giovedì 28 febbraio 2013

SEDE VACANTE






Silenzio e preghiera. Ora più che mai.


Collecta
Deus, qui, pastor ætérnus,
gregem tuum assídua custódia gubérnas,
eum imménsa tua pietáte concédas Ecclésiæ pastórem,
qui tibi sanctitáte pláceat,
et vígili nobis sollicitúdine prosit.
Per Dóminum.

Colletta
O Dio, pastore eterno,
che governi il tuo popolo con sollecitudine di padre,
dona alla tua Chiesa un Papa a te accetto
per santità di vita,
interamente consacrato al servizio del tuo popolo.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio,
che è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.



E' il momento di intensificare la preghiera








di don Leonardo Maria Pompei

La scelta del Santo Padre di rinunciare al ministero petrino di Vicario di Cristo in terra, successore di san Pietro e capo della Chiesa Cattolica romana (l'unica vera Chiesa di Cristo) ha destato nei cuori di tutti i fedeli un grande scalpore. Oggi diverrà operativa. Il fatto che un Papa possa dimettersi come un qualsiasi impiegato, anche nell’immaginario collettivo, è sempre stato qualcosa d’inimmaginabile; sembra proprio un orribile incubo, da cui si desidererebbe essere presto risvegliati, ma purtroppo è nuda e cruda realtà. Un dolore immenso e uno sconcerto grande coprono i cuori e le menti di chi ama la Chiesa, vive nella Chiesa, si spende e soffre per la Chiesa e con la Chiesa. Il santo Padre ha dichiarato di aver agito “per il bene della Chiesa”, dopo aver ponderato le sue scelte nell'orazione e nel dialogo con Dio, cosciente della gravità del suo gesto.

L’ora che viviamo è dunque grave e solenne nello stesso tempo. Tutti si chiedono: cosa ha realmente spinto il santo Padre a compiere questo gesto? Può essere motivato solo dall'età avanzata e dalla consapevolezza di non essere in grado di continuare a governare la Chiesa? E allora cosa doveva fare il beato Giovanni Paolo II, che rimase al timone tremulo e quasi incapace di proferire parola, maschera viva di sofferenza, come apparve al mondo nel suo ultimo (ma non annunciato!) Angelus? Non c'entrerà forse qualcosa quella famosa frase che Benedetto XVI pronunciò proprio alla Messa d’inizio pontificato: “pregate per me perché non fugga davanti ai LUPI”?

Ognuno può farsi l'opinione che vuole, tenendo presente che il Papa, nel motivare al mondo la sua decisione, ha sicuramente detto il vero ma potrebbe non avere detto tutto. Alcune profezie - e mi limiterò a quelle attendibili - mostrano alcune inquietanti chiavi di letture. Le sottopongo alla pubblica attenzione non per creare paura, panico o allarmismi, ma solo per esortare tutti i figli della Chiesa Cattolica (che nel suo seno vivono e nel suo seno moriranno qualunque cosa accadrà) a essere perseveranti, assidui e insistenti nella preghiera, certi della promessa di Gesù: le porte degli inferi non prevarranno (non praevalebunt!), ma certamente potranno aprire brecce e fare incursioni per portare un bel po' di scompiglio. Senza però mai trionfare nella battaglia finale. A cui ci prepariamo. Tutti. Con fede, coraggio, forza e onore. In nome della fedeltà alla Chiesa Cattolica. Piena. Assoluta. Incondizionata.


"La religione verrà perseguitata e i preti massacrati. Le chiese verranno chiuse, ma solo per poco tempo. Il Santo Padre sarà OBBLIGATO a lasciare Roma." [XIX secolo, profezia della Beata Anna Maria Taigi, Siena]

"Ho visto uno dei miei successori che fuggiva scavalcando i corpi dei suoi fratelli. Egli troverà rifugio in incognito da qualche parte e dopo un breve periodo d’isolamento morirà di morte violenta." [1909, profezia di Papa San Pio X che Egli stesso attribuì ad un Suo successore col Suo stesso nome (si chiamava Giuseppe – Joseph quindi? – Sarto)]

"La Chiesa di Roma corre il pericolo di uno scisma. Metti in guardia i tuoi sacerdoti. Fagli porre fine a quelle false teorie sull’Eucarestia, i sacramenti, la dottrina, il sacerdozio, il matrimonio e la pianificazione familiare. Sono stati sviati dallo spirito menzognero - da satana - e confusi dalle idee del modernismo. Gli insegnamenti e le leggi divine sono valide per tutti i tempi e applicabili ad ogni periodo." [31 maggio 1965, messaggio approvato della Madonna a Ida Peerdeman (Amsterdam) e destinato al Papa, a cui è rivolto questo suo appello]
"…La grande prova è giunta per la vostra Chiesa. Si sono continuati a diffondere gli errori che hanno portato alla perdita della fede. Molti Pastori non sono stati attenti, né vigilanti ed hanno permesso a tanti lupi rapaci, vestiti da agnelli, di introdursi fra il gregge a portare disordine e distruzione. Quanto è grande la vostra responsabilità, o Pastori della santa Chiesa di Dio! Si continua sulla strada della divisione dal Papa e del rifiuto del suo Magistero; anzi di nascosto si prepara un vero scisma che presto potrà diventare aperto e proclamato. Allora rimarrà solo un piccolo resto fedele, che Io custodirò nel giardino del mio Cuore Immacolato…" [15 novembre 1990, presunto messaggio della Madonna a don Stefano Gobbi]
"Ci sarà una lotta a Roma contro il Papa. Vedo molti vescovi e sento una voce che dice: «Catastrofico!»" [9 giugno 1946, messaggio approvato della Madonna a Ida Peerdeman, Amsterdam] 
"…L’opera del diavolo si insinuerà anche nella Chiesa in una maniera tale che si vedranno cardinali opporsi ad altri cardinali, vescovi contro vescovi. I sacerdoti che mi venerano saranno disprezzati e ostacolati dai loro confratelli" [13 Ottobre 1973, messaggio approvato della Vergine Maria a Suor Agnese Sasagawa, Akita] 

Alcune profezie della Beata Caterina Emmerick. 
"Quelli che vidi credo che fossero quasi tutti i vescovi del mondo, ma solo un PICCOLO numero era perfettamente retto. Vidi anche il Santo Padre - assorto nella preghiera e timoroso di Dio. Non c’era niente che lasciasse a desiderare nella sua apparenza, ma era INDEBOLITO dall’età avanzata e da molte sofferenze. La testa pendeva da una parte all’altra, e cadeva sul petto come se si stesse addormentando. Egli aveva spesso svenimenti e sembrava che stesse morendo. Ma quando pregava era spesso confortato da apparizioni dal Cielo. In quel momento la sua testa era dritta, ma non appena la faceva cadere sul petto vedevo un certo numero di persone che guardavano rapidamente a destra e a sinistra, cioè in direzione del mondo." 
"Vedo il Santo Padre in grande angoscia. Egli vive in un palazzo diverso da quello di prima e vi ammette solo un numero limitato di amici a lui vicini. Temo che il Santo Padre soffrirà molte altre prove prima di morire. Vedo che la falsa chiesa delle tenebre sta facendo progressi, e vedo la tremenda influenza che essa ha sulla gente. Il Santo Padre e la Chiesa sono veramente in una così grande afflizione che bisognerebbe implorare Dio giorno e notte." (10 agosto 1820)"La Chiesa si trova in grande pericolo. Dobbiamo pregare affinché il Papa non lasci Roma; ne risulterebbero innumerevoli mali se lo facesse..." (1 ottobre 1820) 
"Vidi ancora una volta che la Chiesa di Pietro era minata da un piano elaborato dalla SETTA SEGRETA, mentre le bufere la stavano danneggiando. Ma vidi anche che l’aiuto sarebbe arrivato quando le afflizioni avrebbero raggiunto il loro culmine. Vidi di nuovo la Beata Vergine ascendere sulla Chiesa e stendere il suo manto su di essa.Vedo altri martiri, non ora ma in futuro... Vidi le sette segrete minare spietatamente la grande Chiesa. Vicino ad esse vidi una bestia orribile che saliva dal mare... In tutto il mondo le persone buone e devote, e specialmente il clero, erano vessate, oppresse e messe in prigione. Ebbi la sensazione che sarebbero diventate martiri un giorno. Poi vidi un'apparizione della Madre di Dio, che disse che la tribolazione sarebbe stata molto grande. Aggiunse che queste persone devono pregare ferventemente... Devono pregare soprattutto perché la chiesa delle tenebre abbandoni Roma" (25 agosto 1820) 
"Ho avuto un’altra visione della grande tribolazione. Mi sembrava che si pretendesse dal clero una concessione che non poteva essere accordata. Vidi molti sacerdoti anziani, specialmente uno, che piangevano amaramente. Anche alcuni più giovani stavano piangendo. Ma altri, e i tiepidi erano fra questi, facevano senza alcuna obiezione ciò che gli veniva chiesto. Era come se la gente si stesse dividendo in due fazioni" (12 aprile 1820) 
"Vidi anche la battaglia. I nemici erano molto più numerosi, ma il piccolo esercito di fedeli ne abbatté file intere [di soldati nemici]. Durante la battaglia, la Madonna si trovava in piedi su una collina, e indossava un’armatura. Era una guerra terribile. Alla fine, solo pochi combattenti per la giusta causa erano sopravvissuti, ma la vittoria era la loro" (22 ottobre 1822)

