mercoledì 31 gennaio 2018

I nuovi Charlie Gard, le Dat e una società disperata





Benedetta Frigerio 31/01/2018

Alistair MacDonald, giudice del tribunale per i minori dell’Alta Corte di Londra, ha acconsentito alla richiesta dell’ospedale King’s College di Londra di uccidere il piccolo Isaiah Haastrup, 11 mesi, rimasto leso durante il parto e perciò intubato. Il giudice ha appunto dichiarato che non è “nel migliore interesse del paziente continuare con l’accanimento terapeutico per tenerlo in vita”. Nonostante “le acute differenze” tra il parere dei medici e dei genitori, data la “voce illusoria della speranza” di questi ultimi.

Un copione ormai rodato che permette ai medici e ai giudici di arrogarsi il potere di Dio di decidere della vita e della morte di una persona e di uccidere la speranza, tutto naturalmente nel “miglior interesse del paziente” e contro "l'accanimento terapeutico". Eppure i genitori del piccolo hanno dichiarato: “Quando gli parlo lui mi risponde, lentamente aprendo un occhio. Riconosce la mia voce. E non spetta comunque ai medici o a un giudice decidere se la sua qualità di vita è così bassa da non essere degna di essere vissuta”.

Come emerse di fronte alla sentenza contro la vita Charlie Gard torna infatti la domanda: perché anticipare la morte se un piccolo deve comunque morire? Perché non lasciare che muoia di morte naturale a suo tempo? Domande che diventano sempre più drammatiche se si pensa al caso dell’infermiera americana che adotta e cura bambini in queste condizioni, i quali grazie al suo amore sopravvivono magari anni, trattati come dei Re e immensamente amati da una famiglia adottiva che regala loro l’amore mai ricevuto da chi li ha abbandonati né dai medici che pensano che questi pazienti siano dei vegetali la cui vita non solo è inutile ma dannosa.

Ma la risposta è chiara, dato che Isaiah, Alfie Evans e Inés (gli ultimi casi analoghi a quello di Charlie Gard) sono solo gli ultimi rappresentanti di una categoria nascosta di persone la cui esistenza è ritenuta inutile, ma che conta sicuramente molti altri cittadini europei e che il caso Gard ha avuto il merito di svelare. Non a caso coloro che si sono battuti per l’omicidio del piccolo inglese lo hanno fatto con tanta violenza e senza permettere che una sentenza favorevole ai coniugi Gard mandasse in fumo un sistema efficientista ormai rodato da anni.

La posta in posta in gioco era infatti ben più grande della vita o della morte di Charlie: non bisognava creare un precedente che avrebbe sovvertito una prassi fondata sulla legge del più forte e sano che ormai caratterizza il sistema sanitario di alcuni paesi europei, come quello inglese (dove con il Liverpool Care Pathwaycominciarono a piovere denunce dei famigliari di pazienti uccisi in nome delle “cure palliative”) e come quello francese (dove già la Legge Leonetti permetteva di privare le persone dell’alimentazione e dell’idratazione anche se non sono in fin di vita).

Eppure molti parlarono della follia dei Gard che non riuscivano ad accettare la malattia mortale del bambino, rubando il posto letto a chi magari poteva avere chance di performance vitali migliori (dimenticando quanto denaro il sistema riserva agli aborti, alla fecondazione assistita, ai trattamenti ormonali, al cambio di sesso etc). Pazzi anche gli Haastrup? Illusi anche gli Evans? Accaniti anche la mamma e il papà di Inés? O forse che la scusa della disperazione come spiegazione alla battaglia dei Gard serviva a mascherare l’operato eutanasico di una sistema legale sanitario darwinista che si sta imponendo in Occidente?

È un vero peccato perché con l’eliminazione dei più deboli prima del tempo, scompare il valore immenso che ha il debole dei deboli, l'incosciente, il sofferente magari, ma per la cui vita ci si batte, sapendo che prima o poi se deve morire morirà. Il valore della povertà più pura che permette lo spettacolo della gratuità e della carità senza calcoli, senza scopi, per cui si cerca sempre un esito positivo di miglioramento, per cui si spera anche nel miracolo, ma che non è determinata ultimamente dall’esito, ma solo dall’amore senza tornaconti per un sofferente. Sapendo del valore che ha la vita più debole agli occhi di un Creatore che per salvarci è andato in Croce e che ci ha domandato di seguirLo accettando la Sua volontà e quindi anche la legge della sua creazione.

Al di fuori di questa ottica, eterna, la morte e la sofferenza diventano insostenibili, ma è proprio questa la consapevolezza che spinse i cristiani, per primi, a costruire gli ospedali dove suore e preti e medici curavano gli inguaribili. Una consapevolezza nata dalla fede ma che ha creato una civiltà più umana per ogni cittadino credente o non credente, per cui è giusto battersi senza compromessi, in nome del Bene Comune di tutti.

Abbandonare questa strada significa, infatti, come sta accadendo anche in Italia (dove ieri è entrata in vigore la Legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento,che ammette la sospensione di alimentazione idratazione), creare una società dove alla base dei rapporti non c'è più la gratuità per l’essere dell’altro ma in cui la sua vita e la sua sofferenza lo rendono una potenziale minaccia alla propria esistenza. Una società di individui sospettosi, nemici e quindi soli e depressi che comunque prima o poi dovranno morire ma da disperati. Producendo così una sofferenza peggiore di quella fisica che si genera cercando di eliminare il sofferente.








martedì 30 gennaio 2018

La regola di San Benedetto ha modellato l'occidente cristiano









Il 28 febbraio 2018 ricorrerà il decimo anniversario della morte di Dom Gérard Calvet O.S.B.(1927-2008), fondatore e primo abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux. Iniziamo a ricordarlo offrendo di seguito la prima parte di Regard sur la Chrétienté (Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux 1982, qui pp. 11-17), ripresa in libretto del dialogo dell’inverno 1982 fra Bernard-Romain-Marie Antony e Dom Gérard, originalmente pubblicato nei nn. 99, 100 e 101 del quotidiano Présent. Trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.


Perché i monaci?

Essenzialmente per la preghiera. La preghiera non è un’attività umana fra altre. Essa è l’attitudine essenziale mediante la quale l’uomo esprime la sua adorazione, la sua dipendenza, il suo amore, la sua azione di grazie per Colui che è la bontà infinita. Mi sembra che si parli troppo poco della bontà di Dio. È tuttavia questa bontà infinita a deliziare il monaco.
Guardate san Bruno: quando ha raggiunto il deserto delle certose, si è girato verso questi orizzonti straordinari, esclamando: “O Bonitas”. Vedeva, leggeva la bontà di Dio attraverso la sua bellezza. Ma se la creazione è un vestigio della bontà di Dio, che dire allora quando si guarda il Crocifisso?


Nella vostra ultima Lettre aux Amis du Monastère, parlate di tre fedeltà: “Fedeltà alla Regola, fedeltà alla liturgia, fedeltà inoltre a quella carità amichevole di cui gli antichi avevano il segreto, senza la quale è impensabile rifare una cristianità”. La vita moderna, che distrae i nostri contemporanei dalla contemplazione, ne offre loro come la nostalgia, ma ciò che non comprendono affatto, è la necessità di una regola.


Ciò nonostante la regola è presente ovunque. Non vi è che da guardarsi attorno. La bellezza dell’universo deriva dalla sottomissione alle leggi che ne regolano l’armonia. Guardate gli animali: sono sottomessi alla regola inflessibile dell’istinto; guardate il cielo stellato, che esempio sontuoso di obbedienza alla regola! Gli esseri umani che vogliono vivere in società sono pure essi ben costretti a sottomettersi a una legge.

La Regola di san Benedetto apporta un rimedio al peccato originale. Salva l’uomo dall’istinto selvaggio, lo sottrae al capriccio; è la condizione della sua libertà. È un miracolo di equilibrio, sovranamente adattato al bene dell’anima, alla vita consacrata, alla ricerca di Dio. Di una meravigliosa flessibilità, essa si adatta altrettanto bene agli occidentali e agli uomini di colore. Me ne sono accorto quando ci hanno inviato a fondare un monastero in Brasile. Scritta nel secolo VI, essa sembra scritta per i tempi moderni; permette ancora oggi all’uomo di convertirsi, cioè di volgersi a Dio, nell’ambito di una famiglia di fratelli, sotto il paterno governo dell’Abate.
Se i sacerdoti volessero ispirarsene, essa potrebbe essere il rimedio più appropriato alla crisi attuale del clero.


Al giorno d’oggi si ammette volentieri che la Regola di san Benedetto è stato un fattore importante di civilizzazione. Come ve lo spiegate?

La santa Regola è stata il codice di vita dei primi evangelizzatori dell’Europa. Ha dunque modellato il nostro Occidente cristiano, non come lo farebbe una teoria, ma in quanto metodo educativo. E come in ogni metodo educativo, quando se ne stravolgono alcuni elementi, l’educazione non è più ricevuta. Occorre dunque rispettare l’integrità della Regola. Credo che per noi questa è stata una grazia, il fatto di volerla osservare alla lettera, perché essa si rivela perfettamente adatta ai giovani d’oggi.

Da noi i giovani non hanno mai contestato la santa Regola; al contrario, ammirano a quale punto essa sia umana, dolce, familiare. Péguy diceva che le regole flessibili sono più esigenti delle regole dure. Si potrebbe dire che la Regola di san Benedetto è una regola flessibile, in quanto è temperata dalla carità ed è improntata a un carattere propriamente paterno e familiare.



Dopo la fedeltà alla Regola, c’è la vostra fedeltà alla liturgia. In quasi tutti i monasteri la liturgia è stata profondamente alterata. Da voi, dom Gérard, è rimasta intatta. Perché?

Potremmo dire che è per le stesse ragioni: la santa liturgia è la regola della preghiera, e questa regola di preghiera è ancora più venerabile della Regola benedettina, poiché s’identifica con il cuore, l’anima e la vita della Chiesa. Sono i salmi, il santo sacrificio della messa, il grande sacramentale dell’ufficio divino, da Mattutino e le Lodi fino alla Compieta. Amiamo la santa liturgia perché è una meravigliosa scuola di preghiera. Essa è, diceva dom Guéranger, “il magistero della Chiesa pervenuto al suo grado più alto di splendore e solennità”; permette di cogliere dalle labbra e dal cuore della Chiesa lo stesso pensiero del suo Dio. Mette in azione l’uomo nella sua interezza, con il suo corpo, la sua anima, il suo spirito, la sua intelligenza, la sua sensibilità.

I salmi sono delle grida d’amore, di pentimento e ammirazione; una specie di sfogo affettuoso verso Dio, anziché una meditazione discorsiva. La pietà degli antichi monaci era molto più semplice, più affettuosa, più cordiale, più vicina all’infanzia che al genere di meditazione analitica che è prevalso a partire dal secolo XVII.



Qual è la trama di fondo della pietà monastica?

Sono i salmi! Il salterio è il pane quotidiano della pietà monastica. Per meglio dire, è la manna del deserto. Perché i salmi parlano di Cristo e Cristo parla attraverso i salmi. Grazie all’ufficio della salmodia, nuotiamo nel grande fiume liturgico che ci penetra e ci trasforma un poco alla volta. E poi, i salmi sono ispirati. La salmodia è Dio che parla a Dio, dettandoci le formule, gli accenti e le cerimonie scelte da lui. È dunque la preghiera pubblica della Chiesa, sposa di Cristo; e la voce della Sposa raggiunge il cuore dello Sposo.

