lunedì 28 febbraio 2022

Tiziano Ferro papà? Due bimbi a cui si nega l’amore materno








 28 Febbraio 2022

Il cantante italiano Tiziano Ferro è “diventato” papà. I social esplodono davanti alla foto, ma c’è un assente ingombrante. Dov’è la mamma? Perché questi bambini non potranno godere dell’amore che solo una donna, una mamma può dare loro? Lo dicono gli psicologi, lo dice l’esperienza di ognuno.



Tiziano Ferro è diventato papà tramite due telefonate.

Lo racconta lui stesso in un post su Instagram dopo aver scelto la foto più social possibile per far commuovere migliaia di fans e lanciare la notizia in tendenza.

La posa dei due uomini è ben studiata per risultare la più armonica possibile, nostalgicamente in bianco e nero.

Comprendiamo la felicità di Tiziano e Victor, ma in quella foto manca la cosa più importante per quei bambini, una mamma.


Bella foto, ma dov’è la mamma?

Nessun trucco fotografico potrebbe mascherare questa enorme assenza. Quanto potranno essere felici Margherita e di Andres quando si renderanno conto di non avere nessuna immagine di una mamma nei loro ricordi? Di non aver mai potuto addormentarsi accanto al suo seno, di non avere alcuna esperienza dell’affetto e dell’amore che solo una madre può dare, diversi da quelli di un padre?

«Ignorando un secolo di ricerche, i sostenitori dell’adozione si basano su un discorso basato sull'”amore”», ha scritto Claude Halmos, una dei massimi esperti riconosciuti in età infantile, «un bambino è in fase di costruzione e, come per qualsiasi architettura, ci sono delle regole da seguire se si tratta di “stare in piedi”. Quindi, la differenza tra i sessi è un elemento essenziale della sua costruzione».

Si, perché il ruolo materno e femminile è insostituibile. Dovrebbero ricordarlo le femministe, ma forse anche loro sono troppo prese a commuoversi davanti alla foto social.


Il diritto insindacabile dei bambini.



Tiziano Ferro scrive che è «un diritto insindacabile» per i due bambini «condividere il racconto della loro vita», quando vorranno. Ma dov’è il loro diritto insindacabile ad avere una mamma? Dov’è il loro diritto a non essere nati orfani di madre per una scelta che appare semplicemente egoistica?

Alberto Villani, vicepresidente della Società Italiana di Pediatria, ha spiegato che «da anni ormai, grazie all’epigenetica si è ben compreso che un individuo è quello che è sua madre prima ancora di concepire l’individuo. Quindi è chiaro che nella formazione, nella crescita di un bambino, il ruolo materno e il ruolo paterno sono fondamentali. Noi dobbiamo prevedere per il bambino quella che è la sua situazione ottimale».

Sarebbe poi interessante sapere come sono nati. Acquistati da una donna povera tramite maternità surrogata? Strappati da qualche infermiere dal grembo materno appena messi al mondo? Oppure nati in provetta con una fecondazione artificiale?

E’ “diritto insindacabile” che Margherita e Andres sappiano esattamente perché gli è stato rifiutato il dono di avere una mamma ed un papà.

Guido Crocetti, docente benemerito di Psicologia Clinica e Dinamica e di Psicoterapia Psicoanalitica presso l’Università “La Sapienza” di Roma, è piuttosto chiaro quando afferma:

«Da trent’anni lavoro sui disagi psichici dei bambini e do voce ai loro bisogni. Quei bambini chiedono, vogliono, esigono un papà e una mamma, ognuno dei due con un suo ruolo e le sue proprie funzioni. I bambini vogliono la coppia, la esigono imprescindibilmente, e la vogliono insieme, unita. Imperativo categorico è che sia formata da un padre e una madre: è questa la garanzia di cui hanno bisogno per esistere. Poi i bambini sopravvivono sempre, anche alle guerre, alle carestie, agli abusi e alle violenze, ma questo – appunto – è sopravvivere, non vivere nel pieno dei loro diritti. Posso citare almeno un secolo di studi internazionali che lo dimostrano. O recuperiamo regole e limiti strettamente correlati ai valori, o la psicopatologia infantile avrà sempre più piccoli pazienti da curare».

Non servirebbe nemmeno citare gli studi ed elencare psicologi e psichiatri per ribadire ciò che è ovvio a tutti.

«Grazie per la comprensione», scrive Tiziano Ferro a fine post. Chissà cosa risponderanno Margherita e Andres appena si accorgeranno di non aver mai potuto dire: “Mamma, ti voglio bene”.

