sabato 30 aprile 2022

Enzo Bianchi fonda una nuova casa. Non lontana da Bose



30APR22


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by Aldo Maria Valli

Enzo Bianchi fonda un nuovo centro di spiritualità. Esiliato da Bose a causa di forti tensioni interne, con tanto di intervento del Vaticano, Bianchi annuncia nel suo blog la nascita di una “casa che accoglierà chi vorrà vivere con me, gli amici e gli ospiti che cercheranno un luogo di silenzio, di dialogo e di ospitalità”. A tal proposito Enzo Bianchi spiega di aver acquistato l’immobile “con l’aiuto di amici e attraverso un mutuo decennale”. Si tratta di un cascinale che si trova ad Albiano d’Ivrea, in provincia di Torino, a soli quattordici chilometri dal monastero di Bose.

Bianchi, che al momento risiede a Torino, spiega nel comunicato: «Trascorsi poco meno di due anni di esilio dalla comunità alla quale ho dato inizio e nella quale ho vissuto per cinquantacinque anni e non potendo tornare a Bose per finire i miei giorni da monaco nella vita fraterna, ho acquistato con l’aiuto di amici e attraverso un mutuo decennale un cascinale nel comune di Albiano, dove poter vivere nella pace gli ultimi anni della mia vita. Terminati i necessari lavori di ristrutturazione al fine di renderlo abitabile, questo cascinale sarà una casa che accoglierà chi vorrà vivere con me, gli amici e gli ospiti che cercheranno un luogo di silenzio, di dialogo e di ospitalità».


«Chi genera un figlio – spiega Bianchi – non può rigenerarlo né farlo nascere di nuovo: ogni figlio è in un certo senso unico ed io non intendo rifare la comunità che da me ha avuto inizio, né fondare una nuova comunità religiosa canonicamente riconosciuta. Voglio solo vivere da monaco cenobita e non eremita come ho sempre vissuto. Cammin facendo vedremo cosa ci riserverà il Signore e cosa ci suggerirà lo Spirito santo. Questo cascinale – che da sempre porta il nome augurale di Camadio, ossia “Casa della madia”, casa dove si fa il pane – sarà certamente un luogo di preghiera, di incontro, di fraternità e sororità, una tavola approntata per la condivisione e lo scambio delle parole, degli affetti e della speranza».


Bianchi (settantanove anni compiuti il 3 marzo) ha lasciato Bose nel giugno 2021, al culmine di una sorta di braccio di ferro con il Vaticano che gli ha chiesto di andarsene dal monastero a seguito di un’indagine sulla vita della comunità.

Bianchi si era dimesso dalla carica di priore nel 2017, passando il testimone a fratel Luciano Manicardi. Ma i problemi interni a quel punto erano esplosi e Bianchi fu accusato dai confratelli di non aver mai lasciato veramente la guida della comunità.


La visita apostolica ordinata dal papa, iniziata il 6 dicembre 2019, è terminata il 6 gennaio 2020. Guidata dal delegato pontificio padre Amedeo Cencini, fu decisa “in seguito a serie preoccupazioni pervenute da più parti che segnalavano una situazione tesa e problematica per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno”.

Il 21 maggio 2019 il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha firmato un decreto, approvato da papa Francesco, in cui a Bianchi è stato chiesto di lasciare la comunità monastica entro dieci giorni, ma Bianchi è rimasto nella sua residenza nei pressi del monastero per oltre un anno perché, spiegò, non riusciva a trovare un alloggio adeguato.


Nel tentativo di porre fine allo stallo, il monastero nel febbraio 2021 ha annunciato che avrebbe chiuso la sua casa comunitaria a Cellole (San Gimignano) e l’avrebbe messa a disposizione di Bianchi e di tutti gli altri membri della comunità che desiderassero unirsi a lui. A Bianchi venne quindi chiesto di partire all’inizio della Quaresima, ma non lo fece.

Papa Francesco è poi intervenuto direttamente nell’impasse, organizzando un incontro, il 4 marzo 2021, con il delegato pontificio a Bose, padre Amedeo Cencini, e Luciano Manicardi.

Bianchi nel suo sito ha lanciato una sottoscrizione: i donatori possono andare sostenere il progetto della nuova residenza contribuendo al mutuo e ai lavori di ristrutturazione.

*

Sulla vicenda Bianchi ricordo questo libro: Nicola Bux – Aldo Maria Valli, Il cambio della guardia. Bose ed Enzo Bianchi come esempio di transizione della nuova chiesa, Fede & Cultura, 2022
La ricostruzione dell’allontanamento dal monastero di Bose del suo fondatore Enzo Bianchi.



Nel corso degli ultimi anni l’idillio ascetico del monastero di Bose è stato turbato sfociando in uno scontro senza esclusioni di colpi che ha coinvolto i monaci e le monache oltre che lo stesso fondatore, Enzo Bianchi, a cui il Vaticano ha ordinato di allontanarsi. Ma che cos’è esattamente Bose dal punto di vista canonico? In che misura la sua esperienza ecumenica può essere definita autenticamente monastica? Come si colloca il pensiero di Bianchi nel quadro della dottrina cattolica? Una vicenda, quella di Bose e di Enzo Bianchi, paradigmatica della Chiesa post-Vaticano II.

Nicola Bux – Aldo Maria Valli, Il cambio della guardia. Bose ed Enzo Bianchi come esempio di transizione della nuova chiesa, Fede & Cultura, 2022









venerdì 29 aprile 2022

Lo scisma nella Chiesa c’è ma non si può più riconoscere




Con le tesi del Sinodo tedesco si torna a parlare di scisma nella Chiesa, ma in questi anni, Magistero e teologia hanno fatto sì che sia venuto meno il confine tra ciò che è vero e immutabile e ciò che non è accettabile. L’accordo Vaticano-Cina, il cambiamento del Catechismo sulla pena di morte, l’abolizione del “male intrinseco” in Amoris Laetitia, sono tre passaggi decisivi che minano le verità su cui è fondata la Chiesa.



L'ANALISI

EDITORIALI
Stefano Fontana, 29-04-2022

Da quando è cominciato il Cammino sinodale tedesco, la parola “scisma”, come uno spettro ibseniano, continua ad aleggiare nella Chiesa. I vescovi polacchi hanno segnalato il pericolo ai loro confratelli tedeschi. Settanta vescovi dalle varie parti del mondo hanno scritto loro una lettera aperta, mettendoli in guardia. Diversi cardinali, anche moderati come Koch, hanno segnalato il precipizio verso il quale ci si sta dirigendo. Ma né il cardinale Marx né il presidente dei vescovi della Germania Bätzing danno segni di voler accogliere gli inviti alla prudenza. Il primo ha affermato che il Catechismo non è scritto sulla pietra, il secondo ha accusato i vescovi preoccupati di voler nascondere gli abusi che invece il sinodo germanico vorrebbe affrontare e risolvere (a suo modo).

Di fronte a questo quadro di disgregazione, ci si può chiedere se lo scisma possa essere evitato o meno. La domanda principale, a questo proposito, sembra la seguente: la Chiesa ufficiale di oggi possiede ancora le nozioni teologiche che permettano di affrontare il dirompente nodo, oppure ha perduto le categorie capaci di inquadrare il problema e mostrare la soluzione? Più di preciso: il pericolo dello scisma è ancora percepito dalla teologia della Chiesa ufficiale di oggi come un gravissimo pericolo? Su cosa sia uno scisma c’è condivisione? Sul perché bisogna evitarlo, su chi dovrebbe intervenire quando il pericolo fosse alle porte e come, c’è oggi una comunanza di visione?

A preoccupare molti non è tanto il pericolo scisma, quanto la percezione che il quadro teologico ed ecclesiale per affrontare il problema sia sfilacciato e abbia ormai dei contorni molto imprecisi. Il che prelude alla immobilità e a lasciare che gli eventi procedano per conto loro.

Quando il cardinale Marx sostiene, a proposito della pratica omosessuale, che il Catechismo non è scritto sulla pietra e lo si può criticare e riscrivere, altro non fa che esprimere in linguaggio giornalistico quanto i teologi ormai dicono da decenni. Ossia che il deposito della fede (e della morale) è soggetto ad un processo storico, perché la situazione da cui lo si interpreta entra a far parte a pieno diritto della sua conoscenza e formulazione. Usando questo criterio, che possiamo definire in senso lato “ermeneutico”, e secondo il quale la trasmissione dei contenuti della fede e della morale non supera mai lo stato di una “interpretazione”, la categoria teologica di scisma perde di consistenza, fino a scomparire. Ciò che oggi consideriamo scisma (e anche eresia), domani può diventare dottrina.

Sul piano della Chiesa universale ci sono stati di recente tre fatti molto interessanti da questo punto di vista. Il primo è stato l’accordo tra il Vaticano e la Cina comunista. L’accordo è segreto, tuttavia si può dire che in questo caso è stata assunta nella Chiesa cattolica e romana una chiesa scismatica. Il confine tra scisma e non scisma è diventato più impreciso dopo l’accordo con Pechino.

Il secondo è stato il cambiamento della lettera del Catechismo a proposito della pena di morte. Questo cambiamento ha diffuso l’idea che il Catechismo non fosse scritto sulla pietra, proprio come dice il cardinale di Monaco. La motivazione principale per giustificare il cambiamento è stata la presa d’atto che la sensibilità pubblica su questo punto morale era cambiata. La sensibilità pubblica, però, è solo un dato di fatto che non dice niente sul piano assiologico o dei valori. Ora, su questi presupposti come negare che anche nella Chiesa tedesca possa essere maturata una nuova sensibilità sui temi dell’omosessualità e del sacerdozio femminile? Come chiamare tutto questo “scisma”, se si tratta invece dello stesso fenomeno approvato altrove?

