mercoledì 30 maggio 2018

Osservatore Romano. Dottrina della fede: il «no» alle donne prete è definitivo








Gianni Cardinale mercoledì 30 maggio 2018

Il prefetto Ladaria conferma che non verrà cambiata la decisione ribadita da Giovanni Paolo II nel 1994 con un lungo articolo sul quotidiano della Santa Sede.

La Santa Sede ribadisce in modo netto e chiaro che la dottrina sul sacerdozio riservato agli uomini è definitiva e quindi irreformabile. Lo fa con un lungo articolo sull’Osservatore Romano dell’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) che verrà creato cardinale il pomeriggio del prossimo 28 giugno, il quale ribadisce con vigore quanto a sua volta ribadito con fermezza da san Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 1994, dopo che la Comunione anglicana aveva permesso l’ordinazione delle donne.

Un intervento particolarmente autorevole, firmato da un ecclesiastico nominato da papa Francesco alla guida dell’ex sant’Uffizio, che dovrebbe stroncare ogni illazione su una possibile apertura all’ordinazione delle donne. Gesù Cristo – ricorda Ladaria – «ha voluto conferire» il sacramento dell’ordine «ai dodici apostoli, tutti uomini, che, a loro volta, lo hanno comunicato ad altri uomini». Così la Chiesa «si è riconosciuta sempre vincolata a questa decisione del Signore, la quale esclude che il sacerdozio ministeriale possa essere validamente conferito alle donne».

L’arcivescovo gesuita quindi rimarca che l’Ordinatio sacerdotalis, «al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa» e «in virtù del [suo] ministero di confermare i fratelli», insegna «che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa». E che la Cdf «in risposta a un dubbio sull’insegnamento di Ordinatio sacerdotalis , ha ribadito che si tratta di una verità appartenente al deposito della fede». Ladaria quindi afferma che «desta seria preoccupazione veder sorgere ancora in alcuni Paesi delle voci che mettono in dubbio la definitività di questa dottrina». «Per sostenere che essa non è definitiva, – rileva – si argomenta che non è stata definita ex cathedra e che, allora, una decisione posteriore di un futuro Papa o Concilio potrebbe rovesciarla. Ma «seminando questi dubbi - commenta – si crea grave confusione tra i fedeli, non solo sul sacramento dell’ordine come parte della costituzione divina della Chiesa, ma anche sul magistero ordinario che può insegnare in modo infallibile la dottrina cattolica».

Ladaria, citando il Concilio di Trento ripreso dal Denzinger-Hünermann, ribadisce che per quel che riguarda il sacerdozio ministeriale, la Chiesa riconosce che l’impossibilità di ordinare donne appartiene alla «sostanza del sacramento» dell’ordine. E «la Chiesa non ha capacità di cambiare questa sostanza, perché è precisamente a partire dai sacramenti, istituiti da Cristo, che essa è generata come Chiesa». Non si tratta quindi «solo di un elemento disciplinare, ma dottrinale, in quanto riguarda la struttura dei sacramenti, che sono luogo originario dell’incontro con Cristo e della trasmissione della fede». Dopo aver accennato ad alcuni approfondimenti teologici sul tema Ladaria rileva come «i dubbi sollevati sulla definitività di Ordinatio sacerdotalis hanno conseguenze gravi anche sul modo di comprendere il magistero della Chiesa». E ribadisce «che l’infallibilità non riguarda solo pronunciamenti solenni di un Concilio o del Sommo Pontefice quando parla ex cathedra, ma anche l’insegnamento ordinario e universale dei vescovi sparsi per il mondo, quando propongono, in comunione tra loro e con il Papa, la dottrina cattolica da tenersi definitivamente».

E proprio «a questa infallibilità si è riferito Giovanni Paolo II in Ordinatio sacerdotalis ». Così egli «non ha dichiarato un nuovo dogma ma, con l’autorità che gli è stata conferita come successore di Pietro, ha confermato formalmente e ha reso esplicito, al fine di togliere ogni dubbio, ciò che il magistero ordinario e universale ha considerato lungo tutta la storia della Chiesa come appartenente al deposito della fede». E lo ha fatto con «uno stile di comunione ecclesiale» testimoniata anche dalla «consultazione previa che ha voluto avere a Roma con i presidenti delle Conferenze episcopali che erano seriamente interessati a tale problematica». E in quella occasione «tutti, senza eccezione, hanno dichiarato, con piena convinzione, per l’obbedienza della Chiesa al Signore, che essa non possiede la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale». Ladaria infine ricorda gli interventi di Benedetto XVI di sostegno alla dottrina tradizionale, rimarcando come lo stesso papa Francesco ha fatto lo stesso. Nel paragrafo 104 dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium («Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo sposo che si consegna nell’Eucaristia»), invitando a non interpretare questa dottrina come espressione di potere, ma di servizio, in modo che si percepisca meglio l’uguale dignità di uomini e donne nell’unico corpo di Cristo. E nella conferenza stampa, durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Svezia, il 1° novembre 2016, quando il Pontefice regnante ha ribadito: «Sull’ordinazione di donne nella Chiesa cattolica, l’ultima parola chiara è stata data da san Giovanni Paolo II, e questa rimane».















martedì 29 maggio 2018

La menzogna, figlia del diavolo...







Una meditazione sulla menzogna del padre Stefano Manelli, Fondatore dei Francescani dell'Immacolata

Chi non sa che la bugia è uno dei peccati più comuni fra gli uomini? Con quale facilità, purtroppo, si dice o si fa intendere all’altro una cosa per un’altra! Nel commercio o nell’ufficio, in famiglia o a scuola, al mercato o in fabbrica: quante bugie, slealtà o sotterfugi! Chi potrà numerarle se non Dio solo?
D’altra parte si è molto superficiali nel considerare la bugia come peccato da poco. E quindi non ci si preoccupa tanto di dir bugie ad ogni occasione di comodo.
Si dirà che sono soltanto bugie di scusa o bugie senza danno o bugie utili ad evitare un male.
Ma il beato Pio da Pietrelcina diceva che «le bugie di scusa sono le giaculatorie del diavolo»; e ad una penitente che gli chiedeva:
- Padre, le bugie di scusa non si dicono?
Egli rispose seccamente: - No!.
- Ma, padre, non portano danno!
- Se non portano danno agli altri - ribatté il beato Pio - lo portano all’anima tua: Dio è verità!


È figlia del diavolo
«Il diavolo è bugiardo, è padre della bugia» (Gv, 8,44). Ecco chi è il vero padre delle nostre bugie! È lui che ci offre tutte le menzogne che noi distribuiamo di qua e di là con tanta disinvoltura. Poveri noi!
Se ci rendessimo conto di questa realtà comprenderemmo la sensibilità dei santi nell’opporsi con tutte le forze ad ogni menzogna, per non aver nulla a che fare con il «padre della bugia».
L’angelico ragazzo Guido di Fontgalland, prediletto della Madonna, provava un sincero orrore per ogni minima bugia. Una volta la mamma aveva detto alla domestica: «A chiunque oggi mi voglia, dirai che sono uscita». Appena Guido udì queste parole della mamma, ebbe un sussulto, si voltò alla mamma e gettandole le braccia al collo disse: «Mamma, perché dici le bugie: la tua e quella della cameriera?... Io sarei più contento di aver male ai denti, piuttosto che dire una cosa non vera».
Meglio soffrire per la verità che godere per la menzogna. Meglio la sofferenza con Dio che il piacere con il demonio.


«Sì sì, no no»
Dio è luce di verità. Il diavolo è tenebra di menzogna. L’anima sincera è luminosa. L’anima menzognera è tenebrosa.
Noi cristiani dobbiamo essere «figli della luce» (Gv 12,36); Gesù ci ha detto che il nostro parlare deve essere schietto e leale: «Sì sì, no no» (Mt 5,37).
Parlare con inganno mascherando la verità è l’arte malvagia del «serpente antico» (Ap 12,9) che ingannò Adamo ed Eva nell’Eden (Gn 3,17). In questo consiste la bugia: dire il contrario di ciò che si pensa con l’intenzione di ingannare.
«Non dire falsa testimonianza» (Lc 18,20) è il comandamento di Dio che ci mette in lotta contro «il padre della bugia». Dobbiamo essere energici per parlare sempre con verità, ad ogni costo.
San Giovanni Canzio, un prete polacco, una volta venne depredato dai briganti. Gli tolsero tutto quello che aveva nelle tasche, e gli chiesero infine: «Avete altro?». «No», rispose il Santo. I briganti se ne andarono. Ma san Giovanni Canzio si ricordò all’improvviso di aver cucito alcune monete nel vestito. Rincorse i briganti, e offrì loro anche queste. I briganti rimasero così edificati, che non solo rifiutarono, ma gli restituirono tutto quello che gli avevano tolto.


«Profanazione della parola»
Il Catechismo si dilunga, giustamente, a parlare della menzogna, presentandola sotto aspetti diversi nei suoi contenuti di peccato.
«La menzogna è l’offesa più diretta alla verità. Mentire è parlare e agire contro la verità per indurre in errore chi ha il diritto di conoscerla... » (n. 2483).
«Se la menzogna, in sé, non costituisce che un peccato veniale, diventa mortale quando lede in modo grave le virtù della giustizia e della carità» (n. 2484).
«La menzogna è una profanazione della parola, la cui funzione è di comunicare ad altri la verità conosciuta» (n. 2485).
«La menzogna è un’autentica violenza fatta all’altro. Lo colpisce nella sua capacità di conoscere, che è la condizione di ogni giudizio e di ogni decisione. Contiene in germe la divisione degli spiriti e tutti i mali che questa genera» (n. 2486).
Attenti alle bugie, dunque! Esse sono causa di tanti mali spirituali e temporali.


«Lingua d’impostura»
È vero che molte volte la verità ci costerà disagi o dolori anche gravi. È vero. Ma che cosa è ciò di fronte all’offesa a Dio? Di fronte al giudizio e ai castighi di Dio?
«La tua lingua è come lama affilata
artefice di inganni.
Tu preferisci il male al bene,
la menzogna al parlare sincero.
Ami ogni parola di rovina,
o lingua di impostura.
Perciò Dio ti demolirà per sempre» (Sal 51,4-7).

Sant’Andrea Avellino era un avvocato. Una volta, nel difendere una causa, si lasciò sfuggire una lieve bugia. Era rattristato per questa debolezza, quando gli capitò anche di leggere questo versetto della Scrittura: «La bocca che dice menzogne uccide l’anima» (Sap 1,11).
Non esitò oltre. Sospinto da una grazia impetuosa, si ritirò dal mondo, si fece religioso, e divenne santo. Fu il premio della sua delicatezza di coscienza.
Facciamo nostra questa bella massima di san Vincenzo de’ Paoli: «La nostra lingua deve esprimere al di fuori le cose, come le abbiamo dentro; altrimenti, bisogna tacere».
Dire la verità, o tacere.


