domenica 31 gennaio 2016

Family Day: "Io vescovo in campo dico: troppo comodo non esporci"

 



L'arcivescovo di Campobasso striglia i colleghi assenti e fa appello a Mattarella: "Se passa ddl Cirinnà non lo firmi"

 
È uno dei pochi vescovi presenti al Family Day, forse l'unico. Senza paura di esporsi o di essere criticato dagli altri vescovi, con coraggio, a fianco delle famiglie, per dire no al ddl Cirinnà sulle unioni civili e fare appello al presidente della Repubblica: «Auspico che la legge passerà al vaglio del capo dello Stato, Sergio Mattarella e che non firmi il decreto: è in contrasto con l'articolo 29 della Costituzione che parla della famiglia come fondata sul matrimonio.
Il ddl va completamente rivisto, anzi ritirato».
Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Campobasso-Bojano, è partito alle 5 di ieri mattina, insieme a un gruppo di fedeli della sua diocesi, per partecipare alla manifestazione al Circo Massimo. Come un pastore che non abbandona le sue pecore.

Eccellenza, perché ha voluto partecipare al Family Day?
«Si tratta di una battaglia civica e laica, di una battaglia di dignità necessaria per tre ragioni: prima di tutto perché la famiglia è un valore perenne; secondo, perché le insidie sono cresciute davanti a certe posizioni laiciste di qualche giorno fa; e terzo, perché se noi molliamo sulla famiglia molleremo anche sul piano sociale».

In che senso?
«Perché la libertà non può esistere senza la verità, e la verità significa dire che Dio ha fatto l'uomo e la donna capaci di dare la vita. Se molliamo sulla libertà in famiglia, molliamo anche sulla libertà aziendale. Ci saranno più licenziamenti, più povertà e più sfruttamenti. Questo è il mistero di fondo, è tutto collegato».

Che piazza vede al Circo Massimo?
«Una piazza bellissima, gioiosa, pacifica. Non è la piazza della destra o della sinistra, non è la piazza dei vescovi o dei laici. È la piazza di tante persone che mettono la famiglia al centro della società. E anche io voglio esserci per dire quello che i laici hanno nel cuore».
Cosa non la convince del ddl Cirinnà?

«È un disegno di legge equivoco, terribilmente inquinante. Allora tutto è lecito e tutto è uguale? Questo non va bene. È totalmente da respingere, è sbagliato equiparare l'unione tra omosessuali alla dimensione della famiglia. Ancor più è da respingere l'idea di consentire l'adozione dei figli del partner».
Il governo ascolterà la piazza del Circo Massimo?
«Credo di sì, perché sono due milioni di persone che si sono radunate, tutte insieme nello stesso luogo; non sono numeri virtuali come quelli di sabato scorso (alla manifestazione pro-ddl Cirinnà, ndr), sparsi in qua e là nelle piazze. Qui siamo un tutt'uno, si tocca con mano la presenza di un popolo unito. Questa è la forza e il Parlamento non può credere di essere rappresentante di una realtà che non è capace poi di condividere e di rappresentare».

Si aspetta che il voto cambierà la prossima settimana?
«Penso di sì. Renzi non può non tener conto delle posizioni di tante famiglie. Questa volta non è più possibile barare. Quello che è difficile è mettere insieme tutte le forze cattoliche istituzionali, questo sì. Ma la base laica, senza colore, ha vinto una battaglia infinita. Qui c'è una appartenenza popolare, come ha detto il Papa a Firenze, alla don Camillo... qui il popolo lo senti, quel popolo di cui condivido le gioie e sento le lacrime».

Mons. Bregantini non si sente un po' solo? È l'unico vescovo in questa piazza. La Chiesa è spaccata sul Family Day?
«Nessuno è venuto a nome degli altri; avevamo la libertà di scegliere se venire o meno e io ho deciso di esserci. Io sono venuto perché ho sentito necessario essere a fianco della mia gente e di tante persone che credono nella famiglia. Certamente, sarebbe stato bello vedere altri vescovi in questa piazza».

E perché non è successo?
«Da una parte perché hanno lasciato che fossero i laici a parlare; ma dall'altra, forse fa un po' comodo non essere qua e non esporsi...».







ilgiornale.it






 

«Questo è mio!» Don Bosco spiega la causa della dannazione di tanti giovani

 

 
Nell’aprile del 1885 Don Bosco si trovava di passaggio a Marsiglia. Era circa la mezzanotte. Don Francesco Cerruti, che lo accompagnava, stava per andare a letto quando lo colpì un grido. Sulle prime credette che venisse da un prete malaticcio, ospite della casa. Ma lo udì più forte, a modo di urlo, poco dopo più forte ancora. Senza dubbio partiva dalla camera di Don Bosco, attigua alla sua. Si veste, va alla camera di Don Bosco, entra e lo vede seduto sul letto e sveglio.
— Don Bosco, sta male?
— No — risponde —-, torna a dormire tranquillo.
Al mattino, appena alzato, va da lui e lo trova seduto sul sofà in uno stato di grandissima prostrazione.
— Don Bosco, è ben lei che ha gridato stanotte?
— Sì, sono io — gli risponde ancora tutto contraffatto nel volto.
— Ma che cosa è avvenuto?
— Ho veduto — disse tutto serio Don Bosco — il demonio entrare in questa casa. Era in una camerata e passava dall’uno all’altro letto dicendo di quando in quando: «Questo è mio!» Io protestavo. A un tratto si precipita addosso a uno di quei giovani per portarlo via. Io mi posi a gridare ed egli si avventò contro di me come per strangolarmi.
Ciò detto, Don Bosco, commosso e piangente, continuò:
— Caro Don Cerruti, aiutami! Sono venuto in Francia a cercare denari per i nostri giovani e per la Chiesa del Sacro Cuore, ma qui ora vi è un bisogno assai più grave: bisogna salvare questi poveri giovani. Lascerà tutto e penserà a loro. Facciamo un buon Esercizio della Buona Morte.
Quella sera il direttore della casa annunziò ai giovani l’Esercizio della Buona Morte, aggiungendo che anche Don Bosco avrebbe confessato. Confessò difatti nella sua camera, seduto sul sofà, perché l’estenuazione delle forze non gli permetteva di reggersi sulla sedia. Tutto andò così bene che Don Bosco, dopo, disse scherzando: — Vedi, il demonio mi ha fatto perdere una notte, ma sì è ricevuto una buona bastonata.
Anche il direttore Don Paolo Albera, il futuro secondo successore di Don Bosco, informato da Don Cerruti del sogno, confermò dicendo: — Don Bosco ha purtroppo ragione. Vi sono parecchi giovani che mi fanno piangere per la loro condotta.

Più tardi Don Cerruti interrogò Don Bosco:
— I giovani che il demonio voleva portar via con sé sono di quelli che non vanno a confessarsi?
— No — rispose Don Bosco —, sono particolarmente quelli che si confessano male, che fanno sacrilegi nella confessione. Ricordati bene: quando predichi, soprattutto alla gioventù, insisti molto sulla necessità di fare buone confessioni, e in specie sulla necessità del dolore dei propri peccati.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

sabato 30 gennaio 2016

Il tracollo mentale profetizzato da Chesterton rende necessario il Family Day

 


Il problema di oggi non è la decadenza morale, ma è quella caratteristica del pensiero unico profetizzata da Chesterton: «Le cose vengono decise tramite associazioni di idee invece di ricorrere ad argomentazioni basate sulla realtà»



di GIUSEPPE ZOLA

Il genio spesso è anche profetico. L’ho pensato rileggendo un passo del grande Chesterton, laddove scrive che «il mondo moderno ha subito un tracollo mentale, molto più consistente del tracollo morale. Le cose vengono decise tramite associazioni di idee invece di ricorrere ad argomentazioni basate sulla realtà». Il nostro G.K.C. sosteneva circa novanta anni fa ciò che sta avvenendo ai nostri giorni, nei quali pare che si sia perso proprio il ben dell’intelletto: oggi non si ragiona più sulla base di dati di fatto, ma solo con slogan che allontanano dalla verità della realtà.

Un caso esemplare è dato dall’uso assolutamente irrazionale che si sta facendo della parola “diritti”. Il “diritto” dovrebbe riguardare aspetti attinenti alle dimensioni essenziali della vita di ogni uomo e di ogni donna, come la vita, l’educazione, il lavoro, l’abitare, la salute. Per «associazioni di idee», invece, oggi ogni desiderio o, peggio ancora, ogni capriccio viene fatto assurgere a diritto e pertanto la nostra vita sociale si è riempita di “diritti”, con i quali, senza più pudore, si pretende di sconvolgere l’ordine naturale delle cose.

E non solo, si pretende di sconvolgere la mente di interi popoli, che credono di diventare moderni per il solo fatto di adeguarsi a quelli che i salotti culturali (?) chiamano, appunto, diritti. Così, è diventato diritto delle donne quello di interrompere il corso di una vita nascente già in essere, mettendolo al posto del dovere di custodire con delicatezza quella stessa vita. E’ diventato diritto quello di avere a tutti i costi un figlio, anche quando la struttura biologica di una persona non lo permetterebbe, abbandonando così sia la realtà che il buon senso. Sta diventando diritto, secondo la pazzia del momento, la possibilità di scegliere il proprio sesso, indipendentemente dal proprio assetto fisico ed in questo caso tale diritto sfida non solo la realtà, ma lo stesso Creatore: è la bestemmia più moderna. Che fare di fronte a questa valanga di pseudo-diritti?