Il terzo esempio è l’abolizione della dottrina morale della Chiesa sugli “intrinsece mala” contenuta di fatto nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia. Risulta molto difficile, dopo questo documento, tener fermo l’insegnamento precedente circa l’esistenza di azioni intrinsecamente cattive che non si devono mai fare. Ma venendo meno questa nozione sarà ancora possibile confermare il tradizionale insegnamento della Scrittura e della Chiesa sulla pratica omosessuale?

Sembra che la Chiesa faccia fatica a tenere per ferme alcune sue verità. Del resto, se il Catechismo non è scritto sulla pietra, allora anche la definizione di “scisma” in esso contenuta, può essere rivista e quello che ieri era considerabile come scisma ora potrebbe non esserlo più. Addirittura di scisma potrebbero essere accusati coloro che tengono ferme le verità del Catechismo come se fossero scritte sulla pietra. Negare che il Catechismo non sia scritto sulla pietra potrebbe essere considerato un pronunciamento scismatico. Nella perdita dei confini tutti i paradossi diventano possibili. Quanto detto può essere esteso anche all’eresia e all’apostasia, concetti anche questi dai dubbi confini oggi. Si pensi solo ad un fatto: il “dubbio ostinato” può essere considerato apostasia secondo il n. 2089 del Catechismo, eppure oggi si insegna ai fedeli il dubbio sistematico, invitandoli a non irrigidirsi nella dottrina.






giovedì 28 aprile 2022

«Gianna Beretta Molla, una santa con un degno sposo»




Una donna moderna, lavoratrice e mamma, che interroga Dio sulla sua vocazione e Lo mette al centro delle sue giornate, tra i figli da condurre a Lui e i malati da trattare come «il corpo di Gesù». Uno sposo, Pietro, che è preso da Gianna come «modello di preghiera e di fede». Per il 60° anniversario della nascita al Cielo di colei che donò la vita per la sua quartogenita, la Bussola intervista Valentina Di Marco, autrice di «Una coppia esemplare: santa Gianna Beretta e Pietro Molla».



INTERVISTA

FAMIGLIA
Ermes Dovico, 28-04-2022

Era la mattina del 28 aprile 1962, Sabato in Albis, quando Gianna Beretta Molla nasceva al Cielo, una settimana dopo aver dato alla luce, con la piena consapevolezza dei rischi a cui andava incontro proseguendo la gravidanza, la sua quartogenita (Gianna Emanuela). Una nuova vita frutto di un atto d’amore - quello della santa madre di famiglia nativa di Magenta - tutt’altro che estemporaneo, bensì vertice di un’esistenza costellata di virtù eroiche, come ha accertato la Chiesa nella causa di canonizzazione.

Tali virtù, oltre ad essere confermate dai testimoni, emergono in modo lampante dall’epistolario tra Gianna e il marito, Pietro Molla († 3 aprile 2010), che da anni è fonte di ispirazione per tanti e che è tra l’altro oggetto di un libro fresco di stampa: Una coppia esemplare: Santa Gianna Beretta e Pietro Molla. Il loro cammino coniugale e il loro messaggio oggi (Velar, 2022). Il volume, basato su una tesi di laurea, si concentra sulla vocazione di fidanzati, sposi e genitori di Gianna e Pietro. Ed è scritto da Valentina Di Marco, insegnante di religione e giornalista pubblicista, la cui famiglia d’origine ha conosciuto personalmente la santa di cui oggi ricorre la memoria liturgica. La Nuova Bussola ha intervistato l’autrice.

Sono passati 60 anni dalla morte di santa Gianna. Con tutti i cambiamenti che ci sono stati nel frattempo, che cosa ha da dire la sua santità al mondo di oggi?

Santa Gianna è una donna moderna. Aveva un’autonomia lavorativa, come medico, e un’autonomia negli spostamenti, guidava infatti l’automobile, cosa che ai suoi tempi non era consueta. Le piaceva vestirsi bene, pettinarsi, si faceva aiutare dalla famiglia e dalle collaboratrici domestiche per la gestione dei figli. Insomma, viveva la vita che tantissime donne e mamme lavoratrici vivono oggi. Certo, santa Gianna non è una millennial, come il beato Carlo Acutis, ma rimane un esempio di come la santità possa essere trovata nella quotidianità della propria vocazione. In particolare nel nostro tempo, che vede la famiglia sempre più bistrattata dalla società, santa Gianna - insieme al marito Pietro - ci dimostra che proprio la famiglia può essere un ambito nel quale sviluppare la santità nel ruolo quotidiano di coniugi, genitori e lavoratori.

Santa Gianna dava molta importanza alla vocazione. Visse il periodo del fidanzamento come una verifica di ciò a cui Dio la chiamava?


Certo, Gianna intanto aveva intrapreso la sua vocazione come medico, perché per lei l’essere medico non era soltanto una professione, era proprio un mettersi al servizio dell’altro, diceva che «chi tocca il corpo di un paziente, tocca il corpo di Gesù». E, prima che Pietro irrompesse nella sua vita, aveva intenzione di raggiungere il fratello, padre Alberto, nella sua missione in Brasile. Ma il suo direttore spirituale e anche il vescovo di Bergamo glielo sconsigliarono perché lei era fragile di salute e soprattutto soffriva molto il caldo.

E arriviamo al 1954…

Quell’anno Gianna - seguendo il consiglio del suo direttore spirituale, che l’aveva esortata a formare una famiglia santa - si reca con un altro fratello, Ferdinando, anch’egli medico, a Lourdes, con un treno di ammalati. E lì chiede alla Madonna di farle incontrare l’uomo che il Signore le aveva preparato dall’eternità. Pochi mesi dopo il ritorno da Lourdes avviene finalmente, nel giorno dell’Immacolata, il primo ufficiale incontro con Pietro. Tra i due fino ad allora c’erano stati solo alcuni incontri fugaci e rapidi scambi di saluto tra Magenta e Mesero.

Pietro Molla disse, a metà anni Novanta, che “una delle ‘reliquie’ più toccanti” che conservava della moglie fossero le lettere del periodo del fidanzamento. Perché quelle lettere sono così speciali?

Concordo con l’ingegner Molla, perché le lettere del periodo del fidanzamento sono quelle che prediligo. Emerge innanzitutto il carattere gioviale, coinvolgente, pieno di entusiasmo di Gianna. Lei esprime il suo amore per la natura, il teatro, il ballo, per le cose belle della vita. Però emerge anche un altro aspetto, cioè la fragilità di una donna di 32 anni bisognosa di amore perché orfana di entrambi i genitori e anche timorosa di non essere all’altezza come moglie. Gianna e Pietro vivono il fidanzamento come un tempo per conoscersi, per porre le basi per una proposta seria, per formare una famiglia veramente cristiana, come scrivono loro. Ed è sorprendente che fin dalla prima missiva (21 febbraio 1955) Gianna dichiari di voler essere per Pietro la donna che lo faccia felice, «buona, comprensiva e pronta ai sacrifici». È una donna che prende come modello le donne sante della Sacra Scrittura. Nel loro dialogo c’è la presenza costante di Dio. Lo conferma anche un fatto, fuori dall’ordinario, nel mese del matrimonio.




Quale?

A inizio settembre 1955, Gianna propone a Pietro di fare un triduo nei tre giorni (21-22-23 settembre) che precedono le nozze, partecipando alla Messa e facendo la Comunione, ognuno nella propria chiesa preferita. Invece di lasciarsi sopraffare dalla preparazione mondana - di abiti, fiori, invitati, eccetera - Gianna e Pietro mettono al centro la preparazione spirituale, perché riconoscono che l’amore umano ha fondamento in un Amore più grande.

Le lettere di Gianna e Pietro conservano comunque la loro bellezza - come mostri nel libro - nei sei anni e mezzo di matrimonio. 

Dall’epistolario si può rinvenire un “segreto”, un filo conduttore della felicità del loro matrimonio?

Il segreto è proprio la presenza costante di Dio, di Gesù, sul quale si basa il profondo rispetto e la profonda stima che Gianna e Pietro hanno l’una verso l’altro. Avevano infatti l’intento di costruire una famiglia che potesse essere un piccolo cenacolo, una piccola chiesa domestica.

Onora il padre e la madre. Oltre ad aver onorato i propri genitori nelle rispettive famiglie d’origine, ricche di fede, si può dire che Gianna e Pietro abbiano poi trasmesso, in modo naturale, ai loro figli l’importanza di questo comandamento?

Sì. Nell’epistolario si leggono sempre parole di grande stima tra i due. Gianna, nelle sue lettere, chiama per esempio Pietro «un santo papà». La stessa cosa, con dei vezzeggiativi verso di lei e il suo essere mamma, è sottolineata da Pietro. Questa stima reciproca, come coniugi e genitori, la trasmettono anche ai figli. Ciò si unisce al fatto che nelle loro lettere emerge l’intento di iniziare i figli alla preghiera, di educarli con la persuasione e l’esempio, nel solco dei valori cristiani.

Dalla documentazione e dalle testimonianze riportate nel libro, risulta chiaro che Pietro è stato degno sposo di una santa. Quali tratti, oltre a quelli di cui abbiamo già detto, si possono sottolineare al riguardo?


