lunedì 31 marzo 2014

Il papa e il filosofo





Il suo nome è Alberto Methol Ferré. È a lui che Bergoglio si ispira nel giudicare il mondo e nel contrastare la nuova cultura dominante: "l'ateismo libertino". La faccia severa del papa con Obama 



di Sandro Magister

ROMA, 31 marzo 2014 – Nell'incontro che ha avuto pochi giorni fa con Barack Obama, papa Francesco non ha taciuto su ciò che divide l'amministrazione americana dalla Chiesa di quel paese, su questioni pesanti quali "i diritti alla libertà religiosa, alla vita e all'obiezione di coscienza". E l'ha fatto rimarcare nel comunicato emesso al termine del colloquio.

Jorge Mario Bergoglio non ama lo scontro diretto, pubblico, con i potenti del mondo. Lascia agire gli episcopati locali. Ma non fa velo al proprio dissenso e tiene a segnare il proprio distacco. Nelle foto degli incontri ufficiali si mette in posa con la faccia severa, a dispetto degli esagerati sorrisi del partner di turno, in questo caso il capo della massima potenza mondiale.

Né potrebbe fare diversamente, posto il giudizio radicalmente critico che papa Francesco nutre dentro di sé, riguardo agli odierni poteri mondani.

È un giudizio che egli non ha mai esplicitato in forma compiuta. L'ha fatto però balenare più volte. Ad esempio col suo frequente riferimento al diavolo come grande avversario della presenza cristiana nel mondo, che vede all'opera dietro lo schermo dei poteri politici ed economici. Oppure quando si scaglia – come nell'omelia del 18 novembre 2013 – contro il "pensiero unico" che vuole asservire a sé l'umanità intera, anche al prezzo di "sacrifici umani", con tanto di "leggi che li proteggono".

Bergoglio non è un pensatore originale. Un suo parametro letterario di riferimento, al quale non poche volte rimanda, è il romanzo apocalittico "Il padrone del mondo" di Robert Hugh Benson, un convertito d'inizio Novecento, figlio di un arcivescovo anglicano di Canterbury.

Ma all'origine del giudizio di Bergoglio sul mondo d'oggi c'è soprattutto un filosofo.

Il suo nome è Alberto Methol Ferré. Uruguaiano di Montevideo, attraversava spesso il Rio de la Plata per andare a trovare a Buenos Aires l'amico arcivescovo. È morto ottantenne nel 2009. Ma è stato ristampato in Argentina e ora anche in Italia un suo libro-intervista del 2007 che è d'importanza capitale per comprendere non solo la sua visione del mondo, ma anche quella del suo amico poi diventato papa:

> Alberto Methol Ferré, Alver Metalli, "Il papa e il filosofo", Edizioni Cantagalli, Siena, 2014, pp. 232, euro 15,00

> Alberto Methol Ferré, Alver Metalli, "El Papa y el filósofo", Editorial Biblos, Buenos Aires, 2013

Nel presentare la prima edizione di questo libro a Buenos Aires, Bergoglio lo elogiò come un testo di "profondità metafisica". E nel 2011, nella prefazione a un altro libro di un grande amico di entrambi – Guzmán Carriquiry Lecour, uruguaiano, segretario della pontificia commissione per l'America latina, il laico di più alto grado in Vaticano – ancora Bergoglio tributò la sua riconoscenza al "geniale pensatore del Rio de la Plata" per aver messo a nudo la nuova ideologia dominante, dopo la caduta degli ateismi messianici d'ispirazione marxista.

È l'ideologia che Methol Ferrè chiamava "ateismo libertino". E che Bergoglio così descriveva:

"L'ateismo edonista e i suoi supplementi d'anima neo gnostici sono diventati cultura dominante, con proiezione e diffusione globali. Costituiscono l'atmosfera del tempo in cui viviamo, il nuovo oppio del popolo. Il 'pensiero unico', oltre a essere socialmente e politicamente totalitario, ha strutture gnostiche: non è umano, ripropone le diverse forme di razionalismo assolutista con le quali si esprime l'edonismo nichilista descritto da Methol Ferré. Domina il 'teismo nebulizzato', un teismo diffuso, senza incarnazione storica; nel migliore dei casi, creatore dell'ecumenismo massonico".

Nel libro-intervista che oggi è stato ristampato, Methol Ferré sostiene che il nuovo ateismo "ha cambiato radicalmente di figura. Non è messianico, ma libertino. Non è rivoluzionario in senso sociale, ma complice dello status quo. Non ha interesse per la giustizia, ma per tutto ciò che permette di coltivare un edonismo radicale. Non è aristocratico ma si è trasformato in un fenomeno di massa".

Ma forse l'elemento più interessante dell'analisi di Methol Ferré è nella risposta che egli dà alla sfida posta dal nuovo pensiero egemone:

"È stato così con la riforma protestante, è stato così con l'illuminismo secolare, e poi con il marxismo messianico. Un nemico lo si vince assumendo il meglio delle sue stesse intuizioni e spingendosi oltre".

E qual è a suo giudizio la verità dell'ateismo libertino?

"La verità dell'ateismo libertino è la percezione che l'esistere ha una destinazione intima di godimento, che la vita stessa è fatta per una soddisfazione. Detto in altre parole: il nucleo profondo dell'ateismo libertino è una necessità recondita di bellezza".

Certo, l'ateismo libertino "perverte" la bellezza, perché "la separa dalla verità e dal bene, e quindi dalla giustizia". Ma – ammonisce Methol Ferré – "non si può riscattare il nucleo di verità dell'ateismo libertino con un procedimento argomentativo, o dialettico; meno ancora ponendo proibizioni, lanciando allarmi, dettando regole astratte. L'ateismo libertino non è una ideologia, è una pratica. Ad una pratica occorre opporre un'altra pratica; una pratica autocosciente, beninteso, quindi intellettualmente dotata. Storicamente la Chiesa è l'unico soggetto presente sulla scena del mondo contemporaneo che può affrontare l'ateismo libertino. Per me solo la Chiesa è veramente post-moderna".

È impressionante la sintonia tra questa visione di Methol Ferré e il programma di pontificato del suo discepolo Bergoglio, col suo rifiuto "della trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza" e col suo insistere su una Chiesa capace di "far ardere il cuore", di curare ogni tipo di malattia e di ferita, di ridare felicità.





http://chiesa.espresso.repubblica.it



CHIESA PROFETICA?






Editoriale di "Radicati nella fede"Aprile 2014


Quando dichiari di voler tornare alla Tradizione della Chiesa, per uscire dalla terribile crisi della pratica cristiana dei nostri giorni, quando promuovi la liturgia tradizionale, perché le anime ritrovino il cuore della preghiera, quando lavori per la diffusione della Dottrina cristiana di sempre, contro la deriva immorale contemporanea, trovi sempre molti che violentemente, dentro la chiesa, ti combattono in nome di una “chiesa profetica”: “Smettetela di sognare il passato – ci dicono -, siete patetici, la chiesa deve guardare al futuro, deve immaginarsi nel futuro, deve essere profetica!”

Ma che cos'è questa chiesa profetica? Che cosa fanno consistere realmente con questa affermazione?

Ormai con chiesa profetica si intende, nel normale sentire, una chiesa tutta proiettata a un futuro indefinito, dove tutto ciò che nel passato era certo potrebbe essere cambiato. Una chiesa che, abbracciando tutta l'attesa dell'uomo, si riprogramma in un gigantesco sforzo di accogliere tutto e tutti per non condannare più nessuno... tranne, naturalmente, i famigerati “tradizionalisti”!

Prima la Chiesa condannava, ora accoglie, ti dicono.
Prima insegnava dall'alto, ora accompagna la ricerca degli uomini con grande umiltà.
Prima era preoccupata che tutti fossero battezzati e accogliessero la grazia dei sacramenti, ora riconosce che Dio agisce oltre i sacramenti.
Prima voleva che tutti gli uomini entrassero nell'ovile, ora sa che la salvezza è anche fuori del Cristianesimo.

E questa chiesa profetica è fatta dai preti profetici, attorniati dai laici profetici: sempre impegnati nell'ultima frontiera del sociale, preoccupata dei poveri, ma frequentante i salotti radical-chic. Sì, perché questa chiesa profetica piace tanto agli snob, ai ricchi; a quelli che, stanchi del loro benessere, sono preoccupati che la chiesa si preoccupi dei poveri. La televisione in questi anni, a livello nazionale e locale, ha accolto solo i preti così, i preti profetici, i vari don Gallo per intenderci, quelli sempre sul bordo della obbedienza alla Chiesa, quelli innovativi e rivoluzionari, perché profetico per loro è questo. La televisione ha dato a questi preti i programmi televisivi, e questi preti, proiettati nell'ultima rivoluzione del futuro, hanno bombardato di dottrine false gli spettatori, tanto che questi ormai credono che la Chiesa sia veramente questa rivoluzione permanente.

E i vescovi, in gran parte, hanno finto in questi anni di “tenere a bada” le spinte in avanti di questi sacerdoti e dei loro fedeli; hanno finto, perché in fondo li hanno sempre appoggiati, hanno dato loro tutto e li hanno praticamente beatificati in morte. Ufficialmente li richiamavano alla prudenza, ma in fondo li hanno sempre lasciati fare e la loro opera, distruttiva della presenza cristiana nella società, è dilagata, fino al punto che oggi sembra impossibile da arginare. E li si è lasciati fare, principalmente non perché preoccupati dei poveri, ma bensì perché pieni dell'illusione di recuperare un posto d'onore nel mondo moderno ormai pagano proprio grazie a questi preti profetici: una vera e propria sudditanza culturale nei confronti della modernità. Così facendo hanno ingannato le anime, diffondendo la distruzione morale e l'affievolimento della fede.

Questa chiesa profetica, questi preti profetici, questi fedeli profetici non hanno nulla a che fare con la profezia!

I profeti, quelli veri, quelli della Bibbia, hanno parlato in nome di Dio, al popolo, ai re e ai sacerdoti ricordando, a volte violentemente, le conseguenze del peccato. Sempre nei profeti c'è una accusa del peccato e un richiamo alla penitenza e al ritorno a Dio: avete abbandonato Dio, per questo si è abbattuto il castigo su di voi; tornate a Dio ed egli vi libererà.

Ma voi avete mai udito questo richiamo nella cosiddetta moderna chiesa profetica? No. Questa vive lo schema rivoluzionario: accusa la Chiesa di un tempo come miope e sorpassata, per programmare una nuova chiesa che finalmente risponda alle esigenze degli uomini: siamo alla pura eresia!
Ed è anche una eresia scema, perché assunta dai salotti radical-chic!

È una chiesa borghese, non è una chiesa di popolo. Il popolo, dopo il martellamento mediatico di questi anni, ha dovuto soccombere a questa chiesa profetica per paura di restare senza nulla. Ma questa è in verità la chiesa dei borghesi che, con la pancia piena, devono distrarsi col sentirsi utili agli altri. I poveri non hanno tempo per questo, i poveri sentono la fatica della vita e guardano il Cielo.

E questa chiesa borghese deve impedire che sorgano luoghi dove la Chiesa riviva la sua Tradizione; deve impedirlo, altrimenti il popolo, quello vero, che ha ancora un briciolo di senso della fede, riconoscerà questi luoghi di grazia. E quando questi luoghi di Grazia della Chiesa Tradizionale esistono, sono coperti dalla calunnia della chiesa borghese che dice: state attenti, sono tradizionalisti... la vera chiesa non è la loro, è quella che noi immaginiamo nel futuro.