Infine, occorre dire che questa preghiera è fatta di uno splendido materiale, giacché una grande poesia sacra accompagna tutte le cerimonie della Chiesa.




Sembra d’altronde che la Chiesa di oggi, abbandonando la tradizione liturgica, abbia rinunciato alla bellezza del culto. Non vi è confusione fra bruttezza e povertà?

Esattamente. Siamo in piena confusione. Vi era nei moderni una certa intuizione, che all’inizio era buona: la bellezza non dipende da un’accumulazione di materiali, da una deriva di ornamenti e di sovrappesi. Bene. Ma hanno fatto una confusione ben più grave. Hanno creduto che la semplicità fosse una cosa facile.

Si tratta di un errore. Il canto gregoriano, per esempio, è un’arte di una grande semplicità di mezzi; ma è un’arte difficile. Semplicità non vuol dire indigenza, è ascesi della bellezza. Credendo di semplificare, hanno mutilato, hanno schematizzato, hanno soppresso la vita, hanno creato delle liturgie astratte, asciutte, disseccanti, senza poesia, senza lirismo e senza trascendenza, che cominciano a datare terribilmente.




Nelle riforme uscite dal Concilio, all’inizio non c’era un desiderio legittimo di volere riaccordare la liturgia alla sensibilità popolare?

Certamente. C’era tutto un lavoro da svolgere, di rieducazione e nuovo radicamento. Ma sono stati commessi due errori.

In primo luogo, si è trattata con disprezzo l’anima popolare, scadendo nel facilismo e nella volgarità; poi si è agito con empietà mettendo mano al tesoro trasmesso dalla Tradizione. Supponete che si abbia cattivo gusto, supponete che si sia confusa semplicità e indigenza; può succedere. In ogni caso, c’era un’empietà flagrante nel porre mano su questi tesori che fanno parte del patrimonio dell’umanità, che gli atei riveriscono, che i protestanti rispettano. Poiché quanti hanno un po’ di senso umano sentono che ciò tocca i valori più elevati dell’anima. C’è là qualcosa d’incredibile nella storia della Chiesa.
Dunque, non fosse altro che a titolo di riparazione, siamo rimasti fedeli alla liturgia integrale. Poi ci siamo resi conto molto velocemente che eravamo i primi beneficiari di questa grande Tradizione; è grazie all’influenza dolce e regolare della liturgia che dom Innocent Lemasson ha potuto scrivere: “I nostri chiostri sono accademie di pace, di silenzio e di libertà”. Poco alla volta la liturgia trasforma la nostra anima, il nostro spirito, la nostra immaginazione, anche il nostro corpo; perché il rito liturgico educa il corpo umano, lo disciplina, lo purifica, poi mette sulle nostre labbra i cantici annunciatori della vita eterna. Adesso capite perché la liturgia fa parte “usque ad mortem” del nostro programma di fedeltà.






















domenica 28 gennaio 2018

Il convento di San Marco a Firenze non deve morire





di Sandro Magister

Quello di San Marco a Firenze è il convento domenicano più famoso al mondo, affrescato dal Beato Angelico e per secoli faro di santità, di arte, di cultura, fino ai giorni nostri.

Eppure è ora sul punto di essere soppresso, proprio per volontà dell'ordine di san Domenico.

Il professor Pietro De Marco, fiorentino, che i lettori di Settimo Cielo da anni leggono e apprezzano, spiega perché tutto ciò accade e lancia un appello perché il convento sia salvato dalla chiusura.

Con un'annessa petizione, già sottoscritta da tanti che hanno a cuore la sopravvivenza non solo di questo luogo, ma della "civitas" di cui esso è l'anima.


*

PER SAN MARCO E PER FIRENZE


di Pietro De Marco

La chiusura del convento di San Marco a Firenze è stata confermata da una recente nuova risoluzione, nel luglio 2017, del capitolo della provincia romana dei padri domenicani, che include Centro Italia e Sardegna.

La chiusura, già deliberata una prima volta nel settembre del 2013 e poi rimandata, prevede ora anche:

- la perdita di identità e funzioni della Biblioteca "Levasti", unica a Firenze per le sue dotazioni librarie in scienze religiose e la rete dei rapporti intellettuali;
- il ridimensionamento a sola diffusione on line della “Rivista di Ascetica e Mistica”, nata nel 1929;
- un incerto destino della storica Farmacia;
- insomma, pressoché una cancellazione che ha lo strano sapore di una "damnatio memoriae" che si abbatte sulle ultime generazioni domenicane di San Marco.

Può sfuggire infatti, a chi non conosca la storia recente della Chiesa fiorentina e italiana, che in San Marco parve concentrarsi, nella seconda metà del Novecento, una resistenza di alta qualità intellettuale e spirituale, come di tagliente "vis" polemica e critica, alla piega presa nella Chiesa cattolica dalla stagione del dopoconcilio, a Firenze accentuatamente, ma ovunque.

Era una resistenza costituita, contemporaneamente, dalla continuità dello studio di san Tommaso (con i padri Centi e Boccanegra) e dalla storia delle forme e figure spirituali e mistiche (con il padre Colosio). Ragioni più che sufficienti, nel clima attuale della Chiesa, per decretare finalmente l’estinzione del "conventus", cioè sia della casa che della comunità di San Marco e la cancellazione di ogni sua memoria.

Nell'ormai lontano 2014, tra marzo e luglio, fu necessario intervenire, in più persone, più volte e in varie sedi, per cercare di allontanare le conseguenze indesiderabili di una soppressione canonica del convento, allora chiesta ma non ancora ratificata a Roma.

Si parlò di Lorenzo de’ Medici, di Pico della Mirandola e di Savonarola, poi di Giorgio La Pira: ovvero del convento nella vita storica di Firenze. Dicemmo anche che si coglieva, nella decisione, una fretta eccessiva e un’angustia di prospettive, non all’altezza di un grande ordine religioso quale il domenicano.

Per quanto motivato, infatti, dallo stato di necessità – dal collasso numerico, anzitutto, che da decenni ha colpito quasi tutti gli ordini religiosi –, questo genere di provvedimenti rivolti a semplificare drasticamente, se non a liquidare, situazioni di lunga tradizione e autorevolezza, ha una portata oggettiva, all’esterno. Genera ferite nello spazio pubblico e cittadino. In gioco, infine, è la stessa Firenze!

Il temporaneo rinvio fu l’effetto di reazioni e istanze diverse che giunsero a Roma, di una petizione  che ebbe largo seguito, e infine di un ragionevole accordo tra il padre generale dei domenicani e il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, tra luglio e settembre del 2015.

L’arcivescovo, naturalmente, non ha autorità sulle decisioni di un ordine religioso, ma aveva ancora una volta interpretato e rappresentato la città. Si spese l’argomento civile e religioso del convento di San Marco come luogo della memoria di La Pira e di una storia cittadina, il dopoguerra, segnata dalla sua eccezionale presenza. Si conveniva, così, di rinviare ogni decisione radicale (sperando nel frattempo di evitarla) al termine del processo di beatificazione del sindaco.

Sono trascorsi oltre tre anni dalle delibere e discussioni del 2013-2014. E per quanto su Wikipedia si legga che i “pochi frati superstiti” siano stati riuniti a quelli di Santa Maria Novella, in realtà la soppressione non è stata ancora attuata, il convento è tuttora abitato, le attività restano vive e i frati si possono ancora occupare dello stato di conservazione degli edifici.

Ma il capitolo provinciale dei domenicani, organo di governo, ha nuovamente deliberato nel senso della primitiva decisione.

Per capire questa pertinacia, bisogna ricordare che la crisi degli ordini religiosi cattolici, in particolare la crisi di vocazioni, avviene non solo sotto le pressioni oggettive della tarda "secolarizzazione" – una società intrisa di agnosticismo, di realizzazione di sé tutta mondana, di scetticismo e risentimento –, ma come effetto di una tendenza interna alla Chiesa, a partire dagli anni del Concilio Vaticano II, tendente a squalificare l’ideale della "vita regolare", cioè la vita di perfezione condotta interamente e in comunità sotto la disciplina e la forza ispiratrice di una regola e di più modelli di santità.

Un tale processo ha colpito intimamente la vita religiosa. Ma c'è dell'altro che preoccupa. Negli atti del recente capitolo provinciale dell'ordine di San Domenico leggiamo che le "ristrutturazioni" in corso mirano ad “una maggiore libertà della predicazione”, a “vivere l’itineranza in modi concreti, con maggiore dinamismo delle comunità”.

Ma, senza vita spirituale cosciente e sistematica, che cosa un "uomo di Dio" porterà agli altri nelle "periferie esistenziali", così di moda? L’itineranza che caratterizzò le prime generazioni domenicane era retorica dell’Esodo e dell’andare verso l’Uomo, o era invece destinata alla predicazione e alla lotta contro l’eresia?

Compare in questa decisione su San Marco e su altri conventi un doppio argomento, quello dello stato di necessità e quello delle finalità nuove e più dinamiche, con cui le organizzazioni in genere motivano riduzioni e tagli alle proprie strutture. Tutti, d’altronde, spesso adottiamo gli scenari di ripiego detti dell’uva acerba, proprio quelli della volpe di Esopo. Ma c’è un rischio. Nel caso di San Marco la strategia dell’uva acerba – quella che dice: "In fondo meglio così, faremo cose più importanti" – impedisce di valutare adeguatamente le molte conseguenze e i danni, anche "pastorali", dell’abbandono del convento.

Su questo punto insiste il testo della "Petizione al maestro generale dell’ordine domenicano", reperibile da oggi su un sito dedicato. Vi si argomentano una certa contraddittorietà delle disposizioni, i sicuri danni che si procurano alle realtà esistenti in nome dell’inesistente, la noncuranza nei confronti delle persone e delle loro ragioni, quando si ignora l’accordo del 2015 tra il vertice dell’ordine domenicano e il vescovo della città, e molto altro. Non resta che leggere con attenzione, riflettere e, eventualmente, firmare.
















SEMPRE VERGINE? UN SAGGIO DI PADRE SERAFINO MARIA LANZETTA RILANCIA LA DISCUSSIONE SU UN TEMA CHE DIVIDE LA CHIESA DA SECOLI.




MARCO TOSATTI

Cari amici, pubblichiamo volentieri la presentazione di un libro di padre Serafino M. Lanzetta sul tema della verginità di Maria. E ne parla – ne scrive – su Stilum Curiae il M° Aurelio Porfiri, che ringraziamo per questa introduzione. Padre Serafino Maria Lanzetta è un frate francescano dell’Immacolata in carica della parrocchia di St. Mary – Gosport, nella diocesi di Portsmouth, Inghilterra. È libero docente di teologia dogmatica alla Facoltà Teologica di Lugano (Svizzera) e
collabora con la School of the Annunciation di Backfust Abbey (Inghilterra). Tra le sue opere recenti si segnala “Fatima un appello al cuore della Chiesa. Teologia della storia e spiritualità oblativa” (Casa Mariana Editrice, Frigento 2017); “La porta della fede. Quando ragione e amore s’incontrano” (Leonardo da Vinci,
Roma 2017); “Il Vaticano II un concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari” (Cantarelli, Siena 2014).


La verginità di Maria è stata da sempre al centro di accesi dibattiti nella storia del Cristianesimo e di negazioni eclatanti. Nomi come Cerinto, gli ebioniti, Elvidio nei primi secoli, A. Mitterer e K. Rahner, nella metà del secolo scorso e più vicino a noi R. Brown, si aggiungono alla lista dei sospettosi (o degli eretici). 

