lunedì 31 ottobre 2016

PER I TEMPI DI CONFUSIONE E INCERTEZZA

 




Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno IX n° 11 - Novembre 2016
 

 
 Sono tempi di confusione, non di certezze.
 Confusione nel mondo, che si è progressivamente staccato da Gesù Cristo; ma ciò che fa più male, confusione tra i cristiani, nella misura in cui si sono adeguati al mondo.
 
 E la confusione fa male e stanca. Nella confusione non è possibile per l'uomo nessun lavoro, perché l'uomo confuso è incapace di un lavoro. Può fare episodicamente cose buone e cose cattive, ma non può fare un lavoro. 

 I tempi di confusione sono i tempi dell'uomo “episodico”.

 Intendiamoci bene, non tutto è male nel mondo e soprattutto non tutto è male nella Chiesa, questo non lo diremo mai! Ma la confusione è un male in sé: il buono nella confusione non esprime compiutamente un bene... e nella confusione tante cose buone potrebbero esprimersi in un male.

 La confusione è come un clima che tutto avvolge; è uno stato d'animo, una condizione mentale e morale, che tutto rende passeggero. La confusione impedisce la stabilità.

 L'uomo instabile ha bisogno di essere intrattenuto continuamente, per non cadere nell'angoscia del suo nulla.

 Il problema è che, a furia di vivere nella confusione, incominci ad adattarti ad essa. Ciò che ti dava fastidio, diventa la condizione della tua vita, l'orizzonte costante del tuo vivere. Con il tempo addirittura la credi normale questa continua instabilità.

Chi ama sottolineare la “vita” la cerca. Molti credono che “vivere” voglia dire cambiare continuamente; essere “vitali” vuol dire, per molti, fare cose nuove. Sentirsi vivi viene fatto coincidere con non avere legami per essere sempre pronti ad una nuova esperienza.

 È così forte l'instabile clima della confusione, che moltissimi ci restano dentro, anche tra quelli che vogliono dirsi cristiani e magari tradizionali.

 Sì, anche tra i tradizionali: cerchi per istinto il cristianesimo di sempre, quello della Tradizione, e dopo vuoi viverlo senza troppi legami, per assaporarne al suo interno tutte le esperienze possibili; e così non costruisci nulla!

 Insomma, chi fa consistere tutto nel “vitale” pensa che la confusione sia positiva; chi fa consistere tutto nel riferimento a Dio e alla Rivelazione, cerca invece la stabilità.

 È l'inganno dei tempi di confusione: prendi la confusione dilagante come alibi per non impegnarti fino in fondo.

 Cosa fare allora nei tempi di confusione? Cosa chiederci in questa bufera?

 Intanto ricordare che Dio chiede la stabilità: la vita è vocazione. Dio chiama ad abbracciare lo stato di vita dentro il quale crescere nell'unione con Lui, dentro il quale diventare santi. Diventare preti, entrare in convento, sposarsi comporta una stabilità che, secondo il mondo senza Dio, toglie libertà; ma è in questi vincoli vocazionali che Dio dona l'unica vera libertà che è vivere di Lui.

 E vuol dire ricordare che Dio per primo si è “legato” a una stabilità umana quando è diventato uomo per la nostra salvezza, nascendo a Betlemme. E dentro questo vincolarsi all'umano stabile, si è compiuta la nostra salvezza.

 Ecco perché dobbiamo fuggire lo smodato desiderio di libertà come contrario, proprio contrario al metodo di Dio. Carissimi, è su questo che può sorgere o crollare una vita.

 Così la vita cristiana si sviluppa nell'accettazione della stabilità e questa accettazione produce un modo di muoversi.

 Per queste ragioni riteniamo che sia estremamente importante eleggere un luogo di riferimento, un luogo che abbia la vita dentro; e a quel luogo fare obbedienza.

 La Chiesa è il mistico corpo di Cristo, ma è un corpo! È visibile, incontrabile. La grazia di Dio passa dentro i luoghi dove la vita cristiana si esprime con stabilità, come passa attraverso i segni esterni dei sacramenti.

 Come non sarebbe cattolico pretendere la grazia sottraendosi ai segni fisici dei sacramenti, così sarebbe non cattolico vivere la Chiesa come puro riferimento virtuale, senza un legame a un luogo umano reale.

 La Tradizione non è solo un contenuto di Dottrina, che rimane a livello di discorso, è anche un luogo fisico, dove la dottrina è vissuta nella grazia di Cristo. Chi si accosta ai sacramenti nelle nostre chiese e cappelle, che per miracolo sono concesse alla Tradizione della Chiesa, non dovrebbe mai dimenticarlo: questi sacramenti ci sono perché in quel dato luogo si vive la stabilità per Dio.

 Non fidiamoci dei discorsi che abbracciano tutto e costruiscono niente. Non fidiamoci del mondo virtuale (internet) che ci ha diseducato provocandoci a stare alla finestra giudicando tutto e vivendo niente: preghiamo il Signore perché ci indichi un riferimento possibile; e il Signore, che è fedele, ci farà riconoscere il “nostro” luogo della grazia. Ma quando il Signore ce lo avrà fatto incontrare, allora dopo poniamo sinceramente la nostra obbedienza, perché la nostra vita lì sia edificata.

 Nessun tempo di crisi può essere alibi perché non si faccia questa obbedienza. Nessuna confusione può essere alibi per noi, a meno che la confusione ci piaccia ormai per non seguire niente e nessuno. Ma chi non segue niente e nessuno, non può dire di seguire Cristo. Il riferimento a Cristo passa sempre nel riferimento a quel corpo visibile che è la Chiesa.

 E se proprio dobbiamo seguire le notizie e commenti su internet, che ha pur il merito di informare sulla Tradizione della Chiesa e di suscitarne un dibattito, ascoltiamo coloro che non scrivono solo, ma coloro che hanno un reale riferimento di obbedienza a un luogo ecclesiale, coloro che vivono realmente la corporeità della Chiesa, con stabilità.

 Non è a caso che i nemici della tradizione, dopo il motu proprio di Benedetto XVI che dichiarava la messa antica mai abolita, hanno fatto di tutto perché le messe tradizionali fossero episodiche e non stabili. E hanno fatto di tutto perché mai queste messe fossero sorrette da luoghi stabili di dottrina e vita cristiana: noi stiamo ancora attendendo dopo 8 anni la promessa parrocchia personale!

 La cosa triste è che col passare del tempo tanti amanti la Tradizione questa stabilità non la chiedono più, né nella preghiera a Dio né nella dovuta fatica della militanza anche in rapporto all'autorità.

 È invece la grazia più grande che dobbiamo chiedere in questi tempi difficili e insidiosi di confusione: la grazia di non amarla questa confusione per farla poi diventare l'arma della disobbedienza. Ad Oropa, fedeli a un voto, abbiamo domandato soprattutto questo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Maria Elisabetta Hesselblad, la santa che donò la vita a Dio perché la Svezia tornasse in comunione con Roma

 

 

 
 
Mi sembra opportuno soffermarsi sulla figura straordinaria della Beata Maria Elisabetta Hesselblad, che tanto impegno profuse per l’unità dei cristiani, considerando scandalose le loro divisioni. La pia donna nacque il 4 giugno 1870 a Faglavick (Svezia) nella provincia del Vastergotland, quintogenita di ben tredici figli (nove maschi e quattro femmine). Il padre si chiamava Augusto Roberto e la madre Karin, ambedue luterani e molto praticanti. Sin da piccolina la Beata amò leggere la Bibbia. Nella chiesa luterana fu battezzata il 12 luglio 1870, successivamente ricevette la prima comunione e la confermazione nel 1885 oltre ad una istruzione religiosa approfondita. Alla età di sette anni fu duramente colpita dalla scarlattina e dalla difterite, mentre a dodici anni una malattia le provocò ulcere allo stomaco ed emorragie, che l’accompagneranno per tutta la sua vita terrena. Fin dalla giovinezza il suo maggiore desiderio fu trovare l’Unico Ovile. Maria Elisabetta racconta questo suo anelito nelle «Memorie autobiografiche»:

 
«Da bambina, andando a scuola e vedendo che i miei compagni appartenevano a molte chiese diverse, cominciai a domandarmi quale fosse il vero Ovile, perché avevo letto nel Nuovo Testamento che ci sarebbe stato “un solo Ovile ed un solo Pastore”. Pregai spesso per essere condotta a quell’Ovile e ricordo di averlo fatto specialmente in un’occasione quando, camminando sotto i grandi pini del mio paese natio, guardai in special modo verso il cielo e dissi: “Caro Padre, che sei nei cieli, indicami dov’è l’unico Ovile nel quale Tu ci vuoi tutti riuniti”. Mi sembrò che una pace meravigliosa entrasse nella mia anima e che una voce mi rispondesse: O, figlia mia, un giorno te lo indicherò. Questa sicurezza mi accompagnò in tutti gli anni che precedettero la mia entrata nella Chiesa».

