venerdì 30 settembre 2011

Le chiese dei nostri padri





Di Francesco Agnoli








Cosa sta succedendo a Reggio Emilia? In questa città da cui provengono personalità importanti del mondo cattolico progressista, come Romano Prodi e Pierluigi Castagnetti, il vescovo Adriano Caprioli ha promosso, per usare le parole di Camillo Langone, “lo sventramento del Duomo”. Ha cioè deciso che “adeguamento liturgico”, non si sa bene a cosa e perchè, significa sostituzione dei banchi con le sedie; eliminazione degli inginocchiatoi; rimozione dell’altare maggiore, dei “vecchi arnesi” che tanto piacevano a padre Pio e a don Camillo: via crucis, confessionali, statue, candelieri...

Niente di nuovo, si potrebbe dire: il pensiero protestante, che è iconoclasta per natura, si è da tempo infiltrato nella Chiesa ed ha portato con sé una forte ostilità verso la devozione popolare, fortemente concreta, carnale, propria del cattolicesimo, per sostituirla con una fede adulta, astratta e, in ultima analisi, gnostica. Però questa volta qualcosa di nuovo c’è. Qualcosa che fa pensare tempi nuovi, che piano piano vengono avanti.

Negli anni Sessanta e Settanta in molte chiese d’Italia e del mondo si attuò lo stesso scempio di Reggio. Si ritenne che gli altari non servissero più; si misero in soffitta statue e candelabri; si gettarono stendardi e paramenti sacri; tabernacoli ed altri arredi finirono nelle vetrine degli antiquari, per divenire poi soprammobili nelle case dei borghesi. Però, all’epoca, la foga innovatrice era inarrestabile. Parte del clero era come pervasa dall’idea che “rinnovamento” avrebbe significato, senza dubbio, rafforzamento della fede, allargamento dei suoi confini. Via tutto ciò che è antico, polveroso, vecchio; largo a concezioni nuove, moderne, al passo con i tempi.

I credenti laici, spesso, rimasero a guardare. Fidandosi dei loro pastori. A volte gareggiando con loro, a volte increduli, come lo saranno stati i cinesi che all’epoca della rivoluzione culturale osservavano i giovani del partito sradicare le statue di Confucio, distruggere le chiese, abbattere ogni segno del passato con un luccichio bizzarro negli occhi.

Oggi, dicevo, i tempi sono mutati. Così il buon Caprioli, che con mentalità un po’ clericale è convinto che il Duomo sia cosa sua, ha trovato sulla sua strada una forte opposizione da parte del popolo cristiano. Fedeli di tutti i giorni, come l’architetto Stefano Maccarini, hanno cominciato ad alzare la voce, e alcuni giornalisti, da Camillo Langone e Francesco Borgonovo (su Libero) ad Andrea Zambrano (sulla bussolaquotidiana.it) hanno preso netta posizione contro le iniziative iconoclaste.

Ne è nato persino un sito che monitora quanto accade, a difesa del Duomo di Reggio, per scongiurarne il più possibile lo “sventramento” (soscattedrale.re.it).

Anche Antonio Socci, in un recente articolo sui tabernacoli nelle chiese, ha sposato una analoga battaglia in difesa della architettura sacra tradizionale, ricordando che aver eliminato o accantonato il tabernacolo significa aver “estromesso dalle chiese (o almeno vistosamente allontanato dall’altare centrale e accantonato in qualche angolo) proprio Colui che ne sarebbe il legittimo “proprietario”, cioè il Figlio di Dio, presente nel Santissimo Sacramento”. C’è insomma un popolo cattolico che non ne può più della furia iconoclasta, che non ama i crocifissi come quello commissionato dal Caprioli, frutto dell’immaginazione di un artista shintoista, in cui manca, come era inevitabile vista la religiosità orientale, la figura stessa di Cristo.

Quel popolo è quello che accoglie ed accompagna il rilancio, benedetto dal pontefice, dell’adorazione eucaristica. Che, come lui, comprende, più o meno consapevolmente, che “spogliato del suo valore sacrificale, il mistero eucaristico viene vissuto come non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale”; che vuole vedere il volto e il corpo di Cristo, persino nascondersi, come recita una bella preghiera ignaziana, nelle sue piaghe (intra tua vulnera asconde me).

Perché il Dio dei cristiani non è quello dei filosofi, dei sapienti, degli intellettuali; non è il Dio impersonale, senza volto, degli orientali; non è, soltanto, l’Architetto dell’universo, il grande orologiaio, di Cartesio e dei deisti, ma è anche, per dirla con Pascal, il Dio “cui ci si accosta senza orgoglio, e sotto il quale ci si abbassa senza disperazione”; è il Cristo visibile, in carne ed ossa, che unisce alla sua divinità la nostra umanità:“Ha avuto fame, Chi dà cibo a tutte le creature viventi; ha avuto sete, Chi ai suoi credenti dona l’acqua della Vita; ha sentito stanchezza, Chi è riposo degli affaticati; ha pianto, Chi asciugò ogni lacrima da tutti gli occhi” (Gregorio di Skevra).

Questo Dio, anche nel Duomo di Reggio, come nelle altre chiese del mondo, molti fedeli vogliono ancora vederLo scendere dal cielo sull’altare; lo vogliono adorare nel tabernacolo; lo vogliono consolare, osservando il suo corpo appeso al “dulce lignum” della croce; lo vogliono lodare e impetrare, inginocchiati, non seduti sulle sedie comode e funzionali dell’Ikea, abbassando il loro orgoglio umano verso terra e lanciando lo spirito verso il cielo.

Il Foglio, 29/9/2011

Intervista a Monsignor Brunero Gherardini


Risposta a Don Cantoni
fra teologia e amarezza

di Dante Pastorelli



Da quando nel 2009 apparve il primo libro sul Vaticano II (Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice), in cui Mons. Brunero Gherardini iniziava una disamina attenta e puntuale dei documenti conciliari, fra larga messe di consensi anche ad altissimo livello, s’è levata qualche rara voce critica, legittima certo, ma per lo più alquanto superficiale e ripetitiva. Né diversa accoglienza ha ricevuto il successivo Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011.

In questi due approfonditi studi i nodi cruciali del Vaticano II vengon al pettine e non basta a contrastar l’analisi del grande Maestro biascicar ad ogni pie’ sospinto il mantra: il Papa sostiene che c’è continuità tra il Vaticano II e l’intero Magistero che lo precede, e quindi la continuità c’è. Il proceder del Concilio nel solco della Tradizione va dimostrato. Se non si vuole dimostrar con argomentazioni se non esaustive almeno credibili, si dogmatizzi in modo inequivocabile l’ultima assise ecumenica o almeno una parte dei suoi documenti o capitoli d’essi, dato il loro diverso valore magisteriale da inquadrar sempre nel livello “più modesto”, pastorale, su cui dall’alto s’è voluto por quest’importante evento ecclesiale.

Non è mia intenzione polemizzar con nessuno in questa sede, poiché già a certe critiche ho risposto sul mio bollettino “Una Voce dicentes”, Gennaio-Aprile 2011.
Ma molto di recente un’altra voce s’è aggiunta alla sparuta ma sgomitante schiera dei contestatori. Mi son fatto coraggio, allora, e mi son rivolto all’antico Maestro che m’onora della sua amicizia, chiedendogli di risponder finalmente almeno a qualcuno di questi dissenzienti - soprattutto all’ultimo che, sapevo, con le sue pagine gli avrebbe procurato amarezza -, pur conoscendo la sua ritrosia, il disagio che gl’impediscon di scender nell’agone di vacue dispute. E con mia viva sorpresa m’ha rilasciato un’ampia ed accorata intervista destinata al mio sopra citato bollettino, ma che, ne sento il dovere, volentieri affido in anticipo a qualche blog.
Assieme all’affetto di sempre, a don Brunero il mio più profondo ringraziamento, nell’attesa del terzo testo sul tema Vaticano II. E che Maria Santissima, tanto da lui venerata ed amata, lo sostenga e lo illumini nella santa battaglia in difesa della vera Fede e dell’unica Chiesa di Cristo.

D.P.


D – Caro don Brunero, in questi giorni, come saprà, il Suo nome è oggetto d’un attacco pesantissimo da parte d’un prete che si dichiara Suo ex-alunno. Non gli risponde?

R – Per le rime, no. Anzi, se si trattasse solo della mia persona, manterrei ancor il silenzio che in tutta la mia vita ho mantenuto. Questa volta, tuttavia, ho intenzione di farmi sentire in qualche modo, se pur con molta riluttanza. Non scriverò direttamente una risposta articolata sulle singole tematiche ed accuse, ma complessiva, breve e sostanziale. Ho già in mente dove e come inserirla, al solo scopo di fornire opportuni chiarimenti e quella che mi offri, nonostante la mia idiosincrasia al genere Intervista, è un’occasione d’oro. Non risponderò per le rime, perché rifuggo dall’uso del vetriolo che m’è stato scaraventato in faccia. E vorrei aggiungere che la mia risposta, così come tutta la mia analisi del Vaticano II, parte da quel gesto rivoluzionario che il 13 ottobre del 1962 dette al Concilio un orientamento prima imprevisto. Son convinto che chi non parte di lì non può esser in grado di capirci qualcosa.


D – Se accetta di rispondere, comunque lo faccia, mi par di capire che c’è rimasto male.

R – Certamente non bene, specie perché si tratta d’un attacco portato contro di me da un mio ex alunno, come hai ricordato. Incontro spesso qualcuno che fu alla mia scuola. Son tanti: laici, suore, preti, vescovi e perfino qualche cardinale. Ogni volta è una gioia reciproca ed a me non fa certamente dispiacere sentirmi dire: quando devo parlare sulla Chiesa, prendo in mano i suoi manuali e gli appunti delle sue lezioni. Recentemente un parroco di Roma, rivolto a me dall’altare, ha detto: si tremava un po’ dinanzi al suo rigore, ma non la ringrazieremo mai abbastanza per quello che ci ha dato. L’uscita di don Piero Cantoni, l’alunno di cui mi parli, e dal quale mi sarei aspettato ben altro che vetriolo in faccia, ha rotto l’incantesimo.


D - Se non son indiscreto: c’è qualche motivo per dire che da lui non se l’aspettava?

R – Ce n’è più d’uno e mi trovo un po’ a disagio nel metterli in vetrina. Si tratta soprattutto d’uno stato d’animo. Quando si presentò al Laterano, proveniva da Écone e bastava questo, allora più di oggi, a provocare non poca diffidenza. Seppi da lui le difficoltà che incontrava nella diocesi nella quale si sarebbe incardinato. Aveva il volto triste; non lo vidi mai sorridere. Con lui c’era un suo collega austriaco, egli pure atteggiato a perenne tristezza e, come lui, proveniente da Écone. Mi guardai bene dal fare un sola domanda sui motivi del loro abbandono del ben noto Seminario lefebvriano: fossero transfughi o espulsi, non cambiava le carte in tavola: due esseri umani da aiutare. Così feci, con tutt’i miei limiti, ma con sincerità. Ricordo d’averli portati pure a pranzo insieme. Quanto a Cantoni, anche dopo l’adempimento accademico, lo rivedevo quando ritornava a Roma, m’interessavo alla sua vicenda, mi compiacevo nel costatare il graduale assestarsi della sua situazione. Ho tra i miei ricordi che fu parroco, insegnante e responsabile del Seminario interregionale, fondatore d’un’opera mariana, e varie altre cose. Lo rividi una decina d’anni or sono in un comune del pisano (Fauglia) per un incontro mariano: fu una gioia enorme passare qualche ora insieme, ascoltarlo, ma soprattutto costatare il seguito che riscuoteva da parte di numerosi giovani, di sacerdoti, del Vescovo presente. Tutto confermava il mio giudizio di persona d’altissima intelligenza ed ottima preparazione teologica, lodevolmente impegnata nel servizio ecclesiale. Quando incominciò a mandarmi richieste d’aiuto per la sua opera mariana, sia pur con la consapevolezza della mosca che tira il calcio che può, non me lo feci ripetere. Ora capisci da te perché “non me l’aspettavo”.


