mercoledì 31 agosto 2022

Volete salvare il mondo? Mangiate vermi!


31 AGO 2022

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by Aldo Maria Valli


Stanno insistendo. Mangiare insetti e vermi è altamente consigliabile. Per la salvezza dell’ambiente e dell’umanità. Questa volta la notizia riguarda alcuni scienziati che sarebbero riusciti a trasformare i vermi della farina in una gustosa proteina dal “sapore simile alla carne” e che potrebbe essere utilizzata per fare “hamburger di vermi” e “salvare il pianeta”.

L’articolo del Guardian ammette che “le persone in Europa e in Nord America sono generalmente più schizzinose nel mangiare insetti” rispetto ad altre popolazioni, ma c’è la fondata speranza che un nuovo metodo di “bollire i vermi della farina con lo zucchero” potrà donarci un “aroma simile alla carne”.



Un articolo del New York Post riguardante lo stesso studio cerca di incoraggiare il consumo di vermi: “Queste creature in effetti sono un’ottima fonte di nutrienti di cui il nostro corpo ha bisogno, e hanno dimostrato di ridurre il colesterolo e le infiammazione migliorando i ritmi cardiaci”.

Come siano stati ottenuti questi dati non è chiaro. Qualche umano non particolarmente schizzinoso si è forse sottoposto a una dieta a base di vermi per mesi e a anni?



Uno degli scienziati sudcoreani che hanno cucinato vermi della farina e larve di coleottero con lo zucchero (trattasi del dottor Hee Cho, capo progetto dell’Università di Wonkwang), ha spiegato: “Mangiare insetti è diventato interessante a causa del costo crescente delle proteine ​​animali, nonché dei problemi ambientali associati”.

In ballo ci sono, come sempre, i problemi della sovrappopolazione e del cambiamento climatico. Si vogliono limitare le emissioni delle mucche: di qui l’idea di abolire la carne bovina dalla dieta.



“Gli insetti sono una fonte di cibo nutriente e salutare con elevate quantità di acidi grassi, vitamine, minerali, fibre e proteine ​​di alta qualità, che è come quella della carne”, assicura il dottor Cho. “Il verme della farina contiene aminoacidi essenziali benefici ed è ricco di acidi grassi insaturi”.

I ricercatori spiegano che “le larve crude odoravano di terra bagnata, gamberetti e mais dolce, ma questo cambiava a seconda del metodo di cottura. I vermi della farina al vapore emettevano aromi di mais dolce, mentre le larve arrostite o fritte erano più oleose”.



Secondo i ricercatori, grazie a questi risultati c’è la reale possibilità di arrivare a una produzione di massa di carne di vermi.

Anche l’Ue si è schierata a favore dei vermi per scopi alimentari, e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha definito gli insetti “una fonte di cibo sana e altamente nutriente con un alto contenuto di grassi, proteine, vitamine, fibre e minerali”.

Come si sa, tra i sostenitori di una nuova dieta c’è Bill Gates, il fondatore di Microsoft, il quale, sempre attento ai destini dell’umanità, da tempo consiglia ai Paesi occidentali di consumare esclusivamente carne sintetica.

Intervistato dalla rivista scientifica MIT Technology Review, Bill Gates ha spiegato che, pur reputando molto difficile a livello politico convincere la popolazione a non mangiare più carne, iniziare a consumare prodotti sintetici potrebbe essere una strada da percorrere per salvaguardare l’ambiente.



In particolare il consiglio di Gates è rivolto ai Paesi più ricchi, che possiedono le risorse economiche per sostenere la virata verso un’alimentazione che non preveda le emissioni di metano degli allevamenti intensivi, soprattutto quelli bovini. Dopo tutto, “alla differenza di sapore ci si può abituare” dice Gates, il quale ritiene che nei paesi più poveri, privi di tecnologia per produrre carne sintetica, si potrebbero avere bovini geneticamente modificati per ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti.

Va notato che Bill Gates, così come molti altri ricconi, utilizza spesso per i suoi spostamenti elicotteri e aerei privati. Nel corso degli anni ha acquistato almeno quattro lussuosi business jet, ognuno dei quali costa circa duecento milioni di dollari. Mezzi altamente inquinanti.

Un problema, questo dell’aviazione privata, che ha spinto la Francia a pensare che ci sia bisogno di mettere un limite. L’1% della popolazione è infatti responsabile del 50% delle emissioni di tutta l’aviazione. Usando per sole quattro ore un jet privato si provocano le emissioni che le attività di un comune cittadino generano in un anno. Secondo il rapporto di Transport and Environment, federazione di Ong europee che si occupa di mobilità sostenibile, in una sola ora un singolo jet privato può emettere due tonnellate di CO2, mentre un comune cittadino dell’Unione Europea ne emette circa 8,2 nel corso di un intero anno. Complessivamente i voli privati inquinano, per passeggero, dalle cinque alle quattordici volte in più degli aerei commerciali e cinquanta volte in più rispetto ai treni.



L’inquinamento causato dai voli dei vip è peggiorato anno dopo anno: un incremento del 31% per CO2 rilasciata tra il 2005 e il 2019. L’arrivo del Coronavirus ha arrestato per qualche mese la tendenza, che poi però è ripresa a ritmo ancora più sostenuto.

Chissà che cosa pensa di questi dati il signor Gates. Il quale – è solo un suggerimento – mentre riflette sulla questione potrebbe iniziare a dare il buon esempio mangiando, a bordo dei suoi aerei, vermi con lo zucchero.

Fonti: nypost.com, quotidianomotori.com, lindipendente.online

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“Ateismo cattolico”. Ovvero quando le nuove idee sono fuorvianti per la fede




31 AGO 2022

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by Aldo Maria Valli


di Stefano Fontana

Esce in questi giorni il mio libro Ateismo cattolico? Quando le idee sono fuorvianti per la fede (Fede & Cultura, Verona 2022, pagine 176, euro 17).

È inusuale che un autore presenti un proprio libro. Di solito questo compito viene riservato ai recensori. Questa volta vorrei però fare eccezione per due motivi. Il primo è il titolo del libro – “Ateismo cattolico?” -, che può sembrare azzardato e provocatorio, nonostante l’attenuazione prodotta dal punto di domanda. Un titolo così impegnativo e ingombrante non lo si poteva lasciare spiegare ad altri. Il secondo motivo è che questo titolo e questo libro concludono il percorso di tutti i miei libri recenti, da Filosofia per tutti a La filosofia cristiana. In fondo, tutti hanno trattato un solo argomento, l’ateismo cattolico appunto. Tutti affrontano il problema di cosa accade quando la fede fa ricorso a una filosofia sbagliata, incompatibile con essa e tale da stravolgerne i contenuti. Più in particolare: cosa succede quando la fede si affida a una filosofia atea.



Questo problema, veramente fondamentale, nasce a due condizioni, senza delle quali non viene nemmeno percepito. La prima di queste condizioni è che la fede cattolica abbia bisogno della ragione filosofica con la quale debba rapportarsi per sua stessa essenza. Si tratta della condizione secondo cui la fede cattolica presenta alla ragione filosofica, con cui entra necessariamente in rapporto, proprie condizioni veritative, sulla base delle quali scarta le filosofie inadeguate e cerca di relazionarsi con la filosofia naturale dello spirito umano, l’unica vera. La seconda di queste due condizioni è che si dia un ateismo filosofico, una filosofia atea, la quale contraddica radicalmente quelle esigenze veritative della fede, al punto che se venisse adoperata da parte della fede produrrebbe appunto il corto circuito di un ateismo cattolico. Nei miei libri, e in particolare in questo ultimo, faccio mie queste due condizioni, perché sono condizioni non mie, ma della “filosofia cristiana”, vale a dire del modo corretto di intendere il rapporto tra la fede e la ragione.



Le due condizioni ora viste sono oggi negate e per questo motivo questo mio nuovo libro, come i precedenti, potrà dare fastidio, a partire dal fastidioso concetto di ateismo cattolico, che diffonde un’ombra di sospetto su tanti teologi contemporanei, molti dei quali sono alti prelati della Chiesa cattolica. Leggendolo, si finisce per chiedersi fino a che punto l’ateismo cattolico sia diffuso nella Chiesa. Oggi, quindi, le due condizioni viste sopra sono negate. Ma negate da chi?



Prima di tutto negate dalla filosofia che si rifà ai presupposti della modernità filosofica. L’ateismo filosofico consiste nel fare i primissimi passi in filosofia in modo tale da rendere impossibile pensare Dio. Ora, la filosofia della modernità ha fatto proprio questo. Certamente, ha negato Dio nelle sue conclusioni, con tanto di voluminosi trattati, ma aveva negato Dio già nei suoi primissimi passi, nel suo, come dicono gli esperti, “cominciamento”. Il problema del cominciamento è fondamentale in filosofia: se nel suo primo vagito la filosofia si mette su una strada che nega Dio, nel senso che non può permetterne la conoscenza, allora essa non potrà più tornare indietro, se non negando se stessa, cosa che pochi filosofi hanno il coraggio di fare. La filosofia moderna è “atea” anche se molti dei suoi filosofi erano cristiani, come Kant, o addirittura cattolici, come Cartesio. Perché l’ateismo cattolico non riguarda un atteggiamento soggettivo, ma la logica atea interna alle categorie concettuali che si assumono. Si tratta di un ateismo epistemico, teoretico, concettuale. Dato che il pensiero moderno parte dal ritenere che nulla esista al di là del pensiero, Dio diventa impensabile e il “principio di immanenza” legherà ogni altro passo del percorso filosofico successivo.



Anche la religione protestante nega le condizioni che abbiamo visto sopra, dato che non riconosce che la fede esprima delle esigenze veritative che interpellano la filosofa tramite i suoi dogmi, né ritiene che la filosofia possa essere atea o teista, a seconda di come si imposta il cominciamento. Lutero, separando la fede e la ragione, pone le basi per la modernità filosofica – pur non essendo stato egli un filosofo – perché rende la fede indifferente alla propria verità – una fede senza dogmi – e indifferente quindi anche alla verità della filosofia, con la quale non ha nessun bisogno di un rapporto essenziale. È enorme l’influenza del protestantesimo sulla modernità filosofica e sarebbe molto lungo l’elenco dei filosofi di origine protestante. È stata anche enorme, però, l’influenza della riforma protestante e della sua teologia nei confronti della teologia cattolica, che oggi poco si differenzia, almeno nelle sue linee più modernizzate, da quella protestante.



Con questo ultimo accenno, ho indirettamente posto il grande problema che sta sotto all’inquietante titolo di ateismo cattolico. L’assunzione in teologia – parlo della teologia accademica ma poi anche di quella del semplice fedele influenzato dalla prima – di una filosofia atea che separa irrimediabilmente la fede come atto personale e la fede come contenuto creduto o dogma. Nascerà una fede senza dogmi, fondata sulle buone pratiche personali, i teologi cattolici esalteranno Kant e ne imiteranno il “pietismo”, vale a dire la riduzione della fede a buoni comportamenti sociali, sosterranno che i dogmi sono compatibili con ogni approccio filosofico, nei seminari verranno insegnate indifferentemente tutte le filosofie, i sacerdoti e i vescovi parleranno molte lingue diverse, il concetto di eresia si trasformerà in qualcosa di positivo, e tutti noi, quando parleremo tra di noi, non sapremo più distinguere l’atto di fede soggettiva del nostro interlocutore con quanto egli ci sta dicendo di contenuto dottrinale, sicché la buona fede sostituirà la fede. Con l’ateismo cattolico è possibile che uno sia soggettivamente in buona fede e oggettivamente pensi e operi da ateo.

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martedì 30 agosto 2022

Caso Paglia, ecco come ti distruggo la morale cattolica




Le recenti affermazioni sull'aborto così come altre iniziative della Pontificia Accademia per la Vita, hanno provocato scandalo e polemiche. Ma non si tratta di uscite estemporanee, piuttosto c’è una precisa volontà di trasformare l’intera dottrina morale della Chiesa. E monsignor Paglia svolge solo il compito affidatogli.



Stefano Fontana, 30-08-2022

Le uscite sull'aborto di monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e le fughe in avanti dei teologi a lui legati su contraccezione e fecondazione artificiale, ci dicono una cosa: se monsignor Vincenzo Paglia è stato messo lì e se viene mantenuto lì, è perché si vuole trasformare l’intera dottrina morale della Chiesa, e non solo quella relativa ad uno specifico problema come la contraccezione. E siccome la dottrina morale della Chiesa è l’ambito in cui si inscrive la Dottrina sociale della Chiesa, si vuole trasformare anche quest’ultima in qualcosa di diverso dalla tradizione giunta fino a Benedetto XVI.