Nel 1888, diciottenne, emigrò negli Stati Uniti alla ricerca di un posto di lavoro per aiutare economicamente la sua famiglia. L’anno seguente, a causa dei suoi disturbi, fu ricoverata in ospedale e si trovò in una situazione disperata. Stabilì, qualora fosse guarita, di diventare infermiera, conseguendo il diploma presso il Roosevelt Hospital e poco dopo venendo presa dallo stesso ospedale. Conobbe il padre e dotto gesuita Giovanni Giorgio Hagen, che le fece conoscere in maniera approfondita la dottrina cattolica. Meditò a lungo sul da farsi ed infine decise di farsi battezzare e ricevere la prima comunione nella Chiesa cattolica il 15 agosto (il giorno dell’Assunzione della Beata Vergine Maria) 1902 negli USA.
 
Nel 1903 ebbe il grande desiderio di soggiornare a Roma e qui per puro caso ebbe la gioia di scoprire la casa dove abitò Santa Brigida (fondatrice del nuovo Ordine monastico del Santissimo Salvatore, ampiamente sviluppatosi nel Nord Europa) nel XIV secolo. Gli svedesi studiavano Santa Brigida come letterata, avendo composto la stessa diverse opere. Infatti la riforma di Lutero non riconobbe più nella santa svedese quell’alone di santità, ancora oggi confermato dalla Chiesa cattolica. Il 25 marzo del 1904 Maria Elisabetta ritornò a Roma, avendo il proposito di rifondare il vetusto Ordine brigidino, ma fu preda di forti febbri (ricevette perfino l’unzione degli infermi). Sapeva bene (con grande dispiacere) che la casa di Santa Brigida era occupata da una comunità di carmelitane, alle quali non interessava tener desta la memoria della Santa svedese e ciò era dimostrato dal fatto che le stanze in cui aveva abitato Santa Brigida non erano visitabili, perché chiuse. Nello stesso anno il suo fratello amatissimo, Thure, decise di diventare cattolico. Il 22 giugno 1906 la Beata, nella cappella della casa di Santa Brigida, vestì l’abito grigio delle Brigidine di Syon Abbey ed emise i voti alla presenza del padre gesuita Giovanni Giorgio Hagen. Il 10 luglio pronunciò in forma privata i voti come figlia di Santa Brigida.

Suor Elisabetta visitò le rimanenti comunità brigidine ancora sussistenti in Europa (Vadstena, Weert, Uden, Altomunster, Syon), volendo informarle sul suo desiderio di rifondare l’Ordine. Rimase fortemente colpita solo dal monastero di Syon, sia per il fatto che le suore indossassero ancora il saio cinerino (il saio della penitenza medievale), sia perché conservassero le preghiere corali dell’antica liturgia brigidina. Sotto la guida dello Spirito Santo e con l’aiuto del Pontefice Pio X, l’otto settembre del 1911 riportò in vita l’Ordine di Santa Brigida, volendo restare fedele alla tradizione brigidina per l’indole contemplativa e la celebrazione solenne della liturgia. Tutto il suo apostolato si rifece al motto «Ut omnes unum sint» e per questo motivo volle donare la propria vita a Dio per far sì che la Svezia fosse una sola cosa con Roma.
 
In un periodo di grandi difficoltà, derivanti dalla rifondazione dell’Ordine brigidino, scriveva il 4 agosto 1912: «L’uragano del nemico è grande ma la mia speranza rimane tanto più ferma che un giorno tutto andrà bene. Per la Croce alla luce! Quello che si semina nelle lacrime si raccoglie nella gioia. E il nostro caro Signore ha detto: “Dove due o tre sono riuniti nel Mio nome, io sono in mezzo a loro”. Questo diciamo a Lui affinché Egli supplisca a quello che manca in noi e attorno a noi per il compimento della vocazione alla quale ci ha, così indegne come siamo, chiamate».
 
Il 4 marzo del 1920 la Beata (oggi santa ndr.)  fu nominata badessa dell’Ordine del Santissimo Salvatore ed affermò che tre erano i compiti del’Ordine: contemplazione, adorazione e riparazione. Nel mese di luglio del 1923 Madre Elisabetta andò in Svezia per il 550° anniversario della dipartita di Santa Brigida a Vadstena (dove essa aveva eretto nel 1343 il suo primo monastero). Alla cerimonia presero parte numerosi luterani. Nello stesso anno in ottobre riuscì a far nascere una casa brigidina a Djursholm (cittadina posta a circa 10 Km a nord est di Stoccolma. Il borgo era ed è ritenuto come uno dei più esclusivi e facoltosi della Svezia, realizzato come una città giardino con enormi ville lungo le strade alberate ed i raffinati quartieri hanno da lungo tempo attirato illustri accademici, elementi di spicco della cultura svedese ed uomini d'affari), la prima in seguito alla riforma. Nei primi anni di vita della casa a Djursholm giunsero alle suore brigidine numerosissime minacce di morte anonime da parte dei luterani.


Il 10 aprile del 1931 il Vaticano diede all’Ordine fondato da suor Maria Elisabetta, a tempo indeterminato, la chiesa di Santa Brigida insieme al convento oramai abbandonato dalle carmelitane. Da questo momento la chiesa fu sempre più visitata da svedesi cattolici e luterani. Nel 1943, quando Roma era in mano ai nazisti, Maria Elisabetta (mettendo a rischio la propria vita) ospitò senza alcun distinguo ebrei, poveri, rifugiati, comunisti italiani, tedeschi e polacchi. In una lettera inviata a sua sorella Eva scrisse: «...Quaggiù viviamo in condizioni assai difficili, ma la Provvidenza di Dio ci assiste in molti modi meravigliosi. Abbiamo ancora la casa piena di profughi, in quest´anno di afflizione».
 
Ebbe una fruttuosa amicizia con l’allora rabbino di Roma (Israele Eugenio Zolli), che divenne cattolico nel 1946. Donò le sue preghiere ed i frequenti disturbi fisici a favore dell’unità dei cristiani. Nel 1946 venne fondata a Roma l’associazione per l’unità dei cristiani «Unitas», a cui fece seguito la rivista omonima diretta dal teologo gesuita padre Carlo Boyer. La Beata (Santa ndr.) offrì pieno appoggio alla lodevole iniziativa ed ottenne che la casa di piazza Farnese fosse la sede dell’associazione.
 
Nel gennaio del 1955 il re Gustavo VI di Svezia volle attribuirle l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella del Nord, a motivo delle numerose opere da lei concepite e portate a termine. Il 24 aprile del 1957, alla veneranda età di 87 anni, morì nella casa generalizia di piazza Farnese, dopo aver sopportato tante sofferenze dovute ad un malfunzionamento del suo cuore. Fu seppellita al cimitero del Verano. La gente povera e semplice da subito la considerò santa oltre che madre dei poveri e maestra dello spirito. 
 
 
tramite IL TIMONE 30/10/2016
 
 
 
 

La vera Riforma fu un'esplosione di fede cattolica

 
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Oggi il Papa incontra i luterani per l’anniversario della “riforma” protestante. Ma la vera Riforma fu cattolica: un rinnovamento religioso, culturale, educativo e politico straordinario. Il dossier di novembre de Il Timone sui frutti di quella stagione di fede che sono arrivati fino a noi: santi, papi riformatori, ordini rinnovati, il valore del laicato, la missionarietà, il diffondersi del culto eucaristico e il ruolo sociale della Chiesa.

Ignazio di Loyola fondò la Compagnia di Gesù proprio per combattere il luteranesimo.
Sant’Ignazio di Loyola (1491–1556) fondò la Compagnia di Gesù proprio per combattere il luteranesimo.

Mentre si moltiplicano i commenti e le letture controcorrenti sulla figura di Lutero e del luteranesimo e in vista dell’incontro di Papa Francesco a Lund in Svezia in occasione dei 500 anni della riforma luterana, il mensile di apologetica Il Timone ha pubblicato un dossier sulla vera Riforma, impropriamente detta Controriforma. Per mostrare come i suoi frutti abbiano consentito alla Chiesa e alla società per secoli di rinnovarsi straordinariamente. Non fu infatti una semplice reazione alla “riforma” luterana, ma un rinnovamento che era già in atto e che ha segnato la Chiesa e la società? per i secoli successivi. Un movimento religioso, culturale, educativo e politico straordinario. Il dossier si avvale dei contributi di Alberto Torresani sull’opera dei Pontefici di quel periodo, Padre Uwe Michael Lang sulla riforma tridentina e di Antonio Livi sull’attualità pastorale del Concilio di Trento. Suggestivo, all’interno del mensile, è un albero formato poster che mostra i frutti di santità della Riforma cattolica, dai cui rami sono scaturiti santi come S. Filippo Neri, Santa Tersa D’Avila, San Carlo Borromeo, San Pio V e molti altri. Di seguito l’articolo di copertina firmato da don Claudio Crescimanno che mostra come quella del XVI secolo sia stata in realtà una svolta epocale per la Cristianità.
 