D – Certo che capisco. Ma voglio immaginare che non ci sia stato un ribaltamento di posizioni improvviso ed imprevisto. Possibile che non abbia mai intuito qualche discrepanza, qualche riserva, qualche eccezione?

R – Mai, perché mai me ne aveva manifestato neanche un piccolo sintomo. In ultim’analisi, però, non è questo il punto. Dante, di cui tu porti il nome e che conosci molto meglio di me per la tua specializzazione letteraria, direbbe: “…e ’l modo ancor m’offende” (I, 5, 102). I precedenti ai quali ho fatto un sommario riferimento avrebbero consigliato a chiunque, prima di prender la clava in mano e scagliarmela addosso, di sentirmi, di chieder chiarimenti, di contestarmi, riservando un eventuale attacco a dopo che le mie risposte non l’avessero soddisfatto. Ha fatto esattamente il contrario. Contraddetto, peraltro, dal suo collega austriaco che, all’oscuro di tutto, poco prima che la bomba esplodesse, mi scrisse: “E’ un grande onore l’essere stato suo discepolo”.


D – Che si senta offeso dal modo è comprensibile, ma immagino che abbia anche qualche cosa da eccepire nel merito.

R – Sì, e non poco. Se dovessi risponder puntualmente a tutto quanto mi vien rimproverato sia attraverso labussolaquotidiana ed altri siti, sia soprattutto con un intero volume scritto nel modo dottorale e definitorio del “so io ogni cosa e zitti tutti”, dovrei venir meno all’impegno assunto con una pubblicazione che uscirà a marzo 2012 per i tipi di Lindau, nella quale dichiaro che quello è il mio ultimo intervento sul Vaticano II: quanto, infatti, dovevo e volevo dire, l’ho detto; ho avuto riscontri sulla serietà della mia iniziativa da varie e non poche parti; ciò mi basta. Risponderò, dunque, soprattutto per chiarire l’equivoco nel quale don Cantoni è caduto e nel quale potrebbero cader i suoi lettori. Contrapponendo alcuni miei giudizi di oggi ad altri di ieri, o viceversa, egli dimostra la mia doppiezza e la mia contraddittorietà. E’, questa, una conclusione estremamente superficiale; ma potrebb’esser pure estremamente cattiva.
Ogni persona umana, infatti, è in un ininterrotto processo di maturazione. Ho detto altrove che solo le cariatidi non s’evolvono. Ieri ero quello che sono oggi e che sarò domani, ma non allo stesso modo né allo stesso livello di maturazione. Quello che oggi percepisco restava in ombra, o forse era del tutto inavvertito, ieri. E’ avvenuto in me quello che avviene in tutti: è maturata l’età, si son avvicendati impegni e responsabilità che lascian il segno, l’esperienza tocca oggi livelli ieri nemmeno intuiti. Nessuna meraviglia se il giudizio d’ieri non collima, o in parte o in tutto, con quello d’oggi; l’importante è che quello d’oggi indichi i motivi per cui non ripete quello d’ieri. E’ importante, cioè, la fondazione. Dalla quale si potrà sempre dissentire, sempre però riconoscendo la serietà del procedimento fondativo. E’ superficiale il critico che non ne tien conto, ma è cattivo quello che ne fa la premessa per giustificare la conclusione con cui m’addita alla pubblica esecrazione: è un doppiogiochista, è in contraddizione con se stesso. E detta così, sarebbe quasi una carezza, la realtà essendo ben altra.
Oltre alla maturazione, c’è una ragione anche più determinante che non sfiora nemmeno l’anticamera del mio accusatore: da una parte, la “missio canonica” per la quale ero “mandato” ad insegnare la dottrina della Chiesa, non le mie idee; dall’altra, la necessità di non turbare la coscienza della personalità “in fieri” d’ogni mio discepolo. Ebbi la mia bella crisi, che superai solo perché un eminentissimo personaggio e il mio direttore spirituale mi dissero di non abbandonar il mio posto, ma di continuare l’insegnamento con opportune precisazioni, se del caso, tratte dall’ininterrotta Tradizione della Chiesa su quei punti che mi fossero apparsi meritevoli di precisazioni siffatte. E tutt’i miei alunni sanno quanti puntini sulle “i” ho messo: sul “subsistit in” che, invece di condannare come non pochi facevano, giustificai sul piano metafisico; sulla collegialità dei vescovi, ricondotta nell’alveo del primato petrino mentre tutti ne facevano un organo di governo accanto ed analogo a quello del Papa; sull’ecumenismo per strapparlo all’alea del dialogo fine a se stesso e ricondurlo nella sfera dell’ “Unam sanctam”, e così via dicendo.


D – Quindi, Lei afferma che la Sua posizione critica nei confronti del Vaticano II non è di data recente.

R – Sicuramente. Pur non essendo ufficialmente un “perito”, seguivo giornalmente i lavori conciliari come uomo di fiducia (insieme con un collega dell’allora Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi, Mons. R. Pozzi) di S. E. Mons. D. Staffa e gl’interrogativi s’affacciavano e crescevano durante gli stessi lavori conciliari. Posso rivelare a questo riguardo che, qualche tempo dopo, un’alta personalità dell’allora sant’Uffizio e pochi anni dopo il suo successore, oltretutto mio conterraneo, mi convocarono per chiedermi se fosse vero che criticassi il Vaticano II. Al primo risposi che insegnavo ciò ch’egli stesso aveva insegnato a me; al secondo ed al suo invito alla prudenza per non compromettere il mio domani, risposi che dovevo risponder al presente della mia coscienza e che l’unico mio domani era quello di Dio. E già allora sostenevo ciò che ho sostenuto oggi: che il Vaticano II è un autentico e legittimo Concilio ecumenico, il più grande dei 20 che l’han preceduto, con un suo magistero supremo e solenne, ancorché non dogmatico, ma pastorale, e con non pochi interrogativi sulla sua continuità con la Tradizione di sempre.


D – Ma, tutto sommato, di che cosa viene oggi accusato?

R – Un po’ di tutto, dalla disinformazione alla contraddittorietà, dal non aver capito il Concilio alla volontaria manomissione del suo insegnamento, e di questo passo s’arriva fino alla conclusione del “formalmente eretico”.
Mi si dice che ignoro le ripetute asserzioni conciliari di continuità con la grande Tradizione ecclesiale; non è vero, ho detto soltanto che altro è una declamazione ed altro una dimostrazione. E questa, fin ad oggi, è mancata. Mi s’accusa di non conoscere, o non riconoscere, la Tradizione/soggetto, là dove ho solo rilevato, con i grandi storici del dogma e della Tradizione stessa, che questo è solo uno sviluppo della teologia moderna e che, comunque, la Tradizione soggettiva resta costitutivamente legata a quella oggettiva, dalla quale non può allontanarsi né d’un apice né d’un iota; può solo approfondire illustrare precisare senza apporti sostanziali e solo nella linea d’uno sviluppo omogeneo. Si dice equivoca, per questo, la mia posizione sul Magistero vivente della Chiesa, come se ad impedirne la capacità e possibilità d’intervento oltre il limite d’una novità omogenea fossi io e non Gv 14,26 e 16,13-14, nonché il cap. IV dell’ “Æterrni Patris” del Vaticano I. Si ha anzi il coraggio d’appellarsi al Lerinense e al beato Newman la cui dottrina sul progresso dogmatico è quella appena accennata. Si prendon poi, uno ad uno, i testi conciliari che ho criticamente analizzato per negarne la mia interpretazione, con ragionamenti che non stanno né in cielo né in terra. P. es., il famoso GS 22/c (“con l’incarnazione il Figlio di Dio s’unì in certo modo ad ogni uomo”) non dichiarerebbe, sia pur “quodammodo”, il Figlio di Dio unito ad ogni persona, ma alla natura umana d’ogni persona: bel modo di svicolare da una difficoltà, come se il testo non dicesse “cum omni homine” e non chiudesse in tal modo lo spazio ad interpretazioni di comodo: “ogni uomo” è ogni persona umana, il supposito, il soggetto, non la sua natura. Mi si dà sulla voce anche per le mie analisi di DH: chissà se, leggendo domani il libro che ho prima annunciato, nel quale dimostro la non corrispondenza di non poche citazioni bibliche ai testi di DH e di NÆ, ch’esse dovrebbero suffragare, non si ricreda anche un don Cantoni.
Non dico nulla sul giudizio, almeno implicito, ch’egli dà della mia produzione scientifica, di cui sembra degnare d’una qualche considerazione solo quella d’indole ecumenica, perché dovrei parlare di me e non della mia posizione dinanzi al Vaticano II, ch’è invece il vero tema. Può darsi, inoltre, che abbia ragione il mio oppositore a definire involuta, oscura ed ambigua la mia scrittura; perché dovrei preoccuparmene più di tanto, dal momento che son infinitamente più numerosi coloro che mi lodano del contrario? A proposito di lode, non mi son mai lodato d’appartenere alla gloriosa Scuola Romana, come dichiara don Cantoni, pur essendo grato a chi in essa mi riconosce. No, su me in quanto me, “ne verbum quidem”.
Aggiungo un’osservazione. Nella storia il “conciliarismo” è conosciuto come l’eresia che sottomette il Papa al Concilio ecumenico; nel sottotitolo del libro che mi tartassa, Cantoni scrive: “riflessioni sul Vaticano II e sull’anticonciliarismo”, ovviamente pensando a me come “anticonciliarista”. Stando all’accennato significato storico della parola “conciliarismo”, son fiero d’essere “anticonciliarista”.


D – Caro don Brunero, mi pare che un quadro come quello che ha descritto meriti molto più d’una semplice intervista. E’ proprio dell’avviso di non volerci rimetter le mani sopra?

R – Sì, caro Dante. Spero che altri portino avanti il discorso iniziato. Gl’indizi non mancano. Son già in cantiere due congressi per il cinquantenario del Vaticano II: l’uno, nel 2012 per celebrar i cinquant’anni dall’inizio e l’altro per il 2015 per i cinquant’anni dalla fine. Chissà che non sia l’occasione buona per rimetter in sesto una situazione che, sotto l’azione della famigerata volgata, s’è ammalata d’elefantiasi, fin a fare del Vaticano II o l’unico Concilio della Chiesa, o la sintesi del magistero ecclesiale di tutti gli altri. Io ho fiducia. Se è vero, come sembra, che già si comincia a concedere d’interpretare “con libertà” qualche dichiarazione conciliare, vuol dire che siamo sulla strada buona e ne ringrazio il buon Dio. Così come ringrazio te, per la tua intervista.

D.P. – No, sono io che ringrazio Lei per avermela concessa.