Infine ecco il messaggio della Madonna nelle apparizioni di Anguera (Brasile, ancora in corso) il giorno dopo l'annuncio delle dimissioni di Papa Benedetto XVI.

Messaggio di Maria – 25 ANNI DI APPARIZIONI (12 Febbraio 2013) [La Madonna indossa una tunica bianca, un bel mantello azzurro chiaro e un velo bianco sulla testa.]

Cari figli, è con gioia che vengo ancora una volta a stare con voi per salutarvi e ringraziarvi per l’affetto che ciascuno di voi ha per me, che sono vostra Madre.
Figlioli, vi invito all’unione con me e con mio Figlio Gesù.
Figli miei, molti di voi si stanno allontanando da Dio. Vi state dimenticando dei sacramenti.
Confessatevi e andate a Messa!
Molti di voi sono senza protezione. State attenti!
Come in questi 25 anni in cui sono venuta sulla Terra, vi invito ancora una volta a vivere i miei messaggi.
Amati, vi invito ad usare più spesso l’acqua benedetta.
Molti di voi non conoscono il valore che ha l’acqua benedetta.
Vi chiedo di usarla spesso nelle vostre case, non solo durante la preghiera ma anche quotidianamente per allontanare il nemico.
Molti stanno chiedendo perché Papa Benedetto XVI si è dimesso.
Rispondo: Figlioli, egli è stato costretto a dimettersi. Non era la sua volontà… non criticatelo e invece pregate.

Oggi vi invito anche a raddoppiare le vostre preghiere.
Chi diceva un rosario inizi a dirne due.
Vi invito fin da subito a pregare per la scelta del nuovo papa, altrimenti sarà obbligato ad abbandonare la sede del Vaticano.
Avevo già annunciato in messaggi passati il cambiamento della sede del Vaticano in un altro luogo, molto presto questo accadrà. Vi invito a pregare con fiducia. Pregate!
Figlioli, molto presto quello che avevo già detto in molti luoghi delle mie apparizioni inizierà ad accadere: il martirio dei miei figli prediletti, i sacerdoti. Pregate amati figli. La Chiesa ha bisogno di aiuto e voi dovete aiutarla.
Cari figli, vi chiedo di vivere il santamente Vangelo nel quotidiano.
Preparatevi per vivere questa Quaresima con molta preghiera e penitenza.
Per molti non sarà facile, ma io vostra Madre sarò vicino a voi.
Sono la Regina della Pace - Mediatrice di Tutte le Grazie.

E' giunta l'ora della guerra terribile? E' giunta l'ora del martirio? Per ora non lo si può affermare. Certamente possiamo fin da ora scegliere da che parte stare. Pochi saranno i combattenti, agli ordini della Madonna, "per la giusta causa". Valorosi e pronti a tutto. Ma la vittoria sarà la loro. La nostra. Forza e onore! Viva Cristo Re e la Signora di tutti i popoli! Viva la Chiesa! Viva il Papa!


http://immaculatameaetomniamea.blogspot.it/

Le valutazioni del cardinal Pell (su Bendetto XVI e Bertone)








“…Un’aperta critica alla decisione di Benedetto XVI di dimettersi viene dall’arcivescovo di Sydney cardinale George Pell, l’unico dall’Australia a partecipare al prossimo conclave, secondo cui si è creato un precedente che potrà creare problemi a futuri Pontefici. In un’intervista alla radio nazionale australiana Abc, Pell ha rimproverato la rinuncia «destabilizzante» di Ratzinger e la sua incapacità a realizzare l’unità dei cattolici. «Le persone che ad esempio potranno dissentire da un futuro Papa potranno montare una campagna per indurlo a dimettersi», ha detto Pell, che è da tempo vicino a Ratzinger, da quando ambedue servivano nella Congregazione per la Dottrina della Fede, e ha giocato un ruolo importante nell’elezione di Benedetto XVI nel conclave del 2005.

Ha definito il Papa un brillante educatore, ma ha aggiunto che il governo non è stato il suo punto forte. Il prossimo Papa, ha aggiunto, deve conoscere la teologia, «ma io preferirei qualcuno che possa guidare la Chiesa e inquadrarla un po». Il cardinale australiano ha citato in particolare lo scandalo Vatileaks, che ha visto il maggiordomo del Papa Paolo Gabriele condannato per il furto di documenti del Vaticano, come un fallimento di governance che ha portato discredito alla Curia romana. “Credo che la governance dipenda da persone attorno al Papa e questo non è sempre stato fatto bene”, ha detto. “Un cambiamento di procedure avrebbe reso (lo scandalo) più difficile, ma è facile essere più saggi dopo l’evento, è stata una vicenda totalmente senza precedenti”.

Dietro le critiche alla mancanza di polso, di Benedetto XVI, critiche espresse con simpatia e amicizia (si sa che Ratzinger e Pell si sono sempre stimati), c’è forse una convinzione propria di molti uomini di Chiesa: che il cardinal Bertone abbia svolto molto male il suo ruolo di Segretario di Stato.

Bertone, infatti, in questi anni si è attirato le critiche dei cardinali più tradizionali ed anche di quelli più progressisti, per la sua smania di protagonismo; per molte nomine da lui imposte (ha piazzato salesiani dovunque); per il suo incauto modo di agire in politica (cene con Berlusconi e poi amore folle per un uomo vicino a poteri occulti come Monti); per la sua ingenuità (che ha fatto sì che si avvicinassero a lui personaggi, laici, ambigui, che poi ha appoggiato e seguito senza alcun discernimento, facendosi strumentalizzare); per la gestione del caso Ior (ha depotenziato il ruolo di Gotti Tedeschi, ed ha cercato in tutti i modo di acquisire il san Raffaele, nonostante fosse chiaro che avrebbe significato solo guai); per la volontà di imporre suoi uomini anche lontani dalla mens di Benedetto XVI, come Ravasi…

Staremo così a vedere chi sarà il nuovo papa, e quale il suo Segretario. Perchè senza un segretario accorto, di fede, di polso, intelligente ecc., per un papa, è difficile perseguire un vero rinnovamento e un vero governo.


Libertà e Persona  28 febbraio 2013

Grazie, Santità!