 

 
 
di don Claudio Crescimanno (30-10-2016)
 
Ben prima che Lutero inventasse la sua “riforma”, la cristianità europea in tutte le sue istituzioni, dal papato alle confraternite laicali, dagli ordini religiosi alle università, dalle parrocchie alle opere caritative, aveva messo in moto, pur fra alti e bassi, la portentosa macchina del rinnovamento religioso, culturale, politico, educativo, della Chiesa e della società. Diamo uno sguardo di insieme alla situazione che ha preparato la Riforma cattolica del XVI secolo.
Una nuova vitalità contro i segni di stanchezza
Già dal tardo medioevo gli impulsi di rinnovamento non si contano: l’opera di zelanti pontefici come Gregorio X, Urbano V, Martino V, Eugenio IV, e le disposizioni del concilio di Firenze e del Lateranense V, sollecitano e guidano una Chiesa che in tutte le sue propaggini sente il bisogno di nuova vita.
Non mancano infatti i segni di stanchezza sul volto di una Chiesa che, come un possente castello medievale, tiene la posizione e continua a svolgere il proprio ruolo, ma qua e là gli edifici sono pericolanti e nelle mura ci sono crepe:
  • nella gerarchia, con la diffusione della pratica del nepotismo, per cui molti prelati approfittano delle cariche ecclesiastiche per favorire economicamente e politicamente i parenti;
  • negli studi teologici, dove all’alta speculazione della “Scolastica” medievale si è via via sostituito il gusto per le sterili diatribe;
  • nella vita delle comunità cristiane, che si impregna di individualismo e nazionalismo, specialmente presso l’emergente classe borghese del centro-nord Europa;
  • negli ordini religiosi, dove l’istituto della “commenda” impoverisce economicamente, ma soprattutto spiritualmente le comunità;
  • nella spiritualità e nella morale, dove si oscilla tra rigorismo e lassismo, a scapito della vera devozione.
Per far fronte a questi cedimenti, tanto i singoli come le istituzioni vengono richiamati allo spirito originario e l’Europa rinascimentale, durante la quale il medioevo transita nell’età moderna, si riempie di fermenti di rinnovamento, in tutti i campi:
  • l’ansia di conquistare nuovi popoli al Vangelo e nuove terre alla conoscenza spinge verso sud Enrico il Navigatore, Gran Maestro dei Cavalieri di Cristo, e verso ovest Cristoforo Colombo e le sue caravelle;
  • si continua la bonifica della terra cristiana e delle isole del Mediterraneo dall’infiltrazione islamica;
  • conoscono nuova fioritura gli studi dei classici latini e greci, coltivati durante tutto il medioevo negli scriptoria dei monasteri, e si dà nuovo vigore alle Arti e alle Lettere;
  • si instaura un più severo controllo dei vescovi sull’insegnamento e sulla predicazione, per evitare abusi, e una maggiore diffusione dello studio della sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa antica per abbeverare la formazione teologica alle sue vere fonti;
  • la vita monastica è rinnovata da periodiche riforme che la richiama continuamente alla fedeltà alla Regola;
  • nascono nuovi ordini religiosi dediti alla predicazione, all’istruzione catechistica dei fedeli, all’educazione dei bambini, alla cura dei malati;
  • si moltiplicano le scuole di spiritualità che attingono alle sorgenti dei grandi maestri benedettini, francescani, domenicani, carmelitani;
  • si espande la devozione alla santissima Eucaristia e fioriscono nuovi movimenti di preghiera;
  • le compagnie e le confraternite in cui si aggregano i laici, tra le quali spicca la Compagnia del Divino Amore, formano un tessuto di profonda religiosità e svolgono nel contempo un ruolo sociale per l’assistenza spirituale e materiale delle classi meno abbienti.
La Chiesa cammina lentamente ma con decisione verso il proprio rinnovamento e contemporaneamente stimola tale cammino in tutti gli ambiti della società.
Il Concilio di Trento
Il vasto movimento ora descritto giunge al suo compimento con la convocazione di un apposito concilio ecumenico, auspicato dal papato e dalla cristianità tutta fin dalla seconda metà del XV secolo, e che finalmente si realizza, non senza ostacoli, circa un secolo dopo, portando a compimento le aspettative dell’epoca precedente e inaugurando un tempo tra i più proficui della storia della Chiesa. Non c’è ambito della vita cristiana che non sia purificato e rilanciato dai decreti dell’assemblea tridentina: dalla sistematizzazione e definizione della dottrina, messa in pericolo dalle eresie, alla creazione delle istituzioni che daranno nuovo vigore al ruolo della gerarchia (riforma della curia romana, residenzialità dei vescovi e dei parroci, creazione dei seminari); dalla formazione dei fedeli (compilazione del primo catechismo cattolico) alla riforma della liturgia, che d’ora in poi si celebra nei meravigliosi templi costruiti dall’arte barocca, resa magnificente dalla polifonia sacra, per esaltare adeguatamente il sacrificio e il sacramento dell’Eucaristia, negato dagli eretici.
Da questa esplosione di fede cattolica riceve nuovo impulso lo slancio missionario verso le nuove terre, in cui si cimentano gli ordini religiosi sorti da poco, come la Compagnia di Gesù, o di vecchia data ma rinnovatisi in questo clima di fervore, come francescani e domenicani. Il lavoro compiuto dalla Chiesa su se stessa e sulla società durante i secoli XV e XVI, e culminato nel concilio di Trento, è così profondo da irradiare i suoi frutti nei tre secoli successivi, sino alle soglie dell’età contemporanea.
Il confronto con la contestazione protestante
Purtroppo, all’interno di questo processo di autentica Riforma cattolica si inserisce un gene impazzito che destabilizza e disintegra una parte di questo lavoro: la rivolta protestante. Fino a questo momento, infatti, il comune denominatore dei veri riformatori è dedicarsi primariamente alla riforma di se stessi, cioè alla propria santificazione, e arrivare per questa via al rinnovamento delle istituzioni, senza contestarle e tanto meno distruggerle, ma trasformandole dopo aver trasformato se stessi; nel cuore della Germania, un frate agostiniano, Lutero, e i suoi seguaci, capovolgono questo processo, decidono di trasformare la riforma in una rivoluzione, e spaccano in due l’Europa.
Nonostante questa parziale deviazione, la vera Riforma, quella cattolica, procede, ma non senza l’inevitabile condizionamento che deriva da ciò che accade in Germania. Con la metà del XVI secolo, l’opera di rinnovamento assume anche una connotazione antiprotestante e riceve da questa contrapposizione un’indubbia accelerazione: in questo senso, si può dire che anche un evento così nefasto come la nascita del protestantesimo ha avuto, indirettamente e immeritatamente, un effetto positivo, segno dell’azione di quel Dio che sa trarre qualche bene anche dai mali più gravi, compiuti dalla perversione dell’uomo.
In conclusione, la fase storica di cui stiamo parlando non può essere compresa se non alla luce di questo: indipendentemente dai fattori positivi e negativi entrati in gioco, una svolta epocale si è compiuta: la cristianità medievale è infranta a causa dell’opera di Lutero, si rende necessario ristrutturare la Chiesa e la società dei Paesi rimasti cattolici, dare nuovo impulso all’evangelizzazione del vecchio mondo dilaniato dall’eresia e dei nuovi mondi appena scoperti, impostare nuovi rapporti tra la Chiesa e gli Stati nazionali che subentrano alla frantumazione dell’Impero: ecco l’impresa realizzata dalla Riforma cattolica.
 
 
 
(fonte: lanuovabq.it)
 
 
 
 
 
 
 

domenica 30 ottobre 2016

Le Rogazioni. "A flagello terrae motus, libera nos Domine!"



 



Luciano Garofoli
 
Delle Rogazioni avevamo già parlato qui. E ricordate la nostra Messa votiva Tempore belli? [qui].
Ma ringrazio l'Autore per questa condivisione di un testo così completo.

A peste, fame, et bello, libera nos Domine!
A flagello terrae motus, libera nos Domine!
Te rogamus. Audi nos Domine!



 
 
C’è stata un’epoca in cui il cristianesimo non era soltanto una religione ma il vero e proprio modus vivendi che regolava la vita del mondo. Tutto si conformava ad esso ogni più piccola azione, ogni modo di fare quotidiano: dal come relazionarsi con gli altri, cioè con il “prossimo”, al concepire gli spazi dove passare l’esistenza, alla stessa toponomastica delle città e dei luoghi di normale svolgimento di qualsiasi tipo di attività.


E non ci si venga a raccontare che queste erano manifestazioni conseguenze dirette di un potere religioso che tendeva a soffocare qualsiasi anelito di libertà o di novità. O peggio erano lo stereotipo prefabbricato ed imposto con la forza, se non addirittura con il terrore, da un sodalizio formato dal potere temporale e da quello spirituale uniti e fusi per puntellarsi a vicenda e schiacciare la gente.


Ogni cosa della vita aveva la sua attenzione anche in campo religioso ed ognuno, anche singolarmente, sentiva l’intima e forte esigenza di fare le cose con la protezione di Dio o di implorare la sua misericordia ed il suo aiuto sia in maniera preventiva, sia nel momento di chiedere conforto quando si era nella prova e nel dolore.


Da un punto di vista sociale il lavoro era quello che aveva più bisogno dell’aiuto e delle benevolenza divina, per gli uomini rappresentava la fonte di sussistenza, la possibilità di poter sopravvivere singolarmente ed anche garantire il giusto sostentamento alla propria famiglia ed ai propri cari.


All’epoca l’agricoltura rappresentava l’attività di gran lunga più diffusa: essa forniva sia il lavoro sia direttamente anche i prodotti necessari alla sussistenza. Accanto a questa l’artigianato era in grado di creare tutta quella serie di prodotti collaterali che coprivano le necessità immediate più importanti: vestiario, attrezzi necessari al lavoro, prodotti utili per la casa.



