giovedì 17 settembre 2020

Un vescovo contro le misure sanitarie che limitano il culto






NEWS 15 settembre 2020 di Redazione Il Timone


Riportiamo un estratto dalla lettera che Monsignor Salvatore Cordileone ha inoltrato ai sacerdoti della diocesi per rimarcare la differenza di trattamento, in merito alle restrizioni Covid, tra la Chiesa e altri luoghi pubblici.


Il testo del vescovo di San Francisco si inserisce nello stesso spirito della lettera scritta ai presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo dal cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, con l’approvazione di papa Francesco, dove viene sottolineato che: «La Chiesa […] ricorda che l’esistenza terrena è importante, ma molto più importante è la vita eterna: condividere la stessa vita con Dio per l’eternità è la nostra meta, la nostra vocazione. Questa è la fede della Chiesa, testimoniata lungo i secoli da schiere di martiri e di santi, un annuncio positivo che libera da riduzionismi unidimensionali, dalle ideologie: alla preoccupazione doverosa per la salute pubblica la Chiesa unisce l’annuncio e l’accompagnamento verso la salvezza eterna delle anime»



MEMORANDUM PER: Preti dell’arcidiocesi
DA: Most Rev. Salvatore J. Cordileone, Arcivescovo di San Francisco
DATA: 13 Settembre 2020
OGGETTO: Riapertura messe al pubblico, parte 8

«In primo luogo, il sindaco ha annunciato che “i luoghi di culto possono consentire” a 50 persone di partecipare a funzioni religiose a partire dal 14 settembre. Certamente, il governo civile ha il potere di emanare regolamenti per proteggere il bene pubblico che si applicano a tutti allo stesso modo, inclusa la Chiesa. Non lo contestiamo. Allo stesso modo, il governo civile può emanare regolamenti per proteggere la salute pubblica che si applicano a tutti, inclusa la comunità religiosa, ma tali regolamenti devono essere ragionevoli e coerenti. Non possono essere così restrittivi da proibire efficacemente il culto pubblico. Si tratta di un’eccessiva interferenza del governo nella vita della Chiesa e di una violazione del nostro diritto al culto tutelato dal Primo Emendamento della Costituzione.

In secondo luogo, i numeri sono totalmente arbitrari: perché solo 50 persone? Se si mantiene la distanza sociale, perché c’è un limite? La città, infatti, ha consentito e addirittura partecipato a infinite proteste di piazza. I negozi al dettaglio hanno un limite misurato dalla capacità di osservare un adeguato distanziamento sociale. Ho indicato in passato come le nostre chiese possano essere uno spazio più sicuro di un negozio al dettaglio.

Il che mi porta al terzo e più importante punto: sembra che i credenti stiano ricevendo un trattamento punitivo. Domani, a San Francisco, le palestre al coperto dovrebbero aprire. I parchi pubblici rimangono aperti senza limite numerico, solo con la distanza e le maschere. Domani saranno aperte anche attività che richiedono un contatto personale prolungato, come parrucchieri, saloni per unghie e saloni di massaggi, ma per pregare in una chiesa è consentito l’ingresso a solo una persona alla volta.

Penso che tu sappia quanto ho lavorato dietro le quinte collaborando con il Comune per proteggere la salute della nostra gente e dei nostri vicini e per dimostrare la mia determinazione ad aderire ai principi della salute pubblica. Per questo ho deciso che non potevamo più tacere. Non possiamo semplicemente sederci e aspettare mentre la nostra gente viene trattata con questa mancanza di compassione per i loro bisogni e questa mancanza di rispetto per i loro diritti. Così ho formato un comitato strategico composto sia dal personale della Cancelleria che da altri sacerdoti e laici per consigliarmi sul modo migliore per far sentire la nostra voce in modo pacifico ma energico. Per i piani che stanno prendendo forma avrò bisogno del tuo aiuto per tre cose.

Il primo è incoraggiare i tuoi parrocchiani ad andare su FreeTheMass.com e firmare la petizione che chiede al sindaco di revocare le restrizioni ingiuste a San Francisco. […]

Secondo, domenica prossima, 20 settembre, tre parrocchie di San Francisco organizzeranno tre processioni eucaristiche […]. Da lì, l’intero gruppo camminerà insieme fino alla cattedrale e celebrerà diverse messe all’aperto (con maschere e buona distanza sociale).