IL CORTILE DEI GENTILI




euc





di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Pucci Cipriani riferisce in un recente articolo su questo sito [Riscossa cristiana ] che il Card.Ravasi abbia dato come fine al suo famoso “Cortile dei Gentili” quello di essere il "laboratorio di un dialogo di pari dignità tra atei e credenti che purifichi gli atteggiamenti profondi di entrambi nei confronti di Dio e della fede".

Ora mi sembra che qui il Cardinale confonda la dignità delle persone con la dignità delle idee. E’ ovvio che tutte le persone, credenti o atee, hanno pari dignità di persone come esseri dotati di ragione, parimenti chiamati alla salvezza, ma questo non vuol dire assolutamente che le idee dei credenti abbiano “pari dignità” delle idee degli atei. Questo è un grave pregiudizio relativista oggi purtroppo assai diffuso e meraviglia molto di trovarlo sulla bocca di un Porporato circa il quale molti fanno il nome come auspicabile nuovo Pontefice.

Infatti ormai da più di due secoli, con l’affermarsi del diritto alla libertà di coscienza e di religione nella sua versione liberal-illuministica favorevole all’indifferentismo ed alla relativizzazione di tutte le religioni, effetto, questo, del soggettivismo e particolarismo protestanti, si è diffusa nella cultura ed oggi in certi ambienti cattolici “avanzati” l’idea che la convinzione dell’esistenza di Dio e quindi la fede cristiana non sono un sapere oggettivo con diritto di essere da tutti accolto e pubblicamente riconosciuto, ma una semplice opinione più o meno particolare o soggettiva tra altre anche opposte, comprese l’irreligiosità e l’ateismo, di pari dignità, parimenti rispettabili e legalmente riconosciuti dalla società civile e dallo Stato.

Ora qui dobbiamo fare un’importante distinzione da una parte fra il diritto civile alla libertà religiosa e dall’altra il valore oggettivo della religione come virtù naturale, comprendente l’idea dell’esistenza di Dio nonché la religione soprannaturale, ossia la fede cristiana. Davanti allo Stato moderno, laico e pluralista, nato dalla collaborazione di credenti e non-credenti (vedi per esempio gli Stati Uniti, la Francia o la nostra Costituzione Italiana), ogni religione o idea religiosa sono legittime ed ammesse, cattolica o non cattolica, compreso lo stesso agnosticismo religioso, salvo il rispetto delle norme fondamentali della convivenza civile stabilite dalla Carta Costituzionale e dai diritti universali dell’uomo (vedi ONU). Tale principio è riconosciuto anche dal Concilio Vaticano II (dichiarazione Dignitatis humanae).

Ma la questione in se stessa del valore della religione e in questo caso dell’idea dell’esistenza di Dio, ossia la questione del teismo o del monoteismo non può assolutamente esser ristretta od omologata a questo ambito, che non entra propriamente nella specificità del problema stesso, ma la sua soluzione spetta alla Chiesa, al di fuori e al di sopra dei termini riservati alla competenza dello Stato e della società civile. Abbiamo infatti qui l’altro essenziale termine della distinzione su annunciata ed è il valore della religione questa volta non relativamente al bene dello Stato, ma alla salvezza dell’umanità, e quindi di competenza della Chiesa.

E’ questo non il punto di vista dello Stato che tutto sommato non ha autorità di determinare il vero in fatto di religione e soprattutto di religioni rivelate qual è il cattolicesimo, ma è il punto di vista dello stesso cattolicesimo. Da tale punto di vista è evidente per ogni cattolico che teismo o ateismo, fede o incredulità non sono due opinioni entrambe legittime come altre, due optional dove ognuno può scegliere ciò che preferisce senz’alcuna conseguenza importante, positiva o negativa che sia, rispetto alla scelta compiuta.

D’altra parte i valori veri, secondo una visione liberal-indifferentista sarebbero altrove: starebbero nella semplice possibilità di essere liberi e di pensare ciò che si vuole indipendentemente da regole o valori oggettivi religiosi “non-negoziabili”, che non esistono, essendo la verità non un dato oggettivo ed universale ma solo l’effetto di una decisione soggettiva volontaristica (il cogito-volo cartesiano del quale parla Cornelio Fabro).

Bisogna invece ricordare che teismo ed ateismo non sono affatto idee di “pari dignità”, ma occorre dire con tutta la forza possibile, anche sulla scorta dell’importante insegnamento del Concilio Vaticano II, che mentre il teismo è fondato su incontrovertibili prove razionali, l’ateismo è “uno dei fenomeni più gravi del nostro tempo”, quindi niente affatto fondato in ragione, anche se il Concilio, con grande magnanimità e saggezza pastorale, esorta ed indagare, studiare e comprendere quali possono essere i motivi profondi, certo irragionevoli ma pur sempre motivi, che “si nascondono nella mente degli atei”, non per lasciare gli atei nelle loro storte idee, ma al contrario per poterli aiutare a correggersi, a ravvedersi e ad accettare di cuore con convinzione le ragioni inconfutabili e certissime che viceversa conducono la mente umana a sapere che Dio esiste, per poter poi trarre le vitali conseguenze morali che da tale certezza discendono ai fini della salvezza.

Il grave rischio di un certo dialogo tra credenti e non credenti o tra cattolici e non cattolici è oggi quello di un cincischiare inconcludente, di un girare a vuoto o di un menare il can per l’aia, accompagnando il tutto con stereotipate e consunte formule pietistiche di circostanza (“preghiamo per l’unità”)[1], sotto pretesto dell’evidenziamento di ciò che ci unisce o magari per renderci simpatici, dimenticando che un accordo non fondato su comuni condivise verità non solo non ha nessun valore ma è dannoso per entrambi i dialoganti ai fini di una corretta e salutare vita morale.

Per questo bisogna dire a chiare lettere che il dialogo che il credente deve portare avanti con l’ateo, se da una parte deve cogliere comuni valori o verità razionali sulla base del fatto che l’uno e l’altro sono esseri razionali, dall’altra tale dialogo richiede da parte del credente che nei dovuti modi, tempi e circostanze – opportune et importune – egli, con convincenti argomentazioni, fine tatto ed autentica testimonianza di carità, sappia guidare il non credente o l’ateo alla conoscenza di Dio in vista di un rapporto con Dio che possa essere fruttuoso ed utile per la sua salvezza, mentre d’altra parte richiede nel non credente la rinuncia ad ogni orgoglio e una sincera apertura alla verità.

Ciò che va purificato, quindi, non è il convincimento del teista in quanto tale, ma quello dell’ateo. Anzi l’atteggiamento dell’ateo, più che “purificato” (come se fosse qualcosa di sostanzialmente buono che abbia delle impurità da togliere), va semplicemente soppresso e sostituito dalla fede in Dio. Sarebbe come parlare della purificazione di una malattia: va curata e basta, per vivere.

Certo questo non significa che qualunque errore non abbia una parte di verità che può essere recuperata, ma l’ateismo in quanto tale è un errore che come tale va semplicemente respinto: non vi sono aspetti positivi da recuperare, se non forse l’esigenza di un assoluto, con la caratteristica che nell’ateismo l’assoluto è l’uomo anziché Dio, ma l’ateo tuttavia, almeno nelle sue dichiarazioni, respinge ogni idea di assoluto, appunto perché gli richiama l’idea di Dio.

Il convincimento teistico, al contrario, benché accidentalmente possa essere purificato in soggetti non sufficientemente preparati, è sostanzialmente un pensiero purificatore. Il parlare quindi di una “purificazione” di entrambe le convinzioni sia pur orientandole a Dio, mette senza discrezione sullo stesso piano la verità e l’errore, la fede e l’incredulità, cosa che non ha nessun senso e rispecchia una mentalità doppia la quale, per parlare col Vangelo, vorrebbe servire due padroni, contro il perentorio comando del Cristo: “Il vostro parlare sia sì sì no no; il resto appartiene al diavolo”.

