lunedì 31 maggio 2021

Benedizioni gay e Vetus Ordo: doppiopesismo in Vaticano





Il Vaticano permette la benedizione Lgbt mentre limita la Messa in latino. In questa prassi c’è molta politica che prostituisce un sacramento evirandone un altro. Si favoriscono così coloro che fanno propaganda, discriminando gli umili. Si usa misericordia nel primo caso, mentre nel secondo estremo rigore. Infine, si legittima la sodomia e si delegittima l’Eucarestia senza troppe contestazioni. Ma sia nel primo sia nel secondo caso il cuore di Cristo sanguina.





PRASSI RIVOLUZIONARIE
EDITORIALI
Tommaso Scandroglio, 31-05-2021

Proviamo a mettere a confronto il fenomeno interno alla Chiesa tedesca delle benedizioni delle coppie gay e la probabile decisione della Santa Sede di dare una stretta alla facoltà di celebrare secondo il Vetus Ordo.

Nel primo caso si prostituisce una sacramentale, nel secondo caso si evira un sacramento, ossia nel primo caso si abusa di un sacramentale e nel secondo caso si impedisce una partecipazione al sacramento nella sua forma più piena. Nel primo caso abbiamo un nutrito gruppo di fedeli e sacerdoti che agiscono in netto contrasto con il giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede, ma nonostante questo Roma sembra addirittura approvare dato che ha trovato l’escamotage, indicato dal preside dell’Istituto Giovanni Paolo II, di benedire le coppie a rate: prima un membro della coppia poi l’altro. Nel secondo caso abbiamo un nutrito gruppo di fedeli e sacerdoti che agiscono secondo quanto disposto dal Motu proprio di Benedetto XVI, ma nonostante questo si vuole impedire a loro una scelta legittima. E dunque nel primo caso si benedice la disobbedienza, nel secondo caso si maledice l’obbedienza.

Nel primo caso si invoca la misericordia, nel secondo caso le si impedisce addirittura di presentarsi. Nel primo caso ci si apre al nuovo, nel secondo si chiudono i conti con il passato. Nel primo caso si difendono attori che hanno agito in modo chiassoso, provocatorio, rissoso, rabbioso e volgare. Nel secondo caso si attaccano soggetti che hanno sempre agito in modo silenzioso, mite, pacifico e nobile. Nel primo caso laici e sacerdoti coinvolti si sono vantati del loro atteggiamento rivoluzionario e scismatico nei confronti della Chiesa. Nel secondo caso laici e sacerdoti si sono sentiti sempre intimamente consolati dal fatto che agivano nel solco tracciato e indicato dalla Chiesa.

Ma tra benedizioni di coppie gay e la decisione di riporre nell’armadio della sagrestia la Messa in latino vi sono anche elementi di continuità. Sia nel primo sia nel secondo caso la lettera della legge – la Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede e il Motu proprio ­– deve lasciare spazio ad un imprecisato spirito del Vangelo che è contro gretti rigorismi e pignolerie liturgiche e dottrinali. Sia nel primo sia nel secondo caso, comunque, è bene far guerra alla stessa lettera della legge, vera spina nel fianco del pontificato attuale, e il modo migliore per farlo è sostituire chi scrive le leggi: ecco il cambio radicale dei responsabili nelle posizioni apicali, tra cui, da ultimo, è da segnalarsi la nomina di Mons. Roche alla Congregazione per il culto divino (il cardinal Ladaria dovrà dar prova di equilibrismi politici raffinati se vuole rimanere a capo della Congregazione per la dottrina della Fede).

Sia nel primo sia nel secondo caso la continuità della Tradizione deve essere spezzata a favore del progresso, volto del nuovo sentire che in realtà è specchio fedele delle eresie di sempre. Sia nel primo sia secondo caso la decisione di Roma si incardina su valutazioni di carattere politico – mascherate da decisioni di carattere pastorale – non su valutazioni di carattere morale e teologico, cioè dottrinali, perché l’importante è arrivare alla meta: legittimare l’omosessualità, delegittimare l’Eucarestia senza creare troppe contestazioni sia in un caso che nell’altro.

Sia nel primo sia nel secondo caso il cuore di Cristo sanguina di dolore.












domenica 30 maggio 2021

La galassia Summorum Pontificum si prepara ancora una volta alla resistenza





Riprendiamo da MiL la traduzione della lettera n. 799 di Paix Liturgique, pubblicata lo scorso 28 maggio.




La galassia Summorum Pontificum si prepara ancora una volta alla resistenza



Le disposizioni del motu proprio Summorum Pontificum erano disposizioni di pace. Totalmente atipico dal punto di vista della legislazione liturgica, il Summorum Pontificum rispondeva efficacemente a una situazione anch’essa atipica: organizzava un modus vivendi tra la liturgia antica e la liturgia nuova, riconoscendo a tutti i sacerdoti latini il diritto al ritus antiquior, definendo altresì le condizioni della sua attuazione pubblica. Era volto a pacificare liturgicamente una Chiesa che sprofondava sempre più nella crisi.

Ma ecco che il diritto finalmente riconosciuto sembra insopportabile agli uomini al potere dal 2013. Tra loro, sta prevalendo la tesi che il testo dovrebbe essere se non del tutto abrogato, perlomeno disarticolato, come si dice, per perdere l’essenziale del suo significato. Secondo loro, la messa anteriore al Vaticano II non può godere che, al massimo, di una tolleranza debitamente circoscritta.

La loro forma mentale ideologica fa sì che essi prendano a cuor leggero, per evocare le parole con cui Émile Olivier lanciò la Francia nella guerra del 1870 (con le note conseguenze), la responsabilità della ripresa delle ostilità liturgiche. Rischiamo fortemente di ritrovarci, a causa loro, in una situazione simile a quella degli anni del post-Concilio, ma in condizioni peggiori per l’istituzione ecclesiale.


Celebrare la messa tridentina: un diritto acquisito


Bisogna avere chiara consapevolezza che è proprio sotto la pressione di una contestazione che non ha potuto essere soffocata, che il legislatore romano è giunto, a tappe (nel 1984 con Quattuor abhinc annos, nel 1988 con Ecclesia Dei adflicta, nel 2007 con Summorum Pontificum), a interpretare la promulgazione del messale del 1969 come non obbligatoria.

Infatti, in Francia, ma anche ovunque nel mondo, alcuni parroci avevano continuato imperturbabili a celebrare la messa tridentina. Nello stesso tempo, erano state organizzate, in molti luoghi, delle cappelle “selvagge”, mentre le sanzioni prese da alcuni vescovi non facevano altro che incentivare la diffusione di tali celebrazioni. Esse presero ancor più consistenza allorché alcuni giovani preti, formati e ordinati da Mons. Lefebvre, iniziarono ad esercitare il loro ministero sacerdotale, sia in Case indipendenti fondate appunto per accoglierli, sia in luoghi adattati al culto, spesso in modo sommario, in città o in campagna.

La sospensione a divinis di Mons. Lefebvre, nel 1976, diede poi alla sua iniziativa una grandissima pubblicità. Quell’evento fu seguito da un altro: la pacifica occupazione della chiesa di Saint-Nicolas-du-Chardonnet, a Parigi, da parte di mons. Ducaud-Bourget e dei suoi fedeli, che vi entrarono una certa domenica e vi si trovano tuttora. Similmente, 10 anni più tardi, vicino a Versailles, i parrocchiani della messa tradizionale di Saint-Louis di Port-Marly, che erano stati cacciati dalla loro chiesa, di cui a tal fine si erano dovute murare le porte, le sfondarono semplicemente per insediarsi di nuovo in loco. Non ne sono mai usciti.

Uno storico sondaggio dell’IFOP (Institut français d'opinion publique), pubblicato nel 1976 da Le Progrès, quotidiano di Lione, dimostrò che il 48% dei cattolici praticanti riteneva che la Chiesa fosse andata troppo oltre con le riforme, e che il 35% restava favorevole alla messa in latino. I sondaggi successivi, realizzati più tardi e sino ad oggi in Francia e nel mondo da Paix Liturgique, evidenziano una decisa tendenza: la richiesta della celebrazione della messa tradizionale nelle parrocchie da parte di un segmento notevole, talora maggioritario, dei fedeli praticanti.

In seguito, da una parte il clima psicologico favorevole creato dal motu proprio di Benedetto XVI, e, dall’altra, la crescita continua degli Istituti specializzati nella liturgia tradizionale - la Fraternità San Pio X e gli Istituti Ecclesia Dei fondati a partire dal 1988 - hanno fatto si che il numero dei luoghi in cui si celebra la messa tradizionale non ha smesso di aumentare in tutto il mondo. Dal 2007 al 2017, per esempio, questo numero è semplicemente raddoppiato (in Italia l’incremento è stato assai maggiore - NdT).

Vi è un paradosso rilevato dai sociologi della religione, come, in Francia, Danièle Hervieu-Léger: il movimento tradizionale si è contrapposto alla corrente conciliare mediante un processo dalle apparenze “moderne”, rivoltandosi contro l’autorità. La reazione tradizionale ha alcune delle caratteristiche di ciò che oggi viene chiamato “populismo”, che contesta la legittimità delle “élites” perché esse adottano posizioni neoteriche elaborate nella loro bolla “elitaria”. Altro paradosso: il movimento tradizionale si basa, sin dalle origini, sull’azione dei laici (che sostengono e, addirittura, “generano” sacerdoti, tramite gli istituti specializzati), che rifiutano le consegne del Vaticano II, che pure dovrebbe “promuovere il laicato”. Si può anche aggiungere che, avendo la Chiesa romana, con il Vaticano II, cessato di essere tridentina, il tridentinismo - benché per natura gerarchico - è fatto proprio da un popolo di base. In realtà, diremo, teologicamente e non più sociologicamente, che si tratta di una manifestazione stupefacente e provvidenziale del sensus fidelium, dell’istinto di fede dei fedeli, che difendono con le unghie e coi denti l’espressione, mediante la lex orandi, della dottrina del sacrificio eucaristico, della presenza reale, del sacerdozio gerarchico, e, più globalmente, la trascendenza del mistero del “Fate questo in memoria di me”.


Una capacità incontenibile di resistenza


Davanti al pericolo che si profila oggi, dunque, si può tentare di misurare le forze in campo, attraverso la situazione francese, che non è certo quella della Chiesa universale, ma che offre sempre delle ottime indicazioni in proposito.

La Chiesa “ufficiale” non ha più nulla a che vedere con il solido apparato che essa costitutiva nei primi decenni del dopo-Concilio. E’ esangue dal punto di vista del numero dei sacerdoti e dei religiosi. I seminaristi e gli stessi seminari non cessano di diminuire. I fedeli praticanti, sempre più vecchi, sono sempre più distanziati nella navate delle chiese, senza aver bisogno di “misure sanitarie” per farlo. Tutto ciò si accompagna, logicamente, ad una situazione finanziaria catastrofica in non poche diocesi. Al che si aggiungono le conseguenze della cosiddetta “crisi sanitaria”, che ha fatto scomparire almeno il 30% dei parrocchiani che ancora resistevano. Le abitudini storiche, lente a svanire, fan sì che si consideri ancora il cattolicesimo come una componente essenziale della società. Ma la realtà sta apparendo in tutta la sua nudità: il cattolicesimo è praticamente scomparso dalla sfera pubblica.