La vera novità invece non è nel futuro, ma nel passato, perché è Cristo e la sua Grazia... e i veri poveri non sono quelli dei salotti televisivi e delle raccolte fondi, sono le anime che umilmente cercano Dio.




www.radicatinellafede.blogspot.it


domenica 30 marzo 2014

Un sacerdote che non ha tempo per confessare non cura le sue pecore, parola di Papa Francesco





Oltre al gesto di inginocchiarsi davanti al confessore, ieri Papa Francesco ha fatto anche un discorso sulla confessione, ma solo l'Avvenire l'ha riportato (oltre, ovviamente, i media vaticani). Per il resto è passato sotto silenzio. Belli i gesti, ma senza parola rimangono icone da venerare invece che esempi da comprendere e insegnamenti da mettere in pratica...
Il Pontefice ha incontrato i partecipanti al corso sulla confessione che annualmente viene organizzato dalla Penitenzieria Apostolica per la formazione dei sacerdoti.
Ne riporto una larga parte, ma potete leggerlo completamente a questo collegamento:


E' un discorso tipicamente "da Papa Francesco", con i piedi ben piantati per terra e gli occhi al cielo. A partire dalla propria esperienza spirituale e pastorale. Anche i "consigli" che dà ai confessori sono gentili richiami ai doveri sacerdotali. Soprattutto quello di mettere orari per le confessioni ed essere fedeli nel farsi trovare.... Dice dunque Papa Francesco:

Se la Riconciliazione trasmette la vita nuova del Risorto e rinnova la grazia battesimale, allora il vostro compito è donarla generosamente ai fratelli. Donare questa grazia. Un sacerdote che non cura questa parte del suo ministero, sia nella quantità di tempo dedicato sia nella qualità spirituale, è come un pastore che non si prende cura delle pecore che si sono smarrite; è come un padre che si dimentica del figlio perduto e tralascia di attenderlo. Ma la misericordia è il cuore del Vangelo! Non dimenticate questo: la misericordia è il cuore del Vangelo! È la buona notizia che Dio ci ama, che ama sempre l’uomo peccatore, e con questo amore lo attira a sé e lo invita alla conversione. Non dimentichiamo che i fedeli fanno spesso fatica ad accostarsi al Sacramento, sia per ragioni pratiche, sia per la naturale difficoltà di confessare ad un altro uomo i propri peccati. Per questa ragione occorre lavorare molto su noi stessi, sulla nostra umanità, per non essere mai di ostacolo ma sempre favorire l’avvicinarsi alla misericordia e al perdono. Ma, tante volte capita che una persona viene e dice: “Non mi confesso da tanti anni, ho avuto questo problema, ho lasciato la Confessione perché ho trovato un sacerdote e mi ha detto questo”, e si vede l’imprudenza, la mancanza di amore pastorale, in quello che racconta la persona. E si allontanano, per una cattiva esperienza nella Confessione. Se c’è questo atteggiamento di padre, che viene dalla bontà di Dio, questa cosa non succederà mai.

E bisogna guardarsi dai due estremi opposti: il rigorismo e il lassismo. Nessuno dei due fa bene, perché in realtà non si fanno carico della persona del penitente. Invece la misericordia ascolta veramente con il cuore di Dio e vuole accompagnare l’anima nel cammino della riconciliazione. La Confessione non è un tribunale di condanna, ma esperienza di perdono e di misericordia!

...Noi sappiamo che il Signore ha voluto fare questo immenso dono alla Chiesa, offrendo ai battezzati la sicurezza del perdono del Padre. E’ questo: è la sicurezza del perdono del Padre. Per questo è molto importante che, in tutte le diocesi e nelle comunità parrocchiali, si curi particolarmente la celebrazione di questo Sacramento di perdono e di salvezza. E’ bene che in ogni parrocchia i fedeli sappiano quando possono trovare i sacerdoti disponibili: quando c’è la fedeltà, i frutti si vedono. Questo vale in modo particolare per le chiese affidate alle Comunità religiose, che possono assicurare una presenza costante di confessori.
Il Papa è molto chiaro: presenza costante di confessori nelle chiese dei religiosi, e che i fedeli delle parrocchie sappiano gli orari in cui trovare i propri sacerdoti per la confessione. Questo è anche stabilito dal Diritto Canonico, visto che l'accessibilità al sacramento della penitenza è uno dei più importanti diritti da tutelare tra i cattolici!
Una domanda: dopo gli orari delle messe, certamente esposti nella chiesa che frequenti, c'è anche l'orario delle confessioni? Se non c'è ricorda al sacerdote le parole di Papa Francesco..."E’ bene che in ogni parrocchia i fedeli sappiano quando possono trovare i sacerdoti disponibili: quando c’è la fedeltà, i frutti si vedono".



http://www.cantualeantonianum.com


Eresia e ortodossia nella Liturgia






da Traditio Liturgica

Questo è un argomento spinoso, poiché la mentalità odierna rifugge dall'idea che, nelle questioni religiose, ci possano essere delle eresie: il pluralismo religioso comporta in sé un implicito egualitarismo e, alla fine, un inconfessato indifferentismo.


Invece è bene mettere le cose al loro posto, non per lanciare anatemi verso chicchessia, ma per mostrare una "logica interna" nella realtà religiosa. Quest'ultima, infatti, anche se si fonda sulla Rivelazione del Dio ineffabile, che sorpassa ogni logica e conoscenza umana, è ordinata, da disposizioni pratiche, in un senso strettamente logico.


Anche la liturgia obbedisce a quest'ordine e non è né può essere il campo dell'arbitrio umano ma il solo dominio dei "tecnici" dello Spirito, ossia di chi ha una solida formazione spirituale.


In qualche commento del post precedente [1] accennavo al fatto che il cammino indicato al credente nella liturgia è volto all'esperienza di qualcosa di sopra sensibile, pur servendosi di realtà che, in questo mondo, non possono che essere sensibili.


Lo stesso narratore dei fatti del post indica che, nella liturgia pasquale, aveva provato determinate percezioni. Sì, la liturgia diventa il luogo in cui si svela realmente qualcosa che supera questo mondo. È qui in effetti la sua ortodossia, ossia la sua espressione corretta, ciò che fa in modo che essa dia una "retta gloria".


Per giungere a qualcosa che supera questo mondo, il culto deve avere tutto un insieme di caratteristiche: i testi devono esprimere una corretta disposizione verso Dio, non riflettere semplici attese e speranze umane, né, tanto meno, esprimere disposizioni psicologiche.


Un testo corretto è ad esempio: "O Dio dei vivi e dei morti, accogli quest'anima nella tua gloria...". Il centro e gli occhi di tutti, in questa breve preghiera, è inequivocabilmente Dio.


Un testo errato (quindi eretico) è: "Dio, tu sai come in questo momento soffriamo per l'assenza del nostro caro defunto....". Qui il centro non è più Dio, per quanto venga formalmente espresso. Il centro siamo noi stessi e, quel che è peggio, si appiattisce le persone nella considerazione del loro dolore umano con il rischio di farle chiudere in quello in modo che possano essere impedite ad aprirsi ad altro....


Il primo è un testo tradizionale, il secondo è un testo di recente composizione (che cito a memoria avendolo sentito in una messa di esequie).


Se si inizia ad osservare le liturgie di recente composizione con quest'attenzione, si noteranno molte problematiche di questo tipo: sono testi di taglio molto antropocentrico!


Mentre i testi antichi tagliavano corto, non dando il minimo spago a riflessioni psicologistiche o a distrazioni di altro genere - erano liturgie ascetiche! - i testi attuali hanno totalmente appannato tutto ciò. Per questo se mi capita estemporaneamente di andare ad una messa (dopo che provengo da contesti liturgici tradizionali) mi sembra di sentire chiacchiere quasi da osteria...


La cesura tra liturgia e spiritualità è, alla fine, la responsabile di questo glissamento.


È come se, invece di scoccare una freccia per colpire il centro di un bersaglio, si finisca sempre per lanciare la freccia ben lontano dal centro!


Chi tiene un arco sa che esiste una tecnica, sa che l'arco deve avere certe caratteristiche e non altre. Se ne prescinde anche di poco compromette il risultato.


La spiritualità, ossia il metodo per incarnare il cristianesimo, non può non informare in modo coerente la stessa liturgia. Nel momento in cui non lo fa (ed emergono istanze puramente umane) il risultato è compromesso, la liturgia non giunge al suo scopo, ossia alla percezione di un mondo ultraterreno.



Parrocchia di Weiz: predica di padre Hannes Biber nell'ultima domenica di Carnevale.



In mancanza di questo scopo, la liturgia perde totalmente il suo senso originale e, pur di non annoiare le persone, la si trasforma in puro intrattenimento.
Questo è evidentissimo in certe comunità protestanti in cui il ministro deve saper far ridere l'assemblea, essere mondanamente affascinante e brillante, come un presentatore televisivo.
Le stesse istanze da mondo dello spettacolo oramai sembrano permeare molte liturgie del mondo cattolico e ciò è inevitabile, dal momento che la liturgia ha perso il suo fine originale.


Come diceva l'anziano Paisios (del monte Athos) questi ministri "giocano" sull'altare. Solo che mentre lui si riferiva a ministri che conservavano almeno le apparenze di una realtà sacra (in Oriente i libri liturgici non sono stati cambiati), in Occidente oramai pure l'apparenza è stata persa, com'era logicamente conseguente che accadesse. La conclusione è inevitabile: siamo in piena eresia poiché qui la freccia si lancia ben lontano dal suo bersaglio.


Che efficacia può avere una liturgia del genere? Nessuna, assolutamente nessuna...


Viceversa una realtà tradizionale che ha coscienza che nella liturgia c'è una vera e propria "palestra dello spirito" apre tutto un altro mondo di percezioni. Ma per questa, ci vogliono ministri ben formati, preparati, coscienti che la liturgia non è un semplice intrattenimento dove si propina una qualche istruzione religiosa e si aspira a semplici "valori cristiani" (quando va "bene").
Ci vuole una preparazione spirituale "a tutto tondo" e bisogna crederci.
Ora, tutto questo da noi è quasi totalmente inesistente.
Le frecce scoccate da un arco ben poco teso, finiranno tutte fuori bersaglio...



[1]Ecco il post a cui si fa riferimento:

"Mai con lo sguardo!" 



Un momento del rito della Protesi in cui avvengono le commemorazioni
 dei nomi di santi, di persone vive e defunte




Ebbi modo di discutere con l’atonita ieromonaco D. D. Sapevo che frequentava spesso l’anziano Paisios e, dopo il mio insistente invito a raccontarmi qualcosa, mi rivelò una grande, ammirevole e utile storia che sto per citare, significativa soprattutto per noi sacerdoti.
Lo ieromonaco mi disse:

“Nel 1982, passai la mia prima Pasqua come diacono nel monastero di san Dionisio, sul Monte Athos.
Ebbi la fortuna di partecipare alla Divina Liturgia pasquale, celebrata dal vecchio e devotissimo igumeno, Charalambos Dionysiatis.
Non ti racconterò – continuò il monaco –, i sentimenti spirituali e le divine trasformazioni avvenute in me durante la partecipazione al culto divino, tenendo pure conto della preparazione precedente nel corso dell’intera Quaresima. Mi concentrerò su un solo episodio di grande importanza per qualsiasi celebrante del Dio Trino.
Mentre la Divina Liturgia procedeva, l’anziano Charalampos, di sua iniziativa, ricordava un gran numero di persone delle quali faceva commemorazione.
Si stava avvicinando il momento d’iniziare la Divina Liturgia ma egli proseguiva le commemorazioni assieme ad altri sacerdoti. Allora io, anche se diacono ma con il coraggio proveniente dal mio grande amore per l’anziano Charalambos, gli dissi: “Gheron, i nomi sono molti. Si è fatto giorno. Non ce la faremo a terminare in tempo. Dobbiamo coprire la pròtesis per iniziare la Divina Liturgia. Durante tutta la settimana del Rinnovamento avremo tempo per leggerli così da finirli tutti…”. Egli mi guardò un po’ severamente e mi disse: “Oggi è Pasqua, diacono, e queste anime aspettano un aiuto da noi, benedetto uomo”!
Così mi rivolsi ai concelebranti, p. Panteleimon e p. Saba, e dissi loro: “Pare che l’anziano non abbia voglia di finire oggi! Prendete i fogli con i nomi, dobbiamo finire [di leggere] questo lungo elenco…”. Inoltre, nel discorso aggiunsi un termine particolare, una parola chiave: “Padri, leggete i nomi con lo sguardo”.
Purtroppo feci così… Presi il foglio con i nomi da commemorare e lo guardai come se lo stessi fotografando, senza leggere realmente i nomi uno ad uno.