«La Vergine in ascolto»
Se tutti leggessimo e meditassimo la pagina dell’epistola di san Giacomo sulla lingua, ameremmo certamente di più il silenzio e staremmo più attenti a usare questa lingua che spesso «è un fuoco, è il mondo dell’iniquità...: è un male ribelle, è piena di veleno mortale» (Gc 3,6 e 8).
Bugie, falsità, errori, calunnie, maldicenze, offese, turpiloquio, bestemmie...: tutto passa per la lingua. E quanto spesso il nostro parlare è infetto di tali mali, senza che neppure lo vogliamo!
Guardiamo alla Madonna, invece. Quanto silenzio nella sua vita! Silenziosa e luminosa, Ella compare nel Vangelo e sta accanto a Gesù mentre «conserva tutte le parole meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).
Giustamente il papa Paolo VI l’ha chiamata «Vergine in ascolto» (Marialis cultus, n. 17), presentandola quale modello perfettissimo della Chiesa nell’incessante rapporto con Dio, non turbato da «parole vane» (Ef 5,6) né profanato da «parole mendaci» (Prv 30,8).










Referendum sull'aborto in Irlanda, a uscire sconfitta è la Chiesa





La Nuova Bussola Quotidiana, Stefano Fontana, 28-5-18

L’esito del referendum irlandese sull’aborto è una tragica sconfitta per l’Irlanda
che comincerà a uccidere sistematicamente i propri figli. L’approvazione di una legislazione abortista uccide una nazione e un popolo, perché lo fa andare contro-natura nel punto più delicato e importante, gli fa negare l’accoglienza nel momento sorgivo e più decisivo, lo educa a pensare che ciò che è legale sia anche buono, abituandolo a non distinguere più tra carnefice e vittima. Il riconoscimento legale dell’aborto è per un popolo una morte spirituale che lo priva della sua coscienza, lo obbliga a vivere perennemente col rimorso senza chiamarlo tale, lo lacera in quanto c’è di più originariamente sacro e mette nelle mani dei cittadini l’indisponibile. Quando l’indisponibile diventa disponibile tutto è perduto.

La sconfitta della vita, del buon senso, della naturale umanità, della maternità
e della paternità che è seguita al referendum irlandese conferma tre punti di grande rilevanza per la lettura della storia dei nostri tempi. 

Il primo è che la secolarizzazione religiosa porta con sé
sempre anche la secolarizzazione etica. L’Irlanda, forse ultima in Europa, ha subito negli ultimi decenni un forte processo irreligioso che le ha fatto raggiungere velocemente il deserto già raggiunto da tempo da altri Paesi europei. Si è trattato di un processo devastante e violento che ha sradicato da quel popolo il suo legame naturale e storico con la fede cattolica. I fautori della laicità direbbero che ciò non rappresenta di per sé un pericolo, perché la società può comunque coltivare e difendere valori naturali legati alla vita e alla famiglia anche senza il sostegno della religione. Ma questo non è vero, e proprio il referendum irlandese è lì a dimostrarlo.

Il piano della ragione naturale
, che in linea di diritto dovrebbe essere in grado di riconoscere il valore assoluto della vita anche senza fare riferimento alla rivelazione cristiana, in realtà non ci riesce senza essere sostenuto in ciò dalla fede cattolica. Dio ha voluto che anche la legge naturale fosse oggetto di rivelazione e ha posto la Chiesa a sua tutela. Se la rivelazione e la Chiesa sono estromesse dalla scena pubblica, la legge naturale viene perduta.

Il secondo è che quando un popolo si modernizza
è inevitabile che succeda quanto ho descritto nel primo punto, ossia che venga escluso Dio dalla vita pubblica e, di seguito, anche i più naturali tra i valori vengano dissolti. Non mi sembra che esistano esempi storici che contraddicano questa constatazione. Ciò significa che nella modernità c’è qualcosa di essenzialmente inquinato ed inquinante.

Intendo qui per modernità non un’epoca cronologica ma una categoria culturale
, che sostituisce la natura con la storia, la verità con la libertà, l’intelligenza con la volontà, la volontà con la prassi, i doveri con i diritti, i diritti con i desideri, la realtà con la coscienza, la conoscenza con l’interpretazione. L’ingresso nella modernità intesa in questo senso comporta sempre dei danni spirituali e una decomposizione del quadro di senso che nelle epoche precedenti era coeso e solido. Nel modo di pensare proprio della modernità come categoria mentale ci sono degli errori fondamentali le cui influenze fanno trattenute e combattute, in caso contrario l’esito confermato anche in Irlanda è inevitabile.

Il terzo è il pericolo che l’ingresso di un popolo nella modernizzazione
alla lunga spinga la Chiesa stessa ad entrarvi, pensando, nel caso contrario, di non poter incontrare pastoralmente l’uomo contemporaneo. Solo che, nell’illusione di incontrare l’uomo contemporaneo collocandosi essa stessa nel suo orizzonte di modernità, essa finisce per accettare la modernità come categoria mentale e morale. La modernità in senso cronologico (incontrare l’uomo contemporaneo) viene confusa con la modernità in senso culturale e morale (con tutti i suoi errori). La Chiesa perde così la trascendenza rispetto al proprio tempo e finisce per assimilarne le categorie mondane e perfino il linguaggio. Essa termina di combattere, perché non vede più il proprio tempo dal punto di vista dell’eternità e quanto muta dal punto di vista di quanto non muta.

Accettando la modernità per motivi pastorali
, la Chiesa finisce per accettarne la dottrina. Nel caso del referendum irlandese la Chiesa ha brillato per afasia ed assenza. Nessuna mobilitazione di popolo, nessun intervento da Roma, nessun aiuto da parte degli episcopati europei, eppure si trattava dell’ultimo Paese del nostro continente ad avere finora resistito contro la morte di Stato. É sotto gli occhi di tutti, del resto, che la Chiesa ha da tempo cessato di combattere per la vita e di mobilitare sistematicamente le coscienze contro l’aborto. Ciò significa che le categorie intellettuali della modernità sono penetrate a fondo anche dentro di essa e l’hanno resa mondanamente innocua.








lunedì 28 maggio 2018

Alfie, il mercato d'organi e la bugia della morte cerebrale






INIZIO DELL'ABBANDONO TERAPEUTICO
VITA E BIOETICA
28-05-2018


Durante la battaglia per proteggere la vita di Alfie Evans emerse lo scandalo degli organi che aveva travolto il sistema sanitario inglese. Un business permesso dalla definizione di morte cerebrale, coniata nel '68 prima del primo espianto, che ha mutato il concetto di dignità e di cura in peggio. A dimostrarlo sono i tanti pazienti che appena prima di essere privati dei supporti vitali e dei loro organi si sono risvegliati.


Benedetta Frigerio 28/05/2018

Durante la battaglia per proteggere la vita del piccolo Alfie Evans la Nuova BQ aveva raccontato lo scandalo degli 850 bambini sepolti senza organi dall’Alder Hey Hospital di Liverpool all’insaputa dei genitori. Ma dall’indagine, che rivelò che venivano anche espiantate le ghiandole di timo di bambini vivi e che si concluse nel 2001, emerse che il problema era di tutto il sistema sanitario nazionale (25 ospedali coinvolti e 16.500 organi espiantati illegalmente tra cui il Great Ormond Street di Londra, dove è stato ucciso Charlie Gard e il King’s College, dove è stato ucciso Isaiah Haastrup). Il tutto si concluse con la riforma delle linee guida per la conservazione degli organi e con la scoperta che avere grandi banche di organi era un vanto per gli ospedali.


Pare però che ancor meglio degli organi di cadavere siano quelli degli esseri viventi. Non a caso sei anni dopo lo scandalo (nel 2006), il chirurgo Hootan C. Roozrokh fu denunciato in California per aver prescritto dosi eccessive di farmaci cercando di accelerare la morte di un donatore di organi, Ruben Navarro. Il caso emerse solo perché un’infermiera dichiarò che nonostante la rimozione della ventilazione il ragazzo non moriva per cui il medico aveva ordinato di aumentare la dose letale di farmaci. Dalle indagini emerse anche che il chirurgo era in contatto costante con il California Transplant Donor Network.


Si potrebbe pensare che sia un caso, ma il business miliardario dei trapianti (circa 32 miliardi nel 2017) fa quantomeno venire qualche dubbio, insieme alla vicenda emersa solo una settima dopo la morte di Alfie, di un 13enne dichiarato cerebralmente morto che si è risvegliato appena prima dell'espianto di organi. Il problema però non è solo economico, ma di una visione dell’uomo completamente mutata da quando la tecnica è stata avallata da tutti gli Stati grazie ad una commissione medica di Harvard che nel 1968, poco prima del primo trapianto, sancì che bastava l’elettroencefalogramma piatto e l’arresto delle funzioni respiratorie per giudicare un essere vivente morto, mentre prima era necessario l’arresto di tutte le funzioni vitali, compresa quella cardiocircolatoria.


“Sapevo che mio figlio non era cerebralmente morto. Sapevo che mio figlio non era un vegetale”, sono le parole di George Pickering che nel 2015 salvò dalla morte suo figlio usando una pistola. Pickering entrò nella stanza del figlio, ricoverato presso il Regional Medical Center di Tomball (Texas) in seguito ad un ictus, minacciando di uccidersi. Poi di fronte alle guardie e ai medici parlò all’orecchio del figlio, ventilato e che fino ad allora non aveva reagito ad alcuno stimolo o test e il cui elettroencefalogramma era piatto, e gli chiese di stringergli la mano. Il giovane lo fece per ben quattro volte. L’uomo ha raccontato della pressione da parte dell’ospedale per l’espianto di organi del 27enne. I macchinari non furono spenti e il ragazzo si riprese. Nonostante si trattasse di legittima difesa di un vivo, Pickering passò 11 mesi in carcere.


Nel 2013 anche Colleen S. Burns, dichiarata cerebralmente mortadall’ospedale Joseph's Hospital Health Center di Syracuse (Ny) dopo un overdose di farmaci sul lettino della sala operatoria dove avrebbe subito l’espianto di organi ha aperto gli occhi. Il ministero della Salute americano disse che i medici avevano ignorato il parere di un’infermiera convinta che Burns non fosse morta. Per l’errore l’ospedale ha pagato 6 mila dollari.


Ma non è questa la sola volta che un paziente si è svegliato appena prima della “donazione” dei suoi organi. Nel 2008 Zack Dunlap, allora 21enne, fu ricoverato dopo un incidente stradale presso il United Regional Healthcare System di Wichita Falls (Texas). Circa 36 ore dopo fu eseguita una Pet al cervello e altri esami che accertarono l’assenza di attività cerebrale. Il giovane fu dichiarato morto e siccome la sua patente di guida riportava la volontà di donare gli organi, la famiglia diede il permesso per l’espianto. Poco prima dell’operazione, però, una cugina provò a mettere una lama sulla pianta del piede del ragazzo, il giovane si mosse ma l’infermiera si affrettò a dire che si trattava di un movimento riflesso. La cugina continuò conficcando la lama sotto l’unghia del piede per cui il giovane si mosse di nuovo con stizza. Cinque giorni dopo Dunlap aprì gli occhi e dopo un mese e mezzo camminava: “Ho sentito i medici che mi dichiaravano morto…ringrazio i miei parenti che non hanno mollato”.