Il mondo tradizionale, invece, rappresenta una “eccezione” nella Chiesa, soprattutto dal punto di vista delle vocazioni sacerdotali e religiose, simile al mondo precedente al 1965. Molti giovani, che non hanno conosciuto nulla delle dispute conciliari, si volgono oggi spontaneamente verso di lui. Le assise domenicali sono affollate e l’età media è assai poco alta. Nella galassia tradizionale le cose, sia quanto alla vita liturgica, sia quanto alla “fecondità” vocazionale, vanno come se il Vaticano II non ci fosse stato. L’insegnamento catechistico all’antica, ben strutturato, e un’importante rete scolastica assicurano una buona trasmissione della fede, della pratica e delle abitudini della vita cristiana. In più, le sue frontiere sono permeabili da un mondo “classico” (comunità Saint-Martin, Emmanuel, ecc.), la cui vitalità si spiega in parte per una “differenza” rispetto alle tendenze ufficiali, che si ispira, più o meno, ancorché in misura minore, a quelle della resistenza tradizionale.

Ovviamente, il successo ha i suoi costi: il rinnovamento generazionale è certamente assicurato, ma in un mondo estremamente secolarizzato, non si ottiene senza perdite; e, rispetto alla situazione necessariamente assai militante degli anni del dopo-Concilio, il mondo tradizionale può talora apparire più seduto di quanto non fosse un tempo. Tuttavia, risulta che iniziative desinate a far pressione per mantenere le situazioni acquisite e per ottenere miglioramenti possono organizzarsi senza difficoltà, in quanto le reti sociali costituiscono, qui come altrove, un supporto considerevole per l’emersione di una galassia “non convenzionale”.

A parità di altre condizioni, un’esplosione di malcontento sul tipo dei “gilet gialli” potrebbe oggi aver luogo in ogni momento nella Chiesa. Con questo grande vantaggio: che in ambito cattolico, per il popolo cristiano la dottrina e la pratica sono incentrate sulla celebrazione della messa domenicale. Ora, perché essa sia celebrata è sufficiente che un sacerdote la dica e che dei fedeli vi partecipino, senza che, in fin dei conti, nessuno possa mai impedirlo loro. E’ quello che era successo a partire dal 1965 e, soprattutto, dal 1969: alcune messe tridentine avevano continuato ad essere celebrate come se niente fosse. Minacce, opposizioni, addirittura persecuzioni hanno potuto susseguirsi, ma non se ne è fatto niente: sacerdoti e fedeli hanno continuato “a fare ciò che la Chiesa aveva sempre fatto”, come amava dire Mons. Lefebvre.

Un fatto recente molto istruttivo è questo: dato che i vescovi, in Francia e altrove, hanno stupidamente proiettato sulla comunione eucaristica le “misure sanitarie” imposte dai governi, proibendo la comunione sulle labbra, un certo numero di fedeli, rispettosi del sacramento, ha abbandonato le chiese “ordinarie” per andare a ricevere degnamente la Santa Eucarestia nelle celebrazioni tradizionali. Si scopre, così, che, a partire dalla “crisi sanitaria”, il numero di fedeli che assistono alle messe tradizionali è notevolmente aumentato nella maggior parte dei luoghi!


Un utile promemoria

Conosciamo la frase di S. Girolamo, che diceva che nel IV secolo “il mondo intero, gemendo, stupì di ritrovarsi ariano”, dato che la gerarchia era ampiamente passata all’eresia; tuttavia, numerosi fedeli restavano ugualmente attaccati alla dottrina cristologica di Nicea. Non abbiamo visto, non vediamo una situazione analoga ripetersi anche oggi? Questa capacità di resistere, di mantenere le posizioni, di per sé incontenibile, non escluderà, peraltro, manifestazioni e iniziative possenti, che vengono già previste in varie parti del mondo.








Lo sai che se mediti sulla Trinità puoi capire un grave errore dei nostri tempi?







29 MAGGIO 2021


di Corrado Gnerre

Perché siamo alla Festa della Santissima Trinità, offriamo ai nostri lettori alcune riflessioni su questo importantissimo Mistero, riflessioni che ovviamente possono essere utili da un punto di vista apologetico.




Un grande insegnamento sull’amore vero


Il mistero della Trinità esprime chiaramente quanto l’amore debba essere giudicato dalla verità. Vediamo in che senso.

La Trinità è costituita dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Non si dice: dallo Spirito Santo, dal Figlio e dal Padre o dal Figlio, dal Padre e dallo Spirito Santo, ma: dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Il tutto in una successione logica ma non cronologica. Ciò vuol dire che senza il Figlio non ci sarebbe lo Spirito Santo e senza il Padre non ci sarebbe il Figlio. Ma –e anche questo lo abbiamo detto- non è che il Padre abbia creato il Figlio e il Figlio abbia creato lo Spirito Santo. Perché, se così fosse, il Figlio e lo Spirito Santo sarebbero delle creature e ciò non è.

Dunque una successione logica ma non nel tempo (cronologica). Il Cristianesimo ortodosso (quello dei Russi, dei Serbi, dei Greci, per intenderci) è lontano dal Cattolicesimo non solo perché non riconosce il Primato del Vescovo di Roma (il Papa), ma anche perché, a proposito della Trinità, non riconosce la dottrina cosiddetta del Filioque, cioè che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio. Lo Spirito Santo –secondo gli ortodossi- procederebbe solo dal Padre.

Questione di lana caprina, direbbe qualcuno. Inutili pignolerie, direbbero altri. E invece no, la questione è importante, per non dire importantissima.

Didatticamente si attribuisce al Padre l’azione della creazione, al Figlio quella della redenzione, allo Spirito Santo quella della santificazione. Questo non vuol dire che nel momento della creazione il Padre agiva e il Figlio e lo Spirito Santo non partecipavano, oppure nella redenzione il Figlio agiva e il Padre e lo Spirito Santo erano assenti… Nella creazione ha agito tanto il Padre, quanto il Figlio, quanto lo Spirito Santo e così nella redenzione…ma metodologicamente si dice così: il Padre crea, il Figlio redime, lo Spirito Santo santifica.

Il Figlio è chiamato anche Verbo (Parola) per indicare il fatto che è il Dio che si manifesta, che si comunica. Il Figlio è anche il Logos, la Verità, mentre lo Spirito Santo è l’Amore. Ed ecco il punto nodale. Già in Dio è pienamente rispettata la processione logica verità-amore. L’amore deve essere sempre giudicato dalla verità, altrimenti può diventare anche la cosa più terribile.

Facciamo un esempio. Un padre di figli lascia la famiglia perché “s’innamora” di un’altra donna, fa bene? Oggi molti risponderebbero di sì e direbbero: se lo ha fatto per amore… Due uomini o due donne s’innamorano e decidono di vivere insieme, fanno bene? Se lo fanno per amore … Ma questo è il punto. L’amore se non è giudicato dalla verità diventa il contrario di sé. Facciamo un altro esempio. Perché Hitler e i suoi decisero di perseguitare gli Ebrei? La risposta può sembrare paradossale ma non lo è: per troppo “amore” nei confronti della razza ariana. Perché Stalin decise di sterminare milioni e milioni di piccoli proprietari? Per troppo “amore” nei confronti dello Stato socialista. Perché Robespierre decise di tagliare teste su teste? Per troppo “amore” nei confronti della Rivoluzione che sentiva minacciata. Ecco cos’è l’amore sganciato dalla verità!

Se si riflette bene, questo è uno degli errori più tipici dei nostri tempi. C’è chi si lamenta che oggi c’è poco amore. No, non è così, oggi ciò che manca non è l’amore, ma la consapevolezza della Verità, che è un’altra cosa! Oggi ciò che manca è la convinzione che l’amore –perché sia vero- deve essere giudicato dalla verità.

Bisognerebbe ritornare a meditare sulla natura di Dio per capire come già nella Sua intima natura è presente questa verità, e cioè che l’amore è vero se è conforme al Vero. Solo così si potrà anche capire perché mai la Chiesa Cattolica ha sempre tenuto fermo sul punto del Filioque.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri









sabato 29 maggio 2021

LA STRETTA SUL VETUS ORDO. Messa antica, l'assist del Papa a estremisti e lefebvriani





Si intensificano le voci di un ridimensionamento del Summorum Pontificum del Papa, ma a chi gioverebbe? A estremisti di entrambi gli schieramenti, al clericalismo episcopale e ai lefebvriani, che diventerebbero gli unici detentori della tradizione e che hanno sempre osteggiato il motu proprio di Benedetto XVI sulla Messa in latino. Che però in 14 anni ha avuto un merito: mostrare che la tradizione è un diritto e può vivere in equilibrio dentro la Chiesa.




EDITORIALI
Andrea Zambrano, 29-05-2021

Se davvero Papa Francesco dovesse procedere con una revisione del Summorum Pontificum, vincolando ad un via libera episcopale la celebrazione della Messa in forma straordinaria, a chi gioverebbe questa restrizione?

La domanda va posta per rendersi conto che i destinatari di un provvedimento del genere, che sarebbe clamoroso dato che Bergoglio andrebbe a manomettere un motu proprio del suo predecessore ancora in vita, non sono, come superficialmente è stato detto i cosiddetti lefebvriani. Anzi, i lefebvriani avrebbero tutto da guadagnare da uno stop alla liberalizzazione del motu proprio che sdogana la cosiddetta Messa in latino. A Econe non hanno mai digerito il Summorum Pontificum e la codificazione fatta da Benedetto XVI dell’esistenza di un unico rito, diviso tra forma ordinaria e forma straordinaria. Per la Fraternità San Pio X questa è una distinzione che non si può porre: le due Messe sono sostanzialmente due riti diversi. Per cui, questa ventilata svolta di Francesco non può che farli contenti perché diventerebbero gli unici custodi della tradizione.

Questo Bergoglio lo sa e per certi versi lo asseconda dato che nella mens del pontefice argentino, il cosiddetto tradizionalismo fa rima con rigidismo. Ma lo tollera, così come si tollerano gli eccessi scismatici delle diocesi ormai protestantizzate tedesche, il culto "cattolicizzato" delle Pachamame e dei suoi derivati nelle regioni amazzoniche e così come si tollera la situazione cinese di una Chiesa ormai di Stato accettata.

La tradizione, sprezzantemente trattata come tradizionalismo, è un eccesso, un’iperbole, un retaggio del passato da relegare in un recinto “protetto”, controllato e limitato. Conviene a Bergoglio e conviene ai discepoli di Econe. Per semplificare un po’ grossolanamente utilizzando categorie politiche: con un intervento restrittivo ai danni del Summorum Pontificum, Bergoglio farebbe ideologicamente contenta la parte sinistra della Chiesa, ma da un punto di vista pratico favorirebbe l’“estrema destra” perché i lefevbriani non hanno mai digerito lo sdoganamento della Messa in latino perché dentro il Summorum Pontificum è contenuta anche la forma ordinaria, la tanto osteggiata Messa di San Paolo VI, che nel loro schema si contrappone alla messa tridentina. E questo non lo accetteranno mai.