Ancora Chesterton ha scritto che «la fede cattolica, che preserva sempre le virtù fuori moda, in questo momento è sola nel difendere l’intelligenza indipendente della persona». C’è, allora, una strada: quella di porre resistenza a questa invasione di sedicenti diritti, ponendosi, credenti e non credenti, alla sequela di quella esperienza bimillenaria che, pur tra molti errori e molti peccati, preserva comunque sempre la verità e la realtà della persona. Il cristianesimo non bara. Non illude la gente e, soprattutto, non la prende in giro. Dice pane al pane e vino al vino. Non scambia i capricci dell’istinto dell’uomo con i diritti civili.

Molti si lamentano dell’epoca attuale, mostrando nostalgia per i “nostri tempi” e si lamentano soprattutto degli aspetti morali della nostra decadenza. Probabilmente sbagliano, perché ha ragione Chesterton: il tracollo è «mentale» prima che morale. E’ dalle idee e dalla testa che nascono tutte le cose buone, ma anche tutte le pazzie che si intromettono nella storia umana. E’ culturale il vero problema e si sbaglia a sottovalutare tale dimensione della vita: e, in questo, rischiano di sbagliare sia i cattolici che i liberali. Personalmente, cerco di sbagliare il meno possibile e, per questo, a Roma al Family Day, per dare il mio piccolo contributo ad evitare al mio Paese un grave «tracollo mentale»




 
 
 
 
 

venerdì 29 gennaio 2016

Family Day: il Popolo del Summorum Pontificum partecipa








sabato 30 gennaio 2016 

ore 11.30
ritrovo davanti alla chiesa di Santa Anastasia 
insieme ai parrocchiani della Ss.ma Trinità dei Pellegrini (FSSP)
(sarà visibile uno striscione ben visibile per 
riunire e compattare tutti). 

trasferimento tutti insieme alla Basilica di S. Nicola in Carcere

ore 12:00
Basilica di San Nicola in Carcere 
S. Messa in rito antico organizzata dal CNSP
a cui parteciparà la Parrocchia Ss.ma Trinità dei Pellegrini
e tutti i fedeli interessati e che vorranno dare un segno di
vera e coraggiosa testimonianza

12:45 
partenza dalla Basilica di San Nicola in Carcere
(riunendo anche eventuali "ritardari")
per andare al Circo Massimo
prendere parte al Family Day. 

per info e ragguagli anche logistici si possono contattare i seguenti numeri: 

giovedì 28 gennaio 2016

Family Day – Il dovere morale di scendere in piazza




Pubblichiamo un contributo giunto in Redazione in merito al Family Day di sabato 30 gennaio a Roma, nell’ottica di dare un panorama variegato delle motivazioni che stanno spingendo molta gente a scendere in piazza.
Il dibattito nato attorno al ddl Cirinnà sta infatti mobilitando l’Italia e sta facendo crescere in molti la convinzione che la vera famiglia è una sola, e va difesa e sostenuta!

Alessio Biagioni
 
La Chiesa da sempre ha difeso i diritti dei più deboli. Come voce che grida nel deserto morale, a proposito di schiavi neri trasportati dall’Africa alle Indie occidentali, la Congregazione del Santo Uffizio il 20 marzo 1686 proclamava: “I possessori di neri e altri nativi che non hanno fatto male a nessuno e sono stati catturati con la forza o l’inganno sono tenuti a lasciarli liberi? La risposta è: sì” (Si legga R. Stark, A gloria di Dio, Lindau 2011, cap. 4). Quale posizione più azzardata e impopolare mentre stava rifiorendo con la modernità la fruttuosa economia schiavista dei pagani!
Ma nessun interesse economico, sociale, politico fa paura a chi opera per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Neppure l’evidenza della potenza militare, del potere economico può far scendere a compromessi chi non sostiene il proprio interesse, ma la Verità. L’atteggiamento sarà lo stesso di fronte al terrore giacobino, al nazionalsocialismo, al comunismo. La Chiesa è sempre stata “inadeguata” ma alla fine sono i tempi ad adeguarsi alla Chiesa.
 
Oggi assistiamo a un duplice attacco, uno contro la famiglia, uno contro i bambini. Non possiamo come cattolici far finta di niente. È nostro dovere morale di laici santificare il mondo e contrapporci alle ideologie, specialmente quando vengono colpiti i più deboli.
Cos’è la famiglia? È prima di tutto una vocazione. Guardiamo la Santa Famiglia. Il Figlio di Dio compie la volontà del Padre e si incarna (“Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà“, Eb 10, 4-10 ), Maria pronuncia il “fiat“, Giuseppe accetta di prendere con sè Maria e di essere il custode del Redentore. Un cristiano è chiamato a fare la volontà di Dio. Ognuno di noi è chiamato a svolgere un compito. Sposarsi con quella determinata persona è una vocazione. La domanda quindi è: “Signore, darò gloria a Te sposando quella determinata persona?“.
 
family day_famiglia_comitato-difendiamo-i-nostri-figli_congresso
 
Passiamo a considerare i bambini. Padre e madre collaborano alla creazione generando un figlio, ma la generazione è un dono di Dio, non è né un contratto, né un diritto. Non esiste un diritto al figlio. Un figlio è un dono che è comunque una chiamata. Anche il bambino avrà una sua vocazione. Nell’episodio del Ritrovamento di Gesù al tempio il Bambino dice alla Madre: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?“. Gesù si è incarnato per fare la volontà del Padre. Ma Dio si serve ogni volta dei genitori per dar vita a una nuova creatura che avrà la sua specifica missione. Dobbiamo perciò rifiutare ogni visione “interessata” del figlio: sia quando viene respinto, con contraccezione e aborto, sia quando viene preteso a ogni costo.
 
La famiglia poi è ambiente fecondo. Questo non vuol dire fertile, i coniugi possono essere biologicamente sterili, ma pur sempre fecondi perchè un uomo è sempre potenzialmente padre e una donna è sempre potenzialmente madre. Un bambino per crescere ha sempre bisogno di un padre e di una madre. Il motivo ce lo spiega la scienza: per costruire la sua identità deve osservare e venire a contatto con una figura femminile e maschile (M. Gandolfini, Mamma e papà servono ancora?, Cantagalli 2014). Detto questo, nella prospettiva della vocazione e del dono, ci sono padri e madri oggettivamente sterili, ma comunque fecondi che possono venire in aiuto a bambini che hanno bisogno di un padre e di una madre perchè in stato di abbandono. Questo è il caso dell’adozione, che, come insegna il diritto, è un istituto previsto per aiutare i bambini e non per “fornire” prole a chi non ne ha.
 
La famiglia quindi nasce dalla vocazione di un uomo e una donna. Qualsiasi altra unione, come ha detto recentemente alla Rota Romana papa Francesco, non è famiglia. Non è famiglia se non c’è impegno di volontà procreativa, ma solo una mera simpatia sentimentale o sessuale. Non è famiglia se non è un’unione fra uomo e donna.
 
Oggi abbiamo un nuovo attacco ideologico. L’ideologia come al solito parte da problemi reali cogliendo l’occasione per una trasformazione rivoluzionaria, ossia per allontanare Dio dal cuore dell’uomo e dalla società. Nell’Ottocento c’erano sicuramente dei problemi sociali per gli operai, ma l’espropriazione dei mezzi di produzione da parte del proletariato, come ha dimostrato bene la storia, non era certo la soluzione. Dopo il Sessantotto vi sono certamente problemi di identità, delle ferite ulteriori portate dalle illusioni della fantasia al potere, della rivoluzione sessuale. Questa rivoluzione è stata infatti in interiore homine e non ha riguardato solo le élite, ma la massa. I rapporti umani ancora più complicati di prima e gli impulsi negativi dai media e dalla stessa legislazione statale, le famiglie disgregate, la crisi dell’educazione ci rende tutti, dico tutti!, feriti. Tra queste ferite ci sono quelle derivate dall’incapacità di prendere impegni, dal narcisismo, quelle legate all’orientamento e all’identità sessuale.
 
Oggi l’ideologia, come un tempo ha provocato la lotta di classe, vuole creare falsi diritti per costruire una nuova società senza Dio, dove la famiglia è costituita dal solo desiderio, dove i bambini, nuovi schiavi, sono solo oggetto di diritti. Le unioni civili sono insomma la soluzione ideologica al problema delle ferite di tutti, come un tempo l’espropriazione delle aziende era la soluzione ideologica al problema del proletariato.
 