Facciamo un passo indietro. Qualche giorno prima che nel 2019 Francesco chiudesse e trasformasse l’Istituto Giovanni Paolo II sul matrimonio e la famiglia a suo tempo istituito da Giovanni Paolo II, togliendolo dalla Pontificia Università Lateranense e incardinandolo nella Pontificia Accademia per la Vita sotto la “guida” del cancelliere monsignor Vincenzo Paglia, veniva pubblicato il Dizionario su sesso, amore e fecondità, a cura di José Noriega insieme con René e Isabelle Ecochard (Cantagalli, Siena 2019). Un’opera ponderosa e importante, che in pratica riproponeva l’insieme degli insegnamenti della Chiesa in materia.

Questa pubblicazione era apparsa come il canto del cigno del Giovanni Paolo II, l’ultimo lascito prima del nuovo corso che già allora si poteva con certezza prevedere come molto diverso e, per meglio dire, contrastante. Appena avuto in mano il Giovanni Paolo II, Paglia tentò di bloccare la distribuzione in libreria del Dizionario e in seguito il nuovo Istituto Giovanni Paolo II ruppe progressivamente tutta la collaborazione editoriale col vecchio editore, compresa l’edizione della rivista dell’Istituto Anthropothes.

Il tentativo di damnatio memoriae dipendeva dal fatto che il Dizionario riproponeva la tradizionale e imperitura dottrina cattolica sul significato della relazione sessuale tra moglie e marito e argomentava il carattere immodificabile degli insegnamenti morali della Humanae vitae di Paolo VI. Augusto Sarmiento trattava dell’autorità dottrinale della Humanae vitae (pp. 464-469), quella che in questi giorni Paglia vuole svuotare di significato; Alfonso Fernàndez Benito esponeva i contenuti del magistero anteriore (pp. 470-476) e Juan Andrés Talens Hernandis quelli del magistero posteriore (pp. 476-482): ne risultava una perfetta continuità tra prima e dopo.

Le tre “voci” del Dizionario chiariscono senza alcuna ombra di dubbio la immodificabilità degli insegnamenti basati sul seguente principio: «La sessualità umana, caratteristica del linguaggio con cui i coniugi si relazionano nell’atto matrimoniale, ha due significati fondamentali – il significato “unitivo” e il “significato procreativo” – tra i quali vi è una connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa» (Humanae vitae, 12). Il Dizionario chiariva che esistono norme morali dalla validità permanente ed universale, che l’esistenza di queste norme è anche una verità rivelata, che sulla questione specifica Paolo VI ha espresso chiaramente la volontà di insegnare propria del suo ministero apostolico, che i suoi insegnamenti confermano tutti i precedenti e sono stati confermati da tutti i successivi fino a ieri. L’immodificabilità degli insegnamenti non si ha solo nei pronunciamenti ex cathedra.

Nel medesimo Dizionario era anche pubblicato un intervento di chi ora scrive queste righe (pp. 489-494), nel quale si sottolineava la dimensione “sociale” della Humanae vitae e del suo insegnamento sulla contraccezione, insegnamento che riguardava la dottrina morale ma che concerneva anche la Dottrina sociale della Chiesa.

Si tratta di un punto importante, perché negando e rivedendo l’insegnamento sulla contraccezione, si finisce da un lato per negare gli stessi presupposti fondamentali della teologia morale, come per esempio il fatto che l’uomo abbia una natura e che non sia solo storia, e si finisce dall’altro per rendere impossibile la Dottrina sociale della Chiesa, dato che la società inizia dalla coppia degli sposi. Se in quel punto sorgivo della socialità (lo scopo unitivo) e della società (lo scopo procreativo) è possibile sostituire alle norme eterne della natura, confermate e purificate dalla rivelazione, una tecnica strumentale umana, allora la società o non nasce o nasce dalla violenza reciproca piuttosto che dall’accoglienza.

Se i due si relazionano secondo i propri desideri, non nasce alcuna coppia nel senso di una realtà nuova superiore ai componenti, nasce solo un accostamento strumentale; se i due si relazionano secondo una norma indisponibile a loro stessi, se comprendono di “essere costituiti” coppia e non di “essersi costituiti coppia”, allora ogni relazione sociale successiva è salva dalla violenza e dalla strumentalizzazione.

Da quando il vescovo Paglia è alla guida della Pontificia Accademia per la Vita e, soprattutto, da quando è alla guida del nuovo Istituto Giovanni Paolo II, ora denominato “per le scienze del matrimonio e della famiglia”, non si contano i suoi interventi assolutamente contrastanti con la dottrina tradizionale della Chiesa e le sue macchinazioni, come la lotta al Dizionario visto sopra, le nomine ad hoc sia nell’Accademia sia nell’Istituto, fino ai miserevoli tweet poi ritirati. Tradizionale, come si sa, non vuol dire “vecchia” o “superata”, ma sempre viva perché sempre uguale.

Se monsignor Vincenzo Paglia è stato messo lì e se viene mantenuto lì, è perché si è deciso di trasformare l’intera dottrina morale della Chiesa, compresa la sua Dottrina sociale
. Non gli sarà chiesta alcuna correzione di rotta né, tantomeno, nessuna dimissione.




lunedì 29 agosto 2022

Contraccezione, chiodo fisso della neo chiesa




Il solito don Chiodi, stavolta sulla rivista dei Dehoniani, dice che Humanae Vitae è riformabile perché non infallibile. E sulla contraccezione gioca la solita carta delle circostanze e della qualità delle intenzioni. Che però non possono mai bonificare la malvagità di un atto. Un sovvertimento totale dell’insegnamento della Chiesa.



LA SPARATA DI DON CHIODI
EDITORIALI

Luisella Scrosati, 29-08-2022

Infallibilità sulle questioni morali? è il titolo di un’intervista di Fabio Mastrofini a don Maurizio Chiodi per Settimana News, il settimanale online dei Dehoniani. La risposta è molto semplice: neanche per sogno! Solo che, ovviamente, c’è bisogno di tutto un giro di parole per intortare il lettore. E quella di “realizzare torte” è un’abilità nella quale don Chiodi ha pochi rivali. Ragione principale per cui è stato scelto, nell’era di Paglia, come ordinario di Bioetica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II.

È da un po’ che don Chiodi ci prova a scalzare l’insegnamento della Chiesa sull’integrità dell’atto coniugale. Ma da quando il vento in Vaticano è cambiato, il suo impegno è diventato più zelante, sebbene la sua argomentazione sia sempre la solita: dapprima semplicemente errata, poi monotona, adesso stantia: «la nota teologica – vale a dire l’autorevolezza dell’insegnamento – di un’enciclica non appartiene al magistero infallibile». Dunque l’enciclica Humanae Vitae, «come ogni enciclica, compresa Veritatis splendor (VS), è un documento autorevole, ma senza pretesa di infallibilità». Conclusione: «sull’HV, e sulla precedente presa di posizione di Casti connubii – ancor più forte – siamo nel campo della doctrina reformabilis».

Eh già. Perché che fanno i papi quando scrivono encicliche? E’ un modo come un altro per ammazzare il tempo ed esprimere opinioni personali; solo che, siccome sei il papa, anziché scrivere un saggio, hai la corsia preferenziale dell’enciclica. Poi, sempre perché sei il papa, ti puoi anche permettere di uscire sul balcone o andare all’ambone, e mentire a centinaia di milioni di persone, dicendo che in realtà si tratta di una verità immutata ed immutabile. Così magari vendi qualche copia in più.

Come fece un tale Paolo VI, dieci anni dopo la promulgazione della HV, che da burlone qual era, prese tutti per il naso proclamando di aver promanato l’enciclica «ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili» (vedi qui).

Siamo sempre alle solite: un insegnamento nella Chiesa può essere certo e definitive tenenda, anche se l’atto che l’ha promulgato non ha il carattere dell’infallibilità (e non è il caso di HV: ma questa è una lunga storia). La ragione è piuttosto elementare e sta nella verità del contenuto: 2+2 fa 4 anche se il papa non l’ha scritto sulla lavagna invocando la sua infallibilità. Che ricorrere alla contraccezione comporti la separazione del significato unitivo da quello procreativo in quel dato atto, è innegabile. E che l’unione di quei due significati sia costitutiva dell’atto coniugale, è altrettanto innegabile.

È per questa ragione che «richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» (HV 11). «Costante dottrina», che però per don Chiodi può essere riformata, purché non si sostituisca «frettolosamente la propria idea con l’insegnamento del magistero, avocando a sé un’infallibilità negata a questo», ma si apra «la discussione teologica, dentro la Chiesa, e perfino la possibilità di un dissenso, tanto per il singolo credente quanto per il teologo». Tradotto: l’importante non è non fare vaccate, ma non farle frettolosamente. Che è un altro modo per tradurre la strategia “francescana” di non fare rivoluzioni, ma avviare processi.

Per farlo, è essenziale convincere le persone che non si stanno contraddicendo i pronunciamenti del Magistero, ma si stanno ampliando, sviluppando, completando. Basta usare la fantasia.

Nell’intervista, per esempio, Chiodi si propone come il salvatore della Patria, che cerca faticosamente la strada per comporre tra loro due istanze etiche: quella che chiede la valutazione degli effetti e delle circostanze di un’azione morale e quella che difende «la validità incondizionata del bene». «Come comporre queste due istanze senza negare né l’una né l’altra, ma pensandole insieme?». Risposta: «Per parte mia, credo che non si debbano negare gli atti intrinsecamente cattivi, ma che insieme occorra pensare in radice che cos’è un atto, superandone un’interpretazione oggettivata, che cioè prescinda dalle circostanze, dagli effetti e dalle intenzioni inscritte nelle azioni dei soggetti coinvolti».

E guarda un po’, un esempio da seguire sarebbe Amoris Laetitia, «secondo la quale la relazione sessuale tra due divorziati risposati non è necessariamente adultera». Mentre si nega di voler eliminare gli atti intrinsecamente cattivi, si afferma che un atto intrinsecamente cattivo non è più tale. Per quale ragione? Per via delle circostanze e della qualità delle intenzioni. Attenzione, sono secoli che è ben noto che le circostanze costituiscono l’atto morale, nel senso che non esiste alcun atto morale che astragga dalle circostanze e dalle intenzioni del soggetto, in quanto ogni atto morale è un atto individuale. Tuttavia, «non ogni circostanza può rendere l’atto morale buono o cattivo» (Somma teologica, I-II, q. 18, a. 10, ad 3), ma solo quelle che determinano la specie dell’atto morale; e «non tutte le circostanze che accrescono la bontà o la malizia conferiscono all’atto morale una diversa moralità specifica» (q. 18, a. 11).

In sostanza, nell’intervista Chiodi fa il fenomeno, come se fosse il primo a considerare le circostanze e le intenzioni in un atto morale. Quello che in realtà sta facendo è sovvertire totalmente l’insegnamento su questo punto. Vediamo perché. Egli porta un esempio che mette sullo stesso piano il comandamento di non uccidere, dove la circostanza dell’innocenza della persona determina la specie dell’atto morale (diversamente si potrebbe trattare di legittima difesa), con l’adulterio. In quest’ultimo caso però è proprio la circostanza concreta che l’altra persona non è il proprio coniuge a determinare la specie dell’atto. Le altre circostanze e le intenzioni del soggetto non incidono sulla specie morale e non sono pertanto in grado di “bonificare” la malvagità dell’adulterio, ma semmai possono accrescere o ridurre la malizia di quell’azione.

È l’insegnamento di Veritatis Splendor, 52: «ciò che si deve fare in una determinata situazione dipende dalle circostanze [...]; al contrario ci sono comportamenti che non possono mai essere, in nessuna situazione, una risposta adeguata — ossia conforme alla dignità della persona». Ed è per la stessa ragione che HV, escludendo «ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione», metteva in guarda dal giustificare ricorrendo alle circostanze o alle intenzioni. Spiegava infatti Paolo VI (HV, 14) che non è possibile invocare come valida ragione che vi siano alcune gravi circostanze che richiederebbero di «scegliere quel male che sembri meno grave»; e nemmeno «che tali atti costituirebbero un tutto con gli atti fecondi che furono posti o poi seguiranno, e quindi ne condividerebbero l’unica e identica bontà morale». Che sono esattamente le due strade che Chiodi & C. hanno percorso nella stesura del Testo Base, di cui abbiamo parlato qui; ossia che la contraccezione può essere ammessa in ragione di «condizioni e circostanze pratiche che renderebbero irresponsabile la scelta di generare» (che sarebbe dunque un male più grave della contraccezione), da parte di quelle coppie «che hanno deciso o decideranno di accogliere figli», le quali perciò «senza contraddire la loro apertura alla vita, in quel momento», non la prevedono.

