domenica 31 luglio 2022

Perché tutti i cristiani dovrebbero preoccuparsi del destino della Messa in latino






DOMENICA 31 LUGLIO 2022

Sotto il titolo che anche noi [Messa in latino] abbiamo scelto per questo post ("Perché tutti i cristiani dovrebbero preoccuparsi del destino della Messa in latino"), lo statunitense National Review ha pubblicato un articolo di Michael Brendan Dougherty che riteniamo interessante e che proponiamo ai lettori nella nostra traduzione.


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Le guerre liturgiche della Chiesa cattolica riguardano le verità essenziali del Vangelo


di Michael Brendan Dougherty


Nelle ultime settimane, su ordine di Papa Francesco, alcuni leader della Chiesa cattolica in America hanno iniziato a sopprimere o a limitare la celebrazione della Messa tradizionale in latino (VO). Nell'ultimo mese, i vescovi e i cardinali di Savannah, Chicago e Washington hanno tutti severamente limitato o hanno preso l’impegno di porre fine alla celebrazione di questa forma di liturgia cattolica. Si tratta di una sorprendente inversione di rotta rispetto alla politica del predecessore di Papa Francesco, Papa Benedetto XVI, che aveva autorizzato specificamente i sacerdoti a celebrare il VO ovunque i cattolici lo richiedessero.


Alcuni cristiani non cattolici mi hanno contattato per chiedermi: perché i leader cattolici odiano la Messa in latino? Altri hanno posto la domanda opposta: perché ti piace? (Frequento la Messa in latino da 20 anni).


A queste domande si possono dare risposte superficiali, che sarebbero facili da capire per la maggior parte degli altri cristiani. In ogni Chiesa c'è un conflitto generazionale. Papa Francesco e molti dei suoi coetanei si sono formati in una Chiesa che credevano disperatamente dovesse modernizzarsi per rivolgersi alla gente di oggi. Spesso per ragioni comprensibili, hanno associato il VO e altre pratiche tradizionali all'aridità e alla rigidità spirituale. Sentivano che il Concilio Vaticano II e la liturgia riformata emersa negli anni Settanta avevano liberato loro e la Chiesa. Ma le generazioni più giovani erano destinate a mettere in discussione tutto ciò, desiderando ricollegarsi al vasto tesoro artistico e devozionale costruito intorno e sul VO, dal canto gregoriano alla polifonia di Thomas Tallis e alle composizioni di Claudio Monteverdi e Mozart.


Questo conflitto generazionale è importante, ma è costruito su un conflitto molto più profondo, che è teologico. La liturgia cattolica moderna e il VO non sono solo due stili della stessa cosa. La liturgia moderna non è una traduzione diretta di quella antica. Modifica la stragrande maggioranza delle preghiere e delle letture rispetto al VO, così come gran parte del suo rituale. E questi cambiamenti coinvolgono le verità basilari del cattolicesimo e del cristianesimo stesso. Nella Chiesa diciamo spesso: "Lex orandi, lex credendi". La legge della preghiera è la legge della fede. Il modo in cui adoriamo determina ciò che crediamo.


In linea di massima, sono state due le linee di pensiero che hanno informato la creazione della Nuova Messa (NO). Una era motivata dall'ecumenismo. I riformatori speravano sinceramente che i "nostri fratelli separati" di altre confessioni cristiane si sarebbero riuniti alla Chiesa cattolica una volta implementata la Nuova Messa. I critici della liturgia riformata, come il Cardinale Ottaviani, notarono che essa sopprimeva sistematicamente la fede cattolica nella presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia. In questo modo Ottaviani proteggeva dalla revisione e dal cambiamento dottrine peculiarmente cattoliche, tra cui la più importante è l'idea che la Santa Messa sia lo stesso sacrificio, unico per tutti, compiuto da Cristo sul Calvario. Come scrisse lo stesso Ottaviani, la Nuova Messa "non implica, in una parola, nessuno dei valori dogmatici essenziali della Messa che insieme ne danno la vera definizione. Qui la deliberata omissione di questi valori dogmatici equivale al loro superamento e quindi, almeno in pratica, alla loro negazione".


Detto questo, anche dopo l'istituzione della Nuova Messa, la Chiesa cattolica non ha rinnegato ufficialmente - e a mio avviso non avrebbe mai potuto farlo - la sua dottrina sui sacramenti e sulla Messa. Perciò c'è stata scarsa base dottrinale per una riunificazione delle Chiese. Le speranze ecumeniche per la nuova liturgia sono svanite anche nella Chiesa. La Chiesa cattolica ha portato avanti una liturgia che ammette la sua dottrina tradizionale, ma accoglie anche nuove teologie.


Ciò ha fatto sì che, accanto alla liturgia riformata, fiorisse un secondo impulso riformatore: il desiderio di una reinterpretazione radicale della fede cattolica e cristiana. La teologia alla base di questo impulso è molto più radicale dell'ecumenismo alla base della Nuova Messa e tocca non solo le dottrine cattoliche ma anche quelle cristiane fondamentali.


In un recente articolo per OnePeterFive, Peter Kwasniewski ha analizzato il lavoro di Karl Rahner, uno dei principali artefici di questa teologia, che ha preso come soggetto principale l'"esperienza trascendentale" di tutti gli uomini. Rahner ritenne opportuno reinterpretare completamente le dottrine del peccato originale, dell'incarnazione e della stessa redenzione. Portate alle loro logiche conclusioni, le sue idee rifondano tutte le aspirazioni degli uomini come tentativi di approssimazione al bene, e quindi come in qualche modo implicitamente cristiane.


Abbiamo visto i frutti di questa teologia modernista nel pontificato di Papa Francesco. Per facilitare l'ammissione alla Comunione delle persone risposate, Papa Francesco ha esaltato il cardinale Walter Kasper, la cui teologia sostiene che le persone in seconde nozze stabili non commettono adulterio, ma si trovano in uno stato che "non corrisponde pienamente all'ideale oggettivo". Riformulando i comandamenti a cui si deve obbedire come ideali a cui ci si avvicina più o meno, ma mai pienamente, Kasper trasforma tutti i peccati in semi-virtù, proprio come Rahner trasformava l'adesione a religioni non cristiane o a qualsiasi altro ideale in tentativi impliciti di essere cristiani. In effetti, entrambi finiscono per negare la sufficienza della grazia di Dio come unico mezzo per aiutarci a seguire i suoi comandi.


La teologia cattolica modernista potrebbe sembrare solo una curiosità per i protestanti, all'esterno, così come la controversia sulla teologia dell'apertura nell'evangelismo sembrava una curiosità per molti cattolici. Ma io sostengo che tutti i cristiani dovrebbero preoccuparsi che le altre comunioni continuino ad affermare l'ortodossia cristiana di base. Anche i protestanti dovrebbero tenere d'occhio il modernismo cattolico, perché fornisce un modello teologico per coloro che desiderano adattare il cristianesimo alle ideologie secolari e universalistiche dei potenti. In definitiva, il modernismo rappresenta un caso di indifferenza cristiana nei confronti dell'evangelizzazione, del lavoro missionario e del credo ortodosso. Preso sul serio, legittima anche la defezione dalla Chiesa.


Papa Benedetto XVI ha liberalizzato la celebrazione dell'antica Messa perché ritiene che ci debba essere continuità della fede da un'epoca all'altra, che non ci siano obblighi che i leader ecclesiastici possano imporre ai cristiani fedeli, se non quelli dati agli Apostoli nel deposito della fede. La visione di Benedetto della liturgia e della teologia imbrigliava la moderna liturgia vernacolare, dicendo che l'unica cosa che poteva esprimere era l'antica fede consegnata ai santi.


Quindi, le domande di cui sopra hanno la stessa risposta: la ragione per cui tanti leader cattolici odiano il VO, e la ragione per cui a me piace, è che essa rappresenta un ostacolo alla realizzazione della loro nuova visione religiosa, che non è solo discutibilmente cattolica, ma effettivamente post-cristiana.



NB - Con la sola eccezione dei collegamenti ad altri post di Messa in Latino, i link inseriti nel testo rinviano ai riferimenti bibliografici originali indicati nell'articolo: si tratta, quindi, di testi in lingua inglese.






sabato 30 luglio 2022

Il servizio sanitario britannico chiude la clinica che sfornava bambini transgender





Un'indagine definitiva conferma tutti i timori e le denunce di medici e pazienti. La gender clinic di Londra che somministrava farmaci sperimentali a migliaia di minori sarà smantellata




Caterina Giojelli30/07/2022
Salute e bioetica


Entro la primavera il Gender Identity Development Service (Gids) della Tavistock & Portman di Londra non esisterà più: dopo avere avuto accesso alle cartelle cliniche degli oltre 9 mila minori curati per disforia di genere negli ultimi dieci anni, il team di esperti guidato dalla pediatra in pensione Hilary Cass ha messo la parola fine all’incubo di Keira Bell e migliaia di ragazzini bollati come transgender e costretti a «un percorso tortuoso e inutile, permanente e che cambia la vita»: «L’attuale modello di cura – scrive Cass – espone i ragazzi a un rischio considerevole di disagio mentale e non rappresenta un’opzione sicura né praticabile a lungo termine».


L’inchiesta definitiva contro la Tavistock


Davanti alle prove schiaccianti raccolte dagli esperti sulla quantità indescrivibile di trattamenti sperimentali ormonali prescritti ai bambini al di fuori dei consueti standard clinici e di tutela, il servizio sanitario inglese ha finalmente deciso: il Gids verrà chiuso, i suoi servizi verranno trasferiti ai centri regionali supervisionati dai principali ospedali pediatrici, come Great Ormond Street e Alder Hey.


Ma ci sono voluti più di tre anni, le dimissioni di massa di molti medici, le denunce dei pazienti in tribunale, le prime pagine del Times per porre fine al furto dell’infanzia e alla mercificazione dei corpi dei minori (cinquemila pazienti nel 2021, erano 250 solo dieci anni prima): «È in atto un esperimento di massa sui bambini, i più vulnerabili». Tra di loro, Keira Bell, la ragazzina che a soli 16 anni e nel giro di tre soli appuntamenti, si trovò ad assumere bloccanti della pubertà, poi iniezioni di testosterone e a vent’anni a subire una doppia mastectomia. Fino a realizzare che ad essere sbagliato non era il suo corpo e decidere di ricorrere con tanti altri detransitioners come lei all’Alta Corte inglese contro la clinica.