Oggi come allora noi cattolici dobbiamo contrapporci all’ideologia senza compromessi. Non avendo alcun appoggio dal potere politico e mediatico è necessario sabato 30 gennaio scendere in piazza per il Family Day senza alcuna paura dei potenti, senza paura di essere non compresi o impopolari. Senza paura nemmeno di offendere il prossimo, ma ricordando a chiunque ci chieda ragione che è una creatura voluta e amata da Dio mandata in questo mondo per compiere una missione. Per essere felice perciò non deve andare alla ricerca di lotte di classe di nuovi diritti, ma solo domandarsi “Cosa devo fare per dare gloria a Te, o Signore?“.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Si può ammirare davvero Gesù senza credere in Dio? Purtroppo no

 

GesuCristo

 
 
Redazione UCCR
Qualche tempo fa abbiamo riflettuto sui tanti non cattolici e non cristiani, orgogliosamente “laici” che, tuttavia, non rinunciano a guardare con ammirazione l’esperienza cristiana e la figura di Gesù Cristo.
Un esempio abbastanza noto è quello di Corrado Augias: su 100 interventi, 95 hanno come tema la religione, la Chiesa cattolica, la fede o il cristianesimo. Più della metà dei suoi libri parlano esplicitamente di tematiche religiose, in particolare nell’ultimo uscito, “Le ultime diciotto ore di Gesù” (Einaudi 2015), Augias vorrebbe ricostruire l’ultima parte della vita di Gesù, utilizzando i Vangeli canonici e gli apocrifi, come il Vangelo di Giuda. Avere come fonte storica gli apocrifi è un errore da principiante, commesso ad esempio da Vito Mancuso. Dopo gli enormi scivoloni sulla storicità del cristianesimo presenti nel libro scritto con Mauro Pesce, “Inchiesta su Gesù”, questa volta Augias ha ammesso giustamente: «Questo libro è un prodotto una storia di fantasia».
Ignorando volutamente l’aspetto teologico del Nuovo Testamento, il noto giornalista si è concentrato «esclusivamente sulla vicenda umana e politica di Gesù. La storia e la vita di un uomo che ne delineano ancor più compiutamente la grandezza, in tutta la sua evidenza. Gesù è un uomo che ha saputo mettere in gioco la propria vita, sino a perderla, per un ideale di rinnovamento. Ci sono sempre stati a memoria d’uomo esempi di grande determinazione. Per citarne solo due, Gandhi e Francesco d’Assisi. La storia di Gesù conserva quel fascino irresistibile dove radici, storia, cultura, filosofia e religione si intersecano. Potrei azzardare e dire che dal punto di vista letterario la vita di Gesù è certamente tra le storie più avvincenti che io abbia mai letto».
Molto apprezzabile questa profonda posizione, ben lontana dall’ateismo sciatto e banale di tanti suoi colleghi. Anche Papa Francesco ha ricordato che «il mondo secolarizzato non mostra disponibilità verso la persona di Gesù: non lo ritiene né Messia, né Figlio di Dio. Al più lo considera un uomo illuminato. Separa, dunque, il messaggio dal Messaggero, il dono dal Donatore». Eppure il fascino laico verso Gesù si rivela involontariamente un grave torto verso lo stesso Messia, nonché una posizione poco razionale.
Un grave torto perché per affermare la grandezza di Gesù bisogna censurare il grande tema dei miracoli e degli esorcismi, non a caso sempre accuratamente evitato poiché lo renderebbero immediatamente ben poco apprezzabile agli occhi di tanti moderni. Preferiscono innamorarsi di un Gesù idealizzato. Come ha ben spiegato John P. Meier, tra i più importanti biblisti viventi: «per quanto sconcertante possa apparire alla sensibilità moderna, è abbastanza certo che Gesù fu tra le altre cose, un esorcista ebreo del I secolo e probabilmente dovette non poco della sua fama e del richiamo di seguaci alla sua pratica di esorcismi (insieme al potere di compiere altri tipi di miracolo» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 486). Il prof. Graham Twelftree, docente di Nuovo Testamento e cristianesimo primitivo presso la Regent University, ha ancor meglio precisato: «minimizzare od emettere l’importanza degli esorcismi e dei miracoli di Gesù durante il ministero pubblico può rendere Gesù più comprensibile o accettabile ai moderni, ma crea un’immagine distorta del Gesù storico» (G. Twelftree, “Gospel Perspectives. The miracles of Jesus”, JSOT 1986, p.361).
Proprio la capacità di compiere miracoli è una delle caratteristiche più confermate, avvalorate e certe da parte degli studiosi del Gesù storico, ed è proprio l’aspetto più trascurato dai diversi “atei cristiani”: «liquidare i miracoli così in fretta non rende giustizia all’ampia attestazione dell’attività taumaturgica di Gesù praticamente in tutti gli strati della tradizione evangelica. Le narrazioni dei miracoli di Gesù non si fondano affatto su congetture, né su una apologetica cristiana posteriore», come d’altra parte constaterà anche Flavio Giuseppe. «Un Gesù completamente senza miracoli, idea propagata da pensatori dell’Illuminismo come Thomas Jefferson, è un eccellente esempio di rimaneggiamento e rifusione di un profeta ebreo del I secolo per adattarlo alla sensibilità di un’elité intellettualmente moderna» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 24)
Ma non è soltanto questo aspetto a stridere con la “mitologia di Gesù” da parte di tanti scettici e razionalisti, occorre anche ricordare che è lo stesso Gesù che sostiene di scacciare i demoni con il dito di Dio (Mt 12,22-30//Lc 11,14-23), -detto verificato come autentico dalla maggioranza degli studiosi- attraverso il quale «afferma che il regno di Dio è in relazione con la sua persona in quanto il Regno si fa presente, diviene una realtà ora, attraverso di lui» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 487-521). Egli si pone di fronte al mondo come il Figlio di Dio, tanto da chiamarlo “papà” (“abbà”), «un appellativo sconosciuto nella tradizione giudaico-palestinese precristiana», egli si manifesta come colui che ha introdotto nella realtà il regno di Dio.
Com’è dunque possibile per un non credente ritenere un “uomo illuminato” una persona che afferma esplicitamente di essere il Figlio di Dio, mandato da Lui per annunciare il suo Regno e introdurlo tra gli uomini? Un falegname di Nazareth che si proclama la Via, la Verità e la Vita, che dice di compiere esorcismi e miracoli? Certo, lo abbiamo già fatto notare, l’ammirazione verso Gesù da parte di coloro che sono lontani dalla fede è certamente una posizione apprezzabile. Tuttavia non crediamo sia possibile ammirare Gesù senza credere in quello che lui diceva di essere. Davanti a lui vediamo solo due posizioni possibili: o Gesù mentiva spudoratamente, e quindi non può essere ammirato in quanto completamente pazzo e fuori di sé, oppure affermava il vero. Era quello che diceva di essere. O è un pazzo scatenato o è il figlio di Dio. Posizioni intermedie, purtroppo, non possono esistere.
 
 
 
 
 
 
uccronline.it
 
 
 
 
 

Principi non negoziabili e Ddl Cirinnà: riflessioni in situazione

 

28-01-2016 - di Stefano Fontana
Pubblichiamo la relazione che Stefano Fontana ha tenuto martedì 26 gennaio 2016, presso il Seminario Vescovile di Ravenna nell’ambito del Convegno organizzato dalla Scuola di formazione teologica San Pier Crisologo sul tema “Vita, famiglia, società: tre fari nel buio”.
 
Mi propongo di presentare la dottrina dei principi non negoziabili[1] partendo però da un caso concreto in cui la loro applicazione si rende necessaria. Non esporrò quindi per via teorica questa dottrina ma la farò emergere dalla situazione che ci sta davanti in questi giorni, ossia la posizione da assumere nei confronti del Ddl Cirinnà sulle unioni civili.

Come è noto, questo disegno di legge prevede il riconoscimento giuridico delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, le equipara in tutto al matrimonio, permette l’adozione e apre le porte all’utero in affitto. Non mi soffermo qui su questi punti perché il mio intento non è di illustrare nel dettaglio il testo di legge[2]. Attiro l’attenzione solo su un punto. Il matrimonio come unione indissolubile e aperta alla vita tra un uomo e una donna è un principio non negoziabile. Esso deriva dai primi due principi non negoziabili elencati da Benedetto XVI: diritto alla vita e famiglia, di cui parlerà in seguito. Ne consegue che il riconoscimento giuridico delle unioni civili omosessuali non è accettabile, su di esso non si può trattare, non è permesso compromesso alcuno.

Perché è un principio non negoziabile? Perché la coppia eterosessuale aperta alla vita – ossia la famiglia – è il fondamento della società e della socialità. Una coppia omosessuale non fonda la società, perché è naturalmente sterile, e non fonda la socialità perché non è complementare: i due non si integrano ma si sommano. Ne consegue che la relazione omosessuale può essere tollerata come atto privato, ma non riconosciuta giuridicamente perché in questo caso l’autorità pubblica la proporrebbe come esemplare e utile al bene comune. Essa invece è di danno al bene comune, in quanto è una relazione disordinata – non rispondente ad un ordine naturale – e quindi ingiusta e violenta.

Cosa accade tuttavia? Accade che molte persone, anche cattolici e perfino vescovi, dicono no all’adozione o all’utero in affitto ma sì alle unioni civili tra persone omosessuali o comunque ad una qualche regolamentazione di diritti e doveri all’interno di quella “relazione affettiva”[3]. In questo modo essi non rispettano un principio non negoziabile. Vediamo con che argomenti lo fanno e con quali conseguenze.