Nel 2012 il padre di Stephen Thorpe, allora 17enne, in coma farmacologico dopo un incidente, si oppose ai medici che, dopo aver dichiarato la morte cerebrale del figlio, volevano procedere all’espianto di organi. L’uomo domandò il parere di un secondo neurologo e di un medico di base che si opposero alla diagnosi chiedendo l’interruzione del coma farmacologico. Dopo 5 settimane il ragazzo si svegliò . “La mia impressione - dichiarò poi Thorpe al Daily Mail - è che l’ospedale non fosse molto contento della richiesta di mio padre di un secondo parere”. I giornali laicisti si affrettarono a giustificare la diagnosi smentita parlando di miracolo. Anche Taylor Hale, dichiarata morta nel 2011 a 14 anni, parla di miracolo. Ricoverata al Des Moines' Blank Children's Hospital (Iowa), peggiorò dopo un’emorragia cerebrale. I medici dissero alla famiglia “non possiamo fare più nulla per lei, dovreste cominciare a pensare ai funerali”. La ragazza fu privata della ventilazione, dopo due ore il medico si rimangiò tutto: “Non sappiamo come spiegarcelo, ma respira da sola”.


Ma siamo sicuri che siano miracoli? Jimi Fritze, svedese, 46 anni, ricorda ancora quando, ricoverato nel 2012 in seguito ad un ictus, sentì i medici discutere della possibilità della donazione di organisolo perché il suo cervello appariva profondamente danneggiato e perché respirava con l’ausilio dei macchinari. Oggi l’uomo ha recuperato bene e ha denunciato l’ospedale.


Anche Sam Hemming, 22 anni, inglese, si è laureata nel 2016dopo essere stata dichiarata morta. Sempre in seguito ad un incidente la giovane fu trasportata allo University Hospital in Coventry. Erano passati 19 giorni quando fu dichiarata cerebralmente morta per cui i medici decisero di spegnere la ventilazione. Ma al momento di procedere un medico accidentalmente toccò il piede della ragazza con un panno gelido, producendo il movimento del pollice di fronte agli occhi dei suoi genitori. Qualche giorno dopo Hemming ricevette la tracheotomia, finché non si è ripresa del tutto ricominciando a respirare da sola. Prima di procedere alla rimozione della ventilazione i medici avevano fatto tutti i test e i risultati attestavano l’assenza completa dell’attività cerebrale.


È chiaro che non è in discussione la bontà della donazione di organi fra persone vive. Ed è chiaro che non tutti i medici procedono in questo modo con il fine del trapianto, come si evince da alcuni casi descritti, dove la diagnosi è stata fatta in buona fede e non falsata strumentalmente. Il che incrementa ancor più i dubbi su una diagnsi magari rigorosa ma che ha portato alla decisione di privare questi malati dei sostegni vitali quando erano ancora vivi.


Infine è chiaro che crescere con questa visione della morte, volenti o nolenti, tende ad influire sul modo di giudicare qualsiasi paziente, misurando la sua esistenza, e quindi la necessità di cure, a partire da quanto il suo cervello funziona o meno. E se in quel corpo, per malato che sia ma con il cuore battente ci fosse ancora un’anima? Non sarebbe meritevole di ogni cura possibile?












domenica 27 maggio 2018

Sconfitta la vita in Irlanda






di Carlo Manetti

Il 25 maggio 2018 è veramente un giorno storico
, nel senso che verrà ricordato sui libri di storia: è la sconfitta della vita e della natura nella sedicente cattolica Irlanda. Al momento in cui scriviamo non siamo ancora in possesso dei dati definitivi, ma, a giudicare dagli exit poll, il risultato del referendum irlandese non lascia spazio a grandi speranze: gli elettori dell’Isola di Smeraldo hanno, a larga maggioranza, cancellato l’VIII Emendamento della Costituzione, che prevedeva l’illegalità quasi assoluta dell’aborto, con l’eccezione del caso di pericolo per la vita della madre a continuare la gravidanza.

Si tratta di un’ulteriore importantissima vittoria dell’Unione Europea e di tutte le forze tese alla disgregazione della vita secondo natura. Questo successo segna un alto grande avanzamento sulla strada della scristianizzazione dell’Irlanda.

L’identità nazionale irlandese si è sempre incentrata sulla Fede cattolica, anche, ma non solo in contrapposizione alla dominazione inglese, che, a sua volta, ha sempre portato in sé i caratteri anticattolici della cosiddetta Riforma protestante; questa contrapposizione è apparsa in tutta la sua drammaticità nella guerra di indipendenza (1919-1921) e nella guerra civile, che ha, con intensità a tratti maggiore ed a tratti minore, dilaniato l’Irlanda del Nord. La cattolicità ha sempre pervaso la vita degli irlandesi e ne è divenuta il tratto distintivo, sia in Patria che all’estero. Sarebbe riduttivo ed ingeneroso attribuire ciò unicamente allo scontro con i protestanti britannici, anche se il distacco di Londra da Roma ha avuto come conseguenza quasi immediata, a partire da Elisabetta I Tudor (1533-1603), il tentativo di distruzione dell’identità nazionale irlandese, attraverso l’installazione sistematica di coloni protestanti nell’Isola di Smeraldo, iniziando dalle regioni settentrionali; operazione che ha raggiunto il suo apice sotto Oliver Cromwell (1599-1658), con la creazione di una maggioranza protestante nelle sei contee settentrionali dell’isola, che avrebbero costituito (1921) l’Irlanda del Nord.

In epoca contemporanea, l’elemento nazionale e l’elemento religioso hanno trovato tra gli irlandesi una simbiosi ed un’unità fortissime. Anche i partiti politici più progressisti, come lo stesso Sinn Féin[1], non si sono mai distaccati da questa tradizione; dire irlandese e dire cattolico era quasi la stessa cosa. Questa identificazione non poteva, però, non suscitare la fortissima reazione del potere sinarchico europeo. Negli ultimi trent’anni, è stato un crescendo: il tentativo di eliminare l’anima irlandese attraverso una serie mirata di riforme legislative, che avrebbero, a loro volta, portato ad un mutamento del costume sociale, che, distruggendo, presso strati sempre più vasti della popolazione, la morale e la Fede cattolica, avrebbe eliminato anche la stessa identità nazionale dei figli di San Patrizio (385-461).

Il primo colpo fu l’introduzione del divorzio (17 giugno 1996), a seguito del referendum del 24 novembre 1995. Questa norma caratterizza in modo emblematico la legislazione e la società liberali ed anticattoliche: ogni rivoluzione, anche se sarebbe più corretto parlare di ogni manifestazione della Rivoluzione, contraria per definizione alla vera Fede, vede nella legalizzazione dello scioglimento del matrimonio il primo gradino della scala su cui si fonda il sovvertimento etico-sociale della civiltà cristiana. L’Inghilterra protestante nasce proprio in virtù e nel nome del divorzio; i rivoluzionari francesi impegnano tutta la vita dell’Assemblea nazionale per giungere a questo obiettivo, che, non per nulla, è l’ultimo atto (20 settembre 1792) di tale organismo, il giorno stesso in cui si scioglieva per lasciare il posto alla Convenzione; uno degli obiettivi costanti dell’Unione Europea è l’aggressione alla famiglia e tale aggressione non può che partire da una legislazione divorzista.

Questo disegno di eversione della società cristiana e, in ultima analisi, della società naturale è condotto nella piena consapevolezza degli effetti educativi della norma di legge. Indipendentemente da tutti i deliri giuspositivisti[2], le popolazioni di tutto il mondo sono istintivamente portate a vedere nella legge dello Stato l’applicazione concreta e puntuale dell’etica e del diritto naturali, tendendo, quindi, a conformarsi ad essa non solo e non tanto in virtù dei premi a farlo e delle punizioni, di vario genere, a fare il contrario, ma con un trasporto di natura morale, nella convinzione di adempiere ad un proprio dovere etico, nei confronti della società e, in ultima analisi, anche nei confronti di se stesse. La conseguenza di ciò, ben chiara anche ai contemporanei corifei del giuspositivismo, è un adeguamento dei principi etici alle norme legali; la conseguenza, paradossale per la retta ragione, ma assolutamente ovvia per i seguaci dell’Illuminismo, è che una norma giuridica contraria all’etica ed al diritto naturali produce una corruzione della coscienza collettiva, portando vasti strati della popolazione a considerare bene il male e male il bene.

Ritornando all’Irlanda, l’introduzione del divorzio ha prodotto, più ancora che scioglimenti del vincolo matrimoniale, una crescita esponenziale delle separazioni e delle convivenze more uxorio, che erano legali anche prima di tale riforma legislativa; l’effetto della norma si è dimostrato, dunque, più etico-culturale che strettamente giuridico: gli effetti devastanti sul matrimonio, conseguenti alla riforma, sono stati esponenzialmente più gravi di quelli strettamente giuridici, vale a dire dei divorzi effettivamente pronunciati. I matrimoni falliti (somma di separazioni e divorzi) sono passati dai 40.000 del 1986 ai 250.000 del 2011, su una popolazione di 3.700.000 cittadini adulti.

Con il referendum del 22 maggio 2015, poi, l’Irlanda è, addirittura, divenuta il primo paese al mondo ad avere costituzionalizzato il cosiddetto “matrimonio” omosessuale: con tale riforma, la Carta fondamentale recita testualmente: «Il matrimonio può essere contratto per legge da due persone, senza distinzione di sesso» (sic!). Questo mutamento normativo non ha prodotto grossi effetti giuridici, nel senso che coloro che vi hanno fatto ricorso sono un’infima minoranza, come è successo negli altri Paesi che hanno adottato leggi analoghe; ma l’effetto etico-culturale prodotto è stato ancora più devastante di quello conseguito all’introduzione del divorzio. Questo “primato”, assolutamente antitetico alla più profonda anima nazionale, viene presentato ed incomincia ad essere percepito come l’orgoglio irlandese: diviene orgoglio nazionale ripudiare la propria anima!

E, infine, con la legalizzazione o, per essere più precisi, con la possibilità, per il legislatore, di legalizzare l’aborto, essendone stato abrogato il divieto costituzionalmente previsto, l’Irlanda si appresta a divenire, non appena il Parlamento avrà tratto le conseguenze dall’esito referendario, in tutto e per tutto simile, sul piano etico-culturale, a quel Regno Unito che ha sempre rappresentato l’antitesi, prima ancora che il nemico, della sua anima nazionale. L’unica differenza è il persistere di alcune tracce di lingua gaelica, anch’esse in via di estinzione.

A proibire l’aborto, in Europa, sono rimasti, in via assoluta, la Città del Vaticano (ma fino a quando?) e Malta; e ad ammetterlo solo in caso di pericolo per la vita della madre il Liechtenstein, l’Irlanda del Nord, San Marino ed il Principato di Andorra: il sogno di morte dell’Unione Europea e dei suoi entusiasti servitori incontra ancora pochi ostacoli e tra questi, purtroppo, non figura più la patria di San Patrizio.





[1] In gaelico significa «noi stessi» ed è lo storico movimento indipendentista, fondato nel 1905 da Arthur Griffith (1872-1922), storico patriota irlandese; è da sempre un partito di sinistra, di ispirazione socialista, con una fortissima caratterizzazione repubblicana.