Quelle di Chiodi sono tutte balle: egli sa molto bene che, dietro le sue parole fumose, sta sovvertendo tutto l’insegnamento della Chiesa. Ma non ha abbastanza testosterone per dirlo apertamente. Paglia e Chiodi: di questo materiale è fatta la “nuova Chiesa”.





sabato 27 agosto 2022

Offertorio e oggetti liturgici. Alla ricerca della dignità perduta




26 AGO 22


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by Aldo Maria Valli

di Aurelio Porfiri

Per chi è cresciuto nel periodo postconciliare frequentando la Messa novus ordo non sarà stato infrequente vedere il sacerdote, al momento della processione offertoriale, lasciare che all’altare si porti qualunque cosa. Analogamente, abbiamo visto usare oggetti liturgici, magari donati da qualche fedele, senza considerare se questi oggetti siano adatti e dignitosi per la liturgia. Si dice: che c’è di male? In realtà c’è molto, ma poco se ne parla.

Riguardo alle donazioni di oggetti liturgici possiamo rifarci a quanto il sacerdote americano Chad Ripperger afferma in Topics on Tradition e rifletterci sopra: “Spesso i sacerdoti si sentono obbligati a usare oggetti liturgici brutti che ricevono da laici che potrebbero non avere un senso estetico adeguatamente sviluppato. Il primo errore è accettare brutti oggetti liturgici. Il secondo errore è dare ai laici l’idea che possano uscire da soli e acquistare questi oggetti per la chiesa. Ai laici dovrebbe essere detto che se vogliono donare un oggetto il sacerdote dovrebbe scegliere l’oggetto in base a un’estetica adeguata in relazione allo stile della chiesa in cui verrà utilizzato. Il terzo errore è la convinzione del sacerdote di essere obbligato a utilizzare un oggetto brutto donato da un laico. Se è vero che spesso i sacerdoti non vogliono offendere i laici, tuttavia a quei laici che donano oggetti brutti bisogna insegnare che tali cose non si addicono alla liturgia proprio perché sminuiscono il valore estrinseco della Messa. Influiscono non solo sugli altri nella chiesa, ma anche al laico che dona, perché di conseguenza riceve meno frutti dalla Messa”.


Ora, il problema è che spesso il senso estetico non l’hanno gli stessi sacerdoti, piuttosto che i laici. Ovviamente non mi riferisco a tutti, ma quanti preti oramai hanno una formazione adeguata nell’arte sacra? E vogliamo parlare della musica sacra? Qui forse la tragedia è ancora più grande.

Il sacerdote ben formato dovrebbe sapere che tutto ciò che si usa nella liturgia deve avere una dignità liturgica, non essere semplicemente qualcosa che in sé non è malvagio. Un pallone da calcio va benissimo per lo sport e tanta gente lo ama, ma che c’entra con la Messa? Eppure, molti non vedono più la differenza, proprio perché sono crollati gli standard di riferimento per musica, arte e oggetti liturgici. Se vogliamo renderci conto dello stato delle cose nella Chiesa, questo crollo è uno degli indicatori più drammatici e tristi.






Aborto, Paglia tocca il fondo tifando per la 194: «Un pilastro»




Intervistato da Rai Tre, il presidente della Pontificia Accademia per la vita tocca il fondo della sua collaborazione formale al male definendo la legge 194 «un pilastro della società» e dicendo che non «è assolutamente in discussione». Siamo al ground zero della moralità, della fede: abbiamo un vescovo presidente di un’accademia nata per tutelare la vita che tutela una legge che distrugge la vita. La 194 diventa un assoluto morale: così parlano gli abortisti. In una situazione normale dovrebbe essere accompagnato alla porta oggi stesso.



IERI IN TV
VITA E BIOETICA

Tommaso Scandroglio, 27-08-2022

250.000. Sono più o meno i vocaboli presenti nella lingua italiana. Sono tanti, eppure non sono sufficienti per commentare adeguatamente le parole di Mons. Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia Pontifica per la Vita, in merito alla legge 194, norma che ha legittimato l’aborto procurato nel nostro Paese.

Ieri, Rai 3, trasmissione Agorà – Estate. La conduttrice Giorgia Rombolà chiede a Mons. Paglia, uno degli ospiti presenti, cosa pensa dell’aborto che, a motivo soprattutto di un post di Chiara Ferragni, è entrato nel dibattito politico in vista delle elezioni. Paglia così risponde: “Penso che la legge 194 sia ormai un pilastro della nostra vita sociale”. Sic. Il miglior commento sarebbe una pagina bianca, ma ci corre l’obbligo e il disagio di dire qualcosa.

Abbiamo toccato il fondo, siamo ad un punto di non ritorno, al ground zero della moralità, della fede, della ragionevolezza e della coerenza. Abbiamo il presidente di un’accademia nata per tutelare la vita che tutela una legge che distrugge la vita. E’ come se il presidente dell’organizzazione ebraica Anti-Defamation League si dichiarasse a favore dell’olocausto. Sarebbe una contraddizione in termini, un vero e proprio ossimoro vivente. Se il rappresentante principale della principale istituzione vaticana sorta per contrastare, tra gli altri fenomeni sociali contrari alla vita, l’aborto, difende l’aborto significa che, dal punto di vista umano, siamo orami giunti all’interno della Chiesa ad un rovesciamento totale dei principi morali cattolici, ad una rivoluzione radicale della dottrina. Parafrasando Mons. Giacomo Biffi, potremmo dire che la barca di Pietro non affonderà, ma i suoi occupanti paiono già tutti morti affogati.

La legge 194 che ha permesso di uccidere, sì uccidere, più di 6 milioni di bambini, per Paglia è un pilastro, tanto fondamentale che, imbeccato sempre dalla conduttrice che gli chiedeva se la 194 fosse in discussione, il monsignore ha ribadito: “No, ma assolutamente, assolutamente!”. È la 194 a diventare un assoluto morale, non l’aborto. La 194 quindi non si tocca. Ci spiace dirlo, ma così parlano gli abortisti. Come è possibile difendere uno strumento di morte? Non dovrebbe farlo un ateo raziocinante. Ancor più non dovrebbe farlo un credente. Ancor più un cristiano, un cattolico. Ancor più un uomo di chiesa. Ancor più un vescovo o arcivescovo come nel caso di Paglia. Ancor più infine il responsabile della pastorale per la vita a livello mondiale. Richiamando una riflessione proprio della Pontificia Accademia della Vita sul tema della collaborazione (Riflessioni morali circa i vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti, 5 giugno 2005), dobbiamo, ahinoi, concludere che Mons. Paglia con quelle parole ha espresso una collaborazione formale al male perché ritiene giusta una legge ingiusta, perché approva la ratio di quella legge: è legittimo uccidere i nascituri.


Paglia poi, seguendo un copione trito, spara la solita cartuccia: applichiamo le parti buone della 194, che sarebbero gli artt. 2 e 5, per incentivare la maternità, cioè per evitare aborti. Ne avevamo già parlato a suo tempo in un articolo del giugno del 2018 a cui rimandiamo per un maggiore approfondimento. In questa sede ricordiamo solo la sintesi dei motivi lì espressi per cui è impossibile affermare che la 194 dovrebbe essere applicata meglio per diminuire gli aborti: “La reale esiguità della portata degli obblighi di legge, l’impossibilità della sanzione in capo agli operatori sanitari che non fanno il loro dovere, il fatto che è il medico abortista a dover dissuadere la donna, fanno sì che la 194 può essere applicata benissimo e nello stesso non inceppare per nulla la macchina abortiva che uccide un bambino ogni cinque minuti. Quindi nella 194 non c’è reale prevenzione all’aborto, non perché gli artt. 2 e 5 vengono applicati male (difetto fenomenologico), ma per intrinseca struttura della 194 (difetto giuridico)”. Appare quindi strabiliante dichiarare che per combattere l’aborto occorre applicare meglio una legge che permette l’aborto. No, per combattere l’aborto, tra le altre cose, occorre abrogare la legge che permette di abortire. Anche un bambino ci arriverebbe.

Paglia infine nel suo intervento calca la mano sulla denatalità e sul fatto che è necessario incentivare le nascite (seguendo lo spirito tutto mondano che non bisogna mai parlare male di niente, ma solo bene di tutto, eccezion fatta per i populisti, i sovranisti, i tradizionalisti, i ricchi, etc.). Ma non sa Paglia che, dati alla mano, la prima causa di denatalità in molti paesi occidentali, Italia compresa, è proprio da rinvenirsi nell’aborto e dunque in quel pilastro sociale che è la 194? Un quinto di tutti i concepimenti finisce in un aborto volontario. Paglia vuole incentivare le nascite del 20%? Disincentivi l’aborto, non lo incoraggi parlando bene della 194. Come si fa a parlare bene di una legge che stermina i bambini a cataste e poi lamentarsi che nascono pochi bambini?



L’uscita di Paglia, che in una situazione normale dovrebbe essere accompagnato alla porta oggi stesso, somma sconcerto a sconcerto anche perché viviamo ora a livello mondiale un periodo, se non d’oro, di certo d’argento in merito alla tutela legale della vita nascente. Solo il giugno scorso la Corte Suprema Usa ha mandato in soffitta la sentenza Roe vs Wade che legittimò su tutto il territorio nazionale l’aborto. Là giudici laici combattono l’aborto e qui, invece, un vescovo a capo della Pontificia Accademia per la vita non combatte l’aborto ma lo difende. Perché difendere la 194 significa difendere l’aborto. E qualsiasi mistificazione retorica non potrà mai cancellare questa evidenza, questa equivalenza.

Secondo il Paglia pensiero quindi marce e raduni pro vita dovrebbero svuotarsi di significato, a meno che non si marcerà per difendere la 194 e, per paradosso, per sostenere la natalità. L’abortista poi ringrazia perchè avrà infatti facile gioco ad obiettare al militante pro-life: “Se il vostro capo è favore della 194 perché tu invece la critichi? Lui non la mette in discussione e quindi la 194 è un confine invalicabile. Indietro non si torna”. Il discorso semmai si potrebbe spostare su quanti bambini riusciamo a far nascere al netto degli aborti: insomma quanti li faremo venire alla luce e quanti ne abortiremo perché entrambe le scelte sono legittime (lo dice implicitamente la 194).

Paglia non è nuovo a simili uscite dottrinalmente errate, ma questa volta ha superato se stesso perché è stato, purtroppo, di una chiarezza adamantina nel manifestare il suo pensiero eterodosso, che rimane suo e non certo della Chiesa. Vedasi a questo proposito l’Evangelium vitae: “Le leggi che, con l'aborto e l'eutanasia, legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita proprio di tutti gli uomini. […] Le leggi che autorizzano e favoriscono l'aborto e l'eutanasia si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica. […] L'aborto e l'eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza”. (nn. 72-73. Cfr. altresì nn. 20, 59, 69).

Ritenere la 194 un pilastro della società – e Paglia non descriveva un giudizio comune meramente da lui riportato, ma esprimeva un giudizio proprio – non è un fungo velenoso che è spuntato nel bosco cattolico dalla sera alla mattina, ma è l’ultimo frutto avvelenato di una pianta che è viva e vegeta nella Chiesa da tempo. La pianta dell’eresia che spaccia l’errore come approfondimento e sviluppo dottrinale (ma una verità potrà mai diventare l’opposto di sé?). La pianta del dialogo a tutti i costi spinto così all’estremo che, con le braghe calate, pur di dialogare e non contraddire nessuno si arriva al punto di importare senza dazi le idee perverse del nemico. La pianta di un pastoralismo senza dottrina che porta ad abbracciare non solo il peccatore, ma anche il peccato. La pianta della misericordia senza giustizia, che cancella peccato e colpa, scusa tutti e tutto e accetta tutti e tutto. La pianta del relativismo ecclesiale in cui a posto della verità, anticaglia da buttare, si mette un pluralismo liquido ed indistinto. La pianta del discernimento che pone come regola l’eccezione. Infine la pianta dell’ateismo perché solo chi ha dimenticato Dio, chi è senza fede può essere a favore dell’aborto.

Lo Spirito Santo ha però, è il caso di dirlo, tanto spirito. Mentre Paglia parlava, il telespettatore poteva leggere sullo schermo in alto a destra il seguente avviso: “Questa sera ore 21.20 film Gli infedeli”.







venerdì 26 agosto 2022

Così la Chiesa cattolica sta ripercorrendo la strada degli anglicani. Che porta verso il baratro


26 AGO 2022

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by Aldo Maria Valli


di The Wanderer

Caminante Wanderer

Guardare indietro agli eventi storici aiuta a capire il presente e, sebbene i parallelismi non siano sempre esatti, possono essere indicativi del corso che gli eventi potrebbero prendere.