Il terzo giorno di Pasqua, in vista della mia ordinazione sacerdotale, andai a fare visita al vecchio Paisios.
Il gheron appena mi vide disse: “Oh, ragazzo mio! Da quanto tempo non ci vediamo?” Risposi: “Come facevo a venire prima, gheron? Con tanti uffici liturgici da compiere in monastero non c’è stato tempo!”. Dopo aver discusso un bel po’, dissi al gheron Paisios: “Può darmi pure un consiglio quale regalo per la mia ordinazione?”. Egli rispose: “Diacono, ora va’. Abbiamo parlato tante volte. Considera un regalo quanto ti dico sempre con le cose di oggi”.
Io, invece, insistetti dicendo che volevo un regalo particolare per la mia ordinazione, qualcosa di speciale. Il gheron mi diede delle pacche sulle spalle mentre mi accompagnava fino al recinto della sua kalìvi. Dinanzi alla mia insistenza aggiunse: “Non so cosa fare per liberarmi di te! Dai, va bene, ti dirò qualcosa. Ti farò questo regalo. Ascolta, diacono: Quando leggi i nomi per farne commemorazione non devi annoiarti. Inoltre, non devi mai ‘leggere con lo sguardo’! Ma sempre con la tua anima”.

La cosa meravigliosa è che l’anziano Paisios mi rispose usando le parole che dissi agli altri: “Leggete i nomi con lo sguardo”.

“Mai con lo sguardo, – disse l’anziano –, invece cerca di guardare l’anima di cui fai memoria: i tormenti, le tentazioni e le prove vissute e allora, figlio mio, vedrai dei miracoli sull’Altare.
In caso contrario, – continuò l’anziano Paisios –, Dio trova più valore in me, quando, lustrando le scarpe (e l’anziano fece gesto di farlo) dico la preghiera ‘Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me’, che in voi quando fingete di ricordare i nomi delle persone giocando sull’altare…”.




P. Nektarios Savvidis

Romfea.gr





sabato 29 marzo 2014

KAROL WOJTYLA: UN SANTO



di GIUSEPPE RUSCONI 

Nella sua variegata e singolare antologia di interviste (Accanto a Giovanni Paolo II – Gli amici e i collaboratori raccontano, edizioni Ares) Wlodzimierz Redzioch riesce a far emergere nelle sue molteplici sfaccettature la personalità di un uomo connotato da grande umanità, che ha esercitato in un grado molto superiore alla media quelle virtù che oggi lo portano alla canonizzazione.



Manca ormai un mese alla canonizzazione di Giovanni Paolo II (che diverrà santo insieme con Giovanni XXIII). Già tanti i testi pubblicati in relazione alla vita del Papa polacco. Altri certo – di rievocazione storica, di testimonianza personale, di riflessione su questo o quest’altro aspetto della vita o del magistero di Karol Wojtyla – se ne aggiungeranno nei prossimi giorni: un fenomeno normale, che ha anche i consueti risvolti commerciali.

Tra le mani ci siamo ritrovati un testo assai originale, che ci sembra molto utile per comprendere meglio la persona di Karol Wojtyla: “Accanto a Giovanni Paolo II – Gli amici e i collaboratori raccontano” (edizioni Ares), una raccolta di interviste fatte dal vaticanista e scrittore polacco Wlodzimierz  Redzioch, trent’anni di Osservatore Romano alle spalle e accompagnatore per eccellenza di tanti pellegrini polacchi in visita al loro illustre connazionale.

L’antologia non è un saggio su Karol Wojtyla, non è un’analisi critica di un pontificato che per certuni ha presentato anche qualche aspetto problematico. Ad esempio c’è chi ha storto il naso  - ma noi non siamo certamente tra questi - davanti al grande aiuto morale e materiale che Giovanni Paolo II ha dato a Solidarnosc negli Anni Ottanta (ed è da lì che il tarlo della libertà ha incominciato a erodere con incisività l’apparentemente immarcescibile impero sovietico, crollato poi pochi anni dopo come un castello di carte); altri hanno invece ritenuto problematico il suo comportamento in relazione a Marcial Maciel Degollado, il fondatore dei Legionari di Cristo che, con comportamenti gravissimi (tra l’altro abuso sessuale di seminaristi, altre immoralità varie in campo sessuale, abuso e corruzione in campo amministrativo, cocainomane), ha coperto di vergogna sia la sua creatura che la Chiesa tutta. Giovanni Paolo II – già molto malato - non sapeva? O sapeva poco? O, in ogni caso non sapendo a sufficienza, aveva optato per ‘proteggere’ una Congregazione fiorente di gioventù?

Certamente i santi sono anch’essi uomini, hanno i loro limiti, possono commettere errori di valutazione nella loro vita. Pure da papi. Nonostante ciò, in loro il positivo sovrasta di gran lunga il negativo o il discutibile. E’ il caso anche per Karol Wojtyla, una persona che molti hanno considerato santo già quand’era in vita terrena, anche prima che la malattia lo trasformasse in testimone di una sofferenza certo sua, ma compartecipata da tanti altri nel mondo. Simbolo di speranza per milioni di persone, simbolo di chi non si arrende mai, anche nelle circostanze più sfavorevoli: ricordiamo ancora con commozione quel suo gesto forte d’umano orgoglio, quando a Berna nel giugno del 2004, nel catino dell’Allmend gremito da 14mila giovani, si oppose a chi – con buone intenzioni - voleva sottrargli i fogli del discorso in tedesco da lui appena incominciato con difficoltà.

L’antologia di Redzioch ci restituisce pienamente l’umanità di Karol Wojtyla grazie alle voci di chi l’ha avuto come amico e/o ha collaborato con lui per ragioni certo amministrative, maturando però quel rispetto e quell’ammirazione che rendevano il servizio più intimamente partecipato. E’ come se l’autore ci presentasse l’orchestra di Giovanni Paolo II, in cui ogni strumento è necessario, diverso dagli altri, teso però a un’esecuzione armonica dello spartito.

Il primo violino non poteva essere che il Papa emerito, già cardinale Joseph Ratzinger: “Mi è divenuto sempre più chiaro che Giovanni Paolo II fosse un santo”, ha voluto scrivere, rispondendo alle tante domande di Wlodzimierz Redzioch. Dall’appartamento papale giungono le voci del segretario storico, ora cardinale Stanislaw Dziwisz e di due dei ‘secondi segretari’, gli arcivescovi Emery Kabongo e Mieczyslaw Mokrzycki. Poi ascoltiamo le voci degli amici di lunga data, i cardinali Andrzej Maria Deskur e Stanislaw Nagy, il filosofo Stanislaw Grygiel, la dottoressa Wanda Poltawska (miracolata per intercessione di Padre Pio su richiesta di Karol Wojtyla). Tra i collaboratori emergono Joaquin Navarro Valls (la ‘voce’ di Giovanni Paolo II), monsignor Pawel Ptasznik (capo della sezione polacca della Segreteria di Stato), i cardinali Camillo Ruini e Angelo Sodano. Tra chi gli stava vicino ogni giorno ecco il gendarme vaticano Egildo Biocca (che lo ‘custodiva’ nelle tante gite), l’archiatra pontificio Renato Buzzonetti, il fotografo Arturo Mari. Nella sezione ‘Testimoni’ emergono il cardinal Tarcisio  Bertone, il prelato dell’Opus Dei Javier Echevarria, il giornalista Gianfranco Svidercoschi. Finalmente, in “Verso la gloria degli altari” il cardinale prefetto Angelo Amato è accompagnato dal postulatore Slawomir Oder e da due miracolate, la suora francese Marie Simon Pierre Normand e la mamma costaricana Florybeth Mora Diaz..

Qualche spunto da un testo vivace, piacevole, ricco di annotazioni preziose su pensiero e azione di Karol Wojtyla, pervaso soprattutto di umanità.

Papa Wojtyla e la preghiera/1: “Ho provato sin dall’inizio una grande venerazione e una cordiale simpatia per il Metropolita di Cracovia. Nel pre-conclave del 1978 egli analizzò per noi in modo stupefacente la natura del marxismo. Ma soprattutto percepii subito con forza il fascino umano che egli emanava e, da come pregava, avvertii quanto fosse profondamente unito a Dio (Benedetto XVI)

Papa Wojtyla e la preghiera/2: “La preghiera era il centro della sua vita, solo apparentemente frenetica. A conferma di ciò vorrei sottolineare che il cardinale Wojtyla aveva fatto mettere nella cappella dell’arcivescovado un tavolino con la lampada e delle carte…Gli serviva da scrivania: tutti i testi, i discorsi, gli articoli e i libri, lui li scriveva in cappella: pertanto erano frutti dell’incontro con Gesù eucaristico” (Stanislaw Dziwisz)

Papa Wojtyla e il coraggio della verità: “Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di prim’ordine della santità”. (Benedetto XVI)

Papa Wojtyla e il regime polacco: “Il regime comunista mirava a creare divisioni nella Chiesa polacca e tentò di mettere il cardinale primate Wyszynski contro il cardinale Wojtyla. (…) Fu un errore di valutazione madornale; oltretutto, in questo modo, il regime favorì la creazione di due capi dell’opposizione anticomunista. Il cardinale Wojtyla era, in verità, completamente dedito alla causa della Patria e della Chiesa polacca.(…) Per questo motivo il regime subì un autentico choc dopo l’elezione di Wojtyla a Pontefice”. (Stanislaw Nagy)

Papa Wojtyla, uomo allegro: “Mi lasci dire una cosa concreta che forse non è molto conosciuta: era un uomo allegro. Aveva un ottimo umore. Nella sua espressione esterna era facile al sorriso, ma con gli anni, per la rigidità muscolare dovuta al Parkinson, questo sorriso esterno aveva finito per scomparire. Invece nel suo cuore aleggiava sempre la gioia”. (Joaquin Navarro Valls)

Papa Wojtyla e la vigilia di Natale: “Giovanni Paolo II cominciava la serata accendendo una candela alla finestra. Aveva inaugurato questa tradizione nel 1981, allorché il generale Jaruzelski dichiarò lo stato di guerra in Polonia; e con quella candela Wojtyla volle simboleggiare la vicinanza al suo popolo perseguitato. Compiuto quel gesto, si leggeva un brano del Vangelo, e solo allora aveva inizio la cena: secondo la consuetudine si preparavano dodici pietanze polacche. Dopo cena ci dedicavamo ai canti di Natale. Al Papa piaceva tanto cantare: lo facevamo ogni sera per tutto il periodo natalizio, fino al 6 gennaio” ( Mieczyslaw Mokrzycki)

Papa Wojtyla e l’Italia: “Rimane emblematica la lettera indirizzata ai vescovi italiani nel 1994, sulle responsabilità dei cattolici nell’ora presente. Il Papa concludeva questa lettera scrivendo che all’Italia è affidato il grande compito di conservare e alimentare per l’Europa quel tesoro di fede e di cultura che è stato innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo. (…) Proprio in forza di questo suo radicamento la Chiesa italiana ha una particolare responsabilità in Europa e nel mondo”. (Camillo Ruini)