 



C’era la forte esigenza di implorare la benevolenza divina.

La chiesa supportava questa spinta dal basso con tutta una serie di mezzi spirituali tra cui le famose rogazioni.

 Il termine rogazioni deriva dal latino rogatio preghiera, supplica: altro non erano che processioni di supplica che si snodavano dal centro abitato verso la campagna coltivata, soprattutto nei giorni precedenti la festività dell’Ascensione. Si partiva dalla chiesa di buon mattino, in processione, cantando le litanie e quando si arrivava alla meta prestabilita si benediceva il terreno a coltura, poi seguiva una messa solenne celebrata in loco.

Pare che le Rogazioni siano state istituite nel 470 da San Mamerto, vescovo di Vienne. Le processioni rogazionali furono poi regolate da un ordine del Vescovo Bascapé:
"Siano avvisati gli abitanti delle strate perché puliscano e vi spargano rami, erbe e fiori. Lasciati i lavori e chiuse le botteghe vi convengano numerose persone. Non si mangi, non si beva, non si usino strumenti musicali durante le processioni penitenziali".

 Viene davvero da ridere, ma fa davvero pensare tanto, a questo tipo di modo di comportarsi: oggi non c’è cerimonia religiosa che non debba essere “animata”, in cui non si debba per forza chiacchierare, leggere scritture, dare delle spiegazioni più o meno “creative” a quello che si sta facendo. E nei momenti in cui non si parla per forza bisogna almeno ascoltare della musica: la valenza del silenzio come momento di comunicazione umile e devoto con Dio è stato abolito e preso a martellate. Ci deve per forza essere almeno un rumore di fondo, il che distoglie la concentrazione dal dialogo intimo personale con Nostro Signore rendendo questo momento di abbandono assolutamente impossibile.

Francesca Sbardella è un’antropologa e storica delle Religioni presso l’università di Bologna ed ha pubblicato un libro intitolato: Abitare il silenzio.
In esso racconta l’esperienza che ha fatto in maniera personale vivendo per alcuni mesi presso due monasteri francesi di Carmelitane scalze.
L’autrice, rispondendo alle domande di un giornalista afferma:
“La cosa che più mi ha colpito è il silenzio. Un silenzio che non è naturale e che a tratti e quasi fastidioso. Il quotidiano è scandito da una sequenza ordinata di silenzi e di momenti di preghiera in cui la sola parola di devozione è permessa.
Il silenzio si esprime anche attraverso i gesti. Il silenzio delle monache è un silenzio che ha dentro molta vita, loro stesse lo definiscono un silenzio abitato.”

 La Sbardella in parte ha capito ed in parte no, o non riesce a dimensionare bene il problema: in convento si vive in un’altra dimensione, ci si relaziona non con il mondo, ma si dialoga con Dio ed anche il proprio corpo si atteggia alla sua maestosa presenza. Ella dice che le suore riescono ad avere una totale capacità di controllo del proprio corpo che permette loro di:
“stare ore ed ore in ginocchio immobili come se fosse una posizione naturale, mentre io, durante i cicli di preghiera, avevo sempre male alle braccia. Desideravo cambiare posizione e talvolta nell’appoggiarmi per sbaglio al bracciolo facevo rumore. Alla fine del ciclo di preghiera avevo le gambe addormentate e dolenti, mi alzavo in modo scomposto e facevo sempre rumore”.
La strada dell’ascesi è dura e faticosa cara signora ed a certi livelli ci si arriva attraverso una disciplina ferrea ed un abbandono totale, abituale, confidenziale tra le braccia di Dio!!

Altre straordinarie benedizioni furono create per implorare l’aiuto divino contro i continui “perigli” che minacciavano le campagne come tempeste, brine grandinate. Ricordiamo che era abitudine mettere delle croci fatte con delle canne intrecciate e con un ramoscello di olivo, benedetto la Domenica delle Palme, in ogni campo coltivato. Adesso l’agricoltura industrializzata e laicizzata preferisce affidarsi alle “amorose” e mortifere cure dei prodotti di quella macchina infernale che è la Monsanto: diserbanti, prodotti OMG e contro grandine e rischi vari, ma per bacco basta fare un’assicurazione!! Di Dio si è perduta ogni traccia, meglio lo si è cancellato applicandogli una lenta e progressiva eutanasia.

Vediamole queste Rogatorie che oltre tutto venivano espresse con il canto che qui ovviamente è impossibile riprodurre. Ma le rendevano assolutamente suggestive. Dimenticavo sono il latino, quella lingua che un sacerdote, molto progressista, definiva già molti anni fa “la lingua del diavolo” (sic!):

 A damnatione perpetua libera nos Domine.
A subitanea et improvvisa morte, libera nos Domine.
Ab imminentibus peccatorum nostrorum periculis, libera nos Domine.
Ab infestationibus daemonum, libera nos Domine.
Ab omni immunditia mentis et corporis, libera nos Domine.
Ab ira, et odio, et omni mala voluntate, libera nos Domine.
Ab immundis cogitationibus, libera nos Domine.
A coecitate cordis, libera nos Domine.
A fulgure, et tempestate, libera nos Domine.
A peste, fame, et bello, libera nos Domine.
A flagello terrae motus, libera nos Domine.
A omni malo, libera nos Domine.

 Per mysterium sanctae incarnationis tuae, libera nos Domine.
Per passionem et crucem tuam, libera nos Domine.
Per gloriosam resurrectionem tuam, libera nos Domine.
Per admirabilem ascentionem tuam, libera nos Domine.
Per gratiam sancti Spiritus Paracliti, libera nos Domine.

 In die judicii, libera nos Domine.
Peccatores, Te rogamus audi nos.

 Ut pacem nobis dones, te rogamus audi nos.
Ut misericordia et pietas tua nos custodiat, te rogamus audi nos.
Ut Ecclesiam tuam sanctam redigiri, et conservare digneris, te rogamus audi nos.
Ut domnum[1] Apostolicum, et omnes gradus Ecclesiae in sancta religione conservare digneris, te rogamus audi nos.
Ut Episcopos et Praelatos nostros, et cunctas congregationes illis commissas in tuo sancto servitio conservare digneris, te rogamus audi nos.
Ut inimicos sanctae Ecclesiae humiliare digneris, te rogamus audi nos.
Ut regibus et principibus nostris pacem et veram concordiam, atque victoriam donare digneris, te rogamus audi nos.
Ut cunctum populum christianum pretioso tuo sanguine redemptum conservare digneris, te rogamus audi nos.

 Ut omnibus benefactoribus nostris sempiterna bona retribuas, te rogamus audi nos.
Ut animas nostras, et parentum nostrorum ab aeterna damnatione eripias, te rogamus audi nos.
Ut fructus terrae dare, et conservare digneris, te rogamus audi nos.
Ut oculos misericordiae tuae super nos reducere digneris, te rogamus audi nos.
Ut obsequium servitutis nostrae, te rogamus audi nos.
Ut pacem nobis dones, te rogamus audi nos.
Ut loca nostra et omnes abitantes in eis visitare et consolari digneris, te rogamus audi nos.
Ut civitatem istam, et omnem populum ejus protegere, et conservare digneris, te rogamus audi nos.
Ut omnes fideles navigantes et itinerantes ad portum salutis perducere digneris, te rogamus audi nos.
Ut regolarisbus disciplinis nos instruere digneris, te rogamus audi nos.
Ut omnibus fidélibus defunctis requiem aeternam dones, te rogamus audi nos.
Ut nos exaudií dignéris, te rogamus audi nos.

 Fili Dei te rogamus audi nos. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi. Parce nobis, Domine.

 Ma tutto questo non basta in particolari e gravi periodi si inserivano particolari preghiere addirittura nella messa.
Forse che a qualche Sacerdote o Vescovo durante il recente gravissimo terremoto che ha colpito le Marche ed il Lazio è venuto in mente, durante le messe, di recitare queste preghiere per tutto il tempo di durata dell’emergenza del terremoto?




 

Orazioni speciali in tempo di terremoto

Oratio

Omnipotens sempiterne Deus, qui respicis terram et facis eam tremere: parce metuentibus, propitiare supplicibus; ut cuius iram terrae fundamenta concutientem expavimus clementiam contritiones eius sanantem iugiter sentiamus . Per Dominum nostrum Iesum Christum filium tuum. Amen.

O Dio onnipotente ed eterno il cui sguardo fa tremare la terra, perdona chi è nel timore, sii benigno con chi supplica, affinché, avendo paventato il tuo sdegno che scuote i cardini della terra, continuamente sperimentiamo la tua clemenza che ne ripara le rovine. Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo figlio. Amen.
Secreta

Deus qui fundasti terram super stabilitatem suam, suspice oblationes et preces populi tui: ac trementis terrae periculis penitus amotis divinae tuae iracundiae terrores in humanae salutis remedia converte; ut, qui de terra sunt et in terram revertentur, gaudeant se fieri sancta conversatione caelestes. Per Dominum nostrum Jesum Christum, filium tuum.

Amen.