L’argomento principale che in questi giorni di dibattito sulla Cirinnà è sulla bocca di molti è riassumibile nel seguente slogan: sì alle unioni civili purché non siano matrimonio[4]. In questo modo, però, si accetta il riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. L’unica cosa che si chiede è che alla coppia omosessuale non si diano gli stessi diritti di quella eterosessuale sposata. Il Ddl Cirinnà, quindi, diventerebbe accettabile se fossero stralciati i punti relativi all’adozione. L’aspetto ritenuto principale non è dichiarare illegittima l’unione civile, ma dichiarare illegittima la sua equiparazione al matrimonio, con il che l’unione civile non equiparata al matrimonio diventa legittima. Forse lo scopo è di salvare così il matrimonio, ma di questa illusione mi occuperò tra poco.

Qual è la visione delle relazioni sociali che sta dietro a questa tesi? Nella società di oggi ci sono varie forme di convivenze diverse dalla famiglia tradizionale. Lo Stato deve farsene carico e disciplinarle tutte, però senza confusione, ognuna al suo livello. La convivenza omosessuale va quindi disciplinata giuridicamente, ma in modo diverso dal matrimonio. Non ci sono formazioni sociali da considerarsi sbagliate, contrarie al bene comune e quindi da non riconoscere giuridicamente. Tutte le convivenze sono buone, ma diverse. Di solito la pensa così chi, anche cattolico, concede la possibilità di riconoscere le unioni civili omosex chiedendone però la differenziazione rispetto al matrimonio.
Una scappatoia spesso adoperata è insistere sull’espressione “diritti individuali”. La Nota dei Vescovi italiani del 2007[5] stabiliva che eventuali diritti delle persone omosessuali andavano disciplinati con riferimento al diritto individuale, senza però creare nuovi istituti giuridici che avrebbero fatto più male che bene. Se, però, si sostiene che i diritti individuali derivano dalla convivenza di coppia, significa che si è riconosciuta giuridicamente la coppia.

A questo punto, però, si pone un problema non risolvibile sulla base di questa impostazione. Se tutte le forme di convivenza sono buone e nessuna deve essere pubblicamente rifiutata dalla comunità politica, perché lo Stato dovrebbe fermarsi al riconoscimento della coppia omosessuale e non procedere al riconoscimento di altre forme di convivenza? Perché non dovrebbe riconoscere la convivenza plurima, il matrimonio tra tre, quattro, cinque persone di diverso orientamento sessuale, oppure quella incestuosa o quella con animali? Se si esclude che l’autorità pubblica possa dire di no all’unione civile omosex, su quali basi si potrà sostenere di dover dire di no ad altre forme di convivenza?

Ciò pone il problema seguente: se il riconoscimento delle unioni civili omosex non è un principio non negoziabile, su che basi si potranno poi stabilire dei principi non negoziabili? Se non esistono principi non negoziabili nella vita sociale e politica, allora vuol dire che ogni forma sociale è buona e va quindi disciplinata, non ne esistono di cattive da condannare pubblicamente.
Chi dice no all’adozione e all’utero in affitto ma sì alle unioni civili, allora, si inganna e si illude: come non ha argomenti per fermare queste ultime, in seguito non ne avrà nemmeno per fermare le altre. E’ la dottrina del piano inclinato: chi dice essere negoziabile questo ma non negoziabile quello, si illude, se non è non negoziabile questo, non sarà non negoziabile nemmeno quello. O i principi non negoziabili ci sono o non ci sono. O c’è una linea del Piave, oppure continueremo ad arretrare fino ad essere completamente invasi.

Questo spiega perché è illusorio pensare di salvare il matrimonio consentendo il riconoscimento delle unioni civili omosessuali purché non vengano equiparate al matrimonio. Oggi non lo sono, ma domani potranno esserlo, perché la linea della non negoziabilità, una volta spostata indietro, continuerà ad essere spostata sempre più indietro. Nel 2007 i Vescovi avevano considerato non negoziabile il riconoscimento della convivenza eterosessuale. Molti non lo hanno considerato tale, però, e la linea si è spostata sulle unioni civili omosex purché non siano matrimonio. Ma per quale motivo la linea dovrebbe fermarsi lì, se non si era fermata prima? L’aborto doveva essere un’eccezione, oggi è la regola e un diritto.

La negazione della non negoziabilità di un livello dei principi non negoziabili, comporta lo scivolamento progressivo nella negazione ai successivi livelli. I principi non negoziabili indicano quanto non dipende da noi, non è da noi manipolabile, quanto precede la nostra convivenza e la fonda in modo non pattizio. Negata la non negoziabilità ad un primo livello, pensando di recuperarla ad un secondo, è una tragica illusione:  tutto diventerà manipolabile, è solo questione di tempo. Si fermerà mai questo processo di corrosione del senso? Il processo si fermerà solo quando non solo verranno negati i principi non negoziabili, ma quando verranno resi non negoziabili i principi contrari. Lo sfondamento della non negoziabilità non confluirà in un regime di libertà generalizzata ma in un nuovo totalitarismo[6], in quanto il sistema imporrà una non-verità, una non-natura, quanto oggi viene chiamato postumanesimo o transumanesimo. Solo a questo punto i principi non negoziabili saranno veramente superati, quando chi volesse ancora attenervisi verrà considerato fuori legge e passibile si pena[7].

Tornando alla questione del Ddl Cirinnà, si coglie indirettamente un’altra caratteristica dei principi non negoziabili, essi non sono solo un valore relativamente ad un certo ambito ma sono un principio che emana luce sull’intera costruzione della società. Sono anche un valore, in quanto vanno apprezzati, ma sono soprattutto principi senza i quali l’intera impalcatura delle relazioni sociali viene meno. Il testo della Cirinnà paragona in tutto le unioni omosessuali con il matrimonio. L’articolo 4.3[8] del Ddl afferma che in tutto l’ordinamento italiano, quando si trovano espressioni come “coniuge”, “coniugi” e “famiglia” ci si riferirà anche alle unioni civili omosessuali. Questo comporta che verranno rivoluzionate le politiche fiscali, della casa, dei servizi sociali, delle pensioni, del lavoro, delle relazioni sindacali, della  scuola, dell’istruzione ed educazione, della stampa, dei media e così via. Siccome i principi non negoziabili sono un principio, e non solo un valore, la negazione dei principi non negoziabili è pure un principio e non solo un valore, ossia è un nuovo punto di vista da cui reimpostare tutta la società e non solo alcuni suoi settori. Se non viene rispettato uno dei principi non negoziabili, anche gli altri verranno travolti. C’è tra loro una relazione sistematica, perché sono le colonne su cui poggia l’intera convivenza sociale.

La luce dei principi non negoziabili deriva dal fatto che la società ha un ordine che non siamo noi a stabilire e che questo ordine deriva dal Creatore. Se esiste un ordine, la moralità pubblica consiste nel rispettare questo ordine e siccome il diritto, pur essendo diverso dalla morale, la deve sostanzialmente rispettare, non è ammissibile legittimare giuridicamente convivenze contrarie all’ordine naturale. L’ammissione di un ordine naturale può essere fatta anche da persone non credenti, adoperando la sola ragione, ma non regge a lungo senza la garanzia del Creatore. I principi non negoziabili conducono all’ordine naturale e questo conduce al Creatore. Per questo vengono combattuti, per questo bisogna difenderli. Chi nega e combatte i principi non negoziabili indebolisce l’idea di un ordine naturale e impedisce la strada che conduce al Creatore.

Abbandonare o trascurare i principi non negoziabili vuol dire scindere l’ordine naturale da quello soprannaturale e pensare che si si possa salvare senza rispettare l’ordine della creazione. E’ come se il Salvatore ci dicesse che non è alla fine molto importante rispettare l’ordine che Egli stesso, come Creatore, ci ha dato. Le disattenzioni della Chiesa su questo punto sono molto pericolose e favoriscono la sua protestantizzazione.

A questo punto, dopo averli fatti emergere dalla situazione concreta che stiamo vivendo in questi giorni di opposizione al Ddl Cirinnà, possiamo anche definire meglio i principi non negoziabili. La dottrina che li riguarda è stata enunciata da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI in tre documenti[9]. Quali sono e quanti sono i principi non negoziabili? Tre di essi sono presenti in tutti gli elenchi proposti da Benedetto XVI: vita, famiglia e libertà di educazione. Ciò significa che i principi non negoziabili sono soprattutto questi tre. Essi, infatti, garantiscono anche gli altri, ma gli altri non garantiscono questi tre. Per esempio: garantendo la famiglia si ottiene anche la protezione sociale dei bambini e dei giovani, oppure una economia più solidale.

Si nota una certa trascuratezza nei confronti del principio non negoziabile della libertà di educazione, che solitamente viene sottostimato in ambito cattolico ed invece è importantissimo perché Cristo deve essere presente laddove la mente e il cuore dei bambini incontrano la verità.
Alcuni pensano che il principio non negoziabile della libertà di religione dovrebbe essere messo sullo stesso piano dei primi tre o addirittura prima. Così però non è, perché il diritto alla libertà di religione non è assoluto, ma sottomesso al rispetto della legge morale naturale e al bene comune. Non è vero che debba essere garantita la libertà per tutte le religioni[10].