” […] Terzo, abbiamo ordinato 100 striscioni in inglese, 15 in spagnolo e 5 in cinese con il motto: “Siamo essenziali: liberate la messa!”, chiedo a tutti voi di appendere questi striscioni sulla vostra chiesa come segno che la Chiesa sta parlando con una voce sola su questo argomento, proprio come abbiamo fatto con il disegno di legge che avrebbe costretto i sacerdoti a rompere il sigillo della confessione. La nostra gente deve sapere che la Messa può essere offerta in sicurezza e che noi vogliamo essere i suoi difensori.

È giunto il momento di mostrare alla nostra gente che ci preoccupiamo di offrire loro il Corpo e il Sangue di Cristo e di testimoniare alla Città che la fede è importante, specialmente per noi.»

lunedì 14 settembre 2020

La Congregazione per il Culto Divino: "si riconosca ai fedeli il diritto di ricevere il Corpo di Cristo e di adorare il Signore presente nell’Eucaristia nei modi previsti"






La Lettera della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, diffusa nella mattina di sabato 12 settembre, dopo l'approvazione del Sommo Pontefice, presenta delle sante e pie esortazioni per accrescere la nostra identità cattolica nel pieno rispetto, anche in tempo di coronavirus, della vigente disciplina eucaristica.
Staremo a vedere se le indicazioni della Congregazione vaticana saranno disattese ancora una volta dalle Conferenze Episcopali e dai singoli vescovi.
“La Speranza che non delude” (Rm 5,1-5) AC



DOMENICA 13 SETTEMBRE 2020

«Torniamo con gioia all’Eucaristia!»



La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha inviato ai presidenti delle Conferenze episcopali una lettera — diffusa nella mattina di sabato 12 settembre — sulla celebrazione della liturgia durante e dopo la pandemia del covid-19.
Ne pubblichiamo di seguito il testo in italiano.


La pandemia dovuta al virus Covid 19 ha prodotto stravolgimenti non solo nelle dinamiche sociali, familiari, economiche, formative e lavorative, ma anche nella vita della comunità cristiana, compresa la dimensione liturgica.
Per togliere spazio di replicazione al virus è stato necessario un rigido distanziamento sociale, che ha avuto ripercussione su un tratto fondamentale della vita cristiana: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20); «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune» (At 2, 42-44).


La dimensione comunitaria ha un significato teologico: Dio è relazione di Persone nella Trinità Santissima; crea l’uomo nella complementarietà relazionale tra maschio e femmina perché «non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2, 18), si pone in rapporto con l’uomo e la donna e li chiama a loro volta alla relazione con Lui: come bene intuì
sant’Agostino, il nostro cuore è inquieto finché non trova Dio e non riposa in Lui (cfr. Confessioni, I, 1).
Il Signore Gesù iniziò il suo ministero pubblico chiamando a sé un gruppo di discepoli perché condividessero con lui la vita e l’annuncio del Regno; da questo piccolo gregge nasce la Chiesa.
Per descrivere la vita eterna la Scrittura usa l’immagine di una città: la Gerusalemme del cielo (cfr. Ap 21); una città è una comunità di persone che condividono valori, realtà umane e spirituali fondamentali, luoghi, tempi e attività organizzate e che concorrono alla costruzione del bene comune.
Mentre i pagani costruivano templi dedicati alla sola divinità, ai quali le persone non avevano accesso, i cristiani, appena godettero della libertà di culto, subito edificarono luoghi che fossero domus Dei et domus ecclesiae, dove i fedeli potessero riconoscersi come comunità di Dio, popolo convocato per il culto e costituito in assemblea santa.
Dio quindi può proclamare: «Io sono il tuo Dio, tu sarai il mio popolo» (cfr. Es 6, 7; Dt 14, 2).
Il Signore si mantiene fedele alla sua Alleanza (cfr. Dt 7, 9) e Israele diventa per ciò stesso Dimora di Dio, luogo santo della sua presenza nel mondo (cfr. Es 29, 45; Lv 26, 11-12).
Per questo la casa del Signore suppone la presenza della famiglia dei figli di Dio.


