mercoledì 23 dicembre 2020

Buon Natale con Fulton Sheen: Diventare bambini, ovvero riconoscere la differenza tra la nostra povera vita e quella eterna

 



23DIC
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by Aldo Maria Valli


Cari amici di Duc in altum, nell’avvicinarsi del Natale vi propongo una meditazione dell’arcivescovo Fulton John Sheen (1895-1979).


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Il Natale di Cristo, la nascita del Dio-uomo, la festa dei bambini e degli adulti che tornano a esserlo

Il mondo, sempre incline a riconoscere la forza, non riesce mai ad afferrare in pieno il paradosso per cui solo i bambini sanno scoprire la grandezza dell’universo, e solo gli umili di cuore riescono a scoprire la grandezza di Dio. Il mondo non impara questa lezione perché confonde piccolezza con debolezza, l’infanzia con l’infantilismo, e l’umiltà col complesso di inferiorità. Immagina il potere solo in termini di forza fisica, e la sapienza solo in rapporto alla vana cultura dello spirito del giorno. Dimentica che una grande forza morale si può nascondere nella debolezza fisica, così come l’Onnipotenza venne avvolta strettamente nelle fasce; e che la grande saggezza si può trovare nella fede semplice, così come la Mente eterna si trovò nella persona di un Bambino. Ecco la forza, quella forza davanti alla quale tremano gli angeli, la forza cui s’inchinano le stelle, la forza di fronte alla quale persino il trono di Erode tremò di paura. È la forza di quel tremendo Amore divino che tutto affrontò pur di convincerci riguardo alla misura di Dio rispetto a ciò che è veramente grande e alto.


Ma la Sua legge dev’essere la nostra fatica eterna dove Lui si compiacque di cominciare la Sua, vale a dire dal più basso e umile gradino, che è il punto di partenza verso ciò che è più alto e più potente. Come successe che Dio stesso discese fin giù all’infanzia, facendo di essa il primo passo verso il trionfo eterno, così dobbiamo scendere dal nostro orgoglio ignorante al livello di ciò che siamo ai Suoi occhi. “Se non diventerete come i bambini, – Egli ci dice esplicitamente, – non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3).


Diventare bambini significa semplicemente acquistare umiltà, vale a dire rendere chiaro ogni giudizio su noi stessi, riconoscere l’immensa differenza che passa tra la nostra povera vita e quella eterna che ci attende, ammettere la nostra debolezza, la nostra fragilità, le nostre colpe, la meschinità di tutto ciò che oggi facciamo, e insieme la forza e la sapienza che diventeranno nostre, purché siamo abbastanza umili per inginocchiarci davanti a un Bambino adagiato sulla paglia di una mangiatoia, e per confessare che Lui è il nostro Signore, la nostra Vita, il nostro Tutto.


Così la nascita del Dio-Uomo è la festa dei bambini, il giorno in cui gli anni retrocedono e le rughe del volto sono spianate dal tocco di una mano rigeneratrice, nel quale i superbi diventano bambini, i grandi piccoli, e tutti trovano il loro Dio…Chiniamo tutti il capo ed entriamo nella grotta; spogliamoci della sapienza mondana, dell’orgoglio, di ogni apparente superiorità, e di fronte all’insondabile mistero dell’umiliazione del Figlio di Dio, cerchiamo di farci piccoli. In questa veste, avviciniamoci alle ginocchia della più amabile donna del mondo, della donna che, sola tra tutte, è ornata della rosa rossa della maternità e di quella candida della verginità, della donna che, dando alla luce il Signore, divenne la Madre degli uomini; e chiediamole di insegnarci a servire Dio, ad amarlo e a pregarlo.


E dopo avere chiesto a Maria che ci insegni a pregare, ci rivolgeremo a Gesù, e se non abbiamo perduto quella nostra parte d’infanzia che sola ci può far scoprire i segreti dell’Infinito, Gli rivolgeremo una delle domande più importanti del mondo. Non gli chiederemo di svelarci i misteri dell’atomo, né vorremo sapere se lo spazio è curvo, o se la luce è un’onda, ma Gli chiederemo ciò che prova il re del cielo a vivere come un bambino su questa nostra povera terra. Se saremo ancora piccoli abbastanza per fare tutto questo intorno a un Presepio dove frusciarono e rombarono “inimmaginabili ali intorno a una incredibile stella”, allora sapremo scoprire l’Infinito; se saremo abbastanza umili per andare da Colui che non possiede una casa, troveremo la nostra casa; se saremo abbastanza semplici per diventare bambini, rinascendo nonostante i molti anni d’età, allora scopriremo la Vita che resiste quando il tempo ha finito di esistere.


Per alcuni Egli viene quando il loro cuore non contiene alcun attaccamento terreno; per altri viene quando il corpo avido esprime l’avidità dello spirito: per altri quando la gioia li avvolge nel suo abbraccio esclusivo; per altri quando il mondo, usato come un bastone per sorreggersi, ha ferito le loro mani; per altri viene soltanto quando hanno le guance bagnate di lacrime, perché Lui le asciughi. Ma per tutti e per ciascuno Egli viene con la dolcezza delle sue vie: Lui stesso, il Cristo; nella Messa del Cristo; nel Natale.

Fulton J. Sheen

da L’Uomo di Galilea

Edizioni Fede e Cultura











martedì 8 dicembre 2020

LA SOLENNITÀ. Amare l’Immacolata, la via per imitare Gesù





08-12-2020

Durante l’ultimo anno ci siamo avvicinati di più all’Immacolata? L’abbiamo servita? È cresciuto il nostro amore per Lei e perciò per il SS. Cuore di Gesù? Se non ci sono stati progressi, non bisogna scoraggiarsi ma volgersi ancora alla Vergine perché prepari il nostro cuore a purificarsi, accogliere suo Figlio nella Santa Comunione e guadagnare a Lei altre anime. Da un insegnamento di san Massimiliano Maria Kolbe sul significato di vivere come consacrati all’Immacolata.
Pubblichiamo ampi estratti di due meditazioni scritte da padre Massimiliano Maria Kolbe nel 1938 rispettivamente per il mensile Rycerz Niepokalanej (Il Cavaliere dell’Immacolata) e per la sua versione per bambini, il Rycerzyk Niepokalanej (Il Piccolo Cavaliere dell'Immacolata).

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Si sta avvicinando ancora un’altra volta l’annuale solennità, così cara al cuore, dell’Immacolata Concezione.
Noi, consacrati in proprietà all’Immacolata nelle schiere della sua Milizia, diamo uno sguardo all’intero anno trascorso dall’ultima sua festa e interroghiamoci personalmente:

- Durante quest’anno ci siamo avvicinati di più all’Immacolata?

- Il nostro amore verso di Lei è cresciuto?

- Ci siamo avvicinati maggiormente al SS. Cuore di Gesù attraverso l’Immacolata?

- Ci intratteniamo con più familiarità con Gesù nel tabernacolo? e più ancora dopo averlo ricevuto nella S. Comunione?

- L’amore di Gesù ci attrae verso la croce e ci spinge a contraccambiarlo con un amore disposto al sacrificio, a nostre, spese, con la sofferenza accettata per Lui?

In caso affermativo, ringraziamo di cuore l’Immacolata per le sorgenti di grazie che Ella ha impetrato per noi dal SS. Cuore di Gesù e ha riversato su di noi.

Se invece non vediamo dei grandi progressi nell’amore divino, non scoraggiamoci, ma umiliamoci, chiediamo sinceramente perdono all’Immacolata per non aver approfittato a sufficienza delle sue grazie; preghiamola di chiedere perdono al Salvatore, di offrire la giusta riparazione al SS. Cuore di Gesù e di volgere la nostra trascuratezza, la nostra ingratitudine in un bene ancora più grande, in modo che perfino le cadute divengano realmente per noi altrettanti gradini verso una più alta perfezione (per questo solo, infatti, Gesù le ha permesse); e con piena fiducia, con una fiducia illimitata nella sua particolare protezione, lasciamoci guidare da Lei in modo sempre più perfetto.

Ella ci insegnerà il modo di poter - giorno dopo giorno, ora dopo ora, istante dopo istante, nel fedele adempimento dei nostri doveri ordinari e nell’impegno di conformarci alla volontà di Dio - ella ci insegnerà il modo di poter manifestare il nostro amore verso il Cuore divino: un amore generoso, mediante il compimento della sua volontà, nonostante le difficoltà, i sacrifici e le croci (…) [SK 1233].

(…) Allora come prepararci alla festa dell’Immacolata? Come fare per trascorrerla nel modo migliore? Innanzi tutto, laviamo la nostra anima nel sacramento della penitenza, per togliere le macchie del peccato: così facendo essa diventa, almeno un poco, simile all’Immacolata. Inoltre, supplichiamo l’Immacolata affinché prepari il nostro cuore ad accogliere in modo degno il suo divin Figlio Gesù, presente nel Santissimo Sacramento dell’altare: accostiamoci alla Santa Comunione in questo giorno dell’Immacolata Concezione, dedicato a Lei.

Dopo la Santa Comunione pregheremo nuovamente l’Immacolata affinché voglia Lei stessa tener compagnia a Gesù presente nella nostra anima e renderlo così felice come nessuno è mai riuscito a fare finora. La pregheremo affinché Ella voglia offrire a Gesù la giusta riparazione sia per le nostre attuali infedeltà sia per i numerosi torti che Egli subisce nel mondo intero da parte dei peccatori. Ancora, rinnoviamo il nostro atto di consacrazione all’Immacolata. (…) Infine, riflettiamo un poco per chiederci se finora abbiamo servito l’Immacolata con sufficiente entusiasmo (…). Gesù ama assai coloro che lo imitano nell’amore verso la Sua purissima Madre.

E finalmente, per amare con maggiore ardore l’Immacolata, ci impegneremo a pensare a Lei, a leggere e a conversare su di Lei, affinché ciascuno di noi possa conoscerla e amarla sempre di più e possa guadagnare a Lei schiere sempre più numerose di altre anime. La pregheremo soprattutto negli istanti di dubbio, nei momenti di tentazione e di tristezza. Confidando nell’Immacolata, l’anima non ha paura di nulla, non indietreggia di fronte a nessun dovere, fosse pure arduo, assai arduo. [SK 1234]















venerdì 4 dicembre 2020

Il professor Kwasniewski: la liturgia tradizionale è un esorcismo perpetuo, ecco perché il demonio la odia così tanto







Sul mensile Radici Cristiane (n.142) fu pubblicata un’intervista al professor Peter Kwasniewski. Quando l’intervistatrice Chiara Chiessi gli domanda se il demonio odia la Messa in rito antico, Kwasniewski risponde:

Il demonio odia la disciplina, l’ordine, la bellezza, l’umiltà, il sacrificio, la lode liturgica, la tradizione ed il sacerdozio. L’antica liturgia romana -e sto parlano qui non solo della Messa, ma anche dell’Ufficio divino e di tutti i sacramentali- è permeata di ordine e bellezza.

Richiede immensa umiltà e disciplina da parte dei ministri, che devono celebrare in maniera giusta ed adeguata. Sopprime deliberatamente l’individualità ed il desiderio di “apparire” o di “essere se stessi”. Tende all’adorazione ed alla glorificazione di Dio, con Cristo stesso come Sommo Sacerdote e tutti gli altri come servi. Paradossalmente, edifica ed avvantaggia gli stessi fedeli, proprio perché è teocentrica e cristocentrica, non antropocentrica come la moderna filosofia e cultura.

Lucifero, la più bella delle creature di Dio, si innamorò di se stesso. Il suo peccato era l’egocentrismo, l’autocelebrazione. Quindi qualsiasi movimento nella liturgia verso la liberazione, l’applauso, la celebrazione o la coltivazione dell’ego dei ministri e dei fedeli è diabolico nella sua origine e nei suoi effetti. La Chiesa, nella sua sapienza data da Dio, aveva da sempre compreso il pericolo della personalità ‘carismatica’ e si è guardata da essa grazie a riti caratterizzati dalla loro obiettività, stabilità, precisione, chiarezza dogmatica, requisiti ascetici e nobiltà estetica.

Queste stesse caratteristiche contrastano certe tendenze ricorrenti della natura umana, decaduta, come l’emotività o il sentimentalismo, il relativismo, l’ambiguità, la causalità, l’indulgenza e l’estetismo (la cui totale mancanza di gusto o di incuria è una mutazione genetica peculiare).

L’antica liturgia conferisce il ruolo inequivocabile di mediatore sacramentale al sacerdote ed, in varia misura, agli altri ministri. Questo ruolo di mediatore è icona vivente dell’Incarnazione dell’unico mediatore tra Dio e l’uomo, contro il quale Satana si ribellò.