O Dio che hai formato e reso consistente la terra, accetta le offerte e le preghiere del tuo popolo; rimuovi completamente la minaccia del terremoto, muta la tua terrificante collera in rimedio per la salvezza degli uomini, affinché coloro che dalla terra vennero e ad essa ritorneranno, gioiscano al pensiero di poter divenire cittadini del cielo con una vita santa, Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio. Amen.
Postcommunio

Tuere nos, Domine quaesumus, tua sancta sumentes: et terram, quam vidimus nostris iniquitatibus trementem, superno munere firma; ut mortalium corda cognoscant et te indignante talia flagella prodire et te miserante cessare. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum. Amen.

Difendi, o Signore, noi che abbiamo ricevuto il santo sacramento e per celeste grazia rassoda la terra che a motivo dei nostri peccati, abbiamo visto sussultare, affinché i cuori degli uomini comprendano che tali flagelli vengano dal tuo sdegno e cessano per la tua misericordia. Per il nostro signore Gesù Cristo, tuo Figlio. Amen.

 Quanto sopra riportato non pare sia stato abolito o soppresso da nessun documento specifico da parte della Santa Sede, ma due sono le cose che lo sterilizzano uno la lingua latina considerata ormai all’interno dell’ambito ecclesiale come qualcosa legata all’oscurantismo religioso, al fanatismo riconducibile al tradizionalismo ed all’integralismo cattolico. Tutte cose aberranti nella nuova impostazione e nelle direttive che vengono impegnate per la formazione dei sacerdoti del XXI secolo. La lingua latina sa di stantio, di ricordi di potenza di concezioni della vita legate al diritto, alla giustizia, alla Verità, all’affermazione di una civiltà ormai scomparsa e, diciamocelo francamente, troppo infarcita di fascismo e di grandezza magnificente se non retorica.





Da scartare a priori!

 Ormai quello che impera è il terzomondismo più bieco e becero, la predicazione di un pauperismo egualitario marxisteggiante o meglio fabiano in cui tutto deve essere una concessione da parte di élites alle masse cieche ed ignoranti che devono essere imbrigliate, guidate e dominate.

Ma guai a dirlo tutto si copre con la dignità della persona umana, con i diritti egoistici e singolari che impediscono a chiunque di esprimere il ben che minimo giudizio su tutto e su tutti: il modello è “Chi sono io per giudicare?”, all’interno della Chiesa e del politicamente corretto nella società. Le persone non devono essere mai giudicate ce lo insegna il Vangelo, ma i fatti sì, sempre altrimenti come possiamo discernere il bene dal male?

Il latino è stato abolito anche dall’insegnamento nelle scuole e nelle nazioni “più avanzate e laiche” come la Francia Hollandiana si pensa di sostituirlo con l’arabo per poter essere più vicini agli immigrati mussulmani, futuri padroni della nuova entità l’Eurabia.

Nessuno ovviamente forma più i sacerdoti attraverso questa lingua nei seminari, anche perché diciamocelo fuori dai denti: il latino è una lingua morta e quindi le sue parole non sono fungibili. Questo impedisce quel grado di “creatività” e di “modernità” di “aderenza al mondo di oggi” che rende la Messa così seguita e partecipata e che fa si che le chiese siano sempre… più desolatamente VUOTE! Quando un sacerdote dal pulpito dice ai fedeli:

“Ma che serve recitare la liturgia delle ore? Essa è solo uno strumento per inorgoglire chi la recita, per mettere tranquilla la sua coscienza e ciò è un formalismo sbagliato e fuorviante!!”
E no ormai i religiosi sono diventati un misto di custodi di un mondo “favoloso e mitico” passato, tramontato per sempre ed ormai non più accettabile e sostenibile ed i “disaster manager”. Dei sociologi, degli studiosi di antropologia culturale che si impegnano per stare sempre dalla parte dei più deboli e più poveri, perché questi non si sentano abbandonati e…. restino sempre tali ed a cui non venga minimamente in mente di cambiare rotta magari invertendola di 360° e tornare a come era sempre stato fatto da sempre.

Nella società civile la stessa cosa vale per il liberismo, il turbo capitalismo ed il libero mercato senza più frontiere: mai si potrà tornare indietro nemmeno davanti allo sfascio, alle crisi economiche, alla fame ed alla desolazione che causano solo insicurezza e suicidio.
Entrambi i processi sono irreversibili: come se umanamente tutto fosse eterno ed assoluto!!

Vedrete che con il passare del tempo la storia della Chiesa Cattolica comincerà con il Concilio Ecumenico Vaticano II e tutto il resto cadrà nell’oblio e verrà presentato come una parentesi di passaggio per arrivare alla Nuova Vera Religione Mondiale adogmatica, mondialista, universalista ed assolutamente uguale per tutte le genti della terra!!


Insomma quella che Albert Pike chiamava la nuova e folgorante religione luciferina: in cui al posto di Adonai, l’arconte sadico ed osceno, seviziatore del genere umano, si insedierà Lucifero l’angelo buono cacciato e perseguitato da Adonai.

 A damnatione perpetua, libera nos Domine.
Ab infestationibus daemonum, libera nos Domine. E poi dopo anche:

A flagello terrae motus, libera nos Domine.
 

Pubblicato il 14/10/2016 su Blondet & Friends
Pubblicato il 16/10/2016 su Spaghetti.com,
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1. Domnum è la forma contratta di dominum. In questo caso Dominum Apostolicum è il pontefice.




 
 
 
 
 
 
 

Il terremoto distrugge la Cattedrale di Norcia

 
 



La Basilica di San Benedetto, patrono d'Europa, è crollata. Rimane in piedi soltanto la facciata.
Un simbolo della civiltà cristiana europea costruita da San Benedetto che non esiste più, se non in una fragile facciata. Uniamoci in preghiera con i fedeli che si sono inginocchiati davanti alla Basilica. Ringraziamo Dio che non si segnalano vittime.










sabato 29 ottobre 2016

"Una Storia della Chiesa", Pellicciari: "Scuse dai protestanti per Lutero uomo d'odio"




28 ottobre 2016 ore 13:16, Americo Mascarucci



 
E' possibile una riconciliazione fra cattolici e luterani?
"Si, se i luterani comprenderanno gli errori di Lutero e torneranno a casa, cioè nella Chiesa Cattolica".
Ne è convinta la scrittrice e storica Angela Pellicciari autrice del libro "Una Storia della Chiesa" che con Intelligonews fa riferimento anche al viaggio di Papa Francesco in Svezia per celebrare l'anniversario della Riforma Luterana. 


 
Professoressa Pellicciari, c'era bisogno oggi di un testo per ripercorrere la storia della Chiesa?

"Sì, perchè quello che si dice della Chiesa normalmente sui libri di testo e sui mass media, contrasta con la mia esperienza di cristiana. E’evidente come nei confronti dei cristiani vi sia un pregiudizio negativo, una corsa alla diffamazione e alla calunnia. Io ho invece incontrato una Chiesa che ha salvato la mia vita, mi ha restituito un’identità dopo il Sessantotto che ho vissuto con passione ma che ha poi prodotto tanti danni. Tutto questo grazie a persone straordinarie che nel corso dei secoli hanno dato la loro vita per me e continuano ad offrirla al servizio della Chiesa e dell’Evangelizzazione. Scrivere "Una Storia della Chiesa" ha permesso di unire la professione storica alla mia personale esperienza di cristiana per confutare tutte le calunniose falsità che vengono propalate sulla Chiesa, da Costantino alle crociate, dall’Inquisizione allo Stato Pontificio ecc. Certo, la storia della Chiesa è anche una storia di peccato, ma se ci sono state persone eretiche anche dentro la Chiesa, è altrettanto vero che Dio ha sempre suscitato e continua a suscitare in aiuto della Chiesa nuovi carismi e nuovi esempi di santità".
 

Nel libro c'è un giudizio storiografico molto duro nei confronti di Martin Lutero con evidenziato il suo acceso antisemitismo. Proprio Papa Francesco in questi giorni andrà in Svezia a rendergli omaggio. Non si rischia di riabilitarlo?

"Lutero è un uomo dell’odio, odia la Chiesa cattolica e odia gli ebrei come nessun altro. Un odio che lo porta persino a giustificare la menzogna e la calunnia. In nome della libertà ha concesso un potere assoluto ai principi utilizzando Dio per giustificare il potere dei sovrani sulla religione. I tedeschi per causa sua saranno abituati all’assolutismo in nome di Dio. Per libertà Lutero intende solo libertà da Roma. E’stato all’origine di sciagure immani. Non voglio giudicare il viaggio del Papa in Svezia ma è chiaro che Lutero è un uomo carico di odio e di contraddizioni e per lui non può esservi alcuna riabilitazione. Spero che i luterani conoscendo meglio Lutero comprendano i suoi errori e un giorno possano tornare a casa, cioè nella Chiesa di Roma".

 
Giudizio negativo anche per Calvino?

"Certo, anche se Calvino non è uomo di impulso ma è un tecnico che vuole rivoluzionare la Chiesa partendo dalla scrittura. Le sue teorie si basano sul falso mito della perfezione della chiesa primitiva. Un falso mito appunto, perché del magistero della Chiesa si fa garante Dio stesso attraverso l'incarnazione di Cristo. Il magistero della Chiesa si fonda proprio sul figlio di Dio incarnato e non si può sconfessare tutto ciò che la Chiesa ha deciso per secoli. E’ stato Gesù a volere Pietro capo della Chiesa, è scritto chiaramente nel capitolo fondamentale del Vangelo di Matteo e non si può ignorare questo particolare. Quando Giovanni, l'apostolo che stava ai piedi della croce, e Pietro vanno in giro è sempre Pietro a prendere la parola perché tutti gli apostoli hanno rispettato la volontà di Gesù di volerlo capo della Chiesa. Negare questo significa negare la volontà di Dio".
 