Il dottor Bell: «Non potevo far finta di niente»


Lo scandalo della Tavistock era venuto alla luce alla fine del 2018, quando un rapporto sui metodi discutibili del Gids steso dallo psichiatra e psicanalista David Bell, responsabile dei servizi per gli adulti presso la Tavistock (che lo ostacolò e sanzionò in tutti i modi), era arrivato ai giornali. Tempi aveva ripercorso l’intera vicenda qui: dieci medici (un terzo dei clinici alle prese con i bambini avviati alla clinica) avevano bussato alla porta del luminare più anziano per chiedere aiuto. Al Gids, spiegavano, i bambini erano sempre più provati, e non sempre condividevano il senso di urgenza dei genitori. I loro capi liquidavano come “casi semplici” quelli di piccoli pazienti a cui diagnosticare immediatamente la disforia di genere e somministrare di default bloccanti della pubertà e ormoni sessuali incrociati.


Alcuni piccoli erano stati avviati al trattamento dopo due soli appuntamenti, bollati come trans, e da allora mai più seguiti. Secondo i medici il Gids stava inoltre arruolando troppi psicologi inesperti (e poco costosi). Il caso più grave riguardava un bambino, spedito da un endocrinologo per iniziare il trattamento a soli 8 anni. «Non potevo far finta di niente», raccontò Bell al Guardian.


«Volete un figlio vivo o una figlia morta?»


Quell’anno in 18 si licenziarono per “ragioni di coscienza” («questo trattamento sperimentale viene effettuato non solo sui bambini, bensì su bambini molto vulnerabili, che hanno avuto problemi di salute mentale, abusi, traumi familiari. Ma a volte questi fattori vengono semplicemente insabbiati», raccontarono al Times) seguendo l’esempio dello psicanalista Marcus Evans, il primo a contestare ciò che la clinica propinava come “trattamento reversibile” a minori con disturbi dello spettro autistico, nonché a genitori, già convinti da attivisti, celebrità ed influencer che la transizione fosse cosa normale, facile e indolore.

L’inchiesta del Times fece tremare il Regno Unito: i medici denunciarono le pressioni della clinica per avviare al percorso di transizione il più gran numero di bambini possibile dopo sedute di sole tre ore. Nella fretta di accettare e celebrare la nuova identità transgender venivano ignorate storie familiari complesse, di ragazzi gay o autistici diagnosticati di default come “transgender”, avviati ai bloccanti ormonali a partire dai sedici anni. E raccontarono come le charity transgender avessero avuto responsabilità fondamentali nel promuovere tra madri e padri la transizione di genere come unica “cura” per i loro figli, citando la potentissima Mermaids: «Mermaids dice sempre ai genitori che è una questione di vita o di morte. “Preferiresti un ragazzo vivo o una ragazza morta?”: la narrazione di Mermaids è ovunque».

«Un esperimento dal vivo e non regolamentato sui bambini»


Molti professori e colleghi si unirono ai medici, editoriali affrontarono il tema della pericolosità dell’uso off-label dei farmaci, «un esperimento dal vivo non regolamentato sui bambini». L’inchiesta sui servizi di riassegnazione aprì diversi contenziosi in tribunale, Tavistock diventò il centro di un’intensa attività di ispezione e monitoraggio da parte del ministero della Sanità, intervenne anche la politica.

Lo scorso anno un rapporto della Care Quality Commission bollò il Gids come «inadeguato», il punteggio più basso che può ottenere un operatore sanitario. Nel rapporto si denunciava la mancanza di registri, l’assenza di numeri, documenti di consenso dei pazienti, le valutazioni sommarie, liste di attesa assurde: 4.600 i giovani che si dicevano transgender cercavano di prenotarsi per un appuntamento.


Il rischio di avere interrotto lo sviluppo cerebrale dei bambini


Eppure la verità è alla fine venuta a galla ed è ancora più terribile di quella che lasciavano immaginare le inchieste. Non solo nel rapporto di Cass – qui ben ripreso nei suoi passaggi più importanti dallo Spectator – si evince che per anni l’Nhs ha trattato bambini vulnerabili, angosciati e incerti sul loro genere, come transgender e con farmaci che avranno un impatto irreversibile sulla loro vita, senza sapere se quei farmaci potessero produrre i risultati attesi o, al contrario, rendere loro più difficile risolvere disagi e incertezze. Non solo i bloccanti della pubertà potrebbero aver avuto l’effetto opposto a quello che è stato così strenuamente rivendicato. Ma:
«Un ulteriore motivo di preoccupazione è che gli aumenti di ormone sessuale in adolescenza potrebbero innescare l’apertura di una fase critica per la rimappatura sulla base dell’esperienza dei circuiti neurali responsabili della funzione esecutiva (ossia la maturazione della parte del cervello coinvolta nel pianificare, prendere decisioni e giudicare). Se le cose stanno così, la maturazione del cervello potrebbe essere temporaneamente o permanentemente interrotta dai bloccanti della pubertà, cosa che potrebbe avere un impatto significativo sulla capacità di assumere decisioni complesse che comportano rischi, così come possibili conseguenze neuropsicologiche nel lungo periodo. A oggi, sono state condotte ricerche molto limitate sull’impatto di breve, medio e lungo periodo dei bloccanti della pubertà sullo sviluppo neurocognitivo».

In altre parole una revisione dell’Nhs ha dimostrato che i farmaci che lo stesso servizio sanitario ha somministrato ad alcuni bambini possono interrompere lo sviluppo cerebrale e lasciarli ancora meno in grado di prendere decisioni complesse. Tali farmaci potrebbero avere conseguenze a lungo termine per il funzionamento mentale dei bambini a cui sono stati somministrati.


Tre anni di «paura di essere accusati di transfobia»


«Tutto ciò solleva molte domande tristi – scrive lo Spectator -. Eccone solo due. Data la mancanza di prove a sostegno dell’uso dei bloccanti della pubertà e la quantità di preoccupazioni sollevate, perché ci è voluto così tanto tempo prima che le incertezze e i rischi legati al loro uso fossero ufficialmente riconosciuti? In quale altro contesto le autorità responsabili – mediche, governative e politiche – sarebbero state così lente a intervenire su un così scandaloso disprezzo per il benessere dei bambini?».


Già Bell, sconcertato dall’assenza di “teste rotolate” alla Tavistock dopo la sua denuncia, si era detto scioccato dalla riluttanza della sinistra ad occuparsi della questione: «Pensano che questo abbia a che fare con l’essere liberali, piuttosto che con la preoccupazione per come vengono curati i bambini. Mermaids e Stonewall hanno fatto temere alle persone anche solo la possibilità di ascoltare un altro punto di vista». «Ciò che conta è la verità. Ma la paura di essere additato come transfobico ora prevale su tutto».


Il Times: i bloccanti come le lobotomie per la cura delle malattie mentali


«Quando alla fine il servizio sanitario nazionale ha deciso di indagare, il rapporto della dottoressa Hilary Cass è stato spaventoso – scriveva ieri il Times sull’epilogo di una vicenda seguita dai suoi giornalisti per oltre tre anni -. La clinica non era riuscita a tenere registri accurati di tutti i bambini trattati con ormoni dopo la loro crescita. Non c’è stato un monitoraggio a lungo termine degli esiti, nessun tentativo di guardare ad altri fattori che influenzano il benessere mentale e nessuna distinzione tra esperienza clinica e lo stridente attivismo di coloro che hanno insistito sul fatto che i diritti dei trans fossero soprattutto una questione di accettazione sociale e politica. La scienza non dovrebbe mai essere prigioniera dell’ideologia, né gli scienziati dovrebbero essere intimiditi per smorzare i dubbi sulla pratica attuale. La dipendenza della Tavistock dai bloccanti della pubertà è stata paragonata alla mania del Ventesimo secolo per la cura delle malattie mentali con le lobotomie. Si basa su poche prove cliniche ma diventa una cura universale. I bambini sono soggetti a una miriade di fattori che influenzano la loro salute mentale: anoressia, autolesionismo, isolamento e relazioni interrotte. La dismorfia corporea dovrebbe essere inserita nel contesto dell’assistenza pediatrica generale, come sarà ora. Le preoccupazioni per l’ottusa ideologia del Tavistock sono state a lungo evidenziate dagli scrittori del Times. Finalmente il governo ha ascoltato».


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venerdì 29 luglio 2022

Germania: il “Cammino sinodale” … verso il disastro





di Julio Loredo

Si parla ancora del “cammino sinodale” intrapreso dalla Chiesa in Germania, specialmente dopo il recente documento della Santa Sede che pone alcuni paletti. Lo spirito del “Weg” tedesco, anche se non necessariamente tutte le sue conclusioni, sembra inserirsi in quello che il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, propone come un nuovo “modello” di Chiesa in stato di “sinodalità permanente”, che coinvolgerebbe clero e laici.

Il modello “cammino sinodale” intende dare alla luce una nuova “Chiesa sinodale” animata da una nuova “spiritualità della sinodalità”. “Non basta avere un sinodo, bisogna essere sinodo”, ha ribadito Francesco[1].

L’entusiasmo con cui i progressisti di tutto il mondo hanno abbracciato questo modello di sinodalità permanente – che nella loro visione scardinerebbe la presente struttura gerarchica nella Chiesa – cozza, però, con il fatto che la crisi ecclesiastica è stata da loro stessi provocata, in primis, in Germania. Facile affermare, come fa l’ineffabile cardinale Marx dopo decenni di gestione in prima persona della situazione, che la crisi non si deve a loro ma che è “sistemica”. Cioè, da attribuire all’abuso di autorità nella Chiesa, un pretesto per darle un nuovo profilo più democratico e accettabile agli occhi della società contemporanea.

Nel solo 2021, ben 359.338 cattolici hanno lasciato la Chiesa in Germania. Per la prima volta nella storia del Paese, i cattolici sono una minoranza. Dichiarandosi “sconvolto per l’altissimo numero di persone che stanno lasciando la Chiesa”, il presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing, ha detto: “I numeri testimoniano una profonda crisi, non c’è niente da dire”[2].

Questa moria di fedeli non coinvolge soltanto i cattolici non praticanti. Secondo mons. Bätzing, “C’è un feedback crescente sul fatto che anche le persone precedentemente coinvolte nella parrocchia stanno facendo questo passo”.

La presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK), Irme Stetter-Karp, ha affermato che i numeri riflettono un cambiamento fondamentale nella società: “Il potere delle Chiese di interpretare la religione non è più una cosa ovvia, a differenza di molti decenni, persino secoli fa”. Un bel modo per dire che la Chiesa non viene più ascoltata, e forse nemmeno creduta.

Ora, dai tempi del Concilio Vaticano II si è fatto di tutto e di più per “avvicinare” la Chiesa ai fedeli, spogliandosi di tutto ciò che potesse rappresentare sacralità e gerarchia. Ed ecco il risultato: più la Chiesa si desacralizza, più i fedeli la abbandonano. Non sarebbe l’ora di trarre qualche lezione dalla realtà?