Per certi versi, ai lefebvriani il pontificato di Bergoglio fa comodo perché non li ha mai messi in difficoltà come invece accadde con Benedetto XVI e nei loro piani questa temuta limitazione del motu proprio non farebbe altro che portare nuovi fedeli a Econe, che è il loro vero scopo.

Mentre il Summorum pontificum di Papa Ratzinger, pur con tutti i suoi limiti, ha sancito un nuovo equilibrio mostrando chiaramente che è possibile vivere il diritto alla forma tradizionale dentro i canoni della Chiesa cattolica, senza viverla in contraddizione con la Messa novus ordo ma in una – seppur difficile – ottica di arricchimento reciproco. Monsignor Marcel Lefebvre ha il merito storico di aver custodito il seme, guareschianamente parlando, della tradizione. Ma dopo la piena, quel seme andava riseminato nel campo e il campo, sempre guareschianamente parlando, era lo stesso di prima. Il motu proprio ha fatto questo e ha consentito questa semina.

Ma soprattutto ha fatto fiorire nelle parrocchie gruppi di fedeli perfettamente a loro agio con la forma antica della Messa, ma per nulla inclini a cedere sull’efficacia della nuova, in una primavera di vocazioni, interessi, riscoperte e frutti spirituali che solo chi non vuole riconoscere la freschezza dei gruppi stabili, frequentati per lo più da fedeli con età media sui 40 anni, attivi e impegnati nella Chiesa, non può capire. Fedeli che frequentano la Messa di sempre, che ha alimentato la fede millenaria ma che non soffrono il complesso di sentirsi tacciati di essere dei fuoriusciti.

Se il documento di limitazione della Messa antica di cui si parla insistentemente in ambienti vicini al coetus fidelium dei gruppi stabili e confermato via via da sempre più fonti di stampa è in divenire, Francesco andrà a riconsegnare ai lefebvriani il contenitore della tradizione, ricacciando la Messa in latino nei ghetti e costringendo così migliaia di fedeli in comunione con Roma di fronte a una dolorosa e assurda scelta. Non è un caso che siti vicini alla Fraternità San Pio X come Radio Spada abbiano accolto con sufficienza e soddisfazione le indiscrezioni confermando quello che per loro è l'equivoco del motu proprio dove la tradizione è tollerata in un recinto, ma non regna. Questione di prospettive, perché il recinto che rischia di prospettarsi per la tradizione potrebbe essere ancora più stretto.

A margine di questa operazione, fiorisce il clericalismo e il centralismo dei vescovi, specie quelli italiani, che a quanto pare sono spalleggiati dalla Segreteria di Stato a guida italiana per conservare un lacerto di potere che il motu proprio gli aveva ridimensionato per favorire la libertas orandi fidelium. Fedeli, che stavolta però, come preannunciato, non staranno inermi ad assistere alla privazione di un bene appena scoperto e a farsi bullizzare di volta in volta dai vescovi per pregare, ma si faranno sentire.

Toccando il motu proprio, si accontenteranno gli estremi, da una parte o dall'altra, dalle spinte scismatiche o dalla comunione imperfetta poco importa e i clericalismi di ogni sorta, ma non i semplici fedeli che vogliono vivere e promuovere la tradizione dentro un cammino ecclesiale, anche se accidentato e imperfetto.










giovedì 27 maggio 2021

Messa in latino, la stretta del Papa: proteste in arrivo





In Germania si sta consumando uno scisma, ma in Vaticano ci si scaglia contro la Messa in latino. Voci di una revisione restrittiva del Summorum Pontificum sono filtrate dall'assemblea Cei dopo le parole del Papa. Dalla Francia arrivano conferme. Sarebbe uno schiaffo a Benedetto XVI che ha voluto il motu proprio, ma dietro si cela un braccio di ferro tra Dottrina della Fede e Segreteria di Stato. Fedeli dei gruppi stabili pronti a scendere a Roma per una protesta che sarebbe clamorosa.




ECCLESIA
Andrea Zambrano, 27-05-2021

Mentre in Germania metà della Chiesa cattolica si “accoda” ai venti scismatici filo protestanti nel silenzio di Roma, gli strali del Vaticano si stanno orientando sulla Messa in Latino. Contro i cosiddetti cattolici rigidi, quelli, per dirla con Papa Francesco alla Cei il 24 maggio scorso, che vengono accolti nei seminari e dai quali bisogna stare in guardia.

Prende corpo l’indiscrezione di questi giorni su una revisione in senso restrittivo del Summorum Pontificum, il motu proprio di Benedetto XVI che nel 2007 ha liberalizzato la cosiddetta Messa tridentina e codificato la forma straordinaria dell’unico rito romano. La notizia, pubblicata in esclusiva dal sito specializzato Messa in Latino, trova conferme anche sulla sponda francese dove il sito Paix Liturgique ha riferito ulteriori dettagli circa l’incontro tra il Papa e alcuni vescovi italiani a margine dell’assemblea Cei di lunedì scorso.

Secondo MIL, che ha citato fonti all’interno della Cei, il Papa avrebbe preannunciato ai vescovi l’imminente riforma peggiorativa del Motu proprio. Che cosa, in particolare? Le informazioni ancora frammentarie non consentono conferme ufficiali, ma sembra che si voglia ritornare alla situazione precedente il Motu proprio, quella regolata dall’indulto del 1984 che concedeva la Messa in latino previo consenso del vescovo diocesano.

La grandezza del Motu proprio è stata proprio quella di liberare l’antica Messa di sempre dal ghetto in cui era stata relegata dopo il Vaticano II e dal possesso quasi esclusivo dei cosiddetti lefebvriani. Un ormai diffuso pregiudizio, vuole che il Motu proprio sia stato scritto da Benedetto XVI proprio per andare incontro alla comunità fondata a Econe dal vescovo francese. In realtà, il Summorum Pontificum non è stato mai considerato dai lefebvriani, dato che codifica l’esistenza di un unico rito, in due forme, ordinaria e straordinaria, ma è andato a vantaggio di centinaia di migliaia di fedeli, che si sono organizzati in forma di gruppo stabile e celebrano regolarmente nel mondo con frutti spirituali sotto gli occhi di tutti e vocazioni crescenti.

Oggi, a quasi 14 anni dal Summorum Pontificum, i fedeli che frequentano la Messa in latino pur non rifiutando la forma ordinaria sono tanti, e tanti sono i preti che celebrandola ne hanno tratto un beneficio spirituale e pastorale anche mentre celebrano la Messa in novus ordo, grazie ad una consapevolezza diversa. Questo deve dare fastidio al nuovo corso Vaticano, ecco il perché del riferimento alla rigidità di certi seminaristi. Una rigidità che, guarda caso, è sempre liturgica e mai teologica o psicologica.

Così come deve dar fastidio il fatto che la leggenda nera che i seguaci della Messa antica fossero in realtà dei nostalgici non trova gambe per camminare: i fedeli che sono sensibili alla forma straordinaria sono giovani, nati nel post Concilio e per nulla attratti da una sorta di vintagerie liturgica. Hanno semplicemente scoperto un tesoro e vogliono continuare a coltivarlo: la Messa di sempre.

Secondo MIL, in Vaticano starebbero già lavorando alla terza bozza di riforma di un documento che il Papa sarebbe pronto a firmare, ma che sarebbe clamoroso perché sconfesserebbe, correggendolo e limitandolo, un documento di un pontefice ancora vivente. Ecco perché in molti pensano che una revisione del SP costituirebbe prima di tutto uno schiaffo a Benedetto XVI, il quale, promulgandolo, si augurava invece una contaminazione positiva tra le due forme.

Anche Paix Liturgique ha circoscritto le circostanze in cui il Papa ne avrebbe parlato. “Poi, una volta che i giornalisti hanno lasciato la sala del dibattito - si legge sul sito nella traduzione di MIL-, il Papa ha affrontato un tema che accomuna molti vescovi della Penisola: l'esecuzione del Summorum Pontificum. Francesco ha confermato la prossima pubblicazione di un documento che è stato sollecitato a scrivere, destinato a "reinterpretare" il Motu proprio di Benedetto XVI. La pubblicazione è stata effettivamente ritardata, in quanto il documento sembra aver provocato obiezioni e intoppi, soprattutto da parte del cardinale Ladaria e della Congregazione per la Dottrina della Fede, che sostenevano che avrebbe provocato disordini e opposizioni incontrollabili in tutto il mondo. Nonostante ciò, la Segreteria di Stato starebbe spingendo per il rilascio del testo, le cui disposizioni essenziali sarebbero le seguenti:
- le comunità che celebrano secondo la forma antica potrebbero continuare a farlo;
- per contro, i sacerdoti diocesani dovrebbero ottenere un permesso specifico.

È ovvio che questo documento, inapplicabile in molti paesi tra cui la Francia, avrà soprattutto un significato simbolico: rendere la celebrazione della messa tradizionale non più un diritto, ma un'eccezione tollerata”.

Si profila dunque uno scontro tra Congregazione per la Dottrina della fede, consapevole che una revisione del Motu proprio rappresenterebbe una ferita con migliaia di fedeli e la Segreteria di Stato.

Non è un caso che proprio la Francia sia uno dei Paesi più contrariati da questa rivoluzione, dato che la forma straordinaria si è diffusa tantissimo oltralpe così come negli Stati Uniti dove si è assistito ad una vera e propria rinascita spirituale e liturgica.

Ed è proprio dalla Francia che – stando a quanto la Bussola ha potuto appurare -, si stanno muovendo le reazioni più organizzate che puntano anche a scendere a Roma con una manifestazione sotto forma di filiale appello a salvare il Motu proprio che sarebbe anch’essa clamorosa. Migliaia di fedeli chiamati a raccolta per salvare l’antica Messa e opporsi ad una sua limitazione. Sarebbe dirompente, ma anche pericoloso per il Vaticano che, mentre in Germania si sta consumando uno scisma sotto gli occhi di tutti, si accanirebbe contro migliaia di fedeli senza alcunché da rimproverare loro, ma limitandoli nella loro sensibilità e privandoli di un diritto.

Sarebbe una forma di strabismo incomprensibile per una larghissima fetta di Chiesa sprezzantemente definita rigida o tradizionalista, ma che si sta allargando fino a comprendere fedeli che fino a pochi anni fa non avrebbero mai scommesso un centesimo sulla Messa antica e oggi ne sono attratti positivamente.









martedì 25 maggio 2021

La croce, il libro, l’aratro








MONACHESIMO


L’ultimo giorno del pellegrinaggio Gesù, ritto in piedi, avanzò tra la folla dei pellegrini e gridò loro a voce alta: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva” [Gv 7,37-38]. Gesù parlava dello Spirito Santo che dovevano ricevere quanti credevano in lui. Quest’acqua viva la si è vista sgorgare durante questo intero pellegrinaggio, nella vostra gioia che è manifesta malgrado la fatica, la pioggia, e tutte le prove che conoscete. Si tratta della gioia cristiana, una gioia che non è di questo mondo, che sgorga dalla croce e sale verso il Cielo; la gioia cristiana – come ci dice sant’Ambrogio – è la sobria ebrezza dello Spirito: ebrezza per la pienezza di vita spirituale che eleva le anime a Dio nella fede, la speranza e la carità; e sobrietà perché la gioia dello Spirito non è un’esaltazione entusiasta, ma il frutto del sacrificio.