Fonte: http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV206_Interv_Gherardini_su_Cantoni.html

giovedì 29 settembre 2011

Omelia di padre Tyn su san Raffaele Arcangelo





di Padre Tomáš Josef Maria Tyn

Essere per Essenza ed essere per Partecipazione. Creazione e natura degli Angeli.
Oggi 24 ottobre la liturgia dei tempi antichi prevedeva una memoria particolare di san Raffaele [secondo la nuova liturgia è il 29 settembre, ndr]. Perciò penso che la festa odierna, che tributa un onore particolare a questo Arcangelo, uno dei sette che stanno davanti al volto del Signore, ci sproni a meditare anzitutto sulla bontà, sulla misericordia e sulla grandezza di Dio onnipotente, il quale manifesta la sua bontà e la sua perfezione. Cari fratelli, Dio è pienezza dell’essere, non è causato da un altro essere superiore ed è la causa causante incausata di tutte le cose. La pienezza dell’essere non può ricevere altro essere da altri. Dio è l’oceano dell’essere, come dicevano i Padri della Chiesa. San Tommaso scisse: "Deus est actus purus essendi". Dio è l’atto puro dell’essere. Perciò Dio non può essere causato.

C’è un altro punto su cui dobbiamo riflettere: Dio, se da un lato non può essere causato, dall’altro non è tenuto a causare. Molti pensatori hanno affermato che Dio è quasi obbligato a creare l’uomo. Pensate per esempio all’emanazionismo dei neoplatonici; pensate più di recente al sistema hegeliano. Hegel ha osato affermare che "senza il mondo, Dio non sarebbe Dio". Questa prospettiva sembra obbligare il Signore a creare il mondo. Invece il dogma cattolico e la sana ragione metafisicamente approfondita ci dicono che Dio, pienezza dell’essere, è sovranamente libero nel chiamare all’essere le cose che non sono, come dice anche san Paolo apostolo nella Lettera ai Romani. Le cose prima della loro creazione non sono. Dio ex nihilo le pone in essere, ossia dal loro non-essere, senza alcun oggetto preesistente, le pone in essere e in tutto il loro essere. Il loro essere quindi non è assoluto, come Dio che è l’Essere per essenza, l’Ipsum Esse, essere sussistente, come dice San Tommaso, ma è solo l’essere per partecipazione, essere ricevuto da Dio, per comunicazione della Cosa prima, che è Dio. La creazione non ha altro motivo se non la sovrana libertà del Signore. Ma anche la libertà di Dio non è una forma di arbitrio indifferente rispetto al bene e al male, bensì è motivata, è finalizzata, si innesta nella perfezione della finalità. Nonè indifferente il bene dal male, così che Dio possa scegliere il male, ma è indifferente solo nel bene, così che Dio può scegliere un bene anziché un altro. Cosa vuole Dio? Non certo un bene da cui egli debba dipendere, ma un bene che egli stesso crea. Quindi la creazione è l’espressione di una bontà e di una saggezza perfettamente libere del Signore.

Cari fratelli, noi con la nostra mentalità immanentistica e materialistica siamo talmente infatuati di noi stessi e talmente immersi nel "sensibile", che tendiamo a dire che il mondo basta a sé stesso e spiega sé stesso. Ci sono alcuni sciagurati (che ormai hanno rinunciato alla loro razionalità) i quali affermano che non c’è un perché, non c’è una causa, tutto è nato per caso. Questo offende non solo il Signore (cosa già molto grave), ma anche la ragione umana, che postula il principio di causalità. Non solo lo postula, ma lo ritiene assolutamente evidente, limpido e chiaro. Cioè tutte le cose, tutti gli esseri finiti che hanno ricevuto l’essere, sono causati da qualcuno. Da chi, se non da colui che è la pienezza dell’essere e non riceve l’essere da nessuno?

Quindi il Signore, nella sua infinita bontà, chiama all’essere le cose che ancora non sono. In questa sua opera di creazione egli è motivato dall’amore di quel sommo bene che è lui stesso. Infatti l’oggetto primario dell’amore di Dio e della sua volontà non può che essere Dio stesso. Già Aristotele ebbe l’intuizione che Dio è spirito, dunque la concezione di un Dio personale. La Scrittura dice la stessa cosa (cfr. Gv 4, 24). Aristotele si esprime un po’ diversamente, ma la sostanza è identica, cioè dice: "Dio è pensiero", pensiero in quanto è qualcosa di spirituale, non di materiale. Ora — dice Aristotele — Dio è il solo pensiero, pensiero sussistente, perché è sommamente perfetto. Il pensiero dipende dalla cosa pensata, tanto che si parla di dipendenza del soggetto dall’oggetto. Perciò Dio, se è il sommo pensiero, deve pensare il sommo pensabile, e il sommo pensabile è la verità più grande che ci sia. Qual è la verità più sublime? È la verità stessa di Dio. Allora Aristotele conclude in quella pagina stupenda della sua Metafisica: "Se dunque l’intelligenza divina è ciò che c’è di più eccellente, pensa sé stessa e il suo pensiero è pensiero di pensiero", (Arist., Metaph. 1074b34). È splendido! Ecco un esempio di praeparatio evangelii tramite il pensiero dei filosofi pagani.

Dio è pensiero pensante sé stesso. Potremmo dire che Dio è anche amore che ama il sommo bene, cioè sé stesso. Spesso viene mossa un’obiezione piuttosto sciocca da anime (anche buone) che si scandalizzano: " Il Signore, se ama solo sé stesso, è un grande egoista, cioè un accentratore di tutte le cose a sé ". Semmai è un egoista molto decentratore, perché da quell’amore che Dio ha per sé scaturisce la vera perfezione di ogni creatura. Infatti non c’è bene che non sia esemplato sull’esemplare che è il sommo bene, cioè su Dio.

Dio è sommamente benevolo e disinteressato nel suo amore, perché pone in essere le creature a somiglianza del suo essere increato. È chiaro che l’essere di Dio non è creabile. Quindi Dio non può porre alla propria altezza nessuna creatura. Sarebbe una contraddizione creare l’increato. Perciò tutte le creature sono meno di Dio: sono enti per partecipazione. Nella dovizia delle creature Dio manifesta l’unica, somma, infinita sua bontà.

Il Signore fa risplendere nel creato non tutta la sua bontà, ma un riflesso di essa. Il creato è una teofania, come ebbero a dire, sia pure correndo un certo pericolo di panteismo, Giovanni Scoto Eriùgena e Giovanni Duns Scoto: "Tutte le creature sono simbolo di Dio e hanno una bontà intrinseca, che è segno di una bontà ben più grande, la bontà di Dio".

È stupendo pensare alla volontà e all’intelligenza di Dio che si manifestano nella creazione. È molto bello vedere come proprio Dio, volendo il bene della creatura,vuole per essa il bene della partecipazione al suo Essere divino, quindi le creature ricevono da Dio quell’essere e quella perfezione che sono loro propri. È questo il momento che è, oserei dire, dell’autonomia della creatura, della sua propria consistenza ontologica. Dio non riduce le creature a sé, come pensava Spinoza (il quale affermava che le creature fossero solo dei modi dell’unica sostanza divina). Questa è un’eresia. Tutte le creature hanno una loro sussistenza, sono delle sostanze create che sussistono in sé. Dio, dunque, nella creazione si manifesta "decentratore", ma nel contempo la relativa autonomia delle creature dipende da Dio, perché da Dio derivano alle creature l’essere e la perfezione.

Tutto questo discorso sulla creazione quale attinenza ha con gli Arcangeli? L’attinenza esiste ed è profonda. Noi pensiamo solo alle creature dell’ordine sensibile e materiale. Invece il Signore nel creare, proprio perché creando ama e amando crea, cerca sempre la maggiore perfezione dell’universo, per far risplendere la sua similitudine. Questa è la saggezza di Dio, come disse colui che giustamente viene chiamato Angelicus doctor, perché spesso parla degli Angeli oltre che imitarli con la purezza della sua vita santa. Nelle creature sensibili appare certamente qualche cosa della bellezza di Dio, ma molto di più essa appare nelle creature puramente intellettive, cioè negli angeli (che sono puri spiriti).

Quando meditiamo sugli Angeli, ne abbiamo un’idea inadeguata. Essi sono delle entità grandissime, intermedie tra Dio e l’uomo. Ci superano in maniera incommensurabile. Mi commuove pensare che il Signore, pur avendo creato degli esseri così infinitamente, così sproporzionatamente superiori a noi, tuttavia ce li mandi come messaggeri al fine di aiutarci e proteggerci, come diceva S. Gregorio Magno. Angelo è nome di funzione, non di sostanza o di natura; quindi quelle sostanze dette "separate", di cui parlava Aristotele (persino Aristotele conosceva in qualche misura gli angeli), ebbene quelle sostanze separate e immateriali sono inviate da Dio perché ci "custodiscano" e pensino al nostro bene. Pensiamo a questo punto alla missione dell’Angelo custode.

Come abbiamo una filiale familiarità con il Signore, è giusto averla anche con gli Angeli che il Signore dèputa alla nostra custodia. Oggi abbiamo letto nel libro deuterocanonico di Tobia che Tobia fu risanato dall’angelo Raffaele, il cui nome significa appunto "Dio guarisce". Cari fratelli, rendiamoci conto della misericordia del Padre nostro che è nei cieli. Come sono grandi questi esseri che egli destina a proteggere la nostra pochezza e fragilità!

Per darvi un’idea di quanto siano grandi gli Angeli, basterebbe dire, in termini tecnici, che essi non sono individuati tramite la materia (infatti sono immateriali, cioè puri spiriti),ossia in ogni individualità angelica non c’è, come negli esseri umani, una materia corporale che divide la specie in tanti individui, come avviene in noi, ove la specie umana si divide in tanti individui, ma ciascuno di loro rappresenta in sé tutta la specie angelica. Tento ora di spiegarmi: noi siamo uomini e ciascuno di noi, nella sua individualità, esprime in piccolissima parte la perfezione di ciò che è esser uomo (cioè, come diceva Platone, la perfezione dell’idea d’uomo). Pensate come sarebbe grande quell’uomo che, nella sua individualità, esprimesse da solo tutta la perfezione di ciò che è essere uomini. Ebbene, questo sono gli Angeli, il genere Angelo non ha sotto di sé molti individui, ma soltanto molte essenze specifiche, ciascuna delle quali è una individualità e una persona per conto proprio. Ciascuno di loro, nella sua individualità, esprime tutta la specie angelica. Cosa stupenda, della quale avremo sufficiente avvertenza solo quando la nostra anima si spoglierà del corpo, per far compagnia — così speriamo — agli Angeli beati, ai santi nella Gerusalemme celeste.

Cari fratelli, vorrei invitarvi in questa festa di san Raffaele arcangelo a pensare alla bontà di Dio, il quale ha creato, al di là del mondo sensibile, quelle creature angeliche, delle quali non abbiamo nessun concetto, creature sovrumane e intellettive che, in maniera infinitamente più perfetta di quanto possiamo fare noi, esprimono la saggezza e la bontà. Poi pensate anche che gli Angeli, sostanze immateriali, separate, infinitamente superiori a noi, esprimono ciascuno la perfezione di ciò che è essere Angeli. Infine pensate alla bontà del Signore, che deputa gli Angeli alla nostra custodia. Presentandosi a Tobia e a Tobi, Raffaele dice: "Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti a entrare alla presenza della maestà del Signore" (Tb 12, 15). Dei sette angeli conosciamo il nome soltanto di tre: san Michele, san Gabriele e san Raffaele. Il primo significa "Chi è come Dio?"; il secondo "Dio si è mostrato forte"; il terzo "Dio guarisce". Ognuno di questi nomi cela un significato mistico e sempre benefico nei riguardi dell’uomo. San Michele arcangelo difende i diritti di Dio e s’oppone a Satana, l’avversario per eccellenza; san Gabriele manifesta la grandezza dei decreti divini e perciò è deputato a recare i messaggi più sublimi, come quello a Maria Vergine; san Raffaele è l’angelo guaritore per eccellenza. Allora, poiché ben sappiamo quante sono le piaghe dell’anima nostra, supplichiamo l’arcangelo Raffaele affinché, per mezzo della sua angelica illuminazione, il Signore ci guarisca, ci purifichi, ci santifichi e ci faccia interamente suoi, in attesa di partecipare un giorno alla gioia degli Angeli e dei Santi in cielo. Così sia.