 
Poi c'è il capitolo relativo ai cattolici-liberali. E' possibile essere cattolici e al tempo stesso professarsi liberali?

"E' stato Gregorio XVI nel 1832 a condannare il cattolicesimo liberale che muoveva i primi passi in Francia. Questa è una contraddizione in termini perché se si è cattolici, si è cattolici e basta, non si può essere cattolici liberali, cattolici democratici o cattolici adulti, termine in voga qualche tempo fa. In realtà essere cattolici liberali equivaleva a far entrare il pensiero liberale e massonico nella Chiesa e questa è una grossa contraddizione. Gregorio XVI denunciava il rischio di ridurre in nome della libertà i popoli al peggiore servaggio. Cosa che poi è accaduta. Anche grazie ai cattolici liberali è passato il concetto di risorgimento come rinnovamento spirituale ed economico e questo ha poi condannato la popolazione italiana all'emigrazione di massa nel momento stesso in cui, in nome della libertà e degli ideali liberali, si sono minate le basi economiche della nazione. Essere cattolici liberali significa far entrare il pensierom massonico nella Chiesa per combatterla dall'interno. Una propaganda che rischia di essere ancora più nociva di quella esterna".












http://www.intelligonews.it




 

La religione cristiana non odia le donne. Leggere per credere San Paolo e i Vangeli

 


 

Giuliana Sgrena rilancia le tesi stantie del maschilismo cattolico. Ma i testi sacri dimostrano la centralità della figura femminile.



di GIULIANO GUZZO

Nel suo ultimo libro, uscito qualche mese fa e del quale continua a fare presentazioni in tutta Italia, la giornalista Giuliana Sgrena rilancia una tesi non nuova ma sempre capace di suscitare un certo interesse, vale a dire quella secondo cui le religioni, in particolare quelle monoteiste, sarebbero incompatibili col rispetto della dignità femminile. 

Una tesi che in Dio odia le donne (Il Saggiatore) - questo il nome dell'opera -l'inviata del Il Manifesto sviluppa riservando con grande originalità le critiche più pesanti al Cristianesimo, cosa da lei stessa ammessa in un'intervista: «Ho cercato di affrontare le tre religioni senza preconcetti, ma [ ... ] è vero. Ho scoperto che la religione cattolica- quella che, per certi versi, si è rinnovata di più -, non ha in alcun modo cambiato atteggiamento nei confronti delle donne, con questa ideologia/ossessione della verginità di Maria come modello [ ... ] nella storia del cattolicesimo che sembra cambiare, sulle donne si continua ad infierire nello stesso identico modo».

Ora, pur nel rispetto delle opinioni altrui, da sociologo- prima che da credente -mi trovo in forte imbarazzo di fronte a queste tesi. Di più: sono dell'avviso che il Cristianesimo e la Chiesa siano stati i più formidabili sponsor dell'affermazione dei diritti della donna e dell'eguaglianza tra i sessi. Parto dalla Genesi, secondo Sgrena premessa di tutto il maschilismo della storia, dato che, poiché creata dalla costola di Adamo, la donna sarebbe stata pensata da Dio non in quanto essere autonomo, bensì come pezzo dell'uomo destinato ad essergli sottomesso.

E’ abbastanza curiosa, oggi, un'argomentazione simile, se non altro perché a demolirla, secoli or sono, ci pensò san Tommaso, il quale spiegò che era conveniente che la donna fosse formata dalla costola dell'uomo; non dovendo dominare sull'uomo, non fu formata dalla testa di quest'ultimo, ma non dovendone essere la schiava e da lui disprezzata - fece osservare l'Aquinate- non fu formata dai suoi piedi (Sum Th, l, Q. 92, Art 3). Singolare pure la tesi secondo cui san Paolo detestava le donne: e allora come mai, nella Lettera ai Romani, mandò i suoi saluti personali a ben 15 diverse donne? Non per nulla studiosi come Wayne Meeks, professore emerito di Biblical Studies alla Yale University, ricordano come le donne fossero «compagne di lavoro di Paolo in quanto evangeliste e maestre».

Venendo poi al Vangelo, non capisco come si possa dubitare della valorizzazione femminile, evidenziata in molteplici passaggi. Si pensi alla condotta di Gesù, che aveva continuamente al seguito (anche) un buon numero di donne, fatto da cui emerge chiara la proclamazione d'una nuova considerazione pubblica della donna. Oppure si pensi alla Pasqua: le prime al sepolcro vuoto e a ricevere la spiegazione dall'Angelo del Signore furono, secondo i Vangeli, donne, scelta narrativa inconciliabile con una logica maschilista. Tanto più che, al tempo, le testimonianze femminili contavano zero; scriveva lo storico Giuseppe Flavio, nato sette anni dopo la crocifissione, nelle sue Antichità Giudaiche: «Le testimonianze dì donne non valgono e non sono ascoltate tra noi». Eppure, lo si ripete, l'evento cristiano per eccellenza, quello cui poggia tutto il resto, ha nelle donne le prime testimoni.

La tesi del presunto sessismo cristiano, poi, pare del tutto contraddetta dalla figura di Maria, che per i cristiani è l'unica persona - lei, una donna - assunta in Cielo in anima e corpo. Inoltre, se la Chiesa fosse stata così ostile alle donne come a volte si racconta, non si spiegherebbe come mai i primi martiri onorati come santi -sant'Agnese, santa Cecilia, sant'Agata - siano, appunto, donne e non uomini. Allo stesso modo, sarebbe impossibile spiegare come mai il periodo cristiano per eccellenza, il Medioevo, sia stato costellato da figure femminili potenti e influenti: da Matilde di Canossa a Eleonora d'Aquitania, da Bianca di Castiglia a Ildegarda di Bingen. La verità storica, insomma, fu ben diversa da quella propagandata da certa pubblicistica. E vide le donne avvantaggiate dal Cristianesimo già dalla nascita - con la condanna dell'infanticidio, che i greco-romani praticavano soprattutto sulle neonate-, e dall'adolescenza, col 20% delle ragazze pagane che si sposava prima dei 13 anni, contro il 7% delle cristiane. Non a caso, come ricorda il sociologo Rodney Stark, all'inizio il Cristianesimo ebbe successo più fra le donne, anche di classi elevate, che tra gli uomini.

L'attenzione dei cristiani e della Chiesa alla donna si rispecchiò anche nell'istruzione: la prima donna laureata al mondo, Elena Lucrezia Cornaro, era oblata benedettina. Oppure si pensi a Laura Bassi, prima donna ad intraprendere una carriera accademica e scientifica in Europa nonché la prima al mondo ad ottenere una cattedra universitaria: a nominarla accademica, peraltro contro il parere degli altri docenti, fu nel1745 Papa Benedetto XIV, che istituì solo per lei un posto, in origine non previsto, con tanto di pensione. Che tutto ciò sia accaduto nella nostra penisola, culla europea della Cristianità, non sembra essere un caso se si pensa che ad Oxford le donne iniziarono ad essere ammesse soltanto nel1920 e Cambridge non concesse diplomi di laurea alle donne fino al1921. E si potrebbe continuare ancora, se spazio e tempo non fossero tiranni, nell'esporre fatti che non solo documentano quanto la Chiesa e il Cristianesimo abbiano fatto per le donne, ma pure quanta malafede- o poca conoscenza storica, opzione che il sottoscritto preferisce considerare - occorra per negare una realtà che chiede, per essere riconosciuta, null'altro che un po' di onestà.








fonte: La Verità, 29/10/2016




Sulla "protestantizzazione" della fede e della Chiesa

 




Quando don Gius metteva in guardia dalla “protestantizzazione” della fede e della Chiesa

Proprio mentre papa Francesco sta preparando la valigia per andare in Svezia in occasione della «commemorazione comune luterano-cattolica della Riforma» (viaggio introdotto dall’intervista concessa alla «Civiltà cattolica») , monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, scrive un articolo pieno di spunti interessanti circa il rischio che la Chiesa cattolica può correre se si avvia sulla strada della «protestantizzazione». L’articolo si trova nel fascicolo di ottobre della rivista «Studi cattolici» (n. 668), diretta da Cesare Cavalleri, e si interroga sulla fede cristiana in rapporto alla modernità.

Lo spunto inziale è il libro di don Luigi Giussani (conosciuto da Negri fin dai tempi del liceo Berchet a Milano) «Coscienza religiosa nell’uomo moderno» (1985), nel quale il fondatore di Comunione e liberazione, prendendo in considerazione la modernità, vi vedeva non qualcosa di negativo in blocco, ma una realtà comunque connotata da una spiccata tendenza anticristiana, ovvero quella che si riassume nell’idea secondo cui Dio non sarebbe altro che una presenza ingombrante e negativa sulla strada dell’autonomia che l’uomo moderno rivendica per sé a tutti i livelli.