San Benedetto ha coltivato questa sobria ebrezza dello spirito. Ha considerato tutta la misura dell’ostilità e del pericolo che rappresentava la decadenza della società romana, la quale si trovava in punto di morte in un’esplosione di risa. Egli ha saputo costruire un bastione entro il quale fu possibile vivere l’autentica gioia cristiana, una piccola città cristiana dove infine regnasse il Vangelo. Sono queste piccole città che hanno dato le radici cristiane all’Europa, e che hanno reso san Benedetto il patrono del nostro continente. 

Se vi affacciate all’interno di una clausura monastica potrete percepire il segreto di questa gioia che ha fecondato l’Europa di spirito cristiano: vedrete una croce, un libro e un aratro. Poiché la vita monastica costituisce il cuore della vita cristiana, mi permetto di proporveli come punti di riferimento e fonti di gioia, a voi tutti che siete battezzati. Anche voi, in questi ultimi bastioni che sono le famiglie e le scuole, potete fare scorrere – ancora e sempre – queste fonti d’acqua viva.

La prima fonte della gioia cristiana è la croce, la croce che si trova al centro dei nostri altari e delle nostre chiese. Essa ci richiama il primato assoluto del culto divino su ogni altra attività umana; è una protesta contro il materialismo esacerbato della nostra società che finisce per svuotare la vita del suo significato. Al contrario, la liturgia dà alla vita il suo pieno significato, il senso della trascendenza assoluta di Dio sulle creature e sugli uomini. Ecco perché san Benedetto ha voluto regolarne tutti i dettagli, affinché Dio sia glorificato in ogni cosa. D’altro canto, la liturgia in san Benedetto è soprattutto il grande mezzo per giungere all’unione intima dell’anima con Dio e alla vita eterna. Per questo fa ritornare instancabilmente i suoi monaci nell’oratorio. San Benedetto ha dato alla preghiera la parte migliore del tempo, il momento migliore della giornata: non ha avuto paura di “rifiutare” tutto questo tempo per piacere a Dio solo. Non abbiate paura di prendervi del tempo per la preghiera. Non vi lasciate rubare il tempo dal mondo. Fate come san Benedetto, stabilitevi una regola di vita. Sono in gioco la gloria di Dio e la vita delle vostre anime. Non vi lasciate respingere dalle difficoltà. Ma che la vostra preghiera sia alla misura di quel Dio che vi ama, che è morto per voi sulla croce, affinché possiate vivere nell’eternità in sua presenza e nell’amore. Misurate la vostra preghiera sul vostro destino eterno, che è di diventare un alleluia vivente davanti all’Eterno.

La seconda fonte di gioia che troverete in un monastero è il libro, il libro che simboleggia la cultura. San Benedetto ha salvato la cultura antica e l’ha sviluppata esigendo dai suoi monaci che leggessero varie ore al giorno: ha così restaurato il culto del sapere e l’amore della verità. Ciò che non si fa senza difficoltà né senza lavoro, ma altrettanto non si fa senza ricompensa e senza gioia. Al giorno d’oggi è diventata una questione di vita o di morte per le anime e per la società. Perché gli spiriti hanno sempre più bisogno di questa maturità che la cultura rappresenta, per non essere trasportati da tutti i venti di dottrina che soffiano come una tempesta. Non si può che rimanere storditi dal successo mondiale di libri come Il Codice Da Vinci. Ma vi è una posta in gioco ben più terribile a più o meno lungo termine. Quella della pace. La cultura, in effetti, è una condizione indispensabile affinché gli uomini possano vivere insieme nella pace. La società nella quale viviamo è una cultura di morte. Una cultura che veicola in sé e che distilla nelle anime il suo veleno. Tale veleno è l’amore di sé fino al disprezzo di Dio e del più debole, è la ragione del più forte. Ecco perché dovete avere nelle vostre famiglie, nelle vostre scuole, nei vostri movimenti il culto del sapere e il culto della verità. Occorre inoltre che abbiate il genio di promuovere un’autentica cultura completamente penetrata dallo spirito cristiano. Leggete, quindi! Prendete il libro e leggete! Leggete la Sacra Scrittura, il Vangelo, leggete i Padri della Chiesa, sant’Agostino, san Gregorio Magno e tutti gli altri; conoscete la storia del vostro Paese, i poeti, i maestri spirituali e i pensatori. Solo se appollaiati sulle spalle di questi giganti che ci sono stati dati dalla Provvidenza, arriverete a vincere il principe di questo mondo e la sua cultura di morte, e a stabilire la civiltà dell’amore.

La terza fonte di gioia che scorre da un monastero è l’aratro con il quale i benedettini hanno dissodato le terre incolte per trasformarle in giardini fertili. Ciò significa che mediante il lavoro, il senso di dovere e di responsabilità, noi possiamo cambiare il mondo. Il segno più inquietante del decadimento è la perdita di speranza e del significato del bene comune. Non abbiate paura di lasciarvi coinvolgere completamente e di darvi totalmente a Cristo e alla sua Chiesa. Vi chiederà delle rinunce e molta fatica. Ma è solo perdendo la vostra anima in maniera disinteressata che la potrete trovare. L’uomo è fatto per l’aratro, è fatto per consacrarsi e lavorare a una causa che lo oltrepassa. Dom Gérard diceva in Demain la Chrétienté che per mettere in luce un po’ di cristianità occorre lo sguardo di Dio e secoli di sforzi e di virtù naturali. Siate ricolmi di speranza, mettete mano all’aratro.

Per concludere vorrei darvi un esempio di un uomo gioioso, molto gioioso, di quella sobria ebrezza dello Spirito e che vive della croce, del libro e dell’aratro. Si chiama Benedetto XVI. Lo si è presentato come un uomo autoritario e freddo. La verità è che egli è il servitore della gioia. Conosciamo il suo amore per la grande liturgia, la sua immensa cultura e il suo ardore nel lavoro. Con questi tre strumenti si è messo al servizio della gioia, la vera gioia del mondo e la gioia di Dio. Nella sua prima omelia, in piazza San Pietro, ci ha ricordato che siamo il frutto del pensiero di Dio e che non c’è nulla di più bello che lasciarsi raggiungere da Cristo. Che non c’è niente di più bello che conoscere e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Ci ha ricordato che è un compito arduo e penoso, ma bello e grande perché in definitiva è un servizio reso alla gioia, alla gioia di Dio che vuole fare il suo ingresso nel mondo.



(Omelia della Messa conclusiva del Pellegrinaggio di Pentecoste “Notre-Dame de Chrétienté” del 2005, celebrata da Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, traduzione: Romualdica)



domenica 23 maggio 2021

L'Africa aperta alla liturgia tradizionale (Paix Liturgique): latino, silenzio, adorazione, pace spirituale e coerenza della fede.





Nostra [di Messa in latino] traduzione di una bellissima pagina sull'Africa cattolica che scopriamo essere molto attratta dal rito tradizionale non tanto per l'uso del latino (che pur unifica in un solo popolo i fedeli di tante lingue e dialetti diversi) e del silenzio, ma perchè è la liturgia che esprime meglio e in maniera più coerente la fede in Cristo (per il Quale in Africa ancora oggi troppi fedeli sono martirizzati).

Paix Liturgique ha intervistato un sacerdote africano tradizionale che ci racconta i nostri fratelli del Kenya (ma non solo) svelandoci molti aspetti della loro fede a noi sconosciuti.
Don Jean racconta un'esperienza di smarrimento e di disorientamento di fede simile a quella provata dal seminarista (di cui abbiamo ieri pubblicato il doloroso grido di aiuto per cercare un senso a restare ancora nella Chiesa): inviamo spiritualmente la testimonianza di on Jean perchè trovi nella Tradizione la forza per alimentare nuovamente la fede. Invece di uscire dalla Chiesa potrebbe rivolgersi a qualche ordine o istituto tradizionale.
Roberto




La Lettera di Paix Liturgique - 785 del 23 febbraio 2021



Abbiamo avuto modo di sottolineare in diverse occasioni, e in particolare nella nostra Lettera 678, che l'Africa è un continente molto promettente per lo sviluppo della Messa tradizionale. “L'Africa”, abbiamo detto, “è senza dubbio il continente meno toccato dal fenomeno della messa tradizionale, anche se l'elenco dei Paesi in cui viene celebrata non è trascurabile. [...Ma] le richieste, se non importanti ma comunque numerose, suggeriscono che entro 20 anni tutta l'Africa sarà interessata dalla liturgia tradizionale. "

Ma abbiamo avuto modo di incontrare qualche settimana fa padre Jean, un sacerdote del Kenya che sta terminando la sua tesi in Teologia in Europa e che ci ha stupito con il suo amore e il suo entusiasmo per la liturgia tradizionale della Chiesa Latina. Gli abbiamo chiesto di raccontarci di quanto ha scoperto diversi anni fa e che ha vissuto festeggiando con i fedeli del suo Paese. Ha avuto modo di parlarne più volte con il suo vescovo che lo ha incoraggiato a proseguire su questa strada mantenendo un certo grado di cautela, da qui il suo anonimato, non essendo questa esperienza vista di buon occhio da tutti i sacerdoti del presbiterio locale nè all'interno della conferenza episcopale nazionale


L'Africa aperta alla liturgia tradizionale

Paix Liturgique: come presentereste la liturgia tradizionale?

don Jean: Come le ho detto durante il nostro primo incontro, per noi è prima di tutto rasserenante, quasi in senso etimologico perché genera in noi la pace.
L'uso del latino ci permette di respingere le rivalità linguistiche permanenti che esistono nei nostri paesi africani - basti pensare che qui in Kenya ci sono oltre 70 lingue viventi comunemente usate! - quindi la scelta di una lingua nella liturgia è sempre percepita dagli altri oratori come una presa reciproca e questo genera più conflitti di quanto si possa immaginare.


Paix liturgique: questo è il motivo per cui usa principalmente l'inglese nelle liturgie moderne...

don Jean: in effetti è spesso il caso dello swahili, ma questo non risolve tutti gli ostacoli perché, che ci piaccia o no, l'uso dell'inglese è percepito da alcuni come l'adozione di una lingua straniera e a volte anche come quella di i colonizzatori… e questo è vero ovunque in Africa. Ho amici in Burundi, nell'Africa francofona, che sentono la stessa difficoltà nei confronti del francese e conosco persino egiziani che sono riluttanti a usare l'arabo nella loro liturgia mentre il latino, la lingua di nessun paese oggi, di nessun conquistatore moderno, è percepito come una delle lingue di Dio ...


Paix Liturgique: Ma ci sono altre lingue di Dio!

don Jean: Assolutamente, perché Dio è grande e buono, quindi sa ascoltarci in più lingue che corrispondono alle nostre storie e alle nostre tradizioni. Stavo parlando dei miei amici egiziani che desiderano ridare spazio alla lingua copta di Dio, e ai nostri fratelli ortodossi piace pregare usando l'antico greco liturgico. Ma sapete che questo è anche ciò che fanno gli ebrei: essi usano l'ebraico antico e l'aramaico nelle loro sinagoghe e i musulmani pregano con un arabo antico che oggi non è più quello di questo o quel paese.
Ma per tornare al latino, il fatto che la liturgia tradizionale utilizzi abitualmente questa lingua, fatta eccezione per la predicazione e le letture ovviamente, porta una notevole pacificazione che gli africani apprezzano profondamente.