Papa Wojtyla e l’Europa: “Il Papa non ha mai confuso il nazionalismo con il concetto di nazione e, parimenti, mai ha pensato che il concetto di nazione fosse superato e andasse abolito. Noi sappiamo quanto Giovanni Paolo II si sia battuto per l’Europa, ma per lui l’Europa non poteva prescindere dalle nazioni. E ogni nazione ha il suo ruolo, le sue caratteristiche, la sua fisionomia”. (Camillo Ruini)

Papa Wojtyla in gita: “Verso le 13.30-14.00 si mangiava all’aperto: spesso consumavamo soltanto i panini. Con gli anni ci siamo attrezzati: portavamo due tende, una per la cucina, l’altra a disposizione del Santo Padre per permettergli di riposare riparato dal vento o dalla pioggia. Inoltre gli portavamo una sedia, sempre la stessa, che era diventata la sua preferita. Cucinavamo noi accompagnatori, e si faceva a gara per offrirgli le specialità più genuine e tradizionali. Dopo pranzo si prendeva il caffè, poi il Papa si ritirava. Molto spesso, prima di rientrare in Vaticano, accendevamo un falò e cantavamo i canti alpini, che a lui piacevano tanto”. ( Egildo Biocca)

Papa Wojtyla e la malattia: “Era molto preciso nella segnalazione dei sintomi di cui soffriva. Lo faceva per la determinazione di voler guarire per tornare il più presto possibile al lavoro e, ancor prima, per poter pregare nella sua cappella: questo era l’atteggiamento che ha mantenuto fino all’ultimo. Giovanni Paolo II non ha mai mostrato momenti di scoramento davanti alla sofferenza, sempre affrontata con coraggio e consapevole accettazione. Come tutti i malati, non amava le iniezioni, ma le sopportava sperando nella guarigione”. (Renato Buzzonetti)

Papa Wojtyla negli ultimi momenti/1: “Sei ore prima che morisse, don Stanislao mi chiamò. Sono salito nell’appartamento, sono entrato nella stanza e mi sono inginocchiato. Fu un trauma rivederlo steso in quel letto. Aveva la testa girata, ma quando il segretario gli disse: Santità, Arturo è qui, si è voltato verso di me e, sorridendo, mi ha sussurrato:Arturo, grazie di cuore per tutto. Nel suo sguardo c’era qualcosa di speciale. Si stava preparando per un altro incontro”. (Arturo Mari)

Papa Wojtyla negli ultimi momenti/2: “Verso le 15.30 di sabato 2 aprile, il Santo Padre sussurra a suor Tobiana: Lasciatemi andare dal Signore… in lingua polacca. Don Stanislao mi riferisce queste parole solo pochi minuti dopo. Dopo le 16 il Papa si assopisce e perde progressivamente coscienza. Verso le 19 entra in coma profondo e poi in agonia. Alle ore 20 inizia la Messa celebrata ai piedi del letto del morente Pontefice. Celebra mons. Dziwisz insieme con il card. Jaworski, don Mietek e mons. Rylko. Canti polacchi s’intrecciano a quelli che giungono dalla piazza San Pietro gremita. Un piccolo cero brilla sul comodino accanto al letto. Alle 21.37 il Santo Padre muore. Dopo pochi minuti di stupito dolore viene intonato il Te Deum in lingua polacca e dalla piazza, d’improvviso, si vede illuminata la finestra della stanza da letto del Papa”. (Renato Buzzonetti)

In “Accanto a Giovanni Paolo II “ c’è molto altro di interessante e anche commovente. Noi ci fermiamo qui, nella speranza di lasciare a chi leggerà il libro la gioia di tante altre scoperte utili a comprendere sempre meglio la personalità di Karol Wojtyla, presto santo (anche) per la Chiesa.

P.S. Sempre dello stesso autore, Wlodzimierz Redzioch, in questi giorni è apparsa nel mensile ‘Inside the Vatican’ (numero di marzo) “Benedict XVI’s resignation and Francis’ election”, la trascrizione in inglese della tavola rotonda con Luis Badilla e Giuseppe Rusconi già apparsa in polacco sul settimanale cattolico Niedziela (l’originale italiano è pubblicato in www.rossoporpora.org , rubrica Papa Francesco)




www.rossoporpora.org    29 marzo 2014


Le regole liturgiche di san Sisto Papa





di Cristina Siccardi 

La proibizione ai laici di toccare il calice e tutti gli arredi sacri fu imposta da San Sisto I Papa (? – 125 ca.), del quale, per entrambi i calendari liturgici, vecchio e nuovo, la festa cade il 3 aprile. Benché il suo nome riconduca al numero sei, in realtà egli fu il settimo erede di San Pietro. Figlio di pastori romani, divenne sacerdote e fu eletto con i voti del clero nel 115.

L’esigenza di quella proibizione nacque, come sempre accade, dalla volontà di alcuni di avvicinarsi alla cose sacre seppure indegni, agendo in un ambito esclusivo dei ministri di Dio. Perciò questa sacra tradizione si è perpetrata nel tempo. Tuttavia, sia la rivoluzione operata dai novatori con la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, sia gli aggravanti abusi liturgici ad essa succeduti hanno fatto sì che i laici non solo entrino nel recinto sacro dell’altare, il presbiterio (da presbitero = sacerdote), riservato al clero officiante, ma sono spesso autorizzati a comunicare i fedeli, i quali loro stessi prendono fra le mani le sacre particole.
In quel tempo governava l’Imperatore Adriano (76-138), un originale sovrano-filosofo, amante della cultura e dell’arte greca. Benché pagano, egli fu contrario alle persecuzioni. Scrisse, infatti, ad un suo proconsole in Africa: «Se uno fa delle accuse dimostrando che i cristiani sono rei di delitti contro le leggi, tu puniscili secondo il loro delitto; ma, per Ercole! Se qualcuno mette avanti, per punirli, un semplice pretesto, tu devi decidere secondo la gravità e punire costui».

Papa Sisto fu soprattutto attento allo sviluppo del culto: lo precisò in regole e norme che resteranno come sigillo nella tradizione liturgica cristiana. Inoltre gli stava molto a cuore che tutte le comunità cristiane comunicassero fra di loro e pare che già sotto il suo Pontificato abbiano preso avvio le prime diatribe fra Oriente ed Occidente circa la data della celebrazione della Santa Pasqua.

A Sisto I viene fatta risalire anche l’introduzione del triplice cantico «Sanctus», chiamato Trisagio, posto dopo l’introduzione del prefazio. Il termine Trisagio deriva da agios (santo) e da treis (tre): «Dio tre volte santo». Nell’Antico Testamento esso costituiva una definizione della Santissima Trinità, perché è come si dicesse: «Santo è Dio Padre, Santo è Dio Figlio, Santo è Dio Spirito Santo», ma per conoscere questo bisognava sapere leggere, avere dimestichezza delle Scritture, perciò essere dotti. Fu così che il Sommo Pontefice lo fece sapere a tutti i fedeli introducendolo nella Santa Messa subito prima della consacrazione e della transustanziazione.

Tutte le Chiese, a qualunque liturgia appartengano, qualunque rito seguano, hanno questo Trisagio che è il cantico angelico che Isaia udì quando ebbe la visione celeste e, dopo di lui, San Giovanni, come l’Apostolo stesso racconta nell’Apocalisse (4,8). Afferma Dom Prosper Guéranger (1805-1875), il grande abate benedettino di Solesmes: «Che dicono dunque gli Angeli? Sanctus, Sanctus, Sactus Dominus Deus Sabaoth. Celebrano la Santità di Dio. Ma come la celebrano? Nella maniera più perfetta: adoperano il superlativo, dicendo per tre volte di seguito che Dio è veramente santo. (…) Perché applichiamo a Dio la triplice affermazione della santità? Perché la santità è la principale delle perfezioni divine: Dio è santo per essenza» (P. Guéranger, La Santa Messa, De Vita contemplativa-Francescane dell’Immacolata, Città di Castello 2008, p. 103).

Il Trisagio lo ritroviamo nel Te Deum: «Tibi Cherubim et Seraphim incessabili voce proclamant: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth» («Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti»): gli eserciti che stanno agli ordini dell’Onnipotente nulla hanno da temere in quanto tutte le guerre, tutte le prove e tutti gli ostacoli potranno essere vinti trionfalmente grazie al loro Dio. Spiega ancora l’Abate Guéranger: «Dunque, Dio è santo e forte, tanto forte quanto santo e tanto santo quanto forte» (Ivi, p. 104).

Questo Romano Pontefice, che cantò e fece cantare fino a noi e ai nostri posteri la santità di Dio nel Santo Sacrificio, non morì martire e il suo riposo, nell’attesa della Resurrezione, non è presso la tomba di San Pietro, bensì ad Alatri (Frosinone), nella cattedrale di San Paolo, dove lo si celebra patrono della città.




© CORRISPONDENZA ROMANA  27/03/2014


venerdì 28 marzo 2014

La massoneria vuole cremarci tutti. E gli ignoranti cadono nella propaganda




ne perenni cremer igne ...



di Daniele Di Luciano

Sempre più persone decidono di cremarsi. Perché? Se lo chiedessimo a loro ci risponderebbero che lo fanno per motivi ecologici, per far risparmiare la famiglia, per non creare problemi logistici ai cimiteri, ecc.. La verità, come al solito, è un’altra. Ogni tendenza della nostra società, globalizzata e indottrinata dai mezzi di propaganda di massa, è voluta dall’élite. E per “élite” intendo la massoneria. Qualcuno decide a priori cosa dovranno pensare domani milioni di persone. Ovviamente non possono essere espliciti: non potrebbero condizionare la gente se dicessero “dopo la morte, decidi di cremarti, te lo impone la massoneria e tu devi obbedire”. No, non funzionarebbe. Allora forniscono una serie di motivazioni per le quali la cremazione sarebbe meglio della sepoltura e poi utilizzano i mass media per propagandare queste motivazioni. E nel giro di poco tempo, ecco che tanti cominciano a ripetere le stesse motivazioni, magari credendo di esserci arrivati da soli, o addirittura di aver avuto un’idea alternativa. Per dimostrare che il fenomeno della cremazione è voluto dalla massoneria, citerò solamente siti massonoci e siti di società che forniscono questo importante servizio. Iniziamo con il sito massoneriapistoiese.com.

Cito l’articolo “Massoneria italiana e cremazione” che trovate qui. Dopo qualche secolo dall’instaurazione del Cristianesimo, la cremazione dei cadaveri fu abolita poiché considerata una istituzione pagana. Prima considerazione: la massoneria viene definita, dagli stessi massoni, la “Contro Chiesa”.

Il primo obiettivo della massoneria è la distruzione della Chiesa cattolica (poveri illusi). Alcuni lettori potrebbero pensare che la Chiesa cattolica sia essa stessa una specie di massoneria. A questi lettori rispondo scrivendo che saranno sempre di più le persone che la penseranno come loro … A buon intenditor …

Andiamo avanti, sempre dal sito dei massoni di Pistoia: In età moderna si ricomincia a discutere di cremazione nella Francia rivoluzionaria, alla fine del 1700. [...] Così anche il paradigma cremazionista fu indissolubilmente legato ad un progetto massonico di modernizzazione della società per questioni non solo igieniche, ma anche morali, religiose ed economiche. [...] II 18 Giugno 1867 il Fratello [massone] Salvatore Morelli, presentò agli uffici della Camera dei Deputati una proposta di Legge per circoscrivere il culto cattolico nella Chiesa e sostituire ai Campisanti il sistema della Cremazione. [...] Per farlo conoscere Morelli lo stampò a sue spese, con una prefazione con cui [il fratello massone] Giuseppe Garibaldi lodava chi aveva osato, “con audacia senza pari, sfidare i pregiudizi dei secoli”. Affiliato alla Loggia “LA CISALPINA” di Milano, Gaetano Pini fu uno degli esponenti più attivi del nuovo movimento cremazionista. [...] Diede così vita all’istituzione della scuola per rachitici, e nel 1878 fondò la “REALE SOCIETÀ’ ITALIANA DI IGIENE” e la prima “Società per la Cremazione Italiana”, impegnandosi poi per far nascere molte altre società nel Nord della penisola, riuscendo a collegarle tra loro dopo averle raccolte in una “Lega Italiana delle Società di Cremazione”, tutte presiedute o coordinate da esponenti della Massoneria. Elaborò gran parte del materiale che a mezzo della Massoneria servi alla preparazione della legge Crispi del 1888, che permise alla pratica della Cremazione di entrare ufficialmente nel nostro Ordinamento. Il GOI (istituito nel 1861 nello stesso anno in cui nacque lo Stato Italiano), deliberò, il 26 Maggio del 1874, che i fratelli si sarebbero impegnati a promuovere presso i Municipi l’uso della cremazione. [...] A Pistoia la “Società per la Cremazione” fu costituita nel Febbraio del 1883 e l’impianto crematorio venne inaugurato nel 1901, grazie all’appoggio delle Logge Massoniche locali [...] Può bastare?