La redazione







Gabriele e Gemma, due santi che parlano ai giovani d’oggi






Il 27 febbraio la Chiesa celebra san Gabriele dell’Addolorata, il quale ebbe, dopo la sua morte terrena, un influsso straordinario sul cammino spirituale di santa Gemma Galgani. Tutto iniziò con la lettura della vita di Gabriele (allora venerabile) da parte di Gemma…






LEGAME CELESTE
ECCLESIA
Antonio Tarallo, 26-02-2022

La storia dei santi è sempre così particolare, così affascinante. L’Autore del tutto è un perfetto romanziere che riesce a scrivere pagine bellissime, dense di colpi di scena e di testimonianze vive del Suo amore per l’uomo. Ci troviamo di fronte, nel caso di san Gabriele dell’Addolorata (1838-1862) e di santa Gemma Galgani (1878-1903), a due vite che si incrociano; due biografie legate da un filo che si chiama Dio; e, sullo sfondo di queste storie, la Carità, l’Amore per il prossimo. I due santi, distanti per tempo, ma non per spirito, rappresentano come nella “logica” di Dio lo spazio e il tempo non contino, essendo Lui stesso l’Eternità. E, impresse in questa Eternità, le storie dei due giovani santi riescono a segnare la Storia con una forza incredibile. In fondo, già nei loro nomi, è possibile trovare il seme della loro vocazione ed esistenza: Gemma e Gabriele. Gemma, come il minerale prezioso reso famoso per la sua purezza. Gabriele, dal nome ebraico Gavri’el, composto da gebher che significa “uomo”, o “essere forte” e da El che si traduce con “Dio”: può quindi significare “uomo di Dio” o “uomo forte di Dio”.

Ma, ora, entriamo nelle biografie di questi due santi, partendo da un dato storico che ci fa riflettere sul loro legame. Primo dato: Gabriele dell’Addolorata vola al cielo all’età di quasi ventiquattro anni (1862), quindi, sedici anni prima della nascita di Gemma (1878). Secondo dato: il giovane passionista viene dichiarato santo nel 1920, cioè diciassette anni dopo la morte di Gemma.

Gemma legge quindi la vita di Gabriele quando questi era ancora “solo” venerabile. La legge e la medita, immergendosi nella biografia di quel giovane: e quelle pagine creano già un legame spirituale fra i due. Sarà a lui che Gemma chiederà la protezione per il suo cammino spirituale, sarà a lui che chiederà di soccorrerla contro le tentazioni diaboliche. Gemma si procura addirittura un’immagine del futuro santo, scrivendo nel suo Diario: “Da quel giorno che il mio nuovo protettore Venerabile Gabriele mi aveva salvata l’anima, cominciai ad averne divozione particolare: la sera non trovavo il sonno, se non avevo l’immagine Sua sotto al guanciale, e cominciai fino d’allora a vedermelo vicino (qui non so spiegarmi: sentivo la sua presenza). In ogni atto, in ogni azione cattiva che avessi fatta, mi tornava alla mente Confratel Gabriele, e mi astenevo”.

Il legame fra i due, così, comincia davvero ad essere molto forte. Avviene poi qualcosa di straordinario: un miracolo per la salute di Gemma, grazie all’intercessione di Gabriele dell’Addolorata. La storia è questa: Gemma, a vent’anni, comincia ad avvertire nel suo corpo delle sofferenze dovute a una curvatura alla spina dorsale. E, inoltre, si ammala di meningite, malattia che la lascia temporaneamente sorda; dei grossi ascessi le si formano sul capo fino a farle cadere i capelli. Le condizioni di salute della giovane si aggravano giorno dopo giorno. Non c’è più nulla da sperare, se non nella preghiera, nell’intervento di Dio.

È la maestra Giulia Sestini, che parecchie volte passa a trovarla, a parlarle dell’allora venerabile Gabriele. È sempre la maestra Sestini a fornire a Gemma qualche immaginetta e reliquia del santo. Ed è allora che la futura santa si abbandona alla protezione di san Gabriele. Comincia una novena. È il 23 febbraio 1899, quando Gemma, recitando il Santo Rosario, si accorge della presenza di san Gabriele. Tale visione è raccontata, nel suo Diario, con queste parole: “Vuoi guarire?… prega con fede il Cuore di Gesù; ogni sera, fino che non sarà terminata la Novena, io verrò qui da te, e pregheremo insieme il Cuor di Gesù”. Il primo marzo la novena è finita e la grazia è stata accordata: Gemma guarisce totalmente.