San Michele Arcangelo patrono della Chiesa cattolica (29 settembre)




Sancte Míchael Archángele, defénde nos in prælio, contra nequítiam et insídias diáboli esto præsídium. Imperet illi Deus, súpplices deprecámur: tuque, Prínceps militiae cœléstis, Sátanam aliósque spíritus malígnos, qui ad perditiónem animárum pervagántur in mundo, divina virtúte, in inférnum detrúde.
Amen.

mercoledì 28 settembre 2011

Ogni 5 minuti un cristiano viene ucciso


di Luca Caruso

Rai Vaticano | 27 Settembre, 2011


Sono 105mila i cristiani uccisi ogni anno nel mondo a motivo della loro fede, uno ogni cinque minuti. Una cifra impressionante, intorno alla quale si è discusso durante il convegno di sabato scorso presso l’aula magna della Pontificia Università Lateranense. Emblematico il titolo, che riprende le parole del messaggio della Madonna a Fatima nel 1917: “«I buoni saranno martirizzati» – La persecuzione ai cristiani nel secolo XXI”.

L’appuntamento – cui sono intervenuti mons. Luigi Negri, Massimo Introvigne, padre Bernardo Cervellera e Magdi Cristiano Allam, insieme a un numeroso uditorio – ha inteso celebrare i 20’anni dell’associazione Luci sull’Est, nata nel 1991 per promuovere e sostenere i valori fondanti della cristianità nella vita di tutti i giorni, specie tra le popolazioni duramente provate dalla dittatura comunista. In apertura dell’incontro Julio Loredo, portavoce di Luci sull’Est, ha ricordato come “nel suo discorso alla Curia il 20 dicembre 2010, Benedetto XVI ha utilizzato per la prima volta il termine ‘cristianofobia’, a segnalare la gravità di un fenomeno su cui troppe volte si è preferito chiudere gli occhi: la feroce persecuzione che colpisce i cristiani nel mondo di oggi, specie nei Paesi a maggioranza musulmana”.

Vittime e carnefici.

“Da Gesù Cristo al 2000 si contano 70 milioni di martiri cristiani, 45 milioni dei quali solo nel XX secolo, da Giovanni Paolo II definito ‘il secolo dei martiri’” – afferma il sociologo Massimo Introvigne, rappresentante per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione presso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, citando una statistica di David Barrett. Il massacro è proseguito al ritmo di 160mila cristiani l’anno nel primo decennio del XXI secolo, mentre sono 105mila i martiri stimati per il 2011, uno ogni 5 minuti.

“Ma chi sono i loro assassini? - si è chiesto Introvigne -. Di essi, persone potenti che comprano i nostri buoni del Tesoro, con cui facciamo commerci, da cui dipendiamo per le fonti energetiche, non si può parlare. Ne parla quasi esclusivamente il Papa, chiedendo la libertà religiosa e la fine della persecuzione dei cristiani”. “Nel suo discorso al Corpo diplomatico nel gennaio 2011 – ha ricordato il sociologo –, il Papa ha fatto una mappa. Vi sono quattro gruppi che perseguitano i cristiani: il fondamentalismo islamico, specie in Pakistan; i Paesi totalitari di stampo comunista, come Corea del Nord e Cina; i nazionalismi religiosi, come in India e Indocina. Infine il fenomeno in Occidente: si parte dall’intolleranza, si passa alla discriminazione, poi si arriva all’aggressione e alla violenza. In Francia – secondo la polizia locale – ogni due giorni v’è un attacco ad una chiesa”. “Il panorama è molto triste – ha concluso Introvigne –, ma dobbiamo sapere che il mondo ci odia perché oscuramente sa che alla fine vinceremo noi”.

Ideologia e martirio.

“Nel martirio dei cristiani si esprime in maniera straordinaria quella potenza del principe delle tenebre che combatte fin dal primo giorno nei confronti di Cristo e del suo regno”, riflette mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro. “Il martirio – ha proseguito il presule – nasce da un’impossibilità di cogliere l’evento di Cristo dentro il quadro dell’ideologia”, che è “il tentativo dell’uomo di comprendere se stesso e la realtà sulla base delle proprie capacità intellettuali, morali e politiche”. Per tutte le ideologie “l’uomo è Dio a se stesso” e “la verità ideologica si afferma nell’esclusione dell’altro”. “L’ideologia che domina il nostro mondo è particolarmente forte – denuncia Negri –, è l’ideologia del progresso tecnologico scientifico, è l’ideologia delle sette protestanti radicali, animate da un odio feroce verso il cattolicesimo, che combattono strappando uno ad uno i nostri migliori per inserirli dentro strutture ampiamente evolute dal punto di vista economico, perché si servono di enormi mezzi messi a disposizione dalle logge massoniche inglesi e americane e dalla grande finanza di matrice ebraica”.

Un “potere decisamente anticattolico” che, tessendo “alleanze inedite e per certi aspetti incomprensibili” con l’islamismo, “vuole anzitutto distruggere Cristo e la Chiesa”, vista come un “cancro che da 2000 anni affligge l’umanità, con la sua pretesa di legare l’uomo a Dio”. Si tratta di “un’opposizione radicale ed insanabile fra l’ideologia fondata sull’autosufficienza dell’uomo e la fede cattolica che professa solo nella misericordia di Dio la possibilità della salvezza”. Questa “improvvisa e terribile stagione di martirio” deve però spingere i cristiani ad un “ripensamento” sulla propria “identità e responsabilità di fronte al mondo”, ha esortato Negri. Per poi concludere: “I martiri ci sono e ci costringono ad essere cristiani autentici, appassionati testimoni di Cristo, inesorabili comunicatori della sua vita divina a tutti gli uomini che incontriamo nel nostro cammino quotidiano”.

Rinascita della fede in Cina.

Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews e tra i massimi conoscitori della realtà cinese, testimonia “che la Cina è cambiata tantissimo, per sviluppo, eleganza, ricchezza, ma la persecuzione religiosa è rimasta sempre quella. Il progetto di una Chiesa indipendente nazionale continua infatti dal 1958 ad oggi”. Ordinazioni illecite, vescovi imprigionati, “la situazione è molto dura – narra il religioso – perché vescovi ufficiali e sotterranei sono controllati, spesso condotti a convegni nei quali si esalta la politica del partito comunista”. Eppure, sostiene Cervellera, “in Cina c’è una grande rinascita religiosa”. “Il materialismo sta sbriciolandosi di fronte alla richiesta fortissima di valori spirituali”, nota. “Ci sarebbero almeno 150mila battesimi all’anno di adulti cattolici. Mentre il governo continua a predicare che ricchezza e potere sono la cosa più importante, c’è ancora molta gente che cerca la Verità, la fede”.

Ecco allora il motivo della persecuzione: “finché i bisogni sono quelli materiali, il partito ha in mano l’uomo. Ma quando il bisogno diventa spirituale, il partito non sa che cosa fare, tu diventi libero e sfuggi al suo controllo, perché c’è una parte di te su cui il partito non ha potere”. Mentre “l’uomo che non ha la dimensione religiosa può essere ghermito facilmente, perché è un oggetto nelle mani del potere”, “la religione assicura un fondamento alla dignità della persona, dei diritti inalienabili che lo stato gli deve riconoscere”. Ancora oggi, tuttavia, “il partito comunista cinese viene sostenuto soprattutto dall’Occidente, perché tutti si inchinano al potere economico cinese, hanno bisogno dei fondi monetari della Cina. Tutti allora tacciono sull’aspetto dei diritti umani”.

Cristianesimo e Islam.

Secondo Magdi Cristiano Allam, giornalista ed eurodeputato, musulmano convertitosi al cattolicesimo e battezzato da Benedetto XVI la vigilia di Pasqua del 2008, “v’è un rapporto di interdipendenza tra la fragilità interna al cristianesimo là dove i cristiani sono maggioranza, e la loro persecuzione dove sono minoranza. Per Allam, in Cina, India, Corea del Nord la persecuzione dei cristiani avviene per ragioni ideologiche, nel caso dell’Islam, invece, per cause religiose. “L’Islam considera ebraismo e cristianesimo come delle deviazioni dalla retta via, e gli ebrei e i cristiani come degli eretici. L’Islam si pone come sigillo della profezia e si considera come l’unica, vera religione. Pertanto la conversione all’Islam di ebrei e cristiani è la ragione stessa della sua presenza”. “Oggi – continua Allam – si sta ripetendo quello che accadde nel VII secolo, dove la sottomissione all’Islam di popolazioni e territori cristiani avvenne sia per l’aggressività degli eserciti islamici – furono perpetrati massacri e stragi – sia soprattutto per la fragilità interna alle comunità cristiane”.

"Non è un caso che Benedetto XVI abbia deciso di promuovere un dicastero per la nuova evangelizzazione colla consapevolezza che questa nostra Europa e l’Occidente si è a tal punto scristianizzato da necessitare di essere rievangelizzato”, osserva il giornalista. Allam ha anche rievocato che nel 2004, in una lectio magistralis sulla nascita e l’evoluzione dell’Europa, l’allora cardinale Ratzinger parlò di un “Occidente che odia se stesso, evidenziando che esso è più incline a salvaguardare le istanze altrui che non a difendere la propria fede, i propri valori, la propria identità. Lo stesso cardinale notò che se si oltraggia un’altra religione tutti si indignano e condannano, se invece si oltraggia il cristianesimo, la Chiesa e il Papa, solo in questo caso si dice che è libertà d’espressione”.

“Alla base della nostra fragilità – ritiene Allam – c’è il venir meno delle nostre radici, della nostra fede, dei valori non negoziabili, della nostra identità, della nostra civiltà. Ci concepiamo come se fossimo una landa deserta e inevitabilmente finiamo per essere percepiti come una terra di conquista. O saremo in grado di riconquistare la certezza di chi siamo – avverte –, oppure inesorabilmente finiremo per scomparire come civiltà, perché piaccia o meno la nostra civiltà si fonda sul cristianesimo”. “La nostra missione è quella di dare un’anima all’Italia, all’Europa, all’Occidente, al mondo” esorta Allam. Contro le pretese di “un’ideologia capital-comunista che idolatra il dio denaro”, ha concluso, “dobbiamo essere capaci di testimoniare Gesù Cristo”.

martedì 27 settembre 2011

I Ministeri laicali



Pubblichiamo un altro articolo di Don Enrico Bini, redatto nel febbraio del 1988, apparso sulle pagine di una rivista diocesana, in risposta alla domanda di un lettore.



Spett.le Redazione, in una recente conversazione con alcuni laici impegnati in parrocchie della nostra città, il discorso è caduto sul problema dei ministeri "istituiti" affidabili anche ai laici, che si distinguono dai ministeri detti "ordinati". Vi confesso di non aver ben compreso questa distinzione che mi è risultata totalmente nuova. Inoltre nella chiesa che frequento normalmente vi sono uomini e donne che distribuiscono la S. Comunione, mi è stato detto che sono ministri "straordinari" dell'Eucarestia. Da tanti anni partecipo alla vita della Chiesa, ma non avevo mai sentito parlare di tutte queste denominazioni, e devo confidarVi il mio disorientamento.