Il dialogo teismo-ateismo non è uno scambio di idee tra amici alla pari, con sorrisi, pacche sulle spalle e lodi reciproche, ma va paragonato al rapporto medico(teista)-paziente(ateo), per quanto ciò possa sembrare umiliante per l’ateo. Ma se costui non si ritiene passibile di essere corretto, il dialogo diventa inutile e una perdita di tempo. Certo non deve mancare la cordialità, ma soprattutto non deve mancare la serietà, sincerità e il senso di responsabilità. Non si può escludere a priori la possibilità dello scontro, se c’è in gioco la verità. Meglio la franchezza che una cortesia equivoca e falsa.

Se il credente inoltre dev’essere caritatevole, comprensivo e tollerante verso il non-credente, la fede del credente non può essere un palleggiamento o un barcamenarsi, come si è espresso infelicemente anche il Card. Martini, tra il credere e il non-credere, tra il sì e il no, ma dev’essere atteggiamento chiaro, fermo e deciso di adesione alla verità della Parola di Dio a qualunque costo, fosse pur quello della vita. La fede dei martiri non è certo quella che intende il Card. Martini.

La vera fede che ci insegna il Vangelo è la base di un dialogo proficuo tra credente caritatevole e non credente onesto, che non sia un gioco a rimpiattino dove ci si può permettere di saltellare allegramente da incoscienti tra una mossa e l’altra, mentre nel suddetto dialogo la posta in gioco è troppo alta perché ci si possa prendere il lusso di mettere repentaglio l’anima propria e quella di chi ci ascolta.







[1] Probabilmente lo Spirito Santo suggerisce segretamente a questi ecumenisti e dialoganti escursionisti, esibizionisti, confusionisti ed inconcludenti: “Datevi da fare a correggere errori ed eresie ed Io mi farò vivo! Non fatemi venire il latte alle ginocchia! Finitela con i salamelecchi e le sfilate in costume e cominciate a fare sul serio!”.




Riscossa cristiana 27 febbraio 2013

Tradizionale ed eccezionale. Le due facce della rinuncia al papato






Nell’ultimo giorno di permanenza sulla cattedra di Pietro di Joseph Ratzinger papa, il 28 febbraio 2013, il significato e gli effetti della sua rinuncia non cessano di accendere la discussione critica.Ecco in proposito un nuovo intervento di Pietro De Marco, professore all’università di Firenze e alla facoltà teologica dell’Italia centrale.



DI COSA ESSERE MASSIMAMENTE GRATI A JOSEPH RATZINGER GIÀ BENEDETTO XVI




di Pietro De Marco

Il cuore cattolico, nella sua maggiore estensione, dagli editorialisti del giornale dei vescovi al sentire di una maggioranza di italiani, oppone da giorni al tritume dissacratorio di pochi, ma anche al senso di vuoto di fronte alle dimissioni di Benedetto XVI, un coro di gratitudine: “Grazie, Benedetto!”.
Ma l’opinione pubblica, anche ecclesiale, deve evitare di consumare l’ennesima manipolazione sentimentalistica della verità cattolica.

Ci aiuta il cardinale Giuseppe Betori che ha indicato (omelia di domenica 17 febbraio) nell’instancabile magistero di Benedetto XVI rivolto alla “fedeltà assoluta al contenuto della fede” la “grande e intramontabile impresa” del papa, “cui va la nostra gratitudine nel momento in cui consegna umilmente la propria persona” a un estremo gesto di servizio, nel quale da altri si è vista una peculiare forma di testimonianza-martirio.

Credo che vada chiarito fermamente – anche con l’aiuto delle parole del cardinale, lette con attenzione – che una gratitudine ben orientata non si accende perché Benedetto XVI ha rinunciato all’ufficio, ma nel momento in cui – lasciando Joseph Ratzinger l’ufficio – scaturisce un giudizio sulla sua opera.
E si deve essere altamente grati a Dio per il dono dell’uomo Joseph Ratzinger e del papa Benedetto XVI agli uomini. E grati all’uomo e al papa per la loro decisiva “impresa”. Chi scrive ha sempre sostenuto ciò, e specialmente nei numerosi momenti di aggressione a Benedetto XVI.

Ma in sé, nella prospettiva che chiamo carismatica legata al suo ufficio, non è certamente un bene che un papa “rinunci”.

Io non ho gratitudine perché Joseph Ratzinger si separa da Benedetto XVI, che terminerà di esistere il 28 febbraio alle ore 20, esattamente come se Joseph Ratzinger non fosse più in vita. Confesso, a questo proposito, che la formula “sommo pontefice emerito” scelta per lui dalla Santa Sede mi pare foriera di equivoci.

Non ha senso essere riconoscenti – che è cosa diversa da capire – per un evento del genere, se non da parte di chi spera che anche l’ufficio petrino ne sia colpito a morte.

Ho già scritto che le opposte opzioni tra il persistere e il rinunciare sono per un papa entrambe legittime, anche se non è casuale che nella storia la “renuntiatio” sia stata rarissima. Sono legittime sotto vincoli, come ogni legittimità, tanto più se di diritto sacro. Quanto al papa come persona individuale, deve essergli evidente in coscienza (una coscienza bene ordinata) la giusta causa per la rinuncia, che è in ultimo una eccezionale ragione di forza maggiore. Sotto rischio di peccato grave (1).

Le ragioni profonde che si oppongono alla “renuntiatio” convergono nella salvaguardia dell’ufficio dalle sempre temute conseguenze di un atto che scompone il mirabile equilibrio, anzi l’unità di ordine sacro e di giurisdizione universale nella persona del papa. Da ciò l’allarme non solo dei tradizionalisti (non tutti: qualcuno di loro avversa il magistero romano) ma di chiunque voglia riflettere e non solo ricamare sentimenti o mascherare problemi.

L’eventualità peggiore è che questa eccezionale frattura nell’ufficio personale del papa possa divenire prassi “a tempo” per il futuro, sotto un criterio estrinseco come l’efficienza o simili. Poiché il dono e il compito sono da Dio e l’uomo non può toglierli all’uomo, se non in condizioni di emergenza da sempre previste ma rarissimamente riconosciute. Per la tradizione giuridica della Chiesa è la stessa potestà sovrana del pontefice, che implica un giudizio sovrano, a decidere riguardo alla propria persona. In sé è una formula perfetta, di massima completezza: integra valore e calcolo, signoria di Dio e libertà umana; è un carisma mediato razionalmente. Per questa stessa ragione la decisione di sospendersi da parte di una tale potestà è sempre indesiderabile.

La consapevolezza di questo – né era da pensare diversamente – appare in diversi passi dell’ultima udienza generale di Benedetto XVI, di mercoledì 27 febbraio, un magnifico testamento spirituale. Ha detto riferendosi al momento della sua elezione a papa:
“Da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre: chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata”.

Entro questa appartenenza, ormai, alla totalità, non a sé, Benedetto XVI – col drammatico sentimento delle sue forze diminuite – ha detto d’aver compiuto il passo della rinuncia “nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità”.

Ed ha proseguito:
“Il ‘sempre’ [del ministero] è anche un ‘per sempre’: non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. […] Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro”.

Naturalmente il cenno alla rinuncia all’esercizio “attivo” non significa che persista in lui qualcosa come un carattere – non attivo – del ministero petrino. Il “servizio della preghiera” come tale è del cristiano e del sacerdote, non è una parte del “munus” di Pietro che resta su Joseph Ratzinger.

Il futuro pontefice, assistito dai cardinali e dalla scienza canonistica, dovrà, a mio avviso, dichiarare il carattere necessariamente tradizionale – non innovatore – della rinuncia di Benedetto XVI. E con ciò confermare l’intatta natura carismatica dell’ufficio sempre personale del successore di Pietro.