Il Diario di Gemma Galgani rappresenta la fonte prima per comprendere appieno il legame che si instaura fra i due. Vengono descritti i loro colloqui, il loro scambio di confidenze che ha come unica “tematica” il Signore. Le parole del Diario, gli episodi raccolti in queste pagine di sublime bellezza poetica, sono di una tenerezza infinita. I due giovani si incontrano, i loro occhi si incrociano in un unico grande sguardo, quello di Dio: è il loro particolare, possiamo chiamarlo, “Cantico dei Cantici”, dove l’Amato e l’Amata parlano dell’unico, immenso, Amore per Dio. C’è un altro tratto che colpisce in questa storia. Potrebbe sembrare soltanto estetico, dunque secondario, certamente: chiunque si trovi di fronte alle loro due immagini non può non notare una sorta di somiglianza fra i due volti. E non poteva, in fondo, non essere così: entrambi sono stati plasmati dall’Amore di Dio per diffondere il Suo Messaggio. Il loro singolare “Cantico” viaggia su note di un pentagramma segnato dalla divina penna di Gesù. Una delle più belle pagine è certamente il racconto di una lettera scritta a Gabriele: Gemma la consegna al proprio angelo custode, messaggero delle parole e dei pensieri rivolti a Gabriele. “Ora poi oggi faccio una cosa: voglio scrivere a confratel Gabriele un biglietto; dopo lo consegno all’angelo custode, e ne aspetterò la risposta. E l’ho fatto: ho scritto una lettera assai lunga, ho parlato di tutte le mie cose senza tralasciarne alcuna; poi ho avvisato l’angelo custode che era in punto, e se la voleva… L’ho posta stasera, mercoledì, sotto il guanciale, e stamani, quando mi sono alzata, non ho pensato a guardarci, perché avevo di meglio in mente: andavo da Gesù. (...) Subito tornata, ho guardato e, curiosa!, la lettera non ci era più. Dico curiosa, perché lo sento dire da altri che è una cosa strana; a me non mi sembra però”.

Naturalmente a Gemma non poteva sembrare strano tutto questo. I santi hanno un’unica ratio: quella di Dio, e - quindi - proiettata verso le “cose del Cielo” che non sempre possono essere spiegate con la ratio delle “cose della terra”. È l’ossimoro della santità.

Gemma morì a soli 25 anni, è stata beatificata nel 1933 da Pio XI e canonizzata da Pio XII nel 1940, dunque vent’anni dopo la canonizzazione di Gabriele. I due ragazzi di Dio splendono nella Gloria eterna, continuando il loro dialogo e soprattutto parlando ai giovani d’oggi.






La Chiesa è pacificatrice, non pacifista

Storicamente la religione cattolica ha prodotto degli effetti, migliorando il mondo «sotto molti aspetti, e a volte per periodi abbastanza lunghi», come disse Chesterton. Un esempio è anche il concetto di "guerra giusta", che non significa giustificarla, ma controllarla moralmente e spiritualmente. Quello che manca oggi è una comunità morale integrata.




LA RIFLESSIONE
ECCLESIA
Stefano Fontana, 28-02-2022

All’inizio della guerra in Ucraina, nella “civilissima” Europa, guerra che quasi tutti ritenevamo impossibile, molti avranno fatto questa riflessione: l’uomo, in fin dei conti, non cambia mai! “Il mondo è ancora come ai tempi di Alarico; soltanto i nostri mezzi di oppressione e di distruzione, come anche quelli di ricostruzione, sono divenuti considerevolmente più perfetti”. Così il filosofo della storia Karl Löwith, secondo il quale “la storia, in tutti i tempi, è una storia di azioni e di sofferenze, di prepotenze e di umiliazioni, di peccato e di morte. Essa è una continua ripetizione di tentativi penosi e di costosi sforzi che sempre di nuovo falliscono… La storia è la scena di una vita intensissima che lascia dietro di sé sempre nuove rovine”.

Quanti pensano che l’umanità possa affinare il proprio senso morale lungo la storia e che il senso della giustizia si faccia progressivamente strada vengono delusi dallo scoppio di sempre nuovi conflitti mortali. Sembra che il mondo venga continuamente ricacciato alle origini e che nulla, nemmeno il cristianesimo, abbia potuto favorire un vero cammino verso il meglio, la conquista di una maggiore consapevolezza morale, un migliore uso delle virtù, la partecipazione ad una comune umanità.