Note

[1] https://www.synod.va/it/in-evidenza/per-una-spiritualita-della-sinodalita.html

[2] Katch.ch 27 giugno 2022.



Attribuzione immagine: Creative Commons Attribution Share Alike




Capire che ciò che per noi è un male, per Dio è un grande bene!




 29 LUGLIO 2022


Le croci che Dio permette nella nostra vita sono preziose, anzi preziosissime. Siamo portati a rifiutarle, ad inquietarci, a ribellarci. Le vediamo come ostacoli alla nostra realizzazione. Eppure, se Dio le permette, servono a qualcosa. Servono alla nostra salvezza. Oggi queste cose non si dicono più, perché ci si vergogna della Croce. Eppure questa non solo è una consolante verità, ma è anche ciò che rende il Cristianesimo…Cristianesimo.

Leggiamo ciò che ci dice a riguardo G.B. Saint-Jure nel suo Fiducia nella divina Provvidenza. Segreto di pace e felicità:

Quale sarà la nostra confusione quando appariremo davanti a Dio e vedremo le ragioni che egli avrà avuto per inviarci quelle croci di cui noi restiamo così poco obbligati! Ho rimpianto quel figlio unico morto nel fiore degli anni: ohimè! Se fosse ancora vissuto alcuni mesi, alcuni anni, egli sarebbe perito per mano di un nemico, sarebbe morto in peccato mortale. Non mi sono potuto consolare per la rottura di quel fidanzamento: se Dio avesse permesso che si fosse concluso, avrei trascorso i miei giorni nel dolore e nella miseria. Devo trenta o quarant’anni di vita a quella malattia che ho sofferto con tanta impazienza. Devo la mia salvezza eterna a quella confusione che tante lacrime mi è costata. La mia anima era perduta, se non avessi perduto quel denaro. Di che ci preoccupiamo? Dio s’incarica della nostra condotta e noi siamo inquieti!

(…)

Se vedessimo tutto ciò che Dio vede, noi vorremmo infallibilmente tutto ciò che Lui vuole; anzi gli chiederemmo tra le lacrime le afflizioni stesse che ci sforziamo di distogliere da noi con i nostri voti e le nostre preghiere. Perciò è a tutti noi che Egli dice nella persona dei figli di Zebedeo: ‘Nescite quid petatis’; cioè: poveri ciechi, la vostra ignoranza mi fa pietà, voi non sapete ciò che domandate; lasciatemi aver cura dei vostri interessi, governare la vostra fortuna; io so meglio di voi ciò che vi è necessario; se finora avessi avuto riguardo ai vostri sentimenti e ai vostri gusti, voi sareste già perduti senza rimedio.

 

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri



giovedì 28 luglio 2022

A proposito del “mea culpa” di Papa Francesco in Canada. La verità storica




di Roberto de Mattei, 27 Luglio 2022

La Chiesa cattolica, fedele al mandato del suo divino Maestro: «Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc. 16, 15), ha svolto, fin dalla sua fondazione una grande opera missionaria, attraverso la quale ha portato al mondo non solo la fede, ma la civiltà, santificando luoghi, popoli, istituzioni e costumi. Grazie a quest’opera, la Chiesa ha civilizzato anche i popoli delle due Americhe, immersi nel paganesimo e nelle barbarie.

In Canada, la prima missione gesuita tra i pellirosse irochesi, diretta dal padre Charles Lallemant (1587-1674), sbarcò a Quebec nel 1625. Una nuova missione arrivò nel 1632, guidata dal padre Paul Le Jeune (1591-1664). Il padre Giovanni de Brébeuf (1593-1649), ritornò nel 1633 con due padri. Di capanna in capanna, cominciarono ad insegnare il catechismo a fanciulli e ad adulti. Ma alcuni stregoni convinsero gli Indiani che la presenza dei padri causava la siccità, le epidemie e ogni altra disgrazia. I gesuiti decisero allora di proteggere i catecumeni isolandoli in villaggi cristiani. Il primo fu edificato a 4 miglia da Québec. Ebbe il suo fortino, la sua cappella, le sue case, l’ospedale, la residenza dei Padri.

Contemporaneamente alcuni volontari si offrivano per convertire gl’Indiani: santa Maria dell’Incarnazione Guyart Martin (1599-1672), un’orsolina di Tours, che aveva fondato con altre due religiose un pensionato a Québec per l’istruzione dei fanciulli indiani; la signora Marie-Madeleine de la Peltrie (1603-1671), una vedova francese, che aveva creato con alcune suore ospedaliere di Dieppe un ospedale, sempre a Québec; i membri della Società di Nostra Signora che, aiutati dal sacerdote sulpiziano Jean-Jacques Olier (1608-1657) e dalla Compagnia del Santissimo Sacramento, costruirono nel 1642 Ville Marie, dalla quale sarebbe nata Montreal.

Gli Indiani Irochesi però si mostrarono irriducibilmente ostili. Essi avevano orribilmente mutilato il padre Isacco Jogues (1607-1646) e il suo coadiutore René Goupil (1608-1642) versando loro addosso carboni ardenti. Nel marzo 1649, gli Irochesi martirizzarono i padri de Brébeuf e Gabriele Lallemant (1610-1649). Il padre Brébeuf fu trafitto con aste arroventate e gli Irochesi gli strapparono brandelli di carne, divorandola sotto i suoi occhi. Poiché il martire continuava a lodare Dio, gli strapparono le labbra e la lingua e gli ficcarono in gola tizzoni ardenti. Il padre Lallemant fu torturato subito dopo con ferocia ancora maggiore. Poi un selvaggio gli fracassò la testa con la scure e gli strappò il cuore, bevendone il sangue, per assimilarne la forza e il coraggio. Un’altra ondata d’odio fece, nel mese di dicembre, due nuovi martiri, i padri Charles Garnier (1605-1649) e Noël Chabanel (1613-1649). Gli otto missionari gesuiti, conosciuti come “martiri canadesi” furono proclamati beati da papa Benedetto XV nel 1925 e canonizzati da papa Pio XI nel 1930.

Questi episodi fanno parte della memoria storica del Canada e non possono essere dimenticati. Papa Francesco, come gesuita dovrebbe conoscere questa epopea, narrata, tra gli altri, dal suo confratello padre Celestino Testore, nel libro I santi martiri canadesi, apparso nel 1941, e ripubblicato in Italia dall’editore Chirico nel 2007.

Ma soprattutto il Santo Padre avrebbe dovuto trattare con maggior prudenza il “caso” della presunta scoperta di fosse comuni nelle cosiddette ‘Indian residential schools’ del Canada, una rete di collegi per gli indigeni canadesi fondate dal governo e affidate prevalentemente alla Chiesa cattolica, ma anche in parte alla chiesa anglicana del Canada (30%), con l’idea di integrare i giovani nella cultura del paese, secondo il Gradual Civilization Act, approvato dal Parlamento canadese nel 1857. Negli ultimi decenni però la Chiesa cattolica fu accusata di aver partecipato a un piano di sterminio culturale dei popoli aborigeni, i cui giovani venivano sequestrati alle famiglie, indottrinati e talvolta sottoposti ad abusi, per essere “assimilati” dalla cultura dominante, Nel mese di giugno 2008 il governò canadese, su posizioni “indigeniste”, fece le sue scuse ufficiali agli indigeni e istituì una Commission de vérité et réconciliation (CVR), per le scuole residenziali indiane.

I ricercatori della Commissione, malgrado i 71 milioni di dollari ricevuti, hanno lavorato sette anni, senza trovare il tempo di consultare gli archivi degli Oblati di Maria Immacolata, l’ordine religioso che, alla fine dell’Ottocento, iniziò a gestire le Residential Schools. Basandosi, invece, proprio su questi archivi, lo storico Henri Goulet, nella sua Histoire des pensionnats indiens catholiques au Québec. Le rôle déterminant des pères oblats (Presses de l’Université de Montréal, 2016) ha dimostrato che gli Oblati erano gli unici difensori della lingua e del modo di vita tradizionale degli Indiani del Canada, a differenza del governo e della chiesa anglicana, che insistevano per una integrazione che sradicava gli indigeni dalle loro origini. Questa linea storiografica trova conferma nelle opere di uno dei maggiori studiosi internazionali della storia religiosa del Canada, il prof. Luca Codignola Bo, dell’Università di Genova.

Dall’accusa di “genocidio culturale” si è intanto passati a quella di “genocidio fisico”. Nel maggio 2021, la giovane antropologa Sarah Beaulieu, dopo aver analizzato con un georadar il terreno vicino all’ex scuola residenziale di Kamloops, ha lanciato l’ipotesi dell’esistenza di una fossa comune, pur senza aver fatto nemmeno uno scavo. Le affermazioni dell’antropologa, divulgate sui grandi media e avallate dal premier Justin Trudeau, si sono trasformate in narrative diverse, alcune delle quali affermano che «centinaia di bambini» sarebbero «stati uccisi» e «sepolti segretamente» in «fosse comuni» o in tumuli irregolari nei terreni di «scuole cattoliche» di «tutto il Canada».

Questa notizia è semplicemente priva di qualsiasi fondamento, visto che non sono mai stati riesumati dei cadaveri, come già ha documentato Vik van Brantegem il 22 febbraio 2022 sul suo blog Korazym.org. Il 1 aprile 2022, sul blog Uccr è apparsa un’accurata intervista allo storico Jacques Rouillard, professore emerito della Facoltà di Storia dell’Università di Montreal, che smentisce categoricamente il genocidio culturale e quello fisico degli indigeni canadesi, negando l’esistenza di fosse comuni nelle scuole residenziali. Egli è convinto che, dietro a tutto, ci sia solo un tentativo di risarcimento milionario. Lo scorso 11 gennaio lo stesso prof. Rouillard ha pubblicato sul portale canadese Dorchester Review un ampio articolo in cui afferma che nessun corpo di bambino è stato trovato nelle presunte fosse comuni, in sepolture clandestine o in qualsiasi altra forma di sepoltura irregolare nella scuola di Kamloops. Dietro i collegi ci sono solo semplici cimiteri, in cui venivano sepolti gli studenti delle scuole, ma anche i membri della comunità locale e gli stessi missionari. In base ai documenti presentati da Rouillard, 51 bambini sono morti in quell’internato tra il 1915 e il 1964. Nel caso di 35 di loro sono stati trovati documenti che provano la causa della morte, soprattutto malattie e in alcuni casi incidenti. Un nuovo articolo del professor Tom Flanagan e del magistrato Brian Gesbrecht, pubblicato il 1 marzo 2022 sul Dorchester Review con il titolo The False Narrative of the Residental Schools Burials, ribadisce come non c’è traccia di un solo studente ucciso nei 113 anni di storia delle scuole residenziali cattoliche. Secondo gli stessi dati forniti dalla Commission de vérité et réconciliation (CVR) il tasso di mortalità nei giovani che frequentavano le scuole residenziali era in media di circa 4 decessi all’anno ogni 1.000 giovani e la causa principale era dovuta a tubercolosi ed influenza. Sembra che finalmente si siano autorizzati gli scavi a Kamloops, ma, come afferma il prof. Rouillard, sarebbe stato meglio si fossero svolti lo scorso autunno, così da conoscere la verità ed impedire a papa Francesco di venire a scusarsi sulla base di ipotesi non provate. Queste le parole dell’accademico canadese: «È incredibile che una ricerca preliminare su una presunta fossa comune in un frutteto abbia potuto portare a una tale spirale di affermazioni avallate dal governo canadese e riprese dai media di tutto il mondo. Non si tratta di un conflitto tra storia e storia orale aborigena, ma tra quest’ultima e il buon senso. Sono necessarie prove concrete prima che le accuse contro gli Oblati e le Suore di Sant’Anna possano essere scritte nella storia. Le esumazioni non sono ancora iniziate e non sono stati trovati resti. Un crimine commesso richiede prove verificabili, soprattutto se gli accusati sono morti da tempo. È quindi importante che gli scavi avvengano al più presto, affinché la verità prevalga sulla fantasia e sull’emozione. Sulla strada della riconciliazione, il modo migliore non è forse quello di cercare e raccontare tutta la verità piuttosto che creare miti sensazionali?»