L’unica ‘riforma liturgica’ che Satana cerca è sempre quella di allontanare la Chiesa dall’Incarnazione, da un’economia sacramentale radicata nella carne eucaristica di Cristo e dall’intera struttura di riti, cerimonie e preghiere che la incarnano. In ogni aspetto, l’ ‘uso antiquior’ è come un esorcismo perpetuo al diavolo ed indica continuamente il trionfo di Dio incarnato sull’antico nemico della natura umana. Il fatto stesso che la nuova liturgia abbia abolito o abbreviato gli esorcismi ovunque siano stati trovati -nel rito del battesimo, in varie benedizioni, nel rito stesso dell’esorcismo- parla da sé.

Ci si chiede se il confuso e tormentato papa Paolo VI stesse percependo questa verità quando nel 1972, solo poco dopo l’introduzione della monumentale rottura del ‘Novus Ordo’, disse: ‘Da qualche fessura, il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio’. Forse quella fessura non erano altro che le incessanti riforme liturgiche del XX secolo, che culminarono con un cambiamento della ‘lex orandi’ delle proporzioni di un terremoto.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza



Il Cammino dei Tre Sentieri










domenica 29 novembre 2020

Novena tradizionale all'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria








(dal 29 Novembre al 7 Dicembre, ore 20:00 nella Basilica dei S.S. Celso e Giuliano. Via del Banco di Santo Spirito,5 Tradizionale Novena dell'Immacolata. Domenica 8 Dicembre solennità dell'Immacolata concezione di Maria santissima, Chiesa di Gesù e Maria via del corso,45 Santa Messa solenne ore 9:30, nella serata alle ore 19:00 solenne processione dell'Immacolata su via del Corso che si concluderà nella basilica di Santa Maria sopra Minerva. Presenzierà Sua Eminenza reverendissima il Signor Cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dalla Chiesa
.


“Dopo aver offerto senza interruzione, nell'umiltà e nel digiuno, le Nostre private preghiere e quelle pubbliche della Chiesa a Dio Padre, per mezzo del suo Figlio, affinché si degnasse di dirigere e sostenere la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato il soccorso di tutta la corte celeste, e invocato con gemiti lo Spirito consolatore, per sua ispirazione, a onore della Santa e indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, a esaltazione della fede cattolica, e a incremento della religione cristiana, con l'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei beati apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, pronunziamo e definiamo la dottrina, che sostiene che la Beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale, è stata rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente e inviolabilmente da tutti i fedeli. Quindi, se qualcuno (che Dio non voglia!) deliberatamente presumerà di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito, conosca e sappia di essere condannato dal suo proprio giudizio, di aver fatto naufragio nella fede, di essersi separato dall'unità della Chiesa, e di essere inoltre incorso da sé, per il fatto stesso, nelle pene stabilite dalle leggi contro colui che osa manifestare oralmente o per iscritto, o in qualsiasi altro modo esterno, gli errori che pensa nel suo cuore”. 
(Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus, 8 dicembre 1854)



Peter Paul Rubens, Immacolata Concezione, Museo del Prado, Madrid, Spagna, 1627.




℣. Deus, ✠ in adiutorium meum intende.



℞. Domine, ad adiuvandum meum festina.
Gloria Patri.


℣. O Dio, ✠ provvedi al mio soccorso.

℞. Signore, affrettati ad aiutarmi.
Gloria al Padre.


Veni, ✠ Sancte Spiritus, reple tuorum corda fidelium et tui amoris in eis ignem accende.

℣. Emitte Spiritum tuum et creabuntur.
℞. Et renovabis faciem terrae.
Oremus. Deus, qui corda fidelium Sancti Spiritus illustratione docuisti: da nobis in eodem Spiritu recta sapere, et de ejus semper consolatione gaudere. Per Christum Dominum nostrum. Amen.


Vieni, ✠ Santo Spirito, riempi il cuore dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore.
℣. Manda il tuo Spirito per una nuova creazione.
℞. E rinnoverai la faccia della terra.
Preghiamo. O Signore, che hai istruito i cuori dei fedeli con la luce dello Spirito Santo, donaci di gustare nello stesso Spirito la verità e di godere sempre della sua consolazione. Per Cristo nostro Signore. Amen.


ORAZIONE PREPARATORIA

Vergine purissima, concepita senza peccato, e fin da quel primo istante tutta bella e senza macchia, gloriosa Maria, piena di grazia, Madre del mio Dio, Regina degli Angeli e degli uomini, io umilmente vi riverisco come Madre del mio Salvatore, cui Dio m'ha insegnato, colla sua stima, col suo rispetto e colla sua sottomissione verso di Voi, quali onori e quali omaggi io debba prestare. Degnatevi, vi prego, ricevere ciò che in questa novena vi consacro. Voi siete il sicuro asilo dei peccatori penitenti; ho dunque ragione di ricorrere a Voi: siete Madre di misericordia; non potrete dunque non essere intenerita dalle mie miserie: siete, dopo Gesù Cristo, tutta la mia speranza; non potrete non gradire la tenera confidenza, che ho in Voi. Fatemi degno di chiamarmi vostro figlio, affinché possa dirvi con fiducia: Monstra Te esse Matrem.


Si diranno 9 Ave Maria ed un Gloria Patri, quindi la preghiera corrispondente al giorno della Novena.




PRIMO GIORNO

Eccomi ai vostri santissimi piedi, o Vergine Immacolata; io mi rallegro grandemente con Voi, che fino dall'eternità siete eletta Madre del Verbo eterno e preservata dalla colpa originale. Ringrazio e benedico la Santissima Trinità che vi ha arricchita di questi privilegi nella vostra Concezione; e vi supplico umilmente ad impetrarmi grazia di vincere quei tristi effetti, che in me ha prodotto il peccato originale: deh! Voi fate, che io li superi e non lasci mai di amare il mio Dio.




SECONDO GIORNO

O Giglio immacolato di purità, Maria, io mi congratulo con Voi, che fino dal primo istante della vostra Concezione siate stata ricolmata di grazia. Ringrazio ed adoro la Santissima Trinità, che vi ha compartito così sublimi doni, e mi confondo dinanzi a Voi nel vedermi così povero di grazia. Voi, che così pienamente ne foste ricolmata, deh! partecipatene all'anima mia, e fatene partecipe dei tesori del vostro Immacolato Concepimento.




TERZO GIORNO

O mistica Rosa di purità, Maria, io mi rallegro con Voi, che avete gloriosamente trionfato nella vostra Immacolata Concezione del serpente infernale, e che siete stata concepita senza macchia di peccato originale. Ringrazio e lodo con tutto il cuore la Santissima Trinità che vi ha concesso tal privilegio, e vi supplico di ottenermi valore a superare ogni insidia del nemico infernale e non macchiare col peccato l'anima mia. Deh! Voi sempre aiutatemi, e fate che colla vostra protezione trionfi sempre dei nemici della mia eterna salute.




QUARTO GIORNO

O Specchio di purità, Immacolata Maria Vergine, io godo al sommo nel vedere che sieno state infuse in Voi sin dalla vostra Concezione le più sublimi e perfette virtù, ed insieme tutti i doni dello Spirito Santo. Ringrazio e lodo la Santissima Trinità che vi ha favorita con questi privilegi: e vi supplico, o Madre benigna, di ottenermi la pratica delle virtù, e rendermi così degno di ricevere i doni e la grazia dello Spirito Santo.






QUINTO GIORNO

O Luna rilucente di purità, Maria, io mi congratulo con Voi, mentre il mistero del vostro Immacolato Concepimento è stato il principio della salute di tutto il genere umano e l'allegrezza di tutto il mondo. Ringrazio e benedico la Santissima Trinità, che ha così magnificato e glorificato la vostra Persona; e vi supplico di ottenermi grazia di saper approfittare della Passione e Morte del vostro Gesù, affinché non sia per me inutile il Sangue da Lui sparso sulla Croce.




SESTO GIORNO

O Stella risplendentissima di purità, Immacolata Maria, io mi rallegro con Voi, che l'immacolato vostro Concepimento abbia recato un gaudio grandissimo a tutti gli Angeli del Paradiso. Ringrazio e benedico la Santissima Trinità che vi ha arricchita di così bel privilegio. Deh! fate che io entri un giorno a parte di questa gioia, e possa in compagnia degli Angeli lodarvi e benedirvi in eterno.




SETTIMO GIORNO

O Aurora sorgente di purità, Immacolata Maria, io mi rallegro con Voi, ed ammiro che nel momento stesso della vostra Concezione siate stata confermata in grazia e resa impeccabile. Ringrazio ed esalto la Santissima Trinità che ha contraddistinto Voi sola con questo particolare privilegio. Deh! impetratemi, o Vergine santa, un totale e continuo abborrimento al peccato sopra ogni altro male, e fate che piuttosto io muoia, che commetterlo ancora.




OTTAVO GIORNO

O Sole senza macchia, Vergine Maria, io mi congratulo con Voi, e godo, che nella vostra Concezione sia stata da Dio conferita a Voi una grazia maggiore e più copiosa, che non ebbero tutti gli Angeli e tutti i Santi nel colmo dei loro meriti. Ringrazio ed ammiro la somma beneficenza della Santissima Trinità che vi ha dispensato questo privilegio. Deh! fate che io corrisponda alla grazia divina e mai non ne abusi: mutatemi il cuore e fate che fin d'ora incominci il mio ravvedimento.




NONO GIORNO
O Luce viva di santità, ed esempio di purità, Immacolata Vergine e Madre Maria, Voi appena concepita adoraste profondamente Iddio e lo ringraziaste, giacché col mezzo vostro, sciolta la maledizione antica, veniva la piena benedizione sopra i figli di Adamo. Deh! Voi fate, che questa benedizione accenda nel mio cuore l'amor verso Dio. Voi infiammatelo, acciocché io ami costantemente il Signore in terra, e poi lo goda eternamente in Paradiso, dove possa ringraziarlo più ardentemente dei singolari privilegi a Voi conceduti, e godere di Voi coronata in tanta gloria.




Si reciteranno le Litanie della Beata Vergine ovvero il seguente Inno:


Tota pulchra es, Maria.Tota pulchra es, Maria.
Et macula originalis non est in Te.
Et macula originalis non est in Te.
Tu gloria Jerusalem.
Tu laetitia Israel.
Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.
O Maria.
O Maria.
Virgo prudentissima.
Mater clementissima.
Ora pro nobis.
Intercede pro nobis ad Dominum Jesum Christum.


Tutta bella sei, Maria.
Tutta bella sei, Maria.
E il peccato originale non è in Te.
E il peccato originale non è in Te.
Tu gloria di Gerusalemme.
Tu letizia di Israele.
Tu onore del nostro popolo.
Tu avvocata dei peccatori.
O Maria.
O Maria.
Vergine prudentissima.
Madre clementissima.
Prega per noi.
Intercedi per noi presso il Signore Gesù Cristo.


Dopo le Litanie, ovvero dopo il suddetto Inno, si dirà:




℣. In Conceptione tua, Virgo, immaculata fuisti:℞. Ora pro nobis Patrem, cujus Filium peperisti.





℣. Nella tua Concezione, Vergine, fosti immacolata:℞. Prega per noi il Padre, di cui generasti il Figlio.





Orémus.

Deus, qui per Immaculatam Virginis Conceptionem dignum Filio tuo habitaculum praeparasti: quaesumus, ut qui, ex morte ejusdem Filii tui praevisa, eam ab omni labe praeservasti, nos quoque mundos, ejus intercessione, ad te pervenire concedas.
Deus, omnium fidelium Pastor et Rector, Famulum tuum N. quem Pastorem Ecclesiae tuae praeesse voluisti, propitius respice: da ei, quaesumus, verbo et exemplo, quibus praeest, proficere, ut ad vitam una cum grege sibi credito perveniat sempiternam.
Deus, refugium nostrum et virtus, adesto piis Ecclesiae tuae precibus auctor ipse pietatis, et praesta; ut quod fideliter petimus, efficaciter consequamur. Per Christum Dominum nostrum. ℞. Amen.



Preghiamo.
O Dio, che mediante l'Immacolata Concezione della Vergine preparasti al Figlio tuo una degna dimora: Ti preghiamo, come, in previsione della morte del tuo stesso Figlio, preservasti lei da ogni macchia, così concedi anche a noi, per sua intercessione, di giungere a Te purificati.O Dio, pastore e reggitore di tutti i fedeli, guarda propizio al tuo Servo N., che hai voluto Pastore della tua Chiesa: concedigli, Te ne preghiamo, di giovare con le parole e con l'esempio a coloro dei quali è capo, affinché, in un col gregge a sé affidato, giunga alla vita eterna.
O Dio, nostro rifugio e nostra forza, Tu che sei l'autore della pietà, presta l'orecchio alle pie suppliche della tua Chiesa, e fa che quanto Ti domandiamo con fede, efficacemente l'otteniamo. Per Cristo Signore nostro. ℞. Amen.