Ma la massoneria non vuole la cremazione solo per andare contro la Chiesa cattolica, la cremazione ha un significato simbolico ben preciso. E i fratelli di Pistoia ce lo spiegano alla fine dell’articolo:

Nella scelta cremazionista dei Massoni del secolo scorso si deve ricercare, oltre alle già accennate motivazioni scientifiche, tecniche ed igieniche, una più profonda concezione della morte della spiritualità iniziatica, che consiste nella consapevolezza nella potenzialità insita in alcuni uomini di potersi reintegrare nell’Essenza Prima. [...] Il significato mitico del Fuoco si perde nella notte dei tempi: nel linguaggio alchemico il Fuoco è un sostanza pura, eterna, indispensabile per il compimento della Grande Opera. [...] Attraverso il Fuoco l’uomo dovrebbe bruciare tutte le sue scorie e, divenuto pura scintilla, unirsi alla Fonte da cui si è separato.

Capito? Il fuoco purificatore che aiuta l’uomo-divinità ad abbandonare la materia (il corpo) per tornare ad essere solo energia-tutto. La cremazione, quindi, come mezzo per compiere la gnosi, la grande opera…

Sarà un caso che il tempio crematorio si chiami tempio, come il tempio massonico? Ci risponde sempre lo stesso sito: Sono molti, in questo senso, gli edifici crematori del secolo scorso che ripropongono la simbologia del Tempio: a Milano in stile dorico-greco, il Tempio è sormontato da un Gallo in bronzo, che simboleggia l’annuncio della Luce del giorno, ma anche l’annunciatore esoterico della Luce Massonica; a Torino le urna cinerarie sono sormontate da una Piramide; a Roma, nel cinerario del Verano, vi è una complessa alternanza di simboli politici ed esoterici, dove campeggia l’edera, pianta funebre che rappresenta Dioniso, e che come lui simboleggia la morte rituale e la rinascita, la Luce e l’Oscurità, il calore e la freddezza. Se a qualcuno non bastasse questo corposo documento, aggiungo un altro paio di fonti.

Esiste il quadrimestrale della società pavese per la cremazione, che si chiama “il Ponte”. Il ponte è anche l’immagine che compare su tutte le banconote in Euro. Anche questo simbolo ha un significato ben preciso, simile a quello che esotericamente ha l’arcobaleno. Rappresenta il dialogo con la divinità, il passaggio tra il terreno e il celeste. E quando si tratta di massoneria, per “divinità” non si intende esattamente il Dio buono che i profani tendono ad immaginare… 

In ogni caso, in questo numero della rivista per la cremazione, da pagina 8 a pagina 11, c’è un articolo dal titolo “Medici, cremazionisti ma anche massoni” che inizia con una bella apologia della massoneria: Al di là dei pregiudizi, questa concomitanza di vedute medici-cremazionisti-massoni ha prodotto effetti di grande valore sociale. Del resto, malgrado alcune fughe verso il materialismo irreligioso, la Massoneria moderna, che prese corpo negli ambienti del protestantesimo anglicano agli inizi del Settecento, ha sempre combattuto fanatismi, superstizioni e pregiudizi, promuovendo messaggi di tolleranza e altruismo con l’aspirazione di migliorare l’uomo. 

Ma non finisce qui. In Italia la SoCrem (SOcietà CREMazioni) è una delle società più attive. Sul sito socremtorino.it, troviamo la “memoteca” in cui sono elencati i “personaggi illustri” che si sono fatti cremare. Dei testimonial postumi, insomma… bah. Comunque, tra questi personaggi, ci sono molti nomi di attivi cremazionisti cremati e, contemporaneamente, massoni (clicca sul nome per leggere la biografia): Amerigo Scolaro, Ariodante Fabretti, Vittorio Amedeo Mirano, Vincenzo Giovanni Scarpa, Giovanni Lerda, Francesco Muller, Francesco Martiny, Florio Foa… Ma il popolino tante cose non le sa e quindi, quando la massoneria attiva i mezzi di propaganda di massa, gli italiani abboccano. 

Ultimamente è uscito l’articolo su meteoweb.eu: “Rivoluzione epocale, addio ai cimiteri: dopo la morte ognuno di noi potrà diventare un albero con l’urna Bios di Martin Azua“. E tutti a condividere e a sognare la cremazione… L’autore dell’articolo conclude: Potremmo approfittarne per dare un senso ulteriore alla nostra vita all’insegna del rispetto ambientale. Ci auguriamo che quest’idea geniale diventi una rivoluzione epocale, riuscendo a dare una scossa alla nostra cultura troppo ferma su posizioni antiche e assolutamente superate dai tempi. 

Io invece mi auguro che la gente non aspetti la morte per dare un senso alla vita, e prego che le posizioni antiche, cattoliche e antimassoniche, prevalgano sempre sulle minchiate newage, gnostiche e sataniche.  



See more at: http://www.losai.eu/la-massoneria-vuole-cremarci-tutti-e-gli-ignoranti-cadono-nella-propaganda/#sthash.pAlg3bv7.dpuf


Vi aggiungo un paio di video che mostrano cosa si fa realmente in un forno crematorio
GUARDATELI SOLO SE SIETE ABBASTANZA FORTI, NON SONO PER TUTTI.





Questo secondo video mostra come, se tutto va bene, vengono trattati i resti delle ossa del defunto: sminuzzati nel tritatutto, e ridotti in polvere, perché il fuoco, signori, non basta. Ecco l'officina dei cadaveri!




http://muniatintrantes.blogspot.it/


La dottrina o il caos









Il cardinale Walter Brandmüller (nomina di B-XVI) contro il disordine provocato dalla “poca chiarezza” nell’insegnamento cattolico. “Dottrina di fede e prassi pastorale possono essere distinte, sì, ma non scisse”.



di Matteo Matzuzzi (27/03/2014)

“È evidente che la mancanza o la mancante chiarezza circa il genuino insegnamento cattolico da parte di vescovi, predicatori, catechisti e soprattutto dei professori di teologia morale, è la principale causa del caos attuale”. A colloquio con il Foglio, il cardinale Walter Brandmüller, eminente storico della chiesa medievale e moderna e per lunghi anni presidente del Pontificio comitato di Scienze storiche, interviene nel dibattito su matrimonio e famiglia che sarà oggetto dei due sinodi in programma il prossimo ottobre e l’anno prossimo. Un “caos” alimentato anche da chi, tra le file dell’episcopato mondiale, ha detto che l’insegnamento della chiesa cattolica in fatto di morale non è più adeguato ai tempi e che ormai crea solo confusione tra i fedeli più o meno assidui di messe domenicali e confessionali. È il caso, ad esempio, del giovane vescovo di Treviri, mons. Stephan Ackermann.

“Ma che cosa vuol dire?”, s’interroga perplesso il cardinale Brandmüller: “L’affermazione dell’eccellentissimo vescovo di Treviri suscita domande e mi pare che occorra fare una distinzione. Il presule parla semplicemente di ‘insegnamento’, e potrebbe avere ragione se si riferisse al modo di motivare, spiegare e insegnare la dottrina della Chiesa. Avrebbe però torto se volesse dire che la dottrina della chiesa non è più adeguata ai tempi. Infatti, cambiano le domande e le questioni a seconda dei mutamenti socio-culturali, ma la risposta della chiesa in ogni momento della storia non può toccare il depositum fidei una volta e per sempre valido”. Dopotutto, si tratta “del tesoro dal quale il buon padrone della famiglia tira fuori nova et vetera”.

Per rispondere alle “forti attese radicate tra i fedeli” che auspicano aggiornamenti in fatto di insegnamento morale cattolico, il cardinale Walter Kasper ha prospettato una soluzione che riaffermi l’intangibilità della dottrina, ma consenta interventi sulla prassi pastorale. Dottrina e prassi su due binari separati, dunque, schema già criticato dal prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il cardinale Gerhard Ludwig Müller e che non trova concorde neppure il nostro interlocutore: certo, “è necessario distinguere tra la dottrina di fede e la prassi pastorale. Distinguere sì, ma non scindere. Ogni prassi pastorale che voglia essere autentica deve ispirarsi e reggersi sulla verità di fede. E’ vero - nota ancora lo studioso creato cardinale da Benedetto XVI nel 2010 - che la realtà sociologica della famiglia non è più quella dei nostri nonni. Ma ciò che mai può essere sottoposto al mutamento storico è la natura stessa, la sostanza della famiglia che nasce dal matrimonio sacramentale tra uomo e donna”. La pastorale, dice ancora Brandmüller, “deve rispondere alla domanda su come spiegare meglio questa realtà per far sì che la si viva più autenticamente nelle circostanze d’oggi”.

Dubbi anche sulla corrente di pensiero secondo cui la chiesa nel corso della sua storia ha sempre sostenuto che, fermo restando il principio una fides, esistono molti modi per viverla e sperimentarla: è vero, spiega il presidente emerito del Pontificio comitato di Scienze storiche, “esistono tanti modi di vivere ed esprimere la fede. Ma questi sono legittimi solo in quanto non contraddicono la dottrina della fede formulata dalla Chiesa. È sempre essenziale la convergenza tra dottrina e vita”. Il problema è la mancanza di chiarezza circa il significato dell’insegnamento cattolico, osserva il porporato: “In più di venticinque anni di attività pastorale - parallelamente alla mia carriera universitaria - ho fatto il parroco in campagna”.

Ebbene, “dopo l’anno fatale 1968, non ho più dovuto pronunciare la fin allora consueta lettera pastorale sul ‘sacro sacramento del matrimonio’ prescritta per la seconda domenica dopo l’Epifania”. Non era più prevista, non è stata più preparata, “e ciò è emblematico per comprendere quella situazione”.




© - FOGLIO QUOTIDIANO


Francesco, il primo papa osannato dall'opinione laica







È la vera novità del successo di questo pontificato. Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ebbero indici di popolarità altissimi, o persino superiori. Ma solo tra i fedeli. Dall'esterno erano duramente avversati 




di Sandro Magister

ROMA, 27 marzo 2014 – Papa Francesco ha doppiato la boa del suo primo anno sospinto da una immensa popolarità. Ma in questo non c'è niente di nuovo. Anche Benedetto XVI nel 2008 aveva raggiunto identici livelli di consenso. E Giovanni Paolo II era stato ancor più popolare, e per molti anni di seguito.

La novità è un'altra. Con Francesco, per la prima volta da tempo immemorabile, un papa è osannato non solo dai suoi, ma quasi più ancora da quelli di fuori, dall'opinione pubblica laica, dai media secolari, dai governi e dalle organizzazioni internazionali.

Persino quel rapporto di una commissione dell'ONU che ai primi di febbraio ha attaccato ferocemente la Chiesa lo ha risparmiato, inchinandosi a quel "chi sono io per giudicare?" ormai assunto universalmente come il motto emblematico delle "aperture" di questo pontificato.