Prendo spunto da questa premessa per sottolineare alcuni eventi avvenuti più di un secolo fa nella Chiesa d’Inghilterra. Nel 1841 il governo inglese e l’arcivescovo di Canterbury concordarono con il re di Prussia e le autorità delle chiese luterana e calvinista di stabilire a Gerusalemme un vescovado che avesse giurisdizione sui fedeli delle tre comunioni, alternando vescovi anglicani e luterani. Ciò suscitò un grande scandalo e fu la causa ultima della conversione alla Chiesa romana di John Henry Newman. Scrisse a riguardo: “Sembra che siamo su un sentiero in cui dobbiamo fraternizzare con tutti i tipi di protestanti, monofisiti, ebrei semi-convertiti, drusi. Se un tale avvenimento dovesse accadere, non potrò impedire a nessuno di incamminarsi verso Roma. Prima o poi, tutti inizieranno ad andarsene” (Lettera a J.W. Bowden del 10 ottobre 1841).

Pochi anni dopo, nel 1847, si verificò “il caso Gorham”. Il vescovo Phillpotts di Exeter decise di non concedere al reverendo Gorham la parrocchia di Brampford Speke, sebbene fosse stato nominato per tale incarico dalla Corona, perché il sacerdote riteneva che l’amministrazione del battesimo non implicasse rigenerazione spirituale o grazia santificante. La situazione creò un conflitto che dovette essere risolto dal Consiglio privato della regina, il quale, due anni e mezzo dopo, ordinò al vescovo di insediare Gorham nella posizione che gli era stata negata, con la motivazione che i candidati non dovevano essere costretti a firmare quei punti dottrinali su cui la chiesa anglicana non aveva una chiara dottrina. 

Questa situazione, com’era prevedibile, suscitò grande sconforto poiché, secondo molti vescovi e chierici anglicani, la loro chiesa aveva una dottrina ben definita riguardo alla grazia battesimale. Fu sollevata una protesta formale i cui firmatari affermarono che la Chiesa d’Inghilterra, con il processo a Gorham, era “formalmente separata dal corpo cattolico e non poteva più garantire ai suoi membri la grazia dei sacramenti e la remissione dei peccati”. Qualche tempo dopo, gli arcivescovi di Canterbury e York si dichiararono favorevoli al verdetto del processo. Fu questo a determinare che gli arcidiaconi Henry Manning e Robert Wilberforce, e James Hope, un membro di spicco della Camera dei Lord, seguissero il percorso di Newman e furono ammessi alla Chiesa di Roma.

Nel 1913 ebbe luogo la “controversia Kikuyo”. Tutto ebbe inizio quando due diocesi anglicane in Africa – Mombasa e Uganda – parteciparono a un congresso di chiese protestanti svoltosi a Kikuyo (Kenya) in cui si discusse il tema della collaborazione tra le diverse confessioni cristiane. L’incontro si concluse con una celebrazione liturgica ecumenica, celebrata da un vescovo anglicano e “concelebrata” da pastori protestanti. Questo fatto produsse un grande scandalo e divisione in Inghilterra. I vescovi partecipanti furono denunciati come eretici, anche se il loro gesto fu infine ripristinato. Questa posizione di apertura di alcuni settori della chiesa costituita era corretta? Ronald Knox, un prete anglicano, dissentì fortemente e, per affermare la sua posizione, scrisse in quattro giorni un piccolo libro il cui argomento era una semplice riduzione all’assurdo. Il titolo è Reunion All Round, ed è possibile leggere qui la versione in inglese. Questo fu uno degli eventi determinanti per la conversione di Knox alla Chiesa cattolica, nel 1917.

Nel 1947, il vescovo anglicano di Birmingham, Ernest Barnes, pubblicò un libro dal titolo The Rise of Christianity in cui metteva in dubbio la verginità di Maria e la risurrezione fisica di Gesù. Inoltre, difendeva pubblicamente la necessità e l’opportunità del controllo delle nascite. 

Questi eventi provocarono una grande protesta in molti ambiti britannici e furono fatte pressioni affinché Barnes fosse rimosso dalla sua sede, cosa che non accadde mai. Tuttavia, molti anglicani – chierici e fedeli – videro in questa situazione una deriva inaccettabile nella loro chiesa, e decisero di convertirsi al cattolicesimo. Uno di loro, il sacerdote scozzese Onich MacFarlane-Barrow, scrisse: “Mi ponevo continuamente questa domanda: è possibile rimanere in comunione con un vescovo che, nonostante i suoi discorsi blasfemi, non è privato del suo incarico? È vero che gli errori commessi da monsignor Barnes non potevano considerarsi una novità, poiché, fin dalla fondazione della Chiesa, vi sono sempre stati dignitari ecclesiastici che dicevano e facevano cose che scandalizzavano i fedeli; eppure nulla mi aveva mai preoccupato più delle osservazioni del vescovo di Birmingham, ed ero convinto che non sarebbe stato possibile per me rimanere nella Chiesa anglicana.” Poco dopo, MacFarlane-Barrow entrò nella Chiesa cattolica.

Si potrebbero sicuramente citare altri casi simili, come la conversione di Graham Leonard, vescovo di Londra nel 1989, a causa della decisione della Chiesa d’Inghilterra di conferire l’ordine sacerdotale alle donne. E in tutti loro si osserva uno schema comune: un fatto concreto di tendenza modernista, assunto dalla Chiesa d’Inghilterra nel suo insieme o dai singoli vescovi ma con l’appoggio della gerarchia, causa una o più conversioni alla Chiesa romana.

Veniamo ora ad alcune conclusioni: Gran parte delle dichiarazioni o degli eventi che hanno causato la crisi potrebbero oggi vedere per protagonisti sacerdoti o vescovi cattolici, e avrebbero il sostegno della gerarchia vaticana. Prendiamo un caso recente: il cardinale Hollerich, S.J., la scorsa settimana ha difeso l’”amore” omosessuale, qualcosa di molto più audace del controllo delle nascite promosso dal vescovo Barnes. In qualsiasi seminario o università cattolica si insegna apertamente la non verginità di Maria e la risurrezione solo simbolica di Nostro Signore (dobbiamo ricordare, ad esempio, il defunto biblista argentino Luis Rivas?). In Germania, le cerimonie di intercomunione tra cattolici e luterani sono all’ordine del giorno e lo stesso papa Francesco ha dato pubblicamente la comunione a una donna protestante. A nessun vescovo cattolico verrebbe in mente di sospendere uno dei suoi sacerdoti che metta in dubbio la dottrina sulla giustificazione delle acque battesimali, e le fraternizzazioni con protestanti, ebrei e buddisti sono state frequenti dopo lo sfortunato episodio di Assisi.

La Chiesa cattolica oggi è chiaramente dove si trovava la Chiesa d’Inghilterra un secolo fa. Oggi la chiesa anglicana è scomparsa. Rimane solo una struttura ufficiale, mantenuta dallo Stato, che svolge una funzione sociale e decorativa, ma in essa ognuno crede quello che vuole, i suoi tempi sono vuoti e chiusi, e pochissimi vi trovano vestigia di vita spirituale. Vale a dire che ha cessato di essere una religione.

Sarà questo il futuro della Chiesa cattolica, dati i parallelismi? Gli anglicani, testimoni dei casi elencati, avevano un rifugio: Roma. E molti di loro vi hanno fatto ricorso. Noi, cattolici del XXI secolo, non ce l’abbiamo, poiché affermiamo che la chiesa fondata da Nostro Signore è la Chiesa romana. E per quanto riguarda quelli che propongono una fuga verso l’ortodossia, temo che anche gli ortodossi stiano andando nella stessa direzione. Basta leggere questa recente notizia.

Se poi la Chiesa cattolica continuerà a procedere nel percorso di defezione iniziato negli anni Sessanta, e accelerato con papa Francesco, temo che per rimanere fedeli alla fede degli apostoli si dovrà pensare, a un certo punto, più o meno prossimo, a soluzioni che non saranno facili da adottare.

“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc. 18,8).

Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com

Traduzione di Valentina Lazzari

Titolo originale: La vía anglicana

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giovedì 25 agosto 2022

Cattolici irrilevanti perchè incoerenti tra fede e cultura






Di Stefano Fontana 24 AGO 2022

Andrea Riccardi, sul Corriere della Sera del 18 agosto, ha detto che ormai i cattolici sono “irrilevanti” in politica e bisogna chiedersi perché. Rispondiamo volentieri all’invito, non senza far notare, però, che il nuovo partito cattolico DemoS, espressione di Sant’Egidio di cui Riccardi è fondatore e curatore, ha finito per chiedere al Partito Democratico un seggio da qualche parte, il che dimostra una grande volontà di essere rilevanti. Ma a parte il contesto, l’affermazione di Riccardi è vera e seria e merita un qualche tentativo di risposta anche da parte nostra.

Prima di tutto: i cattolici sono irrilevanti perché sono sempre meno. Nelle grandi città la frequenza alla messa domenicale si attesta sul 4 per cento. Nei centri più modesti le cose migliorano, ma in generale, come diceva Benedetto XVI in Portogallo, la fede sembra essere un lumicino senza più alimento e in via di spegnersi. Gli aspetti quantitativi non sono mai decisivi e i cattolici potrebbero essere creativi e influenti pur essendo in pochi. Tuttavia, la loro esiguità numerica evidenzia anche un aspetto qualitativo: l’evangelizzazione è trascurata perché scambiata con il proselitismo, le parrocchie spesso sono comunità di solidarietà e non di missione, e la Dottrina sociale della Chiesa, nei rarissimi casi in cui vi si fa riferimento, non viene minimamente intesa come “strumento di evangelizzazione”. Per questo i “pochi” cattolici diventano anche “sparuti” e, come tali, non possono certo incidere.

In secondo luogo, in questo (limitato) mondo cattolico la formazione dottrinale è in gravissima crisi, spesso anche per volontà degli stessi pastori. Prevalgono devozione e pastoralismo, ma i principi di riflessione e i criteri di giudizio non vengono più trasmessi. La formazione alla dottrina cristiana è molto carente, spesso non c’è per motivazioni teologiche che riprenderò più avanti, altre volte non c’è perché sacerdoti e laici sono impreparati a sostenerla, quando c’è si rivolge a piccoli o piccolissimi numeri. La maggioranza dei fedeli è lasciata senza formazione. Come pretendere che il cattolico sia presente in modo consapevole nella scena pubblica se ha idee confuse sulle principali questioni dottrinali? E cosa pretendere se molto spesso sono i pastori stessi a porre dubbi che destabilizzano le poche convinzioni che si hanno? La “rilevanza” politica è a valle, ma senza le condizioni a monte è irrealistico pretenderla.

E così arriviamo al punto veramente decisivo. Quando alcuni fedeli cattolici – necessariamente pochi per i motivi visti sopra – sentono una spinta ad occuparsi dell’ambito politico, si trovano privi del collegamento tra la loro fede personale con le ragioni di quell’ambito politico. Siamo ancora – o addirittura la situazione è peggiorata – alla famosa mancanza di una coerenza tra Vangelo e vita, tra fede e cultura e, soprattutto, tra fede e politica. Al punto che, in molti casi, è meglio che questi fedeli non si impegnino in politica: produrrebbero meno danni.

Conosco molti cattolici che sono militanti di +Europa, il partito di Emma Bonino, del PD che vuole il “matrimonio egualitario”, dell’estrema sinistra che vuole il gender e il socialismo di Stato. Viene a mancare l’anello che lega la fede soggettiva alle verità oggettive credute, le quali hanno anche ripercussioni sulla vita politica e permettono quella “coerenza” tra fede e impegno politico di cui parlava la (tanto vituperata) Nota Ratzinger del 2002. Nessuna parrocchia e nessuna diocesi insegna la Dottrina sociale della Chiesa correttamente intesa, vale a dire non ridotta a parlare di ecologia.

Può essere un esempio efficace il caso del nuovo sindaco di Verona, Damiano Tommasi, eletto alle recenti amministrative. La persona è apprezzabilissima, cattolico da sempre impegnato nell’associazionismo ecclesiale, marito e padre di sei figli, onesto, generoso ed equilibrato. Però si è posto a capo di una coalizione di sinistra e ha aperto ai nuovi diritti, subito dopo la sua elezione c’è stato in città un gay pride di ringraziamento, ha affermato di voler inserire il comune di Verona nella rete Re.a.di. che collega i comuni che intendono promuovere iniziative di educazione sessuale nelle scuole secondo l’ideologia gender e l’omosessualismo. Il vescovo uscente di Verona, mons. Giuseppe Zenti, purtroppo per lui in modo maldestro e fuori tempo, ha richiamato alla coerenza: i cattolici non possono sostenere l’agenda gender, ma è stato zittito, ridicolizzato e considerato “irrilevante”.