Ciò che la rinuncia di Benedetto XVI rappresenta per la Chiesa è nelle mani della Chiesa. L’idea che un evento “nuovo” rappresenti una cesura e una novità irreversibile da accogliere e celebrare come tale è un mito ottocentesco.

Il resto, poi, anche le formule del genere “il papa più umano” o “la Chiesa più moderna”, sono solo cascame. Il papa è sempre umano, la Chiesa è per sé moderna.



Firenze, 28 febbraio 2013


(1) Che l’atto di rinuncia di un papa sia ammissibile solo se esso si dimostri utile al bene della Chiesa universale a lui affidata, ma in caso contrario costituisca peccato grave, è clausola che risale alle prime formulazioni giuridiche della materia, nel secolo XII, in particolare a Uguccione da Pisa nella sua “Summa decretorum” (1188-1190): “si expediret, alias peccaret” (ndr).




fonte: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/

mercoledì 27 febbraio 2013

Benedetto XVI: "Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso"










  • Ultima Udienza Generale di Benedetto XVI Mercoledì 27 Febbraio 2013

    La catechesi del Santo Padre

    Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato! Distinte Autorità! 

    Cari fratelli e sorelle! 

    Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa ultima Udienza generale del mio pontificato. Come l’apostolo Paolo nel testo biblico che abbiamo ascoltato, anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio, che guida e fa crescere la Chiesa, che semina la sua Parola e così alimenta la fede nel suo Popolo.

    In questo momento il mio animo si allarga per di abbracciare tutta la Chiesa sparsa nel mondo; e rendo grazie a Dio per le «notizie» che in questi anni del ministero petrino ho potuto ricevere circa la fede nel Signore Gesù Cristo, e della carità che circola nel Corpo della Chiesa e lo fa vivere nell’amore, e della speranza che ci apre e ci orienta verso la vita in pienezza, verso la patria del Cielo.

    Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale. Tutto e tutti raccolgo nella preghiera per affidarli al Signore: perché abbiamo piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, e perché possiamo comportarci in maniera degna di Lui, del suo amore, portando frutto in ogni opera buona (cfr Col 1,9-10). 

    In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e vive nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia. 

    Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto ferma questa certezza che mi ha sempre accompagnato. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai.

    E il Signore mi ha veramente guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire. 

    Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore. 

    Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano…».

    Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo! Ma non è solamente Dio che voglio ringraziare in questo momento. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è sua la prima responsabilità; e io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. 

    Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile. 

    Un pensiero speciale alla Chiesa di Roma, la mia Diocesi! Non posso dimenticare i Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, le persone consacrate e l’intero Popolo di Dio: nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro. 

    Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella mia preghiera, con il cuore di padre. Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. E vorrei esprimere la mia gratitudine al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, che rende presente la grande famiglia delle Nazioni. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio. A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. 

    Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. 

    Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi poter toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. 

    In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi. 

    Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy.
    Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. 

    Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della loro comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui. 

    Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. 

    San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio. 

    Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che voglio vivere sempre. 

    Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito. Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia. 

    Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!




    © Copyright 2013 Editrice Vaticana




Orémus pro Pontífice nostro Benedícto

Dóminus consérvet eum, 
et vivíficet eum, 
et beátum fáciat eum in terra, 
et non tradat eum in ánimam inimicórum éius. 

Preghiamo per il Papa Benedetto. 
Il Signore Lo conservi, Gli doni vita e salute, 
Lo renda felice sulla terra 
e Lo preservi da ogni male. 

Amen.



IL VERO VOLTO DELLA CHIESA NEL SORRISO DI UNA RAGAZZA. CHIARA E IL CONCLAVE





Antonio Socci

I mass media continuano a non capire la Chiesa, anche alla vigilia del prossimo Conclave. Per comprenderne il mistero bisognerebbe – per esempio – leggere un libro straordinario, “Solo l’amore resta” (Piemme), dove Chiara Amirante – 45 anni circa – racconta la sua storia.

I giornali quasi non sanno chi sia Chiara, ma lo sanno benissimo migliaia di persone che per l’incontro con lei sono usciti dal buio e si sono convertiti (a me ricorda un po’ santa Caterina, un po’ Madre Teresa, ma lei respingerebbe con un sorriso e una battuta ironica il paragone).

Anche il Papa conosce bene Chiara (l’ha nominata consultrice del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione) e così pure molti importanti cardinali che la stimano davvero (il cardinale Ruini, da Vicario di Roma, ha aiutato e sostenuto la sua opera fin dall’inizio, quando lei era giovanissima).

Invece i media no. Non capiscono cosa è la Chiesa, sebbene Benedetto XVI non si stanchi di indicare la presenza viva e misteriosa di Gesù Cristo.

Ratzinger fin da cardinale continuava ad affermare che la Chiesa è “semper reformanda” (deve essere sempre rinnovata), ma sottolineando che è sempre stata rinnovata non dai riformatori (che hanno fatto disastri), ma dai santi.


LA STORIA INSEGNA


I media non lo capiscono. Se fossero esistiti – per esempio – nel XVI secolo, tv, internet e giornali avrebbero raccontato solo trame, corruttele, nepotismi, prostitute e altre cose simili. E avrebbero diagnosticato che la Chiesa stava morendo. Intervistando ogni giorno Lutero.
In effetti nessuna istituzione umana sarebbe mai sopravvissuta a tanta “sporcizia”.

Invece la Chiesa uscì da quel secolo con una rinnovata giovinezza, con uno slancio e una bellezza travolgente e attraversa i secoli. Perché non è una istituzione umana, ma letteralmente una “cosa dell’altro mondo”.
Per capirlo i media nel XVI secolo avrebbero dovuto spostare i riflettori su una quantità immensa di santi che, proprio in quegli anni, il Signore fece sgorgare nel giardino della sua Chiesa.
Ne cito solo alcuni (ma ognuno di loro è stato un poema e un ciclone): Carlo Borromeo, Filippo Neri, Francesco di Paola, Luigi Gonzaga, Francesco Saverio, Ignazio di Loyola, Giovanni della Croce, Giovanni d’Avila, Teresa d’Avila, Tommaso Moro, Juan Diego, John Fisher, Paolo Miki, Caterina de’ Ricci, Pietro Canisio, Stanislao Kostka, Edmund Campion.

Per questo dico che oggi – per capire qualcosa del futuro della Chiesa – bisognerebbe andare a cercare e a raccontare storie come quella di Chiara Amirante.
Il suo libro è un abisso di luce. Eppure racconta, con una prosa semplice, una storia dei nostri anni, di una ragazza che è ancora oggi una giovane donna, del tutto normale.


CHIARA


Un flash della sua storia. E’ una notte d’inverno del 1991, verso le tre. Una graziosa venticinquenne in motorino, a Roma, parte dalla stazione Termini e percorre un viale verso l’Appia quando viene avvicinata da un furgone che le taglia la strada per farla fermare.
Le intenzioni dell’omaccione non lasciano dubbi e vengono dichiarate alla giovane dal finestrino. Lei, che è – come avrete capito – Chiara, accelera, scappa, cerca di darsi coraggio cantando, dice a se stessa (“ma no, non sono sola, il Signore è con me”).
Poi, alla fine, lo guarda negli occhi e gli dice: “hai trovato la persona sbagliata, perché io ho consacrato la mia vita a Dio”.
Sembrò che il tipaccio avesse avuto una mazzata in testa. Infatti si ferma più avanti con le mani alzate e – quasi intimorito – le dice: “Perdonami. Ma davvero tu hai consacrato la tua vita a Dio? Come è possibile? Una bella ragazza come te… Non ci posso davvero credere”.
Ancor più sconvolto sarebbe stato se avesse saputo da dove veniva Chiara. Perché, così indifesa, o meglio, difesa dagli angeli, stava andando ogni notte nei sottopassaggi della stazione Termini che, in quegli anni, erano davvero gironi infernali, pericolosissimi per chiunque (tanto più per una ragazza sola).
Ma come e perché Chiara si era lanciata in quell’avventura? Lo racconta nel suo libro e tutto sembra semplice e normale, ma in realtà i fatti che mette in fila sono sconvolgenti. Provo a enuclearli alla meglio.