[2] Per giuspositivismo si intende la dottrina giuridica che vede nel diritto un puro atto di volontà del legislatore, slegato da ogni riferimento alla natura ed alla morale; padre di tale concezione è considerato universalmente Hans Kelsen (1881-1973).







Apprezzare la 194? Tutti gli scivoloni del presidente Cei




Secondo il presidnte della Cei Bassetti la legge 194 ha dei punti apprezzabili perché "non era a favore dell'aborto". Un'uscita a dir poco temeraria. A cominciare dal fatto che considera la soppressione di feti un diritto soggettivo. Tra una selva di distinguo e discernimenti, sotto la coltre di un linguaggio sfumato e allusivo, alla fine si plaude ad una legge mortifera, quando invece i pastori dovrebbero urlare il loro sdegno.


di Tommaso Scandroglio 27/05/2018

Grande eco mediatica hanno suscitato le parole del cardinale Gualtiero Bassetti
, presidente della Cei, sulla legge 194 in chiusura dei lavori dell’Assemblea generale. Il cardinale così si è espresso:

  «La legge sull’aborto la conosciamo, però bisogna anche apprezzare certi punti che, perlomeno quand’è nata, erano fermi, rispetto a certe proposte di legge che sono di un totale relativismo sul rispetto della vita e della donna. La 194 non era a favore dell’aborto ma prevedeva in certi casi particolari e circoscritti l’aborto. Noi ne abbiamo sempre visti limiti e difficoltà, però di fronte a un relativismo totale di fronte all’embrione alla vita, almeno lì c’erano dei paletti, si doveva fare di tutto il possibile. Non dico che fosse buona, perché c’è un principio di morale che dice bonum ex integra causa, deve essere buona per tutte le basi su cui poggia, ma bisogna distinguere e discernere».

Proviamo a commentare questa uscita a dir poco temeraria di Bassetti
. Primo punto non riconosciuto dal cardinale: la legge 194 è una legge intrinsecamente ingiusta perché legittima la soppressione di un essere umano innocente. E dunque come si può dire che “La 194 non era a favore dell’aborto”? E di cosa era ed è a favore? Forse della vita? La 194 non considera l’aborto un reato che in alcuni casi trova delle scriminanti, bensì considera l’aborto un diritto soggettivo.

Ciò è provato dal fatto che gli ospedali hanno l’obbligo giuridico
di fornire questa “prestazione” – e dove c’è un dovere c’è un diritto da qualche parte – e dal fatto che non si contano più le sentenze civili di risarcimento a favore della donna quando il nato è malformato, risarcimento giustificato perché in ultima istanza il diritto all’aborto è stato violato.

Inoltre, non è condivisibile il tentativo di qualificare una legge intrinsecamente ingiusta
quale è la 194 come una legge che ha dei limiti e delle difficoltà. E’ come definire la legge nazista che ha istituito i campi di concentramento non come norma aberrante, bensì semplicemente imperfetta, deficitaria in qualche aspetto.

Altro punto. Bassetti afferma: “La 194 non era a favore dell’aborto
ma prevedeva in certi casi particolari e circoscritti l’aborto”. Ciò è falso. La legge 194 non pone nessun limite all’aborto procurato nei primi 90 giorni e ne pone di timidissimi dopo i 90 giorni. Ciò è comprovato anche da un fatto inoppugnabile: i Radicali non hanno mai chiesto che fossero allargate le maglie della 194 in ordine alle condizioni per l’accesso all’aborto. Ciò a riprova che le maglie allora come ora sono larghissime. I Radicali hanno sì chiesto nell’'81 l’abrogazione totale di questa norma non perché la 194 prevedesse dei limiti all’aborto, ma perché volevano che la pratica abortiva fosse disciplinata non in modo speciale, ma fosse regolamentata come qualsiasi altro intervento chirurgico, come un’appendicectomia. Insomma volevano una normalizzazione giuridica dell’aborto in senso assoluto.

In buona sostanza nella 194 non c’è nessun paletto
. Ex lege 194 la donna che vuole abortire perché il feto è malformato può farlo, la donna che vuole abortire perché ha problemi economici può farlo, la donna che vuole abortire perché il fidanzato altrimenti la lascia o i genitori la sbattono fuori di casa può farlo, la donna che vuole abortire perché è troppo giovane o troppo anziana o perché ha già un figlio può farlo, la donna che vuole abortire semplicemente perché non vuole questo bambino può farlo.

Il fatto che l’aborto è liberissimo trova conferma in un dato Istat che riguarda gli aborti effettuati nel 2016: si ricorre all’aborto per possibili malformazioni del feto nemmeno nel 10% dei casi. Nei rimanenti casi si ricorre all’aborto perché semplicemente la gravidanza non era voluta. E queste ipotesi non sono eccezionali secondo la legge 194, ma sono la norma: ci troviamo non ai confini dell’aborto legale, bensì siamo nel cuore della 194. I sei milioni di bambini uccisi nel ventre materno dal 1978 ad oggi non sono frutto di una cattiva applicazione della 194 – quasi fossero omicidi colposi - bensì sono frutto dell’applicazione fedelissima alla ratio di questa norma. La legge 194 è stata pensata e voluta come un’arma per uccidere i figli non voluti. Altrimenti perché in contemporanea al varo di questa legge si è provveduto a depenalizzare l’aborto?

Inoltre il presidente della Cei afferma che in alcuni punti la 194 è da apprezzare
. E’ un vecchio slogan caro a tanti sedicenti cattolici. In genere si fa riferimento agli artt. 2 e 5 che impongono alcuni oneri agli ospedali, ai consultori e ai medici. Un paio di brevi considerazioni. Alcuni obblighi si possono facilmente soddisfare non provocando il ben che minimo intoppo nella macchina abortiva. Ad esempio il dovere di contribuire “a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza” può essere adempiuto semplicemente dicendo alla donna: “Ci pensi bene”.

Altri doveri sono a discrezione del personale sanitario
(es. l’interessamento degli enti locali). Se poi la donna va dal medico gli oneri scendono solo a due assai generici: “la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso”. Detto tutto ciò, due sono i punti che annullano la cogenza di questi obblighi. Il primo: è impossibile sanzionare chi non ottempera a tali doveri, perché è impossibile venire a conoscenza della loro infrazione. Infatti alla donna che ha avuto il suo aborto non verrà mai in mente di trascinare in giudizio il medico perché non l’ha informata a dovere sulle alternative all’aborto.

Medico abortista e donna che vuole l’aborto stanno dalla stessa parte
. Ciò è comprovato da un dato inoppugnabile: a fronte di 6 milioni di procedimenti abortivi, ad oggi si sono celebrati in Italia, a motivo della non ottemperanza degli obblighi di cui sopra, zero processi. Zero. Secondo: la donna chi incontrerà nel colloquio pre aborto? Solo personale abortista, perché l’obiettore di coscienza è estromesso da tutto l’iter abortivo, compreso il colloquio con la donna. E volete che un medico pro-choice faccia “tutto il possibile” – come ha detto Bassetti - per persuadere la donna a non abortire?

Bassetti ha dichiarato che secondo la legge “si doveva fare di tutto il possibile”
per non far abortire la donna. Errato. La norma è costruita in modo tale che l’aborto è l’unica opzione da prospettare, che tutto si debba tentare per far abortire la donna. Quando il presidente della Cei afferma che nella 194 ci sono parti apprezzabili vengono in mente i regolamenti dei campi di concentramento nazisti che prevedevano obbligatoriamente di dare da mangiare, seppur con quantità irrisorie di cibo, ai deportati. Chi mai oggi avrebbe il coraggio di dire che almeno i nazisti non facevano morire di fame tutti?

Infine Bassetti afferma che la disciplina prevista dalla 194 nel 1978
perlomeno aveva dei punti fermi che oggi pare siano saltati tutti. Insomma una norma non poi tanto male. Ma quale era il giudizio sulla 194 espresso dalla medesima Cei all’indomani del varo della stessa? Ecco alcuni estratti del documento “Dichiarazioni a seguito dell' avvenuta legalizzazione dell' aborto in Italia”: “L'aborto volontario e procurato, ora consentito dalla legge italiana, è in aperto contrasto con la legge naturale scritta nel cuore dell'uomo ed espressa nel comandamento: ‘Non uccidere!’. Chiunque opera l'aborto, o vi coopera in modo diretto, anche con il solo consiglio, commette peccato gravissimo che grida vendetta al cospetto di Dio e offende i valori fondamentali della convivenza umana”. Pare che i predecessori di Bassetti fossero affetti da miopia perché non ravvisarono nemmeno l’ombra di punti fermi e aspetti da apprezzare nella legge che a qualche nostro contemporaneo invece pare di scorgere.

Oggi nel mondo i bambini muoiono a milioni nel ventre materno
non tanto per l’attivismo del fronte abortista, non tanto per il silenzio colpevole di molti sedicenti cattolici votati non alla prudenza ma all’ignavia. I bambini oggi muoiono soprattutto per l’appoggio implicito ed esplicito che i cattolici offrono alle leggi abortiste. Tra una selva di distinguo e discernimenti, sotto la coltre di un linguaggio sfumato e allusivo, alla fine si plaude ad una legge mortifera, quando invece i pastori dovrebbero urlare il loro sdegno, dovrebbero chiamare alla lotta culturale, politica e spirituale tutti i fedeli, dovrebbero minacciare il giudizio di Dio su quei politicanti che si macchiano di questi crimini orribili e dovrebbero avere il coraggio di sfidarli così: “Prendetevi pure l’8 per mille, perché per noi la vita di un solo bambino vale infinitamente di più”.











venerdì 25 maggio 2018

SARAH: L’OCCIDENTE, UNA BARCA UBRIACA NELLA NOTTE. PERCHÉ È SENZA LA LUCE DI DIO.




Marco Tosatti  25 maggio 2018

L’amico Miguel Cuartero, titolare del blog “La testa del serpente”, e autore del bel libro“Nostra Signora che scioglie i nodi. Storia di una devozione mariana”, ci ha inviato il testo integrale dell’omelia che il cardinale Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, ha pronunciato in occasione del pellegrinaggio di Pentecoste, di Notre Dame de Paris e della cattedrale di Chartres. Ve lo offriamo, perché ci sembra un testo di grande spessore e importanza, e degno di essere letto, soprattutto dai giovani. Giustamente temiamo che al prossimo Sinodo i giovani avranno poche occasioni di sentire interventi di questo livello, e densità.


36° Pellegrinaggio di Pentecoste (Parigi – Chartres)

L’omelia del Card. Robert Sarah


Si è concluso il 36° pellegrinaggio di Pentecosteorganizzato dall’associazione laicaleNotre-Dame de Chrétienté. Un appuntamento annuale che prevede tre giorni di cammino, un percorso di 100 km, dalla cattedrale Notre-Dame di Parigi a quella di Chartres. Più di 10mila pellegrini sono partiti alla Vigilia di Pentecoste per concludere il loro pellegrinaggio lunedì 21 maggio con un’ Eucaristia celebrata nella Forma Straordinaria del Rito Romano[1]. Una partecipazione straordinaria secondo gli organizzatori che parlano di un incremento di 10% rispetto allo scorso anno e di una età media in continuo calo assestata attorno ai 21 anni. La solenne celebrazione è stata presieduta da il cardinale guineano Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e ha visto la partecipazione straordinaria di circa 15mila pellegrini, provenienti da tutto il Paese e dall’estero, molti dei quali costretti ad accamparsi fuori dalla cattedrale. Numerosi i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Moltissimi i giovanie intere famiglie con bambini (come si può osservare nelle immagini dei servizi della televisione francese qui sotto e in fondo all’articolo). La processione è stata affidata alla protezione di San Giuseppe, “padre, sposo e servitore”. In processione anche la teca con una straordinaria reliquia: il cuore di San Pio da Pietrelcina.