Oggi si pensa che i cattolici possano sostenere qualsiasi agenda politica. Anche DemoS, come abbiamo visto sopra, darà una mano al partito che – parole di Letta – vuole il matrimonio egualitario, il suicidio assistito, la legge Zan e la cannabis legale. Del resto, se Francesco loda Emma Bonino, apprezza Biden contro Trump, si dice amico di molti leader comunisti latinoamericani, appoggia padre James Martin… perché un cattolico non può militare nei partiti che la pensano così? Ma se un cattolico può militare indifferentemente in tutti i partiti, allora la sua fede non possiede contenuti politici dirimenti e irrinunciabili, cioè non dice alla politica niente di più di quanto la politica possa dire a se stessa. Ecco l’irrilevanza vera e il suo ultimo fondamento. I cattolici si pongono nell’ambito politico nudi, vuoti e disponibili.

Tutto ciò semplicemente capita o è voluto? È voluto. Che i cattolici si sciolgano, come tutti gli altri, in un generico e mondano “camminare insieme” oggi è teorizzato dai teologi che contano ed è insegnato dal magistero. Ma perché allora lamentarsi dell’irrilevanza dei cattolici? Bisognerebbe esserne contenti.

Stefano Fontana

lanuovabq.it






mercoledì 24 agosto 2022

Don Nicola Bux - "Desiderio desideravi": eresia o errore?






Da Scuola Ecclesia Mater

Mons Nicola  Bux

Da alcuni studiosi è stato fatto notare che il n.5 della Lettera Desiderio desideravi , affermi che per accostarsi alla S. Comunione sia sufficiente la fede nell'Eucaristia. 

Senonché, l'enciclica Ecclesia de Eucharistia di Giovanni Paolo II precisa che L'Eucaristia deve essere celebrata nella comunione ecclesiale e nell'integrità dei Suoi vincoli: "Non basta la fede, ma occorre perseverare nella grazia santificante e nella carità, rimanendo in seno alla Chiesa col "corpo" e col "cuore"; occorre cioè, per dirla con le parole di San Paolo," La fede che opera per mezzo della carità"(36). 

"Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione"(CCC 1385). 

Per dirla con la teologia classica, la necessità della grazia è dovuta al fatto che L'Eucaristia è un sacramento che ricevono i "vivi", cioè coloro che con il sacramento del battesimo o della penitenza, da "morti" per il peccato, sono rinati appunto alla grazia. Dunque, non basta la fede per accostarsi alla Comunione.
 
Si pone quindi un dubium: chi ha redatto il testo ignora tutto questo o ha voluto modificare la dottrina cattolica? Il papa se n'è accorto?






PERCHÉ IL MONDO ODIA I CRISTIANI






Gesù disse ai suoi discepoli: “Io vi ho scelto e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto”. Poi aggiunse velocemente queste solenni parole: “E il vostro frutto sia duraturo” (Giovanni 15:16).
Le parole di Cristo erano dirette a tutti i discepoli, di ogni età. In breve, egli ci sta dicendo: “Siate sicuri che i vostri frutti durino fino al Giorno del Giudizio”. La parola “frutto” qui significa fare l’opera e il ministero di Cristo qui sulla terra. Come credente, io sono scelto e costituito per andare in tutto il mondo e predicare l’evangelo di Cristo. Inoltre, come ministro di questo evangelo, sono chiamato a fare ed addestrare veri discepoli.

Ora, esiste la falsa conversione. Gesù avvertì i Farisei: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti! Perché scorrete il mare e la terra, per fare un proselito e, quando lo è diventato, ne fate un figlio della Geenna il doppio di voi” (Matteo 23:15).

Queste sono parole forti, ma vengono dal Signore stesso. E Gesù rivolse queste parole ad ebrei zelanti e proseliti. Si trattava di studiosi della Bibbia, uomini che conoscevano le Scritture. Forse ti chiederai: “Ma com’è possibile che Gesù abbia detto una cosa del genere? Com’è possibile che quelli che quelli che fanno proseliti, li mettano poi in una condizione del genere?”.

Gesù risponde a questo. Quando grida: “Ipocriti!” sta dicendo in realtà ai Farisei: “Il vostro frutto è malvagio”. E li avverte: “Riceverete una condanna maggiore” (23:14).

I Farisei a cui si rivolse Gesù erano più preoccupati dei numeri che di vedere una vera conversione nel cuore della gente. Gesù disse loro in effetti: “State chiudendo il cielo ai vostri cosiddetti convertiti. E ciò avviene perché non avete parole da parte di Dio nella vostra vita. Fate tanta fatica per pianificare le conversioni. Ma in verità, allontanate il cielo dalla portata della gente”.
Cristo notò l’ipocrisia dei capi religiosi che erano più preoccupati di fare numero che delle vere conversioni.

Tragicamente, vediamo lo stesso spirito nella chiesa odierna. Mi chiedo se Gesù avrebbe detto la stessa cosa a molti dei pastori che sorvegliano oggi la casa di Dio: “Scandagliate in cielo e in terra in cerca di nuove idee, programmi e concetti. E tutto per far persone nella vostra chiesa. Siete stati infettati dal veleno dell’ipocrisia dei numeri. Misurate il successo dal numero delle persone che riempiono i vostri banchi”.

Vi posso dire che non tutti quelli che si reputano cristiani nelle nostre chiese sono veramente dei cristiani salvati e convertiti. Allo stesso tempo, posso assicurarvi che se tali persone finiscono per diventare figli dell’inferno, non sarà per quello che hanno sentito dal pulpito. Non sarà dovuto ad un messaggio del vangelo incompleto. No, sarà perché avranno rifiutato la verità convincente dello Spirito Santo.

Dove sono i Giovanni Battista di oggi?

Io vi chiedo: dove sono i pastori che non ammorbidiscono il loro messaggio per i potenti ed i forti? Dove sono i predicatori così dediti a Cristo da predicare lo stesso messaggio ai re e ai poveri e disprezzati? Tremo al pensiero che una cosa del genere accada a me, o a qualsiasi altro predicatore dell’evangelo, chiudendo cioè il cielo e facendo sì che i “convertiti” diventino doppi figli dell’inferno. Eppure tutto questo oggi accade perché alcuni ministri sentono il bisogno di essere amati e lodati dagli altri. 

Compromettono la verità per farsi accettare dal mondo.

Gesù affronta questo problema. Riunisce i suoi discepoli, e mentre tutto il popolo lo ascolta, rimprovera duramente gli scribi religiosi:
“Guardatevi dagli scribi, i quali passeggiano volentieri in lunghe vesti e amano i saluti nelle piazze, i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti” (Luca 20:46). In breve, stava dicendo alle persone: “Attenzione ai pastori che amano le lodi degli uomini. Attenzione a quegli uomini della Bibbia che cercano l’affetto e l’applauso della gente. Attenzione ai capi di chiesa che vogliono l’approvazione della società”. Una chiesa accettata ed approvata dal mondo è un ossimoro, una contraddizione. È una cosa impossibile . Secondo Gesù, qualsiasi chiesa che è amata dal mondo, è del mondo e non di Cristo:
“Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma poiché non siete del mondo, ma io vi ho scelto dal mondo, perciò il mondo vi odia” (Giovanni 15:19).

La mia vita è stata grandemente influenzata dagli scritti di George Bowen, un missionario presbiteriano che ha lavorato in India dal 1838 al 1879. Bowen rinunciò ai suoi sostegni missionari per trasferirsi in una catapecchia e vivere come vivevano gli indigeni. Condusse una vita molto frugale, quasi in povertà. Ma grazie alla sua scelta, lasciò una testimonianza della vera potenza della vita in Cristo.

Questo santo uomo avvertì dello spirito dell’anticristo che sarebbe venuto. Identificò questo spirito dell’anticristo come “lo spirito della società moderna”. Secondo Bowen, questo spirito dell’anticristo si sarebbe infiltrato nella chiesa protestante con la mentalità, i metodi e la morale della stragrande società.
Lo spirito dell’anticristo avrebbe continuato la sua influenza fin quando la società e la chiesa non fossero state uguali. Nel frattempo, il mondo avrebbe perso il suo odio per la chiesa di Cristo e per i veri credenti. Una volta accaduto ciò, scrisse Bowen, questo spirito dell’anticristo avrebbe preso il trono.

Diversi mesi fa, mentre le porte dell’Iraq stavano per aprirsi alle organizzazioni di soccorso cristiane, il New York Times scrisse un articolo derogatorio. C’è da aspettarselo da un organo di stampa libero e secolare. Possono applaudire la distribuzione di cibo in Iraq, ma certamente non la predicazione di Cristo.
Tuttavia l’articolo citava uno studioso evangelico che criticava questo sforzo. Lo denunciava completamente, dicendo che la chiesa avrebbe dovuto farsi gli affari suoi. Questo uomo della Bibbia era scandalizzato dal fatto che la chiesa potesse evangelizzare. Ma questa è una mentalità del mondo!
Più ci avviciniamo alla missione di Cristo – predicare l’evangelo che ci ha ordinato – più saremo odiati e disprezzati dal mondo.

Troveremo nemici ovunque – persone che ci si oppongono al lavoro, nel vicinato, persino in alcune chiese – perché stiamo adempiendo la missione di Cristo. Ancora una volta Gesù avverte: “Guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché allo stesso modo facevano i padri loro verso i falsi profeti” (Luca 6:26). Permettimi di chiederti: il mondo ti sta lodando? Sei sulla bocca di tutti in città? Ti vengono conferiti alti onori negli eventi secolari? Sei politicamente corretto nelle tue interazioni? I sindaci, i dignitari ed i famosi stanno bene in tua compagnia? Allora ascolta le parole di Gesù: “C’è qualcosa di falso nella tua testimonianza”.

Gesù stesso lo dice chiaramente: se una chiesa si muove nella potenza dello Spirito Santo e sta adempiendo la missione che Egli le ha affidato, essa sarà odiata e perseguitata dal mondo. Come Paolo, il pastore sarà considerato lo scarto della terra. E la chiesa sarà odiata da politici immorali e uomini di società corrotti. Sarà disprezzata anche dagli omosessuali, dai pornografi, e dalla maggior parte dei capi religiosi allontanati, che sono spiritualmente morti.

Ma Gesù dice a quella chiesa: “Beati coloro che sono perseguitati a causa della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati sarete voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli, poiché così hanno perseguitato i profeti che furono prima di voi” (Matteo 5:10-12).

Perché il mondo odia la vera chiesa, i suoi pastori ed i membri?

Un vero cristiano ama, è pacifico, perdona e si cura degli altri. Quelli che ubbidiscono alle parole di Gesù sacrificano se stessi, sono umili e dolci. Ora, il senso comune ci dice che non è naturale odiare chi ci ama, ci benedice e prega per noi. Al contrario, si tende ad odiare chi si abusa di noi, chi ci deruba e ci maledice. Allora perché i cristiani sono così odiati?

Gesù lo spiega chiaramente: “Se il mondo vi odia, , sappiate che ha odiato prima me… Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Giovanni 15:18,20). E perché è così?
La chiesa, ed ogni ministro e credente in essa, viene odiata a causa della sua missione. Vedete, la nostra missione è molto più che dire alle persone perdute: “Gesù ti ama”. È molto più che cercare di far piacere alla gente. Forse ti sorprenderò ricordandoti qual è la nostra missione. Per dirla in parole povere, la nostra missione come cristiani è quella di riprenderci dal mondo la cosa più preziosa che ha: l’auto-giustizia. Significa portarlo in una libertà che ritiene schiavitù. Significa separarlo dal peccato, una benedizione che considera solo noiosa e triste. Per dirla in parole povere, sta costruendo la sua Torre di Babele, un monumento alla sua bontà. È sicuro di essere abbastanza buono per il cielo, e troppo buono per andare all’inferno.

L’uomo del mondo ha trascorso anni a battersi il petto per rimorsi di coscienza. Ha imparato a soffocare ogni voce di convinzione che gli giunge. Ed ora gode di una falsa pace. È diventato così raggirato, da credere veramente che Dio lo ammiri!

Ed ora, proprio quando ha soffocato la voce della sua coscienza, sei venuto tu, un cristiano. E la verità che gli hai portato parla più ad alta voce della sua coscienza morta: “Finché non sei nato di nuovo, non potrai entrare nel regno del cielo”. Improvvisamente, sei una minaccia nella mente di quest’uomo. Sei qualcuno che vuole privarlo della certezza che va tutto bene per la sua anima. Per tutto questo tempo, ha pensato di essere a posto. Ma ora gli stai dicendo che tutte le sue buone opere sono spazzatura.
Io vi dico, quest’uomo non ti considera come qualcuno che gli sta portando una buona notizia. No, ai suoi occhi sei un tormentatore, qualcuno che gli disturba il sonno di notte.