Anche oggi, nella preghiera di dedicazione di una nuova chiesa, il Vescovo chiede che essa sia ciò che per sua natura deve essere: «[...] sia sempre per tutti un luogo santo [...].
Qui il fonte della grazia lavi le nostre colpe, perché i tuoi figli muoiano al peccato e rinascano alla vita nel tuo Spirito.
Qui la santa assemblea riunita intorno all’altare, celebri il memoriale della Pasqua e si nutra al banchetto della parola e del corpo di Cristo.
Qui lieta risuoni la liturgia di lode e la voce degli uomini si unisca ai cori degli angeli; qui salga a te la preghiera incessante per la salvezza del mondo.
Qui il povero trovi misericordia, l’oppresso ottenga libertà vera e ogni uomo goda della dignità dei tuoi figli, finché tutti giungano alla gioia piena nella santa Gerusalemme del cielo».


La comunità cristiana non ha mai perseguito l’isolamento e non ha mai fatto della chiesa una città dalle porte chiuse.
Formati al valore della vita comunitaria e alla ricerca del bene comune, i cristiani hanno sempre cercato l’inserimento nella società, pur nella consapevolezza di una alterità: essere nel mondo senza appartenere a esso e senza ridursi a esso (cfr. Lettera a Diogneto, 5-6).
E anche nell’emergenza pandemica è emerso un grande senso di responsabilità: in ascolto e collaborazione con le autorità civili e con gli esperti, i Vescovi e le loro conferenze territoriali sono stati pronti ad assumere decisioni difficili e dolorose, fino alla sospensione prolungata della partecipazione dei fedeli alla celebrazione dell’Eucaristia.
Questa Congregazione è profondamente grata ai Vescovi per l’impegno e lo sforzo profusi nel tentare di dare risposta, nel modo migliore possibile, a una situazione imprevista e complessa.


Non appena però le circostanze lo consentono, è necessario e urgente tornare alla normalità della vita cristiana, che ha l’edificio chiesa come casa e la celebrazione della liturgia, particolarmente dell’Eucaristia, come «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua forza» (Sacrosanctum Concilium, 10).


Consapevoli del fatto che Dio non abbandona mai l’umanità che ha creato, e che anche le prove più dure possono portare frutti di grazia, abbiamo accettato la lontananza dall’altare del Signore come un tempo di digiuno eucaristico, utile a farcene riscoprire l’importanza vitale, la bellezza e la preziosità incommensurabile.
Appena possibile però, occorre tornare all’Eucaristia con il cuore purificato, con uno stupore rinnovato, con un accresciuto desiderio di incontrare il Signore, di stare con lui, di riceverlo per portarlo ai fratelli con la testimonianza di una vita piena di fede, di amore e di speranza. Questo tempo di privazione ci può dare la grazia di comprendere il cuore dei nostri fratelli martiri di Abitene (inizi del iv secolo), i quali risposero ai loro giudici con serena determinazione, pur di fronte a una sicura condanna a morte: «Sine Dominico non possumus».
L’assoluto non possumus (non possiamo) e la pregnanza di significato del neutro sostantivato Dominicum (quello che è del Signore) non si possono tradurre con una sola parola.
Una brevissima espressione compendia una grande ricchezza di sfumature e significati che si offrono oggi alla nostra meditazione:
— Non possiamo vivere, essere cristiani, realizzare appieno la nostra umanità e i desideri di bene e di felicità che albergano nel cuore senza la Parola del Signore, che nella celebrazione prende corpo e diventa parola viva, pronunciata da Dio per chi oggi apre il cuore all’ascolto;
— Non possiamo vivere da cristiani senza partecipare al Sacrificio della Croce in cui il Signore Gesù si dona senza riserve per salvare, con la sua morte, l’uomo che era morto a causa del peccato; il Redentore associa a sé l’umanità e la riconduce al Padre; nell’abbraccio del Crocifisso trova luce e conforto ogni umana sofferenza;
— Non possiamo senza il banchetto dell’Eucaristia, mensa del Signore alla quale siamo invitati come figli e fratelli per ricevere lo stesso Cristo Risorto, presente in corpo, sangue, anima e divinità in quel Pane del cielo che ci sostiene nelle gioie e nelle fatiche del pellegrinaggio terreno;