Sicuramente la figura dell’ingegner Molla non è affatto da sottovalutare. È proprio Pietro, da dirigente di una grande azienda del territorio che dava tantissimo lavoro, da uomo di scienza e anche di praticità, a usare le parole più poetiche per esprimere l’amore per Gianna e i figli. E a questo proposito, io invito sempre a leggere la “Preghiera dei miei voli”, scritta nel 1959, a seimila metri di altezza, mentre Pietro sorvola il Grand Canyon per un lungo viaggio di lavoro negli Stati Uniti. La bellezza di questo paesaggio naturale ispira Pietro a comporre questa magnifica preghiera di affidamento della sua famiglia a Dio. Pietro, inoltre, condivide e alimenta la spiritualità di Gianna. E stupisce molto il fatto che in alcuni passaggi delle lettere sia proprio Gianna a ispirarsi a Pietro, come suo modello di preghiera e di fede.

Detto da una santa, in effetti, colpisce.

Sì. E Gianna, in un momento di difficoltà, scrive tra l’altro al marito che «il tuo grande amore mi aiuterà ad essere forte». La stima che lei ha nei confronti di Pietro investe anche tutto l’aspetto spirituale. Dunque, lui è stato davvero degno sposo di una santa. Gianna e Pietro dimostrano insieme che la santità, come coppia e come famiglia, esiste. Non hanno fatto cose eccezionali, come miracoli in terra: tuttavia hanno vissuto la fede giorno dopo giorno, in modo semplice, ma maturo e consapevole.






Testimonianze: il tesoro della Messa antica.





28APR22

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by Aldo Maria Valli

Cari amici di Duc in altum, continua la pubblicazione settimanale delle testimonianze sulla Santa Messa tradizionale. Ringraziamo tutti quelli che ci hanno scritto: il loro contributo è prezioso e rinfranca l’anima. Mostra con tutta evidenza che il Santo Sacrificio della Messa è azione soprannaturale cui siamo ammessi a partecipare per l’infinita bontà di Dio. In Esso siamo chiamati a elevarci e c’è un solo modo per farlo: in ginocchio e in silenzio accogliamo i torrenti di grazia che si riversano dall’altare.


Invitiamo a inviarci le testimonianze all’indirizzo: venietvide.missa@gmail.com

***



Gentile dottor Valli, è con piacere che propongo la mia esperienza con la Santa Messa vetus ordo. Mi trovavo per lavoro a Londra il mercoledì delle Ceneri del 2007 e, finita la giornata, scesi dall’albergo per fare due passi. Come sempre quando sono solo e lontano da casa, cercai una chiesa sperando che fosse cattolica, per pregare tranquillamente. Ne trovai una a un isolato dal mio albergo e entrai. Pochi minuti dopo vidi la processione d’ingresso di questi chierici vestiti in modo che non conoscevo ed ebbe inizio qualcosa di divino, che mi tenne lì tutta la Messa (tenga conto che per me, ambrosiano, la Messa del mercoledì delle Ceneri è già di per sé straordinaria). Alla comunione, ricordo, intonarono il Miserere di Allegri (ascoltato per la prima e unica volta in chiesa). Da allora appena posso partecipo alla Messa vetus ordo.

Fabrizio

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Gentilissimo dottor Aldo Maria Valli, ecco in breve il mio incontro con la Santa Messa vetus ordo. Grazie infinite a Lei per il suo lavoro ed il suo impegno.

Che Dio la benedica.

La mia prima volta alla Messa di sempre fu nel 2007. Venivo da anni complicati, in cui l’infelicità, che cercavo di curare invano con le false carezze del mondo, cresceva in modo preoccupante. Un po’ alla volta avevo iniziato a vagolare per le chiese, non solo per la Messa domenicale, ma anche durante la settimana. Ero alla ricerca di qualcosa, che sentivo mi mancava. Certamente oggi posso dire che la Grazia aveva incominciato a lavorare. Un giorno “per caso” ho partecipato alla mia prima Santa Messa vetus ordo in una piccola chiesa di campagna. Malgrado il latino studiato a scuola, non capii nulla, ma mi sentii subito avvolta in un abbraccio accogliente. La sensazione fu che qualcuno fosse lì e che da sempre mi stesse aspettando. Avevo finalmente trovato quello che mancava alla mia vita. Da quel giorno ho frequentato solo e sempre la Messa vetus ordo, anche quotidiana.

Sono quindici anni che ho lasciato la mia città, ora vivo in campagna a pochi chilometri dalla chiesa. Ho la Messa tradizionale tutti i giorni e di questo sono grata al Signore con tutto il cuore. Negli anni ho visto crescere il numero dei fedeli in modo impressionante: in fondo l’uomo cerca Dio naturalmente durante tutta la vita, e nella Santa Messa di sempre lo trova e lo riconosce come il suo Salvatore.

Maria Luisa

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Carissimo Aldo Maria, grazie di cuore per la sua coraggiosa difesa della Tradizione cattolica e della Santa Messa di sempre che ne è il tesoro prezioso. Ho 74 anni e perciò ho potuto conoscere e vivere la liturgia antica, anche come chierichetto: quanto pesa quel messale!!!

Poi come tanti fui conquistato dal Concilio Vaticano II, anche perché ero in contatto frequente con monsignor Luigi Sartori, che svolgeva un ruolo importante al Concilio. Mi sono impegnato nella catechesi dei fanciulli per decenni, ho svolto ruoli diversi a livello parrocchiale, vicariale e diocesano, anche sul piano liturgico, fino a qualche anno fa. Poi, in pensione, attraverso lo studio approfondito della Divina commedia, dei Padri della Chiesa e di tanti altri autori medievali e moderni, ho approfondito la liturgia cattolica. E proprio qui, anche con lo stimolo del libro di monsignor Schneider Christus vincit, ho scoperto che la Messa per la quale tanto mi ero speso non era quella della fede cristiana autentica. Allora assieme a mia moglie mi sono messo a leggere e studiare documenti conciliari, encicliche, libri di molti autori. Ho ritrovato così la Messa della mia infanzia. Non ci crederà, ma mi sono messo a piangere come un bimbo per la profonda commozione, ma anche per la rabbia per essere stato ingannato per quasi cinquant’anni proprio dalla mia Chiesa o meglio dalla sua gerarchia. Ora seguo la Santa Messa di sempre col tablet, non essendovi vicino a casa mia chiese in cui si celebri secondo il vetus ordo. Ve ne era una, ma a seguito del funesto motu proprio Traditionis custodes è stata sospesa. Grazie ancora per le bellissime testimonianze che lei riporta e che tanto bene fanno.

Un affettuoso abbraccio.

Angelo

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Buongiorno, volevo indirettamente testimoniare riguardo a una conversione dovuta alla Messa antica. Si tratta di questo. Mesi fa ero, come sempre succede quando sono a Roma, alla Santa Messa domenicale in rito romano antico della chiesa di Santa Trinità dei Pellegrini. In questa Santa Messa è stata data notizia della salita al Cielo di un recente neo convertito grazie alla Santa Messa in rito romano antico. Si tratta di un ragazzo di una trentina di anni che, dopo tantissimi anni di abbandono della Fede, era ritornato alla Fede e ai Sacramenti grazie alla scoperta di questa Messa in Santa Trinità dei Pellegrini. I sacerdoti della parrocchia, molto colpiti da questa perdita, hanno voluto ricordare il giovane con una immaginetta con la sua foto e alcune sue parole di apprezzamento per la Messa tradizionale. Per conoscere la sua storia e testimonianza in merito alla sua conversione grazie alla scoperta della Messa Antica, consiglierei di contattare i sacerdoti di Santa Trinità dei Pellegrini. Un caro saluto.

Nicola











mercoledì 27 aprile 2022

Precisazioni sull’omosessualità e sul peccato contro natur







Di Silvio Brachetta 27 APR 2022

La questione dell’omosessualità interessa la Dottrina sociale della Chiesa per il legame con il bene comune. Se infatti fosse riconosciuto, a livello giuridico, il matrimonio omosessuale e, se questo fosse considerato «come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune»[1]. Il bene comune ha molto a che fare con il concetto di «perfezionamento», nel senso evangelico: il «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»[2] è la chiamata a perfezione delle sostanze razionali (le persone), tanto nel senso individuato, quanto in quello universale. Con questo significato il Concilio Vaticano II ha definito il bene comune come «l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni, il conseguimento più pieno della loro perfezione»[3].

C’è insomma una perfezione da conseguire, che il singolo raggiunge per mezzo dell’assenso personale alla grazia, mentre il corpo sociale (famiglia, associazione, Stato) la consegue solo se vi sono, a monte, alcune condizioni sociali necessarie. Tra queste condizioni vi può essere, ad esempio, un corpo legislativo che tenga conto della legge naturale. Anche il corpo sociale, così come il singolo, ha comunque bisogno della grazia: soltanto la nazione santa – cioè la nazione i cui singoli corrispondono alla grazia – è in grado di riconoscere la legge naturale e promulgare le leggi che consentono la via della perfezione. Se, al contrario, i singoli sono corrotti e non formati alla perfezione, tutto il corpo sociale si corrompe e promulga leggi ingiuste, accanto alle leggi giuste imposte dalla Provvidenza.

Severità e mitigazione

L’omosessualità, per via dell’atto umano, è una «depravazione»[4] della natura umana ed è, per questo motivo, definita «abominio»[5] nell’Antico Testamento. E l’abominio è null’altro della maledizione divina[6]. Il Nuovo Testamento, che non annulla l’Antico, non elimina la Legge, ma la compie. La dottrina, dunque, legata all’abominio e alle azioni depravate va dunque precisata, perché non è d’immediata percezione.