L’omelia del cardinale ha preso le mosse dal Vangelo di Giovanni proclamato durante la liturgia(Gv. 3,16-21). A partire da questo testo, ed in particolare dal versetto 19 («La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce») il cardinale Sarah ha affrontato diversi temi come la scelta radicale per Dio e la secolarizzazione dell’Occidente che ha rifiutato la Luce.

Il card. Sarah si è rivolto ai sacerdoti parlando dell’importanza dell’Eucaristia – celebrata nel silenzio e nel raccoglimento – come fulcro del ministero presbiterale. Parlando del celibato e dell’idea di ammettere al sacerdozio uomini sposati, il cardinale ha denunciato la tentazione di creare «un sacerdozio a misura umana» promuovendo una pratica che violerebbe la tradizione apostolica. Ai genitoriha ricordato il fondamentale ruolo di educare i propri figli alla Luce di Cristo, sapendo che sarà necessario «lottare contro il vento dominante»; a loro ha anche parlato del «ruolo profetico» affidatogli dall’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI: quello di essere «guardiani intelligenti dell’ordine naturale». Il cardinale si è rivolto in modo particolare ai giovani– accorsi numerosi all’evento – invitandoli ad avere il coraggio di rinunciare al mondo, di andare controcorrente, senza paura scegliendo la Luce di Dio che non delude mai («Gesù vi darà tutto! […] non perderete nulla, guadagnerete l’unica gioia che non delude mai»). Ai giovani ha chiesto di opporsi alle leggi “contro natura” e “contro la vita” e ha rivolto, infine, un particolare appello a rispondere alla chiamata di Dio, rinunciando a tutto per seguire radicalmente Lui, scegliendo la strada del sacerdozio o della vita consacrata.

Di seguito il testo tradotto dall’originale francese:

***

Permettetemi innanzitutto di ringraziare calorosamente Sua Eccellenza il vescovo Philippe Christory, Vescovo di Chartres, per il suo fraterno benvenuto in questa splendida Cattedrale.

Cari Pellegrini di Chartres,

«La luce è venuta nel mondo» ci dice Gesù nel Vangelo di oggi (Gv 3,16-21) «ma gli uomini hanno preferito le tenebre».

E voi, cari pellegrini, avete accolto l’unica luce che non delude: quella di Dio?Avete camminato per tre giorni, pregato, cantato, avete sofferto sotto il sole e sotto la pioggia: avete accolto la luce nei vostri cuori? Avete davvero abbandonato l’oscurità? Avete scelto di percorrere la Via seguendo Gesù, che è la Luce del mondo? Cari amici, permettetemi di porvi questa domanda radicale, perché se Dio non è la nostra luce, tutto il resto diventa inutile. Senza Dio tutto è buio!

Dio è venuto a noi, si è fatto uomo.Ci ha rivelato l’unica verità che salva, è morto per redimerci dal peccato, e a Pentecoste ci ha donato lo Spirito Santo, ci ha donato la luce della fede… Ma noi preferiamo le tenebre!

Guardiamo intorno a noi, la società occidentale: ha scelto di organizzarsi senza Dio
, e ora è abbandonata alle luci appariscenti e ingannevoli della società dei consumi, del profitto a tutti i costi e dell’individualismo frenetico. Un mondo senza Dio è un mondo di tenebre, bugie ed egoismo.

Senza la luce di Dio, la società occidentale è diventata come una barca ubriaca nella notte. 
Non c’è abbastanza amore per accogliere i bambini, proteggerli nell’utero della madre, proteggerli dall’aggressione della pornografia. Priva della luce di Dio, la società occidentale non sa più rispettare i suoi anziani, accompagnare i malati alla morte, dare spazio ai più poveri e ai più deboli. È abbandonata all’oscurità della paura, della tristezza e dell’isolamento. Non ha altro da offrire che il vuoto e il nulla.

Permette di proliferare le ideologie più pazze.
Una società occidentale senza Dio può diventare la culla di un terrorismo etico e morale più virulento e più distruttivo del terrorismo islamista. Ricorda che Gesù ci ha detto: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10,28).

Cari amici, perdonatemi questa descrizione, ma bisogna essere lucidi e realisti. Se vi parlo in questo modo è perché nel mio cuore di sacerdote e di pastore provo compassione per tante anime disorientate, perdute, tristi, preoccupate e sole.

Chi li condurrà alla luce? 
Chi mostrerà loro la via della Verità, l’unica vera via della libertà che è quella della Croce? Li lasceremo cadere nell’errore, nel nichilismo senza speranza o nell’islamismo aggressivo senza fare nulla? Dobbiamo proclamare al mondo che la nostra speranza ha un nome: Gesù Cristo, l’unico salvatore del mondo e dell’umanità.
Cari pellegrini di Francia, guardate questa cattedrale, i vostri antenati la costruirono per proclamare la loro fede. Tutto nella sua architettura, nella sua struttura, nelle sue vetrate proclama la gioia di essere salvato e amato da Dio. I vostri antenati non erano perfetti, non erano senza peccato, ma volevano lasciare che la luce della fede illuminasse la loro oscurità.

Anche oggi, popolo di Francia, svegliati, scegli la Luce, rinuncia alle tenebre!

Come si fa? Il Vangelo ci risponde: chi agisce secondo la verità viene alla luce. Lasciamo che la luce dello Spirito Santo illumini concretamente le nostre vite, semplicemente e anche nelle aree più intime del nostro essere più profondo. Agire secondo la verità è innanzitutto mettere Dio al centro della nostra vita così come la croce è il centro di questa cattedrale.
Fratelli miei, scegliete di rivolgervi a Lui ogni giorno. In questo momento, prendiamo l’impegno di prendere qualche minuto di silenzio ogni giorno per rivolgersi a Dio e dirgli: Signore, regna in me, ti offro tutta la mia vita.

Cari pellegrini, senza silenzio non c’è luce. Le tenebre si nutrono del rumore incessante di questo mondo che ci impedisce di rivolgerci verso Dio.
Prendiamo, per esempio, la liturgia della Messa di oggi. Ci porta all’adorazione, al timore filiale e amoroso innanzi alla grandezza di Dio. Essa culmina nella consacrazione dove tutti insieme rivolti verso l’altare, lo sguardo puntato verso l’Ostia, verso la Croce, ci comunichiamo in silenzio, nel raccoglimento e nell’adorazione.

Fratelli, amiamo queste liturgie che ci fanno assaporare la presenza silenziosa e trascendente di Dio e ci fanno rivolgere verso il Signore.


Cari fratelli sacerdoti
, ora mi dirigo a voi in maniera speciale.

Il Santo Sacrificio della Messa è il luogo dove troverete la luce per il vostro ministero
. Il mondo in cui viviamo ci sollecita incessantemente. Siamo costantemente in movimento. Corriamo il grande pericolo di considerarci degli “assistenti sociali”. Non porteremo più al mondo la Luce di Dio bensì la nostra propria luce che non è quella che gli uomini attendono.

Rivolgiamoci a Dio, in una celebrazione liturgica di raccoglimento, piena di rispetto, silenzio e sacralità. Non inventiamo nulla nella liturgia, riceviamo tutto da Dio e dalla Chiesa.
Non cerchiamo lo spettacolo o il successo. La liturgia ci insegna che essere prete non significa innanzitutto fare molte cose. È stare con il Signore sulla Croce. La liturgia è il luogo in cui l’uomo incontra Dio faccia a faccia. È il momento più sublime in cui Dio ci insegna ad essere «conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29). Non è, non deve essere un occasione di lacerazione, di lotta e di contese.

Nella forma ordinaria del rito romano come nella forma straordinaria, l’essenziale è volgere lo sguardo verso la croce, verso Cristo, il nostro Oriente, il nostro tutto, il nostro unico orizzonte.
Sia nella forma ordinaria, sia nella forma straordinaria, celebriamo sempre, come in questo giorno, secondo quanto insegna il Concilio Vaticano II, con una nobile semplicità, senza inutili sovraccarichi, senza estetica fattiva e teatrale ma con senso del sacro, avendo come prima preoccupazione la gloria di Dio e con un vero spirito di figli della Chiesa di oggi e per sempre.

Cari fratelli sacerdoti, abbiate sempre questa certezza: stare con Cristo sulla Croce è ciò che il celibato sacerdotale proclama al mondo. Il nuovo progetto che alcuni hanno suggerito di separare il celibato dal sacerdozio per conferire il sacramento dell’ordine a degli uomini sposati, i “viri probati”, adducendo delle ragioni o delle necessità pastorali, produrrà in realtà la grave conseguenza di rompere definitivamente con la tradizione apostolica.

Si vorrebbe fabbricare un sacerdozio su misura umana, ma così non si sta perpetuando, non si sta estendendo il sacerdozio di Cristo, obbediente, povero e casto. Perché in effetti il ​​sacerdote non è solo un Alter Christus, un altro Cristo. È davvero Ipse Christus, Cristo stesso. Ed è per questo che, seguendo Cristo e la Chiesa, il sacerdote sarà sempre un segno di contraddizione.

E voi cari cristiani, laici impegnati nella vita della città, a voi dico con forza: “non abbiate paura!” Non abbiate paura di portare in questo mondo la Luce di Cristo. La vostra prima testimonianza dev’essere la vostra vita, il vostro esempio. Non nascondete la fonte della vostra speranza, al contrario, proclamate, testimoniate, evangelizzate. La Chiesa ha bisogno di voi. Ricordate a tutti ciò che solo «Cristo crocifisso rivela il senso autentico della libertà» (Veritatis Splendor 85).

A voi, cari genitori
, vorrei rivolgere un messaggio del tutto particolare. Essere padre e madre di famiglia, nel mondo di oggi, è un’avventura difficile, piena di sofferenze, di ostacoli e di preoccupazioni. La chiesa vi ringrazia. Si, grazie per il dono generoso di voi stessi. Abbiate il coraggio di crescere i vostri figli alla Luce di Cristo. A volte bisognerà lottare contro il vento dominante, sopportare il disprezzo e le prese in giro del mondo, ma non siamo qui per compiacere il mondo. Noi proclamiamo Cristo crocifisso, «scandalo per gli ebrei e pazzia per i gentili» (1 Cor. 1, 23-24). Non abbiate paura, non arrendetevi.

La Chiesa, attraverso la voce dei papi, specialmente dall’enciclica Humanae Vitae, vi affida una missione profetica: testimoniare davanti a tutti la vostra gioiosa fiducia in Dio che ci ha resi guardiani intelligenti dell’ordine naturale. Voi annunciate ciò che Gesù ci ha rivelato attraverso la sua vita. Cari padri e madri, la Chiesa vi ama, amate la Chiesa. Amate vostra madre.