℣. Nos cum prole pia benedicat Virgo Maria.℞. Amen.




℣. La Vergine Maria benedica noi e tutti i suoi devoti.℞. Amen.


Indulgenza di trecento giorni per ciascun giorno.




Indulgenza Plenaria nel giorno della solennità dell'Immacolata Concezione, od in un giorno dell'ottava, per chi avrà praticato l'intera novena (Pio VII, 4 agosto 1808, 24 novembre 1808 e 11 gennaio 1809).











sabato 28 novembre 2020

Messa antica al Convento di Monte San Quirico a Lucca: cambio di orario dal 29 novembre 2020





Su gentile comunicazione di Stefano Stagi, Presidente del Coetus fidelium Lucio III Papa di Lucca, vi diamo notizia del cambio di orario della S. Messa a Lucca, a cura dell'Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote - I.C.R.S.S. , alle ore 11.15 della domenica, sempre presso il Convento dei frati Cappuccini minori di Monte San Quirico (Lucca) a far data da domenica prossima 29 novembre 2020.












venerdì 27 novembre 2020

DISPENSA DI LITURGIA SUL TEMPO D'AVVENTO: rubriche, cerimonie e pratiche devote






27 novembre 2020

Caratteristiche generali

Il Tempo d’Avvento segna l’inizio di un nuovo anno liturgico. Esso incomincia con i Primi Vespri (anche solo commemorati) della I Domenica d’Avvento, e si conclude con l’Ufficio di Nona della Vigilia di Natale. La I Domenica d’Avvento è la Domenica che cade più vicina alla festa di S. Andrea Apostolo (30 Novembre): di conseguenza essa può capitare dal 27 Novembre al 3 Dicembre, né prima né dopo. La Vigilia di Natale è il 24 Dicembre, e non si può anticipare se cade di Domenica.

L’Avvento è un tempo di penitenza: dalla I Domenica fino al giorno di Natale incluso, uno dei precetti della Chiesa proibisce la celebrazione solenne delle nozze (non sono impedite le nozze stesse, come pensano erroneamente alcuni, ma è vietato celebrarle con pompa e solennità per rispetto all’attesa del Natale). Ciò malgrado, gli unici giorni di digiuno e astinenza di precetto sono le Quattro Tempora e la Vigilia di Natale.

Il colore liturgico de tempore dell’Avvento, cioè delle Domeniche e Ferie, è il violaceo; Il Diacono e il Suddiacono alla Messa solenne non possono usare dalmatica e tunicella, ma le pianete plicate. L’Altare non può essere ornato con fiori e l’organo non può suonare se non per sostenere il canto.

Il solo ed esclusivo giorno della III Domenica, detta Gaudete dalla prima parola dell’introito della sua Messa, le regole esposte al paragrafo precedente subiscono un’eccezione: si può facoltativamente usare il colore rosa, Diacono e Suddiacono indossano Dalmatica e Tunicella alla Messa, l’Altare si può ornare di fiori e l’organo essere suonato.

Il rito delle Domeniche è Semidoppio quanto al modo di ordinare l’Ufficio e la Messa (con qualche eccezione che si vedrà in seguito), tuttavia esse sono Domeniche Maggiori:


La I Domenica d’Avvento è una Domenica di I Classe: essa non cede nemmeno alle feste più solenni.
Le altre tre sono Domeniche di II Classe: esse cedono soltanto alle feste di rito Doppio di I Classe.



Quindi, per esempio, negli anni in cui la festa dell’Immacolata Concezione cade la II Domenica d’Avvento, la festa prevale e se ne fanno l’Ufficio e la Messa con la commemorazione della Domenica a entrami i Vespri, a Mattutino e Lodi, e alla Messa.

Le Ferie d’Avvento sono Ferie Maggiori non privilegiate, che cedono alle feste «delle nove lezioni» (quindi quelle di rito Doppio e Semidoppio) ma non a quelle di rito Semplice. Quando queste Ferie sono impedite se ne fa sempre la commemorazione a Lodi e Vespri e alla Messa. A Lodi e Vespri si usa l’Antifona al Benedictus o al Magnificat del giorno, col relativo Versetto e l’Orazione della Domenica precedente. Alla Messa si riprendono le tre Orazioni Colletta, Secreta e Postcommunio della Domenica precedente.

Durante tutto l’Avvento le Vigilie de Sanctis (per il calendario universale S. Andrea, Immacolata e S. Tommaso) sono omesse all’Ufficio e si commemorano solo alla Messa.

Dall’8 al 15 Dicembre si seguono le regole normali delle Feste Doppie di I Classe (della S. Vergine) con Ottava Comune.

Il Mercoledì, Venerdì e Sabato della III Settimana d’Avvento cadono le Quattro Tempora, che prendono il posto delle Ferie relative e hanno uguale rito al Breviario (ma Messa propria).

A partire dal 17 Dicembre si devono necessariamente interrompere tutte le Ottave particolari che potrebbero essere in corso.

La Vigilia di Natale è una Vigilia Privilegiata di I Classe che non cede a nessuna Festa. Quando essa è in occorrenza con la IV Domenica di Avvento, la Vigilia prevale sulla Domenica e se ne fanno l’Ufficio e la Messa, mentre la Domenica viene solo commemorata ai Primi Vespri, a Lodi e alla Messa. Questa Vigilia ha due particolarità assolutamente uniche: la prima è quella di avere ben due riti, Semplice a Mattutino e Doppio (di I Classe) da Lodi a Nona; la seconda quella del canto solenne del Martirologio di Natale, in cui gli Accoliti portano i ceri e il Sacerdote indossa il piviale, incensa il libro e canta l’elogium con un tono proprio, inginocchiandosi alle parole In Bethlehem Judae etc..



Al Breviario

Per tutto il tempo d’Avvento si legge, alla Scrittura occorrente del Mattutino, il Libro del Profeta Isaia, che ebbe da Dio il privilegio di profetizzare in maniera particolareggiata, con ben sette secoli di anticipo, la venuta del nostro Redentore. Si legge dalla I Domenica di Avvento fino al 23 Dicembre, con l’eccezione delle Quattro Tempora e delle eventuali feste che disponessero di lezioni proprie oppure prese dal Comune per il I Notturno (S. Andrea, l’Immacolata Concezione e S. Tommaso Apostolo nel calendario universale, ma i calendari particolari possono includerne altre).

Il Suffragio di Lodi e Vespri è abolito durante tutto il Tempo d’Avvento anche alle Feste, e verrà ripreso solo una volta terminata l’Ottava dell’Epifania, così come anche il Simbolo Atanasiano dell’Ufficio di Prima domenicale.

Le Domeniche viene omesso il Te Deum a Mattutino, che è sostituito dal IX Responsorio.

Essendo le Ferie Maggiori automaticamente Ferie di penitenza, all’Ufficio feriale vige l’obbligo di recitare le Preci Feriali a tutte le Ore da Lodi a Compieta, con lo Schema II delle Lodi (e il Mercoledì anche al III Notturno) e il quarto Salmo a Prima. Le Domeniche si dicono le Preci Domenicali a Prima e Compieta come al solito, se non si devono commemorare feste di rito Doppio o Ottave.

L’Avvento non dispone di Inni per ogni giorno della settimana: le Ore Maggiori, cioè Vespri, Mattutino e Lodi, hanno degli Inni fissi per tutto il tempo d’Avvento (tranne, ovviamente, alle Feste, le quali usano gli inni propri o quelli del Comune): Creator alme siderum a Vespri, Verbum supernum prodiens a Mattutino, En clara vox redarguit a Lodi. Le altre Ore hanno i loro soliti Inni fissi per tutto l’anno. Anche i Versetti di Vespri e Lodi sono fissi. Inoltre il Salterio fornisce due Invitatori: Regem venturum Dominum per le prime due settimane d’Avvento e Prope est jam Dominus per le ultime due, più uno particolare per la Vigilia di Natale. Al Versetto del Responsorio di Prima, anche dell’Ufficio festivo se non ce ne sono di propri, si dice Qui venturus es in mundum. La Festa e Ottava dell’Immacolata, eccetto la Domenica infra Octavam, gli Inni con metrica uguale hanno la conclusione Jesu tibi sit gloria qui natus es de Virgine, e al Responsorio di Prima il Versetto Qui natus es de Maria Virgine.

L’Antifona finale delle Ore è l’Alma Redemptoris Mater con il Versetto Angelus Domini e l’Orazione Gratiam tuam. Questa Antifona persiste fino al 2 Febbraio, ma il Versetto e l’Orazione cambiano a partire dai Primi Vespri di Natale.

L’organizzazione dell’Ufficio domenicale non presenta particolari problemi, tenendo conto di quanto detto sopra più il fatto che ogni Domenica ha il suo Proprio, composto dalle Antifone ai Salmi (per entrambi i Vespri, Lodi, Prima, Terza, Sesta e Nona), dalle Antifone al Magnificat e al Benedictus, dai Capitoli (quello unico per Vespri, Lodi e Terza, e quelli per Sesta e Nona, quest’ultimo come al solito corrispondente alla Lettura Breve di Prima); infine le Letture del Mattutino con i Responsori, e l’Orazione. Nel Salterio si trovano le Antifone per il Mattutino domenicale (specifiche per l’Avvento, da non confondere con quelle per il Tempo dopo l’Epifania), e normalmente tutti gli Inni e i Versetti.

Invece l’Ufficio feriale è un caos, il più complicato dell’intero anno liturgico. Cercando di riassumere e semplificare al massimo:


A Mattutino Invitatorio, Inno, Antifone, Salmi e Versetti sono nel Salterio, Letture e Responsori nel Proprio. Le Antifone sono le stesse che si dicono nel resto dell’anno.
A Lodi (ricordo ancora: Schema II) il Salterio presenta delle Antifone che si usano nelle prime tre settimane, e poi delle Antifone diversificate per le sei Ferie che precedono la Vigilia di Natale, nelle quali ogni giorno ha le sue Antifone proprie. I Salmi gli Inni, i Versetti e le Preci sono sempre nel Salterio. L’Antifona al Benedictus è propria del giorno, l’Orazione è quella della Domenica precedente.
A Prima, Terza, Sesta e Nona le Antifone sono organizzate per settimana e corrispondono a quelle della Domenica. Possono mancarne alcune, specialmente quelle della seconda settimana: non è un problema dato che in quel periodo cade l’Ottava dell’Immacolata, che prevale sull’Ufficio feriale. Anche in questo caso, le ultime sei Ferie prima della Vigilia di Natale hanno Antifone proprie. I Capitoli coi Responsori, i Versetti, le Preci e la Lettura Breve di Prima si trovano nel Salterio, l’Orazione è sempre quella della Domenica.
I Vespri dal Lunedì al Venerdì hanno le stesse Antifone del resto dell’anno (i Vespri del Sabato quelle domenicali). I Salmi e le Preci sono nel Salterio, l’Inno col Versetto anche, o male che vada nel Proprio o nell’Ordinario. Le Antifone al Magnificat sono proprie, tuttavia i giorni che vanno dal 17 al 23 Dicembre hanno Antifone speciali, le cosiddette Grandi Antifone conosciute anche come Antifone “O”, che a causa della loro particolare importanza vanno sempre raddoppiate.
Compieta è l’unica Ora Canonica che non subisce variazioni nel corso dell’anno. Semplicemente bisogna ricordarsi che le Preci, essendo Feriali, vanno recitate in ginocchio.



Per l’Ufficio festivo ci si regola come sempre, utilizzando le Antifone del Salterio che sono denominate per annum e lo Schema I delle Lodi, oppure quelle del Proprio o del Comune secondo il caso.

Il 21 c’è l’Antifona Nolite timere, che si dice o per la commemorazione della Feria nella Festa di San Tommaso, o, se è Domenica, come Antifona al Benedictus. Il 23 c’è l’Antifona al Benedictus Ecce completa sunt. La Vigilia di Natale ha Antifone e Salmi del Salterio a Mattutino, e nelle restanti Ore Salmi festivi e il resto proprio.