(Lettera firmata – Prato)

***



L'amico che ci scrive coglie un problema sentito da tanta parte del nostro popolo. La delicatezza della situazione è emersa anche nel recente Sinodo dei Vescovi, dove si è chiesto di poter rivedere tutta la materia. Anch'io condivido le perplessità dell'amico che ci scrive, e per facilitare la comprensione riassumerò, brevemente, alcune personalissime opinioni.

a) Nel 1972 con il documento "Ministeria Quaedam" sono stati aboliti gli antichi ordini minori e sono stati creati due ministeri del lettorato e dell'accolitato, non più collegati con il sacramento dell'Ordine, e quindi affidabili ai laici. Secondo il documento si diventa chierici soltanto con l'ordinazione diaconale.

Si è mutato così una prassi antichissima e veneranda che risaliva ai primordi della chiesa. Infatti, nella chiesa di Roma al tempo di Papa Cornelio vi era già tutta una serie di compiti che erano affidati a persone, non destinate al sacerdozio, ma che tuttavia entravano a far parte dell'ordo cleri.

La tradizione teologica, tranne rare voci, aveva sempre attribuito un preciso valore sacramentale a questi uffici. Basti pensare alle penetranti riflessioni sull' argomento di S. Tommaso d' Aquino, S. Bonaventura, S. Roberto Bellarmino, per non citare che i più grandi.

Lo stesso magistero solenne della Chiesa è intervenuto a più riprese. Il concilio di Firenze, ad esempio, nel decreto "pro Armenis" enumera gli ordini minori e li mostra come gradi del sacramento dell'Ordine, stabilendo per ciascuno di essi la materia e la forma sacramentale. Lo stesso concilio di Trento si è occupato dell'argomento nella sessione XXIII. La lettura dei canoni evidenzia che l'intenzione dei padri conciliari era di considerare il valore sacramentale degli ordini minori di cui si ribadisce la presenza, l'utilità dovuta al fatto che essi fanno parte della gerarchia ecclesiastica.

b) Risulta molto chiaro che la distinzione tra ministero istituito e ordinato, entrato così massicciamente di moda nel linguaggio ecclesiale, non è precisa come si vorrebbe. Se ci confrontiamo con la gloriosa e costante tradizione della Chiesa vediamo che non si sono mai considerati laici dei cristiani che avevano ricevuto un qualsiasi grado anche il più inferiore dei ministeri.

Nel contempo, tuttavia, la Chiesa ha sempre riconosciuto che i quattro ordini minori del lettorato, accolitato, esorcistato e suddiaconato hanno una origine chiaramente ecclesiastica. Solo in questo ed unico senso i ministeri possono dirsi "istituiti".

Nell'attuale temperie il termine "istituzione" è divenuto sinonimo di una realtà che non ha alcuna valenza sacramentale. Mentre la teologia classica, pur considerando la natura storica dei ministeri, li ha sempre considerati anche sotto il profilo della loro partecipazione al sacramento dell'ordine, ed in particolar modo del diaconato. In quest'ultima prospettiva veniva salvaguardata la sacrosanta verità che ogni servizio ecclesiale deve avere un collegamento esplicito al ministero degli apostoli. Questo significa che tutti i ministeri sono ordinati e orientati al Sacramento dell’'Eucarestia , in qualsiasi grado.

A questo livello si può comprendere la distinzione tra chierici e laici, che nella attuale situazione è in verità un po' fumosa. Basterebbe leggere gli articoli della Somma Teologica di S. Tommaso riguardanti gli ordini minori. Il grande santo teologo afferma "per quemlibet ordinem aliquis constituitur supra plebem, in aliquo gradu potestatis ordinatae ad sacramentorum dispensationem" (uno di qualsiasi ordine viene costituito superiore al popolo in vista della distribuzione dei sacramenti).

La tesi tomista non lascia adito a confusioni. Per S. Tommaso il concetto di ministero laicale o affidabile ai laici è una contraddizione.
Questo risulta dal fatto che sia in oriente sia in occidente la teologia non ha mai definito nel passato il termine "ministero laicale".

c) Nella attuale legislazione non sono stati ancora ben definiti gli effetti di questi ministeri di nuovo conio. La teologia ci insegna che il sacramento dell'ordine, insieme a battesimo e cresima, hanno come effetto l'impressione del carattere. Non è questo il luogo per affrontare un tema cosi complesso, tuttavia, la dottrina del carattere si fonda deduttivamente a partire dalla non iterabilità del sacramento.

Applicato ai ministeri siamo di fronte ad un fatto nuovo nella teologia sacramentaria. Infatti i nuovi ministeri non collegati al sacramento dell'ordine e a nessun altro sacramento, producono un effetto che ha una natura spiccatamente sacramentale, dal momento che anch'essi non sono ripetibili. Si potrebbe ipotizzare che i ministeri istituiti possano avere una connessione con la vocazione battesimale e cresimale. Se questa prospettiva fosse pertinente si giungerebbe ad una vanificazione pratica dei ministeri stessi. Dal momento che tutti i cristiani sono non solo potenzialmente, ma anche virtualmente già lettori e accoliti in forza dei sacramenti dell'iniziazione.

d) Ci sono due altre conseguenze da sottolineare. Se i ministeri istituiti sono affidabili e laici, perché negare questi ufficii liturgici, come avviene oggi alle donne?

Si comprendono le rimostranze e le richieste fatte nell'ultimo Sinodo dei Vescovi. Se la logica ha un senso anche in campo teologico, i principi oggi dominanti non possono non condurre ad ipotizzare l'accesso delle donne ai ministeri laicali.

La teologia classica aveva una soluzione perlomeno chiara. Se i ministeri istituiti hanno una precisa partecipazione al sacramento dell'ordine, le donne non hanno alcun ministero da svolgere. Purtroppo nella attuale situazione si alimenta l'equivoco dei fedeli, perché il magistero sembra in bilico tra il possibile e il proibito con una scarsa attenzione alla univoca tradizione del passato.

La seconda conseguenza dell'attuale prassi si riflette in campo ecumenico. Infatti, nella chiesa ortodossa e orientale sono ammessi due ordini minori con piena dignità sacramentale, il lettorato e il suddiaconato che fanno entrare il laico nell'ordine clericale.

La concezione orientale era perfettamente simmetrica alla chiesa cattolica fino alla nuova normativa sui ministeri del 1972. Forse questa banalissima constatazione dovrebbe far riflettere sulla mutazione introdotta, che non faciliterà il cammino ecumenico.

Caro amico, non sia sorpreso di queste conseguenze a cui si giunge con l'apparente ed innocua distinzione tra i ministeri laicali e quelli ordinati, perché in teologia come in metafisica può avvenire quello che constatò il filosofo Aristotele che scrisse nel "De coelo", "parvus error in principio, magnus est in fine".

e) L'ultimo quesito del nostro amico che ci ha scritto mostra lo sconcerto di molti fedeli, che vedono salire all'altare la domenica dei laici che distribuiscono la S. Comunione. Non si tratta di un problema nuovo.

I vecchi manuali di teologia prevedevano che in casi di estrema necessità, come in caso di pestilenze anche un pio laico potesse distribuire l'eucarestia. Il nuovo codice del canone 230 sottolinea il fatto che i ministri straordinari dell' eucarestia devono intervenire in caso di mancanza dei sacerdoti o dei diaconi. Infatti, è giusto che la Chiesa non voglia, nella sua grande bontà, privare del grande dono dell'eucarestia, i suoi figli.

Forse in questi anni si è abusato ampiamente di questa concessione, giungendo ad interpretazioni discutibili ed arbitrarie del concetto di necessità. Un esempio ci proviene dalla nostra diocesi di Prato, dove secondo il calendario liturgico della Toscana per il 1988, sono in funzione 193 ministri straordinari, abbiamo il rapporto di un "ministro" ogni 207 cattolici praticanti. Non le sembra che si sia superato ampiamente il criterio voluto dalla Chiesa della mancanza di sacerdoti e diaconi?

Le consiglierei di leggere i bei documenti del papa Giovanni Paolo II sull'eucarestia, usciti nel 1980, dove viene ribadita l'equilibrata posizione cattolica sull'argomento. Non posso dilungarmi su questo problema, anche se sono noti a tutti gli abusi contro le disposizioni vigenti e che provocano confusione e scandalo nella gente. C'è da augurarsi, carissimo amico, che si giunga ad una riconsiderazione della prassi attuale in una materia tanto delicata.


Don Enrico Bini - febbraio 1988

lunedì 26 settembre 2011

Dimissioni del Papa… Preghiamo che Dio ce lo conservi a lungo




di Antonio Socci


Per ora è una voce (un’ipotesi personale di Joseph Ratzinger) e spero che non diventi mai una notizia. Ma poiché circola nelle più importanti stanze del Vaticano merita molta attenzione.

In breve: il Papa non scarta la possibilità di dimettersi allo scoccare dei suoi 85 anni, ovvero nell’aprile del prossimo anno.

Che Ratzinger ritenga possibile questa scelta è noto almeno dal 2002, quando si dovette studiare l’eventualità con l’aggravarsi della malattia di Giovanni Paolo II.

Ma Ratzinger è tornato sull’argomento anche da Papa. Nel libro intervista “Luce del mondo”, uscito nel 2010, interpellato dal giornalista Peter Seewald, ha dichiarato: “Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto ed in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi”.

Oggi papa Benedetto sembra veramente in forma, eppure si pone il problema della sua età e delle sue energie: “a volte sono preoccupato” ha confidato a Seewald “e mi chiedo se riuscirò a reggere il tutto anche solo dal punto di vista fisico”.

Con l’enorme mole di lavoro che sta facendo per la Chiesa e l’immenso carico di responsabilità spirituale che porta, il Papa ha affermato nel 2010 di sentire tutto il peso dei suoi 83 anni: “confido nel fatto che il buon Dio mi dà la forza di cui ho bisogno per fare quello che è necessario. Però mi accorgo anche che le forze vanno diminuendo”.

Egli sa di essere “ai limiti dell’umanamente possibile a quell’età”.

E’ in questo contesto che è nata in lui l’ipotesi (per ora solo un’ipotesi) di cogliere il passaggio degli 85 anni per passare la mano. Tuttavia lui stesso aveva dichiarato un problema morale.

A Seewald infatti – che l’aveva interpellato durante la terribile tempesta legata allo scandalo della pedofilia – il papa aveva spiegato:

“Quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perché questo sicuramente non è il momento di dimettersi. E’ proprio in momenti come questo che bisogna resistere e superare la situazione difficile. Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più. Ma non si può scappare proprio nel momento del pericolo e dire. ‘se ne occupi un altro’ ”.

Oggi quella terribile tempesta, che Benedetto XVI ha definito “la peggiore persecuzione”, ormai sembra sia stata superata dalla Chiesa proprio grazie alla guida limpida e santa di questo pontefice che ha saputo chiedere perdono e insegnare umanità e umiltà (a Malta, un rappresentante delle vittime di abusi, Joseph Magro, dopo l’incontro col Santo Padre, ha dichiarato: “Il Papa ha pianto insieme a me, pur non avendo alcuna colpa per ciò che mi è accaduto”).

Tuttavia il momento della Chiesa è sempre duro e c’è un accanimento particolare proprio nei confronti di questo pontefice. Il filosofo ebreo francese Bernard Henri Lévy ha denunciato che tutte le volte in cui si parla di Papa Ratzinger “la discussione è dominata da pregiudizi, da insincerità fino alla più completa disinformazione”.

Quanto più si conosce questo uomo di Dio come un padre mite, sapiente, umano, tanto più sembra scatenarsi la corsa a demonizzarlo o umiliarlo.