Elvidio al tempo di S. Girolamo negava la perpetua verginità di Maria, invece il medico e sacerdote viennese, A. Mitterer, non riusciva a capire come mettere insieme la vera maternità di Maria e la sua verginità nel parto. Le due cose si escluderebbero a vicenda, al punto che per assicurare una reale maternità sarebbe stato doveroso ammettere la rottura del grembo e le doglie del parto. 

Il gesuita tedesco K. Rahner, in felice dialogo con tutti, non solo si accodò a detta proposta, ma ne derivò pure che la verginità di Maria nel parto non ha un solido fondamento. È un problema! L’aggettivo “problematico/a” entrò così ufficialmente nella teologia mariana rinnovata e presto la verginità (fisica) di Maria assurse al rango del simbolo, mentre si faceva spazio la “verginità del cuore”. 

L’integrità verginale di Maria, specialmente in partu, era da spostare dal piano fisico a quello teologico della purezza di fede della Vergine nell’accogliere il Verbo di Dio. Il corpo non era in fondo determinante. 

In ambito esegetico, l’americano R. Brown si è segnalato nel tentativo di leggere il dato del concepimento verginale non come “mito” – in questo fa un passo in avanti rispetto a molti altri – ma come espediente letterario dell’agiografo che gli consente di passare dall’Antico Testamento al Nuovo, mancando di fatti la prova della sua storicità. 

La filiazione divina di Gesù che emerge dal Battesimo nel Giordano fornirebbe a Matteo e Luca l’aggancio letterario per risalire al momento nascosto del suo concepimento nel grembo della Vergine Maria. 

Non importa quindi se Gesù sia stato concepito verginalmente (questo non lo si potrebbe sapere perché i Vangeli non sono affidabili), ma che sia stato proclamato retrospettivamente figlio di Dio fin dal grembo di sua Madre. Cade come inutile la verginità nel concepimento di Cristo e di conseguenza quella nel parto. A chi interesserà poi sentire che Maria è rimasta vergine dopo il parto? 

Questa prospettiva risulta tanto capziosa quanto interessante. L’Autore del saggio ne accoglie la suggestione ribaltandola per dimostrare che è vero proprio il contrario: è più logico che si parta dal concepimento verginale di Gesù per arrivare all’epifania del Giordano. Quest’ultimo evento è piuttosto la ratificazione pubblica di ciò che era già avvenuto in modo nascosto nel grembo di Maria. 

Bisogna rispettare la progressività della Rivelazione senza la quale i discepoli e gli agiografi non avrebbero afferrato nulla del mistero, a meno che non si risolva tutto in un racconto mitologico. 

La storicità dei vangeli è fondamentale e la verginità di Maria è l’inizio. Se quest’ultima si offusca o viene ridotta a puro simbolo, Gesù e il Regno Cieli da lui inaugurato – per il quale ci si fa addirittura eunuchi – diventano insignificanti. 

Quello che è accaduto? La verginità di Maria è una formidabile risposta alla situazione di declino nella Chiesa della vita religiosa e del matrimonio, principiata da una scorretta visione degli stati di vita del cristiano. 

Oggi la fanno da padrone novelli discepoli di un monaco del IV secolo di nome Gioviniano, i quali predicano di nuovo che la verginità non è superiore al matrimonio e che ciò che conta è difatti il battesimo che tutti unifica. 

La vita religiosa ha perso il suo sapore e tanti suoi membri. Anche il sacramento del matrimonio non è in buona salute. 

Si riscontrano affinità di non poco conto tra Gioviniano e Amoris laetitia, con qualche lieve deriva più epicurea: non solo il matrimonio è pari alla verginità, ma addirittura il rapporto sessuale more uxorio è pari al matrimonio e quindi alla verginità. 

In fondo, se il battesimo è uguale per tutti, il premio celeste è lo stesso. Così Gioviniano esortava le vergini a lasciare il loro stato di vita! 

La Chiesa si trova oggi di nuovo divisa tra discepoli di Gioviniano e veri seguaci di Cristo, incalzati entrambi da un infuocato Girolamo che dice: «La verginità è il frutto del matrimonio». 

Se il matrimonio è in crisi, perché ha perso di vista la castità coniugale, lo è pure la verginità e se la verginità è in crisi, perché ridotta a mero simbolo, il matrimonio non sa più cosa farsene di se stesso. 

Il libro di Lanzetta ci offre la risposta che la Chiesa si attende in quest’ora così travagliata. Con gli occhi rivolti alla Semprevergine Maria.


















sabato 27 gennaio 2018

Mons. Athanasius Schneider sulla crisi della Chiesa






26 gennaio 2018

Traduzione di chiesa e postconcilio dal National Catholic Register [qui] di una recente intervista a Mons. Athanasius Schneider, del corrispondente da Roma, Edward Pentin, nella quale vengono toccati i temi più salienti dell'attuale situazione ecclesiale, compresa la questione della FSSPX.



Il vescovo ausiliario di Astana in Kazakhstan, Athanasius Schneider, sta assumendo un ruolo di primo piano nell'affermare l'insegnamento morale della Chiesa di fronte alle varie interpretazioni del capitolo 8° di Amoris Laetitia, documento di sintesi di Papa Francesco sul Sinodo sulla famiglia, che alcuni sostengono stia minando la fede e la morale.


Il 31 dicembre, lui e altri due vescovi kazaki hanno reso pubblica una "Professione di fede sulle verità immutabili in ordine al matrimonio sacramentale" [qui] affermando che alcune interpretazioni del citato capitolo da parte dei vescovi - riguardanti, in particolare, l'ammissione alla Santa Comunione dei divorziati risposati che non vivono in continenza - causano "dilagante confusione", favoriscono la diffusione della "piaga del divorzio" e introducono una disciplina "aliena" rispetto a tutta la Tradizione della fede cattolica e apostolica.


I vescovi, ai quali se ne sono aggiunti altri cinque, hanno riaffermato l'indissolubilità del matrimonio e hanno sostenuto che alcune interpretazioni del Capitolo 8° equivalgono a "una specie di introduzione del divorzio nella vita della Chiesa".


Il vescovo Schneider, cresciuto sotto il comunismo sovietico che perseguitava la Chiesa, ha sviluppato una profonda devozione all'Eucaristia ed è diventato famoso per il suo fervore nel difendere le verità di fede di fronte al crescente relativismo morale.


Nato nel Kirghizistan sovietico nel 1961 da genitori di etnia tedesca, ha scoperto la vocazione al sacerdozio all'età di 12 anni e fatto la sua professione nell'ordine religioso dei Canonici regolari della Santa Croce di Coimbra all'età di 20 anni. Ordinato nel 1990 in Brasile, ha conseguito un dottorato in patristica ed è stato inviato in Kazakistan per aiutare la creazione di un seminario. Nel 2006 Benedetto XVI lo ha nominato vescovo ausiliare dell'Arcidiocesi kazaka di Karaganda; nel 2011 è stato nominato vescovo ausiliare di Astana.


In questa esclusiva intervista al Register dell'11 gennaio via e-mail, il vescovo Schneider approfondisce la sua devozione a Gesù nell'Eucaristia, spiega perché si oppone fermamente alla Comunione nella mano e affronta la crisi odierna nella Chiesa, che vede principalmente come una "negazione pratica del mondo soprannaturale" provocata dal porre l'uomo piuttosto che Dio al centro della vita della Chiesa e della liturgia.


* * *


Eccellenza, ha scritto molto sull'Eucaristia, in particolare il suo libro Dominus Est. Perché lo ha scritto?

Ho scritto quel libro a causa del triste fenomeno della prassi della cosiddetta "Comunione sulla mano", una prassi che dimostra in modo evidente e innegabile una banalizzazione della Santissima Eucaristia - una banalizzazione che rasenta la profanazione ed è posta sotto gli occhi di tutti nella stragrande maggioranza delle chiese cattoliche di tutto il mondo, con l'eccezione di poche regioni e diocesi. È provato che tale prassi non è mai esistita nella Chiesa cattolica, e non ha nulla a che fare con una prassi analoga nei primi secoli. Bisogna smascherare questo mito e questa falsificazione. Questa prassi moderna, infatti, con i suoi atti concreti fu inventata nelle comunità calviniste e non esisteva nemmeno nella tradizione luterana.

In secondo luogo il mio libro si basa su due esperienze indimenticabili nella mia vita: quando nel 1973 la mia famiglia lasciò l'Unione Sovietica - vivevamo in Estonia - il nostro parroco, don Janis Pavlovskis, dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, un confessore che ha sofferto nei gulag staliniani, ci ha detto: "Quando andrete in Germania, non entrate nelle chiese in cui viene data la Santa Comunione sulla mano". I miei genitori e noi quattro bambini (eravamo adolescenti) ci siamo guardati l'un l'altro e siamo rimasti profondamente scossi, e i miei genitori spontaneamente hanno detto: "Che cosa orribile!" Nessuno di noi poteva immaginare che il Signore eucaristico, il Santo dei Santi, potesse essere trattato in modo così banale, e abbiamo promesso al nostro confessore, un santo sacerdote, che non saremmo mai entrati in tali chiese. Al nostro arrivo ​​in Germania i miei genitori hanno cercato di evitare Le Chiese in cui si dava la Santa Comunione sulle mani.
Tuttavia, nella nostra città in Germania e nei suoi dintorni, la Santa Comunione era ovunque data in mano. Un giorno, quando tornammo a casa dopo una messa domenicale, mia madre si rivolse a noi e disse con le lacrime agli occhi: "Oh, figli miei, non riesco a capire come le persone possano trattare Nostro Signore in un modo così orribile!" Dall'età di 12 anni, ho portato nella mia anima questo dolore, e non ho potuto capire come le persone possano trattare Nostro Signore in modo così negligente. L'ammonimento di un prete martire, che mi ha dato la mia prima comunione, le lacrime di mia madre e la mia stessa esperienza, mi hanno spinto a scrivere questo libro per alzare la voce a difesa del Signore eucaristico, che diviene ai nostri giorni il più povero, il più fragile e il più indifeso dell'ostia consacrata.

Quanto ha influito sulla sua fede vivere sotto il comunismo?
La fede cattolica può essere trasmessa solo in famiglia, dai genitori e dai nonni. Essi ci hanno instillato fin da bambini la fede cristallina, concreta bella e cattolica di ogni tempo, che essi stessi hanno ricevuto dai loro genitori e nonni. In un mondo ostile, che perseguitava la fede cristiana e la denigrava pubblicamente, le case di una famiglia cattolica erano una sorta di catacomba con una fede vivente. È stata un'esperienza indimenticabile per me: le preghiere familiari quotidiane, le preghiere domenicali in assenza di un prete - tutto è stato fatto nel nascondimento.

Siamo vissuti diversi anni senza avere la possibilità della Santa Messa e della confessione, perché i sacerdoti erano imprigionati o esiliati. Tuttavia desideravamo ogni giorno la santa comunione e spesso facevamo atti di contrizione. Sentivamo come il Signore ci visitava con le sue grazie anche in assenza di un prete. Poi, quando inaspettatamente arrivò un prete ci confessò e celebrò la santa Messa segretamente, fu una vera festa, che ci diede molta forza e gioia. Quando ero già prete e studiavo a Roma negli anni '90, un giorno mia madre mi chiamò dalla Germania, e con un dolore sincero disse piangendo: "Sono stanca di assistere a messe irriverenti e banali. Preferisco tornare alla Chiesa clandestina nel tempo comunista, quando abbiamo avuto messe riverenti e santi sacerdoti ".