— Non possiamo senza la comunità cristiana, la famiglia del Signore: abbiamo bisogno di incontrare i fratelli che condividono la figliolanza di Dio, la fraternità di Cristo, la vocazione e la ricerca della santità e della salvezza delle loro anime nella ricca diversità di età, storie personali, carismi e vocazioni;
— Non possiamo senza la casa del Signore, che è casa nostra, senza i luoghi santi dove siamo nati alla fede, dove abbiamo scoperto la presenza provvidente del Signore e ne abbiamo scoperto l’abbraccio misericordioso che rialza chi è caduto, dove abbiamo consacrato la nostra vocazione alla sequela religiosa o al matrimonio, dove abbiamo supplicato e ringraziato, gioito e pianto, dove abbiamo affidato al Padre i nostri cari che hanno completato il pellegrinaggio terreno;
— Non possiamo senza il giorno del Signore, senza la Domenica che dà luce e senso al succedersi dei giorni del lavoro e delle responsabilità familiari e sociali.

Per quanto i mezzi di comunicazione svolgano un apprezzato servizio verso gli ammalati e coloro che sono impossibilitati a recarsi in chiesa, e hanno prestato un grande servizio nella trasmissione della Santa Messa nel tempo nel quale non c’era la possibilità di celebrare comunitariamente, nessuna trasmissione è equiparabile alla partecipazione personale o può sostituirla.
Anzi queste trasmissioni, da sole, rischiano di allontanarci da un incontro personale e intimo con il Dio incarnato che si è consegnato a noi non in modo virtuale, ma realmente, dicendo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6, 56).
Questo contatto fisico con il Signore è vitale, indispensabile, insostituibile.
Una volta individuati e adottati gli accorgimenti concretamente esperibili per ridurre al minimo il contagio del virus, è necessario che tutti riprendano il loro posto nell’assemblea dei fratelli, riscoprano l’insostituibile preziosità e bellezza della celebrazione, richiamino e attraggano con il contagio dell’entusiasmo i fratelli e le sorelle scoraggiati, impauriti, da troppo tempo assenti o distratti.


Questo Dicastero intende ribadire alcuni principi e suggerire alcune linee di azione per promuovere un rapido e sicuro ritorno alla celebrazione dell’Eucaristia. La dovuta attenzione alle norme igieniche e di sicurezza non può portare alla sterilizzazione dei gesti e dei riti, all’induzione, anche inconsapevole, di timore e di insicurezza nei fedeli.


Si confida nell’azione prudente ma ferma dei Vescovi perché la partecipazione dei fedeli alla celebrazione dell’Eucaristia non sia derubricata dalle autorità pubbliche a un “assembramento”, e non sia considerata come equiparabile o persino subordinabile a forme di aggregazione ricreative.
Le norme liturgiche non sono materia sulla quale possono legiferare le autorità civili, ma soltanto le competenti autorità ecclesiastiche (cfr. Sacrosanctum Concilium, 22).


Si faciliti la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni, ma senza improvvisate sperimentazioni rituali e nel pieno rispetto delle norme, contenute nei libri liturgici, che ne regolano lo svolgimento.
Nella liturgia, esperienza di sacralità, di santità e di bellezza che trasfigura, si pregusta l’armonia della beatitudine eterna: si abbia cura quindi per la dignità dei luoghi, delle suppellettili sacre, delle modalità celebrative, secondo l’autorevole indicazione del Concilio Vaticano II: «I riti splendano per nobile semplicità» (Sacrosanctum Concilium, 34).


Si riconosca ai fedeli il diritto di ricevere il Corpo di Cristo e di adorare il Signore presente nell’Eucaristia nei modi previsti, senza limitazioni che vadano addirittura al di là di quanto previsto dalle norme igieniche emanate dalle autorità pubbliche o dai Vescovi. I fedeli nella celebrazione eucaristica adorano Gesù Risorto presente; e vediamo che con tanta facilità si perde il senso della adorazione, la preghiera di adorazione.
Chiediamo ai Pastori di insistere, nelle loro catechesi, sulla necessità dell’adorazione.