Siamo alla fine del nostro percorso. Abbiamo preso inizio dall’esame di un caso concreto – il dibattito sul Ddl Cirinnà – per far emergere la necessità dei principi non negoziabili per affrontarlo e mostrare come l’oblio dei principi non negoziabili getta l’intera Chiesa in confusione, nella dimenticanza di insegnamenti autorevoli anche recenti. La Nota della Congregazione per la dottrina della fede sui progetti di riconoscimento giuridico delle persone omosessuali è solo del 2003[11]. Abbiamo anche avuto occasione, in questo modo, di illustrare questa dottrina, oggi, purtroppo, molto dimenticata. Siamo allora in grado di fare l’ultima considerazione. Senza i principi non negoziabili si rinuncia, nell’agire politico, ad argomenti di ragione e si corre troppo in fretta verso un confuso pastoralismo[12]; si impedisce di adoperare la Dottrina sociale della Chiesa, che si fonda anche sul diritto naturale, ed infatti essa è oggi in grande dismissione; si toglie l’ambito specifico di azione dei laici e si va incontro ad un nuovo clericalismo; si privano i laici impegnati in politica di adoperare un linguaggio comune e si favorisce la loro polverizzazione e una presenza sociale alla chetichella, ognuno per sé, sulla base della coscienza individuale; si attua una generale “scelta religiosa” del cattolicesimo.


 
 

[1] CREPALDI, Giampaolo, A compromesso alcuno. Fede e politica dei principi non negoziabili, Cantagalli, Siena 2014.
[2] Per questo rimando a: CECOVINI AMIGONI, Guendal, Leggiamo insieme il testo del Disegno di legge Cirinnà: http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=2281
[3] E’ il caso, per esempio, della Conferenza Episcopale del Piemonte che afferma: «Ribadiamo che tutte le unioni di coppie, comprese quelle omosessuali, non possono essere equiparate al matrimonio e alla famiglia. Tenuto fermo questo principio, anche le unioni omosessuali, come tutte le unioni affettive di fatto, richiedono una regolamentazione chiara di diritti e di doveri, espressa con saggezza. Riconosciamo certo la grande importanza e la delicatezza di questo tema che deve essere affrontato e dibattuto, ma non pervenendo a compromessi politici...».
[4] FONTANA, Stefano, Non basta ai cattolici dire no a utero in affitto e adozioni. Inaccettabili sono le stesse unioni gay:
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-non-basta-ai-cattolici-dire-no-a-utero-in-affittoe-adozioni-inaccettabili-sono-le-stesse-unioni-gay-15047.htm
[5] Nota del Consiglio Permanente della Conferenza episcopale italiana a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio  e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto (2007).
[6] FONTANA, Stefano, La dittatura del relativismo: precisazioni e attualizzazioni: http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=2284
[7] BATTISTI, Gianfranco, L’Occidente e la messa fuori legge del cristianesimo: http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=2282
[8] Ecco il testo: “Le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
[9] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 4; BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica post sinodale Sacramentum caritatis sull’Eucarestia fonte e culmine della vita cristiana, 22 febbraio 2007, n. 83; BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno del Partito Popolare Europeo, 30 marzo 2006.
[10] FONTANA, Stefano, Libertà di religione e doveri politici verso la religio vera, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” XI (2015) 4, pp. 140-144.
[11] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle persone omosessuali della Congregazione per la dottrina della fede (2003).
[12] FONTANA, Stefano, Il pastoralismo: forma infantile del catto-pietismo: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-pastoralismo-malattia-infantile-del-catto-pietismo-14939.htm





vanthuanobservatory.org



mercoledì 27 gennaio 2016

Tutto quel che c'è da sapere sul ddl Cirinnà


La verità sulle unioni civili. Domande e risposte per capire meglio il ddl Cirinnà
Cosa sono e come si differenziano dal matrimonio? Davvero “ce le chiedono Bruxelles e la Corte costituzionale”? La stepchild adoption apre all’utero in affitto?


 gennaio 23, 2016 Giancarlo Cerrelli

Che cosa sono le unioni civili tra persone dello stesso sesso così come previste dal disegno di legge che sarà discusso dalla fine di gennaio presso il Senato?

 Le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono una costruzione giuridica di dubbia costituzionalità e connotata da una forte valenza ideologica, con la quale s’intenderebbe dare rilevanza giuridica al rapporto affettivo tra due partner dello stesso sesso, con una disciplina simile a quella prevista per il matrimonio.


Quali sono i punti salienti del disegno di legge sulle unioni civili?

 Per la costituzione di un’unione civile sarà necessaria la celebrazione di un rito davanti all’ufficiale di Stato civile, alla presenza di due testimoni e si renderà una promessa di impegno, così come nel matrimonio. Si darà, dunque, lettura degli articoli del codice civile da cui deriverà l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione, come nel matrimonio. I “civiluniti”, altresì, potranno stabilire di assumere un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi; avranno il diritto alla pensione di reversibilità del partner, godranno del medesimo regime patrimoniale e successorio che il codice civile riconosce ai coniugi e come se ciò non bastasse il disegno di legge stabilisce che tutte le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», in qualsiasi disposizione legislativa ricorrano, si applicheranno anche a ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. L’equiparazione, però, tra unioni civili e matrimonio non solo è inopportuna e ingiusta, ma è anche dannosa, poiché la creazione giuridica di nuovi modelli “familiari” apre la strada a una ridefinizione del concetto di famiglia che depotenzia la vera famiglia: tante famiglie, nessuna famiglia. La norma, tuttavia, più controversa e inaccettabile del disegno di legge è quella che prevede la cosiddetta stepchild adoption, cioè l’adozione del figlio naturale o adottivo del partner omosessuale.


Quali sono le differenze tra le unioni civili e il matrimonio?

 Sostanzialmente nessuna. Il disegno di legge, di fatto, fa continui rimandi alla disciplina che il nostro ordinamento prevede per il matrimonio. Nel disegno di legge, l’unione civile – con il pretesto di differenziarla dal matrimonio – è definita come “specifica formazione sociale”; tale definizione, però, è soltanto un elemento di facciata, perché nella sostanza la disciplina che il disegno di legge prevede per le unioni civili è identica a quella del matrimonio. Il testo che sarà all’esame del Senato, pur non prevedendo formalmente l’adozione piena, prevede come detto l’adozione del figlio naturale o adottivo del partner omosessuale. Tale istituto è inaccettabile non solo perché rafforza il business della fecondazione eterologa e apre la strada alla vergognosa pratica dell’utero in affitto, che in alcuni paesi è, purtroppo, ammessa. Ma soprattutto perché non tiene conto di quei bambini che non potranno godere della ricchezza che si è soliti ricevere dal crescere in un rapporto di complementarietà e differenza di ruoli che la natura ha voluto indicare in una famiglia costituita da un padre e una madre.


Quale scopo ha questo disegno di legge?

 I promotori del disegno di legge sulle unioni civili affermano che il loro scopo è di far riconoscere alle coppie omosessuali gli stessi diritti di cui godono le coppie eterosessuali coniugate, così da rimuovere un’inaccettabile disparità di trattamento. Tale rivendicazione può apparire a molti, anche ad alcuni cattolici, innocua e persino giusta; invero tale pretesa, che non è una priorità, è profondamente iniqua e nasconde, altresì, un fine ideologico e simbolico. Infatti, essa tutela esclusivamente i desideri degli adulti, senza tener conto dei diritti dei bambini, cui è negato il diritto più naturale di questo mondo: quello di avere per genitori un padre e una madre. È triste costatare la chiara visione adultocentrica del progetto di legge. Alle coppie omosessuali si vuole dare l’agio, per via legislativa, di procurarsi un figlio. È qui chiara ed evidente la pretesa simbolica e ideologica di tali unioni. D’altra parte, chi promuove le unioni civili rifiuta categoricamente un’attribuzione ai conviventi omosessuali di meri diritti individuali – diritto all’assistenza del convivente in ospedale, in carcere e così via, già ampiamente riconosciuti dall’ordinamento giuridico – mentre esige che siano riconosciuti i medesimi diritti propri del matrimonio alle coppie omosessuali, in quanto coppie.


Che cosa cela tale pretesa simbolica e ideologica di uguaglianza?

 Dietro a tale richiesta di uguaglianza si cela l’intento di voler decostruire le basi antropologiche, finora fondamento della società, per ricostruirle su basi che intendono un diritto non più orientato alla lettura del reale, ma come strumento per trasformare la realtà; che giunge a considerare diritti dei meri desideri. Il disegno di legge sulle unioni civili omosessuali risponde a un desiderio emulativo nei confronti delle coppie eterosessuali. I rapporti omosessuali ed eterosessuali, però, sono antropologicamente diversi e il diritto dovrebbe tenerne conto. Il diritto, infatti, tutela interessi sociali, non rapporti affettivi, altrimenti tutti i legami di amicizia dovrebbero essere legittimamente tutelati dall’ordinamento giuridico. Il vincolo matrimoniale è storicamente tutelato perché funzionale all’ordine delle generazioni. La vera ragione per cui il nostro ordinamento giuridico dà rilevanza al matrimonio, non è per il fatto che due persone provino affetto l’una per l’altra, ma perché un’unione matrimoniale è potenzialmente feconda e crea un sistema di educazione e inserimento sociale delle nuove generazioni. La tutela giuridica di cui godono le coppie coniugate a differenza delle unioni omosessuali non può essere considerata una discriminazione, in quanto le due fattispecie rispondono a due situazioni differenti, che non possono essere trattate in egual modo, pena il commettere una profonda ingiustizia nei confronti dell’unica famiglia riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico.