In generale, quali sono le maggiori preoccupazioni della Chiesa oggi, specialmente in Occidente? Alcuni cattolici mettono in discussione il Concilio Vaticano II o, piuttosto, la sua interpretazione. È questa una causa della crisi, secondo lei?
La mia più grande preoccupazione per la Chiesa oggi è il fatto che su larga scala c'è un processo - già iniziato con il Concilio Vaticano II - di una "conformazione al mondo", contro il quale gli apostoli e i Padri della Chiesa hanno già avvertito : "Non conformatevi a questo mondo" (Romani 12: 2). C'è, dal Concilio Vaticano II, una tendenza chiaramente sviluppatasi di piacere al mondo. Quando i chierici iniziano a compiacere il mondo, corrono il rischio di diventare quei falsi profeti di cui parla l'Apostolo Giovanni: "Sono del mondo; perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta". (1 Giovanni, 4-5). Il desiderio di parlare come piace al mondo, o di parlare per conquistare la simpatia del mondo, o di non essere emarginati o perseguitati dal mondo, si rivela davvero come un complesso di inferiorità.

Il più grande pericolo spirituale della Chiesa oggi si manifesta nell'antropocentrismo, e l'antropocentrismo è il passo decisivo verso l'idolatria. L'antropocentrismo nella vita della Chiesa si manifesta soprattutto, e in modo molto patente, nella liturgia rinnovata dopo il Concilio (anche se la forma della liturgia riformata differisce dalle stesse intenzioni dei Padri conciliari e non è conforme al testo della stessa Sacrosanctum Concilium). Lo spirito del mondo e l'antropocentrismo manifestano il naturalismo. È quasi sempre una negazione teorica e sempre pratica del soprannaturale. L'indebolimento o la negazione pratica del mondo soprannaturale, il mondo della fede e della grazia divina, crea necessariamente il primato dell'attivismo fabbricato dall'uomo, l'eresia dell'attivismo, una specie di neo-pelagianesimo e dottrine inventate dall'uomo, e questo è gnosticismo. La vita della Chiesa oggi è profondamente ferita dal naturalismo, cioè dal neo-pelagianesimo e dal neo-gnosticismo.

Come vorrebbe veder riformata la Chiesa in termini generali?

Il rimedio è rompere con il complesso di inferiorità verso il mondo, per mettere Cristo al centro di ogni dettaglio nella liturgia della Messa, per annunciare Cristo veramente incarnato, Cristo crocifisso, Cristo che vive e regna nella sua Maestà Divina nascosta nell'Eucaristia, Cristo Re di ogni uomo e dell'intera società umana. Il clero, e in particolare i vescovi e i sacerdoti, devono riprendere il metodo degli apostoli: il primato della preghiera (e la preghiera per eccellenza è la liturgia della Santa Messa) e il ministero della Parola, cioè la proclamazione senza paura dell'unicità di Cristo come unico Salvatore dell'umanità, memori delle parole degli apostoli: "Noi, tuttavia, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della Parola" (Atti 6: 4).


Sulla “Professione” riguardante il matrimonio sacramentale, perché l'ha firmata? È intesa come una sorta di correzione di Papa Francesco, e cosa dice a chi pensa che un simile atto sia divisivo?
La diffusione delle norme pastorali, che prevedono che in singoli casi si possa ricevere la Santa Comunione pur continuando a vivere abitualmente e intenzionalmente more uxorio mantenendo relazioni sessuali con una persona che non è il legittimo consorte, ha causato una considerevole e crescente confusione tra i fedeli e il clero. È una confusione che tocca le manifestazioni centrali della vita della Chiesa, come il matrimonio sacramentale e la Santissima Eucaristia. Poiché tali norme sono state approvate anche da Papa Francesco, eravamo consapevoli della nostra grave responsabilità e del nostro dovere dinanzi ai fedeli, che attendono da noi una professione pubblica e inequivocabile della verità e della disciplina immutabile della Chiesa riguardo all'indissolubilità del matrimonio.


Quando c'è un pericolo spirituale comune nella vita della Chiesa, i vescovi hanno il dovere di alzare la voce; altrimenti, sarebbero colpevoli di connivenza con l'errore. L'ufficio del Papa non è quello di un dittatore, verso il quale nessuno osa esprimere, privatamente o pubblicamente, una preoccupazione ben fondata. I vescovi sono fratelli e colleghi del Papa. Cristo ha ammonito soprattutto Pietro, suo vicario in terra, di evitare un comportamento nei confronti degli altri fratelli nel ministero apostolico simile a quello dei potenti di questo mondo: "I capi delle nazioni voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi "(Matteo 20, 26-26). Il nostro atto pubblico di "professione della verità" è pensato per essere un vero aiuto per il Papa, così che lui lui e la Chiesa intera, con tutti i vescovi ed i fedeli possano ancora riflettere seriamente sul pericolo delle menzionate norme pastorali che innegabilmente indeboliscono la testimonianza senza compromessi della Chiesa sull'indissolubilità di matrimonio e possano anche riflettere sul dovere della Chiesa di evitare la minima ombra di dubbio sulla possibilità di favorire praticamente il propagarsi della "piaga di divorzio."


Siamo sinceramente convinti che la storia ci darà ragione e che il Papa stesso ci sarà riconoscente quando apparirà davanti al giudizio di Cristo. Coloro che nella Chiesa promuovono una pratica sacramentale che alla fine approva - anche indirettamente e in singoli casi - il divorzio creano divisioni e si separano dalla parola di Cristo e dalla prassi bimillenaria della Chiesa. La Chiesa, per 2000 anni, ha sempre e ovunque impedito alle persone, in modo inequivocabile, di ricevere la Santa Comunione se vivono more uxorio con chi non è il loro legittimo consorte e che, allo stesso tempo, formalizzano pubblicamente tale unione non matrimoniale senza alcuna intenzione di astenersi dai rapporti sessuali. Questa prassi universale della Chiesa deve essere considerata come irreformabile perché tocca un punto essenziale dei sacramenti.

Quali sono le sue opinioni sulla Fraternità San Pio X? Ѐ in armonia con la loro posizione?(pubblicato a parte sul blog di E. Pentin [qui])

Papa Benedetto XVI e Papa Francesco in varie occasioni hanno parlato con comprensione verso la FSSPX. In particolare, ai suoi tempi, come cardinale di Buenos Aires, papa Francesco ha aiutato la Fraternità in alcune questioni amministrative. Una volta Papa Benedetto XVI, dell'arcivescovo Marcel Lefebvre, ha detto: "Era un grande vescovo della Chiesa cattolica". Papa Francesco considera la FSSPX cattolica, lo ha espresso pubblicamente diverse volte. Pertanto, egli cerca una soluzione pastorale, e ha fatto le generose disposizioni pastorali di concedere ai sacerdoti della FSSPX la facoltà ordinaria di ascoltare le confessioni e la facoltà soggetta a condizione di celebrare canonicamente i matrimoni. Più cresce la confusione dottrinale, morale e liturgica nella vita della Chiesa, più uno capirà la missione profetica dell'Arcivescovo Marcel Lefebvre in uno straordinario tempo oscuro di una crisi generalizzata della Chiesa.

Forse un giorno la Storia applicherà a lui le seguenti parole di sant'Agostino: "Spesso anche la divina provvidenza permette che persino gli uomini buoni siano cacciati dalla congregazione di Cristo da turbolente sedizioni degli uomini carnali. Quando, per amore della pace della Chiesa, sopportano pazientemente insulti o ferite, e non intentano alcuna novità sulla via dell'eresia o dello scisma, essi insegnano agli uomini come Dio deve essere servito con una vera disposizione e con grande e sincera carità. La loro intenzione è tornare quando il tumulto si sia placato. Ma se ciò non è permesso perché la tempesta continua o perché una più violenta può essere suscitata dal loro ritorno, si attengono fermamente al loro scopo di guardare al bene anche dei responsabili dei tumulti e delle agitazioni che li hanno cacciati. Non formano separate conventicole proprie, ma difendono fino alla morte e con la loro testimonianza promuovono la fede che sanno predicata nella Chiesa cattolica. De vera religione 6, 11).








venerdì 26 gennaio 2018

In Austria arriva la “parroca” e la messa è fai da te






di Marco Tosatti (25-01-2018)

In Katholisches – Rivista per Chiesa e Cultura, abbiamo trovato un articolo molto interessante, scritto da una donna, Martha Burger, il che può evitare almeno qualche accusa di maschio-centrismo, su uno strano fenomeno che ha luogo nella diocesi di Linz. In cui una donna, in una chiesa cattolica, dice di sé: “Sono una pastora, manager, parroco e diaconessa, (a ciò) consacrata dalla vita”.

Martha Burger (nella foto sopra) osserva che “Il fenomeno dell’usurpazione degli spazi sacri da parte di donne sta infettando in modo strisciante la Chiesa austriaca e provocando una scarsità di vocazioni mai osservata prima”. E’ un processo che ha radici antiche; e nota, in particolare per il suo Paese la Burger, che “Determinate correnti di pensiero, in particolare quando non fanno parte del mainstream o addirittura ne sono messe al bando, possono sopravvivere sottotraccia anche per generazioni. È solo quando hanno raggiunto una certa forza che accedono la dimensione dell’ufficialità, talvolta in modo improvviso, altre volte in modo subdolo”. Ora, è un dato di fatto che la Chiesa cattolica contemporanea è stata indulgente con deviazioni e le correnti “di rottura” sviluppatesi al suo interno dopo il Concilio Vaticano II, perdendone progressivamente il controllo. I vertici ecclesiali si sono sottratti troppo spesso al confronto, hanno permesso il progressivo emergere di situazioni a loro volta non affrontate. Le conseguenze di tale indulgenza della Chiesa è che essa è arrivata a tollerare deviazioni dottrinali nelle scuole e facoltà teologiche.

Martha Burger parla di conseguenza di una “cecità pericolosa” nella Chiesa. E ne fornisce un esempio evidente: “Questa cecità diviene visibile nell’edizione odierna del Kronenzeitunng (una rivista austriaca n.d.t.). Si noti lo stravolgimento dei concetti, la percezione del proprio ruolo e la pretesa avanzata”.

“Io sono una pastora”: queste sono le parole di Sissy Kamptner (57 anni) riportate dal Kronenzeitung, nel quale si legge ancora: “La teologa cura la Parrocchia del Gesù Bambino a Steyr e chiede più diritti per tutte le donne all’interno della Chiesa“. Il Gesù Bambino (Christkindlbasilika) è una meta di pellegrinaggio nota a livello internazionale soprattutto per il suo ufficio postale, indirizzo “ufficiale” per le lettere dei bambini inviate a Gesù Bambino in tempo natalizio. Figlia di un imprenditore, la Kamptner non ha voluto entrare nell’azienda di famiglia: “Lavoro nella Chiesa già dal 1984“, dice. “Oggi“, continua l’articolo, “la cura delle anime al Gesù Bambino è interamente nelle sue mani”.

“Sono la “parroca” (Pfarrerin è il femminile di Pfarrer=parroco, n.d.t.) titolare”. Nota Martha Burger: “Lo afferma la stessa Kamptner. E’ da tempo, oramai, che la comunità ha imparato ad ‘apprezzare il suo impegno all’altare’ riporta il giornale, anche se si intuisce che si sarebbe potuto dire qualcosa di più che però, per ragioni di political correctness, non è stato scritto. ‘Il sacrificio eucaristico in Basilica viene celebrato da un parroco aggiunto esterno’, così si legge sul giornale e si coglie, in questa breve frase, il completo stravolgimento della Liturgia e dei Sacramenti. La celebrazione Eucaristica diviene un elemento opzionale, accessorio e occasionale; l’elemento centrale è costituito dalla ‘Messa’ della ‘Parroca titolare’. La parolina ‘aggiunto’ lascia poi intuire chi è ora al comando e chi, invece, è solo tollerato”.