Un principio sicuro per non sbagliare è l’obbedienza. Obbedienza alle norme della Chiesa, obbedienza ai Vescovi.
In tempi di difficoltà (ad esempio pensiamo alle guerre, alle pandemie) i Vescovi e le Conferenze Episcopali possono dare normative provvisorie alle quali si deve obbedire.
La obbedienza custodisce il tesoro affidato alla Chiesa.
Queste misure dettate dai Vescovi e dalle Conferenze Episcopali scadono quando la situazione torna alla normalità.


La Chiesa continuerà a custodire la persona umana nella sua totalità.
Essa testimonia la speranza, invita a confidare in Dio, ricorda che l’esistenza terrena è importante, ma molto più importante è la vita eterna: condividere la stessa vita con Dio per l’eternità è la nostra meta, la nostra vocazione.
Questa è la fede della Chiesa, testimoniata lungo i secoli da schiere di martiri e di santi, un annuncio positivo che libera da riduzionismi unidimensionali, dalle ideologie: alla preoccupazione doverosa per la salute pubblica la Chiesa unisce l’annuncio e l’accompagnamento verso la salvezza eterna delle anime.

Continuiamo dunque ad affidarci con fiducia alla misericordia di Dio, a invocare l’intercessione della beata Vergine Maria, salus infirmorum et auxilium christianorum, per tutti coloro che sono provati duramente dalla pandemia e da ogni altra afflizione, perseveriamo nella preghiera per coloro che hanno lasciato questa vita, e al contempo rinnoviamo il proposito di essere testimoni del Risorto e annunciatori di una speranza certa, che trascende i limiti di questo mondo.


Dal Vaticano, 15 agosto 2020 Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria


Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienza concessa il 3 settembre 2020, al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha approvato la presente Lettera e ne ha ordinato la pubblicazione.


Robert Cardinale Sarah Prefetto


Prot. n.432/20

Fonte: L'Osservatore Romano QUI




giovedì 10 settembre 2020

ECCLESIA DEI MORIRÀ DEFINITIVAMENTE? RITORNO ALL’INDULTO?








10 Settembre 2020 Pubblicato da Marco Tosatti 

Marco Tosatti

“Ecclesia Dei” la commissione creata da Giovanni Paolo II nel 1988, e dedicata alla difesa del Vetus Ordo, dovrebbe scomparire definitivamente a ottobre, dopo una Plenaria in cui i cardinali ne sanciranno la definitiva soppressione, anche nella forma ridotta di ufficio della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Questo dicono voci autorevoli – ovviamente in attesa di una conferma – nei Sacri Palazzi; e la scomparsa di Ecclesia Dei però avrà conseguenze pesanti per quegli Istituti di vita religiosa che hanno inserito il Vetus Ordo, la Messa di sempre, nella loro vita e pratica. Infatti questi ultimi dovrebbero confluire nella Congregazione per i religiosi, nominalmente diretta dal card. Braz De Aviz, ma in realtà gestita dal Segretario, il francescano Carballo.

Non è un passaggio di poco conto: infatti questi istituti, che attualmente sono di diritto pontificio, diventeranno di diritto diocesano, e quindi totalmente soggetti alle preferenze – o non preferenze – del vescovo. Con tutte le conseguenze del caso. Infatti se prima Ecclesia Dei costituiva per loro una sorta di “ombrello” protettivo, una volta effettuato il cambiamento, e nel caso di un contrasto da dirimere con il titolare della diocesi, l’unica risorsa sarebbe quella di rivolgersi alla Segnatura Apostolica, guidata da quel cuor di leone del cardinale Dominique Mamberti…e che già in diverse occasioni si è fatta prevaricare dalla Corte pontificia.


Sembra questo, se confermato, un altro passo verso lo smantellamento nei fatti del Summorum Pontificum, cioè quel documento che permetteva il libero esercizio – previe alcune condizioni – del rito Vetus Ordo, senza che i vescovi potessero opporsi. Cioè un ritorno alla formula dell’indulto. E questo nonostante che sembra che due terzi delle risposte dei vescovi al recente questionario sulla messa di rito antico nella propria diocesi siano state positive e favorevoli agli Istituti che avevano scelto quel tipo di rito.