In fine, mi rivolgo a voi, a voi i più giovani che siete qui molto numerosi. Vi prego di ascoltare soprattutto un anziano che ha più autorità di me. Si tratta dell’evangelista San Giovanni. Oltre all’esempio della sua vita, San Giovanni ha anche lasciato un messaggio scritto ai giovani. Nella sua prima lettera, leggiamo queste commoventi parole di un anziano ai giovani delle chiese che egli aveva fondato. Ascoltate questa voce forte di un anziano: «Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno. Non amate né il mondo, né le cose del mondo!» (1Gv 2, 14-15).

Il mondo che noi non dobbiamo amare, commenta il padre Cantalamessa nella sua omelia del Venerdì Santo, e al quale non dobbiamo conformarci, non è – lo sappiamo bene – il mondo creato e amato da Dio. Non sono le persone del mondo, verso le quali, al contrario dobbiamo sempre andare, soprattutto i poveri e i più fragili, per amarli e servirli umilmente.

No! Il mondo da non amare è un altro. È il mondo così come è diventato sotto il dominio di Satana e del peccato. È il mondo delle ideologie che negano la natura umana e distruggono le famiglie. È il mondo delle strutture delle Nazioni Unite (“onusiennes”) che impone imperativamente una nuova etica globale a cui tutti dovremmo sottometterci
. Ma un grande scrittore britannico del secolo scorso, il T.S. Eliot, ha scritto tre versi che dicono più di interi libri: «Nel mondo dei fuggiaschi, chiunque si muove nella direzione opposta sembrerà un disertore».

Cari giovani, se ad un anziano come lo era san Giovanni è permesso parlare direttamente a voi, vi esorto anche io e vi dico: “Avete sconfitto il maligno”. Combattete ogni legge che vada contro natura e che vogliano imporvi, opponetevi a ogni legge contro la vitae contro la famiglia, siate di quelli che prendono la direzione opposta. Abbiate il coraggio di andare controcorrente. Per noi cristiani, la direzione opposta non è un luogo, è una persona: è Gesù Cristo, nostro amico e nostro redentore.

Un compito è stato assegnato in modo particolare a voi giovani: quello di salvare l’amore umano dalla tragica deriva in cui è caduto
: l’amore, che non è più il dono di sé ma solo il possesso dell’altro, un possesso spesso violento e tirannico. Sulla Croce, Dio si è fatto uomo e ci ha rivelato che Lui è “Agape”, ossia l’Amore che si dona fino alla morte. Amare veramente è morire per l’altro, come il giovane poliziotto, il colonnello Arnaud Beltrame!

Cari giovani, senza dubbio sperimentate spesso, nella vostra anima, la lotta dell’oscurità e della luce, a volte siete sedotti dai facili piaceri di questo mondo. Con tutto il mio cuore di sacerdote, vi dico: non esitate, Gesù vi darà tutto. Seguendolo a essere santi, non perderete nulla, guadagnerete l’unica gioia che non delude mai. Cari giovani, se oggi Cristo vi chiama a seguirlo come sacerdote, come religioso o religiosa, non esitate, ditegli «fiat», un sì entusiastico e incondizionato. Dio vuole aver bisogno di voi. Che gioia, che grazia

L’Occidente è stato evangelizzato da santi e martiri. Voi, giovani di oggi, sarete i santi e i martiri che le nazioni attendono per una nuova evangelizzazione. Le vostre terre hanno sete di Cristo, non deludeteli. La Chiesa si fida di voi. Prego che molti di voi rispondano oggi, durante questa Messa, alla chiamata di Dio a seguirlo, a lasciare tutto per Lui, per la sua Luce. Quando Dio chiama è radicale. Egli ci chiama interamente, fino al dono totale, al martirio del corpo o del cuore.

Caro popolo di Francia, sono i monasteri che hanno costruito la civiltà
del vostro paese. Sono le persone, gli uomini e le donne, che hanno accettato di seguire Gesù fino alla fine, radicalmente, coloro che hanno costruito l’Europa cristiana. Questo perché hanno cercato solo Dio, hanno così costruito una civiltà bella e pacifica come questa cattedrale.

Popolo di Francia, popoli dell’Occidente, non troverete la pace e la gioia se non cercando Dio solo. Tornate alle vostre radici, tornate alla fonte, tornate ai monasteri.
Sì, tutti voi, abbiate il coraggio di trascorrere qualche giorno in un monastero. In questo mondo di turbolenze, bruttezza e tristezza, i monasteri sono oasi di bellezza e gioia. Sperimenterete che è possibile mettere concretamente Dio al centro della propria vita, sperimenterete l’unica gioia che non passa mai.

Cari pellegrini, rinunciamo all’oscurità. Scegliamo la Luce! Chiediamo alla Beata Vergine Maria di insegnarci a dire fiat, cioè “sì”, pienamente come lo ha detto Lei, di insegnarci ad accogliere la luce dello Spirito Santo, come lo ha fatto lei.
In questo giorno in cui, grazie alla sollecitudine del Santo Padre Papa Francesco, celebriamo Maria, Madre della Chiesa, chiediamo a questa santissima madre di avere un cuore come il suo, un cuore che non rifiuta nulla a Dio, un cuore ardente di amore per la gloria di Dio, desideroso di annunciare agli uomini la buona notizia, un cuore generoso, un cuore ampio come il cuore di Maria, dalle dimensioni della Chiesa, dalle dimensioni del cuore di Gesù.

(traduzione Miguel Cuartero Samperi)

[1] Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi» (Benedetto XVI, Motu ProprioSummorum Pontificum).











giovedì 24 maggio 2018

FFI. LA GRANDE ACCUSATRICE OFFRE SCUSE FORMALI: HA SCRITTO “COSE NON VERE” SUI LAICI





Marco Tosatti

Mentre si avvia al quinto (!) anno il commissariamento dei Frati Francescani dell’Immacolata
, senza che si veda per ora una possibile soluzione a questa straordinaria vicenda, che resterà insieme ad altri atti di imperio al limite dell’arbitrio (vedi Ordine di Malta) come una delle macchie su questo Pontificato, c’è da registrare un fatto importante, nel castello di accuse e diffamazioni che hanno avvelenato questa storia.

Loredana Volpi, la nipote del primo commissario, padre Fidenzio Volpi,
coautrice insieme con Mario Castellano del libro “Verità e giustizia per padre Fidenzio Volpi. Una oscura vicenda nel Pontificato di Papa Francesco” ha ammesso di aver scritto cose non provate e di contenuto diffamatorio nei confronti dei responsabili delle associazioni di laici che sostengono i Francescani dell’Immacolata e padre Stefano Manelli, che ha compiuto 85 anni ed è ancora in “reclusione” ordinata dal Vaticano.

Nel libro scritto insieme a Mario Castellano
(appoggiato nel suo ruolo di consulente del defunto Commissario Volpi da Padre Alfonso Bruno, uno dei principali oppositori e accusatori di Padre Stefano Maria Manelli, il capo della fronda che ha cercato di impadronirsi del governo dell’istituto religioso), si diceva: “…in realtà l’Istituto è stato utilizzato come prestanome dalla camorra: i due nuovi Rappresentanti delle Associazioni già ricordate Rocco Alfonso Saviano e Claudio Circelli sono noti alle forze di polizia, e in particolare all’Antimafia, come sospetti camorristi, ed il loro tenore di vita risulta troppo ostentatamente elevato per essere sostenibile con le entrate che essi dichiarano…”.

I rappresentanti delle Associazioni, Saviano e Circelli, hanno sporto querela penale
nei confronti degli autori. La Volpi, fra l’altro, era riuscita a farsi ricevere dal Pontefice regnante e a consegnargli una copia del libro. Per evitare che la denuncia penale continuasse il suo corso, con evidenti pesanti conseguenze, Loredana Volpi ha deciso di arrivare a una transazione con le persone offese. La Volpi si è impegnata ad inviare la lettera di scuse, che verrà pubblicata anche sui giornali “Il Mattino” e “Repubblica”, e che verrà inviata al Pontefice, al quale la Volpi ha consegnato una copia del libro contenente le affermazioni in questione.

Nella lettera Loredana Volpi presenta “formali scuse” per gli epiteti e i termini utilizzati nel libro.“È assolutamente certo che le frasi utilizzate…non avevano ragione d’essere, perché non vere, e, per questo motivo, devono considerarsi gratuite ed assolutamente ingiustificate. Alla luce di tutto quanto sopra, Le rinnovo formali scuse per la deplorevole ed ingiustificata condotta assunta nei suoi riguardi e la informo che trasmetterò la presente… agli organi di stampa pubblicandola anche su internet affinché ne sia data adeguata diffusione in riparazione del danno inferto”.

In cambio le persone danneggiate hanno ritirato la querela penale.

Ancora una volta non si può fare a meno di notare come il Commissariamento
, per cui non è mai stata fornita al pubblico una chiara motivazione (il primo commissario accennava a una “deriva lefevbriana”), che ha devastato una congregazione fiorente di vocazioni, sia stato accompagnato da una massa di insinuazioni, “rivelazioni” di ex vecchie di decenni, accuse non provate, e per cui la magistratura ha prescritto l’archiviazione; oltre auna mole straordinaria di aggressioni verbali e insinuazioni diffamatorie (comprese quelle verso i giornalisti perplessi o decisamente critici dell’operazione) che può stupire solo chi voglia ignorare i risvolti economici della vicenda. Il Vaticano – e i frati frondaioli – hanno cercato di mettere le mani sui beni dei FFI, ma sono stati frustrati dall’intervento della magistratura. Il Pontefice ha impedito che il ramo femminile dell’Istituto, anch’esso commissariato, non si sa perché, ottenesse giustizia dalla Segnatura Apostolica, bloccando in maniera autocratica il ricorso presentato dalle religiose. Una brutta storia all’interno di una brutta storia. Di cui ancora non si vede la fine. La transazione appena compiuta, relativa alle accuse contenute nel libro, di cui è coautore un personaggio molto attivo contro padre Manelli, non può non gettare un’ombra pesante sulla credibilità del partito della fronda.












lunedì 21 maggio 2018

Il vescovo Schneider su un “Sillabo degli Errori” per la Chiesa moderna






Nella traduzione di Chiesa e postconcilio potete leggere di seguito il testo integrale della interessante intervista - rilasciata da Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Santa Maria in Astana, a Maike Hickson di OnePeterFive - che passa in rassegna le principali questioni sul tappeto in ambito ecclesiale che coinvolgono il nostro impegno quotidiano di riaffermazione della Verità. L'intervistatrice, nel suo preambolo, considera le parole del vescovo una nuova sorta di “Sillabo degli Errori” per la Chiesa moderna, che costituisce sostanzialmente una correzione fraterna di alcune delle gravi distorsioni della Fede che continuano a circolare non corrette negli ambienti ecclesiali e tra i fedeli.