Ci sono milioni di persone così, e molti di loro riempiono i banchi di chiesa ogni domenica.
Queste persone pensano di essere graditi a Dio semplicemente perché si fanno vedere in chiesa. Hanno creato il loro concetto di chi è Cristo. Il loro cristo è qualcuno come loro. E quel cristo non è fatto dalla parola di Dio, ma dalla loro cecità.

Ora vieni e gli dici che senza pentimento e senza un vero cambiamento, è un ribelle. Gli dici che la sua integrità è un abominio per Dio. E, piuttosto che essere nel favore di Dio, se continua a peccare si ritroverà nella sua ira. Hai predicato il sangue di Cristo, una nuova nascita, la separazione dal mondo, un cammino di sottomissione ed ubbidienza. Ma dici tutto questo a persone che sono convinte di non aver bisogno di niente. Per loro suona come un deserto vuoto ed arido.

Alcuni predicatori leggendo questo possono obiettare: “Questa non è affatto la mia missione. Non sarò così aggressivo”. Altri possono affermare: “Sono stato chiamato a portare un evangelo di amore e di grazia. Perciò predico un messaggio meno aggressivo”. Non posso parlare per altri pastori; posso solo parlare di quello che so. Da cinquant’anni predico ai peccatori più duri e malvagi della terra: drogati, alcolizzati, prostitute. Eppure, io vi dico che questi peccatori sono molto meno resistenti alla verità dell’evangelo che molti di quelli che siedono fra i banchi della chiesa e sono accecati dalla loro condizione.

Migliaia di cosiddetti credenti in tutta l’America sono più induriti di quelli che stanno per strada. E nessun evangelo gradevole, fatto di mezze verità potrà infrangere le mura della loro malvagità. Saulo da Tarso era un uomo religioso molto indurito. Fariseo fra i Farisei, una figura importante in una società altamente religiosa, Saulo aveva tutto. Pensate che Gesù sia andato da quest’uomo facendo un’indagine per scoprire cosa gli sarebbe piaciuto vedere in un servizio di sinagoga?

No! Saulo cadde a terra accecato da una luce, una presenza piena della presenza di Cristo. Fu un incontro folgorante, che mise a nudo il cuore di Paolo, smascherando il suo peccato. Come ministro del vangelo di Cristo, devo fare lo stesso. È mio compito convincere gli uomini e le donne dei loro peccati. E nessun evangelo a buon mercato potrà farli cambiare.

In termini chiari, sono chiamato a condurre le persone a dimenticare tutto per seguire Cristo, che trovano inattraente. Soltanto lo Spirito Santo in me può compire tutto ciò. Non fraintendete quello che sto per dirvi. Io predico la misericordia, la grazia e l’amore di Cristo a tutti. E lo faccio con lacrime. Ma l’unica cosa che rompe le mura erette da persone indurite è un bagliore della presenza di Gesù. E questo bagliore sgorga dalla bocca di pastori e membri di chiesa che pregano e sono contriti.

Gesù ha detto: “Io vi ho scelto dal mondo” (Giovanni 15:19)

Questo verso spiega il vero motivo per cui siamo odiati. Quando siamo stati salvati, siamo stati “scelti dal mondo”, ed abbiamo accettato la nostra missione di insistere affinché altri “escano dal mondo”. “ Non siete del mondo, ma io vi ho scelto dal mondo, perciò il mondo vi odia” (Giovanni 15:19). Cristo sta dicendo, in effetti: “Il mondo vi odia perché vi ho chiamati dalla vostra condizione. E questo significa che vi ho chiamati dalla loro comunanza. Non vi ho semplicemente chiamati fuori, ma vi ho anche chiamati a portare altri fuori”.

Lo spirito anticristo protestante opera per impedire questa separazione dei cristiani dal mondo. Mostra al credente che è possibile rimanere nel mondo e considerarsi cristiano. Forse ti chiederai: “Cosa intendeva esattamente Gesù con il mondo?”.

Non stava parlando semplicemente di concupiscenze insane, di piaceri, di pornografia o di adulterio. No, “il mondo” a cui Cristo si riferisce non è un elenco di pratiche malvagie. È solo una parte di esso. Molti musulmani sono “usciti” da tutte queste cose con semplice forza di volontà e paura di distruzione.
“Il mondo” di cui Gesù parla è l’incapacità di arrendersi alla sua Signoria. In breve, la mondanità è il tentativo di mescolare Cristo alla propria volontà. Vedete, quando ci arrendiamo alla Signoria di Cristo, ci aggrappiamo a Cristo. E ci facciamo condurre dallo Spirito Santo, passo dopo passo, in un cammino di purezza e giustizia. Iniziamo ad apprezzare la santa riprensione.

Nessuno può arrendersi alla signoria di Cristo senza ubbidire alle istanze della Croce

Mi rendo conto di questa verità ogni volta che predico. Guardando dal pulpito la nostra congregazione, ogni settimana vedo volti nuovi in mezzo ai credenti, persone che sono venute per la prima volta. Alcuni sono uomini d’affari di successo, persone che si sono fatte da sole e hanno faticato sodo. Altri vengono da ogni stile di vita. Ma tutti hanno dei peccati segreti. Queste persone vivono come a loro piace, non sono sottomessi ad alcuna autorità spirituale. Ma sono vuoti e disillusi. Sono stanchi di perseguire dei piaceri che non li soddisfano.

Potrei predicare loro ogni sorta di sermone sui principi e le regole comportamentali, o su come vincere lo stress, o come affrontare la paura e i sensi di colpa. Ma nessuna di queste predicazioni potrà mai farli “uscire dal mondo”. Non cambierebbe il cuore di nessuno.

Devo semplicemente dire ai non credenti che la loro volontà, la loro forza e la loro testardaggine nel fare tutto a modo loro, servirà solo a distruggerli. E alla fine, li porterà al tormento eterno. Se non do loro questo messaggio, avrò loro chiuso le porte del cielo. Ed avrò fatto di loro dei duplici figli dell’inferno. La loro condizione sarà peggiore di prima di essere entrati nelle nostre porte.

Devo portare queste persone di fronte al messaggio della crocifissione dell’indipendenza. Devo mostrare loro che devono uscire da questo mondo deludente di auto-bontà. Devo dire loro che non c’è modo per ottenere la pace in questa vita se non arrendendosi completamente al Re Gesù. Altrimenti le avrò ingannate. Ed avrò commesso l’orribile peccato della peggiore specie di orgoglio: li avrò “convertiti” per mio pregio. Che non avvenga mai ! Come ministro dell’evangelo di Gesù Cristo, sono obbligato a dire questa verità a chiunque voglia pentirsi sinceramente: “Da questo momento in poi sarete odiati e perseguitati!”.

Gesù una volta si rivolse ad alcuni suoi parenti terreni e disse: “Il mondo non può odiarvi” (Giovanni 7:7).
Con queste tremende parole, Gesù ci fornisce la prova di una chiesa vera e di un vero discepolo. Mi chiedo a quante chiese e a quanti cristiani possano essere rivolte queste parole oggi: “Il mondo non può odiarvi”. Cristo sta dicendo in realtà: “Avete portato il mondo in chiesa – avete così diluito il mio evangelo – che il mondo vi abbraccia. Siete diventati amici del mondo”. Giacomo ci dà questo avvertimento nella sua epistola: “L’amicizia del mondo è inimicizia con Dio… chiunque perciò vuole essere amico del mondo è nemico di Dio” (Giacomo 4:4).

Naturalmente, Gesù era amico di politici e peccatori. Ma sta anche scritto che egli era “separato dai peccatori” (Ebrei 7:26). Egli ministrava ai peccatori, ma in piena sottomissione a suo Padre. Come Lui, anche noi siamo chiamati ad essere nel mondo, ma non di esso.

“Ricordate le parole che vi ho detto… Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Giovanni 15:20). Non devi cercarti la persecuzione. Non sarai perseguitato per il tuo lavoro, per la razza a cui appartieni o per il tuo aspetto fisico. No, sarai perseguitato semplicemente perché hai fatto di Cristo il tuo Signore.

Che Dio abbia pietà di qualunque cristiano che il mondo non odia. E Dio aiuti i politici che stanno dalla parte di Cristo; il mondo li odierà e li demonizzerà. Ora permettetemi di darvi una parola di incoraggiamento. Anche se il mondo odia e perseguita i veri discepoli di Cristo, troviamo un crescente amore ed un santo affetto fra i membri della sua chiesa. Infatti, se il mondo ci odia, i fratelli e le sorelle si abbracciano fra di loro ancora di più.

Nei giorni avvenire, l’amore nella casa di Dio diventerà ancora più prezioso. Saremo odiati da tutto il mondo, beffati dai mass-media, ridicolizzati da Hollywood, presi in giro dai collaboratori, scherniti dalla società. Ma quando veniamo nella casa di Dio, entreremo in un posto di incredibile amore, perché ci ameremo l’un l’altro come Cristo ama noi.

Non importa quali persecuzioni affronteremo. Saremo ricevuti con queste parole: “Benvenuto a casa, fratello, benvenuta sorella. È qui che sei amato”. Saremo edificati, e continueremo a proclamare, come il nostro Signore ci comanda, il suo vero evangelo.



(dal Web)





















154Tu, Elena Biagini e altri 152


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martedì 23 agosto 2022

Divorziati risposati, l'ipocrisia della diocesi di Milano





La curia milanese ritira (apparentemente) il documento “aperturista” di don Aramini, ma non i suoi contenuti. Il solo “malinteso” è consistito nello svelare le carte e il (loro) vero problema sono i “pelagiani” difensori della dottrina. Al divorziato risposato si chiede tutto, tranne il pentimento.




SACRAMENTI ALL'AMBROSIANA
EDITORIALI

Luisella Scrosati, 23-08-2022

Saranno state le feriae augustales, durante le quali – si sa – anche gli uffici delle curie ecclesiastiche si svuotano; sarà stata la personalità un tantino piena di sé di don Michele Aramini. Fatto sta che domenica 14 agosto don Aramini, ufficialmente motu proprio, inviava a tutti i decani della diocesi di Milano il pro-manuscripto di venticinque pagine di cui abbiamo parlato (vedi qui). Il testo era accompagnato da un messaggio dello stesso autore (e di nessun altro), responsabile dell’Ufficio Diocesano per l’Accoglienza dei Fedeli Separati, che promuoveva la lettura e diffusione di quella che veniva considerata una vera e propria guida all’interpretazione e applicazione di Amoris Laetitia. Passati quattro giorni, qualche ora dopo la pubblicazione dell’articolo su La Nuova Bussola Quotidiana, il diretto superiore di don Aramini, don Mario Stefano Antonelli, Vicario Episcopale per l’Educazione e la Celebrazione della Fede (perché a Milano ci sono più uffici di curia che preti), fa una retractatio in piena regola, chiedendo perdono per il testo, «frutto di un malinteso».

Quale malinteso? Nessuna speranza che si tratti di una divergenza di don Aramini dalla linea della diocesi rispetto al contenuto. Don Antonelli, nel messaggio di scuse, rimanda i confratelli sacerdoti ad un libretto pubblicato dal Centro ambrosiano dal titolo Accompagnare, discernere, integrare. Percorso formativo su Amoris lætitia cap. VIII, prefato dall’Arcivescovo e introdotto dallo stesso don Antonelli. Un testo gemello di quello di don Aramini, ma più ossequioso della metodologia larvatus prodeo.

Analogie e differenze tra i due scritti? Iniziamo dalle prime. Entrambi rimandano alla Lettera dei vescovi della regione pastorale di Buenos Aires, del 5 settembre 2016, approvata da papa Francesco mediante una lettera al metropolita di Santa Fe de la Vera Crux, mons. Sergio Alfredo Fenoy, delegato della regione Pastorale di Buenos Aires. È questo testo ad essere, per entrambi, il punto di riferimento fondamentale per la corretta interpretazione di Amoris Laetitia. Nel testo Accompagnare, discernere, integrare si afferma che «l’Arcivescovo ritiene sufficiente la recezione del dettato e del senso di Amoris Laetitia, in specie del suo capitolo VIII» secondo l’interpretazione data appunto da quella lettera.

È questo l’orientamento fondamentale, rispetto al quale la diocesi di Milano stigmatizza «alcuni scomposti fai da te, ancora diffusi nelle comunità cristiane e nel clero». Il «fai da te di avanguardia» che pretende di «modificare tutto senza discernimento»; quello di retroguardia, che si avvinghia «in modo ossessivo a un grappolo di dottrine», pretendendo «dall’alto di qualche posizione ieratica e clericale, di dettare legge e imporla, invece di annunciare il Vangelo». E infine il fai da te «più insidioso, che più trasuda di clericalismo», ossia il sostituirsi «nel discernimento ai fratelli e alle sorelle, che invece sono “il” soggetto del discernimento».