Come vi ricordate, nel gennaio 2019 era partito l’attacco a Ecclesia Dei, con un Motu Proprio. Mons. Guido Pozzo il responsabile di Ecclesia Dei, era stato incaricato di mettere ordine nella nuova vita della Cappella Musicale Pontificia, posta sotto la diretta gestione del Maestro delle Celebrazioni Pontificie, mons. Guido Marini.

I punti centrali del Motu Proprio sono questi:

“Considerando mutate oggi le condizioni che avevano portato il santo Pontefice Giovanni Paolo II alla istituzione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei;

constatando che gli Istituti e le Comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria, hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita;

prendendo atto che le finalità e le questioni trattate dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sono di ordine prevalentemente dottrinale;

desiderando che tali finalità si rendano sempre più evidenti alla coscienza delle comunità ecclesiali,

colla presente Lettera Apostolica ‘Motu proprio data’,

Delibero
E’ soppressa la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, istituita il 2 luglio 1988 col Motu Proprio Ecclesia Dei adflicta.
I compiti della Commissione in parola sono assegnati integralmente alla Congregazione per la Dottrina della Fede, in seno alla quale verrà istituita una apposita Sezione impegnata a continuare l’opera di vigilanza, di promozione e di tutela fin qui condotta dalla soppressa Pontificia Commissione Ecclesia Dei”.

I dubbi e le perplessità di cui si è parlato, relativi alla tutela dei diritti di coloro che chiedono la celebrazione Vetus Ordo potranno essere dissipati solo nel momento in cui la sezione speciale della Congregazione per la Dottrina della Fede di cui parla il Motu Proprio sarà costituita, e entrerà a regime. Si vedrà allora quale saranno volontà e potere di obbligare i vescovi refrattari a concedere quello che sembra uno dei diritti più basilari e fondamentali: pregare Dio come si vuole e si preferisce.

Lettera Apostolica in forma di Motu proprio circa la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, 19.01.2019
[B0047]

Da oltre trent’anni la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, istituita con il Motu proprio Ecclesia Dei adflicta, del 2 luglio 1988, ha assolto con sincera sollecitudine e lodevole premura al compito di collaborare coi Vescovi e coi Dicasteri della Curia Romana, nel facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti, seminaristi, comunità o singoli religiosi e religiose, legati alla Fraternità fondata da Mons. Marcel Lefebvre, che desideravano rimanere uniti al Successore di Pietro nella Chiesa Cattolica, conservando le proprie tradizioni spirituali e liturgiche.1

In tal modo, essa ha potuto esercitare la propria autorità e competenza a nome della Santa Sede su dette società e associazioni, fino a quando non si fosse diversamente provveduto.2

Successivamente, in forza del Motu proprio Summorum Pontificum, del 7 luglio 2007, la Pontificia Commissione ha esteso l’autorità della Santa Sede su quegli Istituti e Comunità religiose, che avevano aderito alla forma straordinaria del Rito romano e avevano assunto le precedenti tradizioni della vita religiosa, vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni stabilite.3

Due anni dopo, il mio Venerato Predecessore Benedetto XVI, col Motu proprio Ecclesiae unitatem, del 2 luglio 2009, ha riorganizzato la struttura della Pontificia Commissione, al fine di renderla più adatta alla nuova situazione venutasi a creare con la remissione della scomunica dei quattro Vescovi consacrati senza mandato pontificio. E, inoltre, ritenendo, che, dopo tale atto di grazia, le questioni trattate dalla medesima Pontificia Commissione fossero di natura primariamente dottrinale, Egli l’ha più organicamente legata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, conservandone comunque le iniziali finalità, ma modificandone la struttura.4

Ora, poiché la Feria IV della Congregazione per la Dottrina della Fede del 15 novembre 2017 ha formulato la richiesta che il dialogo tra la Santa Sede e la Fraternità Sacerdotale San Pio X venga condotto direttamente dalla menzionata Congregazione, essendo le questioni trattate di carattere dottrinale, alla quale richiesta ho dato la mia approvazione in Audientia al Prefetto il 24 successivo e tale proposta ha avuto l’accoglienza della Sessione Plenaria della medesima Congregazione celebratasi dal 23 al 26 gennaio 2018, sono giunto, dopo ampia riflessione, alla seguente Decisione.