I suoi due ultimi predecessori no. All'apogeo della popolarità avevano a loro favore il popolo cristiano. Ma gli altri li avevano contro.

Anzi. Tanto più il "secolo" avversava il papa, tanto più il papa giganteggiava. La rivista "Time" dedicò a Giovanni Paolo II la copertina di uomo dell'anno proprio nel 1994, l'anno della battaglia campale da lui combattuta, quasi da solo contro il resto del mondo, amministrazione americana in testa, prima, durante e dopo la conferenza indetta dall'ONU al Cairo per il controllo delle nascite e quindi, a detta del papa, per "la morte sistematica dei non nati".

Karol Wojtyla aveva fatto del 1994 l'anno della famiglia perché la vedeva minacciata e aggredita, quando invece nell'imminente nuovo millennio, nella visione del papa, sarebbe dovuta tornare a risplendere come all'inizio della creazione, maschio e femmina, crescete e moltiplicatevi, e "non sciolga l'uomo ciò che Dio ha unito".

Ancora in quel 1994 Giovanni Paolo II scrisse ai vescovi una lettera per ribadire il no alla comunione dei divorziati risposati. E un altro no senza appello disse alle donne sacerdote. E l'anno prima dedicò un'enciclica, la "Veritatis splendor", ai fondamenti naturali e soprannaturali delle scelte morali, contro l'arbitrio della coscienza individuale. E l'anno dopo pubblicò un'altra enciclica, la "Evangelium vitae", terribile contro l'aborto e l'eutanasia.

Non solo. Anche sullo scacchiere della politica internazionale papa Wojtyla aveva contro gran parte del mondo. Tra il 1990 e il 1991 avversò con tutte le sue forze la prima guerra del Golfo, patrocinata dall'ONU, mentre tra il 1992 e il 1993 invocò senza posa un intervento militare "umanitario" nei Balcani, solo tardivamente ascoltato. Eppure quelli furono proprio gli anni della massima popolarità di Giovanni Paolo II, il decennio che va dal 1987 al 1996.

Ne sono prova le periodiche indagini del Pew Research Center di Washington tra i cattolici degli Stati Uniti, che sono un ottimo test anche per la consistente presenza tra loro di una corrente "liberal".

Più Giovanni Paolo II era squalificato dall'opinione laica come oscurantista e arretrato, più la sua popolarità tra i cattolici era alta. In quel decennio si attestò stabilmente sul 93 per cento di voti a favore, una decina di punti più su di papa Francesco oggi e di Benedetto XVI nel 2008.

Anche la parabola di papa Joseph Ratzinger è esemplare. Appena eletto, nel 2005, la sua popolarità tra i cattolici era bassa, sul 67 per cento, con solo il 17 per cento che si dichiarava molto favorevole. Ma passo passo egli si conquistò un crescente consenso, nonostante il rigore con cui criticava le sfide della modernità.

L'opinione laica gli era tutta contro, persino nel cortile di casa, fino al punto da sbarrargli l'accesso all'università statale di Roma per un discorso. Era l'inizio del 2008 e poco dopo era in programma un suo viaggio negli Stati Uniti, dove più implacabili erano le critiche laiche alla Chiesa e al papa sul terreno esplosivo della pedofilia. Eppure proprio durante e dopo quel viaggio Benedetto XVI raggiunse il massimo della sua popolarità tra i cattolici.

La lezione che se ne ricava è che il successo di un papa tra i fedeli non è automaticamente legato alla sua arrendevolezza sulle questioni cruciali. Due papi intransigenti come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno registrato indici di popolarità altissimi.

Le "aperture" di un papa alla modernità possono invece spiegare il consenso che gli proviene da fuori, dall'opinione laica. Sembra essere questa la novità di Francesco.

Una novità di cui egli sotto sotto diffida. Ha detto nella sua recente intervista al "Corriere della Sera": "Non mi piace una certa mitologia di papa Francesco. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione".





http://chiesa.espresso.repubblica.it



giovedì 27 marzo 2014

L’odio per Benedetto XVI


image



"The Tablet", nota rivista "cattolica" britannica, sospende il suo corrispondente da Roma che su Facebook chiama "Topo" Ratzinger e auspica il suo funerale. Ma quanto è diffuso nei media cattolici, sotto l’entusiasmo per papa Francesco, e al di là della piaggeria, l’odio per il pontefice tedesco?
 MARCO TOSATTI
Il fatto in sé è abbastanza minuscolo; ma è significativo di un’atmosfera e di come un papa coraggioso, onesto e fedele al Vangelo come Benedetto XVI ha dovuto compiere la sua missione. “The Tablet” il noto giornale cattolico britannico, ha sospeso il suo corrispondente da Roma, Robert Mickens. Perché? Per un commento postato su Facebook, in cui si parlava della porpora concessa a Loris Capovilla, segretario di Giovanni XXIII. Scriveva Robert Mickens, in colloquio con un’altra persona:
“Avrebbe dovuto accadere molto tempo fa. Pensa che ce la farà per il funerale del Topo?”.
In inglese la frase era: “the Rat’s funeral”. Dove Rat indicava ovviamente Benedetto XVI, Joseph Ratzinger.
Rispondeva il suo amico: “Spero che starà abbastanza bene per concelebrare la canonizzazione di Giovanni XXII e di un altro il 27 aprile. Il funerale del Topo sarebbe un bonus”. 
Ieri pomeriggio The Tablet annunciò su Twitter che il corrispondente da Roma era stato sospeso, e che era in corso un’inchiesta.
Un episodio minimo, ma che offre lo spunto ad alcune riflessioni. 
La prima: pensiamo a che tipo di informazione obiettiva e spassionata sulla Chiesa cattolica e sul pontificato di Benedetto XVI può essere partita da Roma, e recepita dai cattolici britannici, in tutti questi anni. E se questi sono, almeno in via di principio, gli “amici”, che bisogno c’è di nemici? 
La seconda. L’amico di Mickens parla della canonizzazione di Giovanni XXIII e di “un altro”. Che sarebbe poi Giovanni Paolo II. E anche questo è significativo: sia papa Ratzinger che il suo predecessore sembrano accomunati in un sentimento non positivo. 
C’è da chiedersi poi quanto questo genere di comportamenti sia diffuso, anche all’interno di quanti seguono professionalmente le vicende della Chiesa, e magari non sono così ingenui come Robert Mickens da esternare il loro pensiero su Facebook. 
Una spia di questo sentimento sono – al di là della piaggeria ecclesiastica, che non appare seconda a nessuna piaggeria – forse gli elogi sperticati a papa Francesco. 
Citiamo l’editoriale che una rivista – di un grande gruppo editoriale religioso – dedicava al primo anniversario di papa Bergoglio: “È passato un anno dall’elezione di Papa Francesco, il 13 marzo 2013, ma la sensazione è che si siano fatti enormi passi in avanti nella Chiesa, riducendo quel ritardo di 200 anni di cui parlava il cardinale Martini”. In occasione di questo anniversario bisogna “riflettere sulla Chiesa del futuro, sulle prospettive aperte dalla rinuncia di Benedetto XVI, gesto profetico che ha desacralizzato la figura del Papa, e l’elezione di Bergoglio che ha rimesso al centro il Vangelo”. 
Ora, chi vi scrive segue dal 1982 le vicende della Chiesa. Con atteggiamento spesso critico, e sempre distaccato, come pensiamo debba fare chi informa. E non ho notato che né Giovanni Paolo II né Benedetto XVI mettessero al centro del loro spendersi per la Chiesa il Corano, o il Talmud, o il Baghavad Gita, tanto apprezzati da alcune pubblicazioni cattoliche specializzate in ecumenismo. 
Povero Benedetto! Povero Karol!



© LA STAMPA  27/03/2014

«Damnatio memoriae» e nuove crociate





I papisti pro-domo propria e i servi della Chiesa


di don Gabriele Mangiarotti

Che strano mondo quello degli interpreti del Papa! È bastato un anno perché si passasse dall’elogio di chi prendeva le distanze dal magistero alla condanna di chi non è prono alla esaltazione di Papa Francesco! E quello che mi sconcerta è che il Papa Francesco di cui si riempiono la bocca sembra la fotocopia dei loro pensieri, delle loro idiosincrasie, dei loro pregiudizi, un Papa a cui si fanno dire le cose più strane, senza affatto vergognarsi di mettergli in bocca affermazioni che mai si è permesso di dire (e basta citare il famoso «Chi sono io per giudicare un gay?» oppure l’altrettanto mistificatoria frase «Internet è un dono di Dio». Andate a rileggere l'originale e ve ne renderete conto).

C’è poi la schiera di coloro che passano il tempo solo condannare chi si permette di avere avuto, tra gli amici, personalità appassionate e critiche, amanti della Chiesa e della sua tradizione, che hanno avuto solo il difetto di non accodarsi al coro «stonato» dei laudatores. Coloro che, per usare una espressione di Papa Francesco, non si sono allineati alla «francescomania» imperante, dimenticando che proprio Francesco ama definirsi un figlio fedele della Chiesa.

Così accade quello che già Benedetto XVI denunciava del Concilio Vaticano II: c’è un Papa dei media e il Papa della Chiesa, che va letto secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica. Troppi sono coloro che, forse per piaggeria, forse per calcolo, preferiscono una immagine patinata del Papa, e si lamentano se qualche Vescovo coraggioso ci indica il modo corretto di leggere il suo insegnamento. Troppi sono coloro che vorrebbero la damnatio memoriae di chi, come Mario Palmaro, ha amato la Chiesa con fedeltà critica, senza mai scadere nella disobbedienza e nell’insulto, ma chiedendo che la fedeltà fosse alla Chiesa e non a una immagine mass-mediatica (e non è il caso di ricordare che proprio i paladini del nuovo corso hanno inneggiato ad affermazioni riconosciute FALSE dello stesso Scalfari, al punto che il Vaticano ha tolto dal suo sito l’intervista di Repubblica). Troppi pensano che Repubblica abbia ragione a pubblicare un testo inedito di «Francesco» (citato così, come un compagno di strada – o di merende) con un titolo che sembra dare contro ai fedeli cattolici, sostenendo il relativismo di quel quotidiano (mentre sembra più chiaro che è proprio il fanatico fondamentalismo di Repubblica & C. ad essere preso di mira).

Noi siamo stati amici di Mario Palmaro e ancora adesso lo stimiamo. E come lui ha detto con amore la verità che amava (con lo stesso amore con cui amava la Chiesa) anche noi lo abbiamo ascoltato (e a volte abbiamo discusso con lui) cercando di capire le ragioni che comunicava.
E ci spiace vedere come oggi coloro che si fanno paladini di dialogo e misericordia (intesa secondo il proprio gusto) sappiano solo creare divisione all’interno della Chiesa stessa. Come se le uniche «crociate» permesse siano quelle contro «certi» cattolici.

Siamo stati e rimaniamo amici di Mario Palmaro, come siamo appassionati stimatori del Card. Caffarra, che con la sua splendida intervista a IL FOGLIO ci ha aiutato a non perdere di vista il magistero della Chiesa sul matrimonio.
Questo ci permette di essere fedeli al Papa, che amiamo, serviamo, con obbedienza «effettiva» e non solo affettiva.





Cultura Cattolica - 18 marzo 2014


Pastorale dialogante e condanne selettive




.
prt




di Marco Bongi

Preti anti-mafia ed anti-camorra: hanno saputo condannare e combattere la criminalità organizzata. Qualcuno è stato pure ucciso e dunque meritano lodi, encomi e processi di beatificazione. Nessuno ha nulla da contestare ai loro metodi pastorali.

Vescovi che si sono coraggiosamente opposti alle dittature sud-americane. Hanno condannato i soprusi e tuonato contro i regimi anti-democratici. Bene…, bene. Anche per loro grandi Osanna ed elogi sui media cattolici.