All'inizio dell'anno, i rappresentanti della Conferenza episcopale tedesca hanno proposto una benedizione delle coppie omosessuali. Quale risposta dare alla luce della dottrina cattolica?
Impartire una benedizione ad una coppia omosessuale significa benedire il peccato non solo degli atti sessuali extraconiugali, ma ciò che è ancor peggio, di atti sessuali tra persone dello stesso sesso, benedire cioè il peccato di sodomia, che è considerato da quasi tutta la storia umana e dall'intera tradizione cristiana come un peccato che grida al cielo (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1867). Perché un tale peccato urla al cielo? Perché annulla, contamina e contraddice direttamente la natura e l'ordine della sessualità umana nella mutua complementarità dei due sessi, com'è stata creata dalla infinita saggezza di Dio. Gli atti omosessuali o le relazioni omosessuali sono direttamente contro la ragione e ogni logica, e contro l'esplicita volontà di Dio.
Gli atti omosessuali sono intrinsecamente così privi di senso che si possono confrontare, ad esempio, con l'assurdità di ostacolare il meccanismo di una cintura di sicurezza, dove il connettore "lingua"(maschio) viene inserito nella "fibbia" (connettore femmina). Ogni persona di buon senso riconosce l'assurdità di utilizzare per la cintura solo due lingue o solo due fibbie. Non funzionerà e in molti casi causerà la morte perché la cintura non è stata fissata. Allo stesso modo, gli atti omosessuali stanno causando la morte spirituale e spesso la morte fisica a causa del rischio estremamente elevato di malattie di origine sessuale.
Quando dei sacerdoti promuovono la benedizione delle relazioni omosessuali, promuovono un peccato che grida al cielo e promuovono un'assurdità logica. Essi in tal modo commettono un peccato grave e il loro peccato è ancora più grave di quello dei partner omosessuali che benedicono, perché incoraggiano queste persone ad una vita di peccati continui, esponendoli di conseguenza al pericolo di una condanna eterna. Tali sacerdoti sentiranno sicuramente da Dio - al momento del loro giudizio personale - queste parole gravi: "Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te". (Ez 3, 18). I sacerdoti che benedicono le pratiche omosessuali reintroducono una sorta di prostituzione dei templi pagani. Questo comportamento clericale è simile all'apostasia e ad essi sono pienamente applicabili queste parole della Sacra Scrittura: "Perché si sono infiltrati fra di voi certi uomini (per i quali già da tempo è scritta questa condanna); empi che volgono in dissolutezza la grazia del nostro Dio e negano il nostro unico Padrone e Signore Gesù Cristo". (Giuda 4).

P. Anselm Grün, autore di libri tedesco uno dei cui libri è stato recentemente elogiato da Papa Francesco, ora dice che potrebbe immaginare in futuro un papa femmina. Il cardinale Christoph Schönborn ha anche affermato di recente che un futuro concilio potrebbe benissimo stabilire una nuova regola per le sacerdotesse e perfino per le donne-vescovo. Cos'è possibile e buono nella Chiesa e cosa no? Qual è il ruolo proprio delle donne nella Chiesa alla luce del Vangelo?

Per istituzione divina, il sacramento dell'Ordine sacro (sacramentum ordinis) può essere somministrato solo a una persona di sesso maschile. La Chiesa non ha il potere di cambiare questa caratteristica essenziale del sacramento, perché non può cambiare un aspetto sostanziale dei sacramenti, come insegna il Concilio di Trento (cfr sess. 21, cap. 2). Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato che l'impossibilità di ordinare le donne è un insegnamento infallibile del Magistero universale ordinario (cfr Lettera Apostolica Ordinatio sacerdotalis, 4), quindi è una verità divinamente rivelata, che appartiene al deposito della fede (cfr. Risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 28 ottobre 1995).


Chi ostinatamente dubita o nega questa verità rivelata commette il peccato di eresia, e facendolo pubblicamente e pertinacemente, il peccato diventa un crimine canonico, che comporta la scomunica automatica (latae sententiae). Ci sono un certo numero di sacerdoti e persino vescovi, che oggi commettono questo peccato, separandosi così in modo invisibile dalla comunità della Fede cattolica. Ad essi potrebbero tranquillamente applicarsi queste parole di Dio: "Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri" (1 Giovanni 2:19).

Nessun Papa e nessun Concilio Ecumenico potrà mai permettere un'ordinazione sacramentale femminile (diaconale, presbiterale o episcopale). Se, in un caso ipotetico, lo si facesse, la Chiesa sarebbe distrutta in una delle sue realtà essenziali. Eppure questo non può mai accadere, perché la Chiesa è indistruttibile e Cristo è il vero Capo della sua Chiesa, e non permetterà che le porte dell'inferno prevalgano contro di essa in questo aspetto concreto.


Il ruolo più bello, unico e insostituibile della donna nella Chiesa è la sua vocazione e la sua dignità di essere madre, sia fisicamente che spiritualmente, perché ogni donna è materna per sua natura. Inseparabilmente con quella materna c'è la sua dignità e vocazione sponsale. In questa sua dignità sponsale la donna proclama la verità che ogni anima cristiana, anche quella di un uomo, dovrebbe essere sposa di Cristo. Nella sua vocazione materna e sponsale, la donna vive il sacerdozio interiore del cuore, unico per lei, e complementare al sacerdozio ministeriale maschile degli apostoli. Come Dio ha saggiamente stabilito l'ordine della natura, che si riflette ancora più splendidamente nell'ordine della grazia, nel sacramento dell'Ordine!

I vescovi tedeschi hanno approvato a febbraio una dispensa che consente ai coniugi protestanti di cattolici, in singoli casi e dopo un periodo di discernimento, di ricevere regolarmente la Santa Comunione. Alla luce dell'ordine sacramentale della Chiesa e anche alla luce della necessità che i cattolici si accostino regolarmente al sacramento della penitenza, una simile mossa dei vescovi tedeschi è del tutto lecita e possibile?

Fin dai tempi degli Apostoli (cfr At 2, 42), l'integrità della Fede (doctrina Apostolorum), la Comunione Gerarchica (communicatio) e la Comunione Eucaristica (fractio panis) sono inseparabilmente connesse tra loro. Ammettendo un battezzato alla Santa Comunione, la Chiesa non dovrebbe mai dispensarlo dal professare l'integrità della fede cattolica e apostolica. Non basta pretendere da lui solo la fede cattolica nel sacramento dell'Eucaristia (o nel sacramento della Penitenza e dell'Unzione degli infermi).

Ammettere un battezzato alla Santa Comunione e non esigere da lui come prerequisito indispensabile l'accettazione di tutte le altre verità cattoliche (ad esempio, i dogmi del carattere gerarchico e visibile della Chiesa, il primato giurisdizionale del Romano Pontefice, l'infallibilità del Romano Pontefice, i Concili ecumenici, il Magistero universale e ordinario, i dogmi mariani, ecc.) è una contraddizione all'unità necessariamente visibile della Chiesa e alla natura stessa del sacramento eucaristico. Il corretto effetto della Comunione Eucaristica è la manifestazione della perfetta unione dei membri della Chiesa nel segno sacramentale dell'Eucaristia. Quindi, la stessa ricezione - anche in casi eccezionali - della Santa Comunione nella Chiesa cattolica da parte di un protestante o di un cristiano ortodosso costituisce, in definitiva, una menzogna. Contraddice il segno sacramentale e la realtà sacramentale interiore, in quanto essi, i non cattolici ammessi alla Santa Comunione, continuano volentieri ad aderire visibilmente alle altre credenze delle loro rispettive comunità protestanti o ortodosse.

Possiamo riconoscere in questo contesto anche il principio problematico e contraddittorio del canone 844 del Codice di Diritto Canonico (sull'amministrazione di alcuni sacramenti come la Santa Eucaristia ai cristiani non cattolici in situazioni di emergenza o pericolo di morte). Questo principio contraddice la tradizione apostolica e la pratica costante della Chiesa cattolica per duemila anni. Già nel tempo sub-apostolico del secondo secolo, la Chiesa romana osservò questa regola secondo la testimonianza di san Giustino: "Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia, e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri" (Apol, 66, 1). Il problema creato di recente dalla Conferenza episcopale tedesca è - per essere onesti - solo la conseguenza logica delle concessioni problematiche formulate dal canone 844 del Codice di Diritto Canonico.

Alcuni ricordano che l'introduzione della comunione nella mano è stata inizialmente avviata a livello locale, solo per essere successivamente implementata per la Chiesa universale. Ne vede le corrispondenze?

Secondo la logica della fragilità umana, del dinamismo della pressione ideologica e dell'effetto contaminante dei cattivi esempi, anche i casi eccezionali di Comunione ai protestanti avranno nel tempo avranno un'applicazione diffusa, che sarà poi molto difficile da arginare.

Se questa nuova iniziativa di intercomunione fosse approvata da Roma nell'imminente incontro del 3 maggio [vedi qui l'esito dell'incontro], potrebbe trasformarsi in un ulteriore indebolimento dell'insegnamento sacramentale della Chiesa dopo Amoris Laetitia e le sue conseguenze?

Senza dubbio!


Alla luce di questo recente progetto d'intercomunione tedesco, vede limiti alle richieste di decentramento nella Chiesa?

Quando in una Chiesa particolare c'è un vero pericolo che l'integrità della Fede Cattolica e la corrispondente prassi sacramentale sono danneggiate, il Romano Pontefice deve esercitare il proprio dovere e correggere queste defezioni per proteggere il semplice fedele da una deviazione dall'integrità della fede cattolica e apostolica. Quando i vescovi agiscono in contrasto con il loro dovere di "promuovere e salvaguardare l'unità della fede e la disciplina comune all'insieme della Chiesa" (Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 23), il Romano Pontefice deve intervenire in virtù del suo compito di "dottore di tutti i fedeli" e di "maestro supremo della Chiesa universale" (Lumen gentium, 25). Se durante la navigazione alcuni ufficiali provocano delle falle ai fianchi della nave, il capitano della nave non può dire: "Non interferirò, perché voglio seguire il principio del decentramento". Ogni persona di buon senso considera tale comportamento irresponsabile e assurdo, dalle conseguenze fatali. Se ciò è vero per la vita fisica, quanto più lo è per la vita soprannaturale delle anime! Quando, tuttavia, i vescovi locali fanno bene il loro lavoro nel promuovere e salvaguardare la fede, la disciplina e la liturgia della Chiesa, il Papa non dovrebbe in alcun modo limitare le loro iniziative. Questo sarebbe il sano decentramento. In "tutto ciò che è vero, onorevole, retto, puro, buono, e lodevole" (Fil 4: 8) operato dai vescovi locali, il Papa non dovrebbe interferire, e dovrebbe lasciarli persistere in queste buone opere decentralizzate.

Nel contesto del prossimo sinodo amazzonico del 2019, ci sono molti richiami ora pubblicati per un contingente di sacerdoti sposati nel rito latino. Qual è la sua risposta. Dovrebbe e può la Chiesa cattolica intraprendere questa strada?

La Chiesa cattolica romana, col trucco dei "viri probati", non dovrebbe cedere o essere turbata dalla drastica scarsità di sacerdoti in alcune regioni. Una reazione del genere sarebbe fin troppo umana e indicherebbe la mancanza di una visione soprannaturale della Divina Provvidenza, che guida sempre la Sua Chiesa. Nella storia della Chiesa ci sono prove sufficienti di una drastica scarsità di sacerdoti in periodi e regioni, in cui tuttavia la fede cattolica dei laici era fiorente per effetto della trasmissione della fede nella famiglia e della testimonianza di singole persone virtuose. Io stesso ho trascorso la mia infanzia in queste condizioni, dove per diversi anni non c'era nessun prete.