Considerando mutate oggi le condizioni che avevano portato il santo Pontefice Giovanni Paolo II alla istituzione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei;

constatando che gli Istituti e le Comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria, hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita;

prendendo atto che le finalità e le questioni trattate dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sono di ordine prevalentemente dottrinale;

desiderando che tali finalità si rendano sempre più evidenti alla coscienza delle comunità ecclesiali,

colla presente Lettera Apostolica ‘Motu proprio data’,

Delibero
E’soppressa la Pontificia Commissione Ecclesia Dei, istituita il 2 luglio 1988 col Motu Proprio Ecclesia Dei adflicta.
I compiti della Commissione in parola sono assegnati integralmente alla Congregazione per la Dottrina della Fede, in seno alla quale verrà istituita una apposita Sezione impegnata a continuare l’opera di vigilanza, di promozione e di tutela fin qui condotta dalla soppressa Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
Il bilancio della Pontificia Commissione rientra nella contabilità ordinaria della menzionata Congregazione.

Stabilisco, inoltre, che il presente Motu proprio, da osservarsi nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione, venga promulgato mediante pubblicazione sul quotidiano L’Osservatore Romano uscente il 19 gennaio 2019, entrando in immediato vigore, e che successivamente sia inserito nel Commentario ufficiale della Santa Sede, Acta Apostolicae Sedis.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 17 Gennaio 2019, VI del Nostro Pontificato.

Francesco”.
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sabato 5 settembre 2020

L’egualitaria Danimarca sta realizzando il “sogno” di uno stato senza figli down

 















Nel paese più felice e altruista l’anno scorso sono nati solo 18 bimbi con la trisomia 21: il 95 per cento delle donne li abortisce. La corsa alla civiltà perfetta e la logica di Sparta



Caterina Giojelli 5 settembre 2020 Società

L’uguaglianza va bene ma solo se vai bene, in caso contrario muori. È letteralmente quello che accade in Danimarca: il nuovo rapporto del Danish Central Cytogenetic Registry (Dccr) attesta che nel 2019 sono nati solo 18 bambini con sindrome di Down. Diciotto, il numero più basso che la storia del paese abbia mai registrato. Ricordate il titolone di Berlingske nel 2012? “Nel 2030 nascerà l’ultimo bambino Down”, annunciava il quotidiano assicurando che entro tale date la Danimarca sarebbe diventato uno stato “Down Syndrome free”. Come se debellare la malattia non significasse eliminare i malati, cioè la base dell’eugenetica.


NEI PAESI PIÙ FELICI AL MONDO NON C’È POSTO PER I DOWN

Stando al super illuministico World Happiness Report 2020 la Danimarca è il secondo paese più “felice” al mondo, secondo solo alla Finlandia: merito della realizzata uguaglianza sociale, il fortissimo spirito di comunità e il senso della responsabilità comune. Uguaglianza è la stella polare di questo come degli altri paesi che da anni dominano incontrastati la classifica (Finlandia, appunto, ma anche Norvegia, Svezia, Islanda), gli anni di vita in salute il dato oggettivo su cui misurare la felicità del popolo. Una stella diventata meteorite: di fatto non c’è posto per chi non è uguale agli altri, eliminare i difettosi e i malati è un diritto riconosciuto fin dal 2004, quando la Danimarca, primo paese al mondo, decise di rendere gratuito il ricorso alla diagnosi prenatale e screening per la trisomia 21 per tutte le donne in gravidanza. In capo a un anno, il numero dei nati con la sindrome di Down si era dimezzato.