Löwith era protestante e per lui gli eventi del mondo “sono ciechi”, sicché “nessun progresso terreno può mai approssimarsi al fine cristiano”, il quale è “la redenzione dalla morte e dal peccato”. Ogni guerra – anche questa in Ucraina – per lui insegnerebbe sia che il mondo è cieco, sia che “la fede cristiana è indifferente alla storia di questo mondo” perché “agli inizi della storia [l’uomo] non era meno uomo di quanto lo sarà alla fine”.

Ma questa non può essere la visione cattolica della storia, perché la religione cattolica produce anche effetti storici dato che la redenzione non si aggiunge come un mantello che copre le brutture umane ma comporta una ri-nascita che passa dalla trasformazione della natura tramite la grazia. Più realistica, allora, la visione di Chesterton che pure non concede nulla all’ottimismo del progressismo pacifista: “La direzione che il mondo dovrebbe prendere non esiste, non è mai esistita. Il mondo non sta andando verso nessun parte… il mondo è come lo descrissero i santi e i profeti: non migliora né peggiora. Ma c’è una cosa che il mondo fa … barcolla. Lasciato a se stesso non va da nessuna parte, ma se viene guidato da giusti riformatori della vera religione e filosofia, può migliorare sotto molti aspetti, e a volte per periodi abbastanza lunghi. Tuttavia, preso in sé non è sinonimo di progresso, non è neanche in movimento… La vita in sé non è una scala ma un’altalena”. Anche Löwith ammetteva timidamente che “la storia della salvezza getta occasionalmente qualche luce anche su quella del mondo”, Chesterton dice di più, dice che il mondo, “se viene guidato da giusti riformatori della vera religione e filosofia, può migliorare sotto molti aspetti, e a volte per periodi abbastanza lunghi”.

Lungo la storia la fede cristiana ha svolto il compito qui accennato da Chesterton e quando vigeva la “civiltà cristiana” le guerre di certo non cessavano, ma la morale comune condivideva alcune loro limitazioni, espressione del diritto delle genti, che ha alimentato il dritto di guerra (da intendersi non come diritto alla guerra, ma come diritto in caso di guerra), corroborato dalla morale e dalla carità cristiane. La Chiesa non è mai stata pacifista, avendo essa lasciato questa posizione alle sette ereticali, ma è sempre stata pacificatrice.

Un esempio tra i tanti è stata la concezione da essa elaborata della “guerra giusta”. Che non significava giustificare la guerra, ma controllarla moralmente e spiritualmente, e quindi anche politicamente. Il concetto di guerra giusta, con i suoi criteri di giudizio a carattere prudenziale, permetteva, per contrasto, di vedere con chiarezza quando la guerra era ingiusta. Non impediva che la guerra venisse fatta, ma tratteneva dal farla e imponeva garanzie di giustizia e moderazione.

Oggi nella Chiesa cattolica si sono prese le distanze dalla nozione di guerra giusta, la quale però è ancora contemplata nel paragrafo 2309 del Catechismo. L‘elenco delle condizioni affinché vi possa essere una guerra giusta è talmente serrato ed esigente da rendere evidente l’ingiustizia della grandissima maggioranza delle guerre combattute finora. Tolto però il concetto di guerra giusta, anche la guerra ingiusta diventa nebulosa. Il pacifismo, fautore della pace ad oltranza, ha lottato e lotta contro il concetto di guerra giusta, ma in questo modo non è riuscito a garantire la pace, dato che la guerra non ha cessato di esistere ma ha cessato di essere regolata.

La dottrina della guerra giusta, con la condanna di quella ingiusta, si radicava nell’esistenza di una comunità universale che condivideva l’identico impianto morale. Il diritto internazionale fondato sul diritto delle genti ha bisogno di una comunità morale integrata, una comunità non fatta di privati (gli Stati, come ricordava Hobbes, nel campo internazionale sono come dei privati) ma a valenza pubblica. Ma è proprio questo che è venuto a mancare dopo la fine della società cristiana e che manca anche oggi. Questo è un compito che la Chiesa cattolica deve ricollocarsi sulle spalle e perseguirlo non solo moralmente ma prima di tutto religiosamente.







Ucraina: rompere la cornice, prima che sia troppo tardi






di Giovanni Lazzaretti
Collegio degli Autori dell’Osservatorio



Il “frame”, la cornice

Quando c’è un evento di grande portata, che coinvolge grandi movimenti di potere e di denaro, che ha fonti di notizie fisicamente lontane (e quindi gestite solo da rilanci di agenzia) oppure inaccessibili per il popolo normale (e quindi gestite solo dagli “esperti”), i grandi media cartacei e televisivi (ora autodefinitisi “editori responsabili”) hanno qualche giorno di assestamento e poi confezionano il “frame”, la cornice dalla quale nessuno può sfuggire.