È sufficientemente dimostrato dai documenti della Chiesa antica che il celibato sacerdotale o la legge della castità sacerdotale è di origine apostolica. Nei tempi apostolici e nei tempi dei Padri della Chiesa era una norma trasmessa e inizialmente non scritta,che, dal momento dell'ordinazione sacra (diacono, presbitero e vescovo), il chierico ordinato doveva vivere in perpetua continenza sessuale, indipendentemente dal fatto che fosse sposato o single. Esistono solidi studi scientifici, che confermano questo fatto, ad esempio, gli studi di Christian Cocchini, del cardinale Alfons Stickler, Stefan Heid et alii. Al tempo di Sant'Agostino il Sinodo di Cartagine (390) aveva dichiarato la continenza perpetua come "ciò che insegnavano gli apostoli e ciò che l'antichità stessa ha osservato". Papa Leone Magno (+ 450), scrupoloso osservatore delle tradizioni apostoliche, dichiarò : "La legge di castità è la stessa per i ministri dell'altare, per i vescovi e per i sacerdoti; quando erano ancora laici o lettori, essi potevano liberamente prendere moglie e generare figli. Ma una volta raggiunti i ranghi sopra menzionati, ciò che era stato permesso non è più così. "( Epist. Ad Rusticum). Il divieto categoriale di contrarre matrimonio dopo l'ordinazione era universalmente valido ed è valido anche nelle chiese ortodosse, dove il celibato per il sacerdote diocesano è abolito. Questa è una chiara dimostrazione del fatto che la regola della castità per gli ordini superiori è di origine apostolica.

Il primo tentativo di spezzare la tradizione apostolica della regola della castità, cioè della legge sul celibato in senso lato, costituisce la legislazione della Chiesa bizantina nel cosiddetto secondo sinodo trullano (691) che, tuttavia, la Sede apostolica non ha riconosciuto. Secondo la legislazione bizantina, il prete sposato deve osservare la continenza sessuale la notte prima di celebrare il Sacrificio eucaristico. Eppure un vero prete cattolico, che è giorno e notte "un altro Cristo" (alter Christus), e che quindi dovrebbe celebrare ogni giorno il Santo Sacrificio, deve vivere sempre in perfetta castità. Questa è una conseguenza logica della dignità ontologica del sacerdozio del Nuovo Testamento e della sua perpetua connessione con l'offerta del Sacrificio di Cristo sull'altare, a differenza del sacerdote dinastico carnale dell'Antico Testamento, che era obbligato alla continenza sessuale solo durante il servizio periodico prestato nel tempio. Fu proprio con riferimento ai sacerdoti dell'Antico Testamento, ai quali fu permesso di avere rapporti sessuali con le loro mogli, che il Sinodo Trullano nel 691 dispensò i preti sposati dalla legge della castità.

Se il Sinodo dell'Amazzonia previsto per il 2019 introdurrà il sacerdozio uxorato, sia pure in casi particolari e in specifiche aree geografiche, il dinamismo di una tale innovazione - il fenomeno del sacerdozio uxorato - senza dubbio inonderà gradualmente l'intera Chiesa latina. Speriamo che Il Sinodo dell'Amazzonia del 2019 non promuova l'introduzione dello stile di vita dei sacerdoti dell'Antico Testamento, uno stile di vita estraneo all'esempio di Cristo, L'eterno Sommo Sacerdote della Tradizione Apostolica. Inoltre, esiste un eccellente romanzo dello scrittore argentino Hugo Wast (pseudonimo di Gustavo Adolfo Martínez Zuviría, + 1962) dal titolo "Lo que Dios ha unido" ("Ciò che Dio ha unito"), in cui l'autore dimostra, in modo convincente e brillante, l'incompatibilità tra il sacerdozio cattolico e una vita coniugale sessualmente attiva.

In una recente conferenza in Vaticano, sono stati consegnati ai partecipanti doni fortemente somiglianti al simbolismo massonico. Si tratta di uno sviluppo problematico alla luce della salvaguardia dell'insegnamento cattolico intero e integro?
I "doni" citati, che è possibile veder descritti e visualizzati su Internet, sono apertamente pagani, esoterici e massonici. Ciò che è accaduto in Vaticano, sede della verità ("cathedra veritatis") di San Pietro, ci ricorda frequenti episodi nell'Antico Testamento, nei quali il popolo di Dio e alcuni dei loro leader si erano allontanati dalla vera e unica adorazione dovuta a Dio. Perché, secondo l'opinione di alcuni leader religiosi nell'Antico Testamento, era lecito unire l'adorazione del vero Dio al culto degli idoli. Tuttavia, Dio attraverso la voce di tutti i suoi profeti lo ha flagellato come un abominio. Non vi può essere alcun dubbio che sulla menzionata esibizione cultuale pagana in Vaticano suoneranno le stesse voci di condanna di tutti i profeti biblici. Questo tragico episodio in Vaticano rivela alcune somiglianze con la seguente visione profetica della Beata Anna Catarina Emmerich: "Ho visto di nuovo l'attuale Papa e la chiesa oscura del suo tempo a Roma. [...] E ecco, uno spettacolo molto singolare! E ecco, uno spettacolo singolare! Ogni membro della congregazione estrasse un idolo dal suo petto, lo mise davanti a lui e lo pregò. Era come se ogni uomo estraesse i suoi pensieri o passioni segreti sotto l’apparenza di una nuvola scura che, una volta fuori, prendeva una forma definita. La parte più singolare era che gli idoli riempivano il posto; la chiesa, sebbene gli adoratori fossero così pochi, era affollata di idoli. Quando il servizio era finito, il "dio" di ognuno rientrò nel suo seno. Tutta la chiesa era drappeggiata di nero, e tutto ciò che vi avveniva era avvolto nell'oscurità "(Visione del 13 maggio 1820). 

Recentemente il Vaticano ha deciso di prestare molti paramenti sacri e altri oggetti sacri ad una mostra di moda laica a New York che presenterà anche abiti per sacerdote, vescovo, cardinale e anche papa femmina. Una decisione del genere del Vaticano non confonde il sacro con il profano ed è contestualmente causa della confusione morale e spirituale dei fedeli?

Una tale azione è chiaramente una profanazione di cose sacre, benedette per l'adorazione esclusiva del vero Dio, la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Non si può fare a meno di ricordare la profanazione degli oggetti sacri nell'Antico Testamento del re Nabucodonosor (cfr Dn 5: 2). Tuttavia, "Non ci si può beffare di Dio" (Gal 6: 7). Le seguenti parole di Dio attraverso la bocca del profeta Daniele sono perfettamente applicabili al menzionato episodio di profanazione delle vesti sacre, acconsentito da un'autorità vaticana: "Hai insolentito contro il Signore del cielo e sono stati portati davanti a te i vasi del suo tempio e in essi avete bevuto tu, i tuoi dignitari, le tue mogli, le tue concubine: tu hai reso lode agli dèi d'oro, d'argento, di bronzo, di ferro, di legno, di pietra, i quali non vedono, non odono e non comprendono e non hai glorificato Dio, nelle cui mani è la tua vita e a cui appartengono tutte le tue vie. Da lui fu allora mandata quella mano che ha tracciato quello scritto, di cui questa è la lettura: mene, tekel, peres".(1) (Dan 5: 23-25). Se il profeta Daniele dovesse vivere oggi e venisse a conoscenza del menzionato uso profano di paramenti sacri, indubbiamente dirigerebbe le stesse parole a quelle persone, che acconsentirono a tale profanazione o collaborarono con essa.

Recentemente, il mondo ha assistito al caso Alfie Evans in cui lo stato ha deciso di porre fine al supporto vitale di un bambino malato. L'Arcivescovo Paglia e alcuni vescovi britannici hanno elogiato lo stato per questa decisione, facendo riferimento al fatto che non si dovrebbero usare trattamenti eccessivi. Qual è la sua risposta al caso Alfie? Lo stato ha preso la decisione giusta e il mondo secolare sta andando nella giusta direzione? Quali dovrebbero essere i principi del trattamento dei malati gravi, bambini o adulti?
Il caso Alfie si è rivelato come la punta dell'iceberg. L'iceberg è la moderna anti-cultura di uccidere i bambini non ancora nati : pratica nata come azione legale per la prima volta nella storia umana dalla dittatura comunista e marxista di Lenin nel 1920. Dagli anni '60 del secolo scorso, l'uccisione legale di i bambini non ancora nati si è diffusa gradualmente come azione orchestrata in quasi tutti i paesi occidentali. L'ideologia mondiale di uccidere i bambini non nati è essenzialmente un'ideologia di disprezzo dell'umanità sotto la maschera cinica dei presunti diritti della donna o della nebulosa "salute riproduttiva".
L'industria dell'aborto e la sua ideologia politica hanno sempre categoricamente rifiutato il confronto dell'aborto con l'infanticidio. Eppure, il caso Alfie ha mostrato al mondo intero, in tutta evidenza, che il potere politico, giuridico e mediatico mondiale di annientare i non nati - la vulnerabile e debole vita umana non ancora nata - vuole fare il prossimo passo di qualità introducendo la legalità dell'infanticidio iniziando con l'ammettere l'omicidio legale di un bimbo gravemente malato. Con il caso Alfie, hanno voluto dare un esempio in questa direzione. In effetti, questa è solo una conseguenza logica dell'aborto, combinata ora con l'ideologia dell'eutanasia. Il caso Alfie ha messo in luce con chiarezza le diverse posizioni sulla questione della difesa intransigente dell'inviolabilità della vita umana. Ha unito spontaneamente da tutti gli angoli della terra i difensori della vita in una comune linea di battaglia. C'è stata una piccola, ma nobile unità dell'esercito spirituale contro la potente cospirazione di un'agenda politica concordata, del sistema giudiziario e - con nostro grande stupore - anche della medicina. L'esercito della vita sembrava essere un nuovo David di fronte al moderno Golia dell'infanticidio. Sembra che questa volta Golia abbia vinto. Eppure, in effetti, questo Golia ha perso. Perché nel caso di Alfie le parti politiche, giudiziarie e mediche coinvolte hanno perso la credibilità morale dell'imparzialità, della trasparenza e del senso di giustizia. Il vincitore è stato tuttavia il piccolo esercito di Alfie. Perché agli occhi di Dio e perfino agli occhi della Storia, quelli che difendono gli esseri umani più deboli e vulnerabili, e cioè in primo luogo i bambini non nati e quelli malati, saranno sempre i vincitori. Un complotto politico, giuridico e medico contro la vita umana un giorno sicuramente collasserà, perché è disumano.

Al caso Alfie e al piccolo esercito di vita intorno a lui, si possono applicare queste parole della Sacra Scrittura: "Chi semina in lacrime mieterà con giubilo!" (Sal 126,5).

+ Athanasius Schneider, vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Santa Maria ad Astana
[Traduzione di Chiesa e post-concilio]
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1. NdT: ....e questa ne è l'interpretazione: Mene: Dio ha computato il tuo regno e gli ha posto fine. Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante. Peres: il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani».