al clero di La Plata. Oggi sono solo sei o sette. Credo che un simile fenomeno di diminuzione si verifichi in diverse Chiese particolari. Cosa è successo, che cosa succede?


Il Santo Padre, con la sua voce ammonitrice, ha attribuito il doloroso problema a molte cause, tra cui il calo della natalità! È evidente che la guerra che vescovi, sacerdoti, istituzioni ecclesiali, intere conferenze episcopali dichiararono contro la profetica enciclica Humanae Vitae di Paolo VI non poteva che produrre frutti amari. Il Pontefice rileva inoltre che la capacità della Chiesa di attrarre i giovani è scarsa. Sono d’accordo! Il progressismo postconciliare mina da mezzo secolo tutte le fondamenta della pastorale giovanile e della pastorale universitaria.


Da noi il progressismo e il terzomondismo hanno liquidato quel lavoro paziente che molti sacerdoti hanno svolto, soprattutto, con la loro dedizione alla confessione e alla direzione spirituale. Da giovane sacerdote ho lavorato in questo campo con risultati singolari; c’erano sacerdoti più anziani, e migliori di me, che costituivano un esempio di buon senso, semplicità e fervore nel trattare con i giovani. Il progressismo che ha invaso i seminari, con la pusillanime tolleranza dei vescovi, ha raggiunto l’attuale desolazione.


Non voglio generalizzare indebitamente; non so quale sia la scena in Africa, o nelle Filippine. Mi sembra che ciò che accade in Argentina si verifichi in altri paesi dell’America Latina. Un dramma recente è la cancellazione di sacerdoti e vescovi che amano e seguono la grande Tradizione ecclesiale; e per questo motivo il partito di governo progressista non può perdonarli. Una Chiesa senza sacerdoti. Francesco dice, in vista di questo panorama: «Abbiamo preparato i laici, abbiamo preparato il popolo a continuare il lavoro pastorale nella Chiesa? E tu hai preparato le persone a portare avanti la tua spiritualità, che è un dono di Dio, a portarla avanti?» E aggiunge: «Signore, manda vocazioni, ma preparaci anche a dare il nostro dono quando siamo di meno, a chi può collaborare con noi». La preghiera per chiedere al Signore le vocazioni è una risorsa che si usa spesso, fin da quando ero un adolescente membro dell’Azione cattolica. Forse la mia vocazione è stata il frutto di quell’insistenza. La preghiera che ora propone il Papa è volta a «prepararci anche a dare il nostro dono quando siamo di meno, a chi può collaborare con noi».


Questi propositi sorprendenti si spiegano perché, secondo le linee guida attuali, la predicazione della Verità cattolica e dei Sacramenti è importante. In diversi scritti ho affrontato questo gravissimo problema. Quale pastorale intende affidare ai laici? Probabilmente lo sforzo per migliorare la vita sociale, la condizione dei poveri, il superamento dei pericoli posti dal cambiamento climatico e la deforestazione dell’Amazzonia; la ricerca della fraternità universale (Fratelli tutti); la diffusione dei nuovi paradigmi, come vengono chiamati; e la concorrenza con la massoneria e il capitalismo finanziario internazionale. Molto bene! Lasciamo che i cristiani affrontino questi problemi. Potrebbero anche impegnarsi nella catechesi; che ormai è prassi da un secolo. E, eventualmente, nel caso, nella celebrazione del Battesimo, in circostanze eccezionali. Ma l’Eucaristia, rinnovamento incruento del Sacrificio del Signore nella Messa? E il conforto degli infermi mediante la Santa Unzione? E il perdono dei peccati, nel sacramento della Penitenza? Potrà la Chiesa fare a meno di questi sacramenti, che sono la fonte della Grazia? Forse si ipotizza l’attribuzione di facoltà specificamente sacerdotali ai laici. Il Sinodo tedesco va verso queste “soluzioni”? Per il momento, Roma tace. E, in questo tremendo dramma, si realizza il detto qui tacet consentire videtur.


Il turbamento che mi travolge porta a questa convinzione: stiamo andando verso la distruzione della Chiesa cattolica. E ci andiamo sinodalmente: ciò che conta è la bugia syn (con); bugia, dico, perché alla fine tutto si riduce all’úkase pontificio. L’hodós, il sentiero, conduce all’alterazione sostanziale della Verità cattolica e dell’istituzione ecclesiale.

“Prepariamoci a ciò che accadrà”, dice il Successore di Pietro; ebbene, prepariamoci, d’ora in poi, a respingere tali delusioni. La Chiesa non può marciare, ingenuamente, verso la sua autodistruzione.

L’apostolo Pietro, nella sua prima Lettera, scriveva che la fine di tutte le cose è vicina (pantōn de to telos ēngiken), per questo raccomanda la prudenza (sōphronēsate), la preghiera e la vigilanza orante (1 Pt 4, 7).

All’inizio ho parlato del mio turbamento. In spagnolo, la parola azorar significa spaventare, conturbare, sussultare. Ma, anche, accendere, infondere incoraggiamento. Questi sentimenti contrastanti ci agitano, ma portano anche a una serenità più consapevole, alla sophrosyne, di cui parlava san Pietro. Confidiamo in Cristo, Signore e Sposo della Chiesa, e nella Vergine Immacolata, che è sua immagine e sua Madre.


*arcivescovo emerito di La Plata




Buenos Aires, venerdì 18 marzo 2022.

Primi Vespri di san Giuseppe, patrono universale della Chiesa