Basta scorrere le cronache delle ultime settimane: il 13 settembre c’è chi addirittura vuole trascinarlo davanti al tribunale dell’Aja con la surreale accusa di “crimini contro l’umanità”, intanto dalla Germania arrivavano voci ostili al viaggio pontificio, il 20 settembre Umberto Eco lancia la sua ridicola bocciatura del papa come teologo sostenendo che perfino “uno studente della scuola dell’obbligo” argomenterebbe meglio di lui.

In questi giorni in Germania è stato accolto da varie manifestazioni ostili e secondo un sondaggio due terzi dei cattolici tedeschi (allo sbando per decenni di guida progressista della chiesa teutonica) hanno definito “per niente o poco importante” per sé la visita del Papa.

Mentre cento parlamentari si sono assentati polemicamente quando lui doveva parlare al Bundestag.

Tanta intolleranza e tanti pregiudizi risultano ancor più immotivati vista l’ammirazione generale che poi ha suscitato il discorso del Pontefice al parlamento tedesco (è sempre così: anche con il viaggio in Gran Bretagna i gelidi inglesi finirono con l’innamorarsi di questo Pontefice sapiente e umile).

Giuliano Ferrara – che è uomo colto e consapevole – dopo il discorso al Bundestag ha manifestato il suo entusiasmo, ha pubblicato per intero il testo sul “Foglio”, ha aggiunto un suo filosofico commento dove si è definito “ratzingeriano” e – pur da non credente – è arrivato ad affermare: “Solo un Papa ci può salvare”.

Ferrara che negli ultimi tempi (secondo me sbagliando) temeva che il grande papa Ratzinger (“il nostro amato Papa”) si fosse impaurito (per le virulente reazioni) dopo il discorso di Ratisbona e che lo vedeva “immerso nelle acque della sola fede”, da dove il Pontefice “invitava a pregare e a espiare le colpe personali e della chiesa”, dedito alla ricostruzione interiore della fede dei cristiani, ha ritrovato colui che considera l’unico vero, grande leader dell’umanità in questo frangente storico:

“nello splendido discorso tenuto al Bundestag, il Parlamento della sua patria” ha scritto Ferrara, “è riemerso in chiara, mite e fulgidissima luce – la luce dell’intelligenza e della ragione – quel formidabile professor Ratzinger che fu eletto alla guida della chiesa di Roma su una piattaforma di lotta intellettuale ed etica alla deriva relativista e nichilista dell’occidente moderno. Che solo un Papa può salvare. Benedetto ha sorpreso tutti. Niente afflato pastorale minimalista, niente catechesi ordinaria, e invece un energico, nitido e straordinario richiamo alla sostanza di ciò che è politico, pubblico, e alla questione filosofico-giuridica di come si possa fare la cosa giusta, condurre una vita giusta, reggere governi e stati giusti, fare leggi giuste in un mondo che non dipende più dalla tradizione, dall’autorevolezza intrinseca della fede, ma dalla democrazia maggioritaria”.

E’ stata – aggiunge Ferrara – “una grande lezione filosofica, storica e teologica sui fondamenti, anzi sulla fondazione politica, della nostra cultura e della nostra idea di libertà, di umanità, di natura e di ragione. I giganti usano parole semplici e concetti alla portata di tutti, non sono esoterici, parlano al centro forte e realista dell’intelligenza umana. E così ha fatto il Papa (…). Non è un discorso intercettabile dalle polemiche e dai sofismi. Se siamo liberi, se siamo in un mondo laico, se siamo padroni del nostro destino è perché siamo cristiani. Il cristianesimo non ha imposto come legge la Rivelazione, non è la sharia, non è uno spazio mitico per litigiosi dei. Alla base dei diritti umani, delle conquiste dell’Illuminismo, dell’idea stessa moderna di coscienza, sta la scelta cristiana e cattolica in favore del diritto di natura e della legge di ragione”.

Ferrara lo spiega benissimo. Ma è davanti agli occhi di tutti la grandezza e l’umiltà di quest’uomo di Dio, che voleva lavorare per il Regno di Dio con lo studio e i libri, che non voleva essere nominato vescovo, né prefetto dell’ex S. Uffizio, che da lì aveva provato due volte a dimettersi e che – mentre lo stavano eleggendo Papa, nella Sistina – pregava così: “Signore, non farmi questo”.

Il popolo cristiano – come mostrano i due milioni di giovani accorsi a Madrid in agosto – sa che questo Papa arriva al cuore e all’intelligenza come nessun altro e le menti più limpide della cultura laica sanno che oggi Benedetto XVI è il solo faro dell’umanità in un frangente molto buio. Tutti speriamo che non ci abbandoni nella tempesta, che non lasci mai il suo ministero di padre di tutti.

Perché non tutti i papi sono uguali. San Vincenzo di Lérins diceva che “Dio alcuni papi li dona, altri li tollera, altri ancora li infligge”. Benedetto XVI è un dono a cui non possiamo rinunciare.



Da “Libero”, 25 settembre 2011

Germania, le risposte del Papa a chi chiede riforme nella chiesa



Benedetto XVI ha avuto nei confronti della Chiesa quella che Der Spiegel ha chiamato una “sorprendente franchezza”


di Alessandro Speciale
Friburgo




Sarà perché con i "vicini" è più facile essere sinceri che con gli estranei. Ma di certo nel suo viaggio in Germania il Papa è stato chiaro.

Che situazione trovata in patria dal papa tedesco non sarebbe stata facile non era una sorpresa per nessuno. Anche il libro diffuso dalla Conferenza Episcopale Tedesca alla stampa al seguito del viaggio non nascondeva i problemi: da quello, annoso, del calo delle vocazioni a quello sempre più urgente degli abbandoni della Chiesa – 180mila solo l'ultimo anno, più di coloro che sono 'entrati' con il battesimo.

Una situazione, poi, resa ancor più complessa dall'esplodere dello scandalo pedofilia l'anno scorso: non solo perché ha fatto perdere “credibilita'” alla Chiesa di fronte alla società in generale ma anche, e forse soprattutto agli occhi del pontefice, perché ha rinfocolato quelle richieste di riforme strutturali che già covano da decenni ma che si erano sopite negli ultimi anni.

Dall'obbligo del celibato al ruolo delle donne, dalla scelta dei vescovi alla morale sessuale: richieste precipitate dal famoso memorandum “Una svolta necessaria” firmata da un terzo dei professori di teologica cattolici – i nuovi 'colleghi' del professor Ratzinger – e ancora in un documento firmato da politici di primissimo piano del partito conservatore Csu.

E ancora, temi molto sentiti nella società, come la situazione dei divorziati risposati – tema sollevato anche dal presidente tedesco Christian Wulff, che lo vive in prima persona – o dalla comunione per le coppie 'miste' cattolico-protestanti. Tutti sono stati sollevati, in una forma o nell'altra, davanti a papa Ratzinger nei numerosi incontri avuti nel viaggio.

Il tutto, secondo i critici, avveniva nel silenzio e sostanziale complicita' dei vescovi tedeschi, colpevoli non solo di non aver risposto abbastanza duramente a questa presunte 'insubordinazioni' ma di avere anzi avviato un ampio “Processo di dialogo” con i laici e le loro istanze.

In molti si aspettavano che il papa avrebbe sostanzialmente glissato. E invece – come pronosticato da uno che il papa lo conosce bene, il cardinale tedesco Walter Kasper – ha “preso il toro per le corna”.

E lo ha fatto già dal primo giorno, quando all'Olympiastadion di Berlino ha ricordato che chi guarda alla Chiesa “fermandosi al suo aspetto esteriore” non può che covare “insoddisfazione e malcontento” perché non vede “realizzate le proprie idee superficiali ed erronee di 'Chiesa' e i propri 'sogni di Chiesa'”.

Da allora, nei quattro giorni che sono seguiti, questa è stata la musica che è spesso risuonata nelle orecchie dei cattolici e dei vescovi tedeschi.

Al Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi – la potente organizzazione dei laici, molti dei cui esponenti sono politici di primo piano – il papa ha ricordato che la ricchezza esteriore può nascondere una poverta' interiore, anche nella Chiesa: “In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo... dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito”. E ha aggiunto: “La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace”.

Ai seminaristi, ha preso ad esempio il gruppo “Noi siamo Chiesa” - movimento internazionale che per la riforma nella Chiesa cattolica – per ricordare che “nella comunità dei credenti, sì, ci sono per così dire le richieste delle legittime maggioranze, ma non ci può mai essere una maggioranza contro gli Apostoli, contro i Santi. In questo caso si tratta di una falsa maggioranza”.

Ai fedeli accorsi per la messa a Friburgo, ha riaffermato che “la Chiesa in Germania continuerà ad essere una benedizione per la comunità cattolica mondiale”, solo se rimarrà “fedelmente unita con i Successori di san Pietro e degli Apostoli”, ovvero con il Vaticano.

Il senso, pero', di questa insistenza si e' chiarito solo con l'ultima tappa di rilievo del viaggio, l'incontro con i cattolici impegnati nella società, sempre a Friburgo, subito prima di salire sul volo per Roma.

Per dirla con un proverbio, secondo il Papa, chi chiede riforme nella Chiesa "guarda il dito e non la luna". Chiede di cambiare le strutture ma queste sono secondarie, quello che conta e' cosa le anima.
Anzi, Benedetto XVI è stato ancora più radicale: quando dà “all’organizzazione e all’istituzionalizzazione” troppa importanza, la Chiesa si sta accomodando e adattando ai “criteri del mondo”, tradendo la sua missione.

Per questo, paradossalmente, la secolarizzazione – che l'ha spogliata prima del potere temporale, poi dei privilegi e oggi in molte parti anche dello status sociale - deve essere benvenuta, perché “per corrispondere al suo vero compito, la Chiesa deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi dalla mondanità del mondo”.

Solo, quando è “liberata dal suo fardello materiale e politico”, infatti, “a Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo. Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua chiamata al ministero dell’adorazione di Dio e al servizio del prossimo”.


Fonte: vatican insider - 26/09/11

domenica 25 settembre 2011

Benedetto XVI scuote la Germania: dalla tiepidezza alla fede ardente


Nell'impossibilità di pubblicare tutti i discorsi del Santo Padre in Germania, abbiamo scelto alcuni stralci che sicuramente sono di insegnamento e di esortazione anche per la realtà ecclesiale italiana.




"...il danno per la Chiesa non viene dai suoi avversari, ma dai cristiani tiepidi".


"Cari amici, Cristo non si interessa tanto a quante volte nella vita vacilliamo e cadiamo, bensì a quante volte noi, con il suo aiuto, ci rialziamo. Non esige azioni straordinarie, ma vuole che la sua luce splenda in voi. Non vi chiama perché siete buoni e perfetti, ma perché Egli è buono e vuole rendervi suoi amici. Sì, voi siete la luce del mondo, perché Gesù è la vostra luce. Voi siete cristiani – non perché realizzate cose particolari e straordinarie – bensì perché Egli, Cristo, è la vostra, nostra vita. Voi siete santi, noi siamo santi, se lasciamo operare la sua Grazia in noi."


"Sappiate osare di essere santi ardenti, nei cui occhi e cuori brilla l’amore di Cristo e che, in questo modo, portano luce al mondo. Io confido che voi e tanti altri giovani qui in Germania siate fiaccole di speranza, che non restano nascoste. “Voi siete la luce del mondo”. “Dove c’è Dio, là c’è futuro!”".