Ora, bisogna ricordare che in quello scritto, che papa Francesco giudicava «molto buono» e capace di «spiegare pienamente il significato del capitolo VIII di Amoris Laetitia», si afferma che la continenza può essere proposta, quando vi siano circostanze che la rendano fattibile. Ma «in altre circostanze più complesse, e quando non si è riusciti a ottenere una dichiarazione di nullità, l’opzione menzionata non può essere di fatto realizzabile». In queste situazioni, «se si arriva a riconoscere che in un caso concreto ci sono limitazioni che attenuano la responsabilità e la consapevolezza (cf. 301-302), in particolare quando una persona considera che cadrebbe in un’ulteriore mancanza danneggiando i figli nati dalla nuova unione, la Amoris Laetitia apre alla possibilità all’accesso ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia».

Ed infatti è precisamente questa la posizione del capitolo I criteri del discernimento del libretto consigliato da don Antonelli. Dopo le ormai consuete e colorite accuse a chi si appisola «nella comodità di un “si è sempre fatto così” o di un “l’importante è ricordare la dottrina”»; dopo aver respinto quanti sono «pelagiamente ossessionati dall’integralità morale in una forma che dimentica che il cuore del Vangelo è la docilità del bambino, con i suoi limiti (a volte insuperabili)»; dopo aver magicamente trasformato una convivenza more uxorio in una «relazione coniugale attuale», anche il libretto conclude che, nel percorso di discernimento, si può proporre la continenza, ricordando però che «i grigi della vita» potrebbero presentare «circostanze complesse per le quali l’opzione menzionata non è realizzabile». In questo caso la valutazione di tali circostanze e attenuanti possono portare a sospendere un giudizio di colpevolezza e così «a non identificare la situazione detta “irregolare” con “il peccato mortale”».

Il punto decisivo del testo guida della diocesi di Milano sta nel fatto che la decisione ultima è in capo alla persona guidata nel discernimento. È lei a decidere della sua colpevolezza, della fattibilità o meno della continenza; e dunque di decidere della propria riammissione alla vita sacramentale. Nel capitolo Riconciliazione sacramentale e partecipazione piena all’Eucaristia, troviamo un paragrafo assai significativo, che di fatto affratella tra loro il testo della diocesi, quello di don Aramini e le indicazioni dei vescovi della regione di Buenos Aires: «In un determinato discernimento può accadere che questo fratello o questa sorella, accompagnato seriamente da una guida, […] avverta che quella possibilità [la continenza, n.d.a.], laddove fosse immaginata, non è praticabile; e percepisca, insieme, che non impegnandosi in questa “astensione” o “continenza” sessuale, non cade in peccato mortale proprio per via della presenza di condizioni concrete, inscritte nella propria storia, che attenuano o addirittura, in certi casi, annullano la colpevolezza e l’imputabilità».

E infatti, non viene chiesta, a chi vive in situazione irregolare, una confessione dell’adulterio, ma dapprima una confessio laudis, una lode grata «di come il Signore gli ha usato misericordia nella relazione di amore della nuova unione», come pure per la responsabilità verso i figli, per la pace nei confronti del coniuge con cui si è separato, eccetera. E poi la confessio vitae: «Non il pentimento per la nuova unione, ma per quanto in questa relazione ancora resta distante dalla carità che lo Spirito infonde». Pentimento anche per «il fallimento del matrimonio canonico» o per «l’eventuale resistere di rabbia e rancore nei confronti del coniuge del matrimonio canonico». Tutto fuorché confessare l’adulterio, l’unione sessuale al di fuori del matrimonio, che ormai ha ricevuto il via libera dal discernimento di attenuanti della responsabilità.

Ma allora, dove sta la differenza tra questo volumetto e il pro-manuscripto di don Aramini? Semplicemente nel fatto che quest’ultimo è stato troppo esplicito. Scrivere troppo chiaramente che «in ogni caso l’assenza di continenza non impedisce l’eventuale accesso ai sacramenti» o indicare apertis verbis strategie per infinocchiare il parroco “indietrista” era un po’ troppo. Anche il caso dell’anziano malato di Alzheimer che non può fare a meno di vivere la sessualità suonava piuttosto stucchevole, soprattutto dopo che lo stesso autore aveva esortato a parlare meno della sessualità ed avere più pudore… Meglio essere più aderenti allo stile larvatus prodeo e lasciare che queste deduzioni le tiri chi di dovere: il soggetto del discernimento, l’accompagnatore, persino anche qualche giornalista che, almeno in agosto, avrebbe voluto scrivere qualcosa di più distensivo. La retractatio di don Antonelli è, a tutti gli effetti, un distillato di ipocrisia.




lunedì 22 agosto 2022

Il teologo del papa contro la Messa antica mostra le sue carte a favore della contraccezione



Nella nostra traduzione da Onepeterfive abbiamo l'ennesimo esplicito riscontro del fatto che i due riti rivelano una diversa teologia ed ecclesiologia ed emerge con sempre maggiore evidenza il solco dottrinale tra i nemici della Messa antica e la Tradizione perenne. Pubblico in sequenza questo ed un successivo articolo di Peter Kwasniewski, entrambi molto significativi al riguardo. Qui l'indice degli articoli su Traditionis custodes e seguenti.Il teologo del papa contro la Messa antica mostra le sue carte a favore della contraccezione.

lunedì 22 agosto 2022




Peter Kwasniewski, PhD

Papa Francesco ama dire “tutto è connesso”. I tradizionalisti hanno detto la stessa cosa negli ultimi sei decenni.

Abbiamo a lungo sottolineato che coloro che hanno trasformato la liturgia cattolica sulla carta, in pratica stavano anche intrattenendo novità dottrinali, stranezze e, a volte, anche eresie. Al contrario, una liturgia radicalmente cambiata ha portato all'indebolimento e alla perdita della fede in un certo numero di dottrine centrali del cattolicesimo, o che la perdita del rispetto per Dio è legata alla deriva morale in ogni sfera della vita. Non è difficile, dopotutto, vedere che la lex orandi, la lex credendi e la lex vivendi stanno e cadono insieme.


Il nome di Andrea Grillo ha assunto importanza negli ultimi anni. Tra i liturgisti italiani è stato il critico più esplicito del Summorum Pontificum e il più fervente sostenitore della Traditionis Custodes. Sebbene abbia negato di aver avuto un ruolo nella stesura di quest'ultimo documento, le sue idee - a volte nella formulazione letterale - sono facilmente reperibili nel motu proprio così come nei suoi documenti di accompagnamento e di attuazione.

In un articolo pubblicato il 7 agosto, “Condoms for Sex and Ecclesiastical Preservation” (gioco di parole nell'originale italiano: “Preservativi Sessuali e Preservazioni Ecclesiali”), Grillo rivela fino a che punto è disposto a vedere la Tradizione Cattolica fin dal Concilio di Trento come una gigantesca deviazione che ora deve essere corretta da ecclesiastici più illuminati. L'articolo è breve ma ricco di affermazioni rivelatrici. Commenterò i passaggi chiave.

Egli inizia:

Una singolare analogia permette di scoprire come, attorno alla questione degli anticoncezionali, la dottrina cattolica del matrimonio e della sessualità abbia subìto una trasformazione e una polarizzazione del tutto in contrasto con quasi due millenni di storia. Potremmo dire che, di fronte alle nuove sfide che il XIX e XX secolo proponevano alla Chiesa, la Chiesa abbia reagito accettando una polarizzazione e una semplificazione della dottrina matrimoniale e sessuale che ha quasi sfigurato la sua tradizione.

Degno di nota è quanto questo racconto sia strettamente parallelo a quello che Grillo - insieme alla fase velenosa del Movimento Liturgico - offre della tradizionale eredità romana del culto divino: anch'esso subì (così sostengono) una trasformazione clericale e anti -polarizzazione popolare avulsa dal meglio della tradizione antica. Credono che il rito tridentino deturpi la Tradizione.

In particolare, le parole d’ordine che hanno guidato la reazione, prima alla fine dell’Ottocento e poi nella prima metà del Novecento, hanno introdotto un modo di guardare alla realtà che ha creato un’assoluta distanza tra Dio e uomo. In realtà questa lettura è stata guidata da un’urgenza che non è teologica ma politico-ecclesiastica, ossia dal bisogno di una difesa ad oltranza dell’autorità ecclesiastica su matrimonio e sessualità. In questo modo una teologia schiettamente ecclesiastica, e quindi preoccupata di operare sul piano dell’autorevolezza e del potere, ha largamente dimenticato la ricchezza di pensiero con cui la tradizione ha pensato questi temi.

In questa prossima parte viene da chiedersi come Grillo sia coerente con se stesso. Perché nel regno della liturgia, gli piace piuttosto il fatto che un papa abbia un'autorità così centralizzata da poter dettare una nuova Messa o qualsiasi altra cosa, o possa dettare l'abolizione di un rito precedente che non si adatta più alla concezione dell'uomo moderno di un gruppo particolare influente. 

TM Quanto all'affermazione che il reazionario del XIX e XX secolo ha creato una "distanza assoluta tra Dio e l'uomo", questo è il tipo di assurdità standard che i teologi moderni rigurgitano senza uno straccio di prova. Al contrario, si sarebbe pensato che l'autorità di Cristo sul matrimonio e sulla sessualità, che Egli ha affidato anche alla sua Chiesa come mater et magistra, stabilisce la giusta gerarchia del divino e dell'umano, del soprannaturale e del naturale. Cristo, nel sacramento del matrimonio, restituisce questo più naturale dei rapporti al suo modello originario e lo eleva ad immagine del suo rapporto con la Chiesa. Quell'insegnamento è antico quanto San Paolo; presumibilmente Grillo non ha voglia di dissentire dall'Apostolo delle genti?

Ciò che accade tra il XIX e il XX secolo trova il suo presupposto nella grande svolta costituita dal decreto Tametsi, con il quale la Chiesa cattolica intende requisire al proprio interno l'intera esperienza matrimoniale e sessuale. È interessante che la parola che dà il titolo al decreto — 'tametsi' [sebbene] — segnali che i Padri Tridentini erano consapevoli dell'azzardo che proponevano, ossia il superamento di tutte le forme di matrimonio irregolare o clandestino da sempre riconosciute come valide. In quel “ tametsi ” c'è il segno di una svolta istituzionale che introduce una competenza totalizzante in capo alla Chiesa, primo tra gli Stati moderni a burocratizzare il rapporto con matrimonio e sessualità.

Grillo rifiuta di riconoscere che potrebbero esserci state altre ragioni oltre a una presa di potere ecclesiastica per voler scoraggiare i matrimoni irregolari o clandestini! Per pensatori come lui, tutto ciò che non piace nell'insegnamento e nella pratica della Chiesa viene reinterpretato alla maniera post-moderna come una presa di potere, e tutto ciò che piace è lodato come una "liberazione" dalle restrizioni coercitive. Non si può fare a meno di chiedersi quali ulteriori tipi di unioni irregolari o clandestine Grillo potrebbe voler difendere...?

Ciò che accade 50 anni dopo nel Rituale del 1614 è sorprendente: mentre prima il consenso restava sullo sfondo e l'atto ecclesiale era la benedizione, ora il centro del matrimonio è il consenso e la benedizione diventa marginale. Questa è la premessa di un'autocoscienza ecclesiale che ritiene di avere in sé le competenze su tutti i livelli del matrimonio e dell'esperienza sessuale. Si noti che è una cosa del tutto nuova, che comincia 1.500 anni dopo la nascita della Chiesa.

Non è facile seguire le strade labirintiche del pensiero di Grillo, ma egli sembra sostenere che il ruolo della Chiesa per 1.500 anni sia stato solo quello di benedire le unioni che adulti responsabili hanno concordato per proprio conto (allusioni alla Germania qui?), mentre dopo Trento la Chiesa ha osato rivendicare la titolarità del momento in cui viene dato il consenso di un uomo e di una donna, quasi a simboleggiare che solo la Chiesa può determinare le regole coniugali e sessuali, con la benedizione che cade in ombra come un segno forzato. 

Ma non è vero che la Chiesa sempre, implicitamente e spesso esplicitamente nel corso dei secoli di cui abbiamo testimonianze, ha determinato le condizioni e i requisiti del matrimonio? E chiunque si prenda la briga di leggere il vecchio rituale del matrimonio come potrebbe ricevere l'impressione che la benedizione sia marginale nel suo contenuto teologico e negli effetti impetrati? Com'è tipico dei progressisti, Grillo presume che i suoi lettori ignorino ingenuamente la verità.

Con l'avvento degli Stati liberali arriva prima di tutto una nuova competenza sull'unione dei coniugi. La prima reazione della Chiesa è negare ogni competenza diversa dalla propria.