Al Messale

L’Avvento ha solo otto Messe proprie: cioè per le quattro Domeniche, i tre giorni delle Quattro Tempora, e la Vigilia di Natale. Nelle Ferie si riprende dunque la Messa domenicale, se non si vogliono celebrare Messe Votive o di Requiem; tuttavia a partire dal 17 Dicembre le Messe Votive comuni e quelle quotidiane di Requiem sono proibite (come anche alle Quattro Tempora e Vigilie de Sanctis). Ma le Messe Votive pro re gravi et publica simul causa sono comunque permesse, a eccezione della I Domenica d’Avvento e della Vigilia di Natale, e le Messe lette da Requiem per i giorni privilegiati (morte, funerale, 3°, 7° e 30° giorno, anniversario) lo sono altrettanto ma a eccezione anche delle altre Domeniche.

In tutte le Messe de tempore il Gloria in excelsis è soppresso, di conseguenza alla fine della Messa si dice Benedicamus Domino invece che Ite Missa est. Alla Messa feriale che riprende quella della Domenica si omette l’Alleluja.

Sia nelle Messe de tempore, che in quelle de Sanctis di rito Semidoppio, le Orazioni pro diversitate Temporum assignatae sono così regolate: la prima (dopo quelle della Messa e delle commemorazioni) è della Beata Vergine Deus qui de Beatae Mariae, la seconda quando viene recitata è quella contro i persecutori della Chiesa Ecclesiae tuae oppure per il Papa Deus omnium fidelium. Se la Messa è offerta in onore della Beata Vergine, o se la Beata Vergine è commemorata, o ancora se si tratta della Messa Votiva di Ognissanti, la prima orazione viene sostituita con quella dello Spirito Santo Deus qui corda fidelium.

Il Prefazio domenicale è di per sé quello della SS. Trinità, quello feriale è il Prefazio Comune; chi usufruisce dei Prefazi propri di Francia vi troverà però lo speciale Prefazio di Avvento da usare sia le Domeniche che le ferie e le Feste non aventi Prefazio proprio.

Per Santa Maria in Sabato e le Messe Votive de Beata si usa la Messa I Rorate coeli.

Le Messe delle Quattro Tempora seguono le loro regole normali: il Mercoledì si aggiunge una Profezia e il Sabato cinque, dotate sempre di Graduali e Orazioni.



All’Antifonale e al Graduale

Negli Uffici de tempore gli Inni e i Responsori delle Ore Minori seguono un tono proprio. Le Domeniche la Messa si canta col Kyriale XVII (che corrisponde, nell’Ufficio, al tono VIII del Benedicamus Domino); nelle Ferie la Messa ha il Kyriale XVIII (nell’Ufficio Benedicamus Domino col tono VII).




Al Caeremoniale Episcoporum



L’Avvento essendo come già detto un tempo di penitenza, i Prelati non regolari indossano l’abito corale penitenziale, nero per i Prelati inferiori e i Vescovi, e violaceo per i Cardinali, conservando ovviamente lo zucchetto, la berretta e il galero propri della loro dignità. Si eccettua la Festa dell’Immacolata, in cui si usa l’abito normale. Agli Uffici e Messe Pontificali de tempore si usa la mitria aurifregiata, ma la Domenica Gaudete e alle Feste la mitria preziosa. I paramenti non si indossano in sacrestia ma al Trono o al Faldistorio; il Suddiacono canta l’Epistola senza pianeta plicata, così il Diacono per il Vangelo, sostituendo anche la stola normale con la stola latior (la Domenica Gaudete si seguono invece le regole normali).



Pratiche

La più conosciuta è quella della Corona d’Avvento, una corona vegetale o floreale al cui centro stanno quattro ceroni, tre violacei e uno rosa, che si accendono progressivamente ognuno a ciascuna Domenica, e si possono tenere accesi tutti i giorni per la Messa, i Vespri o la Novena, fino alla Vigilia di Natale inclusa. La si colloca presso l'Altar Maggiore (e mai su di esso come fanno certuni!!).

Una pratica liturgica bellissima è quella della Messa Rorate. Vale a dire che si celebra l’omonima Messa, o per Santa Maria in Sabato o semplicemente come Votiva, prima dell’alba, quando il cielo è ancora scuro, alla luce delle sole candele dell’altare, che eccezionalmente possono essere aumentate di numero senza limiti, dato che il Sacerdote ne ha bisogno per leggere bene il Messale.

Prima della Divino Afflatu il Breviario indicava espressamente l’obbligo, per chi cantava l’Ufficio in coro, di recitare l’Ufficio dei Defunti tutti i lunedì d’Avvento in cui non ci fosse una Festa delle nove lezioni; chi non era tenuto all’Ufficio corale era solo invitato a farlo facoltativamente. Pur essendo stati soppressi quest’obbligo e questa indicazione, nulla vieta che si possa continuare a praticarla.

In Italia è molto sentita la tradizione della Novena di Natale, dal 16 al 24 Dicembre, che può essere cantata anche solennemente, col Sacerdote in piviale violaceo, Diacono e Suddiacono in pianete plicate (paramenti rosa la III Domenica d’Avvento, con Diacono e Suddiacono in dalmatica e tunicella; se la Novena viene cantata davanti al SS. Sacramento esposto i paramenti sono bianchi). Al Magnificat si incensano l’Altare, il celebrante, il Clero e i fedeli; o in caso di esposizione solo il SS. e l’Altare.

Esiste anche una melodia gregoriana per la Novena all’Immacolata Concezione, dal 30 Novembre al 7 Dicembre, cui può seguire l’esposizione del SS. Sacramento. La sua struttura è molto simile a quella di Natale e penso si possa officiare allo stesso modo.

Infine, esiste un'Antifona su San Gregorio Magno che si può cantare alla Messa della I Domenica d'Avvento prima dell'Introito, in riferimento all'inizio dell'anno liturgico e al fatto che San Gregorio ha organizzato il canto gregoriano, che da lui prende il nome. Purtroppo l'ho sentita una volta sola e non ne ho lo spartito.




Per ulteriori dettagli sulle rubriche dell'Avvento: L. Stercky, Manuel de liturgie et Cérémonial selon le Rit Romain, Paris Lecoffre 1935, Tomo II, pag. 211-220.

Per le Funzioni Episopali in Avvento: Id., Les Fonctions Pontificales selon le Rit Romain, Paris Lecoffre 1932, Tomo II, pag. 1-3.




Dall'Anno Liturgico di Dom Guéranger sul Tempo d'Avvento:


Storia dell'Avvento: https://sensusfidelium.us/italiano/lanno-liturgico-di-dom-prosper-gueranger/avvento-lannoliturgico-di-dom-prosper-gueranger/capitoloi-storia-dellavvento/
Mistica dell'Avvento: https://sensusfidelium.us/italiano/lanno-liturgico-di-dom-prosper-gueranger/avvento-lannoliturgico-di-dom-prosper-gueranger/capitolo-ii-mistica-dellavvento/
Pratica dell'Avvento: https://sensusfidelium.us/italiano/lanno-liturgico-di-dom-prosper-gueranger/avvento-lannoliturgico-di-dom-prosper-gueranger/capitoloiii-pratica-dellavvento/





By Il Castigamatti
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giovedì 26 novembre 2020

Da “cristiani anonimi” a “Fratelli tutti”. Un contributo di padre Serafino Maria Lanzetta







26NOV 2020 

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by Aldo Maria Valli

Cari amici di Duc in altum, sono lieto di proporvi un contributo di padre Serafino Maria Lanzetta che collega la nozione di “cristiani anonimi” al centro della riflessione di Karl Rahner all’ultima enciclica di Francesco, Fratelli tutti, nella quale, scrive Lanzetta, manca Cristo, il Figlio di Dio, che ci rende figli del Padre e “c’è solo l’uomo che si affratella naturalmente agli altri uomini sulla mera base di istanze sociali o di un amore umano non ben precisato”.
L’autore ha dedicato a questo tema anche una catechesi che si può ascoltare sul suo canale YouTube. E, sempre sul tema della Fratelli tutti, ha scritto un editoriale per il numero in uscita di Fides Catholica.
A.M.V.


***



C’è un’affinità di non poco rilievo tra i cosiddetti “cristiani anonimi” di K. Rahner (1904-1984) e l’ultima enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti. Ma anche un superamento considerevole della teoria teologica del gesuita tedesco nel discorso di Francesco sulla fratellanza universale. Vediamo perché partendo da un punto focale in entrambi che è l’uomo. Chi è costui?

«L’uomo – al dire di K. Rahner – è l’evento dell’auto-comunicazione assoluta di Dio». Questa è una delle espressioni più originarie del teologo tedesco che si trova nel suo Corso fondamentale sulla fede (or. 1974) e anche una delle più problematiche. Una sintesi della sua visione dell’uomo al centro della Rivelazione, non solo come colui che riceve, ma soprattutto come momento necessario di saldatura di Dio con il tempo e la storia. Per Rahner né si da un Dio che non si auto-comunichi né un uomo che non sia sempre uditore, luogo ed evento della Parola. Di conseguenza, Dio non ci sarebbe senza l’uomo e perciò l’uomo non potrebbe non essere in comunione con Dio. Per questo Dio è già in ogni uomo, che lo sappia o meno, che si ponga il problema o no. Importante è che sia sé stesso, che rimanga evento di Dio nel mondo.


Cosa intende Rahner per “evento”? Che Dio è presente nell’uomo come «termine della trascendenza», intesa quest’ultima come auto-trascendenza dell’uomo, cioè capacità di andare oltre sé stesso e di aprirsi alla totalità dell’essere e quindi a Dio. Ciò significa che noi conosciamo Dio come conosciamo noi stessi, nell’intima esperienza della libertà di scelta. Il termine (la nostra trascendenza) e l’oggetto (l’essere divino) coincidono. Quindi conoscenza, apertura dell’uomo a Dio e Dio stesso in fondo sono la medesima cosa.


Ciò che Rahner intende superare è un falso concetto teologico secondo cui il dono che Dio fa di sé stesso è o un evento storico o un’esperienza trascendentale. No, a suo giudizio il dono è entrambe le cose. Il Vangelo storico ci sollecita a rispondere, mentre la nostra risposta ci consente di trascendere quello che eravamo prima. Nella nostra esperienza intesa come auto-riflessione, auto-conoscenza e auto-trascendenza, riconosciamo Dio come colui che ci chiama, ci assiste e ci viene incontro.


Dio non lo riconosciamo più nella sua Rivelazione storica attraverso signa et verba (segni e parole divini), come vuole un sano approccio teologico al mistero. La Rivelazione diventa invece un’auto-comunicazione storica di Dio all’uomo attraverso la coscienza che l’uomo ha di sé in quanto aperto alla trascendenza; ciò in virtù dell’approccio trascendentale di Kant alla conoscenza, con il suo a-priori nelle dodici categorie conoscitive della ragion pura. Il tomismo rahneriano chiaramente non è quello di San Tommaso ma quello trascendentale del gesuita belga J. Marechal (1878-1944), a cui Rahner si ispira così da cucire insieme l’apriorismo conoscitivo di Kant e l’esistenzialismo di Heiddeger. L’uomo è aperto a tutto l’essere che poi è ciò che si dà come esistente, nel mondo, ma lo coglie in modo a-priori, prima ancora di conoscere le singole cose. Questo essere a cui l’uomo è aperto sarebbe già Dio, colto comunque in modo trascendentale e non ancora categoriale.


L’uomo perciò è aperto alla trascendenza in modo trascendentale, cioè in modo necessario e a-priori in virtù del primato del soggetto nella conoscenza. Tale apertura a Dio è resa possibile dal fatto che essa è sì insita nella conoscenza ma allo stesso tempo è anche una grazia, o meglio, più che grazia, è già presenza di Dio nell’uomo.

Questo legame indissolubile tra la presenza di Dio nell’uomo e l’apertura dell’uomo a Dio è dato dal cosiddetto “esistenziale soprannaturale”: una geniale invenzione di Rahner ma difatti un tertium quid, un’aggiunta superflua. Esso è esistenziale perché è offerto a tutti: ogni persona è ordinata alla comunione con Dio. Ma è anche soprannaturale, perché la comunione con Dio sarebbe impossibile se Dio non ci avesse già dato la capacità di raggiungerla. Addirittura l’esistenziale soprannaturale viene definito da Rahner quale vero essere della persona umana ordinata alla comunione con Dio. L’uomo può protestare contro questa auto-comunicazione divina ma l’offerta e il dono è per tutti e accade quale esistente.