Martha Burger sottolinea il fatto che non è più il sacrificio eucaristico, ma delle non meglio specificate “funzioni religiose”. E scrive: “Sorprende che il livellamento venga tollerato ufficialmente dei vertici della Diocesi. A riguardo non è chiaro se – e se sì, chi – si stia comportando colpevolmente in modo ingannevole. Perché, evidentemente, nella Diocesi non c’è nessuno a ricordare ai fedeli che un qualche genere di ‘funzione religiosa’ non soddisfa l’obbligo domenicale”.

E a quanto pare questa ambiguità non si limita a Steyr, se “anche nel capoluogo Linz accade che in alcune parrocchie, dove non si trova più un parroco, si dia libero sfogo alla follia celebrando ogni genere di ‘funzioni religiose’ (celebrazione della famiglie, dei bambini, del carnevale, ecumeniche …), quando basterebbe chiedere ai fedeli di spostarsi di poche centinaia di metri per assistere a una Santa Messa nella Parrocchia confinante”.

L’ambiguità è diffusa e alimentata dalla pagina web della parrocchia-santuario. Denuncia Martha Burger: “La Kamptner, teologa al Gesù Bambino, opera una sorta di inganno, come si intuisce leggendo la pagina internet della parrocchia inserita nel sito della Diocesi. Vi si annunciano diligentemente le funzioni religiose domenicali, senza però indicare se si tratti di Sante Messe o di celebrazioni a-la-Kamptner. Qui, colei il cui ruolo ufficiale è ‘assistente parrocchiale’, appare rivestire all’interno della chiesa un ruolo analogo a quello di un consacrato. Anche in questo la situazione è equivoca e in verità, tra le assistenti pastorali nella Diocesi di Linz, è più la regola che l’eccezione. I loro fazzoletti dai colori batik indossati a guisa di stola dovrebbero indicare una dignità sacerdotale mai posseduta”.

Per farsi un’idea più precisa è sufficiente cliccare sul calendario delle funzioni nella pagina internet della basilica e valutare le indicazioni incomplete che il visitatore vi trova. Per esempio, domenica prossima 21.1.2018 vi sarà una “funzione della parola” e una “funzione parrocchiale”, ma nessuna Santa Messa. “La “funzione della parola” prevede una “preghiera commemorativa” per una famiglia in suffragio del loro figlio defunto. Si tratta di una Messa in suffragio per il quale viene pagata un’offerta? Il sospetto che si incassino offerte per “funzioni religiose” che non sono Sante Messe, è espresso in diverse Diocesi austriache”.

La mancanza di sacerdoti è la ragione addotta, come ben sappiamo, da molti per giustificare questo genere di esperimenti creativi. In Austria – e anche in altri Paesi europei, aggiungiamo noi – questa carenza, secondo la Burger, ha a che fare “con una teologia sbagliata, che combatte il sacerdozio cattolico e che lo vuole sostituire con un altro tipo di sacerdozio. La carenza di sacerdoti, sia voluta oppure no, è il risultato diretto di una teologia errata, alla base della quale vi è una errata comprensione della Chiesa. Questa sempre più pressante mancanza di preti è anche auspicata, almeno da parte del clero e dei laici che operano nella Chiesa. Si ritiene che in questo modo la si potrà costringere a cambiamenti strutturali che si vorrebbero introdurre: la rimozione del celibato sacerdotale e l’accesso della donne al sacerdozio”.

L’ultima consacrazione di un sacerdote – non monastico, o appartenente al mondo della “tradizione” – risale al 2014, e i sacerdoti venivano dalla Polonia e dallo Schleswig- Holstein. Il seminario è quasi vuoto, perché scrive Martha Burger, “I pochi seminaristi capaci di resistere in un apparato di laici infestato dall’ideologia gender, politicamente rosso-verde (Sinistra e Verdi, n.d.t.) e sostanzialmente ostile alla Chiesa, fugge a cercare riparo nella comunità monastiche storiche o nei capitoli dei canonici”.

“Il nostro compito è al servizio della vita, e non delle strutture di potere” – afferma la Kamptner, indicando che la sua – e di altre – funzioni è quella di “promuovere l’equiparazione all’interno delle strutture“. E cioè, “l’ammissione delle donne alle ordinazioni“, il Kronenzeitung riporta letteralmente le parole di Kamptner, “vale a dire che in tema di consacrazione delle donne al Diaconato finalmente si proceda!”. In conclusione, dice di se stessa: “Io sono diaconessa, consacrata dalla vita!”.

(fonte: lanuovabq.it)











mercoledì 24 gennaio 2018

Il Vocabolario della Chiesa Accogliente



di Aldo Maria Valli

Uscito in allegato alla rivista dei gesuiti «La Civiltà Cordiale», il Vocabolario della Chiesa Accogliente è un testo di straordinaria importanza. Fornì infatti le parole, e dunque la materia prima, per alimentare il fuoco dell’aggiornamento. La Chiesa cattolica divenne Chiesa Accogliente in quello stesso anno per volontà di papa Francesco VII, un domenicano dominicano di nome Heinz Carlos Jonathan Mariano José Espinal, che comunicò la decisione con il motu proprio «Gaudeamus igitur».

Come vedrai, caro lettore, in realtà il documento è qualcosa più di un semplice vocabolario. Propone anche indicazioni pratiche sull’uso delle parole. Il suggerimento di fondo è uno solo: più che al ragionamento è bene affidarsi al suono dei vocaboli. Ciò che conta non è il significato, è la strategia. Essere benvoluta dal mondo: ecco ciò che la Chiesa vuole, con tutte le sue forze. Di qui un uso nuovo delle parole.

Ecco alcune pagine del Vocabolario miracolosamente giunte fino a noi:

A

Accogliere – Tutti e sempre. Verbo altamente consigliato. Strategico per farsi accettare nel mondo laicista e ottenere facoltà di parola. Se una persona accoglie, è un cattolico aggiornato. Usare sempre in senso generico: mai specificare che cosa voglia dire precisamente. Utile al pari di accompagnare.

Accompagnare – Azione da compiere sulla via del discernimento. Come per accogliere, verbo altamente consigliato, strategico. Un cattolico aggiornato è un cattolico che accompagna. Mai specificare per andare dove. Usare spesso l’espressione “percorso di accompagnamento”, possibilmente con il volto atteggiato a comprensione e misericordia.

Amore – Parola da usare, ma senza approfondire. Sottolineare soltanto che l’amore di Dio è pieno di misericordia. Dire “Dio è amore” garantisce successo e applausi. Nel dialogo con le altre confessioni cristiane e le altre religioni, l’espressione “Dio è amore”, specie se pronunciata con un sorriso che esprime benevolenza, mette tutti d’accordo. Dire anche che la sola legge è quella dell’amore. Oltre a quella della misericordia.

Apertura – Parola cruciale per il cattolico aggiornato. Consigliabile introdurla dappertutto. Aprire le porte fa sempre bene. Idem per le finestre. Specie per stroncare con misericordia la chiusura dei farisei. L’apertura è necessaria nel processo di discernimento. Un autentico processo di discernimento non è tale senza spirito di apertura. Chi si apre è aggiornato. Il fariseo non si apre.

Ascolto – Termine strategico, vivamente consigliato, sempre e comunque. La sua arte è praticata da chi sta nell’ospedale da campo e anche da chi compie un cammino di discernimento, qualunque cosa voglia dire. Il cattolico della Chiesa Accogliente è uno che ascolta. Anzi, cammina e ascolta. Anzi, ascolta in cammino.

B

Bastione – La Chiesa Accogliente non lo sia mai, specie contro la modernità. La Chiesa Accogliente costruisce ponti, non muri, né tanto meno bastioni. Il cattolico che parla di bastioni, specie contro l’Islam, va deplorato e condannato. Non è degno di essere accolto nella Chiesa Accogliente.

Bene – Ottimo se comune, da evitare invece in senso oggettivo. Ricordare che ognuno ne ha una sua visione, come del male. Evitare di usarlo con l’iniziale maiuscola, perché spaventa. Dire che è preferibile il bene possibile al bene massimo. Non spiegare perché.

Benedetto XVI – Dire che fu un nonno buono, ma evitare di riflettere su che cosa insegnò. Far capire che il suo magistero appartiene a una Chiesa che non c’è più.

Bontà – Il cattolico aggiornato ne fa sfoggio. La Chiesa Accogliente gronda bontà oltre che misericordia. Certe volte il cattolico aggiornato ne è così sopraffatto da aver bisogno di piccole dosi di intolleranza per riprendersi e non pensare di essere già sulla via della beatificazione. La bontà del cattolico aggiornato si estrinseca nella tenerezza. La tenerezza si estrinseca nell’accoglienza. L’accoglienza si esercita nel discernimento. Poi tornare alla casella di partenza.

C

Cammino – Parola altamente raccomandata, strategica, si porta con tutto. Se è ecumenico, il cammino esige che il cattolico faccia autocritica e chieda perdono. Se è di maturazione, va fatto nel discernimento. Ricordare che si pratica nell’ospedale da campo. Contrapporre ad autorità. Camminare fa sempre bene. Preferibile non precisare per andare dove. Camminare nelle periferie esistenziali è espressione consigliabile in ogni contesto. Ricordare che il fariseo, freddo e arcigno, non accompagna e quindi non cammina.

Carico – Da usare nell’espressione “farsi carico”. Specie delle debolezze, delle ferite e dei limiti, all’interno dell’ospedale da campo. Ricordare sempre che il cattolico aggiornato cammina, accompagna e si fa carico. Se poi gli resta ancora qualche forza, discerne.

Castigo – Parola tabù. Non pronunciare mai! Dio non giudica e quindi non castiga! Se dovesse sfuggire di bocca, fare una risata e aggiungere: “Ci siete cascati!” Il castigo divino è impensabile. Tranne che in un caso: può colpire il fariseo freddo e distaccato. Anzi, è auspicabile che lo colpisca, così impara.

Chiesa – Quella Accogliente è ospedale da campo, cura le ferite e va in periferia, perché, com’è noto, da lì si vede meglio. Sia povera e per i poveri. Sia anche incidentata e sinodale. Sia cantiere aperto. Non stare troppo a spiegare che significa. Dire che la Chiesa Accogliente sta vivendo una primavera che i vecchi cardinali tradizionalisti e in preda ai dubia non furono in grado di apprezzare perché chiusi e legalisti. La Chiesa Accogliente è comunità. Anzi, comunità in cammino. Anzi, comunità in cammino sinodale. Verso le periferie. Già detto? Non importa: meglio ripetere.

Chiusura – È quella dei farisei arcigni e freddi. Contraddistingue chi non accetta l’avvento della Chiesa Accogliente e si combatte implacabilmente con la misericordia, a colpi di apertura nel cammino di accompagnamento e nel processo di discernimento. Il cattolico aggiornato non ha chiusure. Se non verso il fariseo freddo e legalista.

Comprensione – Da esercitare in ogni singola situazione. Parola strategica, sempre consigliata. Il cattolico aggiornato cammina, accompagna, fa autocritica, chiede perdono ed esercita la comprensione. Perché non tutto è bianco o nero, eccetera.

Condanna – Parola tabù. Non si pronunci mai! Pronunciarla vuol dire farsi estromettere dal ballo delle idee correnti e dal consesso delle persone civili! Ricordare che Dio non giudica, quindi non condanna. Fare eccezione per il fariseo legalista e freddo.