Un’approvazione del disegno di legge sulle unioni civili senza l’art. 5 che prevede la stepchild adoption sarebbe accettabile?

 Un’approvazione del disegno di legge con lo stralcio della stepchild adoption o con la previsione dell’affido rafforzato non sarebbe accettabile, perché non muterebbe il carattere ideologico del provvedimento, che, peraltro, manterrebbe la struttura di un simil-matrimonio. Infatti: a) Saremmo di fronte a una vera e propria ingiustizia di dubbia costituzionalità, perché due fattispecie strutturalmente differenti come unioni civili e matrimonio, sarebbero disciplinate in egual modo pur essendo ontologicamente diverse. b) L’adozione, anche nel caso in cui non dovesse essere inserita in prima battuta nel disegno di legge, tuttavia non tarderebbe a essere riconosciuta legittima dalle corti di giustizia, com’è avvenuto anche in altri Stati. Due fattispecie analoghe, aventi la medesima disciplina, come il matrimonio e il disegno di legge sulle unioni civili, non potrebbero, a giudizio delle corti, essere trattate in modo differente e dunque in poco tempo le unioni omosessuali verrebbero in tutto a essere equiparate al matrimonio, anche riguardo all’adozione piena. Differente sarebbe il caso in cui il Parlamento approvasse un testo unico ricognitivo di tutti i diritti che il nostro ordinamento già riconosce ai conviventi, compresi quelli omosessuali.


Perché si teme che la stepchild adoption possa aprire la strada all’abominevole pratica dell’utero in affitto?

 Perché ne è un’immediata conseguenza. In Italia l’utero in affitto è vietato dalla legge 40, ma non lo è in altri paesi. Com’è accaduto più di una volta in Italia, sono stati proprio i giudici a non punire chi è tornato dall’estero con il bimbo in braccio, frutto di un utero in affitto. Nel momento in cui ci si trova di fronte a casi di utero in affitto, il reato contestato dalle procure è solitamente l’alterazione di stato civile del minore, cioè l’aver dichiarato falsamente di essere genitori del piccolo; tuttavia i giudici prevalentemente hanno più volte ritenuto che non fosse configurabile il reato di alterazione di stato civile quando i coniugi avessero sottoscritto l’atto di nascita ottenuto nel paese estero, in qualità di genitori. Come ho detto sopra, infatti, saranno proprio le corti di giustizia ad ammettere ciò che il legislatore non avrà ritenuto di prevedere. Basti pensare ad alcuni orientamenti giudiziari di apertura verso la pratica dell’utero in affitto, che auspicano – vedi Tribunale di Napoli del 17 luglio 2015 – che siano ammessi in Italia «progetti di genitorialità privi di legami biologici con il nato» diversi dall’adozione; ovvero la sentenza del tribunale di Varese del 7 novembre 2014 che sostiene che è divenuto irrilevante il metodo di concepimento e che dunque le false dichiarazioni rese dai falsi genitori a un pubblico ufficiale siano da ritenersi un danno innocuo e quindi non punibile. Tutto ciò consentirà a due partner omosessuali di “procurarsi” facilmente un figlio. Vediamo come: uno dei partner omosessuali di un’unione civile si “procurerà” un figlio all’estero, comprando l’utero di una donna, poi una volta giunto in Italia con il bimbo, tramite la stepchild adoption, consentirà al proprio partner di diventare genitore adottivo. Certamente interverrà il controllo dei giudici, ma tale controllo invece di tranquillizzare preoccupa, perché se già ora che non vi è una legge che prevede la stepchild adoption alcuni tribunali (vedi ad esempio quello dei minori di Roma e Corte d’Appello di Roma) hanno ammesso l’adozione del figlio del partner omosessuale, figuriamoci cosa accadrà nel momento in cui vi sarà una base normativa di riferimento, che ammetterà la stepchild adoption. Il criterio ermeneutico “the best interest of the child”, ossia il superiore interesse del minore, che è alla base dell’istituto dell’adozione, sarà gravemente disatteso. La stepchild adoption sarà una scorciatoia legislativa per far giungere velocemente all’adozione i “civiluniti” aggirando la disciplina prevista dalla legge 184/1983.


Che peso hanno le corti di giustizia in tutto questo?

 Hanno un peso notevole. Molte sentenze stanno riscrivendo il diritto di famiglia con lo scopo di privatizzare e rendere sempre più fluidi i rapporti familiari, così da favorire l’avvento di una “famiglia on demand” in cui si potrà scegliere di entrare e uscire a piacimento quante volte si vorrà da un tipo di famiglia che si potrà scegliere tra una varietà di modelli, in base ai propri desideri e ai propri gusti sessuali. Alcuni giudici si sentono artefici del cambiamento sociale facendo un uso tecnocratico e ideologico del diritto, cioè usandolo come strumento, non per leggere il reale ma per cambiare la realtà e il corso della natura; il diritto diventa, pertanto, il mezzo per propiziare una società finta e artificiale. Un elemento di viva preoccupazione desta constatare la posizione di molti giudici schierati a favore della vergognosa pratica della stepchild adoption.


Una regolamentazione delle unioni omosessuali ce la chiede l’Europa?

 No. Non è per niente vero. Non esistono, infatti, disposizioni che trasferiscano all’Unione Europea le competenze in materia di diritto di famiglia nazionale. Il diritto di famiglia sostanziale è di competenza esclusiva degli Stati membri. Tuttavia, l’Unione Europea ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dove Bruxelles ha ricevuto dai trattati l’incarico di sviluppare la cooperazione giudiziaria in materia civile (compresa la famiglia) con implicazioni transfrontaliere. Ciò, però, non significa assolutamente che l’Europa ci imponga le unioni gay. Non esiste un consenso tra i vari Stati nazionali sul tema delle unioni omosessuali, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo – sul presupposto del margine di apprezzamento conseguentemente loro riconosciuto – afferma che sono riservate alla discrezionalità del legislatore nazionale le eventuali forme di tutela per le coppie di soggetti appartenenti al medesimo sesso. La stessa sentenza Schalk and Kopf contro Austria, infatti, pur ritenendo possibile un’interpretazione estensiva dell’art. 12 della Corte europea dei diritti umani, che prevede il diritto di contrarre matrimonio anche alle coppie omosessuali, chiarisce come non derivi da una siffatta interpretazione una norma impositiva per gli Stati membri.


È vero che l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani perché non ha nel suo ordinamento una disciplina che regolamenti le unioni omosessuali?

 È vero. La Corte europea dei diritti umani, con decisione del 21 luglio 2015 Oliari e altri contro Italia, ha condannato l’Italia, ma è anche vero che il governo italiano non ha presentato appello contro la sentenza che condanna l’Italia per il mancato riconoscimento delle convivenze omosessuali. Il termine per l’appello è scaduto il 21 ottobre 2015 e la sentenza è ora diventata definitiva. Non aver appellato la sentenza è stata una decisione incomprensibile, che tra l’altro ha come conseguenza l’obbligo per l’Italia di pagare immediatamente la multa inflitta dalla Corte, a danno dei contribuenti. Gli Stati appellano quasi sempre le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e quella del governo Renzi è una scelta ideologica che mostra chiaramente da che parte sta. Peraltro, a fronte di interpretazioni aberranti della sentenza Oliari, occorre sempre ricordare che questa Corte non ha affatto ingiunto all’Italia di approvare leggi come la Cirinnà, che parificano le unioni omosessuali ai matrimoni. La Corte afferma che gli Stati europei sono tenuti a riconoscere i “diritti fondamentali” dei conviventi omosessuali, ma sulle forme di questo riconoscimento lascia piena libertà a ciascuno Stato. E la sentenza afferma esplicitamente che non c’è alcun obbligo d’includere in questo riconoscimento l’adozione. È utile rilevare, inoltre, che nell’attuazione del loro obbligo positivo ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, gli Stati godono di un certo margine di discrezionalità. Qualora non vi sia accordo tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa, com’è il caso del matrimonio tra coppie omosessuali, in particolare quando la causa solleva delicate questioni morali o etiche, il margine sarà più ampio (si vedano X, Y e Z contro Regno Unito, 22 aprile 1997, § 44, Reports 1997-II; Fretté c. Francia, n. 36515/97, § 41, CEDU 2002-I; e Christine Goodwin, sopra citata, § 85). Il margine sarà usualmente ampio anche quando si richiede allo Stato di garantire l’equilibrio tra opposti interessi privati e pubblici o tra diritti della Convenzione (si vedano Fretté, sopra citata, § 42; Odièvre c. Francia [GC], n. 42326/98, §§ 44 49, CEDU 2003 III; Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 77,CEDU 2007 I; Dickson c. Regno Unito [GC], n. 44362/04, § 78, CEDU 2007 V; e S.H.e altri, sopra citata, § 94). Concludendo, si può pertanto ribadire che l’Italia è sovrana nel decidere come regolamentare le coppie di conviventi omosessuali.


La Corte costituzionale italiana con le sentenze numero 138/2010 e 170/2014 ha obbligato il Parlamento a dare regolamentazione giuridica alle unioni di persone dello stesso sesso?