Salta chiaramente il concetto di potenza obbedienziale della natura, cioè la capacità della natura di obbedire a Dio quando la libertà dell’uomo si apre al dono della grazia in virtù della grazia stessa che muove la libertà. E salta anche il concetto di grazia quale partecipazione alla natura divina. Non c’è partecipazione ma auto-comunicazione. Salta la distinzione tra natura e grazia e tra grazia sufficiente e grazia efficace. La grazia, cioè Dio nell’uomo, non può che essere sempre efficace e quindi la salvezza è già in tutti. L’uomo è già in comunione con Dio in modo irriflesso o atematico. Se lo sarà in modo categoriale è bene e più santo certamente, ma non pregiudica il fatto stesso di esserlo. Quindi ciò non toglie che ogni uomo sia già in comunione con Dio.

Di più, l’auto-comunicazione di Dio non è solo un dono gratuito e una grazia. Ma è anche «una condizione necessaria che rende possibile l’accettazione del dono». Con il dono di Sé stesso, Dio renderebbe partecipe l’uomo anche del dono di ricevere il dono medesimo. Il dono e colui che dona sono la medesima persona dice il teologo tedesco. Per cui l’uomo in qualche modo è “obbligato” da Dio in modo libero ad accettare il dono di Sé. Dov’è pertanto la libertà di rifiutare la grazia o la libertà di scegliere un’azione cattiva? Infatti, per Rahner, l’uomo che sceglie in modo trascendentale è sempre rivolto a Dio e quindi fa il bene; in modo categoriale potrebbe invece scostarvisi e scegliere qualcosa di inferiore, che sarà tuttavia un bene “pre-morale”. L’uomo in virtù di una “libertà fondamentale” o “opzione fondamentale”, di cui Rahner è il capostipite, non può che scegliere Dio. De facto il peccato non esiste più e non va più attribuito alle singole azioni morali. Il vero peccato è l’opzione contro Dio, che comunque sarebbe impossibile in virtù dell’apertura trascendentale-esistenziale a Lui. Se sono tutti anonimamente santi e tutti cristiani che ne sarà del peccato? Sarà qualificato come una scelta sbagliata o una reminiscenza del passato e basta, ma non un’offesa (aversio) a Dio. Ci dice qualcosa questo oggi?


Riflettiamo ancora e guardiamo a questo discorso in modo prospettico. Se l’uomo è lui stesso il mezzo necessario dell’auto-comunicazione di Dio, non potrebbe succedere che un domani si dimentichi di Dio, di essere la sua auto-comunicazione e diventi invece solo auto-comunicazione di sé a sé stesso? Se cioè stanco di Dio o dell’essere solo in funzione dell’auto-comunicazione di Dio inizi a interessarsi solo di sé stesso o in ambito cattolico si inizi perfino a giustificare l’ateismo come un’opzione possibile perché umana? Rahner potrebbe essere preso talmente sul serio da superare anche la capacità trascendentale dell’uomo di essere aperto a Dio, finendo in una mera apertura dell’uomo all’uomo. Il rischio però è che l’uomo si accontenti di essere fratello di tutti anche senza saperlo o senza esserlo. E così arriviamo ai nostri giorni.

C’è senza dubbio una continuità ma anche una discontinuità tra Rahner e la Fratelli tutti. La continuità consiste nel fatto che l’uomo è al centro e Dio è un postulato della conoscenza dell’uomo; si dà come termine della trascendenza della conoscenza umana. Cioè un Dio in vista dell’uomo e non l’uomo in vista di Dio. Questo è il cuore della svolta antropologica rahneriana e della Chiesa dei nostri giorni.

La discontinuità consiste invece nel fatto che Rahner ha a cuore il problema dell’ateismo occidentale e vuole trovare una soluzione perché l’uomo sia in qualche modo orientato a Dio. Per il gesuita tedesco il Cristianesimo primeggia tra le religioni perché è accesso a Dio, è poter vedere Dio che rimane invisibile. Per la Fratelli tutti invece Dio non c’è e sembra che non ce ne sia bisogno. Manca vistosamente Cristo, il Figlio di Dio, che ci rende figli del Padre. C’è solo l’uomo che si affratella naturalmente agli altri uomini sulla mera base di istanze sociali o di un amore umano non ben precisato. Amore eros, filos, filantropico, agape: non è dato di sapere. Ciò che si sa è che non si tratta di un amore-caritas, l’amore che Dio ha riversato su di noi nel Figlio e che ci muove. Tutto è volto nell’enciclica di papa Francesco a superare la religione e a trovare un accordo tra gli uomini più duraturo, ma a-religioso o forse super-religioso. Tutti dovrebbero reputarsi fratelli, anche se non lo sanno.


La Fratelli tutti fa a meno di Dio e di Cristo, in un passaggio-chiave quando si spiega la parabola del Buon Samaritano: «In quelli che passano a distanza c’è un particolare che non possiamo ignorare: erano persone religiose. Di più, si dedicavano a dare culto a Dio: un sacerdote e un levita. Questo è degno di speciale nota: indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace. Una persona di fede può non essere fedele a tutto ciò [che] la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio e ritenersi più degna degli altri. Ci sono invece dei modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di un’autentica apertura a Dio» (n. 74).

Sembra che si dica che adorare Dio e non adorarlo sia dopotutto la stessa cosa. Per di più, se l’adorazione porta alla chiusura del cuore è meglio tralasciarla per soccorrere con le nostre forze quell’uomo incappato tra i briganti. In realtà, la vera adorazione, quella che si dà al Padre in Cristo suo Figlio per mezzo dello Spirito Santo, non conduce mai ad ignorare il prossimo, anzi ne è la ragion d’essere e il nutrimento necessario. L’uomo di oggi fa a meno di Dio, ma la soluzione non sta nel dare Dio a tutti indifferentemente. Altrimenti rischiamo di renderlo superfluo e di iniziare a pensare con il mondo, che fa tutto come se Egli non esistesse.

Padre Serafino Maria Lanzetta












sabato 21 novembre 2020

“Gesù, pensaci tu”. Don Dolindo Ruotolo











di Costanza Miriano

Qualche tempo fa una carissima amica mi ha chiesto quale frase avrei scelto se ne dovessi avere una sempre sotto gli occhi. Senza pensarci troppo le ho risposto “Gesù, pensaci tu”, il ritornello dell’atto di abbandono di Don Dolindo Ruotolo. Siccome è una suora e con le consorelle gestisce una scuola (una delle più belle mai viste, a Genova, quella delle figlie di San Giuseppe) ho pensato che stesse preparando uno striscione per i bambini, qualcosa per una recita o roba del genere, e la frase mi è salita alla bocca senza pensarci un secondo, poi ho dimenticato la domanda.

Non avrei mai creduto che invece fosse tutto un complotto per prepararmi un regalo (il quale peraltro non è ancora arrivato, ma so che è in cammino, e so che non è uno striscione né una statua di san Giuseppe ma qualcosa di frivolo, quindi se parte la mia linea di accessori un po’ too much con il logo “Gesù pensaci tu” vi avviso). Comunque, tutto questo era per dire che da tanto tempo sono affezionata a questa giaculatoria così semplice, e da tanto cercavo la storia di Don Dolindo, senza mai trovarla.

Ieri erano i cinquanta anni dalla sua morte, per cui volevo fargli un regalo (in ritardo, ma lui è buono e mi perdona) e ricordare questo sacerdote specialissimo, anche perché finalmente è uscita (per la Ares) una sua biografia che ha risposto alle mie attese, o, più precisamente, in realtà mi ha lasciata con la voglia di sapere molto di più, forse perché scritta, insieme a Luciano Regolo (che avevo imparato a conoscere come biografo di Natuzza Evolo), dalla nipote Grazia Ruotolo. Mi pare che comprensibilmente la nipote abbia avuto un occhio un po’ attento a una serie di aspetti dettati dall’affetto e dalla devozione, e che il risultato sia un racconto più affettivo che rigoroso e capace di uno sguardo oggettivo e globale, insomma a tratti mi sono un po’ persa. Forse alla fine alla statura di don Dolindo questa biografia non rende ancora piena giustizia, ma è sicuramente un ottimo inizio, lungamente atteso, almeno da parte mia.

E così, leggendo, ho capito che quest’uomo è stato ancora più di quanto pensassi, è stato un vero gigante, la versione dolce di padre Pio, e non mi capacito del fatto che questa figura sia così poco conosciuta, e poco esaltata nella Chiesa. Chiesa che lui ha amato teneramente e difeso senza riserve, nonostante tutto: in vita ha dovuto subire la sospensione a divinis. Il Signore però lo ha ricompensato con delle grazie incredibili, e una capacità profetica di predicare e di offrire la Parola di Dio. Diceva che la sua memoria sarebbe stata riabilitata dai suoi libri di commento alla Scrittura, infatti il suo commento ai Vangeli (Casa Editrice Mariana) è nella mia lista per Gesù bambino…

Ai modi burberi e decisi del frate di Pietrelcina, con cui condivideva il privilegio delle stimmate, don Dolindo invece rispondeva con una dolcezza sconfinata: chiamava tutti angioletto mio, e conquistava le persone con una accoglienza senza limiti, esaltando la bontà dei peccatori. Era durissimo con se stesso, si sottoponeva a penitenze, digiuni, sacrifici, sofferenze fisiche inimmaginabili (girava con una borsa di pietre portando la quale chiedeva a Dio di salvare le anime), ma con gli altri solo dolcezza. La sua bontà non era a buon mercato, sapeva che aveva un prezzo. Aveva capito che le anime si conquistano con un combattimento, e che se uno non è capace di farlo da solo, serve che qualcun altro si offra per lui. E’ il mistero della sofferenza vicaria. Continuamemte don Dolindo chiedeva e cercava occasioni per soffrire, supplicando Dio di salvare anime.

A questo proposito, nel suo libro su Maria fa una profezia impressionante:


“solo una grande misericordia può fare superare al mondo il baratro nel quale è caduto. […] Il mondo è diventato un campo di morte, nessuna voce lo risveglia se una grande misericordia non lo solleva. Voi, perciò, figlie mie dovete implorare questa misericordia, rivolgendovi a me che ne sono la Madre. Che cosa credete voi che sia la misericordia? Non è solo l’indulgenza, ma è anche il rimedio, la medicina, l’operazione chirurgica. La prima misericordia che deve avere questa povera terra, e la Chiesa per prima, dev’essere purificazione. Non vi spaventate, non temete, ma è necessario che un uragano terribile passi prima sulla Chiesa e poi su mondo! La Chiesa sembrerà quasi abbandonata e da ogni parte la diserteranno i suoi ministri… dovranno chiudersi persino le chiese! Il Signore troncherà con la sua potenza tutti i legami che ora l’avvincono alla terra e la paralizzano! Hanno trascurato la gloria di Dio per la gloria umana, per il prestigio terreno, per il fasto esteriore e tutto questo fasto sarà ingoiato da una persecuzione terribile, nuova! Allora si vedrà che cosa giovano gli appannaggi umani e come valeva meglio appoggiarsi a Gesù che è la vita vera della Chiesa. […] Tutto questo è misericordia non è male. Gesù voleva regnare dilatando l’amore suo… Egli dunque disperderà tutto quello che non è suo”.

Lui permetteva davvero a Gesù di regnare sul suo cuore, e si sa che con queste anime poi Dio supera i confini di ogni attesa; attraverso don Dolindo operava miracoli in continuazione, alcuni quasi di routine (non si sa quante coppie hanno concepito un figlio lungamente atteso, grazie a lui), altri enormi come la conversione di peccatori incalliti, o esagerati come permettere di avere un figlio a una donna a cui era stato asportato l’utero, ai ciechi di riavere la vista, e ogni sorta di guarigioni. Quando permetti a Gesù di regnare davvero sul tuo cuore, però, non è tanto importante che lui faccia la tua volontà, ma che tu capisca la sua. E allora, mentre cerchi di farla, puoi davvero abbandonarti come un bambino, come insegna il suo atto di abbandono:


Perché vi confondete agitandovi?

Lasciate a me la cura delle vostre cose

e tutto si calmerà.

Vi dico in verità che ogni atto di vero,

ricco e completo abbandono in me,

produce l’effetto che desiderate e risolve le situazioni spinose.

Abbandonarsi a me non significa arrovellarsi,

sconvolgersi e disperarsi,

volgendo poi a me una preghiera agitata perchè io segua voi,

è invece cambiare l’agitazione in preghiera.

Abbandonarsi significa chiudere placidamente gli occhi dell’anima,

stornare il pensiero della tribolazione

e rimettersi a me perché io solo operi, dicendomi:

”pensaci tu”.