COME DIO CHIAMA


Chiara cresce in una famiglia che vive nel movimento dei Focolari di Chiara Lubich. Fin dall’inizio attorno a lei – anche all’università di Roma – si raccolgono tanti giovani. Poco più che ventenne contrae una malattia gravissima agli occhi – l’uveite – che, oltre a dolori tremendi per quattro anni, secondo la diagnosi di tutti gli specialisti, la porterà presto alla cecità totale.
Nonostante questa prova tremenda il cammino spirituale di Chiara si approfondisce. E perfino la sua gioia. Il suo sobrio racconto fa intuire esperienze che – più che sogni – hanno tutto l’aspetto di esperienze soprannaturali.

Così, mentre matura in lei la vocazione ad andare da sola a cercare gli ultimi, i più derelitti e disperati (e il “popolo della notte” della Stazione Termini è il luogo che ha nel cuore), d’improvviso – dopo un pellegrinaggio al santuario del Divino Amore – le viene donata una guarigione improvvisa, totale e del tutto inspiegabile per i medici.
Una guarigione che lei in fondo non aveva neanche chiesto, ma che interpreta come un segno: deve intraprendere subito la sua strada. E così diventa l’angelo degli inferni metropolitani. Si aggira col suo sorriso in luoghi pericolosissimi e sempre si sente protetta.
Finché decide lei stessa di andare a vivere con questa povera gente, tra tossicodipendenti, malati di Aids, ragazze prostitute, derelitti al limite del suicidio, ex carcerati, gente che aveva frequentato sette sataniste, con tutte le conseguenze…
I fatti che accadono attorno a Chiara sono sconvolgenti. Veramente si rende visibile la potenza dello Spirito Santo. Sono pagine tutte le leggere. Ma Chiara è chiamata ad andare avanti in quel cammino.


NUOVI ORIZZONTI


Medjugorje è un altro dei suoi luoghi del cuore. E lì s’illuminano i nuovi passi di Chiara. Nasce “Nuovi orizzonti”, l’ideale di una comunità dove si vive con semplicità e integralità il Vangelo.
C’è la freschezza di ogni inizio, in tutti i tempi, dai primi amici di Gesù a Francesco d’Assisi a Ignazio di Loyola…. C’è l’abbandono totale al Signore e la scelta radicale, da parte di Chiara e dei suoi amici, dei voti di povertà, castità, obbedienza e – in seguito – di gioia.
Questo è solo l’inizio dell’avventura di Chiara, ma è nell’origine che si coglie davvero l’essenza di qualunque cosa. Oggi mettere in file i numeri di ciò che è nato da Chiara fa impressione: 174 centri di accoglienza e di formazione, 152 Equipe di servizio, 5 Cittadelle Cielo in costruzione in diversi continenti, più di 250 mila “Cavalieri della luce” che – come dice Chiara – sono impegnati a portare dovunque, nel mondo, “la rivoluzione dell’amore”.

Ma tutto questo – che forse è quello che più interesserebbe i media – in realtà è solo un sovrappiù rispetto all’essenziale. Che è l’intima unione spirituale di Chiara con Gesù, la sua toccante umanità, la sua semplicità, la sua gioia contagiosa (pur dentro sofferenze fisiche tuttora molto pesanti).
I “segni” che accadono attorno a Chiara poi fanno sperimentare davvero la vicinanza del Signore.
Quella “Chiesa gerarchica” che oggi spesso viene messa sulla graticola dai media fin dall’inizio ha accolto Chiara come una figlia amatissima e ha riconosciuto e valorizzato il suo carisma.
Oggi incontrando Chiara, leggendo la sua storia, guardando il suo volto e i tanti giovani che accanto a lei hanno trovato il senso della vita, viene da concludere che i media non raccontano cosa è davvero la Chiesa. Non la capiscono.
Forse non la vogliono capire.
Già i primi apologeti cristiani, durante le persecuzioni, dicevano: “i cristiani chiedono solo questo, di essere conosciuti prima di essere condannati”. Anche oggi sembra che non si conoscano i cristiani. Che sono “una cosa dell’altro mondo” in questo mondo.




Da “Libero”, 26 febbraio 2013



L'ignoranza di storia e scienza genera mostri









di Riccardo Cascioli


La vicenda dei "vescovi tedeschi e la pillola del giorno dopo" è decisamente grave e ha un valore che va oltre il fatto stesso, ovvero la somministrazione o meno nelle strutture sanitarie cattoliche di pillole contraccettive (abortive) a donne che hanno subito una violenza sessuale.

Da un punto di vista della dottrina morale, infatti, la posizione dell’episcopato non fa una grinza, eppure giunge a una conclusione gravemente sbagliata. Come mai? Nella migliore delle ipotesi è mancanza di conoscenza delle basi scientifiche e storico-politiche, e ignoranza delle posizioni ideologiche che influenzano entrambe.

Partiamo dalla questione storico-politica: la definizione di contraccezione d’emergenza data alla pillola del giorno dopo ha un’origine che dovrebbe immediatamente mettere in guardia. Essa infatti si colloca nel quadro dei mezzi di controllo delle nascite distribuiti dalle agenzie dell’Onu e dalle organizzazioni non governative a esse associate. Vale a dire che lo scopo è anzitutto la penetrazione in quei paesi che mantengono il divieto di aborto nella loro legislazione ma permettono la contraccezione; e inoltre ne permette la diffusione tra le adolescenti evitando di informare i genitori, il cui consenso sarebbe invece necessario nella maggior parte dei paesi in caso di aborto.

C’è dunque un progetto ideologico ben definito dietro la diffusione della pillola del giorno dopo, tanto che si è formato anche un “Consorzio” per la sua diffusione formato da diverse agenzie internazionali. Insomma, a nessuno sfugge la potenzialità abortiva del farmaco ma con la definizione di “contraccezione”, per quanto d’emergenza, se ne permette la diffusione laddove altrimenti sarebbe vietata.

Ignorare questa origine, da parte dei vescovi è una colpa grave che fa cadere anche loro nella trappola, e apre nella Chiesa quel varco all’uso di metodi potenzialmente abortivi che può provocare facilmente scivolamenti peggiori. Senza considerare gli effetti mediatici della decisione: si possono fare tutti i distinguo e le precisazioni che si vuole, da oggi per tutto il mondo “la Chiesa apre alla pillola del giorno dopo”.

C’è poi una questione più ampia che riguarda le basi scientifiche, o meglio il rapporto tra norme morali e le conoscenze scientifiche per applicarle. Il caso dei vescovi tedeschi ci mostra chiaramente che anche una affermazione corretta della norma morale può portare a una applicazione gravemente erronea se non si conosce bene la realtà. Giustamente il nostro Renzo Puccetti e anche i vescovi spagnoli (vedi articolo in Primo piano) chiedono all’episcopato tedesco di chiarire quali sono le loro fonti scientifiche in base alle quali hanno preso quella decisione. E sarebbe il caso che anche la Pontificia Accademia per la Vita si facesse carico di questa richiesta, più che legittima. Si scoprirebbe così con tutta probabilità che la documentazione scientifica di riferimento è ideologicamente orientata.