Gesù Cristo non solo non annulla la Legge ma, quanto alla giustizia, la rende più severa. Nel Discorso della Montagna il Maestro dice che non è necessario giungere ad uccidere o a commettere adulterio per trasgredire la Legge, ma è sufficiente adirarsi contro il prossimo o desiderare una donna[7]. Quanto alla misericordia, al contrario, Gesù rivede la Legge e la mitiga, estendendo l’amore ai nemici e riprovando la superbia e la vendetta[8].

Il capitolo 5 di Matteo si chiude proprio con il succitato comando della perfezione (v. 48), che prevede il superamento della giustizia farisaica e fonda il senso del bene comune secondo la Dottrina sociale (che è l’aspetto sociale della Dottrina di Cristo, tramandata dagli apostoli). L’ampliamento del sesto comandamento del Decalogo, dall’ambito eterosessuale – «non commettere adulterio» – ad ogni ambito legato al sesso – «non commettere atti impuri» – estende la logica dell’abominio all’intera natura umana. Essa, in quanto essenza, ha una propria forma, una propria verità che, a differenza delle cose e degli animali, può essere contraddetta dall’azione. In questo senso ogni contravvenzione alla Legge di Dio – ogni peccato – è una «depravazione», laddove «depravare» significa «deformare», ovvero mutare (volontariamente, non sostanzialmente) la forma originaria[9].

Così anche l’atto impuro, riprovato dal sesto comandamento, è una depravazione sia nel caso dell’omosessualità, sia nel caso di quella eterosessualità difforme dalla retta ragione[10]. Quanto all’Antico Testamento, la depravazione e la conseguente abominazione erano attinenti al mero atto omosessuale o all’adulterio, che venivano puniti con la morte. Quanto al Nuovo Testamento – dopo il Discorso della Montagna – ogni atto impuro è difforme dalla retta ragione, compreso l’atto eterosessuale disordinato. Ogni peccato mortale, se non confessato, porta all’abominio, alla dannazione – laddove anche l’atto impuro (omosessuale o meno) è peccato mortale, se consumato nella piena avvertenza e nel deliberato consenso. E allora ciò che è comunemente detto «peccato contro natura» si estende anche oltre l’omosessualità.


Ragione e grazia

È pur vero, tuttavia, che non tutti i peccati di lussuria sono gravi allo stesso modo: in effetti il rapporto sessuale uomo-donna nasce pur sempre dal giudizio di Dio, che ha creato l’uomo maschio e femmina. San Tommaso d’Aquino definisce il peccato contro natura come quello «che si commette in ogni atto venereo da cui non può seguire la generazione»[11] e il cui movente è la lussuria. L’atto venereo sterile è ripugnante in due modi: o perché ripugna alla retta ragione – e, in questo significato, tutti i peccati di lussuria sono ripugnanti – o perché ripugna anche «allo stesso ordine naturale e fisiologico dell’atto venereo proprio della specie umana»[12]. E, quando si accenna all’ordine naturale, il riferimento è direttamente a Dio. Sono ripugnanti nel secondo significato – e quindi più gravi – i seguenti peccati, che sono originati da «vizi contro natura»: la masturbazione, il rapporto sessuale con le bestie, il rapporto omo-erotico (sodomia maschile o femminile), la copula etero-erotica mediante l’uso improprio degli organi sessuali[13].

Gli altri peccati contro la castità (adulterio, incesto, stupro, rapimento e fornicazione) sono gravi, ma non hanno l’aggravante di opporsi all’ordine voluto da Dio, specialmente nella persona dello Spirito Santo. Questi invece sono quei peccati di cui si dice che «gridano vendetta al cospetto di Dio» (Catechismo Maggiore).

In questo quadro non tutto è scontato, né comprensibile fino in fondo. San Tommaso, nel merito, distingue tra «retta ragione» e «ordine consueto della ragione»[14]. Quello che l’uomo può capire con facilità (pericolosità dell’adulterio, immoralità dell’incesto, asessualità nei bambini, ecc…) appartiene all’ordine consueto della ragione. Ci sono cose, però, che l’uomo non coglie, poiché la «ragione umana è retta in quanto è regolata dalla volontà di Dio» – e non è per nulla facile accedere alla volontà di Dio. C’è molto di oscuro nella retta ragione, nonostante sia accessibile anche ai laici o a i pagani.

Da qui l’importanza dell’ausilio di grazia anche per le materie della Dottrina sociale. Il sesso, in particolare, è del tutto pertinente alla Dottrina sociale, se non altro poiché attiene alla famiglia, che fonda la società. L’ordine consueto della ragione può talvolta non riuscire a riconoscere il male nell’omo-erotismo o nella sessualità disordinata. È allora necessaria la prospettiva della retta ragione, alla quale non si può attingere con certezza se non per mezzo della grazia.

Il fatto che le comunità umane coltivino o meno le virtù morali e sociali dipende dal «necessario aiuto della grazia divina»[15]. Senza la grazia la ragione non riceve più luce, confonde il bene e il male, i diritti con i doveri e i vizi con le virtù. L’omosessualità, agli occhi di una politica più che miope, diventa perciò un diritto e una base per la costruzione di un nuovo tipo di famiglia, senza giustificazione alcuna della retta ragione.

Silvio Brachetta



[1] Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (3 giugno 2003), 8, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, p. 9.

[2] Mt 5, 48.

[3] Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 74.

[4] La Sacra Scrittura presenta le «relazioni omosessuali come gravi depravazioni». Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357.

[5] P. es. Lv 18, 22.

[6] «Abominare»: dal lat. ab (allontanamento) e omen (augurio). Cioè «respingere da sé», anche nel senso di «maledire». Cf. Ottorino Pianigiani, Dizionario etimologico, 1907 – Vocabolario Treccani online.

[7] Cf. Mt 5, 21-32.

[8] Cf. Mt 5, 33-47.

[9] Il lat. pravus (da cui «depravato») equivale a «deforme». Cf. Pianigiani, Dizionario, op. cit.

[10] «Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall’errore. È un delitto sostituirla con una legge contraria; è proibito non praticarne una sola disposizione; nessuno poi può abrogarla completamente». Marco Tullio Cicerone, De re publica, III, 22, 33.

[11] S. Th., IIa-IIæ, q. 154, a. 1, co.

[12] Ibid., a. 11, co.

[13] Ivi.

[14] Ibid., a. 2, ad 2.

[15] Gaudium et spes, op. cit., n. 30. Cf. Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 19.







Il Sinodo sulla sinodalità rischia di diventare un progetto di un infruttuoso guardarsi fissamente l’ombelico


Cardinale Jean Claude Hollerich



Sul Sinodo sulla sinodalità, attualmente in corso, riporto una riflessione di Mons. Hans Feichtinger, pubblicata su The First Thing. Eccola nella traduzione di Sabino Paciolla.




Mons. Hans Feichtinger*

Sempre più lentamente, il “Sinodo sulla sinodalità” sta iniziando. Un processo preparatorio di “ascolto e dialogo” nelle parrocchie e nelle diocesi di tutto il mondo cattolico è in corso dall’ottobre 2021; nella prossima tappa del sinodo, le relazioni di questo processo preparatorio saranno sintetizzate in incontri nazionali. Questi saranno seguiti da incontri sinodali continentali. Il sinodo culminerà in un’assemblea internazionale dei vescovi delegati nell’ottobre 2023. Questo progetto romano è certamente più promettente della “via sinodale” tedesca. Eppure anche i cardinali e altri vicini al papa stanno cominciando a rendersi conto che molti nella Chiesa, sia laici che clero, mancano di vero entusiasmo sinodale.

Il Sinodo sulla sinodalità vuole essere un esercizio globale di “ascolto” e di “camminare insieme”. Ma alcuni sembrano aspettarsi da questo sinodo più di quanto esso possa ragionevolmente offrire. Teologi seri hanno fatto notare fin dal Concilio Vaticano II che una Chiesa costantemente concentrata su se stessa non può pretendere di seguire la missione del suo fondatore. Purtroppo, il Sinodo sulla sinodalità rischia di diventare un progetto di un infruttuoso guardarsi fissamente l’ombelico. La riforma avverrà solo se la Chiesa ricorderà che esiste a causa di Cristo e “per evangelizzare”, come disse Paolo VI.

Affinché questo sinodo funzioni e porti frutto, i vescovi e i sacerdoti devono prima impegnarsi. A questo punto, vedo poco entusiasmo, nonostante la massiccia pubblicità del Vaticano. I vescovi, i sacerdoti e i cattolici in generale vogliono “camminare con” il papa e tra di loro, ma questo sinodo non ha acceso molti cuori o menti. Ciò è dovuto a diversi fattori.

In primo luogo, l’entusiasmo per il sinodo è ostacolato dalla comunicazione del Vaticano. Un fattore nella mancanza di impegno sinodale da parte del clero è il frequente castigo del Vaticano sul “clericalismo”. Questo clericalismo potrebbe anche non esistere; non sono convinto che il più grande problema della Chiesa oggi sia il spesso dichiarato antagonismo tra laici e clero. Piuttosto, sia per il clero che per i laici, l’incapacità di prestare attenzione alla Parola di Dio è il problema maggiore. Considerate come la Santa Sede spesso non sia chiara su cosa significhi effettivamente la parola “evangelizzazione”. Alcuni recenti documenti vaticani sono dottrinalmente opachi e teologicamente deboli, compresi i testi pubblicati dal Sinodo dei Vescovi. I vaghi riferimenti al Vaticano II abbondano e possono essere abbastanza fuorvianti.