La preoccupazione, l’agitazione e il voler pensare

alle conseguenze di un fatto è contro l’abbandono,

chiudete gli occhi e lasciatevi portare

dalla corrente della mia grazia,

chiudete gli occhi e lasciatemi lavorare,

chiudete gli occhi e pensate al momento presente,

stornando il pensiero dal futuro come da una tentazione,

riposate in me credendo alla mia bontà

e vi giuro che per il mio amore che dicendomi

con queste disposizioni, pensaci tu, io ci penso in pieno,

vi consolo, vi libero, vi conduco,

e quando dopo portarvi in una via diversa da quella che vedete voi,

io vi addestro, vi porto nella mie braccia, vi faccio trovare…

come bimbi addormentati nelle braccia materne dall’altra riva,

quello che vi sconvolge e vi fa male immenso,

è il vostro ragionamento, il vostro pensiero, il vostro assillo,

e il volere ad ogni costo provvedere voi a ciò che vi affligge,

quante cose io opero quando l’anima, tanto nelle sue necessità spirituali,

quanto in quelle materiali, si volge a me dicendomi ”pensaci tu”,

chiudi gli occhi e riposa! Voi nel dolore pregate perché io operi,

ma in realtà voi pregate perché io operi come voi credete,

non vi rivolgete a me, ma volete che io mi adatti alle vostre idee,

non siete infermi che domandano al medico la cura, ma gliela suggeriscono.

Non fate così, ma pregate come vi ho insegnato nel Pater:

”sia santificato il Tuo nome”,

cioè sia glorificato in questa mia necessità,

”venga il Tuo regno”,

cioè tutto quello che mi sta succedendo concorra al tuo regno in noi e nel mondo,

”sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra”,

cioè disponi tu in questa necessità come meglio ti pare

per la vita nostra eterna e temporale.

Se mi dite davvero ”sia fatta la Tua volontà”,

che è lo stesso che dire: ”pensaci tu”,

io intervengo con tutta la mia onnipotenza

e risolvo le situazioni più chiuse.

Ti accorgi che il malanno incalza invece di decadere?

Non ti agitare, chiudi gli occhi e dimmi con fiducia:

”sia fatta la Tua volontà pensaci tu!”.

Ti dico che io ci penso e che intervengo come medico

e compio anche un miracolo quando occorre.

Vedi che la situazione peggiora?

Non ti sconvolgere chiudi gli occhi e dì: ”pensaci tu!”.

Ti dico che io ci penso e che non cè medicina più potente

di un mio intervento d’amore.

Ci penso solo quando chiudete gli occhi.

Quando vedi che le cose si complicano,

di con gli occhi dell’anima chiusi, Gesù pensaci tu.

Fa così per tutte le necessità, fate così tutti e vedrete grandi, continui e silenziosi miracoli.

Ve lo giuro per il mio amore!



E a proposito del piccolo resto a cui a volte sembra ridotta la Chiesa, ecco cosa dice:


“Nelle tempeste della vita non dobbiamo mai scoraggiarci, quando abbiamo Gesù con noi. A volte sembra quasi che Egli dorma e tutto pare perso. Questo avviene quando mettiamo la fiducia negli uomini o nei mezzi naturali. Ma quando si risveglia la nostra fede e con uno slancio di amorosa fiducia risvegliamo Gesù, Egli si erge da dominatore, impone silenzio alla tempesta e vince. Oggi si può dire che la Chiesa si trovi in una di quelle tempeste nelle quali Dio sembra che dorma. Le nazioni le si sono ribellate o, nella migliore ipotesi, fingono di non conoscerla. Le persecuzioni ferocissime in alcune regioni rinnovano l’era gloriosa dei primi martiri; le stragi si moltiplicano e, soprattutto, il male e l’errore dilagano in una maniera spaventosa. Dobbiamo risvegliare Gesù con la fede piena, integra, incrollabile, e quando ci sembrerà prossima la rovina lo vedremo, elevato nella sua regalità, imporre la calma e ridonare il trionfo alla sua Chiesa e al mondo”.








lunedì 16 novembre 2020

IL VASO DI PANDORA DEL DIVORZIO. A 50 anni dalla legge Fortuna-Baslini.






di Federico Catani (direttore della campagna SOS Ragazzi)
3 novembre 2020

Ricordiamo quest’anno una triste ricorrenza: i cinquanta anni della legge sul divorzio. Nessuno ne parla più, ma la sua approvazione ha segnato un cambiamento epocale nella mentalità degli italiani, di cui oggi vediamo tutte le amare conseguenze. A rimetterci sono soprattutto i bambini






Il 2020 ha segnato il cinquantesimo anniversario dell’approvazione della legge 898 del 1° dicembre 1970, quella, per intenderci, che introdusse il divorzio nell’ordinamento giuridico italiano e nota anche come Fortuna-Baslini, dal nome dei due politici promotori. Si tratta di una triste ricorrenza, che però è doveroso ricordare.

Cinque decenni dopo, infatti, nessuno si pone più il problema del divorzio e dell’indissolubilità matrimoniale. Nessuno, anche in casa cattolica, si sognerebbe di contestare la legge del 1970. Tutt’al più qualcuno ha criticato le riforme ad essa apportate, come ad esempio il cosiddetto divorzio “breve” o “facile”. Ma anche in questo caso le voci di dissenso sono state pochissime e molto deboli. Del resto, se persino molti uomini di Chiesa, sin nei più alti vertici, da alcuni anni hanno iniziato a parlare di comunione per i divorziati risposati, cosa ci si può aspettare dalla classe politica e dall’opinione pubblica?

Inutile girarci attorno: l’introduzione del divorzio è stata sicuramente la conseguenza di un cambiamento valoriale all’interno della società italiana soprattutto a partire dal secondo dopoguerra e in particolare negli anni Sessanta. Però a sua volta la legge 898 ha contribuito ad avviare una vera e propria rivoluzione culturale, portando una nuova mentalità in cui oggi tutti siamo immersi sin sopra i capelli. L’Italia si è così adeguata a quella cultura divorzista che ha costruito un sistema che oppone i due sessi esaltando le ragioni egoistiche di ciascuno. La famiglia è stata subordinata all’egoismo degli individui. Il desiderio è diventato diritto e le responsabilità vengono spesso ignorate.


UN CAMBIAMENTO DI MENTALITÀ

Lo aveva capito molto bene il giornalista Piero Ottone, già direttore del Corriere della sera, il quale sei anni prima dell’approvazione della legge Fortuna-Baslini scriveva: “Il divorzio ha il vantaggio [sic!] di riparare l’errore di un matrimonio sbagliato e permette di ricominciare. D’accordo. Ma presenta anche uno svantaggio che è, a mio avviso, ancora maggiore. Esso uccide, o riduce fortemente, la volontà dei coniugi di compiere ogni possibile sforzo per salvare un matrimonio pericolante. […] La possibilità di uscire da una stanza in cui si sta scomodi genera un potente, quasi irresistibile desiderio di uscire, senza tentare di rendere quella stanza, quanto più possibile, comoda e abitabile. E ogni indebolimento della volontà dei coniugi è gravissimo, anzi fatale, perché, nei matrimoni davvero pericolanti, solo un grande sforzo da parte di entrambi, senza indecisioni e incertezze, può salvarli. Ne consegue che l’istituto del divorzio, anche se ha il vantaggio di sanare di tanto in tanto le situazioni insostenibili, ha il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei cittadini. Esso fa di loro, uomini e donne, persone che fuggono davanti alle difficoltà, e non persone che le affrontano con coraggio. Il danno si ripercuote su tutta la vita sociale”. Ottone, da laico, aveva ragione. La possibilità di sciogliere il vincolo matrimoniale, che era stata concepita come una tutela in determinate situazioni di emergenza, si è ben presto tramutata in una sorta di “diritto inalienabile della persona”, la quale ha così acquisito il pieno diritto di far prevalere la logica egoistica del piacere personale rispetto a qualsivoglia esigenza dettata da principi morali o sociali. E perché la gente divorzia? I motivi sono indubbiamente molteplici e di varia natura, ma quel che forse incide maggiormente è proprio il progressivo venir meno della predisposizione al sacrificio.


LE AMARE CONSEGUENZE

Gli effetti di cinquant’anni di divorzio legale sono sotto i nostri occhi. I matrimoni ad esempio sono diminuiti drasticamente. Nell’attuale società sempre più spesso i genitori hanno difficoltà a presentarsi come modelli di vita e a trasmettere una visione valoriale densa di significati per i propri figli. Nei casi di separazione o divorzio, poi, i figli sono ancor più sacrificati ed esposti ad una costante e pervasiva opera di influenza sul loro sviluppo. Ma a pagare sono alla fine anche gli adulti. Chi non è a conoscenza di casi di depressione (ma anche di alcolismo e persino di suicidio) causati dal divorzio? Chi non ha mai sentito parlare almeno una volta dei problemi dei padri separati, sulle cui spalle peraltro spesso ricadono quasi interamente i costi dello scioglimento matrimoniale? Inoltre, chi frequenta il mondo scolastico sa benissimo che i consigli di classe devono evidenziare e trattare con riguardo i Bisogni Educativi Speciali (BES): ebbene, si tratta quasi sempre di ragazzi di famiglie disgregate.

Di fronte a questo panorama desolante, risuonano quanto mai profetiche le parole di Amintore Fanfani che, battendosi per l’abrogazione della legge 898 nel referendum del 1974, ebbe a dichiarare al Corriere della sera: “Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!”. Oggi, che dobbiamo batterci per fermare un progetto di legge (il ddl Zan) che mira a punire e imbavagliare chiunque osi sollevare obiezioni sulla condotta omosessuale e sull’ideologia gender in generale, capiamo meglio quanto sciagurata sia stata l’introduzione del divorzio. Il vaso di Pandora è stato aperto proprio cinquant’anni fa e richiuderlo non sarà certo facile.


*****

Il presente articolo di Federico Catani apre il numero di novembre 2020 del Notiziario della campagna “SOS Ragazzi” [www.sosragazzi.it] attualmente in diffusione. Per conoscere la rivista scrivere a info@sosragazzi.it.







martedì 10 novembre 2020

Così io, ventisettenne, ho scoperto la Messa antica. E ci tornerò







10NOV
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by Aldo Maria Valli

Cari amici di Duc in altum, desidero proporvi una lettera che ho ricevuto e che a mio parere merita grande attenzione (soprattutto da parte dei sacerdoti). L’ha scritta una giovane di ventisette anni che in modo semplice e fresco, e per questo profondo, racconta la sua scoperta della Messa antica.

***



Caro Valli, io e il mio fidanzato Stefano abbiamo ventisette anni ed è un periodo difficile per noi, che siamo credenti e praticanti, ma ci allontaniamo spesso dalla preghiera e siamo un po’ confusi sulle nostre scelte di vita e di coppia.

La scorsa domenica siamo tornati a messa dopo un periodo di assenza; siamo andati nella parrocchia di quartiere, ma invece di trovare quello che cercavamo, cioè sollievo e guida spirituale, siamo usciti innervositi e stanchi: la luce del confessionale è rimasta spenta tutto il tempo, il sacerdote ha pronunciato una predica molto lunga e molto inconcludente, la suora che gestiva i canti li ha stonati tutti talmente tanto da rendere difficile ai presenti nascondere risolini imbarazzati, e i ragazzi della cresima che avrebbero dovuto animare la messa – quelli presenti, ovvero tre, di cui uno travestito da scheletro in occasione di Halloween – non sono stati capaci di leggere in maniera corretta il salmo responsoriale (balbettii, incertezze, perdita del filo). Il prete ha più volte e vistosamente interrotto la lettura del Vangelo per motivi futili: dal cortile della parrocchia arrivavano rumori per l’allestimento del presepio, e lui ha voluto mandare una catechista a dire di interrompere i lavori; poi è stato il turno di un cellulare (pausa fino a che non ha smesso di squillare), infine di un’ambulanza e di una moto (altra pausa). Insomma, impossibile concentrarsi e pregare: nessuna solennità, nessun raccoglimento. Questo è stato un caso limite, ma ci siamo resi conto che tutte le volte che andiamo a messa succede qualcosa di simile; infatti non sentiamo la gravità della festa, e ne avremmo bisogno. Le omelie, poi, non riescono quasi mai a darci spunti di riflessione; spesso si tratta di miscugli inefficaci di rimproveri naïf e tirate retoriche su Dio che ci ama per come siamo. Se sei un ventenne probabilmente hai passato la vita a sentirtelo dire – va bene tutto, non c’è problema, fai quello che ti senti, ascolta il tuo cuore – basta guardare la pubblicità dello yogurt in tv, non c’è bisogno di andare in chiesa; ma chissà perché questa specie di mantra non serve a molto; cioè, alla fine la sensazione di essere sperduti e infelici rimane sempre.