Qui la questione è molto più ampia, perché si applica a diversi campi che richiedono conoscenze scientifiche specifiche. Un esempio clamoroso degli ultimi anni è quello della climatologia, con interi episcopati che danno per scontata una certa visione catastrofista dei cambiamenti climatici che peraltro nasce da un approccio neo-pagano ed essenzialmente anti-cristiano e anti-umano. La si spaccia per scienza condivisa, ma lo è soltanto sui media non certo nella reale comunità scientifica. Anche qui c’è un grave peccato di superficialità, perché non è così difficile reperire informazioni almeno sulle molteplici posizioni esistenti in materia nell’ambito della comunità scientifica.

Sarà un caso ma anche sui temi ambientali, è l’episcopato tedesco che si distingue per le posizioni più discutibili che si basano su una scienza distorta e fortemente inquinata dall’ideologia.

Vista la crescente complessità delle materie in cui è richiesto un giudizio morale, e le conseguenze che comportano per il popolo cristiano e per le persone in generale, è dunque necessario che si cominci a prevedere che si giochi a carte scoperte, che si confrontino seriamente le conoscenze scientifiche disponibili e che i singoli episcopati o vescovi evitino fughe in avanti pensando di essere più intelligenti e brillanti degli altri.



La nuova Bussola Quotidiana 27-02-2013

martedì 26 febbraio 2013

Ratzinger continuerà a chiamarsi Benedetto XVI



Benedetto XVI

Manterrà il titolo di Sua Santità, sarà «Papa emerito», vestirà la talare semplice bianca, non porterà più le scarpe rosse. Il 4 marzo la prima congregazione dei cardinali









ANDREA TORNIELLI



Joseph Ratzinger conserverà il nome papale anche dopo le 20 del prossimo 28 febbraio, quando lascerà il pontificato: continuerà a chiamarsi Benedetto XVI e ci si rivolgerà a lui come a Sua Santità. Diventerà «Papa emerito» o «Romano Pontefice emerito».


Il portavoce vaticano, durante il briefing con i giornalisti, ha spiegato che Ratzinger continuerà a vestirsi di bianco, ma con la talare semplice, non con la «pellegrina», quella specie di mantelletta delle talari vescovili. Inoltre, ha detto Lombardi, non porterà più le scarpe rosse. «Ma il Papa ne aveva anche di marroni - ha spiegato il portavoce - e in particolare era molto contento per un paio di scarpe che gli sono state donate durante il viaggio in Messico del 2012, a Leòn».


Alle 20 di giovedì l'anello del pescatore e il sigillo papale saranno distrutti. Ratzinger continuerà a portare un anello, ma non più quello papale. L'inizio della sede vacante, la sera del 28 febbraio, sarà visivamente segnato dal fatto che le guardie svizzere incaricate di vigilare sul Papa, dalla sera di quel giorno lasceranno Castel Gandolfo, perché da quel momento il Papa non ci sarà più.


Per quanto riguarda l'inizio delle congregazioni generali dei cardinali, il decano Angelo Sodano farà partire la convocazione per i porporati il giorno 1° marzo: questo significa che la prima congregazione si terrà lunedì 4 marzo, non prima. E dunque prima della prossima settimana non sarà possibile conoscere la data del conclave.



Vatican Insider

Pistoia: rosario per il Papa










lunedì 25 febbraio 2013

Breve storia della custodia dell'Eucarestia: dai Padri della Chiesa ad oggi passando per i due Concili: di Trento e Vaticano II




Breve storia della custodia dell'Eucaristia
di dom Cassian Folsom osb - trad. it. a cura di d. G. Rizzieri


"Bene et firmiter"

Nell'intento di discernere i grandi cambiamenti avvenuti lungo i secoli nella dottrina e nella prassi della custodia del Santissimo Sacramento, dividerò la storia del tabernacolo in quattro sezioni: dal periodo patristico fino al tempo carolingio, dal periodo carolingio fino al Concilio di Trento, dal Concilio di Trento al Vaticano II, e dal Vaticano II ad oggi.


Dal periodo Patristico fino al tempo Carolingio

Nel primo periodo storico si riscontrano due generi di custodia del Santissimo Sacramento: 1) la custodia privata dell'Eucaristia nelle case dei fedeli, e 2) la custodia dell'Eucaristia in chiesa per portarla ai malati o ai morenti. Nella prima categoria, le case dei fedeli, non abbiamo quasi informazioni su dove e come l'Eucaristia fosse custodita, sappiamo solo da alcune fonti che essa veniva devotamente avvolta in un telo di lino bianco o posta in una apposita cassetta o contenitore. Nel caso di riserva del Santissimo Sacramento nelle chiese, le Costituzioni Apostoliche al cap. VIII n. 13, indicano che i diaconi dovevano mettere ciò che avanzava delle specie eucaristiche consacrate durante la Messa in una stanza particolare chiamata 'Pastoforio', che nelle chiese orientali si trovava nella parte sud dell'altare. In occidente, era denominata 'secretarium' o 'sacrarium'. Il diacono, avendo l'incarico di amministrare l'Eucaristia, ne teneva le chiavi. Nella stanza vi era un'apposita credenza o cassetta chiamata 'conditorium'. Ne sono un esempio i mosaici del mausoleo di Galla Placidia del V secolo a Ravenna. Riguardo al tempo pre-carolingio, non si ha conoscenza dell'uso dell'altare come luogo per la riserva dell'Eucaristia.

Dal IX secolo, la riserva in chiesa del Santissimo Sacramento diviene la norma, mentre scompare la prassi di conservare l'Eucaristia nelle case. E' uno di quei cambiamenti fondamentali che merita maggiore attenzione. Giambattista Rapisarda offre tre ragioni per un cambiamento così significativo nella prassi eucaristica: 1) il sorgere delle grandi dispute eucaristiche sulla natura della presenza di Cristo, a partire da Pascasio Radberto (+859) e Ratramno (+868); 2) la diffusione di una diversa spiritualità che consisteva in un nuovo genere di preghiere apologetiche che manifestavano enorme rispetto per l'Eucaristia e un senso di profonda indegnità dinanzi a un così grande mistero; e 3) la conversione in massa dei popoli barbari con il pericolo di profanazione dell'Eucaristia da una parte, e di superstizione dall'altra.


Dal periodo carolingio al Concilio di Trento

I sei o sette secoli di questo secondo periodo vedono notevoli sviluppi nella teologia e nella prassi eucaristica. E' il tempo della controversia eucaristica che infuriò intorno a Berengario (+1088); dello sviluppo di una nuova pietà eucaristica che esprimeva il desiderio di vedere l'Ostia, per cui venne introdotta, nella consacrazione del pane e del vino nella Messa, prima l'elevazione dell'Ostia e poi quella del Calice; delle precisazioni scolastiche circa la transustanziazione; dell'istituzione della festa del Corpus Domini; del declino della ricezione della Comunione, e così via. Alcuni di questi fattori contribuiscono al formarsi di nuovi modi per custodire l'Eucaristia (le torri sacramentali, per esempio). In altri momenti, è la forza della consuetudine che mantiene le forme più tradizionali.