In secondo luogo, la fiducia nel Sinodo sulla sinodalità è stata danneggiata dalle recenti dichiarazioni del cardinale Jean-Claude Hollerich, S.J., arcivescovo di Lussemburgo, che sarà il relatore generale del sinodo. Commentando il cammino sinodale in Germania, ha chiesto una “revisione fondamentale” dell’insegnamento della Chiesa sugli atti omosessuali. Quando qualcuno in una posizione chiave del sinodo fa tali commenti, scredita l’attuale processo di ascolto. Il commento dell’arcivescovo mostra come il processo tedesco stia già compromettendo il progetto romano.

Infine, qualsiasi discorso sulla sinodalità, il decentramento e l’unità rimane poco convincente quando il Vaticano continua ad esercitare un potere centralizzato dall’alto verso il basso – per esempio, quando si tratta di regolare il Rito Tridentino. I recenti documenti vaticani che frenano la Messa tradizionale in latino non sono scritti in uno spirito di sinodalità. Come questione pratica, questo problema non è urgente in un mondo in cui molti cattolici vanno avanti e indietro tra la forma ordinaria e quella straordinaria, o tra il rito romano e quello orientale. I documenti offrono una non-soluzione a un non-problema. A livello teologico, è preoccupante per molteplici ragioni quando la Santa Sede dichiara che la liturgia post-Vaticano II è “l’espressione unica della lex orandi del rito romano”, come fa nella Traditionis Custodes. In primo luogo, i testi e i riti liturgici, in quanto espressioni della sacra tradizione, devono essere trattati con grande rispetto, anche se ora sono raramente utilizzati. Secondo, la riforma dei riti e dei testi liturgici negli anni ’60 è stato un intervento massiccio, guidato dai teologi e promulgato dalla massima autorità della Chiesa. Ma questo intervento non significa che le forme precedenti della liturgia romana non abbiano rilevanza teologica o dottrinale. Come ha scritto Benedetto XVI, “Ciò che le generazioni precedenti ritenevano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o addirittura considerato dannoso”.

Inoltre, la dichiarazione di Papa Francesco che lo stato attuale della liturgia è “irreversibile” mette in discussione la stessa riforma liturgica post-Vaticano II. Perché se questo è il caso, come è stato mai legittimo il lavoro di riforma liturgica? Le riforme post-Vaticano II hanno comportato una critica storica e teologica dei riti più antichi – di conseguenza, la liturgia riformata non può essere dichiarata esente da un esame simile e rimane soggetta a sviluppi in direzioni che ci sono sconosciute in questo momento. Nessuno dovrebbe presumere di possedere la prescienza di dove Dio vuole che la sua Chiesa vada in futuro.

A questo punto, non ho perso la speranza che il Sinodo sulla sinodalità possa fare del bene. Ma a meno che non sia veramente aperto alla Parola di Dio, o imploderà, proprio come sta implodendo il cammino sinodale in Germania, o finirà con un lamento. Sì, il sinodo deve essere aperto ai “segni dei tempi”, ma più aperto alla “luce del Vangelo”. Senza questa luce, non possiamo distinguere i segni dei tempi né sapere cosa fare con essi. Dovremo essere aperti ad ascoltare messaggi difficili, alcuni dei quali abbiamo ignorato per decenni. E non dobbiamo più riporre aspettative irragionevoli sul magistero: I concili e il papato non sono progettati (cioè istituiti da Cristo) per organizzare cambiamenti di paradigma. Piuttosto, sono stati progettati per essere i primi “uditori” e “facitori della Parola”, perché tutto il resto è inganno (Giacomo 1,22). Solo un approccio umile, che lascia molto spazio allo Spirito Santo per lavorare, porterà un autentico rinnovamento e una riforma. Come scrisse Sant’Agostino: “Dove c’è carità, c’è pace, e dove c’è umiltà c’è carità”.




*Mons. Hans Feichtinger è il parroco della parrocchia di San Giorgio e della parrocchia di Sant’Alberto a Ottawa.






martedì 26 aprile 2022

Si deve portare rispetto per la Tradizione




26 aprile 2022


Padre Paisios del Monte Athos era solito dire: «Oggi la situazione delle Chiese è molto grave. Non lo capiscono ma è così. Ci aspettano molte prove. Viviamo in tempi di Apocalisse, siamo come ai tempi di Noè; lo prendevano in giro. Oggi nessuno ci crede, ma siamo al colmo. I pii avranno grandi prove, ma il tempo sarà breve». Di seguito ho ripreso un suo testo sulla Tradizione, interessante perché vi troviamo anche la stigmatizzazione del falso ecumenismo [qui], che evidentemente sta contaminando anche l'Oriente. Il fatto che egli parli dal versante ortodosso nulla toglie alla verità riconoscibile nei suoi pensieri. Tra l'altro ricordiamo che gli insegnamenti (citati con venerazione) dei grandi Padri Greci, che nutrono la Tradizione insieme a quelli latini, precedono lo scisma d'Oriente.




«Molti santi Martiri, quando non conoscevano il dogma, dicevano: «Credo a tutto quello che i Santi Padri hanno decretato». Se qualcuno affermava questo, veniva martirizzato. Costui non sapeva portare delle prove ai persecutori della sua fede né sapeva convincerli, ma aveva fiducia nei Santi Padri. Pensava: «Come posso non avere fiducia nei Santi Padri? Loro che sono stati più esperti, più virtuosi e santi! Come posso accettare una stupidità? Come posso tollerare qualcuno che insulta i Santi Padri?». Dobbiamo avere fiducia nella tradizione. Oggi, purtroppo, da noi è entrata la gentilezza europea e ci stanno insegnando come si fa ad essere bravi. Vogliono mostrarci la superiorità e, alla fine, vanno a prostrarsi al diavolo cornuto. Ci dicono: «Ci dev’essere una religione!» ma pongono tutto sullo stesso piano. Anche da me sono venuti alcuni che mi hanno detto: «Tutti quelli che credono in Cristo devono fare una sola confessione religiosa». Ho loro risposto: «È come se ora mi diceste di unire l’oro con il rame; unire un oro di molti carati con tutto quello da cui è stato separato, raccogliere nuovamente tutto e riunirlo. È giusto mescolare tutto di nuovo? Chiedete a un orefice: ‘È giusto mischiare la zavorra con l’oro?’. C’è stata una grande lotta, per purificare a fondo il dogma». I Santi Padri sapevano qualcosa di più per proibire i rapporti con l’eretico. Oggi dicono: «Non solo bisogna stare con l’eretico ma pure con il Buddista e l’adoratore del fuoco. Dobbiamo pregare insieme a loro. Gli ortodossi devono essere presenti alle loro preghiere comuni e ai loro convegni. Si tratta di una presenza».
Che tipo di presenza? Cercano di risolvere tutto con la logica e giustificano cose ingiustificabili. Lo spirito europeo crede che pure le questioni spirituali possano inserirsi nel mercato comune.


Alcuni tra gli ortodossi superficiali che vogliono fare delle “missioni”, convocano convegni con eterodossi, perché si faccia scalpore. Così credono di promuovere l’Ortodossia, facendo, cioè, un’insalata sbattuta tra le cose ortodosse e quelle di chi non crede rettamente. In seguito a ciò reagiscono i super-zeloti e si attaccano all’altra estremità arrivando pure a bestemmiare contro i Sacramenti di chi usa il nuovo calendario ecclesiastico, ecc. Tutto ciò scandalizza alquanto le anime con devozione e sensibilità ortodossa. Gli eterodossi d’altro lato, quelli che vanno ai convegni, si atteggiano da maestri, prendono ogni buon materiale dagli ortodossi, lo filtrano attraverso il loro studio nei loro laboratori, ci appongono il loro colore e la loro etichetta e lo presentano come se fosse un prototipo originale. Davanti a queste cose, il nostro attuale strano mondo si commuove e poi si rovina spiritualmente. Il Signore, però, quando sarà necessario, manifesterà dei Marco Eugenico e dei Gregorio Palamas che raccoglieranno tutti i nostri fratelli assai scandalizzati, perché confessino la fede ortodossa e consolidino la tradizione con grande gioia della Madre Chiesa.


Se vivessimo patristicamente, avremmo tutti salute spirituale, per la quale sarebbero gelosi anche tutti gli eterodossi al punto da lasciare i loro errori ammalati e salvarsi senza prediche. Oggi non si commuovono della nostra tradizione patristica, perché vogliono vedere anche la nostra continuazione patristica, ossia la nostra autentica affinità di parentela con i nostri Santi. Quello che s’impone ad ogni ortodosso è che metta una sana inquietudine anche agli eterodossi, in modo che capiscano di trovarsi nell’errore e il loro pensiero non si rassicuri in modo sbagliato venendo privati in questa vita delle ricche benedizioni dell’Ortodossia e nell’altra vita delle eterne benedizioni di Dio. Alla mia Kalivi [= piccola residenza monastica] vengono dei ragazzi cattolici di molta buona volontà, pronti a conoscere l’Ortodossia. «Vogliamo che ci dici qualcosa, per essere aiutati spiritualmente», mi dicono. «Guardate – dico loro –, prendete la Storia Ecclesiastica e vedrete che un tempo eravamo assieme ma poi ecco dove siamo arrivati. Questo vi aiuterà molto. Fate questo e la prossima volta discuteremo su molti argomenti».