(dalla VEGLIA DI PREGHIERA CON I GIOVANI - Fiera di Freiburg im Breisgau Sabato, 24 settembre 2011)





"Ci sono teologi che, di fronte a tutte le cose terribili che avvengono oggi nel mondo, dicono che Dio non possa essere affatto onnipotente. Di fronte a questo, noi professiamo Dio, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della terra. E noi siamo lieti e riconoscenti che Egli sia onnipotente. Ma dobbiamo, al contempo, renderci conto che Egli esercita il suo potere in maniera diversa da come noi uomini siamo soliti fare. Egli stesso ha posto un limite al suo potere, riconoscendo la libertà delle sue creature. Noi siamo lieti e riconoscenti per il dono della libertà. Tuttavia, quando vediamo le cose tremende, che a causa di essa avvengono, ci spaventiamo. Fidiamoci di Dio, il cui potere si manifesta soprattutto nella misericordia e nel perdono."


"Dio rispetta la nostra libertà. Egli non ci costringe. Egli attende il nostro “sì” e lo mendica, per così dire."


"La Chiesa in Germania ha molte istituzioni sociali e caritative, nelle quali l’amore per il prossimo viene esercitato in una forma anche socialmente efficace e fino ai confini della terra. A tutti coloro che si impegnano nella Caritas tedesca o in altre organizzazioni, oppure che mettono generosamente a disposizione il loro tempo e le loro forze per incarichi di volontariato nella Chiesa, vorrei esprimere, in questo momento, la mia gratitudine e il mio apprezzamento. Tale servizio richiede innanzitutto una competenza oggettiva e professionale. Ma nello spirito dell’insegnamento di Gesù ci vuole di più: il cuore aperto, che si lascia toccare dall’amore di Cristo, e così dà al prossimo, che ha bisogno di noi, più che un servizio tecnico: l’amore, in cui all’altro si rende visibile il Dio che ama, Cristo. Allora interroghiamoci, anche a partire dal Vangelo di oggi: come è il mio rapporto personale con Dio, nella preghiera, nella partecipazione alla Messa domenicale, nell’approfondimento della fede mediante la meditazione della Sacra Scrittura e lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica? Cari amici, il rinnovamento della Chiesa, in ultima analisi, può realizzarsi soltanto attraverso la disponibilità alla conversione e attraverso una fede rinnovata."


"Cari amici, con Paolo oso esortarvi: rendete piena la mia gioia con l’essere saldamente uniti in Cristo! La Chiesa in Germania supererà le grandi sfide del presente e del futuro e rimarrà lievito nella società, se i sacerdoti, le persone consacrate e i laici credenti in Cristo, in fedeltà alla propria vocazione specifica, collaborano in unità; se le parrocchie, le comunità e i movimenti si sostengono e si arricchiscono a vicenda; se i battezzati e cresimati, in unione con il Vescovo, tengono alta la fiaccola di una fede inalterata e da essa lasciano illuminare le loro ricche conoscenze e capacità. La Chiesa in Germania continuerà ad essere una benedizione per la comunità cattolica mondiale, se rimane fedelmente unita con i Successori di san Pietro e degli Apostoli, se cura in molteplici modi la collaborazione con i Paesi di missione e si lascia anche “contagiare” in questo dalla gioia nella fede delle giovani Chiese."


(da OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI - SANTA MESSA Aeroporto turistico di Freiburg im Breisgau - Domenica, 25 settembre 2011)





"In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: La vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace."


"E qui siamo chiamati a cercare nuove vie dell’evangelizzazione. Una di queste vie potrebbe essere costituita dalle piccole comunità, dove si vivono amicizie, che sono approfondite nella frequente adorazione comunitaria di Dio. Qui ci sono persone che raccontano le loro piccole esperienze di fede nel posto di lavoro e nell’ambito della famiglia e dei conoscenti, testimoniando, in tal modo, una nuova vicinanza della Chiesa alla società. A quelle persone appare poi in modo sempre più chiaro che tutti hanno bisogno di questo cibo dell’amore, dell’amicizia concreta l’uno con l’altro e con il Signore. Resta importante il collegamento con la linfa vitale dell’Eucaristia, perché senza Cristo non possiamo far nulla (cfr Gv 15,5)."

(dal DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI - INCONTRO CON IL CONSIGLIO DEL COMITATO CENTRALE DEI CATTOLICI TEDESCHI (ZDK) Hörsaal del Seminario di Freiburg im Breisgau Sabato, 24 settembre 2011)

A lezione da San Tommaso d'Aquino


Pubblichiamo il programma della sessione autunnale delle conversazioni sui testi di San Tommaso d'Aquino guidate da Don Enrico Bini, che si terranno nella parrocchia dello Spirito Santo a Prato. Aperte a tutti gli interessati.



LECTIO SANCTI THOMAE
anno VIII



Conversazioni sul pensiero di S. Tommaso d' Aquino (1225-1274), dottore della Chiesa.
"Andate a S. Tommaso. Cercate e leggete le opere di S. Tommaso non solo per trovare in quei ricchi tesori un sicuro nutrimento per lo spirito, ma anche, e prima ancora, per rendervi conto personalmente della incomparabile profondità della dottrina che vi è contenuta" (Paolo VI).


Sessione autunnale


Mercoledì 28 settembre 2011, ore 21,15
Lezione inaugurale: La correzione fraterna in San Tommaso

Mercoledì 12 ottobre 2011, ore 21,15

Mercoledì 26 ottobre 2011, ore 21,15

Mercoledì 9 novembre 2011, ore 21,15

Mercoledì 23 novembre, ore 21,15

Mercoledì 30 novembre, ore 21,15

Mercoledì 14 dicembre, ore 21,15

Sede: Parrocchia dello Spirito Santo
Via G. Silvestri, 21
59100-Prato

sabato 24 settembre 2011

“Dove c’è Dio, là c’è futuro”


VIAGGIO APOSTOLICO IN GERMANIA - 22-25 SETTEMBRE 2011


SALUTO ALLA CITTADINANZA


DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


Münsterplatz di Freiburg im Breisgau
Sabato, 24 settembre 2011




Cari amici,


con grande gioia vi saluto tutti e vi ringrazio per la cordiale accoglienza, che mi avete riservato. Dopo i begli incontri a Berlino ed Erfurt, sono lieto di poter essere ora con voi a Friburgo, illuminato e scaldato dal sole. Un grazie particolare va al vostro caro Arcivescovo Robert Zollitsch per l’invito – ha talmente insistito che, alla fine, ho dovuto dire: devo davvero andare a Friburgo! – e per il suo gentile indirizzo di benvenuto.


“Dove c’è Dio, là c’è futuro”, così suona il motto di queste giornate. Come Successore dell’Apostolo Pietro, al quale il Signore, appunto, ha dato l’incarico - nel cenacolo - di confermare i fratelli (cfr Lc 22,32), sono venuto volentieri da voi, in questa bella città, per pregare insieme con voi, per proclamare la parola di Dio e per celebrare insieme l’Eucaristia.

Chiedo la vostra preghiera affinché questi giorni siano fruttuosi, affinché Dio confermi la nostra fede, rafforzi la nostra speranza e accresca il nostro amore. Che in questi giorni diventiamo di nuovo consapevoli di quanto Dio ci ami e che Egli veramente è buono.

E così dobbiamo essere colmati dalla fiducia che Egli è buono verso di noi e che ha una potere buono e che Egli porta noi, e tutto ciò che muove il nostro cuore ed è importante per noi, nelle sue mani. E vogliamo metterlo consapevolmente nelle sue mani.

In Lui il nostro futuro è assicurato; Egli dona senso alla nostra vita e può condurla alla pienezza. Il Signore vi accompagni nella pace e renda tutti noi messaggeri della sua pace! Grazie di cuore per l’accoglienza.


© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

FRIBURGO 2 / “La vera crisi della Chiesa è una crisi di fede”


di Sandro Magister



Nel tardo pomeriggio di sabato 24 settembre, prima della veglia con i giovani, Benedetto XVI ha incontrato a Friburgo in Brisgovia il direttivo del Comitato Centrale dei Cattolici tedeschi.

Ad essi ha detto di immaginare che degli osservatori giungano in Germania da un paese lontano, per vedere e sperimentare come si vive in una famiglia media tedesca:

“Qui ammirerebbero tante cose, ad esempio il benessere, l’ordine e l’efficienza. Ma, con uno sguardo non prevenuto, constaterebbero anche tanta povertà: povertà per quanto riguarda le relazioni umane e povertà nell’ambito religioso”.

Dopo aver descritto questa situazione di “relativismo subliminale che penetra tutti gli ambiti della vita”, di “eccessivo individualismo”, di “incostanza”, di “incapacità a fare un sacrificio per gli altri”, di mancanza di fedeltà per tutta la vita nel matrimonio, il papa ha così proseguito:

“Vediamo che nel nostro mondo ricco occidentale [...] tante persone sono carenti dell’esperienza della bontà di Dio. Non trovano alcun punto di contatto con le Chiese istituzionali e le loro strutture tradizionali. Ma perché? Penso che questa sia una domanda sulla quale dobbiamo riflettere molto seriamente. Occuparsi di questa domanda è il compito principale del pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Ma essa, ovviamente, riguarda tutti noi. Permettetemi di affrontare qui un punto della situazione specifica tedesca. In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede in un Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: la vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace”.

E ancora:

“Torniamo alle persone alle quali manca l’esperienza della bontà di Dio. Hanno bisogno di luoghi, dove possano parlare della loro nostalgia interiore. Qui siamo chiamati a cercare nuove vie dell’evangelizzazione. Una di queste vie potrebbe essere costituita dalle piccole comunità, dove si vivono amicizie, che sono approfondite nella frequente adorazione comunitaria di Dio. Qui ci sono persone che raccontano le loro piccole esperienze di fede nel posto di lavoro e nell’ambito della famiglia e dei conoscenti, testimoniando, in tal modo, una nuova vicinanza della Chiesa alla società. A quelle persone appare poi in modo sempre più chiaro che tutti hanno bisogno di questo cibo dell’amore, dell’amicizia concreta l’uno con l’altro e con il Signore. Resta importane il collegamento con la linfa vitale dell’Eucaristia, perché senza Cristo non possiamo far nulla”.

Colpisce come sia nell’analisi che nelle indicazioni date da Benedetto XVI non compaia nulla di tutte quelle richieste pratiche che ritornano incessantemente non solo nei pamphlet e nei manifesti dei cattolici “del dissenso” ma anche in talune espressioni dello stesso Comitato Centrale dei Cattolici tedeschi: richieste che vanno dall’abolizione del celibato del clero al sacerdozio femminile all’elezione democratica dei vescovi, credute risolutive di quella “crisi della Chiesa” che invece per papa Joseph Ratzinger non è di organizzazione, ma di fede.


Fonte: Settimo Cielo - 24 settembre, 2011

Concilio Vaticano II, istruzioni per l'uso






di Massimo Introvigne




L'anno prossimo, 2012, si celebrerà il cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Si annunciano, in tutto il mondo, decine di convegni e di pubblicazioni, dei più diversi orientamenti. Don Pietro Cantoni, teologo ben noto ai lettori del mensile di apologetica cattolica Il Timone e che da anni riflette sul Concilio, anticipa l'anniversario e arriva tra i primi in libreria con Riforma nella continuità. Riflessioni sul Vaticano II e sull'anti-conciliarismo (Sugarco, Milano 2011).