Non c'è un solo teologo rispettabile nel corso dei secoli che neghi che lo Stato abbia una precisa competenza nell'elaborazione delle leggi riguardanti il ​​matrimonio e la famiglia. La Chiesa insiste, tuttavia, sul fatto che lo Stato non è l'arbitro esclusivo o ultimo di queste leggi, e che quando i cattolici si sposano, i loro matrimoni sono resi solenni dalla testimonianza della Chiesa e dalla sua autorità. Negare questo significa semplicemente cessare di essere cattolico; il che solleva interrogativi sull'appartenenza di Grillo alla Chiesa. Le stesse domande possono in effetti essere sollevate in ordine ad altri importanti sostenitori di errori sul matrimonio e sulla famiglia.

Egli continua:

Dal punto di vista sistematico, però, è interessante vedere quali argomenti si utilizzano per giustificare questa negazione. Colpisce molto il fatto che si dica [nel Rituale Romanum ] che è Dio che unisce gli sposi e non l'uomo. In questo modo lo scontro tra Chiesa e Stato si sposta sul piano teologico: la Chiesa custodisce il primato di Dio, mentre lo Stato tenta di imporre il primato dell'uomo.

L'incoerenza qui è quasi ridicola. Tutti i teologi “tridentini” insegnano che il libero, non forzato, mutuo consenso degli sposi è una vera e propria causa efficiente del matrimonio, tanto che senza di esso il matrimonio non può esistere affatto. Tuttavia, Dio, Signore della creazione e creatore della natura umana, è certamente il primo autore e causa del matrimonio in quanto tale e di ogni matrimonio in particolare; motivo per cui Lui, e la Chiesa a Suo nome, sono i soli competenti a stabilire o iterare le leggi morali che lo governano. In parole povere, è un'assurdità teologica dire che l'uomo, esclusivo di Dio o ugualmente con Dio, realizza il matrimonio. Leone XIII condannò espressamente questa posizione nella sua enciclica Arcanum. «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Come lo formulò San Tommaso d'Aquino, che anticipa finemente il Concilio di Trento:

La stessa causa prima produce e muove la causa che agisce secondariamente e così diventa la causa del suo agire. L'attività per cui la causa seconda provoca un effetto è causata dalla prima causa, perché la prima causa aiuta la causa seconda, facendola agire. Perciò la causa prima è più causa che la causa seconda di quell'attività in virtù della quale un effetto è prodotto dalla causa seconda ( In Liber de Causis , I).

Ora Grillo arriva al punto cui mirava:

Lo stesso avviene qualche decennio dopo, ai primi del Novecento, sul piano della generazione: è Dio che fa nascere i bambini, non l’uomo, perciò ogni metodo anticoncezionale è negazione di Dio e affermazione dell’egoismo umano. Questo modo di argomentare non si trova mai nella tradizione precedente ed è il frutto di una pressione culturale e contingente in cui la Chiesa cattolica perde la ricchezza della tradizione. Se c’è una cosa chiara nella tradizione precedente è che le logiche di unione e di generazione non sono mai né del tutto divine né del tutto umane.
 
Ah, grazie per aver espresso la tua opinione in modo così completo! Casti Connubii di Pio XI (perché sicuramente questa è l'enciclica del 1930 a cui si riferisce, con la sua condanna tonante della contraccezione) giustamente attribuisce a Dio la causalità primaria della nuova vita umana; Egli è l'autore dell'anima umana, mentre i genitori apportano la materia che diventerà il corpo umano al momento della fecondazione. I genitori sono le vere cause della loro progenie, ma Dio è più pienamente e più in definitiva la causa, in quanto non solo la causa di tutto l'essere, ma la causa esclusiva dell'anima intellettuale immortale che fa dell'uomo l'uomo.

Marito e moglie sono destinatari di questo dono e non devono mai desiderare o tentare di imporsi come padroni e possessori di esso, per fare ciò che vogliono con il potere della vita e con la vita stessa. Grillo lo nega, vedendo il controllo delle nascite non collegato all'egoismo ma presumibilmente a una libertà di razionalità sfrenata. Grillo insinua ancora una volta in modo infondato e gratuito che “la ricchezza della tradizione” include l'apertura al controllo delle nascite e che la condanna magistrale di esso è un “restringimento” della Tradizione.


Notare i notevoli parallelismi con la questione liturgica. Ce ne sono almeno due. In primo luogo, la riforma è stata governata dall'inizio alla fine da un razionalismo antropocentrico che ha privilegiato l'utilità comunitaria rispetto al culto divino, la libertà di scelta rispetto all'accoglienza della tradizione. In secondo luogo, come accennato in precedenza, un tema comune ai riformatori radicali era che il modo in cui la Chiesa aveva pregato per 500, 1.000 o anche 1.500 anni rappresentava una deviazione e una diluizione della più autentica Tradizione cristiana. Questo errore, condannato a più riprese da Pio VI, Gregorio XVI e Pio XII (che lo definì “falso archeologismo”), è un rilevante comune denominatore per i protestanti del Cinquecento, i giansenisti del Settecento e i liturgisti del Novecento.

L'ultima osservazione nella citazione di cui sopra - "le logiche di unione e generazione non sono mai completamente divine o completamente umane" - è il tipo di linea usa e getta che significa poco o niente. C'è qualche teologo rispettabile nell'intera Tradizione Cattolica che abbia mai sostenuto che l'unione coniugale o la generazione della prole è o esclusivamente opera di Dio, o esclusivamente dell'uomo? Eppure, proprio perché entrambi sono allo stesso tempo di Dio e dell'uomo — ma di Dio in primo luogo, e in secondo luogo dell'uomo e per partecipazione — l'uomo è indiscutibilmente nella posizione di un destinatario attivo, di colui che deve inserirsi in uno schema più ampio della natura, della vita, e della santità in cui è innestato e su cui non ha “voce in capitolo”.

Dopo una digressione su un anonimo teologo americano, Grillo arriva al suo paragrafo conclusivo, che commenteremo in tre segmenti.

Troviamo dunque una serie di posizioni ufficiali che costellano l’ultimo secolo e nelle quali la contraccezione o paternità/maternità responsabile viene spesso ricondotta a questi argomenti minori e fragili. Il punto di vista sistematico chiede nuova coerenza tra comprensione del fenomeno e risposta teologica. Per prendere questa strada è importante recuperare la grande tradizione su matrimonio e sessualità, che è stata molto più libera e audace di quanto pensiamo, se proviamo a leggerla senza gli occhiali del decreto Tametsi. In sostanza, si tratta di riconciliare in modo articolato i tre livelli che la teologia sistematica scolastica ha identificato nella generazione: essere generati per la natura, essere generati per la città e essere generati per la Chiesa sono tre esperienze che non si lasciano unificare in un sol punto.

Come coloro che argomentano contro la dottrina sociale cattolica di Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, Pio X, Pio XI e Pio XII (1826-1962), spazzandola via come una deviazione di 150 anni dalla “tradizione principale” di Etica cristiana, così anche Grillo vede l'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la sessualità (da, diciamo, Arcanum del 1880 a Familiaris Consortio del 1981) come una deviazione di circa 100 anni dalla “grande tradizione”. Le sue posizioni sono riconducibili al restringimento di prospettiva introdotto da Trento e a temi “minori e fragili” come i conflitti di potere tra Chiesa e Stato nell'epoca della secolarizzazione. Questa prospettiva conservatrice manca di coerenza tra fenomeno e teologia, cioè tra “realtà” e “idee” (per invocare un contrasto preferito di Francesco). Grillo sostiene l'interruzione del legame tra la generazione naturale, il ruolo della famiglia nel bene comune politico e la generazione di futuri figli di Dio all'interno del matrimonio sacramentale: Grillo non riesce a capire o travisa completamente il triplice cordone che è stato mantenuto ininterrotto da una tradizione cattolica. Egli continua:

Ed è curioso che, nella nota argomentazione con cui Paolo VI ha strutturato Humanae vitæ, la dimensione ecclesiale può trovare una piccola via d’uscita dal proprio imbarazzo solo nei “metodi naturali”, come se l’esperienza civile, con la sua creatività e la sua autonomia, fosse semplicemente una deriva sospetta e pericolosa del generare. Un modello di uomo naturalizzato e quindi privato di quelle caratteristiche di parola, di coscienza e di manualità che lo rendono unico, viene utilizzato per uscire dalla crisi. Ma anche qui, come ha sottolineato Peter Hünermann, una teologia del matrimonio semplificata implica una lettura dell’uomo troppo stilizzata e senza vera soggettività.

Stranamente, l'eroe omerico della riforma liturgica di Grillo, Paolo VI, è oggetto di critiche nell'area dell'etica sessuale. Apparentemente Paolo VI sentiva di dover sostenere l'argomento secondo cui bloccare in qualsiasi modo la generazione violava i diritti di Dio (e, del resto, della Chiesa e dello Stato), ma ha anche intuito che il controllo delle nascite ha un posto legittimo, quindi ha introdotto goffamente la Pianificazione Familiare Naturale come una fuga intelligente! Questa mossa suggerisce, per Grillo, che i papi - presumibilmente fino a Francesco, il suo eroe omerico ancor più grande - non riconoscessero l'"esperienza civile" con la sua "creatività e autonomia", linguaggio in codice per: uomini e donne maturi e moderni che, con il proprio libero giudizio e seguendo la propria coscienza autonoma, decidono autonomamente se desiderano o meno avere figli, e quanti, e quando, utilizzando qualunque metodo ritengano opportuno per sé stessi.

Qui la sfera naturale detta al soprannaturale, e la soggettività dell'uomo emana per sé regole oggettive, alle quali devono piegarsi sia la sfera civile che quella ecclesiastica. La razionalità dell'uomo ("parola, coscienza e azione") è equiparata a una padronanza cartesiano-baconiana sulla natura, addolcita da un tocco di naturalismo rousseauiano che prevale su una "lettura stilizzata dell'uomo [come essere] senza vera soggettività". Margaret Sanger, incontra Karl Rahner.

La posta in gioco nell'attuale discussione sulla contraccezione non è un cambiamento di dottrina, ma una migliore fedeltà al complesso rapporto che, nell'atto di generare, lega in un unico nodo l'azione di Dio e l'azione dell'uomo. Rispettare il nodo, più che tagliarlo o scioglierlo, è compito di questa fase della migliore teologia sistematica cattolica.

Nel suo stile deviante, Grillo ci dice infine che la riapertura della questione della contraccezione da parte della Pontificia Accademia per la Vita [qui e precedenti], una riapertura avallata da papa Francesco e destinata a portare a un capovolgimento morbido e sdolcinato dell'insegnamento di tutti i suoi predecessori, proprio come ha fatto con la pena di morte [qui - qui] "inammissibile" nel Catechismo e le volgari note a piè di pagina di Amoris laetitia capitolo 8, facendo fuori premesse fondamentali di Veritatis Splendor e Familiaris Consortio - dice "nessun cambiamento nella dottrina". Dio non voglia! Piuttosto, denota "una migliore fedeltà al complesso rapporto che, nell'atto di generare, lega l'azione di Dio e l'azione dell'uomo in un unico nodo".

Strano, non è vero, che proprio questo complesso rapporto che in passato il Magistero della Chiesa ha così profondamente sondato e così accuratamente formulato in quei 100 anni che Grillo abbia cancellato come una deviazione?
 
Ricorda la regola primaria dell'interpretazione dei progressisti: ciò che dicono è l'opposto della verità e di ciò che pensano. Quando Grillo dice: “Vogliamo recuperare il rapporto complesso tra Dio e l'uomo nella generazione”, intende: vogliamo esaltare la libera scelta dell'uomo indipendentemente dalla legge divina e dall'insegnamento tradizionale. Quando dice: "Vogliamo recuperare una tradizione più ricca", intende: vogliamo ignorare la maggior parte della tradizione e sceglierne alcuni pezzi che poi distorceremo e innoveremo. Quando dice: "Non ci sarà alcun cambiamento nella dottrina", intende: la dottrina deve cambiare radicalmente e la conseguente perdita di coerenza e credibilità non è un problema, perché libererà i cristiani da forme di credenza antiquate e da norme di azione incatenate. La modernità ha la meglio su tutta la tradizione; è la nuova tradizione attraverso la quale tutto il resto va rivisto e rielaborato.

Ora, ricordate quanto dicevo all'inizio: Grillo è l'architetto intellettuale, o almeno il portavoce più in vista, della soppressione del Summorum Pontificum e della politica di anti-sovrappopolamento della Traditionis Custodes. È giunto il momento per noi di abbandonare l'ingenuità di trattare questioni liturgiche, dogmatiche e morali come il contenuto di compartimenti separati ermeticamente sigillati. Le falsità che hanno guidato la rivolta dogmatica dei modernisti e gli sconvolgimenti liturgici di ieri sono geneticamente legate alle falsità che guidano la rivoluzione morale di oggi.






[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]