Anticamente si rispettavano le cose, perché erano appartenute al proprio nonno, e venivano custodite come oggetti preziosi. Avevo conosciuto un avvocato molto bravo. La sua casa era semplice e faceva riposare non solo lui ma anche i visitatori. Una volta mi disse: «Padre, qualche anno fa i miei conoscenti mi prendevano in giro per i miei vecchi mobili. Ora vengono e li ammirano come dei pezzi d’antiquariato. Mentre usandoli mi danno gioia e mi commuovono perché mi ricordano mio padre, mia madre, i miei nonni, costoro raccolgono diverse cose vecchie, fanno dei salotti che sembrano negozi di rigattiere, in modo da dimenticarsi con queste cose e da dimenticare pure l’angoscia cosmica». Un tempo una piccola moneta antica era tenuta come un grande patrimonio di sua madre o di suo nonno. Oggi, se qualcuno ha da suo nonno una moneta di [re] Georgios [1922-1923 e 1935-1947] se per esempio nota che ha 100 dracme di differenza con una moneta del tempo della regina Vittoria, la scambierà. Non apprezza e non stima né la madre né il padre. Lo spirito europeo entra a poco a poco e ci travolge trascinando con sé tutto.


Quando sono stato per la prima volta al Monte Athos, mi ricordo in un monastero di un monaco vecchietto che aveva molta devozione. Conservava le cose “da nonno a nonno” per devozione. Dai suoi “nonni” [spirituali] e dai suoi predecessori non aveva avuto solo i kalimafchia [= berretti monastici], ma anche le forme con le quali si fanno i kalimafchia. Possedeva pure vecchi libri e diversi manoscritti e li custodiva avvolti in modo grazioso nella biblioteca, ben chiusa, perché non s’impolverassero. Non usava quei libri; li teneva chiusi. «Io non sono degno di leggere tali libri – diceva –. Leggerò questi altri che sono semplici: il Gherondikon e la Klimaka». Poi arrivò un nuovo monaco – che alla fine non rimase nel Monte Athos – e gli disse: «Perché raccogli qui della robaccia inutile?». Afferrò le forme per buttarle e bruciarle. Il povero vecchietto pianse: «Questo proviene da mio nonno – diceva –, perché ti da fastidio? Abbiamo tante altre stanze; lasciale in un piccolo angolo!». Per devozione non solo conservava libri, cimeli, kalimafchia, ma pure le stesse forme! Quando c’è rispetto per le piccole cose, c’è grande rispetto pure per le grandi. Quando non c’è rispetto per le piccole, non esiste rispetto neppure per le grandi. È stato così che i Padri hanno mantenuto la Tradizione».

(Tratto dal libro: Γέροντος Παϊσίου του Αγιορείτου, ΛΟΓΟΙ Α΄, Ιερόν Ησυχαστήριον Άγιος Ιωάννης ο Θεολόγος, Σουρωτή, Θεσσαλονίκη, pp. 347-350.)





lunedì 25 aprile 2022

Centinaia di "guerrieri di Maria" irrompono nel 'Rosario des Hombres' per «riconquistare la Spagna»





L'essenza della Spagna è cattolica e il Paese intende svegliarsi dal suo letargo, perché i cattolici tiepidi scompaiano e lascino il posto a coloro che danno pubblica testimonianza della loro fede e portano con la loro vita il buon odore di Cristo nell'intera società.
Centinaia di "guerrieri di Maria" irrompono nel Rosario di Uomini per "riconquistare la Spagna", come già avviene in Polonia e in Irlanda.





25 aprile 2022

Nel pomeriggio di questo sabato 23 aprile, centinaia di uomini hanno gremito la Plaza de la Villa a (Madrid) per inaugurare in Spagna un'iniziativa che sta prendendo sempre più piede in tutta Europa: il Rosario di Uomini. Tra gli oltre 250 uomini che hanno partecipato all'evento, c'era anche una delegazione di polacchi residenti in Spagna -paese pioniere nell'iniziativa-, tutti riuniti con un obiettivo: "Rimanere saldi nella fede, lottare spiritualmente per riconquistare Madrid, la Spagna e il mondo e metterlo al servizio del Sacro Cuore di Gesù ”.

Pochi minuti dopo le 19:00, l'altoparlante degli organizzatori del primo Rosario di Uomini pubblico a Madrid ha richiamato l'attenzione di centinaia di partecipanti per iniziare l'atto allo stesso modo dei loro omonimi europei, schierati.


Pochi secondi dopo, 10 file di circa 25 persone ciascuna - insieme a decine di partecipanti rimasti in piedi - hanno ascoltato il primo intervento che sintetizzava le intenzioni del rosario di "recuperare la virilità degli uomini e portare la fede nelle strade".


Come affermato dagli organizzatori all'inizio dell'evento, «oggi viene erroneamente trasmesso che la fede è qualcosa di privato, che ognuno deve custodire dentro. La fede è qualcosa di pubblico e noi vogliamo portarla in piazza. Chi sa se una persona che cammina lungo quel marciapiede può scoprire la fede oggi vedendo centinaia di uomini pregare?» ha chiesto Fernando ai partecipanti.
Per le esigenze dell'"uomo moderno"



Il Rosario degli uomini, oltre a proporre il carattere pubblico della preghiera, intende farlo pregando per i bisogni di cui "l'uomo moderno" è "più bisognoso che mai". Soprattutto « che noi uomini torniamo uomini », di fronte agli attacchi subiti dal femminismo o dalla perdita stessa delle virtù della virilità.


Ma, di fronte a un "mondo moderno" che offusca il concetto di femminilità e mascolinità, interrogarsi sul significato della virilità può diventare un luogo comune.


«Lo stato attuale dell'uomo in Spagna e in Europa è preoccupante. Ciò che l'uomo moderno ha fatto è eludere i suoi doveri e abbandonarsi ai piaceri , ai vizi e alla via facile», hanno affermato. Tuttavia, «l'esempio perfetto dell'uomo» in cui questo rosario guarda e propone «è Cristo », che « fa la cosa giusta a prescindere dal costo personale che può comportargli , subendo anche la più grande tortura che non ha subito nella storia. Siamo qui per recuperare ciò che ha reso grande non solo la Spagna, ma l'intera Civiltà : il coraggio degli uomini che fanno quello che dovrebbero, anche se soffriamo, anche se siamo emarginati, disprezzati o maltrattati», è stato affermato.
Un vescovo, sacerdoti... e polacchi




Dopo l'esposizione delle intenzioni generali del rosario, sono iniziate le prime Ave Maria, guidate da collaboratori e non pochi sacerdoti che hanno partecipato all'evento.


Uno di loro, Raúl Olazábal, ha ricordato a Religión in Libertad l'importanza di questo tipo di iniziative di preghiera riaffermando non solo "l'identità cattolica" dei partecipanti, ma anche quella di "molte persone che oggi sono affievolite". "Non dobbiamo dimenticare che la pandemia ha indebolito la fede di molte persone e dobbiamo aiutarle a riaffermarla", ha affermato.

Ha anche ricordato che questo evento non solo ha permesso ai partecipanti di "manifestare la loro fede", ma hanno anche potuto "farlo in modo soprannaturale": "Abbiamo chiesto alla Vergine, madre di Dio, e cioè non solo convinzioni umane, ma una fede profonda che radica”.


Per questo sacerdote dell'Istituto Cristo Re, il "Rosario degli uomini" può essere non solo una buona occasione per "riaffermare la fede" dei partecipanti, ma anche quella di coloro che sono indeboliti a causa della pandemia o per altri motivi.


Il sacerdote ha osservato "una identificazione molto profonda" con le intenzioni del rosario in Spagna, pur sottolineando l'importanza per la Chiesa e per il mondo "dell'unità tra Paesi fratelli" nella fede che si è manifestata con la partecipazione non pochi polacchi o addirittura cubani.

È il caso di Andrés Kmiec, polacco residente a Madrid che per la prima volta partecipa a un rosario maschile, per il quale «pregare fa sempre molto bene». "Vedere così tante persone dà gioia di fronte all'apostasia generale nella società e un evento come questo rende felice il cuore", ha detto.


Il suo connazionale Andrés Swiergosz accenna alla sua grande devozione alla Vergine di Fatima o Akita e aggiunge il valore "di pregare pubblicamente", come "uomini, donne e chiunque. La Vergine ci ha sempre chiesto di pregare il rosario, è la nostra arma per raggiungere in paradiso", aggiunge.




I polacchi Andrés Kmiec e Andrés Swiergosz erano felici del successo del primo "Rosario de Hombres" in Spagna di fronte a quella che considerano una "crescente apostasia" generalizzata.


Un altro dei loro compagni, Cristobal Wesolowski, condivide la visione di lotta della preghiera e soprattutto quella che è stata recitata ieri in piazza Madrid. "Siamo i guerrieri di Maria e abbiamo la nostra arma qui, nel rosario", ha detto prima di rivolgersi ai sacerdoti affinché, come nel suo paese natale, diffondano questo tipo di iniziativa nelle messe e nelle omelie. "Non aspettare tre mesi, continua ora, il prossimo mese, perché sempre più persone si riuniscano, questo è quello che dobbiamo fare come Chiesa", consigliava Arturo Maciej.

Cristobal Wesolowski e Arturo Maciej sono solo due dei "guerrieri di Maria" polacchi che si sono radunati questo sabato in Plaza de la Villa per seguire la nascita del Rosario de Hombres in Spagna.


Verso la riconquista spirituale "Rimaniamo saldi nella fede, continuiamo a lottare spiritualmente per riconquistare Madrid e poi la Spagna, l'Europa e il Mondo, e metterli al servizio del Sacro Cuore di Gesù": con questa arringa e un sonoro "Viva Cristo il Re!" Ricardo ha concluso il rosario Martín de Almagro, tra "Viva!" indirizzato anche alla Vergine.


In una conversazione con Religión in Libertad dopo l'evento, ha valutato positivamente la partecipazione e il seguito di questo primo rosario maschile. Spiega che hanno previsto tra le 50 e le 60 persone, ma le loro aspettative sono state completamente superate dai quasi 300 partecipanti.