 No. La Corte costituzionale non pone alcun obbligo al Parlamento a disciplinare le unioni di persone dello stesso sesso. Come afferma la stessa Corte «spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette». Il Parlamento è libero, pertanto, di regolamentare o meno tali unioni, senza alcun limite di tempo. La sentenza della Corte costituzionale n. 138/2010 ha, peraltro, ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile in riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117 primo comma della Costituzione, nella «parte in cui, sistematicamente interpretati, tali articoli non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso».


La nozione di matrimonio.

 Con buona pace di alcuni giuristi, che vorrebbero reinterpretare il dettato costituzionale sulla famiglia, è bene precisare che durante i lavori preparatori della Carta costituzionale la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l’articolo 29 della Costituzione, tennero conto di un istituto che aveva una precisa conformazione e un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Essi ebbero presente, infatti, la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. Ciò è stato ribadito sia dalle sentenze della Corte costituzionale numeri 138/2010 e 170/2014 e anche dalla recente sentenza del Consiglio di Stato del 26 ottobre 2015 n. 4.897, in cui si afferma che il matrimonio omosessuale deve intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio. Prova di ciò è che anche il secondo comma dell’articolo 29 della Costituzione, che afferma il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale. Si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto.




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martedì 26 gennaio 2016

Il 'caso' Francescani dell'Immacolata. Chi c’è dietro il dossier?




Scrive Suor Nunzia Pia Lombardi: cadono le menzogne costruite ad arte! [qui]

Il dossier presentato in procura, per la stessa ammissione dell’avvocato Sarno, non è stato preparato dall’incaricato della Santa Sede. Chi l’ha preparato e chi l’ha consegnato al commissario? Intanto Suor Nunzia Pia Lombardi, con dolore, si sente in dovere di smentire la sua famiglia (padre e sorella) che nei giorni scorsi ha rilasciato in TV alcune pesanti dichiarazioni. La religiosa è certa che una sorta di coordinatore contattava ex frati, ex suore e famiglie di questi, per raccogliere accuse contro Padre Stefano.


TESTIMONIANZA DI SUOR NUNZIA PIA LOMBARDI

Con dolore, ma nella consapevolezza di non fare altro che assolvere un mio dovere di coscienza, mi accingo a scrivere questa testimonianza per smentire quanto i miei familiari, attraverso i media, stanno diffondendo sull’Istituto religioso a cui appartengo, distorcendo la verità dei fatti e presentando un quadro assolutamente negativo della vita religiosa da me vissuta in esso ormai da tanti anni.

Sono entrata tra le Suore Francescane dell’Immacolata nel 1995, ho ormai 20 anni di vita religiosa e sono felice della scelta fatta e del carisma francescano-mariano che contraddistingue il mio Istituto.

Come è emerso dalle interviste rilasciate da mio padre e mia sorella nel corso di alcune programmi televisivi trasmessi nei mesi scorsi dalla RAI (Rai 2: “Fatti Vostri”, 9 novembre 2015; RAI 1: “La via in diretta”, 1° e 14 dicembre 2015), i miei familiari non hanno condiviso la mia scelta vocazionale. Ma pur esprimendomi i motivi per cui, secondo loro, avrei dovuto abbandonare l’Istituto, essi hanno sempre ragionevolmente rispettato la mia decisione di rimanere in esso. Nonostante la disapprovazione della mia scelta, fra me e la mia famiglia c’è stato sempre un rapporto sereno e cordiale. Sono perciò rimasta molto sorpresa della loro attuale presa di posizione e sono convinta che essi siano pilotati da altre persone. Ciò posso affermarlo con cognizione di causa perché, quando circa un anno fa ho trascorso un lungo periodo in famiglia, ho potuto constatare personalmente che una persona, una sorta di “coordinatore”, contattava ex frati, ex suore e famiglie di questi per la raccolta di accuse contro il nostro Fondatore, Padre Manelli, e contro il nostro Istituto di suore.

Mi preme affermare, con piena libertà e sincerità che:

Non sono affatto oppressa o forzata ad agire contro la mia volontà dalle mie superiore; sono rimasta e continuo a rimanere nell’Istituto senza costrizione o plagio e, se avessi voluto, avrei potuto chiedere di abbandonarlo per mia libera scelta, senza alcuna pressione o difficoltà!

Non corrisponde a verità ciò che è stato detto dai miei familiari riguardo alla possibilità di avere visite e cure mediche: ogni volta che si è manifestata la necessità di ricorrere al medico o di fare qualche esame specifico è stato sempre possibile farlo, per me come per tutte le mie consorelle.

Le affermazioni riguardo a una certa signora, madre di una consorella, che mi avrebbe visto piangere alla cerimonia della mia entrata nella nostra Casa di contemplazione di Alassio e che, anche se non è stata indicata per nome, ho potuto facilmente identificare, sono assolutamente false per il semplice motivo che essa non era presente all’evento! È falso, inoltre, che io l’avrei supplicata al telefono di aiutare me e le mie consorelle ad uscire. Non avevo nessuna necessità di essere liberata: da chi? da che cosa? Se avessi voluto uscire non mi sarei rivolta di certo a lei, ma alle mie superiore.

La mia esperienza negli Stati Uniti come missionaria, e poi in clausura come contemplativa, è stata motivata dall’accoglienza benevola da parte delle mie superiore dei miei desideri e aspirazioni, e non da alcun oscuro motivo, come è stato fatto intendere nell’intervista, perché sono stata io a farne richiesta alle mie superiore.

Con profondo dispiacere ho dovuto contraddire la mia famiglia, ma non ho potuto tralasciare di scrivere per offrire la veritiera versione dei fatti che mi riguardano e che solo io, e non altri dall’esterno, posso attestare avendone esperienza diretta.

Concludo chiedendo ai lettori di buona volontà di unirsi alla mia preghiera all’Immacolata, Mediatrice di tutte le grazie, affinché cessi presto questa terribile guerra mediatica e ogni questione venga ricondotta nelle sedi competenti, ove si dovrà far emergere finalmente la verità.

Sr. Maria Nunzia Pia Lombardi










chiesaepostconcilio.blogspot.it



Ridurre la fede a testimonianza personale è la negazione della Dottrina sociale della Chiesa


Family Day 20 giugno




di Luigi Negri*
26-01-2016

Nel dibattito che caratterizza questo momento della vita ecclesiale e sociale italiana attorno al disegno di legge sul riconoscimento delle unioni civili, e sulla possibilità di adottare figli da parte delle coppie omosessuali, si stanno profilando soprattutto in campo cattolico alcuni elementi che ripropongono in modo artificioso una situazione culturale che si pensava fosse stata definitivamente superata.

Ricompare il dualismo. Dualismo fra l’esperienza della fede ridotta a impegno della coscienza personale privata, caratterizzata da espressioni di autentica spiritualità; e l’impegno culturale, sociale e politico che non si collega strutturalmente alla fede, ma risponde ad una logica mondana che ha una sua consistenza, una sua dignità.

Questo dualismo tra fede e cultura, tra fede e impegno culturale, sociale e politico, ha rappresentato il più grosso handicap per la vita della Chiesa - almeno quella italiana, che conosco più direttamente – grosso modo dal Concilio Ecumenico Vaticano II fino all’inizio del pontificato di san Giovanni Paolo II. Questa tendenziale separazione fra la vita di fede personale e l’impegno culturale sociale e politico ha fatto sì che la Chiesa sostanzialmente rischiasse di autoemarginarsi dalla vita della società.

Ritorna dunque questo dualismo per cui il problema di fronte alla vicenda politica attuale non sembra essere quello di contestare nei modi possibili l’approvazione di questa legge, che è evidentemente negativa nei confronti della struttura stessa della vita sociale, ma quello di comprendere personalmente le ragioni che stanno alla base di questo disegno di legge, immedesimandosi per quanto è possibile con i desideri umani che sostengono poi il cammino socio-politico.

Ora è qui che secondo me avviene un ritorno a una situazione che è già stata portata a maturazione e superata da Giovanni Paolo e Benedetto. L’esperienza della fede è un’esperienza che unifica la persona e tale unificazione diviene matura nella misura in cui la persona partecipa alla vita e all’esperienza ecclesiale. Non sono due logiche diverse e contrapposte. La fede è un fatto eminentemente personale che tende per sua forza a investire la vita personale, i rapporti fondamentali che la persona ha, fino all’impegno nelle vicende e nelle situazioni socio-politiche.

Ricordo ancora a tantissimi anni di distanza con infinita gratitudine, che mons. Luigi Giussani mi consigliò di leggere un libretto aureo del cardinale Danielou: «La preghiera problema politico». Questa unità della persona si esprime poi a livello dei rapporti personali, delle capacità di coinvolgersi nella vita delle persone, di comprendere i problemi e le difficoltà, ma si esprime anche nel tentativo di investire la vita sociale offrendo a questa punti di riferimento, criteri di giudizio, valutazioni e prospettive in cui i cristiani credono di poter dare un contributo originale e di caratteristico alla vita della società.

È indubbio che i mezzi di comunicazione sociale, le forze anticattoliche che sono alle spalle di questo movimento che sostiene il ddl Cirinnà, considerano già acquisito il risultato, falsificando alcuni elementi; per esempio quelli – come dimostrato – che riguardano il numero dei paesi in cui queste nuove strutture giuridiche sono in atto. Ritenendo che l’Italia sia obbligata dalle decisioni o, meglio ancora, dagli inviti dell’Unione Europea ad attuare questo.