Il rifiuto di Dio è il cuore del laicismo, visione del mondo contro la quale si è a lungo battuto il teologo Joseph Ratzinger. Un rifiuto che conduce la persona non solo, in generale, a sganciarsi da Dio, ma a dire no al cristianesimo come proposta complessiva di vita (riguardante cioè tutti gli ambiti della vita, nessuno escluso) fondata sull’incontro reale con Gesù.

Oggi, scrive Negri, il laicismo nel quale siamo immersi «rappresenta la prosecuzione rigorosa di questa umanità e società senza Dio, in cui al cristianesimo viene lasciato uno spazio di vita e di azione solo se adeguatamente consentito dalla mentalità laicista dominante».

In questo contesto, già più di trent’anni fa don Giussani individuava un rischio molto concreto per la Chiesa cattolica: quello, appunto, di una sostanziale protestantizzazione. Che cosa significa?
«La protestantizzazione della fede – spiega monsignor Negri – si potrebbe anche definire come la riduzione dell’evento a una gnosi, a un discorso di cui la ragione umana possiede la chiave di lettura e gli elementi determinanti. La protestantizzazione dà alla fede quel carattere soggettivistico che la fa diventare un’espressione della singolarità individuale dell’uomo, soprattutto delle sue esigenze psicologiche e affettive. Questo copre totalmente l’ontologia, ovvero fa passare dall’ontologia alla psicologia e alla dimensione meramente affettiva: la fede una cosa che “si sente”. Quando poi cesserà il sentimento della fede, la fede non avrà più alcun peso nella vita dell’uomo».

Insomma, dice Negri, in una società e in una cultura imbevute di laicismo, cioè dal rifiuto di Dio, alla fede cristiana è concesso diritto di cittadinanza solo se la si riduce a una forma di conoscenza che dipende totalmente dalla ragione umana, riguarda solo il soggetto che la vive e si manifesta unicamente nella dimensione psicologica e sentimentale. Da un discorso di natura filosofica e teologica, che riguarda l’uomo nella sua essenza e si apre alla trascendenza, si passa a un discorso tutto umano, meramente psicologico e affettivo, che è considerato legittimo, e quindi tollerabile, finché resta privato, ma è subito combattuto nel momento in cui pretende di dire qualcosa sulla natura stessa della persona e sulle scelte concrete a cui la persona è tenuta in virtù della sua esperienza di fede.

Ora il punto è che sempre più spesso è la Chiesa stessa, desiderosa di farsi accettare dalla modernità, ad avviarsi lungo questa strada

Scrive monsignor Negri: «Credo che dobbiamo seriamente interrogarci, noi cristiani, se questo non costituisca la mentalità vincente all’interno del mondo cattolico, ovvero quel modo non cristiano di pensare la fede che, come diceva il beato Paolo VI, è penetrato nelle strutture della Chiesa e si diffonde in maniera progressiva».

Conseguenza della protestantizzazione è l’idea che la fede, in quanto conoscenza soggettiva, è credibile solo quando produce frutti sociali. Ecco così il cristianesimo trasformato in una «struttura finalizzata a iniziative pratiche, socio-politiche», una struttura fra le altre, accettata solo perché dà vita a qualche tipo di intervento sociale. Intervento, sia chiaro, che a quel punto è visto unicamente come sforzo dell’individuo e della sua volontà, non come conseguenza dell’esperienza di fede.
È così, scrive Negri, che, in quanto comunità ecclesiale, «tocchiamo il fondo». Perché dovrebbe essere chiaro che «il cristianesimo non è una spiritualità soggettiva e neppure un impegno socio-politico, ma è l’incontro con la persona di Gesù Cristo, Figlio di Dio, che permane nella Chiesa e in essa può essere ritrovato e seguito».

Nel suo breve intervento, Negri accenna a questioni di una portata decisiva per la Chiesa e per ogni cristiano. Se la fede è ridotta a esperienza della ragione individuale, al centro non abbiamo più Dio, ma l’uomo. E in campo morale non c’è più la verità oggettiva, ma c’è il soggetto con le sue molte e spesso contraddittorie necessità. Lungo questa via, l’uomo non si abbandona a Dio, ma, al più, si rivolge a Dio perché legittimi le sue scelte soggettive.  Di qui l’inutilità della Chiesa e dei suoi ministri. Poiché il rapporto con Dio è finalizzato alla soddisfazione umana, ogni mediazione è non solo inutile, ma dannosa. Meglio eliminare ciò che non serve: e la Chiesa, con il suo rimandare alla verità oggettiva, di certo non serve.

Al termine del suo articolo monsignor Negri osserva: pensare dunque che oggi, per la Chiesa e per ogni cristiano, «il problema sia un atteggiamento più morbido nei confronti della cosiddetta modernità, sinceramente mi sembra soltanto un’irresponsabilità».

La prova, aggiungiamo noi, l’ha fornita la storia. Il mondo protestante, che questa «morbidezza» l’ha applicata, è in profonda crisi. Perde ministri e fedeli e la sua voce politically correct sostanzialmente non dice più nulla rispetto alle grandi domande.  È una visione del mondo fra le altre, accettata proprio perché, dopo aver rinunciato a dire qualcosa a proposito della Verità, produce solo iniziative sociali. D’altra parte, non è un caso che la Svezia, dove il papa sta per recarsi, sia uno dei paesi più secolarizzati del mondo, dove la gran parte della popolazione non crede in Dio e la religione gioca un ruolo del tutto marginale nella vita pubblica.

Non so se il direttore di «Studi cattolici» l’abbia fatto apposta, fatto sta che nel fascicolo di ottobre della rivista c’è anche una bella intervista al cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, a proposito del suo libro «Dio o niente. Conversazioni sulla fede» (Cantagalli) con il quale il porporato guineano ha vinto il Premio Capri San Michele. E nell’intervista Sarah, a un  certo punto, esprime un concetto che si lega molto bene alla riflessione di monsignor Negri. È là dove il cardinale, spiegando i tratti salienti della sua spiritualità, raccomanda che il cristiano non si lasci andare alle mode e non si faccia irretire dalle sirene del mondo, a partire dal mito della produttività : l’unica cosa che conta è non smettere mai di guardare Cristo e la verità della croce: «Dobbiamo guardare Cristo: lui non si è appoggiato all’emotività per annunciare il suo messaggio. È molto rischioso per la pastorale appoggiarsi solo sull’emotività o sul sentimentalismo.

Rischiamo di dimenticare la radicalità della croce […] La Chiesa deve rimanere ferma proprio come Cristo. Deve ancorarsi alla croce che è l’elemento più stabile di questo mondo.  Se restiamo accanto alla croce saremo davvero noi stessi e molto uniti a Dio». E ancora: «Non possiamo dare a Dio solo gli spiccioli del nostro tempo. Viviamo in un’epoca di grande attivismo in cui sembrano contare solo i risultati. Dobbiamo riscoprire il tempo dell’adorazione e della contemplazione per stare con Dio […]. Inoltre non possiamo proporre alle persone un cammino “facile” per paura di essere esigenti. Molti giovani sono attirati dalle proposte serie e impegnative, bisogna stare attenti agli slogan nella pastorale».

Ecco: nelle parole del cardinale Sarah una strada esattamente opposta a quella che don Giussani chiamava la «protestantizzazione» della fede e della Chiesa.

Aldo Maria Valli





venerdì 28 ottobre 2016

Vero ecumenismo in Svezia: Ulf Ekman, il leader pentecostale diventato cattolico





 
Riproponiamo qui un nostro articolo (iltimone.org)  dell'agosto 2014
 
«La convinzione della necessità di diventare cattolici è cresciuta lentamente, la decisione di compiere questo passo è arrivata piuttosto alla fine».  A parlare è Ulf Ekman, il pastore pentecostale svedese che lo scorso marzo ha annunciato la sua conversione al cattolicesimo insieme alla moglie Brigitte.

Una notizia dirompente perché Ekman, 64 anni,  è stato – come ha detto di lui Stefan Gustavsson, segretario generale dell'Alleanza evangelica svedese – «il leader cristiano più dinamico e influente che abbiamo avuto in Svezia durante l'ultimo mezzo secolo». E una figura di grande prestigio in tutto il mondo pentecostale. La comunità che ha fondato, Livets Ord, o Word of Life in inglese, Parola di Vita, conta una scuola frequentata da un migliaio di alunni, diversi missionari attivi specialmente in Russia, Kazakistan e altre regioni ex sovietiche, nonché una Ong caritativa attiva in India. Ha dato vita alla più grande scuola di studi biblici dell’intera Penisola scandinava, i suoi libri sono tradotti in 60 lingue e i suoi sermoni televisivi hanno varcato i confini europei.

Passata la buriana mediatica, Ekman negli scorsi giorni ha scritto una testimonianza sulla sua vicenda per il settimanale britannico Catholic Herald, in cui si legge:

«…abbiamo incontrato anche persone con un approccio curioso, alquanto postmoderno alla questione [della conversione sua e della moglie ndr]. Erano pronti ad accettare che Dio potesse chiamarci alla Chiesa cattolica, di cui però non potevano accettare la dottrina. Un predicatore l’ha detto in questo modo: “Ok, siete diventati cattolici, ma non crederete certo a quello che credono loro, no?”. Parlavano come se veramente potessi scegliere tra quello che prendevo. Quando rispondevo che credevo in tutto ciò che la Chiesa cattolica crede e insegna, sembrava veramente strano a molti dei miei amici protestanti. Era difficile per loro capire che essere cattolici significa credere come cattolici.
 