Vista la risposta alla convocazione, si prevede che presto tutti gli uomini cattolici di Madrid saranno nuovamente convocati per portare la fede nelle strade della capitale. Questo rosario, dicono, "non è una questione una tantum" né lo sono i bisogni degli uomini: "è venuto per restare".

"Questo è il primo passo di un percorso che inizia e finisce così, facendo piccoli ma fermi passi", ha detto. "Per essere questo, un primo passo, siamo soddisfatti: abbiamo potuto, grazie a Dio, occupare un luogo emblematico come la Plaza de la Villa, piena di uomini che pregano in ginocchio sul selciato di Madrid, chiedendo la fine di quei mali che gli uomini subiscono. Le nostre impressioni sono molto buone", conclude.


A breve, gli organizzatori del Rosario maschile annunceranno i dettagli dei loro prossimi incontri, che promettono di avere un carattere periodico come accade in Polonia o in Irlanda.
Potete vedere qui la trasmissione in diretta del primo Rosario de Hombres a Madrid. -

  Fonte
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]





Il 25 aprile e il Dossettismo







Stefano Fontana 25 APR 2022

Il modo con cui ancora oggi si festeggia in Italia il 25 aprile 1945 può essere definito “dossettiano”. È questo una dei tanti lasciti di lungo termine che il pensiero e l’azione di Giuseppe Dossetti – politico e monaco – ha seminato nella società italiana. Dalla lotta al fascismo, dalla resistenza, dalla nuova repubblica, dalla Costituzione era emersa secondo lui la necessità epocale di una nuova democrazia compiuta, una democrazia popolare diversa, anzi opposta, alla democrazia liberale. Opposta anche a quella proposta da Pio XII nel radiomessaggio del ’44, e soprattutto opposta a quella di Alcide De Gasperi e di Luigi Gedda. Una democrazia compiuta in cui la presenza dei cattolici in politica fosse laica e addirittura invisibile.

A questo scopo, Dossetti pensava che l’apertura al Partito Comunista Italiano fosse strategicamente essenziale. Non solo e non tanto per distogliere i comunisti da Mosca, quanto per impegnarli in quella democrazia compiuta alternativa alla democrazia liberale che egli sognava. Dopo Franco Rodano e Felice Balbo, Dossetti puntò tutto su questa collaborazione con i comunisti. Durante i lavori della Costituente, nella Commissione sui doveri e i diritti, egli collaborò fianco a fianco e di buona intesa con Palmiro Togliatti. Si disse molto deluso di come De Gasperi e Gedda avevano impostato la campagna elettorale per le elezioni politiche del ’48, ossia come uno scontro frontale con le sinistre. Non condivise l’affossamento del governo tripartito DC-PCI-PSI da parte di De Gasperi per dare vita, dopo le elezioni, ad un monocolore democristiano con l’aggiunta di Einaudi e Merzagora, perché vedeva sfumare la sintesi politica nata dalla Resistenza. Non avrebbe voluto che l’Italia entrasse nella NATO, preferendo la neutralità.

Sul 25 aprile 1945 e le dinamiche politiche di quei tempi, Dossetti fonda tutti i punti principali della sua visione politica: democrazia anti-liberale, collaborazione con i comunisti, esaltazione della Costituzione – quando Matteo Renzi disse di aver giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo si dimostrava dossettiano senza volerlo e forse anche senza saperlo – vista come un progetto rivoluzionario a valore assoluto da realizzare nel tempo, centralità dello Stato per realizzare dall’alto la rivoluzione democratica.

Era un progetto politico che richiedeva però anche una rivoluzione nella Chiesa cattolica. Ispirandosi a Maritain e alla sua “nuova cristianità”, ma superando poi anche Maritain, egli voleva andare otre una presenza cattolica legata in qualche modo alla religione per una piena laicità della separazione tra le due sfere. La presenza della Chiesa e dei cattolici doveva essere “monacale”, come egli dimostrò poi facendosi sacerdote nel 1959 e vivendo da monaco a Monte Sole e a Monteveglio. Un cattolicesimo puramente spirituale perché basta il Vangelo e un impegno politico completamente autonomo perché basta la Costituzione.

Dossetti fece numerosi errori di interpretazione dell’Italia nata dal 25 aprile 1945. Errori che il dossettismo dopo Dossetti ha ulteriormente sviluppato. Non vide, come invece vide molto chiaramente Del Noce, che il fascismo come male assoluto era la scusa per legittimare il comunismo nel nostro Paese tramite la retorica della “salute nazionale”. Non vide che l’inserimento del comunismo nella democrazia non lo migliorava ma lo peggiorava, perché ne sviluppava al massimo grado l’effetto secolarizzante. Non vide che il comunismo evoluto democraticamente non avrebbe contrastato ma favorito la democrazia liberale che egli combatteva. Non vide che la società secolare cui egli tendeva avrebbe minacciato la stessa democrazia, svuotandola di valori civici oltre che religiosi. Non vide che la sua esaltazione della Costituzione era ideologica e privava la stessa Costituzione dei suoi fondamenti naturali. Non vide che la democrazia compiuta avrebbe relativizzato la stessa Costituzione, sovvertendo il quadro dei diritti e dei doveri come dimostra l’attività della Corte costituzionale in tutti questi anni.

Giuseppe Dossetti lasciò la Democrazia Cristiana, dimettendosi nel 1951 dal Consiglio nazionale e nel 1952 da deputato. Poi fece la “scelta religiosa”, sacerdotale e monacale. Ma con ciò non lasciò la politica. Nel 1994 egli intervenne contro il “berlusconismo” con lo scritto “Sentinella, quanto resta della notte?”, confermando la linea di appoggio alla sinistra e il disprezzo per la democrazia liberale e dimostrando un fraintendimento dell’intera vicenda Mani Pulite. Nel 2002 Francesco Saverio Borrelli pronunciò proprio a Monteveglio il suo discorso con l’appello “Resistere! Resistere! Resistere!”. Romano Prodi è stato frutto del dossettismo, tramite Beniamino Andreatta. L’Ulivo fu benedetto dal monaco di Monteveglio.

Nel frattempo l’ideologia della Resistenza, il costituzionalismo, lo statalismo separavano sempre di più la politica da un lato e la religione dall’altro. A farne le spese fu anche l’etica della politica, con i dossettiani che in Parlamento scelgono sistematicamente la fedeltà alle procedure istituzionali piuttosto che i principi della legge morale naturale e della fede cattolica.

Stefano Fontana






domenica 24 aprile 2022

«Italiani verso l'estinzione. Meno figli per il crollo dei matrimoni religiosi»

 



«Poche coppie e con una scarsa propensione a procreare»: Roberto Volpi, statistico, indaga sulle cause che stanno portando la Penisola a spopolarsi.




di Francesco Borgonovo

Roberto Volpi, statistico tra i più noti in Italia, ha appena dato alle stampe per Solferino un libro dal titolo inquietante, ma che dovrebbe essere letto da tutta la nostra classe politi­ca, perché contiene alcune in­formazioni e analisi da cui non possiamo prescindere se non vogliamo disintegrare il no­stro futuro. Si intitola Gli ulti­mi italiani. Come si estingue un popolo e, a differenza di ciò che può sembrare a uno sguardo superficiale, non è molto distante dal saggio che Volpi ha pubblicato subito prima, intitolato Dio nell'incerto (Libreria editrice goriziana). Perché la questione demografica e quella religiosa siano molto legate non è difficile da intuire, ma lo studioso ci ha fornito molti dettagli nel corso della conversazione che segue, che nasce come un dialogo in diretta radiofonica su Radio Libertà.

Professore, cominciamo dal punto centrale. Davvero gli italiani sono avviati all'estinzione?

«Non sappiamo, perché non abbiamo alcun precedente, se possa estinguersi una popolazione moderna. Certo e, però, che, se dovessimo individuare alcune popolazioni nel mondo più vicine a questo rischio di estinzione, beh, tra queste ci sarebbe senz'altro quella italiana. Io non so se gli italiani si estingueranno, non sono un chiromante, ma so che l'Italia perderà molti abitanti e che quindi diventerà un'altra Italia: con una fotografia, se si riducono le dimensioni, tutto resta inalterato, ma con la popolazione non funziona così».

E come funziona allora?

«Ci sono due ragioni per cui una popolazione si riduce: si nasce meno e si muore di più. Semplice. Diminuendo il nu­mero di abitanti, c'è minor vitalità, ci sono meno giovani che possono fare ancora figli e ci sono sempre più vecchi. Quindi l'Italia, in questo mo­mento, non ha le condizioni per una ripresa. È questo, il punto drammatico. L'Italia sta perdendo abitanti, ne perderà di più nel futuro e non ha le condizioni per una ripresa».

Secondo lei, non ci sono le condizioni perché avvenga una ripresa demografica. Perché?

«L'Italia, da alcuni anni, sta attraversando una perfetta tempesta demografica che potrebbe affossarla. Questa tempesta si basa su tre elementi. Il primo: mancano le donne in età feconda, cioè quelle tra i 15 e i 49 anni di età. Nel mondo, la percentuale di queste donne sul totale della popolazione femminile è pari al 49% per cento. In Europa questa percentuale scende sotto il 43%. In Italia non arriva al 39%. come se avessimo un "motore per figli con una potenza limitata, insufficiente».

Il secondo elemento?