D

Decentramento – La Chiesa Accogliente lo vuole. Va a braccetto con la sinodalità. Dire che il decentramento aiuta a vedere le periferie e le ferite.

Dialogo – Alla Chiesa Accogliente piace da morire. Il cattolico aggiornato è tutto un dialogo e un dialogare. Caldamente raccomandato il dialogo interreligioso e intrareligioso.

Dio – Dire che non è cattolico. Dire anche che è buono, ma evitare ogni riferimento alla sua onnipotenza. Dire che ognuno ha il suo ed è giusto così. È misericordioso e quindi non giudica, non condanna, non castiga. Altrimenti sarebbe fondamentalista. Espressione tipica del cattolico aggiornato: Dio è amore. Non spiegare.

Discernimento – Parola determinante. Avviene sempre e comunque nell’ascolto e nel cammino di accompagnamento. Il discernimento sia responsabile e serio. Il suo processo avvenga all’interno di una pastorale non fredda. Il suo fine sia distinguere esaminando le circostanze attenuanti. Usarlo in sostituzione del concetto di verità. Contrapporre con decisione ad autorità e norma. Fa ritrovare il gusto della libertà. Il cattolico aggiornato sostanzialmente è uno che discerne.

Dottrina – Se ne parli il meno possibile. Parola che non piace alla Chiesa Accogliente, perché porta con sé l’immagine di qualcosa di certo. Da prendere sempre con le molle. Mai accostarla a “retta”. Chi se ne occupa pecca di astrattezza. Non può sostituire il discernimento. Quando se ne esce, si ritrova il gusto della libertà. Se per caso scappa di citarla, dire che si sta parlando per assurdo.

E

Ecumenico – Dicesi del cammino nel quale il cattolico deve farsi carico di qualcosa mentre comunque chiede perdono e spiega che Dio è amore. Sinonimo di aggiornato e aperto.

Empatia – Parola amata dalla Chiesa Accogliente. Il cattolico aggiornato è empatico. Dire che un cuore empatico pulsa nel dialogo.

F

Falsi – Dicesi degli ipocriti farisei che si preoccupano della legge e producono dottrina da scrivania. Non riescono a percepire l’aria di primavera. Dipingerli misericordiosamente come parassiti.

Ferite – Parola altamente consigliabile. Sono curate nell’ospedale da campo con la misericordia e senza giudicare. Bisogna farsene carico, al pari delle fragilità e delle complessità. Il cattolico aggiornato ne parla in continuazione. Come nel caso delle periferie, la parola “ferite” assicura l’unanime plauso e consente l’ingresso immediato al gran ballo delle idee correnti.

G

Gesti – Ricordare che valgono più delle parole.

Gesù – Era uomo, era Dio, ma più uomo che Dio. Metterne in luce l’umanità. Accusare il cattolico non aggiornato di nutrire un’insana passione per un Gesù destoricizzato.

Giudicare – È meschino, quindi vietato. In ogni caso mai farlo in un serio e responsabile processo di discernimento pratico. Da usare solo nell’espressione idiomatica “Chi siamo noi per giudicare?”

Giudizio – Da evitare sempre!

I

Identità – Parola sorpassata, da evitare. Usare solo nell’espressione “identità plurale”. Non spiegare.

Incidentata – Lo sia la Chiesa e anche la teologia. Non spiegare mai che cosa vuol dire.

Incontro – Parola regina. La Chiesa Accogliente sia tutto un incontro e un incontrare. Espressione raccomandata: “Fare l’esperienza dell’incontro”. Meglio ancora: “Fare l’esperienza dell’incontro nella gratuità”.

Integrare – Sempre e tutti. Ovviamente con premura e tenerezza. Il cattolico aggiornato è per l’integrazione. Se non si è d’accordo, si è fuori!

Intercomunione – Obiettivo da raggiungere tra cattolici e luterani. Ovviamente dopo che i cattolici hanno fatto autocritica e chiesto perdono.

L

Legge – Roba da farisei. Dire che c’è solo la legge della misericordia e dell’amore, ma senza spiegare. Sostenere che non ce n’è una generale. Meschino considerare solo la legge, specie se morale, prescindendo dalla situazione soggettiva. Comunque da prendere con le molle. Chi se ne occupa pecca di astrattezza.

Lontani – La Chiesa Accogliente li ama. Tutte le attenzioni sono per loro. Non specificare chi siano.

Lutero – Non voleva dividere, ma riformare. Dire che fu una medicina per la Chiesa.

M

Magistero – Buono quando prende le distanze dalla norma. Cattivo quando pretende di insegnare la Verità. Non può e non deve spiegare tutto. Preferibile sostituire con la parola discernimento.

Male – Di esso ognuno ha una sua visione. Come del bene.

Misericordia – Altra parola regina per la Chiesa Accogliente. Non viene negata a nessuno. Si esercita nell’ospedale da campo e nel cantiere aperto, per la cura delle ferite e delle fragilità. Serve per stroncare la chiusura dei farisei e bollare la loro tiepidezza. Ricordare: Dio è misericordia totale, quindi non giudica, non punisce. Il cattolico aggiornato gronda misericordia.

Modernità – Parlarne per giustificare l’aggiornamento. Non spiegare. Parlare di confronto aperto con essa: suona bene e attira consensi.

Multireligiosità – Parola da usare spesso, anche a casaccio. Come tutto ciò che è “inter”, anche tutto ciò che è “multi” piace alla Chiesa Accogliente. Ricordare: chi non è “inter” e “multi” è inevitabilmente e terribilmente “pre”. E non sa essere doverosamente “post”.

Muri – Il cattolico aggiornato li abbatte e costruisce ponti. Tenere a mente che chi innalza muri non è cristiano. Se poi l’eventuale muro serve per difendere fede e identità, sorvolare.

N
Naso – Mai metterlo nella vita morale della gente.

Naturale (legge morale) – Non tenerne conto. La legge morale naturale è un ferrovecchio del pensiero. Il cattolico aggiornato è storicista, quindi procede attraverso ben altre categorie, ci mancherebbe!

Negoziabili – Tutti i valori lo sono.

Neopelagiani – Dire dei cattolici fedeli alla tradizione.

Nero – Mai accostarlo a bianco perché nella vita, si sa, nulla è bianco o nero.

Norma – Se generale, non c’è. Se morale, va inquadrata. Meschino considerarla senza un appropriato e serio processo di discernimento pratico. Bene precisare che nessuno intende metterla in discussione, salvo poi considerarla un vecchio arnese.

O

Odore – Com’è noto, è quello delle pecore. Com’è altrettanto noto, contraddistingue il vero pastore. Il cattolico aggiornato ama queste metafore e ne fa sfoggio senza pietà.

Oggettiva – Una tale situazione di peccato praticamente non c’è o esiste solo nella testa dei fondamentalisti e dei farisei.

Onnipotente – Da evitare. Aggettivo che sa di vecchio. Nella Chiesa Accogliente Dio è buono e misericordioso, non onnipotente.

Ospedale (da campo) – Espressione da utilizzare in ogni occasione. Dicesi della Chiesa quando esercita la misericordia nella cura delle ferite gravi e se ne prende carico. Chi ci sta dentro pratica l’ascolto in un cammino di discernimento sinodale. Evitare di chiedersi quale cammino e per arrivare a che cosa.

P

Pace – Ciò che vogliono i musulmani.

Papa – Mai usare quando si dialoga con le altre confessioni cristiane! Per la Chiesa Accogliente in questi casi il papa non esiste. C’è solo il vescovo di Roma.

Peccato – Meno se ne parla meglio è. Su quello originale sorvolare sempre. Quello mortale non è più contemplato.

Pecore – Il loro odore accompagni il vero pastore. Rincorrere misericordiosamente quelle fuori dal recinto proponendo opportuni cammini di discernimento. Vedere l’effetto che fa. Preoccuparsi di quelle che stanno dentro il recinto è roba da tradizionalisti ipocriti e freddi.

Penitenza – Non se ne parli. Nella Chiesa Accogliente non si fa.

Perdono – Parola regina nella Chiesa Accogliente. Il cattolico aggiornato ne parla sempre. Una frase come “il dialogo si fa autentico quando mette al centro la grammatica del perdono” lo manda in brodo di giuggiole. La Chiesa Accogliente chiede perdono a tutti: protestanti, buddhisti, confuciani, musulmani. Non si sa perché, ma suona tanto bene. Dio inoltre perdona, sempre e comunque.

Periferie – Vanno sempre bene. Da lì si vede meglio. Non chiedersi perché. La Chiesa sia al servizio di quelle esistenziali. Usare per screditare con misericordia i fondamentalisti.

Pluralistico – Lo è il pensiero e il punto di vista del cattolico aggiornato. Aggettivo da esibire come lasciapassare per essere ammessi al gran ballo delle idee correnti. Tutto ciò che è pluralistico e plurale va bene nella Chiesa Accogliente.

Poliedro – Figura solida da esaltare. Metterla in contrapposizione alla sfera, sottolineando che quest’ultima è troppo perfetta.

Ponti – Il cattolico aggiornato li costruisce ovunque, da mattina a sera, e nel contempo abbatte i muri.

Popolo – Ha sempre ragione, è praticamente santo. Parola da utilizzare a profusione. Il popolo non può sbagliare. Può solo essere oppresso e sfruttato. I movimenti che lo rappresentano vanno accolti a braccia aperte ed elogiati. I capipopolo sono simpatici. Se sostengono idee assurde e dicono banalità, non si deve farci caso. Ancora meno se si comportano da tiranni. Sottolineare invece la bellezza dei loro abiti colorati.

Proselitismo – Strumento di propaganda. Una solenne sciocchezza.

R

Registratore – Come affermò autorevolmente il generale dei gesuiti nel 2017, ai tempi di Gesù non c’era. Quindi non possiamo essere sicuri di ciò che ha veramente detto nostro Signore. Quindi la guida non è il Vangelo, ma il discernimento.

Relativismo – Tralasciare. Ne parlava Ratzinger: roba vecchia.

S

Sacro (senso del) – Come per l’aborto, l’eutanasia e il peccato: meno se ne parla, meglio è. Sa di vecchio.

Salvezza (dell’anima) – Non interessa, non fa notizia. Il cattolico aggiornato non ne parla. Anche perché, impegnato com’è a discernere, accompagnare, integrare, farsi carico, ascoltare, eccetera, non ha più fiato.

Segni (dei tempi) – Interpretarli, nel cammino di discernimento. Ma l’espressione migliore è “assumerli responsabilmente”. Obiettivo: scardinare la dottrina e aprire le porte alla morale della situazione.

Sinodale – Aggettivo altamente consigliato. La Chiesa Accogliente, ospedale da campo e cantiere aperto, è sinodale. Suona sempre bene. Il cattolico aggiornato è sinodale a prescindere.

Situazione – Quella oggettiva di peccato non esiste. C’è solo quella soggettiva. Ognuna va affrontata con comprensione nel processo di discernimento.

T

Tempo – È superiore allo spazio. Non spiegare perché.

Tenerezza – Da esercitare con premura al fine di integrare. Il cattolico aggiornato la usa in modo implacabile contro il fondamentalismo.

Timore (di Dio) – Soppresso.

Tommaso d’Aquino
(san) – Utile quando serve al processo di discernimento. Mai prenderlo alla lettera.

Tradizione – Usare poco, per lo più in chiave polemica. Quella cristiana, specie in campo morale, va letta solo in senso pastorale, non dottrinale. Non spiegare che cosa significa.

U

Umiltà – Ingrediente fondamentale in un serio processo di discernimento pratico. Contrapporre sempre e comunque a fondamentalismo e fondamentalisti.