Allora ho proposto di fare una cosa a cui pensavo da tempo: partecipare a una messa in rito antico. Fiduciosi di trovare la solennità, il raccoglimento e la guida che cercavamo, abbiamo scelto una chiesa del centro di Roma, dove la messa è presieduta da padri lefebvriani: donne velate (velo bianco per le nubili, nero per le sposate), uomini in giacca e cravatta, preti e chierichetti vestiti come in certi quadri ottocenteschi, rito e canti in latino. Quando siamo usciti dalla chiesa, Stefano non mi ha nascosto il suo disappunto, anzi, era quasi arrabbiato: «Insomma,» ha cominciato a dire scuotendo la testa e agitando le mani «tutto in latino, non si capisce nulla, zero partecipazione, poi sempre in ginocchio e non si capisce nemmeno perché, tutto cantato, quasi due ore, predica insensata, così non si può, è stata la prima e l’ultima volta…». Mentre parlava, io sono rimasta in silenzio, perché invece ero felice. Ci sono stati momenti in cui, pur non capendo le parole e non sapendo rispondere in latino (siamo andati senza messale), inspiegabilmente mi sono commossa: le signore davanti a me si inginocchiavano e io ne seguivo l’esempio, così potevo intuire quali fossero i momenti in cui dovevo pregare più forte; i canti salmodiati, anche se non ne comprendevo il significato, s’innalzavano con tale grazia verso il cielo da rendermi certa che le mie preghiere stessero salendo con loro. Ho trovato la concentrazione giusta per pregare; certo, non sempre, alcuni momenti sono stati tediosi, bisogna spesso stare in ginocchio e io, che non avevo l’inginocchiatoio, sul marmo mi sono fatta un po’ male, ma ne è valsa la pena. L’omelia, poi, che il sacerdote ha pronunciato in italiano, mi ha proprio colpito; nel senso, come uno schiaffo, e allo stesso tempo mi ha dato un grande sollievo; perché? mi sono chiesta. Perché il prete ha detto: ricordati dei novissimi; cioè: ricordati che devi morire. Ricordati che quando morirai verrai giudicato e non è vero che qualsiasi cosa tu faccia va bene, al contrario. Se non vivi rettamente, esercitando le quattro virtù cardinali, allora Dio non ti riconoscerà. Non temere la morte, la morte è normale, si muore all’improvviso, in ogni momento; non vivere come se non dovessi morire mai. Ma vivi rettamente in modo che Dio ti possa accogliere quando sarà il momento.


Che sollievo! Che sollievo sentirmi dire: devi fare così; è nelle tue mani, ma la strada è indicata. Com’è spaventoso, invece, il vuoto in cui siamo lasciati a vagare, in cui ci illudiamo di poter fare e avere qualsiasi cosa, e invece è un miraggio perverso che quando ti avvicini si sposta sempre più in là, e la morte è un innominabile buco nero oltre il ciglio del «tutto è possibile».

A scuola gli insegnanti severi erano i miei preferiti. Li temevo, ma mi piacevano, perché alla lunga capivo che erano loro quelli che avevano davvero a cuore gli studenti. I più gentili erano anche i più indifferenti e se mi davano un voto alto non ne ricavavo grande soddisfazione. Così credo di avere bisogno di una Chiesa severa, che punti il dito contro i miei errori perché io possa correggerli. Non sono così brava e forte da riuscirci da sola e ammetterlo è una grande liberazione.


Mi spiace che Stefano non la pensi come me, ma sono fiduciosa. Io tornerò e pregherò ancora, e lo farò con il massimo raccoglimento. Sono sicura che porterà frutto.

Giovanna

Roma











Bassetti e l'Eucaristia, un punto di non ritorno







TEMPI NUOVI
EDITORIALI
Riccardo Cascioli, 10-11-2020


Dal letto di ospedale il presidente della Cei lancia un messaggio che non lascia via di scampo: "In questo periodo così difficile l'Eucaristia sia al centro di tutto. Perché solo l'Eucaristia è la strada per la salvezza del mondo e per la vita del mondo". Parole che raccontano la personale vicenda di sofferenza e di grazia del cardinal Bassetti, gravemente colpito dal virus. Ma che, allo stesso tempo, segnano un vero cambio di passo della Chiesa per affrontare le dure prove di questo tempo, a partire dal Covid.
“Non c’è situazione umana a cui non possa essere ricondotta l’Eucarestia”. “L’Eucarestia è pro mundi salute, ovvero per la salvezza del mondo, e pro mundi vita, per la vita del mondo”. Perciò, “l’Eucarestia, soprattutto in questo periodo così difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze ma dev’essere rimessa, con ancora più forza, al centro della vita dei cristiani”.







Le parole che il cardinal Gualtiero Bassetti, dal suo letto di ospedale, ha sentito l’urgenza di scrivere in una lettera a tutto il popolo di Dio, non descrivono solo la toccante vicenda personale del presidente della Cei, ricoverato in gravi condizioni di salute, ma tracciano con estrema chiarezza la strada che la Chiesa deve percorrere per affrontare le drammatiche prove di questo tempo, a partire dalla seconda ondata di Coronavirus.

Un cambio di passo che ha dell’incredibile, se si considera che l’Eucaristia è stata esattamente la grande assente in tutta la prima fase della pandemia, quando la Cei e il governo hanno vietato le Sante Messe al popolo, ma allo stesso tempo è un cambio di passo perfettamente coerente con la logica di Dio. Andiamo con ordine.

“EUCARISTIA, CENTRO DELL’UNIVERSO”

Tutto ha inizio a fine ottobre quando il presidente della Cei, dopo qualche giorno di cure domiciliari, viene ricoverato in ospedale in quanto positivo al tampone del Coronavirus. Da qui le sue condizioni di salute iniziano a peggiorare, sino a che, il 3 novembre, il cardinale viene spostato in Terapia intensiva 2, a seguito di una sensibile variazione del quadro clinico, aggravatosi ulteriormente nella giornata di ieri.

Una situazione che, comprensibilmente, ha gettato in apprensione un po’ tutta la Chiesa italiana, ma non il diretto interessato, il quale proprio in questa malattia ha riconosciuto la mano della Provvidenza e il volto della misericorida di Dio su di lui.

“Da quando sono in isolamento per la positività al Covid19 - scrive Bassetti - ho la possibilità di comunicarmi ogni giorno nella mia camera, avendo portato una piccola pisside vicino alla porta della stanza. Era necessaria questa esperienza di malattia per rendermi conto di quanto siano vere le parole dell’Apocalisse in cui Gesù dice all’angelo della Chiesa di Laodicèa: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20)”.

“Era necessaria questa esperienza di malattia”, dice il vescovo di Perugia, proprio a sottolineare il cammino di fede che la sofferenza gli sta facendo percorrere e che lo sta avvicinando, in un modo tutto particolare, all’amore di Gesù Eucaristia.

E infatti, continua il cardinale nella lettera: “Quel pane consacrato trascende dallo stesso altare, abbraccia tutto l’universo e stringe a sé tutti i problemi dell’umanità, perché il corpo di Gesù è strettamente unito al corpo mistico che è tutta la Chiesa. Non c’è situazione umana a cui non possa essere ricondotta l’Eucarestia”.

Non può essere un caso che proprio nei giorni scorsi, presso il letto di ospedale del cardinal Bassetti e per sua stessa volontà, sia stata portata una reliquia di Carlo Acutis, il giovane che ha fatto dell’Eucaristia l’amore della sua vita e il centro della sua santità. Ed è commovente sapere che è proprio il Beato Acutis che il presidente della Cei sta invocando con particolar fervore in questi giorni di grande sofferenza. A dimostrazione che è nel sangue dei santi bambini che la Chiesa verrà completamente rinnovata a salvezza.

UN PUNTO DI NON RITORNO

Il presidente dei vescovi italiani, però, non si è limitato a proclamare il suo amore per Gesù Eucaristia, riacceso come un fuoco dal dono della sofferenza, ma ha indicato nella stessa Eucaristia la strada per uscire da ogni prova materiale e spirituale, per la Chiesa e per il mondo: “Anche le vicende drammatiche che stiamo vivendo in questi giorni in Italia - scrive Bassetti - come l’aumento della diffusione dell’epidemia, la grave crisi economica per molti lavoratori e per tante imprese, l’incertezza per i nostri giovani della scuola - non sono al di fuori della Santissima Eucarestia. (…) Non c’è consolazione, non c’è conforto, non c’è assenza di lacrime che non abbia il suo riferimento a Gesù Eucarestia. (...) L’Eucarestia non è soltanto il Sacramento in cui Cristo si riceve - l’anima è piena di grazia e a noi è dato il pegno della gloria futura - ma è l’anima del mondo ed è il fulcro in cui converge tutto l’universo".

Ebbene, se si pensa alle migliaia di persone che durante la prima fase della pandemia sono morte senza la possibilità di ricevere il Viatico per la vita eterna e se si pensa a tutti i fedeli che, con grave danno, sono stati privati del Corpo di Cristo, le parole del presidente della Cei possono scandalizzare. A meno che non si accetti di ascoltarle secondo la logica di Dio, il quale nel suo imperscrutabile piano di salvezza del mondo, è capace di stravolgere l’universo pur di conquistare un singolo cuore e regnarvi per sempre. Allora diventa profondamente commovente vedere l’amore misericordioso e ardente di Dio che usa di tutto, persino la sofferenza, il peccato e la morte, a vantaggio di ogni uomo che desidera la salvezza.

Così testimonia il cardinal Bassetti, a partire da sè: “Vorrei che in questo periodo di così grave sofferenza non sentissimo la croce come un peso insopportabile ma come una croce gloriosa. Perché la Sua dolce presenza e la Sua carezza nell’Eucarestia fanno sì che le braccia della croce diventino due ali, come diceva don Tonino Bello, che ci portano a Gesù".

"Ritengo infatti, come scriveva Paolo, «che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi». Con «impazienza» noi aspettiamo di contemplare il volto di Dio poiché «nella speranza noi siamo stati salvati» (Rom 8, 18.24). Pertanto, è assolutamente necessario sperare contro ogni speranza, «Spes contra spem». Perché, come ha scritto Charles Péguy, la Speranza è una bambina «irriducibile». Rispetto alla Fede che «è una sposa fedele» e alla Carità che «è una Madre», la Speranza sembra, in prima battuta, che non valga nulla. E invece è esattamente il contrario: sarà proprio la Speranza, scrive Péguy, «che è venuta al mondo il giorno di Natale» e che «portando le altre, traverserà i mondi»".


La redazione della Nuova Bussola Quotidiana rivolge i più sentiti auguri di pronta guarigione al Card. Gualtiero Bassetti, assicurandoGli le sue preghiere.









lunedì 2 novembre 2020

Dalla Messa da morto hanno tolto il Dies irae. La vecchia liturgia cattolica ha fatto arrabbiare tanta gente; ma non ha mai fatto ridere nessuno (Vittorio G. Rossi)






da MiL 2 novembre 2020 

L'antica liturgia funebre è stata fonte incommensurabile di conversione, di cambiamento di vita e di riflessione sul grande mistero della morte del giudizio di Dio.
Per questo motivo è stata oggetto di scherno e di disprezzo dei protestanti e dei progressisti di ieri come di oggi.
In questo
Ottavario dedicato ai Fedeli Defunti postiamo un "vecchio" ma sempre attuale articolo di Vittorio Giovanni Rossi (1898-1978) apparso sulla rivista Epoca il 26 settembre 1971, appena due anni dopo la riforma bugniniana che con un autoritarismo senza euguali (spesso condito da violenza) cassò l'antichissima e feconda liturgia dei defunti che ora è stata ripresa a gloria di Dio e per il suffragio dei fedeli defunti dai gruppi liturgici fedeli all'antica liturgia.
Ringraziamo Una Voce-Venezia che ha messo in rete un articolo così significativo ed edificante.
AC



Il morto è tutto contento d'esser morto
LA NUOVA MESSA FUNEBRE HA PERDUTO QUEL SUO SEVERO VIGORE
CHE COSTRINGEVA A RIFLETTERE ANCHE CHI NON È CREDENTE


di Vittorio G. Rossi


Non si sa più come morire; la Messa da morto come è adesso fa piangere più di prima; ma non fa piangere per il morto: fa piangere per la Messa.
Dico Messa da morto; dovrei dire Messa esequiale: ma io non sono un intellettuale come quelli che hanno fatto la Messa nuova da morto; e allora dire Messa da morto mi fa vedere la cosa; e dire Messa esequiale non me la fa vedere, ci devo pensare su un momento.
Non mi piace parlare di cose della morte; ma la Messa da morto riguarda più i vivi che i morti; quello che riguarda i morti, non lo possiamo sapere.
La morte è una cosa tremendamente seria, la più seria di tutte le cose che possono capitare all'uomo; perché l'uomo che ha fatto quel passaggio, potrà diventare angelo o diavolo o niente; ma ha finito di essere uomo, e questa è una perdita, su cui non si piangerà mai abbastanza.
La vecchia Messa da morto faceva sentire quel dramma tremendo; la Messa da morto che c'è
adesso, è come andare a cogliere margheritine nel prato e il parasole in mano.