Paix Liturgique: ma non c'è problema di comprensione in paesi dove la conoscenza del latino è piuttosto debole?

don Jean: È assolutamente vero, ma non è più difficile che con lo swahili che i kenioti conoscono ... solo in modo superficiale e di cui la stragrande maggioranza non ne conosce le sfumature ... È anche il caso dell'inglese, la cui conoscenza spesso è solo che sommaria. Mentre con il latino il rapporto è diverso. Se questo è percepito come il linguaggio di Dio, è associato al mistero e al silenzio che fanno parte a pieno titolo anche della liturgia tradizionale.
Ma non dovremmo più considerare gli africani come degli asini! E molti, soprattutto studenti, sono perfettamente in grado di fare qualche sforzo e di comprendere abbastanza rapidamente il significato della liturgia in latino, a volte anche meglio dell' inglese o dello swahéli, perché le parole hanno un significato fisso, molto più che in una lingua "volgare" in continuo movimento. Non so se ha mai parlato con africani anglofoni o francofoni e in tal caso potrebbe aver notato che il loro inglese o il loro francese non è esattamente il suo, mentre il latino liturgico è ovunque uguale per tutti... E non dimentichi per chi vuole approfondire ci sono i messali bilingue, soprattutto su Internet, che rendono molto facile la comprensione perché, insisto, la liturgia tradizionale è stabile e permanente, cosa che non è sempre il caso della liturgia "conciliare".


Paix Liturgique: puoi chiarire questa idea?

don Jean: è molto semplice e la maggior parte di voi mi capirà. Nella liturgia postconciliare la parte “rituale” e fissa è ridicolmente ridotta mentre la parte della “parola”, permettetemi di dire “blah-blah”, è estremamente importante. Inoltre, più le parole sono abbondanti, più la comprensione sarà difficile per chi non capisce quella lingua per coloro che ne hanno una conoscenza superficiale, mentre il latino per la sua stabilità e il ripetitivo carattere della liturgia rende rende molto più facile la comprensione dopo un primo sforzo. I primi missionari che un secolo o due fa vennero a portarci il Vangelo lo capirono appieno e le liturgie che celebravano in latino non ponevano alcun problema, soprattutto se integrate in una pastorale coerente con catechismo, predicazione e scuole...


Paix Liturgique: Lei è ottimista.

don Jean: sono soprattutto un realista! Non sa che tra noi ci sono africani che oggi forse conoscono il latino meglio della maggior parte degli europei? quando leggo la stampa cattolica occidentale leggo regolarmente che in Occidente meno del 10% dei vostri preti non conosce neanche un rudimento di latino... e lei sa bene quanto me che i fedeli che sono attaccati alla tradizione liturgia non sono tutti studiosi... ma questo non cambia nulla perché da voi come in Africa i fedeli sanno leggere e scrivere, usare un messale almeno informatico e soprattutto desiderano rimanere fedeli ai loro antenati alla loro cultura e alla bellezza liturgica e alla loro fede molto più che voler diventare latinisti

Ma non soffermiamoci ulteriormente sul latino, perché a mio avviso il punto capitale dell'importanza e del fascino della liturgia tradizionale non tanto nel latino quanto in un altro aspetto: quello del silenzio...





Paix Liturgique: ma ci viene detto così spesso che gli africani sono persone attive che vivono col ritmo...

don Jean: Li da voi sapete un sacco di sciocchezze... Perché quello che noi africani amiamo soprattutto è il silenzio! Oh, so che per voi ci piacere il rumore e la musica ritmica, ma questo non è esatto o perlomeno è molto esagerato e anche a mio parere piuttosto romanzato. Direi anche un po' razzista perché soprattutto gli africani amano il silenzio e in un certo modo la contemplazione perché questo è insito nell'anima africana (1)... Ma questo è esattamente ciò che scoprono e apprezzano nella liturgia tradizionale che è soprattutto una liturgia contemplativa dove in silenzio ci troviamo inginocchiati davanti all'Onnipotente Dio e questo, insisto, è profondamente ancorato nell'anima africana.


Paix Liturgique: ha accennato poco fa alla fedeltà alla fede

don Jean: Perché è essenziale per un cristiano! Sappiamo che in tutta la storia della Chiesa ci sono stati martiri, donne e uomini e persino bambini che sono morti per continuare ad essere fedeli a Gesù, e questo è ancora vero oggi, praticamente ovunque. Conoscete gli orrori che si verificano in Pakistan, dove alcune persone sono perseguitate per la loro fede in Gesù Cristo, ma questo esiste anche in Africa, in Nigeria ovviamente, ma anche in molti, molti altri paesi del Continente. Quindi per noi, come per voi spero, la fede in Gesù Cristo non è una parola vuota e, quando ci troviamo di fronte al Signore, speriamo che venga fatto in coerenza e in conformità con ciò in cui crediamo profondamente


Paix Liturgique: e questo lo trovate nella liturgia tradizionale?

don Jean: Ovviamente ed è per questo che mi ci sono affezionato. Prima mi sentivo a disagio, spesso in contrasto con quello che stavo passando anche mentre celebravo la mia messa, ma da quando ho incontrato la liturgia tradizionale, mi sento riconciliato con me stesso. Certamente, avevo avuto brevi incontri con il sacro, soprattutto con gli ortodossi durante un viaggio in Egitto e anche poche volte in Occidente visitando monasteri contemplativi, ma tutto questo mi sembrava distante, inaccessibile o semplicemente estraneo alla mia vita. mentre vivere la propria fede in armonia con la liturgia latina tradizionale è stato per me come una rivelazione, una redenzione direi addirittura. Ecco perché sono ci così attaccato adesso ed è per questo che non voglio tornare indietro. Infatti, quando ne ho parlato con il mio vescovo, sono stata molto felice di vederlo sorridere e incoraggiarmi a continuare su questa strada.




Paix Liturgique: è riuscito a condividere questo entusiasmo con chi la circonda?

don Jean: la stupirò. Questa situazione era per me così strana, così personale che non volevo aggiungere altro, ma come si dice nel tuo paese "caccia il naturale, ritorna al galoppo". Sono stati i fedeli che mi hanno raggiunto e mi hanno aiutato a continuare. Quindi all'inizio ho festeggiato, non di nascosto, ma molto discretamente, senza fare pubblicità né rumore, ma a poco a poco sono venuti alla mia Messa due fedeli. poi tre e oggi sono più di trenta che si raccolgono intorno a me da quando sono nel paese.


Paix Liturgique: come se lo spiega?

don Jean: Non sono sicuro di me, ma penso che queste fedeli, prima donne e poi studentesse, abbiano avuto la mia stessa rivelazione della coerenza di questa liturgia con noi stessi e con la nostra fede.

Ricordo uno studente di giurisprudenza che mi disse alcuni mesi fa: "mentre assisto alla sua Messa sono in silenzio in ginocchio davanti a Cristo sulla Croce al quale vengo per presentare le mie debolezze". "Non sapevo cosa aggiungere.


Paix Liturgique: perché è anche liturgia di adorazione?

don Jean: Certamente e non vedo alcuna differenza ontologica tra la mia celebrazione dei santi misteri e le adorazioni eucaristiche che organizzo quando possibile, e questa affermazione non è solo mia ma anche di chi, sempre di più, viene qui a ricaricare le batterie e purificarsi. Inoltre, mi mancherebbe gravemente la verità se omettessi di dire che uno dei frutti più belli che ho raccolto in occasione di queste celebrazioni è il ritorno di tutti questi fedeli alla confessione dei loro peccati, ancor prima che io li invitassi. Sì, questa liturgia è bella e orante e ringrazio il cielo per averla incontrata


Paix Liturgique: questo uso è quindi missionario.

don Jean: Quello che le ho appena raccontato ne è la prova. Quando i testimoni di Geova o gli evangelisti vanno di casa in casa, fanno molto rumore e agitano molto denaro; al contrario la santa liturgia non fa rumore ma fa del bene e aiuta ad avanzare verso il meglio e, chi lo sa? un giorno verso la santità. In questo, questa liturgia è eminentemente missionaria e penso che sia questo che attendono milioni di africani, indifesi come gli europei di oggi, perché è incontrando la liturgia tradizionale che trovano la pace e la serenità. E questo attirerà sempre più africani.




1. Non possiamo non evocare il bellissimo libro del cardinale Robert Sarah, La force du silence, Fayard, 2017.











sabato 22 maggio 2021

La proposta di legge Zan, un flagello alle porte in Italia








Roberto de Mattei, 19 Maggio 2021

In Italia la minaccia del coronavirus fa dimenticare talvolta l’esistenza di altri flagelli, come il devastante disegno di legge in discussione in Parlamento, dal titolo Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità. Questa proposta legislativa è conosciuta come “legge Zan”, perché prende il nome dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan che l’ha presentata, ma ha alle sue spalle venticinque anni di storia.

Il primo disegno di legge contro l’omofobia fu proposto infatti nel 1996 dal deputato di Rifondazione comunista Nichi Vendola. Nel 1999, il governo comunista di Massimo D’Alema approvò un decreto dal titolo Misure contro le discriminazioni e per la promozione di pari opportunità. La legge non passò perché il governo D’Alema cadde il 24 aprile 2000. Tra il 2013 e il 2014, il governo delle “larghe intese” di Enrico Letta tentò invano di far approvare un nuovo disegno di legge contro l’omofobia presentato dal deputato del Pd Ivan Scalfarotto. Lo stesso Enrico Letta, oggi segretario del Pd, chiede con insistenza che sia approvato il testo unico Zan, che il 4 novembre 2020 è stato approvato alla Camera e alla fine di aprile 2021 è stato calendarizzato al Senato. La strada non è facile, per l’opposizione del centro-destra, ma il pericolo è imminente e reale.

Quale sia l’intento di questo progetto di legge è stato rivelato da un suo tentativo di anticiparlo nelle scuole. Il 17 maggio 2021, nella “Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia” (prevista dal decreto Zan all’art. 7), è stata diramata dall’ufficio scolastico della Regione Lazio, una circolare dal titolo Linee guida per la scuola: strategie di intervento e promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere.

In questo documento si afferma che «negli ultimi anni stiano assistendo a una Gender Revolution», per cui bisogna «superare il concetto di binarismo sessuale che prevede l’esistenza di solo due generi (maschile e femminile)», sostituendo ad esso quello di «spettro di genere», dal momento che «il genere ormai si presenta in un’infinità varietà di forme, dimensioni e tonalità». Gli istituti scolastici, in conseguenza, dovrebbero adottare «un linguaggio di genere inclusivo», prevedere «l’assegnazione di un’identità provvisoria, transitoria e non consolidabile» allo studente che manifesti la volontà di cambiare «genere» e l’allestimento di bagni e spogliatoi «non connotati per genere» dedicati agli studenti trans.

Tutto questo non è che l’applicazione del primo articolo del testo Zan, che si propone di tutelare giuridicamente l’identità di genere, definita come «identificazione percepita e manifestata di se in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente da non aver concluso un percorso di transizione».