Unità – Quella con i luterani è da ricercare senza sosta.

V

Varietà – Contrapporre a identità. Dire che la verità si rivela nella varietà. Non spiegare.

Verità – Da usare con le molle, solo se strettamente necessario, meglio con l’iniziale minuscola e al plurale. Preferibile parlare di complessità.

Z

Zitella – Appellativo da attribuire alla Chiesa triste, non fantasiosa e ridanciana.



Aldo Maria Valli









«“Guerrieri” pronti a rischiare la vita per il Vangelo». La “buona battaglia” di Jim Caviezel






Chi di noi non ha visto The Passion di Mel Gibson? Un bellissimo intervento del protagonista Jim Caviezel ad un raduno di universitari cattolici. Una traduzione e segnalazione dell'amico Maurizio, tratto da Cristianità .

* Traduzione di Passion of the Christ actor: We must be “warriors” ready to risk our lives for the Gospel[link: https://www.lifesitenews.com/news/passion-of-the-christ-actor-we-must-be-warriors-ready-to-risk-our-lives-for], in LifeSiteNews, 4-1-2018




di Lisa Bourne *

I cattolici devono essere pronti a rischiare la vita e la reputazione per sconfiggere il male nel mondo, ha detto Jim Caviezel a un raduno di studenti di college cattolici.

Solo attraverso la fede e la sapienza di Gesù potremo essere salvati – ha detto Caviezel –, ma ci vorranno anche persone pronte a combattere, a sacrificarsi e a soffrire.

Citando san Massimiliano Kolbe (1894-1941), l’attore ha detto che il più grande peccato del secolo XX è stato l’indifferenza, e lo è ancora nel XXI.

«Quest’indifferenza, questa tolleranza devastante del male, dobbiamo scrollarcela di dosso. Ma solo la nostra fede e la sapienza di Cristo possono salvarci», ha detto. «Tuttavia c’è bisogno di guerrieri pronti a mettere a repentaglio la propria reputazione, il proprio nome, persino le nostre stesse vite, per difendere la verità».

«Distinguetevi da questa generazione corrotta», così l’attore ha pungolato l’uditorio. «Siate santi. Non siete stati creati per conformarvi. Siete nati per distinguervi ed emergere».

La star de La passione di Cristo, che ha al proprio attivo numerosi altri film e produzioni televisive, è comparso a sorpresa mercoledì sera, 3 gennaio, al convegno SLS18, lo Student Leadership Summit 2018, promosso dall’organizzazione FOCUS, The Fellowship of Catholic
University Students.

Scopo del convegno, tenutosi a Chicago dal 2 al 6 gennaio, è stato quello di formare gli studenti dei college cattolici, orientandoli ad assumere uno spirito missionario nella vita e, in particolare, nei campus.

Il discorso di Caviezel, ripreso in video e pubblicato su Facebook da don Brian Buettner, direttore per le vocazioni dell’arcidiocesi di Oklahoma City, è stato accolto con entusiasmo.

L’attore ha iniziato l’intervento con un riferimento al film, di prossima uscita, Paul, Apostle of Christ, spiegando come le sue esperienze sui set cinematografici gli abbiano insegnato che per essere grandi agli occhi di Dio si deve anzitutto farsi piccoli e accettarLo integralmente, consentendoGli di guidarci.

Caviezel ha anche parlato del significato della sofferenza, denunciando come sia un malinteso fin troppo diffuso la convinzione che il cristianesimo consista meramente in discorsi melensi.

Non è per un caso fortuito che si sia trovato a fare l’attore, ha aggiunto: i ruoli assunti all’inizio della carriera hanno preparato la strada così che poi venisse chiamato a interpretare Cristo dell’epico film di Mel Gibson sulla Passione e sulla Resurrezione di Cristo.

Al convegno di FOCUS, Caviezel ha spiegato che, in modo del tutto analogo, anche le vite di chi lo stava ascoltando non sono un mero assemblaggio di eventi fortuiti.

«Alcuni tra voi, proprio in questo istante, potrebbero sentirsi infelici, confusi, incerti sul futuro o feriti», ha detto. «Non è questo il tempo per fare marcia indietro o per cedere».

Ha quindi raccontato come l’avere interpretato il ruolo di Cristo fino al termine delle riprese è stato motivo di sofferenze e ha costituito per lui una prova grande, anche per ciò che riguarda i risvolti fisici della flagellazione, l’essere crocifisso, l’essere stato colpito da un fulmine, e aver subito un’operazione a cuore aperto dopo cinque mesi e più in ipotermia.

Durante le riprese, Caviezel si è anche slogato una spalla mentre portava la croce. Ciononostante ha voluto rimanere sul set e finire la pellicola, dicendo che è stato come assolvere una penitenza.

«Mentre ero lì, sulla croce, ho compreso che la Sua sofferenza è stata la nostra redenzione», ha aggiunto. «Ricordate che un servo non è più grande del suo padrone».

«Ognuno di noi deve portare la propria croce», ha continuato. «La nostra fede e le nostre libertà hanno un prezzo».

Ai presenti (1) ha spiegato che la sofferenza ha plasmato la sua professionalità «[…] proprio come plasma le nostre vite».

Ha poi sottolineato che la resurrezione, e quindi la nostra salvezza, non è gratis.

«Alcuni di noi», lo sapete, «abbracciano un cristianesimo posticcio, dove tutto è melenso – io lo chiamo “la religione di Gesù-giocondo” – e gloria».

«Ragazzi, ci sono stati un bel po’ di dolore e di sofferenza… prima della resurrezione», ha affermato Caviezel. «E il vostro cammino non sarà differente. Perciò abbracciate la vostra croce e correte verso i vostri obiettivi».

L’attore ha già sovente parlato della propria fede e delle proprie convinzioni pro-life, confessando pubblicamente come l’avere interpretato Cristo lo abbia segnato spiritualmente. Note sono le campagne a favore dell’adozione di cui è stato protagonista, rendendo pubblica l’esperienza di genitori adottivi propria e della moglie Kerry.

I partecipanti al convegno cattolico di Chicago sono quindi stati esortati a vivere la fede pubblicamente. «Voglio vedervi uscire allo scoperto in questo mondo pagano», ha affermato Caviezel. «Voglio che abbiate il coraggio di entrare in questo mondo pagano esprimendo senza complessi la vostra fede in pubblico». «Il mondo ha bisogno di guerrieri valorosi, animati dalla fede», ha aggiunto. «Guerrieri come san Paolo e come san Luca che hanno rischiato il proprio nome e la propria reputazione per diffondere nel mondo la propria fede e il proprio amore per Gesù».


«Dio chiama ognuno di noi – ognuno di voi – a fare cose grandi», ha detto.


Per Caviezel spesso la gente ignora la chiamata di Dio ed è quindi tempo che questa generazione accetti la chiamata donandosi interamente a Lui e ritornando alla preghiera, al digiuno, alle Scritture e ai sacramenti: «Ma, prima di tutto, prendete l’impegno di iniziare a pregare, a digiunare, a meditare sulle Sacre Scritture e di prendere sul serio i santi sacramenti». Siamo una cultura in declino – ha aggiunto – e l’intero nostro mondo è radicato nel peccato. La licenziosità ha preso il posto della libertà. E questo «poiché oggi nel nostro Paese siamo fin troppo contenti di seguire il flusso della corrente». «Della libertà abbiamo fatto un idolo che mette tutte le scelte sullo stesso piano, qualunque siano le conseguenze. Credete onestamente che sia libertà vera?»

Citando Papa san Giovanni Paolo II il Grande (1978-2005), l’attore ha pure spiegato che una società non può escludere la verità e il ragionamento morali. Ogni nuova generazione americana deve comprendere che la libertà esiste non perché ognuno faccia quel che gli piace, ma per avere il diritto di poter fare ciò che si deve.

«Questa è la libertà che io auspico per voi», ha detto Caviezel al pubblico del convegno. «La libertà dal peccato, dalle debolezze, da questa schiavitù cui il peccato ci costringe. Questa è libertà per cui vale la pena morire».

Ha poi in conclusione ricordato una scena di un altro film di Mel Gibson, Braveheart-Cuore impavido, nel quale William Wallace (1270-1305) rincuora i propri uomini destinati a una sconfitta certa dicendo loro che i nemici avrebbero potuto eventualmente sottrarre loro la vita, ma mai la libertà, scegliendo una battuta specifica di quella scena: «Tutti gli uomini muoiono. Non tutti però vivono veramente». «Tu, tu e tu», ha quindi esclamato indicando alcune persone del pubblico: «dobbiamo tutti combattere per questa libertà e vivere, amici miei». «Per Dio, dobbiamo vivere avendo lo Spirito Santo come scudo e Cristo come spada. Che possiate unirvi a san Michele e a tutti gli angeli per rimandare Lucifero e i suoi accoliti all’inferno, là dove debbono restare!»


(1) Circa 8mila persone. Ndt








lunedì 22 gennaio 2018

UNA PETIZIONE MONDIALE AI VESCOVI: CHIEDIAMO GLI INGINOCCHIATOI PER I FEDELI CHE VOGLIANO COMUNICARSI IN GINOCCHIO.





MARCO TOSATTI

Oggi vogliamo rilanciare un’iniziativa che ci sembra legittima e anche auspicabile, in un momento in cui il senso del sacro viene continuamente eroso, anche all’interno della Chiesa, da altre istanze e priorità, spesso legate a mode passeggere. Ci rifacciamo a una lettera che l’ex Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, e ora arcivescovo di Valencia, il card. Canizares, ha indirizzato ai suoi sacerdoti a gennaio, che potete trovare sulla Nuova Bussola Quotidiana. Fra l’altro l’arcivescovo scriveva, riferendosi a una lettera pastorale di qualche tempo fa: “In questa stessa lettera ricordavo come darsi la pace e comunicarsi. Vi confesso che ci sono volte che sto male vedendo come si avvicinano alcuni, senza nessun raccoglimento e devozione, senza nessun gesto di adorazione, come si prende un biscotto o qualche cosa di simile. Insisto in quello che dicevo nella lettera citata sull’Eucarestia: ci si può comunicare direttamente in bocca, o con la mano per poi portarsi il corpo di Cristo alla bocca. Però devo aggiungere che la forma più consona con il mistero del Corpo di Cristo che si riceve è comunicarsi in ginocchio, e in bocca. Non sono retrogrado in questo, ma segnalo solo ciò che si accorda alla comunione”.

E proprio in questi giorni è partita una richiesta, rivolta a tutti i vescovi cattolici, e a cui naturalmente è possibile aderire firmando. Ecco il testo:

Destinatario: Vescovi della Chiesa Cattolica

Chiediamo gli inginocchiatoi per i fedeli che desiderano ricevere Gesù-Eucarestia in ginocchio; petizione promossa dal Comitato Uniti a Gesù Eucaristia per le Mani Santissime di Maria.

Sulla ricezione della Comunione sulla mano. Per comprendere l’importanza della modalità con cui ricevere la Santa Comunione, occorre partire da una breve riflessione sul significato della Messa, durante la quale il pane e il vino divengono il Corpo e il Sangue di Cristo. Il documento del Concilio Vaticano II Sacrosanctum Concilium afferma due cose centrali: messa come sacrificio e Presenza reale. Per giunta, la formulazione del Catechismo della Chiesa cattolica, sotto la regia di Ratzinger, ha ribadito tali connotazioni cattoliche a riguardo dell’Eucaristia. E proprio il pontefice che concluse il Concilio, Paolo VI, si sentì spinto persino a pubblicare un’Enciclica nella quale ribadì sia il carattere sacrificale della messa sia la legittima validità dell’adorazione dell’Eucaristia da parte dei fedeli fuori dalla messa.