Messa in mare, sacrilegio evidente a tutti tranne che ai vescovi



Il parroco di San Luigi di Milano, don Bernasconi, è indagato dalla Procura di Crotone per "offese a una confessione religiosa" dopo la Messa celebrata in mare. Ma ciò che è evidente a tutti, il sacrilegio, è ignorato dai vescovi coinvolti, che tacciono su un grave vulnus inferto ai credenti e rinunciano a esigere riparazioni pubbliche e provvedimenti canonici nei confronti del prete che si limita a chiedere scusa per la sua ingenuità, ma continuando a giustificarsi. Il procuratore è intervenuto non per ingerenza, ma a difesa della religione perché l'articolo 404 tutela proprio gli oggetti di culto dalle offese alla fede. Solo che stavolta a compierle non è stato un miscredente, ma un sacerdote.


Attualità

INDAGATO IL PRETE

Andrea Zambrano, 28-07-2022

Nella penosa vicenda di Crotone, quella del prete milanese don Mattia Bernasconi che ha celebrato messa in mare a petto nudo con il materassino come altare, le notizie sono due: la prima è che un procuratore della Repubblica ha detto “non ci sto” e ha aperto un fascicolo per violazione dell’articolo 404 (offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose), la seconda è che l’indagato non è un miscredente, ateo, satanista o chissà chi, ma è un sacerdote. Un ministro di Dio che ora sarà sottoposto alle indagini della Procura crotonese.

Dopo aver visto quelle immagini, il procuratore capo della località calabrese non ha aspettato esposti: il reato è procedibile d’ufficio. Vale a dire che è tra quelli che lo Stato ritiene più impellenti da perseguire. È stato, infatti, Giuseppe Capoccia, il titolare della procura crotonese, ad aprire il fascicolo nel quale stranamente figura – forse per la prima volta nella storia – un sacerdote.

È questo il nocciolo della questione che dovrebbe allarmare i vescovi, a cominciare da quello di Crotone (piuttosto blando nel suo comunicato in cui sottolinea solo l’inopportunità del contesto scelto) passando per quello di Milano – diocesi di provenienza del sacerdote – Mario Delpini, che sulla vicenda ha preferito tacere. Per finire col cardinal Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, sempre solerte ad intervenire per qualunque cosa (tipo fare il tifo perché Draghi rimanesse a Palazzo Chigi), ma stranamente afono di fronte a questa vicenda di sacrilegio ecclesiale senza alcun senso né ritegno.

Insomma: un sacrilegio – di un prete! – è chiaro a tutti, persino alla magistratura, tranne che ai vescovi e questo la dice lunga su come il livello di guardia dell’ortodossia si sia abbassato in questi anni, tranne che in un particolare caso: scommettiamo che se don Bernasconi avesse celebrato in latino in una chiesa vicina, senza l’autorizzazione del vescovo, oggi staremmo raccontando di una sanzione canonica calda e fumante per lui?

Infatti, per il prete non si parla assolutamente di un procedimento canonico, i cui termini ci starebbero tutti, ma la Chiesa sconta purtroppo il grave handicap di aver tollerato fino al parossismo del sacrilegio tutte le creatività possibili. Correre ai ripari ora e con il solo che è finito sui giornali e indagato, appare controproducente. Per la legge degli estremi che si attraggono a forza di messe blasfeme, di consacrazioni truffa e di comunioni clownesche, i “miscredenti” sono diventati alcuni preti.

Lui, il sacerdote, ieri ci ha provato a correre ai ripari pubblicando una lettera sul sito della parrocchia di San Luigi Gonzaga in Milano nella quale si è cosparso il capo di cenere chiedendo scusa per la sua ingenuità, ma continuando a giustificarsi perché in fondo in quel tratto di costa crotonese non c’erano, per lui e i ragazzi della sua parrocchia reduci dal campo di Libera, luoghi adatti a celebrare. Ma non sarà credibile: la località Alfieri è una delle principali del capoluogo calabro e la prima chiesa dista non più di 500 metri. Insomma: di fronte ad un eventuale interrogatorio del procuratore non potrà avanzare lo stato di necessità come un cappellano della guerra ’15-’18 costretto sul Carso a celebrare Messa su un affusto di cannone.

Quel che è evidente è che nessuno – né don Bernasconi (in foto), né il suo vescovo – senta il bisogno di riparare al gravissimo sacrilegio di una Messa diventata una messa in scena. Perché un vulnus c’è stato e chiedere scusa non servirà a ripararlo. Per il linguaggio dei giudici la riparazione si chiama indagine – per lo meno – per la Chiesa si chiama Messa riparatrice. Ma non ci sarà, statene certi.


Chi invece ha tutta l’aria di voler andare fino in fondo in questa vicenda è il procuratore capo di Crotone, che ha dimostrato coraggio e che nel delineare l'art. 404 Cp, l’ex vilipendio della religione cattolica, oggi riformato a favore di tutte le religioni, dimostra che a tutto c’è un limite e se non sono i vescovi a correre ai ripari, lo Stato la sua parte la può e la deve fare. Non come ingerenza dello Stato negli affari della Chiesa, però. Il sospetto è parso concreto quando le agenzie hanno battuto la notizia dell’indagine: una Procura, che persegue un ministro di Dio per una celebrazione eucaristica, potrebbe apparire proprio una di quelle invasioni di campo che lo Stato si prende spesso la libertà di fare, vedi la pandemia appena trascorsa e le Messe regolate dalla pubblica autorità con tanto di carabiniere che interrompe la Messa e resta ovviamente impunito.

Ma a fugare ogni dubbio circa la liceità della misura è stato lo stesso procuratore.


La Bussola ha potuto verificare direttamente in Procura e ha appreso che la mens di Capoccia (in foto) è molto chiara: una tutela della fede del popolo e non un’imposizione di una liturgia. Sta in questo fatto oggettivo la distinzione del procuratore: «Noi abbiamo una legge da rispettare, l'articolo 404 del codice penale, che sanziona chi vilipende gli oggetti destinati al culto e che è passibile di una sanzione penale», si sarebbe giustificato il magistrato - stando ai bene informati - dopo aver sentito anche il vescovo di Crotone. Ebbene: non si tratta dunque di giudicare la fede di Don Bernasconi (ci penserà Dio), né di giudicare la condotta liturgica (ci penserà il suo vescovo, se vorrà).

Ma si tratta di riconoscere che gli oggetti consacrati al culto (l’altare-materassino, il calice e le ostie impastate di acqua di mare, i paramenti messi da parte etc…) sono stati vilipesi, cioè resi vili dal comportamento di don Bernasconi. Questo è un fatto oggettivo che arreca dolore ad una comunità di cattolici che conta 1 miliardo e 300 mila fedeli nel mondo e che a buon diritto pretende dallo Stato che sia rispettato il suo sentimento di fede.

«Avrei fatto lo stesso anche con un crocifisso esposto al gay pride», ha ribadito il procuratore ai suoi stretti collaboratori, per iniziare a costruire la sua “difesa”, visto che le critiche su di lui pioveranno copiose. E in parte sono già piovute. Infatti, qualcuno sui social si è divertito a rimproveragli di perseguire cose inutili come una Messa (absit iniuria verbis) quando invece le emergenze in una terra come quella sono la ‘Ndrangheta, la corruzione e il malaffare.

A proposito di Mafia & affini.

La vicenda dimostra che l’Antimafia non può diventare una scusa per fare le cose più sbagliate rimanendo impuniti e che la cultura della legalità passa anche dal rispetto di tutte le norme, anche quelle canoniche, specie se si è sacerdoti.

Resta, al fondo, oltre al grave vulnus che difficilmente verrà riparato se non nelle aule giudiziarie una grossa pietra d’inciampo che però è tutta dentro la Chiesa e non coinvolge la Procura: un altare trasformato in materassino, un asciugamano al posto della tovaglia, un calice imbrattato in acqua di mare svelano la grave ignoranza di che cosa sia l’altare, cioè la verità dell’atto, il sacrificio della croce di Cristo. C’è uno slogan che gira sui social e che dice: se non sta a fianco della croce, vuol dire che non appartiene alla Messa. Mettereste sul Golgota un salvagente? Assistereste alla crocifissione di Gesù in boxer e petto nudo? Pensate la scena: le tre Marie piangenti e voi col vostro materassino di pvc.







mercoledì 27 luglio 2022

Messa con materassino: la Procura di Crotone apre un fascicolo per “offesa a confessione religiosa”





mercoledì 27 luglio 2022

Mentre la Chiesa - e in particolare l'Arcidiocesi cui appartiene il sacerdote senza senso del sacro - si adegua al dettato conciliare del "vietato vietare" (che si applica solo alla Messa dei secoli) col diramare un blando comunicato tenendosi sulle generali, interviene lo stato nelle vesti della Procura della repubblica di Crotone.

"La Procura della Repubblica di Crotone rende noto di aver iscritto un fascicolo ed avviato indagini per ”offesa a una confessione religiosa” in ordine all’episodio di una presunta celebrazione religiosa svolta nel mare antistante la spiaggia cittadina e le cui immagini sono state diffuse sui mass-media. Gli accertamenti sono stati delegati alla DIGOS di Crotone”.