L’“identità di genere” di una persona è dunque un’“auto-percezione”, determinata dagli impulsi, desideri, sentimenti ed emozioni del singolo individuo. La norma non tutela solo l’omosessualità o la transessualità, bensì tutte le forme di “orientamento sessuale” dirette a separare l’identità sessuale della persona dalla sua identità biologica allo scopo di favorire la creazione di una nuova identità psicologica, fluida e indeterminata. «In questo modo, – ha giustamente osservato Mauro Ronco, professore emerito di Diritto Penale nell’Università di Padova – si intende porre sotto lo scudo della protezione penale tanto i vari orientamenti sessuali, ancora oggi valutati come disturbi della personalità, come la tendenza voyeuristica, la tendenza sessuale masochistica, la tendenza sessuale sadistica, la tendenza sessuale feticistica, quanto le ancora oggi assai controverse teorie del gender, alla cui stregua l’identità della persona non è determinata dalla biologia, bensì dalla libera scelta dell’individuo».

Lo stesso Professor Ronco, nella sua audizione alla Camera dei Deputati del 21 maggio 2020, ha bene illustrato qual è la deforme concezione su cui si fonda il concetto anti-giuridico del reato di “discriminazione” e di “odio”, che il testo Zan vorrebbe punire con la reclusione o con una multa finanziaria.

«L’eventuale estensione del reato d’odio alla manifestazione di idee per motivi di orientamento sessuale o di identità di genere segnerebbe il passaggio abnorme del diritto penale verso un modello che punisce la manifestazione di idee per correggere gli individui in ordine alla loro disposizione interiore. Non v’è alcuna base empirica per distinguere tra giudizi espressi sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere per ragioni d’odio, da un lato, ovvero, da un altro lato, per ragioni religiose, metafisiche, etiche e sociali». Infatti, «chi esprime opinioni critiche sulla tendenza omosessuale per ragioni metafisiche o sugli atti omosessuali per ragioni etiche, psicologiche, mediche o sociali, non per ciò è indotto a tali critiche per ragioni d’odio. Anzi, il più delle volte, il motivo per cui esprime tali opinioni risiede in ragioni del tutto contrarie allo stato interiore dell’odio. L’assurdità ancor maggiore sta nel conferire a un giudice il compito di decidere se una determinata opinione sia stata espressa per convinzione scientifica, per convinzione religiosa, per scelta culturale, per tradizione familiare, ovvero, tutto al contrario, per odio. Ma per odio verso chi? Verso una tendenza, un orientamento, una dottrina, una opinione o verso delle persone in carne e ossa? Anche qui la distinzione tra l’oggetto del presunto stato d’animo d’odio non può essere precisato se non attraverso una critica delle intenzioni, del tutto inaccettabile nel diritto penale poiché non è il giudice che può discriminare tra le intenzioni buone e quelle cattive».


Un approfondimento di questo e di altri temi ci è offerto dal volume curato da Alfredo Mantovano Legge omofobia perché non va (Cantagalli, Siena 2021), in cui la proposta di legge Zan viene attentamente esaminata e confutata articolo per articolo, svelandone le vere intenzioni.

La nuova legislazione vuole intronizzare come modello sociale assoluto ciò che un tempo era considerato devianza, isolando invece come devianza e anormalità la difesa dei principi naturali e cristiani. Ma ogni progetto di sovvertimento dell’ordine naturale, dall’abolizione della proprietà privata alla soppressione dell’identità sessuale, ha bisogno per realizzarsi della violenza, perché la natura, come il bene e il vero, è in sé stessa diffusiva. Quando le leggi negano l’ordine naturale si afferma inesorabilmente la dittatura del relativismo più volte denunciata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.

Se la legge sull’omofobia andasse in porto, il diritto della libertà di espressione sarebbe negato solo ai difensori dell’ordine tradizionale. Sarebbe tuttavia un grave errore limitarsi a criticare la soppressione della libertà introdotta dal testo unico di legge Zan, senza risalire alla causa di questo totalitarismo che sta nella definizione di identità di genere presente nell’articolo 1 del testo.

Il liberalismo impregna oggi la mentalità di molti cattolici, che vedono il nemico solo nel “proibizionismo”, dimenticando che il male non sta nelle istituzioni, ma nella violazione di un oggettivo ordine morale di valori. Non è in nome della “libertà”, ma della natura e della ragione, che bisogna combattere il nefasto progetto di legge Zan.

C’è un’aspra battaglia di idee in corso. Senza la chiarezza dei princìpi filosofici e morali tutto è perduto. Sulla base di questi princìpi professati e vissuti, e con l’aiuto di Dio, si può vincere invece la battaglia culturale del nostro tempo.










venerdì 21 maggio 2021

Per un cattolico è più importante la conoscenza della Bibbia o del Catechismo?








POSTED BY: ADMIN 19 MAGGIO 2021


di Corrado Gnerre

Per un cattolico è più importante la Bibbia o il Catechismo? Ovviamente sono importanti entrambi, ma… c’è un “ma” che va precisato in questi tempi di estrema confusione. E lo facciamo molto brevemente.

Ciò che è decisivo per un cattolico non è la Bibbia, ma la conoscenza del Catechismo, ovviamente secondo le possibilità e i talenti che ognuno possiede.

Non a caso nelle parrocchie ai bambini che devono accedere alla Prima Comunione si è sempre insegnato il Catechismo, non si sono mica fatti corsi di Sacra Scrittura? Che poi nell’ambito del Catechismo s’insegnino anche i fatti più importanti della Storia Sacra, questo è un altro discorso. D’altronde quel grande ed insostituibile catechismo che è il Catechismo di San Pio X ha proprio un’appendice con la narrazione dei fatti più importanti della Bibbia.

Che poi i corsi catechistici nelle nostre parrocchie lascino molto a desiderare, questo è un altro discorso ancora. Corsi lunghi (per non dire: lunghissimi) dove -ci si permetta la battuta- s’insegna tutto, anche come cambiare gli pneumatici dell’auto, ma non l’essenziale: la Dottrina, appunto!

Già!.. la parola “Dottrina”… questa dimenticata. Una volta si diceva così: mio figlio questo pomeriggio è andato a Dottrina, per dire: mio figlio questo pomeriggio è andato al catechismo.

La Dottrina non è un optional. E’ il fondamento di tutto. Senza Dottrina, non c’è fede e non c’è nemmeno pastorale.

Ovviamente, se la Dottrina si ferma a se stessa non serve a nulla. Il demonio conosce benissimo la dottrina cattolica (tant’è che la combatte perché sa bene quanto sia pericolosa), ma non gli è servito, non gli serve né gli servirà a nulla. Occorre, infatti, che la conoscenza si completi nell’amore. E’ però indubbio che la conoscenza, logicamente (anche se non sempre cronologicamente) venga prima dell’amore: non si può amare ciò che non si conosce.

E’ per questo, cari pellegrini, che i sentieri vanno percorsi contemporaneamente e in una successione logica: Primo Sentiero – La Verità va conosciuta; Secondo Sentiero – La Bontà va amata; Terzo Sentiero – La Bellezza va gustata.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri









martedì 18 maggio 2021

San Giovanni Paolo II nel mirino dei servizi segreti sovietici




Uno storico polacco racconta i documenti del KGB scoperti a Vilnius



di Wlodzimierz Redzioch

13 Maggio 2021 - Włodzimierz Rędzioch

È uscito in Polonia un libro dello storico e giornalista polacco Andrzej Grajewski, scritto insieme a Irena Mikłaszewicz: Il pontificato delle molte minacce. Giovanni Paolo II alla luce dei documenti dell’operazione ‘Kapella’ 1979-1990. Dietro il nome in codice “Kapella” ci sono le azioni del KGB sovietico contro Giovanni Paolo II. Questa è la prima raccolta al mondo, purtroppo parziale, di documenti del KGB che mostrano quanto i servizi sovietici fossero interessati a Giovanni Paolo II, percepito a Mosca come una grande minaccia per l’URSS e per l’intero blocco comunista dell’Europa centrale e orientale. Gli autori del libro sono riusciti a trovare documenti di grande valore del Primo Dipartimento del KGB dell’allora Repubblica Socialista Sovietica Lituana, conservati negli Archivi Speciali di Stato Lituani a Vilnius.


Ho parlato con l’autore del libro, il dott. Grajewski.

«C’è una espressione strana nel titolo del suo libro, “l’operazione ‘Kapella’”. Che cosa vuol dire?»

«Tutte le attività dei servizi segreti sono contrassegnate da nomi in codice. Il nome scelto doveva richiamare una cappella, ma in russo “cappella” si dice “czasownia”. Invece è stata utilizzata una parola che si riferisce al latino, per indicare che l’azione era rivolta verso la Chiesa cattolica».

«Come è riuscito ad arrivare agli archivi del KGB in Lituania?»

«Non sono stato io a trovare i documenti negli archivi in ​​Lituania, è stata la storica polacca di Vilnius, la dottoressa Irena Mikłaszewicz, che si occupa di storia della Chiesa, soprattutto in Lituania. È stata lei, nel corso delle sue ricerche, a trovare questi documenti in un archivio speciale a Vilnius, dove, tra le altre cose, sono conservati i documenti del KGB. Ha pensato che bisognasse pubblicare questa documentazione inedita così rilevante in un libro e ha fatto questa proposta all’Istituto della Memoria Nazionale (IPN) in Polonia. Successivamente l’IPN si è rivolto a me, sapendo che da storico ero interessato a questo argomento. Quindi, insieme alla dottoressa Mikłaszewicz, abbiamo selezionato 54 documenti per la pubblicazione del libro. Il resto dei documenti non riguarda la Chiesa, ma l’emigrazione lituana».

«Come i servizi speciali lituani interagivano con la centrale a Mosca? Erano a loro disposizione o agivano in modo indipendente?»

«Non possiamo parlare di servizi “lituani”, erano i servizi sovietici che operavano in Lituania. Il KGB aveva una doppia struttura: l’apparato centrale situato a Mosca, da cui provenivano le istruzioni e gli ordini, e l’apparato locale sotto il controllo degli organi del partito comunista della Repubblica Socialista Sovietica Lituana. Pertanto, l’apparato in Lituania era subordinato sia al capo del KGB a Mosca che alle autorità comuniste di Vilnius. I servizi includevano un’intelligence chiamata “Dipartimento I”. Ed è stato il Dipartimento I in Lituania, commissionato da Mosca, che ha eseguito l’operazione “Kapella”. Le informazioni andavano in due direzioni: quelle raccolte dai servizi di Vilnius venivano inviate a Mosca e da Mosca a Vilnius venivano inviate analisi generali».

«Chi è stato coinvolto nell’attività di intelligence?»

«Alcuni ufficiali del KGB lavoravano sotto copertura nelle ambasciate, nelle istituzioni sovietiche, altri nella stampa e nelle agenzie turistiche, negli uffici commerciali. Poi c’erano i cosiddetti “illegali” di cui non sappiamo nulla. Circa il 50% del personale del corpo diplomatico sovietico lavorava per l’intelligence. Inoltre, c’erano agenti reclutati tra il clero cattolico in Lituania, che aveva contatti con il Vaticano, e l’emigrazione lituana, penetrata da agenti sovietici».