Nel frattempo alle Conferenze nazionali veniva data facoltà di indulto per ricevere l’Eucaristia nelle mani,le balaustre e gli inginocchiatoi venivano eliminati, i tabernacoli venivano decentrati, nonostante il Catechismo (ancora nel 1992) ribadiva che il tabernacolo fosse situato “in un luogo particolarmente degno della chiesa, costruito in modo da evidenziare e manifestare la verità della presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento”(n.1379). Circa la questione relativa alla ricezione eucaristica, bisogna anzitutto ricordare che nei documenti conciliari – anche in presenza di affermazioni avanzate a riguardo delle più significative novità proposte nella liturgia – mai si parla della comunione in mano. Eppure si fa passare per tema conciliare quanto il Concilio non si è preoccupato di trattare. In realtà la ricezione della Santa Eucaristia in mano rimane solo un indulto della Sede Apostolica. Quando i vescovi italiani (con soli due voti in più) approvarono la comunione nelle mani, vi fu chi, come il Presidente della Conferenza Episcopale, evidentemente contrario e preoccupato, fece inserire la raccomandazione a tutti, in particolare ai bambini e agli adolescenti, della pulizia delle mani. Invece di impedire l’abuso, ci si preoccupava di arginare già in partenza l’ovvia profanazione. Proprio questa generazione di fanciulli cattolici anni ’80-‘90 è quella che (a parte la controtendenza dei gruppi di preghiera legati alla Tradizione o alle apparizioni di Medjugorje) registra una certa disinvoltura a riguardo del culto eucaristico e dell’adorazione, non avendo la percezione di Chi si riceve. Il documento in questione – Istruzione Sulla comunione eucaristica – è quello del maggio 1989, seguito dal decreto della Conferenza Episcopale Italiana che la contiene, datato 19 luglio 1989 ed entrato in vigore il 3 dicembre dello stesso anno, prima domenica di Avvento.

Il testo dell’Istruzione sulla Comunione eucaristica circa la modalità di questo ulteriore modo di ricevere l’ostia consacrata spiega: “particolarmente appropriato appare oggi l’uso di accedere processionalmente all’altare ricevendo in piedi, con un gesto di riverenza, le specie eucaristiche, professando con l’Amen la fede nella presenza sacramentale di Cristo”. Dunque, dicevamo che si tratta di un indulto. Attraverso l’Istruzione Memoriale Domini promulgata dalla S. Congregazione per il culto Divino il 29 maggio 1969, la Santa Sede ha lasciato alle singole Conferenze Episcopali la possibilità di richiedere la facoltà di introdurre l’uso di ricevere la Comunione sulla mano.Possibilità non obbligo! Eppure non è una questione irrilevante, perché riguarda nientemeno che la Presenza reale di Gesù. Non è un retaggio, dunque, dei tradizionalisti, bensì è l’affare centrale di tutta la Chiesa che, prima ancora che preoccuparsi dell’ambiente e dell’ecologia, o della questione immigratoria, dovrebbe custodire e proteggere il Signore eucaristico con quell’amore e quella fedeltà che ebbe san Giuseppe nel proteggere Gesù Bambino. Nell’Eucaristia, infatti, per amore delle anime, Gesù si rende vulnerabile come quando era un piccolo infante, raggiunto dall’odio omicida di Erode.

Questo aspetto è stato configurato da mons. Schneider come ius Christi, cioè il diritto di Cristo. Ancora di recente, commentando questa intuizione di Schneider, il Card. Burke, grato di tale intuito, affermava: “ricordandoci l’umiltà totale dell’amore di Cristo che si dona a noi nella piccola Ostia, fragile per natura, Mons. Schneider richiama la nostra attenzione sul grave obbligo di proteggere ed adorare Nostro Signore. Infatti, nella santa Comunione, Egli, a motivo del Suo amore incessante e incommensurabile per l’uomo, si fa il più piccolo, il più debole, il più delicato fra noi. Gli occhi della Fede riconoscono la Presenza Reale nei frammenti, anche nei più piccoli, della santa Ostia, e ci conducono, così, all’Adorazione amorosa”. Come insegnava san Tommaso d’Aquino, Gesù è realmente presente tanto nell’intero quanto nel minimo frammento del pane consacrato. Il grande teologo domenicano affermava che l’Eucaristia è sacra e perciò può essere toccata solo dalle mani consacrate; perciò egli faceva riferimento all’uso di ricevere la Comunione solo sulla lingua, tanto che la distribuzione del Corpo del Signore apparteneva al solo sacerdote ordinato. Ciò per diversi motivi, tra i quali l’Angelico cita anche il rispetto verso il sacramento, che “non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote, per poter toccare questo sacramento.

A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di caso di necessità: se per esempio stesse per cadere per terra, o in altre contingenze simili” . Un esperimento condotto negli Stati Uniti, ha dimostrato che, ponendo la comunione in mano, diversi frammenti, difficilmente scorgibili ad occhio nudo, rimangono prima impressi nella palma della mano, quindi cascano a terra. Inoltre, accanto al rischio di profanazione continua, si presenta anche il problema delle “messe nere” e dei circoli satanisti che, quasi meravigliati di questa consuetudine, possono più facilmente prelevare l’ostia e condurla via. Di recente, diverse isolate ma significative voci si sono alzate, nella Chiesa, per indurre a riflettere sui danni e i rischi della comunione nelle mani. In particolare merita una menzione il lavoro pluriennale del già citato mons. Schneider, Vescovo Ausiliare di Astana che, in alcuni opuscoli tradotti in varie lingue, con coraggio ha denunciato i grandi rischi della comunione in mano. Così anche Benedetto XVI, per quanto si sia espresso a favore dei due usi (in ginocchio e in mano) ha tuttavia voluto dare risalto all’uso di riceverla in ginocchio nelle celebrazioni pontificie. Ancora di recente, il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino (dunque il numero uno della liturgia cattolica!) a Milano è tornato sul tema con parole inequivocabili a riguardo dei rischi della comunione in mano. In Italia merita una menzione don Giorgio Maffei che si è battuto a lungo per questo tema. Diversi gli appelli, caduti nel vuoto, che egli con autentico afflato sacerdotale, rivolgeva ai confratelli, quando per esempio,in uno dei suoi diversi contributi sul tema, scriveva: “con l’uso della Comunione sulla mano, i frammenti rimangono sulla mano del fedele, che di solito non ci guarda nemmeno, non ci bada o non se ne accorge, finendo poi per terra dove vengono calpestati, spazzati via, profanati. Ciò è ben noto. I sacerdoti tutti lo sanno molto bene, perché come si è detto, ne hanno quotidiana esperienza.

Anche i sacerdoti giovani, che vengono istruiti a dare la Comunione sulla mano e non fanno uso del piattello, conoscono ugualmente questo particolare delle Ostie di perdere i frammenti, talora anche senza essere toccate. I fedeli hanno di ciò minore esperienza e sono meno colpevoli dei sacerdoti”. Il noto sacerdote tradizionalista aveva anche auspicato almeno il ripristino del piattello, argomento per il quale subirà umiliazioni e offese come di un prete fuori dai tempi e dai veri problemi. Eppure don Maffei riteneva che l’uso del piattello potesse ridurre notevolmente il rischio concreto della caduta di frammenti durante la comunione. In qualche occasione, non senza ragione, il prete bolognese paventava persino il rischio della scomunica per quanti permettevano la profanazione dei frammenti con l’uso della comunione nelle mani perché, diceva, il peccato commesso contro Dio e il suo Cristo è foriero di scomunica, e quale peccato più grave vi può essere che quello di oltraggiare le specie eucaristiche? Tra i mistici, ricordiamo la testimonianza dell’austriaca Maria Simma, che aveva un rapporto esclusivo con le anime del Purgatorio, la quale ebbe rivelato che tutti i Pastori della Chiesa che avevano approvato la Comunione in mano, se fossero morti in grazia di Dio, sarebbero comunque rimasti in Purgatorio fino al giorno in cui la Chiesa non avesse tolto tale indulto.

Si può pensare allora che questa novità, non proveniente dal Concilio, almeno non direttamente, trovi la sua origine nella regia che, infiltratasi nei ranghi di riguardo delle Conferenze episcopali nazionali, soprattutto nordeuropee, si è imposta. Intanto, veniva presa a prestito la ragione di un ritorno alle origini della fede, che nascondeva però il bisogno di delegittimare la controriforma tridentina. Proverò a spiegarmi meglio. Tutti i circoli che hanno richiesto la comunione nelle mani erano schierati in modo radicale nel progressismo teologico, di matrice modernista. In realtà, lo slogan di un auspicato ritorno alle fonti patristiche (per quanto suggestivo e meritorio), da quelle parti voleva dire il discredito della grande stagione del Concilio di Trento. E questo perché? Perché il discredito del grande spirito tridentino consentiva la riabilitazione di Lutero. Questa è una considerazione del teologo Ratzinger all’indomani del Concilio. E, dunque, in ogni caso, la riforma liturgica si orientava unilateralmente, in direzione della stagione patristica, ma come rifiuto latente della stagione tridentina. Come a dire che i primi cinque secoli sì, sono normativi, il resto non ci riguarda. Questa netta e inesistente contrapposizione, per quanto latente, accompagnava purtroppo la riforma liturgica manomessa dai modernisti. Si faceva valere la prassi in uso nei primi secoli del cristianesimo, attestata abbondantemente nei Padri, quella cioè di ricevere l’Eucaristia nelle mani.

Nelle prime comunità cristiane era normale ricevere il corpo di Cristo direttamente sulle mani; al riguardo vi sono numerose testimonianze, sia nell’area orientale, sia in quella occidentale: molti Padri della Chiesa (Tertulliano, Cipriano, Cirillo di Gerusalemme, Basilio, Teodoro di Mopsuestia), diversi canoni giuridici sanciti durante sinodi e concili (il Sinodo di Costantinopoli del 629; i Sinodi delle Gallie tra VI e VII secolo; il Concilio di Auxerre avvenuto tra il 561 e il 605), fino alle testimonianze dell’VIII secolo di san Beda il Venerabile e san Giovanni Damasceno: tutti attestano la medesima diffusa tradizione. E ciò era senz’altro utile riconoscerlo. Ma a questo punto ci si domandava che fine facesse invece, in termini di legittimazione teologica e liturgica, il passo ulteriore compiuto dalla fede ecclesiale. Quando nel medioevo alcune correnti teologiche misero in discussione la modalità della presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento – arrivando alcuni a definirlo come un segno vuoto che richiama solo lontanamente la realtà sostanziale del Signore presente in mezzo a noi – la reazione della comunità ecclesiale fu di sottolineare maggiormente la venerazione e l’adorazione per le Specie Eucaristiche fino ad introdurre il nuovo rito di ricevere la Comunione direttamente sulla bocca ed in ginocchio proprio per sottolinearne la grandezza della presenza reale del corpo di Cristo. Se non si interverrà adeguatamente c’è il rischio concreto che l’Eucaristia venga del tutto profanata.

Aggiungiamo, umilmente, che anche da un punto di vista igienico è molto meglio se l’ostia viene toccata solo dal sacerdote, e non passa per mani che magari non hanno avuto la possibilità di lavarsi prima della messa. Chi, come il sottoscritto, si sposta in bicicletta, o chi si sposta in moto maneggia catene e lucchetti, che non sono certo il massimo dell’igiene...comunque ripetiamo qui il link.