Tutto ciò che dicono e scrivono gli “editori responsabili” sta in queste cornici. Il dissidente in TV viene progressivamente espulso: ne conservano solo alcuni, per rappresentanza.

Il destino dei dissidenti in TV è quello di essere sovrastati (proporzione 5 a 1 in trasmissione) oppure sbeffeggiati (libertà di ironia e di insulto da parte degli altri partecipanti).

In questo modo gli “editori responsabili” cessano di essere informazione, ma sono semplicemente il filtro per espellere le idee e per confezionare una versione precotta, fatta normalmente di slogan.


La cornice ucraina

La cornice ucraina è semplicissima: «Ogni Stato può aderire all’alleanza che vuole // noi democratici siamo buoni // Putin l’autoritario è cattivo // il discorso di Putin per l’inizio della guerra è “delirante” // l’integrità territoriale è sacra».
Mattarella ha ricominciato l’uso della parola “inaccettabile”.
È iniziato il teatrino televisivo del “tutti unanimi, tranne uno al massimo per ogni trasmissione”.
È iniziata l’esposizione del “dolore ucraino occidentale”, dimenticando che da 8 anni c’è un “dolore ucraino orientale”.
Draghi era da tempo preparato alla guerra (nuovo “stato di emergenza” per 3 mesi, così ci raccordiamo direttamente col covid).


Rompere la cornice, prima che sia troppo tardi

Noi, mammolette occidentali, ci crediamo amanti della pace.
1999: la NATO bombarda Belgrado per favorire il distacco del Kosovo dalla Serbia; abbiamo creato uno stato mussulmano in Europa.
2001: USA, Gran Bretagna, Canada, Australia, invadono l’Afghanistan, col pretesto delle Torri Gemelle, dalle quali i Talebani si sono sempre chiamati fuori. 20 anni di guerra. Persa.
2003: Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e Polonia invadono l’Iraq, avendo come motivazione la bugia delle “armi di distruzione di massa” (mai trovate, essendo inesistenti). Da 733.000 a 1.446.000 morti. Finita la fase dell’invasione nel 2011, inizia la fase dell’ISIS.
2011: La NATO realizza la “no-fly-zone” a modo suo, distruggendo la Libia. Il paese più prospero dell’Africa, con un Indice di Sviluppo Umano (ISU) superiore a 10 stati europei, diventa sede di destabilizzazione e di guerra permanente fino a oggi.
2011: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna supportano i cosiddetti “ribelli moderati” in Siria. La Siria è distrutta, ma ancora il presidente Assad regge. Nel 2013 Obama era pronto a fare della Siria ciò che fecero della Libia. Fermato dalla giornata di preghiera e digiuno indetta da Papa Francesco? Chissà.

Siamo (1) i maggiori produttori di cadaveri in giro per il mondo. La cornice si può quindi rompere con questi passaggi.
«Ogni Stato può aderire all’alleanza che vuole». Vero, chi può impedirlo? Ma se l’alleanza a cui aderisci ha mostrato in passato un’indole aggressiva e violenta, l’aderirvi “contro” qualcuno è un atto di ostilità e di pre-guerra.
«Noi democratici siamo buoni // Putin l’autoritario è cattivo». A parte l’azzeramento della democrazia attuato durante il covid in Italia, noi democratici NON siamo i buoni. Per maggiori informazioni chiedere in Siria sotto embargo da 11 anni. Chiedere in Libia. Chiedere in Afghanistan. Chiedere in Iraq.
«Il discorso di Putin per l’inizio della guerra è “delirante”». Il titolo “delirante” lo trovate in 206.000 siti. Altri 183.000 hanno la variante “raggelante”. La realtà è che nessuno lo ha letto, mentre è un buon discorso di geopolitica, che descrive tra l’altro cosa l’Occidente avrebbe dovuto fare dopo la calma fine dell’URSS.
«L’integrità territoriale è sacra». Sì, come no. A Siria, Libia, Afghanistan, Iraq, aggiungere anche la Serbia per ulteriori informazioni.