Per noi la verità è stata l'elemento decisivo. Abbiamo sempre creduto nella Parola di Dio e che c’è una verità assoluta, rivelata da Dio. Via via abbiamo capito sempre meglio come c’è anche una Chiesa concreta, storica, fondata da Gesù Cristo e un tesoro, un deposito di fede oggettiva e viva. Questo ci ha attratto verso il cattolicesimo. Una volta arrivati a credere che la pienezza della verità  è conservata e custodita nella Chiesa cattolica, non avevamo altra scelta che unirci pienamente a questa Chiesa.
 
Quando finalmente è giunto il tempo di essere ricevuti nella Chiesa ci siamo sentiti più che pronti, ansiosi di lasciare una terra di nessuno. E’ stato come diventare finalmente ciò che eravamo. Alla fine il desiderio di ricevere la grazia sacramentale è stato soddisfatto.
 
Abbiamo provato a spiegare ai nostri amici che non rigettiamo quello che Dio ci ha dato nel mondo evangelico e carismatico, ma che “evangelico non è abbastanza” [titolo del libro di un altro famoso convertito, Thomas Howard ndr]. Non è sbagliato nel suo amore per la Scrittura e per le verità fondamentali del Vangelo, nella sua forza di evangelizzazione. Tutto questo è importante, ma non è sufficiente. La vita carismatica, con la sua enfasi sulla forza e la guida dello Spirito Santo, è necessaria ed è un dono meraviglioso. Ma non può essere vissuta nella sua pienezza in un contesto scismatico e oltremodo individualista. Il capire questo ci ha aperto alla comprensione della necessità della Chiesa in tutta la sua pienezza, con la sua ricca vita sacramentale.
 
Non rinneghiamo il nostro trascorso e le ricche esperienze che abbiamo avuto lungo molti anni, come fondatori e guide della Parola di Vita. Siamo per sempre grati al Signore per quanto ha fatto. Ma siamo immensamente felici e grati per aver compreso che abbiamo veramente bisogno della Chiesa cattolica nella nostra vita e nel nostro servizio al Signore, che continuano.
 
Ora iniziamo un cammino in cui c’è molto da esplorare. Ora che non ci sono più le responsabilità, i doveri e gli obblighi di prima, possiamo, almeno per il momento, vivere a un ritmo che ci permette una vita più riflessiva. Siamo stati abituati a reggere il nostro ministero e la nostra Chiesa. Ora è la Chiesa che ci solleva. I sacramenti sono diventati una realtà tangibile nella nostra vita e ci sostengono in modo concreto. Qualcosa – la grazia, ne sono certo – è presente come non lo è mai stato prima. Una fresca brezza sta soffiando nelle nostre vite. Non vediamo l’ora di esplorare e di identificarci pienamente con tutto ciò di cui ora siamo parte. È veramente emozionante vivere pienamente per Gesù Cristo, nella Chiesa cattolica». 
 
 
 
 

L'importanza di inginocchiarsi davanti al Santissimo Sacramento






San Vincenzo De Paoli, Ripetizione dell’orazione, 28 Luglio 1655, Conferenze ai Missionari
 

“ Avverto la compagnia in generale di una mancanza che parecchi commettono qui alla presenza di Nostro Signore nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ho osservato che molti facendo la genuflessione davanti al Santissimo Sacramento, non la fanno fino a terra, o la fanno senza devozione.

L’ avevo notato altre volte, e mi ero proposto di avvertirne la Compagnia… e affinché quelli che non fanno con devozione la genuflessione, come conviene alla gloria e alla maestà di Dio vivente, se ne correggano, mi sono creduto in dovere di non differire più oltre e di avvertire come faccio la Compagnia, perché vi faccia più attenzione.

I motivi che ci inducono a fare questa prostrazione con la dovuta devozione esteriore ed interiore, ed è così che devono fare i veri cristiani sono: l’esempio del Figlio di Dio, e quello di altre comunità religiose. Il Figlio di Dio si prostrò (…).

Io pure, in questo, non ho mai dato l’esempio che dovevo. Purtroppo la mia età e il mio mal di gambe me lo impedicono. Se, tuttavia, vedrò che la Compagnia non si corregge, mi sforzerò di far il meglio che mi sarà possibile, anche se per rialzarmi dovrò appoggiarmi con le mani contro terra, pur di dare l’esempio”.




 

giovedì 27 ottobre 2016

Principiis obsta. Sulla cremazione: inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati

 




Giovanni Scalese, 27 ottobre 2016

Martedí scorso è stata resa nota, con una conferenza stampa del Card. Gerhard Müller, l’istruzione della Congregazione per la dottrina della fede Ad resurgendum cum Christo circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione, che reca la data del 15 agosto 2016. Il documento è stato presentato dai media e — va detto — è stato accolto anche da molti cattolici come se introducesse delle novità nella prassi della Chiesa in materia. In realtà l’istruzione non modifica in alcun modo l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della cremazione. Se una novità c’è stata in questo campo, essa fu introdotta dall’istruzione del Sant’Uffizio Piam et constantem del 5 luglio 1963, con la quale si disponeva che non fossero piú negati i sacramenti e le esequie a coloro che avessero chiesto la cremazione, a condizione che tale scelta non fosse voluta «come negazione dei dogmi cristiani, o con animo settario, o per odio contro la religione cattolica e la Chiesa» (posizione successivamente recepita dal nuovo Codice di diritto canonico del 1983). Un intervento, quello del 1963, che non cambiava nulla sul piano dottrinale, ma si limitava a modificare la prassi pastorale. Si tratta, se vogliamo, del primo segnale di una tendenza che avrebbe poi dilagato nella Chiesa. Può essere quindi utile riflettere, a posteriori, sulle conseguenze, talvolta devastanti, che possono avere certe scelte a torto considerate puramente pastorali e quindi dogmaticamente innocue.

La nuova istruzione, riaffermata la fede cristiana nella risurrezione e confermata la preferenza per la tradizionale prassi della sepoltura, cerca di mettere alcuni paletti a una pratica, quella della cremazione, che si va sempre di più diffondendo anche fra i cattolici e sta assumendo, come era prevedibile, contorni ogni giorno più preoccupanti. I paletti sono:

1. «le ceneri del defunto devono essere conservate di regola in un luogo sacro, cioè nel cimitero o, se è il caso, in una chiesa o in un’area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica» (n. 5);

2. «la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica non è consentita»; in casi eccezionali, l’Ordinario «può concedere il permesso per la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica. Le ceneri, tuttavia, non possono essere divise tra i vari nuclei familiari e vanno sempre assicurati il rispetto e le adeguate condizioni di conservazione» (n. 6);

3. «per evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista, non sia permessa la dispersione delle ceneri nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo oppure la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti» (n. 7);

4. «nel caso che il defunto avesse notoriamente disposto la cremazione e la dispersione in natura delle proprie ceneri per ragioni contrarie alla fede cristiana, si devono negare le esequie, a norma del diritto» (n. 8).


Penso che tutti possiamo trovarci d’accordo su queste norme: è il minimo che si possa esigere. Già alcune conferenze episcopali, fra cui quella italiana, erano intervenute nel medesimo senso sulla questione. Ora la Congregazione per la dottrina della fede estende a livello universale le misure che erano state adottate a livello locale. Non si può perciò che elogiare questo quanto mai opportuno intervento della “Suprema”.


È evidente che scopo dell’istruzione è quello di limitare i danni di un’incauta e poco lungimirante decisione presa oltre cinquant’anni fa. È proprio il caso di ripetere qui l’adagio ovidiano Principiis obsta: sero medicina paratur quum mala per longas convaluere moras (“bisogna contrastare la malattia ai primi sintomi; è troppo tardi correre ai ripari quando, dopo aver a lungo tergiversato, la malattia si è ormai irrimediabilmente aggravata”). Inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati.

Mi ero già occupato di cremazione nel novembre del 2009 (qui e qui), in occasione dell’approvazione del nuovo rito delle esequie da parte dei vescovi italiani. Sono passati sette anni, ma ritengo che le considerazioni che facevo in quella sede siano tuttora sostanzialmente valide. Non merita quindi ripetersi. In quei post però toccavo un altro aspetto che viene completamente ignorato dalla nuova istruzione, ma che a me non sembra per nulla irrilevante: l’aspetto commerciale. Di fatto la cremazione è diventato un business, non solo per le agenzie che la praticano, ma talvolta anche (come si accennava in quei post) per la stessa Chiesa. Beh, dire una parola anche su questo aspetto non sarebbe stato, secondo me, fuori luogo. Come giustamente si fa notare l’incongruenza tra la scelta della cremazione per motivi economici e la trasformazione delle ceneri in gioielli (n. 7: «per tali modi di procedere non possono essere addotte le ragioni igieniche, sociali o economiche che possono motivare la scelta della cremazione»), forse non sarebbe stato male evidenziare pure la contraddizione insita nel giustificare la cremazione con motivi economici e poi trasformarla in una fonte di lucro. Per non parlare dello scandalo che certi comportamenti provocano da parte di una Chiesa che ambisce a essere, e apparire, “povera”.


Pubblicato da Querculanus