Righetti distingue cinque modi principali di custodia del Santissimo Sacramento durante questo periodo: 1) Propitiatorium: contenitore o cassetta posta sull'altare, una sorta di tabernacolo portatile. Il Concilio Laterano IV (1215-1216) prescriveva che dovesse restare chiuso a chiave e messo al sicuro. Un sistema assai diffuso in Italia nei secoli XIII e XIV; 2) Sacrestia: In molti luoghi, l'Eucaristia era conservata in sacrestia, in una sorta di apposita cassetta o credenza. Una prassi che durò fino al Concilio di Trento; 3) Colomba eucaristica: sistema usato attorno al secolo XI. Colomba di metallo (simboleggiante lo Spirito Santo), concava, di modeste proporzioni, che dal ciborio (se c'era) pendeva sull'altare o era posata su un tavolino accanto all'altare. Di uso frequente in Francia e Inghilterra, ma raramente usato in Italia; 4) Tabernacoli murati: il sistema più comunemente usato a partire dal XIII secolo, soprattutto in Italia e Germania, perché più pratico e sicuro. Dalla parte dell'altare su cui era posto il Vangelo, si incastonava alla parete un tabernacolo. Un fine esempio di tabernacolo simile è ancora visibile nella chiesa di San Clemente a Roma (XIII secolo). Dal XVII secolo, con lo sviluppo del tabernacolo sull'altare, i tabernacoli murati serviranno a custodire gli oli sacri; 5) 'Sakramentshaeuschen' o torri sacramentali: dal XIV al XVII secolo, era una caratteristica dei Paesi del nord Europa (Germania, Olanda e Francia settentrionale). Il tabernacolo, generalmente a forma di torre, costruito vicino all'altare, custodiva l'ostia consacrata in un contenitore di vetro protetto da una grata di qualche metallo. Rispondeva ai sentimenti della pietà popolare del tempo, che desiderava vedere l'ostia. Le torri erano in realtà quasi degli ostensori, che permettevano una sorta di esposizione permanente del Santissimo Sacramento. Ve ne era una grande varietà a seconda del luogo e del tempo. All'epoca, non vi era una prassi uniforme per la Chiesa universale.



Dal Concilio di Trento al Vaticano II

In questo terzo periodo, ciò che cambiò radicalmente la prassi cattolica fu la negazione protestante della presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, e la risposta della contro-riforma a tale sfida. Il Concilio di Trento afferma contro i riformatori, che il Santissimo Sacramento deve essere custodito, ma il canone in questione non è molto specifico (sess. 13, can. 7), accennando appena al 'sacrarium' come luogo di custodia. Saranno la pietà popolare e due vescovi ad avere un ruolo importante nello stabilire una nuova forma di riserva eucaristica. Nel secolo XVI, ancor prima del Concilio di Trento, il vescovo Gian Matteo Giberti di Verona (+1543) disponeva che l'Eucaristia si custodisse in un tabernacolo posto sull'altare maggiore: "Il tabernacolo sia collocato sull'altare maggiore e installato permanentemente ("bene et firmiter"), affinché non venga assolutamente asportato da mani sacrileghe". Divenne normativo nella diocesi confinante di Milano, tanto che nel 1565, al primo sinodo provinciale di Milano, venne decretato che: "il vescovo vigili che nella cattedrale, nelle chiese collegiate, nelle parrocchie e in tutte le altre chiese, dove la Santissima Eucaristia è o dovrebbe essere generalmente custodita, essa sia collocata sull'altare maggiore, salvo parere diverso del Vescovo, per ragioni serie o necessarie". Nel 1576, un altro sinodo di Milano proibì i tabernacoli murati, ordinandone la distruzione. San Carlo Borromeo gettò su questa nuova prassi tutto il peso della sua autorità morale e spirituale. Nel duomo di Milano, egli fece trasferire il Santissimo Sacramento dalla sacrestia, dove fino ad allora era conservato, all'altare maggiore. Nel 1577 fu pubblicato il libro 'Instructionum Fabricae et Supellectilis Ecclesiasticae Libri II' del Cardinale Borromeo, che ebbe enorme influenza per i progetti architetturali delle chiese nei secoli a venire. Egli detta le norme per i tabernacoli in forma autoritativa, senza fornire giustificazioni. Partendo dal decreto del sinodo provinciale di Milano del 1565 sull'ubicazione del tabernacolo possibilmente sull'altare maggiore, San Carlo dispone che si ponga in vigore tale prassi, dando istruzioni sui materiali da usare, sullo stile, sui motivi decorativi, sulle dimensioni, ecc.

Il 'Rituale Romanum' del 1614 incorporò tale prassi nei "praenotanda", nella sezione del Santissimo Sacramento dell'Eucaristia (Titulus IV, c.1, par.6), il che fece sì la riserva del Santissimo nel tabernacolo sull'altare prendesse il nome di "tradizione romana". La collocazione sull'altare maggiore non era tuttavia assoluta, nel caso in cui si prevedesse che un altro altare potesse essere più dignitoso o più adatto. Il Rituale non era obbligatorio, per questo la "tradizione romana" del tabernacolo sull'altare maggiore si diffuse solo gradualmente, mentre gli altri Paesi europei continuarono a conservare le loro usanze, a volte per secoli. Ma la parte delle 'Instructiones' di San Carlo Borromeo dedicata al tabernacolo, ebbe un influsso superiore a tutte le altri parti della sua opera, tanto che dal XVII al XVIII secolo quasi ovunque i tabernacoli d'altare saranno tutti secondo le istruzioni di San Carlo Borromeo.

Il cambiamento estremamente importante che si verificò dopo il Concilio di Trento può essere spiegato da un numero di fattori: 1) la negazione protestante sulla custodia del Santissimo Sacramento e l'affermazione nel modo più chiaro possibile della Chiesa di porre il tabernacolo al centro dell'altare maggiore; 2) il conseguente accentuarsi delle devozioni eucaristiche, quali l'adorazione e l'esposizione del Santissimo; 3) il fiorire dell'architettura barocca, soprattutto a Roma, che comunica una esasperata fierezza ed entusiasmo nella fede cattolica della presenza eucaristica; 4) la standardizzazione dei libri liturgici (in questo caso il Rituale Romano) e di conseguenza, il graduale uniformarsi della prassi liturgica.


Dal Vaticano II ad oggi

I cinquanta anni trascorsi dal Concilio Vaticano II sono stati caratterizzati da enormi cambiamenti nella teologia liturgica e nella sua prassi. L'ubicazione del tabernacolo rispetto all'altare è stato un tema di animato dibattito. Ciò che era normativo nel periodo post-tridentino è stato largamente respinto nel periodo post-Vaticano II. Se c'è stato un consenso generale circa dove il tabernacolo non deve stare (sull'altare maggiore), nessun consenso invece circa a dove dovrebbe stare. Il disaccordo teologico su tali temi ha condotto ad una prassi pastorale quanto mai confusa e talvolta contraddittoria. Tali cambiamenti verranno presentati in dettaglio nella seconda sezione sulle norme liturgiche del prossimo numero di 'Sacred Architecture".

Due sono le ragioni principali che hanno determinato l'attuale enorme cambiamento. 1) La motivazione teologica tendeva a mettere al centro dell'attenzione l'altare e l'azione eucaristica della Messa, opposta all'adorazione e al culto del Sacramento nel tabernacolo (una sorta di dicotomia tra l'Eucaristia intesa come sacrificio e l'Eucaristia intesa come sacramento). Nella prassi, la conseguenza è stata il declino della devozione eucaristica. 2) La motivazione pastorale tendeva a promuovere la partecipazione attiva ponendo l'altare 'versus populum'. Nelle chiese antiche, la soluzione più comune è stata di collocare un nuovo altare di fronte a quello vecchio, causando però un certo conflitto interiore nel fedele, almeno a livello di subconscio. Il dilemma su dove porre il tabernacolo per il Santissimo Sacramento è stato frequentemente risolto creando una cappella laterale.

Se questa è stata la prassi plurisecolare delle grandi Basiliche e Cattedrali e rimane eminentemente appropriata nelle medesime situazioni, molte innovazioni moderne sono state meno che riuscite, e le cappelle del Santissimo Sacramento, piccole e affollate, possono sembrare inadeguate e perfino irriverenti. Le Istruzioni Generali riviste del Messale Romano del 2002, tentano di risolvere alcuni di questi dilemmi proponendo un nuovo modello.



The Institute of Sacred Architecture, vol. 22 - autunno 2012 http://www.sacredarchitecture.org/articles/ibene_et_firmiter/
trad. it. a cura di d. G. Rizzieri

(28/01/2013)