Si tratta di un libro molto importante che, già nel titolo, fa riferimento a due interventi di Benedetto XVI riportati in appendice. Il primo è il discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, in cui il Papa distingue a proposito del Vaticano II una «ermeneutica della discontinuità e della rottura», che legge il Concilio non alla luce del Magistero precedente ma in contrapposizione a esso, e una corretta «ermeneutica della riforma nella continuità», che non nega gli elementi di novità del Concilio - diversamente, non ci sarebbe riforma - ma legge ogni novità in continuità, e non in contraddizione, con gli insegnamenti precedenti della Chiesa. A sua volta, come Benedetto XVI ebbe a spiegare nell'incontro ad Auronzo di Cadore con i sacerdoti delle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso del 24 luglio 2007, l'ermeneutica della discontinuità e della rottura oggi è proposta nella Chiesa da due versanti diversi: da un «progressismo sbagliato», che considera la presunta rottura con il passato una benedizione per la Chiesa, e da un «anti-conciliarismo» per cui la stessa rottura è stata al contrario catastrofica. Le due correnti convergono nell'analisi, anche se divergono nelle opposte valutazioni.

Ma le due correnti, come spiega con dovizia di argomenti don Cantoni, sbagliano. La condanna del «progressismo sbagliato» non è, come molti pensano, una novità «restauratrice» di Benedetto XVI. Si ritrova già nel magistero del servo di Dio Paolo VI (1897-1978), il Papa che concluse il Vaticano II, di cui l'autore ricorda alcuni interventi sorprendentemente simili a quello del 2005 di Benedetto XVI. Appena a un anno dalla chiusura del Concilio, nel 1966, il servo di Dio Paolo VI mette in guardia contro l’errore «di supporre che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo rappresenti una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare che lo precede, quasi ch’esso sia tale novità da doversi paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità insegnato e professato, e perciò consenta di proporre al dogma cattolico nuove e arbitrarie interpretazioni, spesso mutuate fuori dell’ortodossia irrinunciabile, e di offrire al costume cattolico nuove ed intemperanti espressioni, spesso mutuate dallo spirito del mondo; ciò non sarebbe conforme alla definizione storica e allo spirito autentico del Concilio, quale lo presagì Papa Giovanni XXIII [1881-1963]. Il Concilio tanto vale quanto continua la vita della Chiesa». E nel discorso al Sacro Collegio dei Cardinali del 23 giugno 1972 lo stesso Pontefice denuncia «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con la tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa preconciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa "nuova", quasi "reinventata" dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto».

La parte più corposa del volume di don Cantoni è consacrata alla critica dell'anti-conciliarismo, «fuoco amico» - come lo definisce - nei confronti del Magistero, che rischia di comprometterne l'autorità anche presso persone devote e fedeli al Papa. L'autore che don Cantoni assume come più rappresentativo di questa corrente - peraltro, piuttosto un network dove convivono opinioni parzialmente diverse - è il teologo romano mons. Brunero Gherardini che in una sorta di crescendo, passando dai primi agli ultimi dei diversi volumi che ha dedicato negli ultimi anni al Vaticano II, ha finito per sostenere che l'ermeneutica della riforma nella continuità proposta da Benedetto XVI è, almeno con riferimento a diversi documenti conciliari, impossibile. In questi documenti non ci sarebbe continuità, ma rottura con il Magistero precedente della Chiesa. Il Vaticano II andrebbe dunque sì considerato un autentico e legittimo Concilio cattolico, ma i suoi insegnamenti sarebbero vincolanti per i fedeli solo quando riaffermano il Magistero precedente della Chiesa, mentre potrebbero e dovrebbero essere messi in discussione, e anche francamente rifiutati, se contraddicono la Tradizione: il che, secondo Gherardini, accade certamente per diversi testi cruciali prodotti dall'assise ecumenica.

Non è possibile riassumere qui la critica dettagliata di don Cantoni alla posizione anti-conciliarista su singoli documenti del Concilio - in particolare le costituzioni Gaudium et Spes, Lumen Gentium e Dei Verbum e la dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae -, ma è importante fare emergere il tema metodologico di fondo. Nella posizione anti-conciliarista la nozione di Tradizione è ipostatizzata in modo essenzialista e diventa un codice o un libro immaginario sulla cui base giudicare gli atti del Papa e del Concilio, decidendo quali vanno accolti e quali no. Come nota don Cantoni, così l'autorità della Chiesa si sposta dal Papa a chi si auto-nomina custode e interprete della Tradizione, con un processo simile a quello messo in atto dai protestanti con riferimento alla Scrittura. Non si tratta, nota l'autore, di sostenere che il Papa è al di sopra della Tradizione, così come nella controversia con i protestanti non si trattava di sostenere che il Papa fosse al di sopra della Scrittura.

L'autore cita Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704), il quale rispondeva ai protestanti che «noi non diciamo che la Chiesa sia giudice della Parola di Dio, ma assicuriamo che è giudice delle interpretazioni che gli uomini danno della santa Parola di Dio». Analogamente - tanto più che, a differenza della Scrittura, neppure esiste un libro o manuale chiamato "La Tradizione" con cui confrontare le diverse posizioni - don Cantoni afferma che l'alternativa oggi non è se credere a Benedetto XVI o credere alla Tradizione, ma se farsi spiegare che cos'è la Tradizione da Benedetto XVI o da mons. Gherardini, o magari dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), sulle cui posizioni in tema di Vaticano II il monsignore romano nelle sue opere più recenti sembra andare sempre più convergendo.

E don Cantoni fa notare che la divergenza fra i seguaci di mons. Lefebvre e l'insegnamento di Benedetto XVI non sta nella tesi secondo cui dopo il Concilio c'è stata una drammatica crisi nella Chiesa. Che questa crisi ci sia stata è evidente, e lo afferma anche il Pontefice. Ma, a differenza dei "lefebvriani" - e degli anti-conciliaristi - Benedetto XVI attribuisce la crisi al prevalere di una errata ermeneutica dei documenti del Concilio, non ai documenti medesimi nella loro essenza e nel loro insieme, senza escludere che essi contengano qua e là qualche formulazione meno felice o bisognosa di chiarimenti da parte dello stesso Magistero. Che nei documenti del Vaticano II ci siano espressioni da chiarire e su cui si può legittimamente discutere - ma questo, nota don Cantoni, vale anche per tante espressioni di Concili precedenti - non significa che tali testi si possano rifiutare in blocco o nel loro messaggio essenziale, che si tratti di struttura della Chiesa, ecumenismo, esegesi biblica o libertà religiosa.

Come ha spiegato Andrea Tornielli su La Bussola Quotidiana, si situa qui l'essenziale del Preambolo dottrinale - il cui testo rimane riservato - proposto dalla Santa Sede alla Fraternità Sacerdotale San Pio X come condizione per un'auspicata riconciliazione.

Molto utile - anche per comprendere la posta in gioco proprio del dialogo in corso fra Santa Sede e Fraternità Sacerdotale San Pio X - è un'appendice dove don Cantoni traccia una breve storia della nozione di Magistero ordinario. Gli anti-conciliaristi spesso rappresentano in modo caricaturale la posizione dei loro critici, attribuendo loro la tesi certamente infondata secondo cui tutti gli insegnamenti del Vaticano II sarebbero infallibili o di natura dogmatica. Non è affatto così. I critici dell'anti-conciliarismo - e, cosa assai più importante, Benedetto XVI - sostengono una cosa diversa, e cioè che il buon fedele deve prestare il suo assenso non solo formale ma sostanziale anche al Magistero ordinario, non dogmatico e non infallibile, pure nella sue dimensioni pastorali, che può certo avere espressioni più o meno felici e su cui i teologi possono condurre discussioni, ma che resta la guida normale della Chiesa cui i cattolici possono e devono affidarsi con fiducia. Non è un buon cattolico chi segue il Magistero solo nei suoi rari pronunciamenti infallibili, ignorando invece la sua guida continua e quotidiana che ha spesso appunto natura non dogmatica ma pastorale.

Grande merito del libro di don Cantoni è ricordarci che questa posizione non è nuova. Nasce quando - dopo la Rivoluzione Francese - il Magistero inizia a esprimersi in modo molto più frequente, tra l'altro attraverso la moltiplicazione delle encicliche. L'espressione «Magistero ordinario» si deve al teologo gesuita tedesco Joseph Kleutgen (1811-1883), ma passa nel Magistero pontificio con la lettera Tuas libenter, indirizzata dal beato Pio IX (1792-1878) all'arcivescovo di Monaco di Baviera il 21 dicembre 1863. Questo testo, dove si afferma che la «sottomissione» dei buoni cattolici non ha come oggetto solo il Magistero infallibile ma anche il Magistero ordinario è la premessa della condanna nel Sillabo del 1864 - ironicamente, un testo spesso invocato dagli anti-conciliaristi - della seguente proposizione, denunciata come erronea: «L'obbligazione che vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose solamente, che dall’infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a credersi da tutti come dommi di fede». «Né si deve ritenere - aggiunge il venerabile Pio XII (1876-1958) nell'enciclica Humani generis del 1950 - che gli insegnamenti delle Encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro Magistero Supremo. Infatti questi insegnamenti sono del Magistero ordinario, per cui valgono pure le parole: "Chi ascolta voi, ascolta me" (Luc. X, 16)». Né, evidentemente, possiamo considerare i testi di un Concilio Ecumenico meno autorevoli delle encicliche.

Un'altra utile appendice del libro di don Cantoni riguarda il beato John Henry Newman (1801-1890), citato da alcuni anti-conciliaristi a sostegno delle loro tesi, in quanto avrebbe affermato che durante la crisi ariana diversi concili e l'intero corpo episcopale avrebbero insegnato l'eresia. Queste però, precisa don Cantoni, erano affermazioni attribuite al beato Newman dai suoi critici, che lo denunciarono a Roma come eretico. Rispondendo a tali critici, il beato affermò che se in effetti egli avesse attribuito l'eresia ariana a «concili ecumenici» e al corpo episcopale nel suo insieme - inseparabile dal Papa - allora certamente le sue affermazioni sarebbero state eretiche. Ma in realtà egli aveva parlato di «concili generali» - che sono cosa diversa dai concili ecumenici, e «non ci fu nessun concilio ecumenico tra il 325 e il 381» - e della maggioranza dei vescovi, non del loro corpus o collegio in senso giuridico e teologico. Di fatto nella crisi ariana buona parte dei vescovi non fu fedele alla sua missione. Ma questo, spiegava Newman, non significa che di diritto anche in quella crisi non restasse presente almeno in modo «virtuale» l'insegnamento di verità del Magistero vivente, che rimaneva per così dire presente sullo sfondo anche se di fatto pochi vescovi lo diffondevano.

Non si tratta di una sottigliezza storica. Se un concilio ecumenico e l'intero corpo episcopale unito al Papa potessero insegnare l'eresia - che è cosa diversa dall'esprimere la verità in formulazioni che talora possono essere poco felici o poco precise, e richiedere una interpretazione autentica da parte del Magistero successivo - allora le porte dell'inferno avrebbero prevalso sulla Chiesa. Sappiamo per divina rivelazione che questo non può accadere. E di fatto le «portae inferi» non hanno prevalso. La Chiesa, nonostante le tante crisi che la tormentano, c'è ancora, e per sapere dov'è e che cosa insegna, anche a proposito del Vaticano II, non dobbiamo metterci alla ricerca di un immaginario libro che conterrebbe la Tradizione nella sua forma «pura» e neppure rivolgerci ai teologi - o agli storici, o ai giornalisti - che ci sembrano più simpatici o persuasivi. Dobbiamo guardare al Magistero e al Papa. «Ubi Petrus, ibi Ecclesia, ubi Ecclesia, ibi Christus». «Dov'è Pietro, lì è la Chiesa, dov'è la Chiesa, lì è Cristo». Il volume di don Cantoni costituisce un argomentato, puntuale, severo e prezioso richiamo a questo punto cardine della nostra fede.


Fonte: La Bussola Quotidiana - 24-09-2011