Lo stesso dicasi per quegli ecclesiastici che hanno condannato e duramente continuano a stigmatizzare il razzismo, l’antisemitismo, lo sfruttamento dei capitalisti sui lavoratori, la pena di morte e, forse ancora per poco, la pedofilia.

Non intendo assolutamente, in queste poche righe, entrare nel merito di tali delicate questioni. Mi limito soltanto ad esporre alcune semplici riflessioni di carattere metodologico.

Quando infatti i “normalisti” si sforzano di giustificare alcuni orientamenti pastorali del nuovo corso ecclesiale, spesso ci ammanniscono commoventi fervorini coniugati sulla seguente lunghezza d’onda:
“Non serve a nulla lanciare condanne e scomuniche: è assai più utile annunciare il Vangelo in senso positivo. Mostrare quanto sia bella la famiglia, l’amore fra un uomo e una donna, allevare tanti figli, aiutare gli anziani malati cronici… Questo è il metodo più sicuro per diffondere la vera dottrina che comunque non cambia”. 

Ed allora mi chiedo: se così stanno le cose… perché non criticate anche i preti anti-mafia. Non sarebbe meglio che essi mostrassero, con l’esempio, come sia bello vivere onestamente ma si astenessero dalle omelie infuocate dal pulpito?

Perché criticate aspramente i supposti silenzi di alcuni pastori durante i regimi militari sud-americani e, addirittura, quelli, costruiti a tavolino, di Pio XII sullo sterminio degli ebrei?
Perché non invocate, in tutte le situazioni citate sopra, la pastorale dialogante fatta propria dal Concilio Vaticano II?

E’ assolutamente inevitabile, del resto, che chiunque si accinga a sostenere un’idea a cui tiene molto, qualunque possa essere la sua tesi,  dovrà argomentare le proprie posizioni, sia in senso positivo, sia contestando le obiezioni e le prassi contrarie.

Tutti hanno fatto così, in ogni luogo e in ogni tempo. Se l’idea è considerata importante le si dedicano molti studi e sforzi espositivi. Se tale non la si considera, può bastare qualche buona parola, tanto per tacitarsi la coscienza.

In verità dunque, per quanto mi sforzi di riflettere, non riesco a trovare, a queste importanti domande, altre risposte se non  la seguente:
Non si deve condannare ciò che il mondo non vuole che si condanni: divorzio, aborto, omosessualismo, eutanasia, relativismo, mondialismo ecc. 
Si deve invece condannare, ed anzi guai a chi non condanna, ciò che il mondo vuole che sia condannato: disegualianze sociali, unicità della Verità, valori tradizionali nella Religione e nella Liturgia, legge  naturale ecc.

Questa è purtroppo la realtà delle cose e molti cristiani, compresi parecchi pastori,  si stanno rapidamente adeguando. Ammantano la vergognosa capitolazione culturale con discorsi accattivanti, con ragionamenti buonisti, con parole levigate e distinguo sofistici.  

Tutto bene, salvo il fatto, inequivocabile e incancellabile, che non è questo l’atteggiamento che Nostro Signore ci ha insegnato con il Suo Vangelo. Possibile che così pochi se ne rendano conto?




By Riscossa Cristiana 


Il Papa e i Cardinali







di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Nelle vicende della Chiesa di oggi, nelle quali assistiamo con frequenza a interventi di Cardinali che si alternano a quelli del Papa o comunque del Magistero, in una diversità di posizioni a volte contrastanti, credo non sia male ricordare qual è l’aspetto istituzionale del rapporto fra Papa e Cardinali e, in base a questo criterio, provare a esprimere un modesto ma sincero e filiale parere su certi fatti che stanno avvenendo nella Chiesa, dove questi alti personaggi sono coinvolti, sia per riconoscere i lati belli e sia per valutare, con tutto rispetto, quello che ci pare il negativo. 

Oggi esistono nella Chiesa - nessuno lo può negare - due tendenze: una di maggioranza, più legata all’ambiente dei vescovi, ma non coincidente con il Magistero simpliciter, vicina al potere politico, quindi molto influente, convinta di proseguire la riforma del Concilio Vaticano II. Essa conduce un’attività discretamente tranquilla nell’ordinaria organizzazione e governo dell’attività ecclesiale, con sguardo sostanzialmente ottimista circa la situazione della Chiesa, senza troppi problemi. 
 
Ed esiste un’altra tendenza, minoritaria, ma che si fa sentire il più possibile, agitata, pungente, scandalistica, estremamente preoccupata, con una visione catastrofica ed apocalittica, sempre intenta a vedere quello che (a suo giudizio) non va, quasi siano giunti i tempi dell’apostasia finale e dell’Anticristo, di cui parla S. Paolo, e si profilino terribili castighi divini per il diffondersi di un’impressionate corruzione morale e il dilagare dell’eresia a tutti i livelli, dal Papa, ai Cardinali e dal Concilio a tutti i teologi, moralisti ed esegeti sino a parroci, ai maestri elementari ed alla suorina del catechismo o al gruppo parrocchiale. 

Dovrebbe essere chiaro che queste due correnti, per quanto tengano a considerarsi cattoliche e in gran parte lo siano, in realtà, in varia misura, non lo sono pienamente e costituiscono un elemento di disturbo e di offuscamento della sana dottrina, tanto che in certi casi estremi si dovrebbe parlare di scisma, di eresia e di apostasia. 

Chi ha ragione fra queste due correnti? Come spesso accade nei fenomeni di massa, nessuna delle due. L’una, di tendenza modernista; l’altra, di tendenza lefebvriana, perché i fenomeni di massa sono solitamente faziosi, parziali ed ideologici, anche nella Chiesa, dato che anch’essa ha un aspetto umano di miseria e fallibilità, dal Papa fino all’ultimo dei catechisti parrocchiali. 

Ma il Papa con i Cardinali che cosa fanno in questa situazione? Quale sarebbe o qual è la loro funzione istituzionale, voluta da Dio? Che via stanno battendo? Riescono a padroneggiare la situazione? Dove ci stanno guidando? Quali provvedimenti stanno prendendo? I Cardinali sono tutti fedeli al Papa? Sono vere “colonne”, cardini della Chiesa? O c’è qualcuno che rema contro? Che linea stanno seguendo? Ma, prima di tutto e soprattutto, qual è il loro compito istituzionale? 

Sembra che le potenze dell’inferno stiano scuotendo lo stesso collegio cardinalizio. Da tempo girano rivelazioni credibili di pii veggenti, che parlano di “Cardinali contro Cardinali”. È forse questo il contenuto non rivelato del terzo segreto di Fatima? Difficile dirlo. 

Ricordiamo, al riguardo, le considerazioni e i sospetti forse non del tutto prudenti avanzati a suo tempo dal giornalista Antonio Socci nei confronti del Cardinale Bertone, quando egli decise di rivelare il terzo segreto. La riposta del Cardinale però, non parve del tutto soddisfacente, perché, come si può desumere dagli argomenti di Socci, resta qualche timore che in realtà non tutto sia stato rivelato, non tanto per un’impensabile menzogna del Vaticano, quanto piuttosto, così sembra, perché Papa Giovanni che lesse il messaggio, non lo ritenne autentico, ossia soprannaturalmente ispirato. Infatti anche nelle rivelazioni private autentiche, quale fu certamente il messaggio di Fatima, possono inserirsi elementi spuri o comunque solamente umani. 

Ma anche un Papa può sbagliare in queste cose per carenza di discernimento, perchè non si tratta di materia di fede, dove il Papa è infallibile. Sta di fatto che purtroppo, dall’epoca del Concilio dal collegio cardinalizio non ci vengono sempre segnali di quell’esemplare ortodossia che dovrebbe brillare incontaminata nelle dichiarazioni dei Prìncipi della Chiesa, per cui in alcuni membri famosi e pur valorosi del sacro Collegio abbiamo purtroppo dovuto sentire frasi infelici o infelicissime, speriamo isolate o incidentali. Il cardinalato certo non è di istituzione divina, ma è un espediente umano, per quanto rispettabile, ed ha solo origini medioevali, allorché l’attività del Papa, che si estendeva ormai sull’intera Europa, divenne più complessa e si sentì il bisogno di prendere spunto dalla corte dei grandi regni del tempo, creando un collegio di immediati e potenti collaboratori. 

I vescovi dal canto loro certo restavano i collaboratori naturali del Papa, anzi costoro per divina istituzione. Senonchè, però, si erano moltiplicati in tutta Europa e, considerando anche i lenti e scomodi mezzi di comunicazione di allora, era impensabile averli tutti a porta di mano negli affari quotidiani a volte urgenti della Chiesa. D’altra parte non tutti i vescovi potevano avere quelle speciali qualità di essere immediati collaboratori del Papa nell’abilità diplomatica, nel prestigio, nella dottrina e nel governo della Chiesa.
Il Cardinale certo doveva essere un vescovo, ma di necessità un vescovo dotato di speciali qualità, abilità ed incarichi, nonché di notevoli risorse finanziarie per le opere della Chiesa, sotto la direzione diretta del Papa. Così accadeva che certi cardinali, a volte per ambizione, appartenessero a potenti famiglie nobili con una grossa entratura politica. 
 
Ma ciò comportò verso il secolo XIV, fino al XVI, anche una grave decadenza della spiritualità cardinalizia, col triste fenomeno del nepotismo, che vide, com’è noto, esser fatti cardinali in certi casi addirittura dei ragazzi, solo perché erano parenti del Papa. Non tutti erano dei san Carlo Borromeo. Ciò suscitò la giusta ribellione di Lutero, il quale però, com’è noto, passò ogni giusto limite scagliandosi contro lo stesso istituto del cardinalato e addirittura contro lo stesso sacramento dell’Ordine nei suoi gradi gerarchici, passando completamente dalla parte del torto. 

Così con il Concilio di Trento si ebbe una notevole riforma della Curia romana; sorsero, in seguito, soprattutto a partire dal secolo XVII, i dicasteri della S. Sede, ognuno dei quali affidato ad un Cardinale.
La bufera luterana coinvolse, così, in un’indiscriminata e feroce condanna, il papato, il cardinalato e l’episcopato, anche se aveva qualche buona ragione nella critica ad un papato e un cardinalato attaccati al lusso, alle ricchezze e al potere politico. Il Concilio di Trento mantenne l’istituto del cardinalato rialzandone la preziosa dignità e rendendolo più soggetto al governo del Papa come vero sussidio e sostegno dell’attività dottrinale e pastorale del Successore di Pietro. Il cardinalato tornò ad accordarsi pienamente con l’ideale della santità. 
 
Di nuovo però il collegio cardinalizio conosce nei secoli XVI-XVII un periodo di potenza e di apparente splendore, che però non brilla per la spiritualità, ma per i legami con i grandi regni del tempo. Pensiamo solo ai cardinali Richelieu e Mazzarino o ai grandi cardinali spagnoli. 

Le figure più luminose della storia del cardinalato sono legate alla santità e all’appoggio da esso dato alle grandi imprese del papato, non solo nel potere temporale, ma anche soprattutto nel governo della Chiesa e nella promozione dei suoi istituti, come l’appoggio dato alla nascita di nuovi Ordini, si pensi per esempio al ruolo svolto dal Cardinale Ugolino nella fondazione degli Ordini Domenicano e Francescano o i Cardinali santi dottori come S. Bonaventura o la parte di grandi figure di cardinali nella soluzione dello scisma di Occidente nel sec. XV o il Card. Gaetano nella lotta di Leone X contro Lutero o il Card. Bellarmino nella vicenda di Galileo, il Card. Zigliara e il Card. Gonzalez nel sostegno dato a Leone XIII nel sec.XIX per la rinascita del tomismo, il Card. Mercier nella fondazione della Scuola di Lovanio nel secolo XIX, il Card. Merry del Val nel sostenere e consigliare S. Pio X nella lotta contro il modernismo, il Card. Gasparri nella stipulazione dei patti lateraranensi, il Card. Casaroli nella collaborazione col Beato Giovanni Paolo II per lo scioglimento dell’URSS. 