 
È quanto si legge in un comunicato pubblicato dalla stampa locale [qui] .








lunedì 25 luglio 2022

Cronache dalla Chiesa in uscita / Materassino per altare e Messa in mare




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by Aldo Maria Valli

Riportiamo da crotonenews.com. Senza commenti.


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Un materassino per altare, le acque dello Ionio per culla e una Santa Messa celebrata in mare. È quello che è accaduto questa mattina a Crotone in località Alfieri-Scifo. Don Mattia Bernasconi e il suo gruppo di ragazzi della parrocchia San Luigi Gonzaga di Milano, dopo una settimana di campo di volontariato con Libera, presso la cooperativa Terre Joniche – Libera Terra, hanno deciso di trascorrere l’ultimo giorno di permanenza in spiaggia e soprattutto in mare.

Raggiunto il luogo hanno cercato senza fortuna una zona d’ombra che potesse consentire loro di celebrare la Santa Messa. Visto il gran caldo di queste ore e le invitanti acque del mare, don Mattia ha proposto ai ragazzi di celebrare messa in acqua. Proposta accolta con entusiasmo dal gruppo parrocchiale. La notizia è arrivata subito alle orecchie di una famiglia che stava trascorrendo la domenica nella stessa spiaggia e che si è offerta di fornire il materassino come altare.

Così don Mattia ha celebrato Messa, parlato durante l’omelia e dato l’eucarestia ai bagnanti.

“Una esperienza sconvolgente” ha detto don Mattia a CrotoneNews, riferendosi al campo di volontariato di Libera presso la cooperativa Terre joniche-Libera Terra. “Sconvolgente perché ha sconvolto di fatto molti nostri pensieri e, ovviamente, sconvolgente in senso positivo. È stata una settimana di formazione straordinaria e di contatto con realtà diverse e con la terra”.

Poi a proposito della Messa in mare ha detto di “aver pensato a Gesù che sale sulla barca di Pietro per poter parlargli”. Ha anche detto nell’omelia di come quell’acqua che era agitata quando nuotavano, nel momento di quiete (durante la Messa) sia diventata talmente calma e limpida da far vedere loro i propri piedi e i pesci che nuotavano intorno, come se si diradassero le turbolenze e tutto apparisse più limpido. Paragonando tutto all’esperienza “sconvolgente” fatta sui terreni confiscati alla ‘ndrangheta a Isola Capo Rizzuto, dove molte cose, dopo aver ascoltato e lavorato al fianco di Libera e della cooperativa, oltre che delle persone incontrate, appaiono più chiare, più limpide.

Fonte: crotonenews.com




Rieducazione liturgica: questa Messa non s’ha (più) da fare




A un anno dal motu proprio “Traditionis Custodes”, in tre diocesi USA cominciano le operazioni di smantellamento della Messa in rito antico, mostrando che la Santa Sede mira a eliminarla ovunque. A Savannah (Georgia) le celebrazioni dovranno terminare tra meno di un anno, a Washington si potrà celebrare more antiquo in sole tre chiese e non nei momenti centrali dell’anno liturgico. Insistenti i rumors su Chicago, dove il cardinale Blaise Cupich starebbe per porre fine all’apostolato dei preti dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote. Nella Chiesa “della misericordia” dà fastidio soltanto la liturgia tradizionale? Così la cura pastorale si traduce in una sorta di rieducazione liturgica.



TRADIZIONE NEL MIRINO

Stefano Chiappalone, 25-07-2022

Negli USA suonano le campane a morto per la “Messa in latino” e i rintocchi provengono da Roma. Un caso istruttivo a Savannah, in Georgia, un decreto a Washington e probabili rumors da Chicago, a un anno dal motuproprio Traditionis Custodes chiariscono, a chi ancora non lo avesse capito, l’intento dichiarato della Santa Sede e (non da ora) di parte della gerarchia: non semplicemente regolamentare il rito antico, ma condurlo all’estinzione.

A Savannah le celebrazioni dovranno terminare tra meno di un anno. Applicando le indicazioni del motu proprio e dei successivi Responsa dell’allora Congregazione per il Culto Divino, mons. Stephen D. Parkes ha chiesto a Roma l’autorizzazione per continuare nelle chiese parrocchiali: autorizzazione concessa, ma con data di scadenza. Lo ha reso noto lo stesso vescovo in una lettera datata 15 luglio 2022. Va detto che il vescovo riconosceva la positività di questa esperienza, ma evidentemente non è bastato. Finora le celebrazioni si svolgevano una volta a settimana in cattedrale e una volta al mese in altre parrocchie, come stabilito recentemente dal vescovo in una lettera del 4 novembre. Il 18 dicembre con la pubblicazione dei Responsa, si specificava che per poter continuare la celebrazione nelle chiese parrocchiali (di per sé escluse da Traditionis Custodes), il vescovo doveva chiedere l’autorizzazione della Santa Sede, cosa che mons. Parkes ha fatto a metà aprile. La risposta di Roma, giunta a fine maggio e resa nota ora, indica che: 1) la Messa celebrata in cattedrale una volta a settimana va spostata nella parrocchia del Sacro Cuore, a partire dal prossimo 7 agosto; 2) nelle altre 3 parrocchie coinvolte (ad Augusta, Macon e Ray City) può continuare una volta al mese; 3) in entrambi i casi tutto ciò è possibile fino al 20 maggio 2023 (giorno indicato dallo stesso dicastero romano).


E dopo la fatidica data? Le parole di mons. Parkes lasciano poco spazio all’immaginazione: «I sacerdoti che celebreranno queste Messe accompagneranno i fedeli nei mesi a venire nella transizione alla Messa secondo i decreti del Concilio Vaticano II».

La data del 20 maggio 2023 potrebbe essere inoltre un indizio, colto dal blog Messainlatino, della possibile «emanazione di qualche provvedimento vaticano (già noto a qualcuno nel Dicastero?) che limiti ulteriormente (o peggio…) la celebrazione della Santa Messa tradizionale». In effetti non si tratta di una “cifra tonda” (un anno, sei mesi...) ma di una data ben precisa. Comunque vada, l’impressione è che, a dispetto del ruolo di «moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica», affermato nell’art. 2 di Traditionis Custodes, di fatto il vescovo sia libero, sì, ma solo di chiudere il rubinetto. Quelli desiderosi di andare incontro ai fedeli legati al rito tradizionale dovranno rivolgersi alla Santa Sede, la cui volontà è piuttosto chiara e reiterata. Sin dalla Lettera accompagnatoria del 16 luglio 2021 si evidenzia che l’obiettivo del motuproprio è «provvedere al bene» di questi fedeli che «hanno bisogno di tempo per ritornare al rito romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II». Quindi nei Responsa del 18 dicembre il Prefetto del Culto Divino, mons. Roche (che sarà creato cardinale il 27 agosto) ripete più volte che ogni concessione è «in vista dell’uso comune dell’unica lex orandi del rito romano», ovvero quella riformata. Infine, il n. 31 della recente Lettera Apostolica Desiderio desideravi ribadisce il desiderio del Santo Padre.

Prove di estinzione anche a Washington, con un decreto di 7 pagine del cardinale Wilton D. Gregory pubblicato il 22 luglio, che entrerà in vigore a settembre. Si potrà celebrare more antiquo in sole tre chiese e non nei momenti centrali dell’anno liturgico: niente Messe tradizionali a Natale, Pasqua e Pentecoste. E in ogni caso niente nozze né battesimi né altri sacramenti. Il cardinale ammette che che «la maggioranza dei fedeli che partecipano a questa santa Messa nell’arcidiocesi di Washington sono sinceri, pieni di fede e ben intenzionati» (parole sue). E allora perché restringerle? Perché «è chiaro che la sincera intenzione del Santo Padre è di portare a una maggiore unità nella Chiesa attraverso la celebrazione del Messale Romano di Papa Paolo VI». Altrimenti detto: la cura pastorale di questi fedeli deve spingerli ad abbandonare il rito antico, dispiegando «risorse catechetiche per illustrare loro i principi del rinnovamento liturgico del Vaticano II e la bellezza della Messa riformata». In vista dell’ormai conclamata volontà di estinzione della liturgia tradizionale, il card. Gregory concede – bontà sua – che questi fedeli partecipino a Messe riformate in latino e gregoriano (come se si trattasse di una preferenza puramente estetica), ma in ogni caso con l’altare versus populum (cosa di per sé mai imposta neanche dal Messale di San Paolo VI).


Appaiono quasi scontati i rumors su Chicago, dove il cardinale Blaise Cupich starebbe per porre fine all’apostolato dei preti dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote. Secondo diffuse indiscrezioni (tra cui il ben informato padre John Zuhlsdorf) dovranno andar via il 1° agosto. Il cardinal Cupich non ha avuto bisogno di “spinte romane”, dato che a Natale 2021, pochi giorni dopo i Responsa, si era già mosso con un decreto per implementare Traditionis Custodes nella sua diocesi (per inciso: nel 2007 vi fu altrettanta sollecitudine nell’applicare il Summorum Pontificum di Benedetto XVI?). Il decreto indicava il consueto obiettivo: «aiutare i fedeli che hanno regolarmente partecipato alle Messe nella forma precedente a comprendere i principi essenziali del rinnovamento liturgico» (anche qui concedendo un po’ di latino e gregoriano nelle Messe riformate per convincerli a mollare il rito antico). In breve: la cura pastorale si traduce in una sorta di “rieducazione” liturgica.

Com’è noto, ci si appella a (presunti) atteggiamenti antiecclesiali legati all’uso di questo rito. Ammesso (e solo parzialmente concesso) che ve ne siano, l’argomento si può ribaltare: quanti fautori della liturgia postconciliare si comportano come se la Chiesa sia stata rifatta ex novo negli anni Sessanta? In effetti, l’inammissibilità dell’antico si spiegherebbe solo nell’ottica di una cesura tra pre- e postconcilio: ma allora chi è davvero a volere questa rottura? E quanti partecipanti alle ordinarie celebrazioni riformate sono davvero consapevoli del mistero eucaristico? Quanti preti prendono a pretesto la riforma liturgica per infarcire il rito di invenzioni personali? Se si vuole buttare via il proverbiale bambino con l’acqua sporca, allora correrebbe seri rischi anche “il bambino” postconciliare...

Inoltre, se la Santa Sede in mezzo secolo afferma una cosa e il suo contrario non rischia di ridurre la propria autorevolezza? Ciò che era sacro fino al 1970 improvvisamente viene accantonato, poi nel 1984 e nel 1988 si chiede di concederlo generosamente, nel 2007 viene considerato una ricchezza e nel 2021 deve invece sparire. Di fronte a questo groviglio si staglia, limpida e cristallina l’affermazione di Benedetto XVI: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso».

Infine, perché tanta ostinata determinazione nel decretare a tutti i costi la fine di una liturgia venerabile? Tanto più che le precedenti concessioni di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI non provocavano alcun danno alla riforma liturgica: la maggioranza che segue la liturgia nuova continuava indisturbata a frequentarla senza che la coesistenza della liturgia tradizionale le togliesse alcunché. Nella Chiesa “della misericordia”, che proclama accoglienza a ogni piè sospinto, a destra e a manca (soprattutto a manca), dà fastidio soltanto la “minoranza” tridentina?







domenica 24 luglio 2022

La Chiesa non scambi la cronaca come Rivelazione






Di Stefano Fontana, 22 LUG 2022


Il filosofo tedesco Hegel aveva previsto che la preghiera mattutina dell’uomo moderno sarà leggere il giornale. La cronaca, l’attualità, quello che la storia ci dice sarà la nuova Rivelazione e la preghiera consisterà nel prenderne atto. Il cardinale Martini diceva che la Chiesa è in ritardo di 200 anni. In ritardo rispetto a cosa? In ritardo rispetto alla cronaca, l’attualità, quello che la storia ci dice, che è la nuova Rivelazione di cui la Chiesa non avrebbe ancora preso atto. Francesco sembra essersi incaricato di accorciare o anche annullare questo ritardo, col rischio che la Chiesa scambi la cronaca, l’attualità, quello che la storia ci dice per la Rivelazione, che la preghiera voglia dire prendere atto.

Ogni giorno Francesco concede una intervista a qualche giornale. Chiacchiera di cronaca, di attualità, di quello che la storia ci dice. Non valuta se non alla luce di qualche opinione, anche questa legata alla cronaca. Non giudica alla luce di una dottrina sottratta alla cronaca, prende atto di quanto accade, pone questioni, lancia qualche sasso nello stagno, contando che la cronaca possa fare qualche sussulto e possa far emergere il nuovo.

L’espressione del cardinale Martini, diventata l’agenda di Francesco, lascia intendere che a dire cosa sia vero è il mondo nella sua storia, e che la Chiesa deve affrettarsi a seguirlo. È la cronaca, l’attualità, quello che la storia ci dice ad essere la nuova Rivelazione.

Uno dei temi del ritardo della Chiesa era per il cardinale la morale sessuale. E infatti la Chiesa di Francesco sta correndo per recuperare il terreno perduto. La Pontificia accademia delle scienze sociali apre a contraccezione e a fecondazione omologa [QUI e QUI] e qualche agenzia preannuncia una prossima enciclica del papa sull’argomento. Francesco cambierà certamente il tradizionale insegnamento a proposito – inutile farsi illusioni – e il motivo sarà uno solo: la cronaca, l’attualità, quello che la storia ci dice è diverso e bisogna prenderne atto: le lodi mattutine sono la rassegna stampa. Siccome oggi pochissimi mettono in pratica gli insegnamenti della Humanae vitae e – si dice – perfino le coppie cattoliche usano i contraccettivi … allora la Chiesa deve cambiare il proprio insegnamento. A dettare legge è l’effettualità.

Del resto, quale era il motivo del cambiamento della dottrina sulla pena di morte? Il fatto che sociologicamente fosse cambiata la sensibilità generale in proposito. E qual era il motivo di cambiare la proposta cattolica sull’adulterio come ha fatto Amoris laetitia se non lo stesso, ossia che l’opinione corrente e la pratica diffusa erano ormai tutt’altra cosa?

Vorrei invitare il lettore di queste righe ad indicarmi un tema di attualità sul quale la Chiesa di Francesco mantiene una posizione dura e antitetica rispetto a quella del mondo, una posizione di resistenza e di opposizione. Le migrazioni? Il globalismo? L’ecologismo? Le transizioni? L’agenda ONU? Il modello cinese? La pianificazione familiare? L’abolizione della proprietà privata sostituita dallo sharing globalista? L’omosessualismo? Perfino il transumanesimo viene sdoganato, per ora da importanti riviste teologiche, domani anche più in su nella gerarchia ecclesiale.

L’aborto, che dovrebbe essere il primissimo argomento di lotta col mondo, è ormai ampiamente tollerato e un impegno pubblico contro di esso da parte della Chiesa viene giudicato come ideologico e non pastorale. La Chiesa si limita a “prendere atto” di una sentenza che impedisce che un bambino venga liquefatto o estratto a pezzi dal ventre di sua madre, o addirittura che venga estratto il suo corpo mentre la sua testa rimane ancora dentro e poi il medico lo uccide incidendo il midollo spinale.

Il progetto di Martini, oggi in atto, si basa sul principio che l’esistenza precede l’essenza. Un principio questo, implicito nella previsione della preghiera mattutina come lettura del giornale, dato che sarebbe la cronaca – ossia l’esistenza – a dirci cosa dobbiamo pensare e cosa dobbiamo fare. È stato però Jean Paul Sartre a dirla con maggiore chiarezza: l’esistenza precede l’essenza. Anche la Chiesa ha un’essenza, immutabile, fondata da Cristo e sorretta nella sua indefettibilità dallo Spirito Santo, ed ha poi una esistenza nella cronaca, nell’attualità, nella storia.

È la prima, l’essenza, a dover dare indicazioni alla seconda e non il contrario. È dalla sua essenza che derivano la missione e la pastorale della Chiesa e non il contrario. Quello che la Chiesa insegna deve trarre origine dalla sua essenza e dalla sua missione e non dalla cronaca, dall’attualità e da quello che dice la storia. Se la contraccezione, o l’adulterio, o l’omosessualità, o l’aborto… sono contrari al bene naturale e soprannaturale, la Chiesa deve continuare a dirlo, in coerenza con la propria essenza e missione, anche se le statistiche demoscopiche sui comportamenti effettivi delle persone dicessero tutto il contrario.

Questa è oggi la più grande questione per la Chiesa. Se si dimentica l’essenza, l’esistenza non viene più illuminata da alcuna luce. Essa si imporrà per cieca effettualità, e la vita della Chiesa sarà solo “tempo”, che tutto porta via con sé nella sua rapina.

Setafano Fontana






Non ci sono più le stagioni di una volta. E neanche le persone





23 LUG 22


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by Aldo Maria Valli


di Laura Liberini

Una volta (per quelli della mia età, quando c’era il mitico colonnello Bernacca) i bollettini meteo dicevano: “Comincerà a far caldo anche al Nord”. Beh, ieri sono stata colpita da un curioso annuncio: “E da domani comincerà a far caldo anche al Sud”.

Sarà che sono ormai entrata nella terza età, ma mi sorprendo, ormai più volte al giorno, a pensare frasi fatte come “Eh, ai miei tempi!” oppure “Non ci sono più le stagioni di una volta!”


È una semplice questione di fisiologici brontolamenti dovuti all’età avanzata o davvero stiamo vivendo un gran brutto periodo storico nel quale, purtroppo, non solo il clima ma tutto è stravolto?

No, direi che non è solo una banale questione di clima, il quale, d’altra parte, nelle diverse ere ha dato luogo a ricorrenti variazioni, a volte devastanti. Lo stravolgimento più profondo e grave è quello dell’animo umano, è lo sradicamento, l’estirpazione della radice della Vita, la negazione della legge naturale che rende l’uomo capace di distinguere il bene dal male, il bello dal brutto, la Verità dalla menzogna, e lo mette in grado di difendere con coraggio la Verità cristiana, la sola che consente di portare la propria croce e rinnegare sé stessi per seguire Gesù Cristo. Il nodo è qui! Il nodo è Cristo, il nodo è il cristianesimo!


Da tempo sappiamo che c’è chi vuole annientare il cristianesimo, culla della nostra civiltà. Monsignor Viganò lo sta dicendo con coraggio, e non da oggi. Cancellata l’eredità cristiana, le persone, in tutto il mondo, dove più dove meno (soprattutto attraverso la martellante pubblicità televisiva, come si può leggere in questo succoso articolo), sono sottoposte a un costante indottrinamento travestito da political correctness, da gender teory, ecologismo, inclusività, e chi più ne ha più ne metta.


Tutto ciò che un tempo, neanche troppo lontano, era correttamente e senza difficoltà considerato vero e giusto e bello (giudizio guidato dalla legge naturale) oggi è volutamente ridicolizzato, quando va bene, o peggio negato, cancellato (cancel culture) considerato offensivo, aggressivo, ostracizzato. E allo stesso tempo si aprono porte sempre più comode al pensiero unico dominante, costruito sui “temi sociali”, perché, come si sa, le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni.


Incontro una signora che conosco. Chiacchierando del più e del meno, mi dice che ha fatto vedere alla figlia maggiore, di quattro anni, i cartoni animati della Disney dei miei tempi, tipo Biancaneve e simili, e la bambina, incuriosita, ha chiesto alla madre: “Perché alla fine si sposano tutti?”. Già, una volta si sposavano. Oggi invece la Disney produce cartoni gender correct, nei quali ampio spazio è lasciato a personaggi Lgbtqi+ e i protagonisti, nella maggior parte dei casi, sono femmine, indipendenti, volitive, per nulla interessate a “metter su famiglia”, ma impegnate in avventure tanto strabilianti quanto fini a sé stesse.

L’indottrinamento dei bambini inizia presto. Il metodo: ignorare la famiglia detta tradizionale o dipingerla come qualcosa di assurdo e sorpassato. L’obiettivo: estirpare dal cuore umano il senso della vocazione alla famiglia.


C’è, nel mondo, un lievito cattivo che alimenta brutte idee attraverso brutta musica, brutta architettura, brutta arte, brutta letteratura, brutta e sporca politica, brutta liturgia, brutta moda, brutta televisione. E tutta questa bruttezza convive con la superficialità, il disordine, le guerre, la malapolitica, la cattiva educazione, la fine della famiglia, e riesce a infilarsi nelle teste, nei cuori e nelle anime attraverso un’insidiosa menzogna generalizzata che tutto copre con una stucchevole e falsa immagine di correttezza, decoro, progresso, civiltà, giustizia, così da annientare la capacità raziocinante e rendere l’umanità ignorante circa il mondo metafisico, soprasensibile, trascendente. Un’umanità che dovrà vivere totalmente immersa nel mondo empirico, materiale, sensibile e dovrà credere solo in quello, mentre l’altro provocherà solo noia, sorrisetti supponenti e totale mancanza di fede.

No, non è solo una questione di clima. Le persone stanno rapidamente cambiando, stanno dimenticando di ascoltare la legge naturale iscritta nel loro cuore, trovano più comodo e meno coinvolgente lasciarsi convincere dal pensiero unico dominante, stanno smettendo o hanno smesso da tempo di fare la fatica di pensare con la loro testa e, forse, è per questo che applicarsi a leggere opinioni contrarie alla political correctness risulta loro così difficile, faticoso e, diciamolo, noioso. La gente ha smesso di cercare la Verità.


Vladimir Solov’ëv, nella prefazione al suo famoso Racconto dell’Anticristo (Santa Pasqua del 1900), scriveva: “Alle forze storiche regnanti sull’umanità toccherà scontrarsi e mescolarsi ancor prima che su questa bestia capace di lacerarsi da sé cresca una nuova testa, il potere universale e comunitario dell’Anticristo, che pronuncerà parole forti e sonanti e al tempo della sua manifestazione finale getterà un manto luccicante di bene e verità su un mistero di totale iniquità, al fine di attrarre, secondo la parola della Scrittura, se possibile, anche gli eletti verso la somma apostasia. Mostrare in anticipo questa maschera ingannevole, sotto la quale si cela il baratro del male, è stato il maggiore intento di questo libro”.

Tutto sembra perduto. Ma al piccolo resto del Corpo di Cristo che non si lascia ingannare dalla Menzogna, che pensa in libertà e Verità con la propria testa e col cuore, è data la possibilità di riscatto; al piccolo resto dei “servi inutili” è dato il compito di fare quel che deve e può fare. E a Dio, lo sappiamo, resta il giudizio finale.









venerdì 22 luglio 2022

Don Nicola Bux: “Davanti all’Eucaristia prima del senso pastorale ci vuole il senso del sacro, cioè della Presenza divina”





22 LUG 22


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by Aldo Maria Valli



di don Nicola Bux

La Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa: un assioma medievale rilanciato da Henri De Lubac. Che dire dell’altro slogan, ripetuto nei documenti liturgici, che invoca la coerenza tra liturgia e vita? Non devono valere per chi favorisce in vari modi l’aborto, specialmente attraverso la politica?

Molti sono gli errori sulla natura dell’Eucaristia, sull’appartenenza alla Chiesa e sulla interconnessione tra le due.


Va detto chiaro che l’Eucaristia non è un cibo comune, ma un farmaco speciale che produce l’immortalità, la risurrezione finale del nostro essere; ma, come ogni farmaco, se non si conoscono le controindicazioni, diventa un veleno che fa ammalare e porta alla “morte seconda”, la dannazione eterna (cfr 1 Cor,11,30).

Qualcuno altrimenti deve spiegare perché i padri della Chiesa fossero così severi col peccato d’aborto: vent’anni di penitenza imponeva Basilio, prima di riammettere alla Comunione che è inscindibilmente ecclesiale e sacramentale. Questo perché il Signore non gradisce un culto in contrasto con la vita, come attestano Antico e Nuovo Testamento.


Oggi però tra i laici e i pastori non si conosce o si hanno idee confuse sulla dottrina eucaristica cattolica, nonostante Giovanni Paolo II abbia promulgato l’enciclica Ecclesia de Eucharistia (2003), dove riafferma che la Comunione eucaristica presuppone come esistente la comunione ecclesiale, per consolidarla e portarla a perfezione (n. 35). San Tommaso annotava che l’Eucaristia è il cantiere in cui si costruisce la Chiesa.


Uno dei vincoli visibili della comunione ecclesiale è quello che unisce il fedele al proprio vescovo.

Nancy Pelosi, speaker della Camera statunitense, è stata interdetta dall’arcivescovo della sua diocesi, Salvatore J. Cordileone, d’accostarsi alla Comunione, perché pubblica sostenitrice dell’aborto, ma non ha riconosciuto quel vincolo e, infrangendolo pubblicamente in San Pietro il 29 giugno scorso, ha ricevuto indegnamente il Sacramento, quindi “la propria condanna” (1 Cor 11,29).


San Tommaso lo ricorda nella sequenza del Corpus Domini: “Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca”.

“L’Eucaristia non deve essere profanata ricevendola indegnamente – ricorda don Alberto Strumia – perché in questo modo, oltre ad offendere il Signore, si fa del male a sé stessi e al mondo intero. Non è per moralismo e arretratezza che si prendono decisioni censorie, ma in forza di una concezione dell’uomo e della realtà che agisce come se Dio non esistesse, tenendo conto che partendo dalla negazione di Dio e dal rifiuto della vera dottrina di Cristo si è costruito un mondo invivibile”.

Se qualcuno privatamente ha incoraggiata la speaker a farlo, o l’omelia di papa Francesco pubblicamente le ha fatto intendere che tutti vanno accolti nella Chiesa senza bisogno di convertirsi da tale condotta, è stato contraddetto il Signore Gesù e ci si è fatti complici di tale peccato. Il Signore sedeva a mensa con i peccatori, ma per portarli a conversione; all’Eucaristia invece ammise i riconciliati, i puri, e richiamò nell’Ultima Cena chi non lo era, Giuda in primis (cfr Gv 13,10 e 17,12).


Il papa nell’intervista alla Reuters osserva che la Chiesa, un vescovo, quando perde la sua natura pastorale causa un problema politico. Cosa vuol dire? È sant’Ambrogio che ha causato un problema politico, non ammettendo l’imperatore Teodosio in chiesa e chiedendogli di fare prima penitenza, o piuttosto è l’imperatore che ha costretto il vescovo di Milano a usare il “senso pastorale” perché con la strage di Tessalonica aveva provocato un “problema politico”? L’arcivescovo di San Francisco si è mosso con vero “senso pastorale”.

Nessun vescovo, che non sia quello diocesano, può cancellare un interdetto, in specie concernente la dottrina eucaristica cattolica, senza venir meno al vincolo collegiale che unisce i vescovi tra loro e implica la comunione nella dottrina degli Apostoli che è costitutiva della Chiesa come sacramento di salvezza. Non si pensi che ciò sia “giuridicismo” che ostacola la misericordia. Ammettendo alla Comunione una persona pubblica come la Pelosi, si reca scandalo ai piccoli e ai semplici nella Chiesa. Lo può consentire il “senso pastorale”? Non ha affermato più volte papa Francesco che bisogna riconoscere la carne di Cristo nei poveri? Ebbene, i primi poveri sono i cristiani, membra della Chiesa corpo di Cristo. L’arcivescovo Cordileone ha rivelato grande senso pastorale innanzitutto verso l’anima della Pelosi, avvertendola del rischio di dannazione eterna, quindi verso le anime a lui affidate, preservandole dalla profanazione della Comunione. Di questo ogni pastore dovrà rendere conto davanti al Rex tremendae maiestatis.


Se esiste il diritto nella Chiesa affinché essa sia giusta, la grave frattura che si è prodotta tra un vescovo che interdice e uno che accoglie, il vescovo di Roma – il papa privilegia questo suo titolo – favorisce l’allontanamento di pastori e fedeli dall’insegnamento cattolico (apostasia) e fomenta la divisione (scisma), contraddicendo peraltro il “cammino sinodale”. Molti fedeli nel mondo si augurano non sia vero quanto egli avrebbe dichiarato il giorno del suo compleanno nel 2017: “Non è escluso che io passerò alla storia come colui che ha diviso la Chiesa …”

Se è vero che Cordileone ha dichiarato di seguire il Catechismo della Chiesa cattolica che anche il papa dovrebbe seguire, vuol dire che ha fatto come Paolo quando affrontò Pietro: il papa aveva timidamente alluso a lui ma l’arcivescovo gli si è rivolto direttamente. Salvatore Joseph Cordileone – nomen est omen – ha testimoniato non solo il senso pastorale ma il carattere sacrale del Sacramento, secondo l’insegnamento di Benedetto XVI: sacramento da credere, da celebrare, da vivere (Sacramentum caritatis, 70).

Fonte: ilpensierocattolico.it







mercoledì 20 luglio 2022

Avvenire all’omopaese delle meraviglie…





Due anni fa era saltato dopo un articolo della Bussola, quest’anno l’incontro tra Zan e Moia di Avvenire si farà. Il giornalista del quotidiano dei vescovi ormai testimonial della causa cattogay sarà accolto con tutti i crismi dal Padova Village, la festa gay dell’estate ideata proprio dal deputato firmatario della legge bavaglio. Intanto le blasfemie dei pride continuano. Ai vescovi sta bene?




di Andrea Zambrano (20-07-2022)

Avvenire sbarca al Gay pride, stavolta è la volta buona. Due anni fa l’annunciato evento era stato rimandato all’ultimo a causa di un puntuale e studiato imprevisto famigliare di Luciano Moia, ma eravamo stati facili profeti. Quest’anno infatti sembra essere tutto pronto per lo sbarco da protagonista del quotidiano dei vescovi al Padova Pride Village. Atto secondo, verrebbe da dire. Con la partecipazione, venerdì, di Luciano Moia, redattore del quotidiano dei vescovi ormai titolare della sezione del giornale dedicata all’agenda omosessualista, si realizza il tanto atteso incontro, sfumato due anni fa grazie alla denuncia della Bussola.


Quest’anno gli organizzatori del Pride Village hanno fatto le cose “per bene” e hanno dato meno nell’occhio, ad esempio non chiamando un ecclesiastico, ma concentrandosi a invitare la vera testa di legno dell’operazione cattogay-avvenieresca: Luciano Moia, che viene presentato con tutti i crismi che si convengono ad un ospite d’onore. «Da oltre vent’anni caporedattore del mensile di Avvenire dedicato alla famiglia, prima Noi genitori & figli, ora Noi famiglia & vita». Letto sul sito del Padova Pride dove si fa largo uso dell’orgoglio omosessuale, nei privè, negli show e negli eventi (per una carrellata di foto QUI), fa un certo effetto non c’è che dire.


Ma in realtà Moia non arriva neanche a mani vuote dato che venerdì presenterà la sua ultima fatica editoriale “Figli di un dio minore? Le persone transgender e la loro dignità” (Edizioni San Paolo 2022). Si sa che i libri si presentano dove si è invitati e dove si pensa si possa trovare il pubblico giusto ad acquistarli e il Padova Pride Village è praticamente il Meeting di Rimini della causa gay, la Festa dell’Unità dell’orgoglio omosessualista, la Woodstock della libertà gaia quindi quale miglior location per la presentazione e la vendita del libro che parla di transessuali e affini senza pretendere nemmeno di suscitare un po’ di dibattito?

Difficile immaginare, infatti, di andare nella fossa dei leoni e denunciare quello che è l’ormai acclarato vittimismo degli attivisti omosessuali, che attribuiscono all’altrui libertà false discriminazioni imponendone a loro volta di vere agli altri imponendo una falsa emergenza di diritti non concessi e da conquistare. Né poi, si potrà accampare la scusa che in realtà il giornalista andrà a titolo personale dato che il suo curriculum nel giornale dei vescovi è ben presentato.
 