In questo momento lo stesso impeto che apre la nostra vita personale ai nostri fratelli uomini, ci deve costringere ad essere presenti nell’ambito specifico della vita politica e addirittura nel tentativo di entrare in maniera positiva nel dibattito parlamentare. Ed è la stessa logica di fede e di missione che caratterizza la vita di carità personale, che impone a una minoranza come quella cattolica, priva ormai di effettive rappresentanze parlamentari, se non in numero ridotto, di farsi presente attraverso uno strumento - la manifestazione pubblica - che la vita sociale e politica attuale considera una autentica e correttissima forma di pressione.

Dire che l’uomo di fede deve ridursi agli impegni della coscienza personale, della cosiddetta testimonianza privata, tralasciando tutto quel che riguarda l’impegno a giudicare dal punto di vista della fede e a intervenire dal punto di vista della cultura che nasce dalla fede nelle questioni significative della vita culturale e sociale, è una posizione che è di certa parte della Chiesa cattolica nei decenni scorsi, ma che oggi può essere assunta tanto in quanto si pretende di eliminare l’insegnamento del magistero della Chiesa lungo tutto i grandi momenti della Dottrina sociale nel XIX e XX secolo e soprattutto nel magistero morale, sociale e politico di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

La vicenda che si svolge nel cosiddetto mondo della cristianità italiana è una vicenda di grande importanza che deve essere affrontata con grande chiarezza teologica senza quegli emotivismi e sentimentalismi che non fanno procedere il discorso ma lo confondono sempre di più.

Siccome in questa vicenda, dalla stampa più di una volta è stato fatto riferimento alla testimonianza, all’insegnamento, alla presenza di mons. Luigi Giussani, con cui ho potuto sostanzialmente convivere per oltre 50 anni, posso affermare che è impensabile identificare la sua posizione con il riformularsi di quei dualismi che egli aveva combattuto appassionatamente lungo tutto la sua storia.

Il rifiuto del dualismo delle scelte religiose, della riduzione privatistica della fede, del silenzio di fronte alle questioni della vita politica, cultura, sociale, sono stati di grande intendimento ecclesiale e pastorale di mons. Giussani. Voleva creare un movimento, cioè un popolo cristiano, che forte della sua identità, animato dalla carità e dalla missione, sapesse intervenire in maniera originale e creativa in tutti gli spazi della vita culturale, sociale e politica. E non attento agli esiti, che dipendono sempre da molti fattori, ma attenti al fatto che attraverso questa testimonianza pubblica si incrementasse la fede. Dopo averla sentita, don Giussani aveva fatto sua la grande espressione di san Giovanni Paolo II: la fede si incrementa donandola, si irrobustisce donandola. E quell’altra grande intuizione: che è cioè la missione, l’identità e il movimento di ogni realtà ecclesiale.



* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa







lanuovabq.it




 

lunedì 25 gennaio 2016

L'Occidente e la messa fuori legge del cristianesimo


 
 
25-01-2016 - di Gianfranco Battisti
 
Ricordava trent'anni or sono l'allora card. Ratzinger, come l'appellativo di"cristiani", comparso per la prima volta ad Antiochia verso il 44 d. C., fosse stato coniato dalle autorità romane per identificare gli appartenenti ad una cricca di malfattori, seguaci di uno che era stato condannato a morte come delinquente. «Il nome di "cristiano" diveniva in questa maniera titolo d'imputazione penale: chi portava questo nome non aveva più bisogno d'essere provato colpevole di altri delitti e veniva per ciò stesso giudicato reo di morte».
 
Questo richiamo storico appare quanto mai pertinente davanti alla sequenza di  norme che da decenni vengono forgiate in tutto il mondo in materia di diritti umani e familiari. Divorzio, aborto, matrimonio gay, educazione all'ideologia  gender, abolizione delle tutele giuridiche del matrimonio e sua equiparazione a qualsiasi genere di convivenza, eutanasia. In futuro giungeranno pure la legalizzazione della pedofilia e di qualsiasi droga, completando così lo stradario delle fughe dalla realtà.
 
Seguendo la generale corruzione dei costumi, le leggi vengono oggi adattate ad una società in mutamento. Da un quadro istituzionale fondato sui principi cristiani  (l'autentico apporto dell'Europa al progresso dell'umanità) si passa ad un contesto non cristiano: più tollerante, diranno alcuni. In realtà, basta leggere l'Epistola sulla tolleranza di J. Locke (1685) per comprendere come questa valga per tutti tranne che per i cattolici.
 
Una legislazione totalmente contraria ai precetti di Cristo non costruisce semplicemente un ordinamento a-religioso: ne impone invece uno anti-religioso. La licenza per tutti i comportamenti che confliggono con i dettami  più sacri della fede, essendo in contrasto con il sentire comune, si accompagna infatti al divieto di qualunque dissenso, negli atti e financo nelle parole, sotto pena di sanzioni. Ciò significa una società nella quale il Cristianesimo – ed i cristiani – non hanno più diritto di cittadinanza.
 
Alcuni esempi. In un numero crescente di Paesi viene imposto alle istituzioni cattoliche (che operano in campo sociale), vuoi di finanziare l'aborto per le dipendenti, vuoi di accettare dirigenti gay. In India le suore di Madre Teresa hanno dovuto chiudere gli orfanotrofi, per non dover affidare i bambini - che esse strappavano alla morte -  a persone gay. Il problema si pone acutamente anche in Gran Bretagna e in Irlanda. Bersaglio privilegiato sono soprattutto le giovani generazioni: abolito il Natale, proibiti i presepi negli edifici pubblici, banditi i canti religiosi nelle recite scolastiche, introduzione obbligatoria di insegnamenti immorali e scientificamente insensati in ambito antropologico. Ma nel mirino  non compaiono soltanto le azioni.
 
Le normative contro la cosiddetta "omofobia" introducono infatti il reato d'opinione, retaggio dei tempi più bui della storia moderna. Ciò significa ad esempio, che nessun dipendente pubblico (ma neanche privato) potrà mantenersi fedele ai principi in cui crede, pena la discriminazione, il licenziamento, il carcere. E' un piano raffinatissimo, quello che è in atto, non a caso sponsorizzato da organismi quali l'ONU, la UE, ecc., privi di qualsiasi legittimazione democratica. Si pone, in tutta evidenza, il problema della libertà: nazionale, di gruppo, individuale. La libertà che Cristo è venuto ad annunciare ai figli di Dio.
 
In Francia, l'ostentazione dei simboli religiosi è vietata. Vietata la croce sul sagrato delle chiese. Vietato portare addosso una croce che non sia minimale. Vietato il velo per le donne islamiche. Vietato parlare: in base alla legge di separazione tra Stato e chiesa del 1905, un sacerdote che - nella sua chiesa – osasse criticare una disposizione di legge, sarebbe passibile del carcere da 3 a 9 mesi. Alla faccia della "non discriminazione".
 
Al contrario, denigrare la legge divina è considerato segno di apertura mentale (si pensi a Charlie Hebdo), al punto che la profanazione degli edifici di culto viene avallata dai magistrati. L'oscena intrusione delle Femen nella basilica di Notre Dame a Parigi è stata ritenuta indegna di nota tanto in prima che in seconda istanza.  Il danneggiamento è stato misconosciuto come reato: in compenso, i guardiani della basilica sono stati condannati per aver allontanato le assatanate con eccessivo zelo. Per la cronaca, la legione straniera delle Femen ha base a Parigi, proprio come l'avevano le Brigate Rosse. Strane coincidenze davvero.
 
Minacciare, zittire, annientare il Cristianesimo – in parole ed opere - sembra essere il programma, al quale l'Italia dovrebbe adeguarsi per non fare "brutta figura" davanti ai Paesi cosiddetti "civili". E' una nuova versione del settecentesco "dispotismo illuminato". Meglio sarebbe dire: deviato.
Criticare ed opporsi ai comportamenti e le leggi che confliggono con la parola di Dio rientra peraltro nel DNA della testimonianza cristiana. L'inizio della predicazione di Gesù è segnato non casualmente dall'esecuzione dell'ultimo profeta d'Israele – suo cugino Giovanni – ucciso per essersi opposto alla pubblica immoralità del sovrano. A questi infatti aveva rinfacciato "non ti è lecito prendere la moglie di tuo fratello". Un passo scomodo, per i tanti cristiani "di larghe vedute".
 
Di tutto quanto sta accadendo siamo stati preavvertiti da sempre.  Scrive infatti Paolo: «Negli ultimi tempi verranno momenti difficili. Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione», ecc. ecc.
 
Non ci consola constatare che si tratta di segni inequivoci dell'imminente collasso della civiltà europea. Nessuno sa leggere gli indici della borsa? Come il Cristo davanti alla passione, dobbiamo piangere sulla rovina di Gerusalemme. Ascoltiamo ancora le parole del Papa emerito. «Accettare l'appellativo di "cristiano" è confessione e testimonianza: è perciò espressione di disponibilità al martirio. "Cristiano" e "martire" significano esattamente la stessa cosa». In questo mondo, ogni cosa esige il suo prezzo.