Invece, un segno conturbante e doloroso di divisioni dottrinali all’interno del collegio cardinalizio si è avuto col Concilio e l’immediato postconcilio nel contrasto tra la linea progressista dei Döpfner, König, Willebrands, Suenens, Frings, Bea, Liénart, Lercaro, Colombo, Daniélou, De Lubac, Congar e la corrente conservatrice dei Siri, Journet, Parente, Pizzardo, Ciappi, Hamer, Browne, Ruffini, Florit, Bacci, Ottaviani, Baggio. 
 
Purtroppo il progressismo nascondeva venature di modernismo e un certo conservatorismo miope e irragionevolmente rigido sfociò nel lefebvrismo. Oggi soffriamo ancora degli sviluppi di questa amara e scandalosa divisione, senza che si riesca, per ora, a trovare il modo di venirne a capo. L’ideale sarebbe una vera attuazione del Concilio nel suo vero significato, per il quale si ha una conciliazione di progresso e tradizione, ma sono talmente ostinati i fraintendimenti e le opposizioni, che ormai siamo sotto il fuoco di fila di questi due partiti opposti, servi del dia-bolos, il divisore, che stanno lacerando la Chiesa, spaventando e turbando il normale popolo di Dio che non chiede altro che passare giorni tranquilli nel compimento dei propri doveri cristiani sotto la guida del Papa e del Magistero. Occorre che i buoni a tutti livelli, dai cardinali ai catechisti parrocchiali, resistano con pazienza e si facciano sentire, anche se in pochi e sotto il tiro delle opposte fazioni. 

Finora, dall’immediato postconcilio, si sono avvertite poche voci di cardinali valorosi e fedeli, in mezzo ad altre dissonanti e stonate, ma pare che finalmente essi comincino a farsi sentire perché non se ne può più. Ecco allora, grazie a Dio, voci eminentissime come quelle del Card. Ratzinger, del Card.Tonini, del Card. Scola, del Card. Biffi, del Card. Caffarra, del Card. Schönborn, del Card. Müller, del Card. Burke, del Card. Aguilar, ingiustamente perseguìto dal partito degli omosessuali. E vogliamo e speriamo che queste voci aumentino accanto al Papa, insieme col Papa, sotto il Papa, per il vero bene della Chiesa, delle anime e dell’umanità.






© LA VOCE DI DON CAMILLO


mercoledì 26 marzo 2014

La riforma liturgica: una riforma problematica







"La riforma liturgica è fallita perché è nata non dalla Tradizione della Chiesa, ma da un colpo di mano del partito intellettuale" (Don Gianni Baget Bozzo)

di don Gianni Baget Bozzo


LA LITURGIA

Questo è il tema su cui il fallimento della riforma conciliare è apparso più chiaro.
L’enciclica Mediator Dei aveva già previsto tutti i danni che sarebbero derivati dalle tendenze liturgiche franco-tedesche legate all’opera di Ernest Jungmann e di Otto Casel.
[…]
Pio XII comprese l’errore dell’arcaismo di Jungmann, per cui la liturgia andava riformata arcaicamente sul modello della Chiesa primitiva; e comprese l’errore di Casel, che vedeva nella liturgia la celebrazione del Cristo risorto e non del Cristo redentore.
In ambedue i casi si trattava di separare la Chiesa dalla sua Tradizione, svolta nel tempo e nella storia.
Al centro della Mediator Dei stava la dottrina della Messa come rinnovazione del sacrificio di Cristo, il ruolo sacerdotale costitutivo del prete, il valore della preghiera personale e di tutte le forme di culto dell’Eucaristia distinte dalla Messa.
Nessuno pensava che la riforma aperta dalla Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, che in molte parti ricalcava la Mediator Dei con qualche attenuazione delle formule, determinasse la fine di un rito unitario della Chiesa latina. Soprattutto in questo caso si nota il processo che dal testo conciliare giunge sino alla variazione liturgica. E di qui l’elemento centrale è stata la perdita totale del latino come lingua liturgica, che avviene non nella Costituzione conciliare ma nelle successive riforme.
L’effetto di tutte le successive riforme, quelle del ’65 e del ’70, è stato la graduale dissacrazione della liturgia e la riduzione del culto a una attività sociale.
[…]
Il fondamento dell’unione dell’uomo con Dio è la piena distinzione tra l’uomo e Dio. Per questo la pienezza della liturgia è data dalla Rivelazione cristiana, che pone l’unione tra Dio e l’uomo a partire dalla piena distinzione tra Dio e l’uomo.
[…]
La perdita del sacro è un effetto avvenuto nel culto pubblico cattolico e ciò è accaduto proprio secondo le linee di previsione che erano contenute della Mediator Dei. Tutto è stato pensato, a cominciare dalla trasformazione dell’altare in mensa, con l’accento passato dalla rinnovazione del sacrificio della Croce alla comunione dei fedeli con il Corpo del Signore.
L’atto redentore è un atto unico, l’atto del solo Cristo: un atto intertrinitario in cui il Figlio offre la sua umanità e l’umanità del mondo in sacrificio al Padre in un atto di assoluta adorazione.
Qui solamente il Mistero trinitario è manifestato nella sua verità. Il sacerdote celebrante viene immerso come persona nel Mistero trinitario, anche se in rappresentanza di tutti i cristiani, ma è egli solo a rendere presente l’atto unico del sacrificio del Verbo incarnato. Tutti partecipano all’oblazione del sacrificio, il sacerdote soltanto lo compie. Questi sono i temi della Mediator Dei che sono andati perduti nel momento in cui l’altare è divenuto mensa.
[…]
I due temi fondamentali della Mediator Dei vengono rapidamente cancellati e in pochi anni dopo il Concilio il Sessantotto ha già creato la possibilità delle eucarestie selvagge.
Il prete non è più il sacerdote, ma il presbitero della comunità, il “presidente dell’assemblea”. E in realtà qui è avvenuta la grande regressione: dalla persona alla comunità.
[…]
E così avviene l’evento disastroso centrale nella vita della Chiesa; un evento non voluto, non previsto, non desiderato: la sostituzione della Chiesa a Cristo. Una volta si diceva: Cristo sì la Chiesa no, ma oggi sembra prevalere il principio contrario: la Chiesa sì, Cristo no.
[…]
Tutto era scritto nella sostituzione dell’altare con la mensa, così che sembrava innocente un ritorno all’evento originario. Ma non era il ritorno alle origini il principio di tutte le eresie che avevano diviso la Chiesa cattolica, negando, in favore delle origini, l’opera dello Spirito Santo nel tempo intermedio tra la prima e la seconda venuta del Cristo? No, nessuno avrebbe previsto che una sostituzione così semplice comportasse una potenzialità eversiva così grande come la riduzione della Chiesa e una comunità orizzontale, a una comunità sociale, fondata sulla sua auto glorificazione.
Ma se al sacrificio della Croce, atto intertrinitario in cui viene comunicata la vita divina agli uomini con un gesto unico del Figlio incarnato, si sostituisce la pluralità dell’atto di partecipazione umana al dono di Dio, si trascina la Chiesa verso il basso.
[…]
Il Cristianesimo diviene espressione dell’amore fraterno, della non violenza e dell’assistenza. E’ una sottile forma gnostica di riduzione della Chiesa a una sorta di purezza meta mondana, di separazione dalla sua carnalità storica e temporale.
Questo culto dell’innocenza assoluta è il sostituto di una fede in chi è venuto a redimere i peccati del mondo. E la Chiesa dovrebbe sapere di essere fatta per gli uomini, non per pseudo angeli delle opere buone che divengono immediatamente compatibili con il mondo, con tutto ciò che di mondano il mondo approva. Il mondo nella sua realtà è cosa migliore di questi eretici della disincarnazione di Dio e della angelizzazione dei cristiani.
[…]
C’è una sottile fessura tra l’ultima grande enciclica di Pio XII sulla liturgia e la Sacrosanctum Concilium. Per quella fessura è passata l’autodistruzione della Chiesa; era di lì che era passato quel “fumo di Satana nel tempio di Dio” di cui parlava Paolo VI, in un momento di pienezza del carisma papale.
[…]
La riforma liturgica fu applicata in modo autoritario e violento, fu un atto di imposizione della gerarchia sui fedeli, che non domandavano la rivoluzione nella liturgia. Nessuna obiezione venne ascoltata. Già operava il “principe di questo mondo” e il fiume anticristico fluiva per passi insensibili.
Tutto sembrava così innovatore, intelligente, comprensibile: rendere persuasivo il Mistero, quale tentazione! E tuttavia bisogna dire che, vedendo quello che è accaduto, i timori del movimento di Econe sembravano giustificati proprio sul punto della potenzialità rivoluzionaria della riforma.
Il risultato è stato il compimento della rivoluzione moderna quando il moderno finiva. E il risultato è che la liturgia della Chiesa postconciliare è una liturgia morente, priva del sacro, del canto, priva di bellezza, di grandezza.
Quando si celebra la Messa tradizionale, si sente in essa la Chiesa vibrare. Il sacerdote appare veramente come alter Christus, come colui che esprime la differenza tra il Cristo e il popolo, esprime l’essenza del sacro. E per vivere il Mistero della divino-umanità, della divinizzazione del cristiano, occorre che la differenza tra Dio e l’uomo, tra il Cristo e il cristiano, sia espressa; il sacerdote come persona sacra esprime la differenza tra il Cristo e il cristiano. Esprime la sacralità, la differenza che è alla base dell’unione. La dissacrazione della Messa è divenuta la dissacrazione del prete.
[…]
La riforma liturgica venne realizzata con un metodo autoritario, perché in essa era implicito il principio moderno di rivoluzione. Sembra strano pensare alle scipite figure dei liturgisti come ad agenti rivoluzionari, ma così fu. Lutero almeno fece le cose in modo forte e proprio. Ma con la riforma liturgica questo è avvenuto senza che vi fosse coscienza della tragedia spirituale che si consumava.
[…]
La nuova liturgia è fatta per il “noi”, non per l’”io”. E questo è caratteristico del pensiero rivoluzionario moderno: mettere il “noi” al posto dell’ “io”.
Nella liturgia riformata c’è posto solo per il “noi”. Mentre nell’eterno compare l’io (e la liturgia terrestre è comunione con la liturgia celeste), nella nuova liturgia esso è assente.
L’io nella liturgia tradizionale appare subito nella dimensione in cui compare nel Cristianesimo: il senso del peccato. Ciò è visibile fin dal doppio Confiteor della Messa tradizionale, che indica la persona. L’io del Confiteor mostra che il Confiteor del popolo è un Confiteor dell’io, non del noi.
[…]
La comunità è una invenzione clericale: coloro che vengono a Messa cercano Dio, non il “noi”. Se avessero la Messa tradizionale vi si inserirebbero subito, ove si fosse un clero capace di introdurre al Mistero.
[…]
La riforma liturgica è fallita perché è nata non dalla Tradizione della Chiesa, ma da un colpo di mano del partito intellettuale.
[…]
Giovanni Paolo II avrebbe dovuto chiedere perdono a tutti coloro che si sono sentiti offesi dalla riforma di Paolo VI e che si trovano oggi emarginati.
[…]
E’ la riforma che svuota le parrocchie e i seminari, che lascia senza autorità i vescovi.
La liturgia è il punto in cui la teologia antropologica poteva ferire il popolo, nella sua dimensione più originaria il sacro.

Gianni Baget Bozzo, L’Anticristo – il principe delle tenebre opera nella storia da piccole fessure… , Mondadori, Milano 2001 pp.46-55



tratto da: http://www.missagregoriana.it/?p=1592