«Quali erano gli obiettivi dell’operazione “Kapella”?»

«L’obiettivo era duplice: da un lato, ottenere informazioni dal Vaticano, ad esempio sui piani del Papa, e analizzare tutto ciò che riguardava l’Unione Sovietica nelle attività del Vaticano. Ma c’era anche l’altro obiettivo: la diffusione presso l’opinione pubblica mondiale e il Vaticano delle informazioni adeguatamente preparate a Mosca per influenzare la percezione del Vaticano stesso».

«Potrebbe fornire qualche esempio di tali azioni?»

«Ad esempio, un prelato lituano viene in Vaticano con un documento sulla situazione della Chiesa in Lituania, ma questo documento è preparato a Mosca dal KGB. Un altro esempio: su una nota rivista dell’emigrazione lituana è pubblicato un articolo preparato a Mosca, in cui il Papa viene criticato per non aver corretto i confini diocesani tra Polonia e Lituania (dopo la Seconda guerra mondiale i confini tra i due Stati furono spostati) e accusato di nazionalismo».

«Da quando i servizi segreti dell’Unione Sovietica si sono interessati a Giovanni Paolo II?»

«Fin dall’inizio del suo pontificato. Nel novembre 1978 abbiamo già la prima valutazione completa di Giovanni Paolo II – ho trovato questa analisi negli archivi della STASI (i servizi segreti della Germania comunista). I servizi comunisti tedeschi l’avevano preparata sulla base di materiali forniti anche dai servizi segreti polacchi e ungheresi, che avevano una posizione molto forte in Vaticano. Nella loro analisi, i servizi segreti sottolineano un aspetto della personalità del Papa, ovvero che conosceva perfettamente le realtà dei Paesi del blocco comunista, e quindi non sarebbe stato facile “prenderlo in giro”, come veniva fatto con i diplomatici vaticani. Ecco perché avvertivano i loro superiori politici che questo era un Papa “pericoloso”. Anche se il primo allarme dopo l’elezione di Giovanni Paolo II è stato lanciato dai servizi in Ucraina».

«Perché proprio in Ucraina?»

«I servizi segreti hanno notato quello che è successo all’inizio del pontificato, quando i cardinali hanno reso omaggio a Giovanni Paolo II: il Papa si è alzato davanti a due persone e le ha baciate per primo. Erano i cardinali Wyszyński, il primate di Polonia, e Slipyj, il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina in esilio a Roma. I servizi hanno interpretato questo gesto come un segnale che avrebbe favorito la lotta per la restaurazione della Chiesa greco-cattolica in Ucraina. Perciò, sono state inviate immediatamente informazioni allarmanti da Kiev a Mosca. Dal punto di vista dell’Unione Sovietica, il caso dell’Ucraina è stato il più delicato».

«Perché?»

«Perché in altre repubbliche, in Lituania o Lettonia, la Chiesa era completamente sotto controllo. Dagli anni ’60 in poi venivano ordinati vescovi solo preti sui quali Mosca non aveva obiezioni. In Ucraina, invece, nonostante la Chiesa greco-cattolica fosse stata dichiarata illegale e sciolta da Stalin nel 1946, continuava a esistere una struttura clandestina con una forte adesione popolare: per questo il cattolicesimo era percepito come un potenziale pericolo, perché il regime pensava che gli ucraini avrebbero chiesto prima una Chiesa libera e, dopo, uno Stato indipendente. Era un grande pericolo per la coesione dell’Unione Sovietica, e quindi iniziarono varie attività».

«Che tipo di azioni sono state intraprese nei confronti di Giovanni Paolo II? Cosa viene fuori dai documenti trovati a Vilnius?»

«I servizi speciali raccolgono principalmente informazioni e intraprendono azioni specifiche, come i tentativi di impedire al Papa di andare alla celebrazione del 600° anniversario del battesimo della Lituania o beatificare in Polonia Karolina Kózkowna, una giovane polacca uccisa durante la Prima guerra mondiale da un soldato russo durante un tentato stupro. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II si sono state svolte anche attività di disinformazione, mettendo in circolazione nell’opinione pubblica mondiale false informazioni, che assecondavano gli interessi sovietici».

«Il KGB sovietico si è occupato anche della situazione in Polonia, tenendo conto del ruolo della Chiesa in Polonia e dell’influenza della Polonia sulle nazioni vicine?»

«Sì. Mentre nei primi cinque anni l’operazione “Kapella” si concentra sui rapporti Vaticano-Unione Sovietica, dal 1987 ha iniziato ad interessare la stessa Polonia. I servizi analizzano con molta attenzione il secondo e soprattutto il terzo pellegrinaggio del Papa in Polonia. È interessante notare come, nell’analisi del terzo pellegrinaggio, che comprendeva la significativa visita di Giovanni Paolo II a Danzica, la culla del sindacato Solidarnosc, l’analista dei servizi affermi che in un simile stato di cose la condivisione del potere con l’opposizione era ormai una questione di tempo. I servizi osservano da vicino anche le attività del primate della Polonia, il card. Glemp, e le sue attività in Oriente (ad esempio, un viaggio in Bielorussia nel 1988), nella convinzione che tutte le sue iniziative fossero state ordinate dal Papa».

«Quest’anno ricorre il 40° anniversario dell’attentato a Giovanni Paolo II. È noto che Ali Agca era solo un assassino al servizio di mandanti che fino ad oggi rimangono sconosciuti. Da molti anni lei sta analizzando gli archivi dei servizi segreti polacchi e ha avuto l’opportunità di vedere anche gli archivi dei servizi segreti di altri Paesi dell’ex blocco comunista. Ci sono “tracce” che dimostrino il coinvolgimento di Mosca nell’attacco al Papa?»

«Ci sono ampie prove che l’Unione Sovietica avesse paura di questo pontificato e volesse accorciarlo. Quindi ci sono documenti che parlano delle motivazioni sottese all’attentato e non solamente degli aspetti tecnici correlati alla sua realizzazione. Ho visto documenti a Vilnius e Kiev, ma se ci sono documenti che parlano specificamente dell’attentato, questi devono essere a Mosca. Tuttavia, vorrei menzionare un documento di valore unico, che è il diario delle attività ufficiali di Leonid Breznev, che veniva preparato dalla sua segreteria, recentemente pubblicato a Mosca. Contiene informazioni su ciò che faceva, su chi incontrava e con chi parlava per telefono ogni giorno. Nel corso dei suoi lunghi 18 anni di mandato quale capo dell’Unione Sovietica, c’è un solo giorno in cui Breznev sembra non aver fatto nulla».

«Quale giorno?»

«Il 13 maggio 1981. Quel giorno, al mattino Breznev riceve una delegazione dal Mozambico e poi fino alle 18.00 “lavora sulle carte”, come se stesse in attesa di notizie. Nel diario non c’è nessun’altro giorno come quello. È interessante notare che il giorno successivo Breznev incontri il capo del KGB, Andropov, e il Ministro degli affari esteri, Gromyko. Ho anche scoperto che nel corso degli anni i contatti più intensi di Andropov con Breznev sono stati nel periodo aprile – maggio 1981. Non sappiamo di cosa stessero discutendo, ma ho notato questo fatto particolare. Volevo ricordare che ad aprile in Svizzera Ali Agca incontrò Celik, Celenek e Celebi e fissò la data dell’attentato nel mese di maggio: a partire dal mese di aprile i preparativi entrarono nella fase più intensa. È solo una pura coincidenza? Naturalmente, questa non è una prova concreta, ma sono fatti che fanno riflettere».

Giovedì, 13 maggio 2021

lunedì 17 maggio 2021

Il cardinale Bassetti, il ddl Zan, il mondo cattolico, i mass media. Un quadro a tinte fosche






17MAG
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by Aldo Maria Valli

Cari amici di Duc in altum, dopo alcuni mesi di silenzio mi ha scritto il Giovane Prete. Sconcertato dalle dichiarazioni del cardinale Bassetti sul ddl Zan, esprime qui tutto il suo sdegno. E allarga lo sguardo alle nostre libertà, in particolare a quella di pensiero, con annotazioni sconsolanti sul comportamento dei mass media.


***

Caro Aldo Maria, dopo tanto tempo torno a scriverti per condividere con te alcuni pensieri legati alla legge Zan.

La Cei

Anche in questi giorni chiunque si professi cattolico ha potuto fare la triste esperienza dell’essere ormai diventati orfani. Non abbiamo più padri! Lo dico come figlio addolorato di questa Chiesa fluida come l’identità “sognata” dagli attuali nemici di Dio e dell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza.

Resto allibito di fronte alla resa dei nostri pastori su un tema fondamentale per la nostra fede e che ha ripercussioni concretissime nella vita delle persone, in particolare dei nostri giovani, coinvolgendo cosucce come l’identità sessuata, la libertà di pensiero, di parola e di educazione.

Il pensiero cattolico

Il 16 maggio è stato il giorno della definitiva resa della Cei, con l’intervento surreale del cardinale Bassetti che, dopo aver detto parole del tutto condivisibili, conclude inspiegabilmente che “la legge Zan va corretta e non affossata”, affermazione che non può che provocare d’istinto la domanda: “Ma ci è o ci fa?”. Come si fa a non capire che tutto ciò che di condivisibile aveva appena detto, se il ddl sarà approvato, non potrà più dirlo? Tuttavia, ancora prima di quest’uscita, si poteva intuire che qualcosa non quadrasse dal modo in cui Avvenire aveva trattato la manifestazione contro il ddl Zan di Milano: un piccolo ritaglio in fondo a pagina 10, sotto un articolo contro Salvini… Solo Il Manifesto ha osato mettere la notizia in prima pagina, forse per la presenza di femministe ostili alla legge in redazione. Già questo basta a capire quanto stiamo vivendo in un mondo capovolto, dove tutto è invertito…

Infine, vorrei spendere due parole sul modo di “argomentare” che il mondo cattolico sta adottando negli ultimi anni. Sempre, nel dibattito pubblico, il cattolico non utilizza argomenti di fede, ma di ragione. Ossia, mai diciamo: “Siamo contro i matrimoni omosessuali perché la pratica omosessuale è condannata dalla Scrittura”. Questo lo può dire il sacerdote dall’ambone, ma nel consesso civile l’impostazione è differente. Ci sono “ragioni” che possono essere comprese da tutti gli uomini di questo mondo che fanno sì che la relazione omosessuale non vada legittimata per via giuridica. C’è tutta una grande cultura cristiana che muove dalla retta ragione e che oggi stiamo abbandonando. La “cancel culture” è viva e operante anche dentro la Chiesa! Questo si traduce nel limitarci a riprendere le posizioni di esponenti di altre culture (solitamente ostili alle nostre) per accreditare la posizione che adottiamo. Nel caso della Legge Zan, abbiamo continuamente esposto come “nostre” le ragioni dell’Arcilesbica o di qualche femminista. Secondo me invece sarebbe opportuno prima esporre le ragioni che provengono dalla nostra riflessione e solo alla fine, per renderle ancora più convincenti, aggiungere le parole di chi è lontano dal nostro mondo ma che, proprio in nome della ragione comune, può percorrere un pezzetto di strada con noi.