«Avendo poche donne, bisognerebbe che queste donne facessero parte di coppie, sposate o almeno coppie di fatto. Invece abbiamo poche coppie, troppo poche. L'indice di matrimoni annui è il più basso in Europa, con tre matrimoni annui ogni mille abitanti. A livello europeo siamo attorno ai 4,3. Negli anni Sessanta ne avevamo otto: oggi siamo a un terzo. Ma non abbiamo nemmeno un numero sufficiente di coppie di fatto, cioè non sposate, che abbiano una vita comune tale da compensare le pochissime coppie unite in matrimonio. Anche le coppie di fatto, in Italia, non raggiungono i numeri dell'Europa continentale. Io ho fatto una valutazione piuttosto precisa: annualmente, sono 200.000 le coppie che abbiano l'età per fare figli. È un numero estremamente basso».

Parlava di un terzo elemento problematico.

«Si, ed forse quello su cui si potrebbe agire di più. Il punto è che le coppie in Italia non soltanto sono poche, ma hanno anche una bassa propensione a fare figli».

C'è un capitolo molto bello nel suo libro, intitolato «La fatica del figlio e il tornaconto del poco», che a mio avviso for­nisce qualche spiegazione sul perché queste coppie tendano a non fare figli. Spesso si pensa che alla base ci sia soltanto una questione economica, ma a me pare che sia solo una parte del problema. Ci sono dei motivi culturali, spirituali, intellettuali per cui si tende a non fare figli, o sbaglio?

«Come ha detto lei, anche l'idea della continuazione della specie non la sentiamo molto. Non abbiamo questa spinta. Ciò che è cambiato rispetto al passato è che, prima, l'ingresso vero nell'età adulta e nella società avveniva attraverso il matrimonio e i figli. Una persona contava se aveva una famiglia e dei figli. La porta d'ingresso era costituita da famiglia e figli. Ebbene, questo ingresso è stato chiuso, o comunque è cambiato. C'è l'idea che il posto si conquista, che si.. può entrare in società in qualunque momento. E questo, ovviamente, incide sulla questione figli. In ogni caso, non si tratta soltanto di problemi materiali, cioè non si fanno figli solo perché è diffusa l'incertezza sentimentale ed economica. E chiaro che ci sono questi elementi, ma ce ne sono anche altri. I figli sono una sorta di spinta in avanti. Un tempo era attraverso i figli che si cercava di conquistare nuovi traguardi. Oggi. invece, i figli sono la risultante di una vita che ha già percorso tutte le proprie tappe».

A tale proposito, parlare di egoismo sarebbe banale e for­se anche ingiusto. A me pare, però, che al fondo di questi problemi ci sia una malintesa idea di libertà, l'idea che i figli non siano uno slancio verso l'avvenire, ma, alla fine dei conti, un impedimento...

«Dobbiamo considerare con attenzione due fattori. Il primo è la fatica di fare un figlio. A volte si sottovaluta questo aspetto, ma oggi, anche giustamente, la donna viene monitorata sin dai primi istanti. Esami, visite, divieti, limitazioni. La gravidanza è diventata un terreno minato. Si sempre in osservazione, ed è come se la donna diventasse semplicemente «quella che deve fare il figlio». Non conta più in quanto donna, conta in quanto fattrice. Il percorso per fare un figlio è un percorso di guerra. Finito questo percorso, si è indotti, dunque, al pensiero di non fare altri figli. Perché se ne ha abbastanza di questo percorso tanto faticoso. Il secondo punto, è che si cerca un equilibrio tra la vita personale e la vita di relazione, che comprende la vita professionale. E questo equilibrio si trova con il figlio unico».

Parlava del faticoso percorso che precede la nascita.. Ma in qualche modo, quella fatica continua. Oggi sui bambini si proiettano aspettative enormi, che possono rivelarsi troppo pesanti da sopportare, in primis per i genitori. Poiché i figli sono pochi, devono essere in qualche modo perfetti. Il che, talvolta, li porta a divenire piccoli tiranni in famiglia.

«Anche questa è la fatica del figlio. Soprattutto nelle società occidentali si ripongono nel figlio tante aspettative e si cerca di facilitare il suo percorso di crescita, cosa che si rivela una fatica terribile per i genitori. Non è un caso che la modalità di filiazione preferita sia, come dicevo, il figlio unico. Ci si ferma a un figlio, cosa che consente un equilibrio accettabile. Intendiamoci: è già qualcosa, nel mondo di oggi, che si faccia un figlio. Per la società, però, è una modalità che conduce all'affossamento, è un dramma per la popolazione. Cento donne in età feconda arrivano alla conclusione del loro tragitto di fecondità in questo modo: 25 senza figli, 40 con un figlio, 30 con due figli, 5 con più di due figli. Due donne su tre chiudono la loro esperienza feconda avendo al massimo un figlio. E un quadro tragico».

Servono misure economiche, di sicuro. Ma forse serve anche un cambiamento di mentalità. E, forse, qui entra in gioco la fede, perché spesso I credenti sono quelli che tendono ad avere più figli.

«Se noi prendiamo due serie storiche, dal secondo dopo guerra a oggi, con, di anno in anno, il numero di nati e il numero di matrimoni religiosi, si vedrà benissimo che il crollo del matrimonio religioso è legato al crollo delle nascite. Tanto è crollato il matrimonio religioso, tanto sono crollate le nascite. C'è una concordanza assoluta tra questi due dati. Il matrimonio religioso, per le sue condizioni di maggiore stabilità, rappresenta o ha rappresentato l'habitat migliore per i figli. Il matrimonio religioso ha una più ampia propensione ai figli, è indiscutibile: la sua indissolubilità sancita dalla dottrina si concretizza nei figli, ne ha bisogno. E, infatti, da sempre, il matrimonio religioso è stato uno stimolo per fare figli. Il senso della crisi demografica italiana ha la sua base nel crollo del matrimonio religioso. E credo che di questo tema anche la Chiesa dovreb­be occuparsi molto seriamente, e molto di più.

Da LaVerità 19 aprile 1922








Esibizione blasfema in piazza San Pietro




20 Aprile 2022 

di Cristina Siccardi


Invece di spiegare ai genitori di recuperare la dimensione di padre e madre, secondo i principi cristiani, di come riallacciare il filo interrotto con il senso della sacralità familiare, la Conferenza Episcopale Italiana ha pensato bene per il Lunedì dell’Angelo, in cui la Chiesa fa memoria della manifestazione angelica al sepolcro vuoto di Gesù (Mc 16,1-7), di invitare ad esibirsi, in piazza San Pietro, prima dell’arrivo del Papa per la Veglia delle 18:00 e alla presenza di 57 mila adolescenti “in pellegrinaggio”, il diciannovenne rapper gen Z di nome Blanco (Riccardo Fabbriconi), vincitore dell’anticristiano e blasfemo Festival di Sanremo 2022 con «Brividi», la canzone che pone sullo stesso piano l’omosessualità e l’eterosessualità. Dunque la Chiesa per catturare l’attenzione della gioventù – malata di social, di sesso, di famiglie sfasciate – ha bisogno di testimonial che trascinano gli stessi giovani lontano chilometri luce da Dio? È questo lo scopo della Chiesa?

Il responsabile dell’ufficio nazionale della Conferenza episcopale italiana per la pastorale giovanile, don Michele Falabretti ha detto: «abbiamo pensato di fare ai ragazzi e ragazze un regalo» perché va considerato il contesto: «Guai sottovalutarlo! Si rischia di non porsi sulla stessa lunghezza d’onda». Per il prelato non si può pensare di «parlare con loro, di convincerli con ragionamenti o parole, se prima non si è disposti ad ascoltarli, senza la pretesa di annullare il loro mondo con un colpo di spugna, giudicandolo solo come sporco e inadatto». Il metodo che san Giovanni Bosco progettò, non per concentrare l’attenzione su di sé, ma per salvare le anime, era quello della prevenzione dai mali e della gioia cristiana, senza bisogno di raccattare dal mondo perversione e artisti contrari alle leggi di Dio.

«La Chiesa ha sempre promosso l’arte per elevare lo spirito, mentre così avalla la volgarità», ha dichiarato il vescovo di Ventimiglia Antonio Suetta, il quale si è opposto alla decisione della CEI. «Ho accolto questa notizia con grande sorpresa negativa per due ragioni: innanzitutto non ritengo che il personaggio sia un modello adeguato per un’iniziativa cattolica rivolta ad adolescenti, non conosco la persona, quindi non mi esprimo su di essa. È evidente che il messaggio veicolato dalle performance di Blanco non è idoneo a un contesto cattolico. Trovo imbarazzante che un personaggio che chiaramente è diventato un’icona – soprattutto dopo la sua vittoria al Festival insieme a Mahmood – di un certo modo di concepire la vita, la libertà, l’affettività, eccetera, si esibisca in piazza San Pietro».

Il tentativo di conquistare la considerazione dei teen-agers, per lo più inghiottiti da una cultura cinica, trasgressiva, antiumana e anche violenta (si pensi all’azione delle baby gang), non è solo compiacere i movimenti LGBTQ, ma è una blasfemia vera e propria: sul sagrato della Basilica di San Pietro non è ammissibile ospitare chi si fa portavoce di parole colme di malessere, di turpitudine, di parolacce, di oscenità. L’incubo che vive coscientemente la generazione dei figli dell’infernale Lucignolo contemporaneo lo sta vivendo anche, ma incoscientemente, la Chiesa, travolta dalle mode, dal caos e dai masochismi di un’epoca irragionevole e dissacratoria. Ormai si è perso il contatto con la realtà del Vangelo e, dunque, con tutto ciò che ha insegnato veramente Gesù: per esempio, il buon pastore cerca e trova la pecora smarrita, non è quest’ultima a far smarrire le altre 99. Inoltre, resta un dato incontrovertibile: come non si possono servire due padroni (Dio e il mondo), così non si può indicare, come meta ultima, contemporaneamente, il Paradiso e l’Inferno.