Anche l’ospite che affiancherà Moia è di quelli da cartellone: si tratta di Alessandro Zan che del pride è l’ideatore e al cui nome è collegato il discusso disegno di legge contro l’omofobia che punta a mettere il bavaglio proprio a quei cattolici che dissentono dall’omosessualismo dilagante. Praticamente i vescovi mandano una mosca cocchiera a sostenere la causa omosessualista a casa dei suoi carnefici.


I vescovi sanno che stanno andando ospiti e col cappello in mano da chi fa il tifo per mettere ai servizi sociali quei giornalisti o politici o liberi cittadini che definiscono – in linea col Catechismo e il Magistero della Chiesa – l’omosessualità un grave peccato e una grave devianza contronatura? E se lo sanno, lo approvano?

A proposito di cattolici. Mentre Moia farà la sua performance si tacerà sicuramente delle decine e decine di blasfemie che si stanno compiendo nel corso di questa estate nei vari pride sparsi per il Paese: crocifissi, Madonne, Santi, caricature del Papa: tutto nei pride è oscenamente e volutamente irriso e vilipeso. Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che i Gay Pride non sono altro che un immenso festival del sacrilegio anticristiano e anche la città del Santo deve purtroppo registrarne alcuni. Curioso che proprio i vescovi non lo sappiano, anzi, non vedano l’ora di farne parte come dimostra la presenza di Moia come inviato speciale in vista di nuove ed entusiasmanti ospitate di vescovi che – vedrete – nei prossimi anni non tarderanno.

Al pride ci sarà anche Lella Costa, di professione comica, ma da poco anche testimonial della “Chiesa” valdese per l’8 per mille. La militanza gay ha bisogno di testimonial, di uomini e donne utili alla causa. Lella Costa è una di questi, Moia aspira a diventarlo, ma in nome di chi? Dei cattolici? Dei vescovi? Nessuno che alzi la mano e dica non in mio nome?

Il fatto è che i pride, anticristiani lo sono visceralmente e naturalmente, per costituzione, per mission perché la dottrina cristiana è ancora l’ultimo baluardo rimasto a difesa della natura e della dignità dell’uomo contro la dittatura dell’omosessualismo, contro la gendercrazia, contro la lesbomania normalizzante. Vescovi italiani permettendo, i quali, in quanto editori, è strano che non si alzino in piedi per impedire che il loro buon nome venga utilizzato per una causa che non è altro che una tappa – l’ennesima – della marcia di avvicinamento alla rivoluzione cattogay dentro le strutture ecclesiastiche.

Ma oggi la Chiesa non dice più nulla di controcorrente sull’omosessualismo dilagante nel mondo. Lo accetta, lo assimila nel linguaggio tanto che oggi sentire un pastore parlare di omofobia è diventato ormai comune, e quando serve lo promuove e lo difende come è accaduto per le tante veglie contro il superamento dell’omotransfobia svoltesi sugli altari delle chiese.

Un’ulteriore e drammatica prova della perdita di autonomia di pensiero di una Chiesa che ha smesso di essere di antitesi al mondo e di resistenza alle sue ideologie. E che segue come se fosse una nuova Rivelazione la cronaca, l’attualità, lo svolgersi delle mode, insomma: quello che la storia ci dice di volta in volta essere verità, giustizia e libertà.

(Fonte: La Nuova BQ)










Di fronte a “cancel culture” e cultura “woke” prendiamo esempio da san Paolo



20LUG22


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by Aldo Maria Valli

di Pablo J. Gines

ReligiónenLibertad

Cultura woke, politicamente corretto, limiti per la libertà dei cristiani in Occidente. A colloquio con il professor Pablo Pérez López, docente di Storia contemporanea all’Università di Navarra e titolare del master in Cristianismo y cultura contemporánea.

Il professore incoraggia a imitare l’astuzia di san Paolo quando si trattava di esprimersi in un ambiente ostile, superando l’autocensura e dicendo la verità con carità, ma senza lasciarsi zittire dalle tecniche woke, che cercano sempre di mettere a tacere l’altro demonizzandolo.


La parola woke [letteralmente “sveglio”, aggettivo con il quale ci si riferisce allo “stare all’erta”, “stare svegli”, nei confronti di presunte ingiustizie sociali o razziali] sta prendendo piede. Come la percepiscono le persone?

Woke all’inizio significava “svegliarsi” e i suoi sostenitori si consideravano i “risvegliati”. Ma si sono distinti per un desiderio censorio radicale. Proclamano che molte questioni sociali dovrebbero essere considerate chiuse, che non dovrebbero più essere dibattute. Ecco perché promuovono la cosiddetta cancel culture. Bannano gli argomenti e annullano le discussioni. Questo è assurdo, perché il pensiero umano cerca sempre di aprire dibattiti e nessun argomento può essere considerato definitivamente chiuso. Ecco perché oggi chi si oppone al pensiero woke usa questa parola in senso peggiorativo.


In che misura la cultura woke e la cancel culture sono collegate?

Sono due facce della stessa medaglia. Il woke dice che ci sono cose tremendamente ingiuste, ingiustizie che le persone praticano senza esserne consapevoli, come il disprezzo razziale o di classe. Così, chiedono di evitare i termini classici. Ad esempio, sulla scoperta e l’evangelizzazione dell’America, o sul rapporto tra uomini e donne nel XII secolo, non ammettono che si parli dei loro aspetti positivi. Esigono che certi temi non siano sollevati in pubblico perché dicono che offendono la loro sensibilità.


Ma questo limita notevolmente la libertà di espressione e di dibattito, giusto?

Giusto. E pone una domanda: possono vietarci di formulare domande, ipotesi o opinioni? Senza domande, senza ipotesi, il pensiero è bloccato. È come pretendere di smettere di pensare. In nome del sentimento, bloccano il pensiero, quando il sentimento è qualcosa che cambia continuamente, anche più del pensiero. Un giorno ti dicono di stare zitto per un’idea o un sentimento; il giorno dopo, forse per l’idea o il sentimento opposto. Bandiscono la razionalità.


Come possono esprimersi i cristiani in un tale ambiente? Gesù ha chiesto di essere astuti come serpenti e mansueti come colombe, ma quando quell’astuzia e quella mansuetudine diventano autocensura?

Il cristianesimo parte da una legge suprema, che è quella della carità. Un cristiano deve, con carità, rispettare anche la persona woke. E tutti gli altri. Un cristiano non può maltrattare nessuno, nemmeno il suo carnefice intellettuale. Ma difendere la verità è lecito. Ad esempio, possiamo porre domande che portano alla riflessione. San Paolo, davanti al sinedrio ebraico, solleva il tema della risurrezione perché sa che così farisei e sadducei si affronteranno. Approfitta di quella divisione astutamente. Se sai che parlare ti taglierà la testa, usi l’astuzia per sfruttare le crepe.

Tagliare la testa è quello che hanno fatto a san Tommaso Moro o al vescovo John Fisher, ma oggi non succede. Al massimo vieni licenziato dal lavoro o fischiato sui social media…


In Occidente ci siamo abituati a società con molta libertà di espressione. Ma abbiamo società attuali, come la Cina, la Russia o l’Iran, in cui non puoi parlare di certi argomenti. Se qui c’è ancora libertà è grazie all’eredità di molti secoli di cristianesimo. È assurdo che oggi ci accusino di abusare della libertà degli eredi di chi ha creato la libertà di pensiero.

Secondo un recente studio dell’Osservatorio sulla discriminazione dei cristiani, molti cristiani soffrono di un “effetto raggelante”, che li zittisce e li paralizza.

Nel XIX secolo Tocqueville visita i giovani Stati Uniti e scrive La democrazia in America. Scopre il fenomeno della “dittatura della maggioranza”, quando una maggioranza impone una convinzione in modo tale che nessuno possa osare di pensare diversamente. È ciò che oggi sta congelando la capacità di dissenso. Tocqueville mette in guardia contro questo. Una società libera deve permettere il dibattito, deve avere la capacità di discutere di tutto, senza mancare di carità e senza arrecare danno consapevolmente. Tutti possiamo sbagliare, ma non possiamo lasciare che qualcuno imponga che questa o quella interpretazione sociale o storica sia definitiva, innegabile e incontestabile.


Ma come dibattere con i woke quando dicono che questo o quell’argomento li ferisce molto? A volte sono detti anche “offesi”.

L’attivista woke inizia attribuendosi lo status di vittima. E poiché si dichiara vittima, ritiene che nulla possa essere discusso con lui. Un cristiano può rispondere: “Beh, vedo che ti senti offeso, mi dispiace, ma ho bisogno di sapere su cosa si basa il tuo sentimento. Anch’io ho dei sentimenti: sento, per esempio, di essere cancellato”. Infatti, nel mondo accademico degli Usa è sorto un intero movimento per difendere la libera espressione del pensiero. La cultura woke cancella la critica e impedisce il dibattito, con sanzioni o urla.

In Spagna le leggi tutelano la libertà di espressione. Ma noi cristiani ci autocensuriamo troppo? Lasciamo che le leggi pro gaye trans e le sanzioni contro la memoria storica ci zittiscano?

È vero che c’è l’autocensura. Nella vita pubblica manca il discorso cristiano. Forse a volte manca il coraggio. Altre volte siamo forse troppo timidi. Oppure ci hanno convinto che non dovremmo rivendicare la nostra posizione. Come correggere tutto ciò? Noi che studiamo l’opinione pubblica ci pensiamo molto. Forse, nell’educare i cristiani non insistiamo abbastanza sul fatto che è un dovere di solidarietà esprimere pubblicamente le nostre opinioni. La povertà del discorso pubblico può essere una terribile maledizione per una società, una povertà sterilizzante. Trasmettere le idee cristiane è un dovere civico. E non sono idee residue, sono idee molto ragionevoli per molte persone.


In Occidente non c’è una persecuzione sanguinosa. A che epoca assomiglia quella in cui viviamo?

È molto simile ai regimi totalitari del ventesimo secolo, in particolare al sistema sovietico.

In Vivere senza menzogna, il libro di Rod Dreher del 2020, molte persone che hanno vissuto sotto il comunismo europeo dicono la stessa cosa…

Non l’ho letto. Ma sono contento che siamo d’accordo. I nostri tempi sono simili perché in quello sovietico, un sistema più o meno sofisticato, non si poteva nemmeno ipotizzare di non essere d’accordo. Ad esempio, in Urss non si poteva dire “il socialismo non è il futuro dell’umanità”. Al massimo si poteva dire “le armi termonucleari non mi sembrano la via del socialismo”. Questo è ciò che disse Sacharov, e si vendicarono contro di lui. Possiamo dire cose molto sfumate, sempre con la premessa di qualche scusa, un disclaimer, e anche sotto questo aspetto le due epoche sono simili.

Fonte: religionenlibertad.com