Secondo il Danish National Board of Health, il 95 per cento delle danesi incinte a cui viene riscontrata un’anomalia cromosomica sceglie oggi infatti di default di abortire: dati del Dccr, che dal 1970 traccia e registra chiunque si sia sottoposto a test cromosomici prenatali o postnatali, test di genetica molecolare o test biochimici, su 1.000 bambini venuti al mondo l’anno scorso, solo lo 0,29 aveva la sindrome di Down. In Islanda si è già arrivati quasi al 100 per cento di popolazione sana: dato che si spiega con un numero ridotto di abitanti (circa 400 mila) dove il numero di bambini nati con la Trisomia 21 non supera i due all’anno e se ne nascono ancora, spiegava alla Cbs Hulda Hjartardottir, capo dell’unità di diagnosi prenatale dell’ospedale della capitale, è perché, per errore, «non vengono segnalati negli screening». Lo sappiamo, il problema non è nello strumento dei test: grazie alla diagnosi prenatale – spesso sono le stesse associazioni pro life a ricordarlo – è possibile salvare i bambini prematuri, preparare interventi tempestivi post partum in caso di fibrosi cistica o intervenire chirurgicamente in caso di spina bifida. Il problema, è brandire i test come arma eugenetica. Il che dice molto dei presupposti fondanti l’uguaglianza e l’accoglienza alla base della felicità collettiva.

DAL TEST ALL’ABORTO COL PILOTA AUTOMATICO

Come ha denunciato a TV2 News Grete Fält-Hansen, presidente della Landsforeningen Downs Syndrom, la propaganda sul senso della responsabilità comune si è tradotta nell’indisponibilità delle persone ad «andare a fondo» quando viene comunicato loro che aspettano un bambino con la sindrome di Down, un bambino “diverso”: le donne innescano il pilota automatico e non prendono in considerazione nessuna alternativa all’aborto, «il nostro obiettivo è allora qualificare la decisione. Questi dati impongono all’autorità sanitaria di assumersene la responsabilità e fornire informazioni aggiornate e variegate. Non possiamo avere una società che si rivolge automaticamente all’aborto a causa di una diagnosi».

Del paradosso scandinavo, che vede i paesi felici del Nord, le terre dell’indipendenza e delle libertà individuali, dove tutti affermano convintamente di fare quello che fanno per altruismo, dalle fecondazioni assistite a variazioni sul suicidio assistito, annegare poi negli antidepressivi, violenze sessuali, omicidi, suicidi, droghe, divorzi, è stato scritto molto. Dell’incapacità di farsi carico della vita dei fragili, ostacolo a un dispiegarsi della felicità collettiva, troppo poco: eppure la corsa allo Stato “Down Syndrome free” dovrebbe dirci tutto sulla realizzazione della civiltà perfetta, fondata sulla logica di Sparta e lo sterminio di quelli che Jérôme Lejeune, scopritore della sindrome di Down, chiamava i miei – i nostri – piccoli.




martedì 1 settembre 2020

Don Barsotti ci spiega come mai la Chiesa non abbia mai parlato come oggi, ma mai come oggi la sua parola sia stata così priva di efficacia









Selezionato dal volume “Fissi gli occhi nel sole” – Edizioni Messaggero

“La Chiesa da decenni parla di pace e non la può assicurare, non parla più dell’inferno e l’umanità vi affonda senza orgoglio. Non si parla del peccato, non si denuncia l’errore. 

A che cosa si riduce il magistero? Mai la Chiesa ha parlato tanto come in questi ultimi anni, mai la sua parola è stata così priva di efficacia. 

“Nel mio nome scacceranno i demoni …”. Com’è possibile scacciarli se non si crede più alla loro presenza? E i demoni hanno invaso la terra. 

La televisione, la droga, l’aborto, la menzogna e soprattutto la negazione di Dio: le tenebre sono discese sopra la terra. […]. 

Forse la crisi non sarà superata finché, in vera umiltà, i vescovi non vorranno riconoscere la presunzione che li ha ispirati e guidati in questi ultimi decenni e soprattutto nel Concilio e nel dopo-Concilio. 

Essi, certo, rimangono i “doctores fidei”, ma proprio questo è il loro peccato: non hanno voluto definire la verità, non hanno voluto condannare l’errore e hanno preteso di “rinnovare” la Chiesa quasi che il “loro” Concilio potesse essere il nuovo fondamento di tutto.”

Don Divo Barsotti