Questo sarebbe ancora più auspicabile perché nelle grandi battaglie antropologiche che abbiamo già di fronte, e che segneranno anche l’imminente futuro, lo scontro non sarà tra “pensieri differenti”, ma semplicemente tra ragione e follia. Per capirci: la copertina dell’Espresso non è un “pensiero differente”, è follia.

I media

Un punto urgente che bisogna affrontare è il totalitarismo massmediatico che vediamo in azione ogni volta che vengono messe sul tavolo tematiche LGBT+ (mettiamoci anche il più) o comunque bioetiche. Com’è possibile che ci sia una censura assoluta sulle manifestazioni che si oppongono alla propaganda arcobaleno e una totale visibilità in senso opposto? Non so se avete notato, ma una volta una notizia come quella relativa alla Marcia della Vita, o a qualsiasi altra iniziativa fedele all’insegnamento della Chiesa, veniva riportata. Magari con toni negativi, ma comunque non veniva ignorata totalmente. Oggi invece l’oscuramento avviene sistematicamente e coinvolge tutto il sistema dell’informazione, dai giornali alle televisioni.

Ora mi chiedo: com’è possibile tutto questo? Ci deve per forza essere una regia ben pianificata e questo è un problema molto serio per la nostra democrazia, per il diritto delle persone per lo meno a sapere quello che sta succedendo e quali siano le opinioni che si stanno confrontando. Mi ha colpito anche la velocità con cui il sistema ha bannato le proteste del mondo femminista legato ad Arcilesbica, fino a ieri portato in palmo di mano. Chi ha deciso che andava silenziato? Chi ha deciso (per tutti) che è finito il tempo di gay e lesbiche (con le loro vittorie) ed è arrivato il momento di fare il passo successivo, ossia imporre l’ideologia di genere? Non si tratta di essere complottisti, ma non è assolutamente possibile che questo avvenga casualmente, con questa velocità ed estensione!


Caro Aldo Maria, non so se magari tu ti sei fatto delle idee in proposito, avendo lavorato tanti anni nel mondo dell’informazione. Io sono un semplice sacerdote che legge molto e la mia risposta non può che essere quella tradizionale: massoneria. La Chiesa fino al Concilio Vaticano II l’ha condannata duramente e continuamente. Poi è calato il silenzio, ma dubito fortemente che, non parlandone più, essa sia come sparita improvvisamente. Anzi, sono portato a pensare invece che il suo potere si sia esteso ancora di più. Se a questo aggiungiamo il fatto che negli ultimi anni vi è stata una concentrazione del denaro in pochissime mani, ecco che il problema si fa sempre più grande. Che libertà e indipendenza avranno mai giornali e televisioni che devono la loro esistenza agli stessi padroni?

Il Giovane Prete

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domenica 16 maggio 2021

L’anziana, la ragazza e quel segno della croce

 



15MAG
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by Aldo Maria Valli

di Pete Baklinski

Un video dalla Polonia, che sta facendo il giro dei social media, ha catturato un momento forte: un’anziana donna cattolica in lacrime si inginocchia per baciare i piedi di una giovane attivista Lgbt che è lì per deridere e disturbare un gruppo di donne in preghiera. L’anziana inizia un dialogo che incredibilmente termina con l’attivista che imita la donna nel fare il segno della croce.

L’anziana donna faceva parte di un gruppo che pregava la coroncina della Divina Misericordia il 29 aprile fuori da un tribunale di Varsavia, mentre l’emittente cattolica Radio Maria all’interno si difendeva dall’ultimo attacco della sinistra, che stava tentando di mettere a tacere la radio conservatrice.


Il video riprende il gruppo mentre prega con cartelli a sostegno di Radio Maria. Improvvisamente, entra in scena una giovane donna avvolta in una bandiera arcobaleno del gay pride e con una mascherina con gli stessi colori. La giovane fuma una sigaretta e balla sulle note di una musica riprodotta su un dispositivo portatile. Tenta così di disturbare il gruppo in preghiera con slogan, imprecazioni e insulti.

Mentre la giovane attivista continua il suo sproloquio, l’anziana donna le si avvicina, si inginocchia sul marciapiede e le bacia i piedi.


Il video mostra il dialogo che segue tra l’anziana donna e l’attivista. La ragazza, apparentemente commossa dal gesto della donna, le dice di continuare a parlare “con calma” e le chiede: “Per favore non piangere”.

L’anziana donna spiega quanto sia triste nel vedere dove sta andando il suo paese dopo aver combattuto tutta la vita per la Polonia. “Ho ottantatré anni e ti voglio bene. Per tutta la vita ho combattuto per la Polonia. Presto lascerò questo mondo e la Polonia è divisa. Mi dispiace molto per questo e lo sento molto”, dice l’anziana in lacrime. Poi, riferendosi alla giovane, aggiunge: “E questi bambini, i nostri poveri bambini, che sono stati cresciuti da polacchi!”.


A un certo punto le due si abbracciano. E quando l’anziana finisce di parlare e, salutando l’attivista Lgbt si fa il segno della croce, sorprendentemente la ragazza la imita e anche lei si fa il segno della croce.

Michael Matt di The Remnant ha definito questo momento un “bellissimo piccolo segno di speranza”.

“Quello che avete appena visto è un piccolo segno, ma è un segno potente, è un segno magnifico, è un segno che è stato ripetuto, ancora e ancora e ancora”, ha detto Matt nel suo programma dell’8 maggio The Editor’s Desk, aggiungendo che mentre il mondo lotta, sotto il peso delle ricadute del coronavirus, con la perdita delle libertà, la negazione dei diritti, la chiusura delle chiese, i piani per un grande reset, ecco che la croce di Cristo ha il potere di salvare e sarà sempre lì, in qualunque modo possa arrivare: “In questo momento stiamo attraversando l’inferno. Il mondo è impazzito, tutto è sottosopra, malvagio. Quando tutto è stato detto e fatto e ogni opzione politica è esaurita, la croce di Cristo salverà il mondo. La croce di Cristo salverà voi, la croce di Cristo salverà me, la croce di Cristo salverà i nostri figli”.

Fonte: lifesitenews

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venerdì 14 maggio 2021

Libro di padre Serafino Tognetti: Per (ri)scoprire l’adorazione eucaristica








di Aldo Maria Valli

“Quando noi facciamo l’adorazione davanti al Santissimo, siamo come davanti a un sole che si irradia; non siamo lì per dirgli i nostri bisogni (li sa già), non siamo lì per ricordare al Signore di essere buono (lo è già perché è la pietà infinita), non siamo lì per ottenere un intervento (è Lui l’intervento). Certo, il Signore dice “bussate e vi sarà aperto” (Mt 7,7), ma per prima cosa andiamo a Lui per sottometterci al suo sguardo. L’adorazione è fare spazio per riceverlo. Addirittura, secondo san Giovanni della Croce, Dio crea guardando. Io mi sottopongo al suo sguardo ed Egli guardandomi mi crea. In che senso? Guardandomi porta la sua presenza in me”.

Queste parole sono di padre Serafino Tognetti. Le scrive nel suo bellissimo libro Adorazione, titolo asciutto e perentorio, com’è giusto che sia per pagine in cui ogni parola va dritta al cuore del lettore.

Tra le tante citazioni possibili, ho scelto quella che ho proposto all’inizio perché parla della comunicazione non verbale, della cui importanza troppo spesso ci dimentichiamo nel nostro rapporto con Dio.

Diciamolo francamente: noi spesso parliamo troppo, anche quando ci rivolgiamo al buon Dio. Invece nell’adorazione silenziosa, davanti al Santissimo, abbiamo la possibilità di rimettere le cose a posto: di lasciarci guardare dal Signore. Ed è efficacissima l’immagine ricordata da padre Serafino: guardandomi, Egli porta la sua presenza in me, Egli entra in me, e così mi trasforma, mi converte. L’iniziativa è sua. Io devo solo lasciarmi guardare.



Scrive ancora padre Serafino: “Mi piacerebbe fare una prova: mettere due persone di fronte a guardarsi fisse negli occhi e vedere quanto tempo resistono; dopo un po’, forse qualche istante soltanto, uno dei due non resisterà e dovrà abbassare o spostare lo sguardo. Se invece chiedo alle stesse persone di parlarsi, possono andare avanti anche tre ore consecutive. Lo sguardo nel silenzio è penetrante e probabilmente san Giovanni della croce non aveva tutti i torti. Quando ci si ama molto, ci si guarda, si riesce a reggere lo sguardo perché lo sguardo è l’entrare nell’altro”.

Questo libro è un piccolo tesoro. Mi limito, per dimostrarlo, alla sezione in cui padre Serafino fa l’identikit dell’uomo eucaristico. Chi è? L’uomo eucaristico prima di tutto è un uomo che ama, poi è un uomo che crede, un uomo in festa, un uomo purificato, un uomo chiamato alla santità, un uomo che diventa preghiera, è povertà assoluta ed è umile.

Ognuna di queste definizioni meriterebbe una trattazione. Nel loro insieme, dice padre Serafino, conducono alla pienezza, che nel cristianesimo si trova in massimo grado nella verginità consacrata.

Lo so, non capita tutti i giorni, nella Chiesa di oggi, di trovare un monaco, un sacerdote, che parli così, ed ecco perché padre Serafino Tognetti è speciale.


Padre Serafino, monaco e sacerdote della Comunità dei figli di Dio fondata da don Divo Barsotti, per aiutare il lettore a cogliere l’intensità del rapporto d’amore con Dio vissuto in pienezza, cita proprio una pagina del fondatore: “Tutta la vita è in questa fuga incontro a te (…) fuga in un deserto sempre più solitario e vuoto, che non è abbandono del mondo per una vita eremitica o la pace di un chiostro, ma è come il sibilo di una freccia che taglia l’aria per fermarsi vibrando nel bersaglio. Così l’anima non evita il mondo, ma lo passa, lo trapassa in un volo deciso, dritta al suo fine che è Dio”.

Quando don Divo scriveva queste parole aveva ventisette anni. E sono le parole di un innamorato. Tanto più che poco prima aveva scritto: “Andiamo via, fuggiamo via o Gesù: andiamo lontano fintanto che non saremo indisturbati e soli”.

Se il ventisettenne don Divo diceva a Gesù che voleva vivere come una freccia e scappare con lui, a novantadue piangeva perché sentiva che Gesù è poco amato. In mezzo c’è una vita d’amore. E di adorazione.

Fate abitualmente l’adorazione eucaristica? Non la fate? Vorreste farla? Non ne trovare il tempo? Non ne cogliete il senso? Vorreste farla meglio? In ogni caso il libro di padre Serafino è altamente consigliabile. “Salutare e necessario”: così, nella prefazione, il cardinale Angelo Comastri definisce l’invito di padre Serafino all’adorazione eucaristica. Ha ragione. Ed è bello che il cardinale termini i suoi pensieri introduttivi con una preghiera al Signore Gesù. Una preghiera che termina così: “E donaci sacerdoti santi: sacerdoti che ci facciano innamorare dell’Eucaristia. Amen”.

A.M.V.

Padre Serafino Tognetti, Adorazione, Etabeta, 160 pagine, 13 euro