Le hanno cambiato anche il colore; prima era nera, adesso è viola; il nero poteva disturbare l'uomo di adesso, fargli venire i complessi, come si usa adesso; come per le sculacciate ai bambini, una volta si davano come confetti; adesso dicono che l'onda della sculacciata può arrivare al cervello, e uno che stava per diventare un altro Leonardo da Vinci, diventa un cretino da ospizio.
Il viola è come il vino allungato con l'acqua, non è né vino né acqua; non è né caldo né freddo, né vivo né morto; è un piccolo trucco per fare passare la morte come un aperitivo.


Quell'invocazione che si ripeteva lungo tutta la vecchia Messa, requiem aeternam dona eis, Domine, era grandiosa; era una invocazione a Dio nella grandiosa maestà dalla lingua sacra, non quella volgare di adesso, la stessa che serve per comprare i ravanelli in piazza del mercato; era l'invocazione a Dio di placare la tempesta, e riempiva e scrollava la volta della chiesa e dava un brivido a quelli che provvisoriamente restavano sulla sponda di qua.
Adesso quell' "eterno riposo" della Messa nuova è adatto a uno che va in pensione, e si spera che gliela paghino.
La Messa di adesso è fatta quasi tutta di salmi; e la poesia dei salmi è una grande poesia, grandi blocchi monumentali di poesia; ma trasferita nella lingua per comprare i ravanelli, e tradotta da gente brava a fare le liste della biancheria da mandare in lavanderia, la poesia dei salmi e delle altre letture sacre è diventata la poesia delle liste della biancheria.
"Il giusto, anche nel caso di morte prematura - troverà riposo. - Vecchiaia veneranda non è la longevità - né si calcola dal numero degli anni. - La canizie per gli uomini sta nella sapienza". Era un pezzo del Libro della Sapienza: era poesia, e poesia augusta; è diventato un pezzo di una polizza di assicurazione sulla vita.
E anche in chiesa, anche alla presenza di un morto, non si sa se ridere o piangere.
Per mille anni e più la Chiesa cattolica ha insegnato a pensare a una parte importante del genere umano; ha avuto con sé la grande arte, la grande poesia, la grande musica; ossia mille anni di civiltà occidentale sono stati mille anni cattolici; e ora si è ridotta a fare i rifornimenti nei magazzini del linguaggio dei politici e dei sindacalisti, gente notoriamente piena di sapienza e belle lettere.
E non dice più "la santa Messa"; dice la "Messa comunitaria"; e la messa non sa più di anima, cosa strettamente individuale; sa di mensa aziendale.
Non dice più "i fedeli" o "i credenti", come dice così bene l'islam; dice la "comunità di base"; e sa di comizio e tessera in tasca; a se Dio ha fatto lui i cieli e la terra con sopra questa bella razza degli uomini, non deve dare molta importanza alle tessere in tasca.
E allora la Chiesa cattolica ha potuto togliere tranquillamente dalla Messa le preghiere alla Madonna piene di dolce poesia; togliere il così detto ultimo Vangelo, cioè il principio del Vangelo di Giovanni, quello "In principio era il Verbo.
E il Verbo era presso Dio e il Verbo ora Dio"; e niente di più spirituale è mai stato detto da bocca d'uomo. E nello spazio rimasto libero hanno collocato cose spirituali e poetiche come "questo pane, frutto della terra e del nostro lavoro... questo vino, frutto della vite e del nostro lavoro"; ed è roba che sa di cooperativa agricola.
Quando la Chiesa cattolica ha ripudiato il latino, una voce altissima della Chiesa Cattolica ha detto che finalmente quelli che pregavano avrebbero capito quello che pregavano. 


Quella voce era la voce delle grandi parole; così poteva sembrare che tutti i secoli di preghiere fatte dagli uomini erano andate in fumo, perché essi non sapevano quello che dicevano.
Ma il giorno che un uomo pregante capirà quello che sta dicendo, potrà smettere di pregare; la preghiera è un discorso con le cose invisibili e inconoscibili, cioè col mistero; e se il pregante riesce a sapere che cosa c'è dentro il guscio del mistero, può smettere di pregare e mandargli una cartolina postale; basta che non la mandi con le poste della nota repubblica fondata sul lavoro.
La religione è di là da tutte le spiegazioni; è fuori di tutte le prove sperimentali; i ragionamenti sulle cose che non si possono osservare, sperimentare, misurare, sono spiegazioni che non spiegano niente.
Fin che restano idee, le idee non sono né vere né false, né buone né cattive: sono idee, cioè discorsi ben fatti o mal fatti, e si chiamano le dialettiche.
E le dialettiche sono le equazioni differenziali degli imbecilli di oro fino.
Se invece di dire Agnus Dei qui tollis peccata mundi, uno dice "Agnello di Dio, che ti assumi i peccati del mondo", ne sa quanto prima; cioè in qualunque linguaggio lo dica, dice una cosa che è tenuta in piedi non dalle prove, come il così detto principio di Newton, ma dal crederci o non crederci. 


Montagne di parole sono state dette e scritte per spiegare che cosa vuol dire o per dire che non vuol dire niente; ma l'uomo che lo dice o lo sente dire, può sentire dentro di sé una grande luce che si apre e splende come un sole; oppure non accendersi niente; dipende da lui, non dalle parole dette o sentite.
Hanno tolto cose poetiche della Messa; e solo la poesia, non le spiegazioni, può fare vedere le cose che non si vedono; e lo spazio tolto alla poesia lo hanno dato alla predica.
Facevano la Messa nuova; e si sono lasciati scappare l'occasione gaudiosa di chiudere la bocca ai predicatori.
La Chiesa cattolica non saprà mai quanta gente ha perduto per via dei predicatori.
Il gesuita portoghese padre Vieira era un grande predicatore: 300 anni fa ha fatto la predica ai predicatori; gli ha detto che piuttosto che parlare a quel modo, era meglio tacere che parlare. San Francesco parlava agli uccelli, e gli uccelli lo ascoltavano perché gli pareva uno che parlava come loro, uno di loro; adesso quando il predicatore predica, mi viene la voglia di essere un grande peccatore, per fare dispetto a quel predicatore.
Quelli che hanno fatto la Messa nuova, hanno capito che non bastava sfrattare il latino, per dare più spiritualità alla Messa; e hanno inventato le strette di mano.
È la cosa più comica che sia mai stata fatta in una chiesa cattolica.
Ci sono vecchie pettegole che si voltano indietro alla ricerca di altre mani da stringere; non gli bastano quelle laterali. Ma io guardo in su; non vedo mani da stringere; il teatro in chiesa non mi è mai piaciuto. Hanno sfrattato il canto gregoriano, e non c'è canto più religioso, religiosamente più puro di quello; hanno sfrattato la grande musica.
Forse hanno ascoltato quelli che dicevano che la Chiesa cattolica è un prodotto dell'Occidente; ma anche la scienza e la tecnica sono un prodotto dell'Occidente; eppure gialli e neri adoperano con disinvolto fervore le cose meccaniche, le medicine, i modi di vestire e comportarsi dell'Occidente.
Qualcuno che non era uno stupido, ha detto che hanno fatto più miracoli i santi scolpiti e dipinti, che non i santi vivi; ed è vero; però si è dimenticato della musica, della grande musica. 


La grande musica ha portato a Dio più gente, che non tanti secoli di teologia; quel vento misterioso che entra nell'uomo, e lo invade, e lo muove come il vento muove il mare; e l'uomo piange o ride beato, si sente felice o triste, e non sa perché; e quella è la musica, la grande musica; e l'uomo poteva vedere la faccia di Dio, che nessuna descrizione della faccia di Dio è mai riuscita a fargli vedere.
E la Chiesa cattolica, una volta considerata intelligente anche troppo, ha buttato la sua grande musica fuori bordo; ai pesci.
Leonardo diceva che quando suonano le campane, nel suono delle campane l'uomo può mettere tutto quello che vuole; le sue gioie, i suoi dolori, le sue speranze.
Ora nella nuova Messa cantata, quella per i vivi e quella per i morti, i canti nuovi offrono gioielli come questo: "Mi risplenda la luce del ver - e mi guidi sul retto sentier"; o come quest'altro: "... evitiamo di dividerci tra noi - via le lotte maligne, via le liti", e altre stupidaggini come queste, innumerevoli.
E poi la musica, la musica nuova che accompagna quelle stupidaggini, e fa venire le rughe alla pancia.
Il muezzin che dal minareto musulmano chiama alla preghiera dell'aurora, grida ai quattro venti, "è meglio pregare che dormire! ... è meglio pregare che dormire!"; e fa commozione anche a chi non è musulmano; e ora coi suoi nuovi canti e suoni la Chiesa cattolica sembra dire ai suoi fedeli, che è meglio dormire che pregare.
Ma nelle pietre delle chiese cattoliche c'è ancora la eco viva dei vecchi canti, delle vecchie musiche; e il giorno che quella eco gloriosa si sarà spenta, la Chiesa cattolica si potrà mettere a vendere caramelle e pianeti della fortuna.
La vecchia liturgia cattolica ha fatto arrabbiare tanta gente; ma non ha mai fatto ridere nessuno.
Dalla Messa da morto hanno tolto il Dies irae.
Devono aver pensato che potevano conturbare le anime gracili di questi tempi svirilizzati; e hanno demolito la Messa da morto.
Quando nella Chiesa scoppiava quel canto, "Dies irae, dies illa. Solvet saeclum in favilla...
Il rimbombare della tromba per i campi seminati di sepolcri...
Prostrato a terra, invoco pietà"; quel canto faceva un rimbombo immenso dentro l'uomo che ascoltava, credente o non credente, perché la morte riguarda tutti, credenti e non credenti.
La religione si regge sull'esistenza del dolore e su quella della morte; nessuno può abolire definitivamente dentro l'uomo una religione, se non abolisce il dolore e la morte.
Quel canto tremendo lo metteva con la faccia dentro la faccia della morte; e allora lui cercava disperatamente la faccia di Dio; la faccia di quello che non muore.
E il Libera; il Libera che anch'esso doveva essere cantato in latino; perché solo così, con una lingua che non è quella per comprare i ravanelli, l'uomo può dire a Dio la sua disperazione; dirgli che lo liberi dalla morte eterna, "Libera me, Domine, de morte aeterna... quando verrai a giudicare il mondo col fuoco...".
La Messa da morto era qui, in questi canti terribili e virili; quando si celebrava in una chiesa di villaggio, quella chiesa diventava immensa, una grande cattedrale.
Poi l'uomo vivo usciva a testa bassa dalla chiesa dietro il morto, perché quei canti continuavano a rimbombargli dentro, come quando il cielo è pieno di folgori e tuoni.
Ora nella Messa nuova il prete parla lui della morte; lui che non sa che cosa è la vita, dovrebbe spiegare ai vivi che cosa è la morte.
Così la Messa da morto è diventata una Messa coi fiori di plastica, e il burro e la marmellata.
Il morto cinguetta sul ramo, come un passerotto; e tutto contento che è morto, e ora si metterà a tavola con gli angeli, i santi, i martiri, i patriarchi, il pane e burro e marmellata.
Ma io ho già detto al mio parroco, uomo pio, che se mi celebra quella Messa del pane e burro e marmellata, io mi rifiuterò di morire.
Però la nuova Messa da morto è la Messa di questa Chiesa cattolica di adesso; la grande Caterina da Siena direbbe che essa ha perso l'anima virile; dove i preti fanno quello che vogliono, si travestono come vogliono; e quei teologi nuovi che vogliono una religione cattolica da rivedere continuamente e a rivederla siano i parrocchiani e il loro parroco, e facciano le votazioni, per esempio, votare se oggi che è giovedì nell'ostia consacrata c'é Cristo o non c'è.
E quegli uomini di chiesa che parlano del giorno che nel posto di Dio si metterà il Pithecantropus, ossia l'ominide di Giava, perché l'uomo è tutto.
Una volta bruciavano anche per cose più piccole di queste; adesso quelli che dicono queste cose, non sono buoni neanche come legna da bruciare.


da "Epoca" 26 settembre 1971


Fonte: Una Voce Venezia QUI