Tornano le “bandiere della pace”

Tornano le “bandiere della pace” arcobaleno. Esplosero nel 2003, quando l’attaccante era Bush. Tacquero nella radiosa era Obama, Nobel per la pace, quando la Libia veniva distrutta. Tornano quando l’attaccante è Putin.
“Pace senza se e senza ma” era lo slogan 2003. Smentito lo slogan con la guerra di Libia, della cui distruzione nessuno si interessò, oggi quelle bandiere ritornano, ma sono poco più che stracci.
Si svegliano anche i sonnolenti sindacati: «Non vogliamo più bandiere neonaziste» Sono comparse due giorni fa nella manifestazione che era organizzata dai sindacati: «Ora bisogna vigilare». Non si sono ancora resi conto a Reggio Emilia che Pravyj Sektor e le sue bandiere sono parte in causa nella guerra del Donbass da 8 anni?


Spezzata la cornice, è tempo di studiare

Spezzare la cornice è la precondizione necessaria. Altrimenti saremo lì a guardare la TV credendo per l’ennesima volta che ci stia dicendo la verità. Dopo due anni di bugie sul covid, è possibile crederci ancora?
Se anche le cose che ci fanno vedere fossero vere, sono ugualmente false perché non fanno mai vedere la controparte. Se vedo il dolore di una donna ucraina occidentale sul TG1, mentre per vedere il dolore di una donna ucraina orientale devo andare su “ArezzoNotizie”, capite che la disparità di trattamento è violenta.
Cosa vuol dire studiare? All’inizio significa raccogliere la cornice vera, ossia l’insieme di nomi, luoghi, date, avvenimenti. Parametri, senza alcun giudizio. Per questa prima cernita Wikipedia è utilissima. Quindi ho scaricato:
Elezioni parlamentari ucraine dal 1994 al 2019
Elezioni presidenziali ucraine dal 1991 al 2019
Rivoluzione arancione 2004, rivoluzioni colorate varie
Euromaidan 2014, strage di Odessa
Guerra del Donbass 2014-2022
Accordi di Minsk, gruppo di contatto Trilaterale sull’Ucraina
Gasdotto Nord Stream 2, Morawiecki (il “banchiere” che guida la Polonia)
Azarov, Janukovic, Juscenko, Kucma, Ostrovsky, Turcynov, Tymoscenko, Zelenskyj
Pravyj Sektor, Brigata Azov, Stepan Bandera

Ne avrò per un po’.

Chi non vuole studiare ha sempre un’alternativa. Va su Youtube, fa partire
https://www.youtube.com/watch?v=Et8eiLURIFk
poi, al minuto 1 e 38” si alza in piedi e si mette a cantare: «e sempre in fila per tre // marciate tutti con me // e ricordatevi i libri di storia // noi siamo i buoni e perciò // abbiamo sempre ragione // andiamo dritti verso la gloria».
Così la questione è chiusa in un attimo. Poi si accende la TV. Dentro la cornice, sempre.

Giovanni Lazzaretti
giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com

NOTE
(1) Uso il plurale perché non mi chiamo fuori. Non è colpa mia ciò che FA l’occidente. E’ colpa mia ciò che NON FACCIO come cattolico: preghiera e digiuno costante per la pace.



Fonte: Osservatorio Van Thuan


sabato 26 febbraio 2022

Risultato di un sinodo: entrambe le ali strappate alla chiesa anglicana





Che potrà succedere se il cammino sinodale tedesco sarà presentato come paradigma per tutta la Chiesa Cattolica coinvolta anch’essa in un cammino sinodale? Vale la pena leggere ciò che l’ex-cappellano della regina Elisabetta, il dott. Gevin Ashenden, ha descritto su quel che accadde nel celebre sinodo generale anglicano, chiamato “della svolta”, che portò lui e altri a lasciare quella denominazione e ad entrare nella Chiesa romana. Vi proponiamo ampli brani del su articolo pubblicato dal vaticanista Robert Moyniham su Inside the Vatican.

***

Un ex cappellano anglicano della regina d'Inghilterra parla del suo ingresso nella Chiesa cattolica - e della fine dell'anglicanesimo.


Dottor Gavin Ashenden*

A volte arriva un momento in cui improvvisamente vediamo le cose in modo completamente diverso. I filosofi l’hanno spesso chiamato "il momento rivelatore". Più popolarmente si parla del momento in cui cade la monetina.

Uno di questi momenti arrivò per me quando, dopo una votazione al Sinodo Generale della Chiesa d'Inghilterra, i progressisti si rifiutarono di fare spazio a coloro che volevano praticare la fede come era stata ricevuta, e il mio Vescovo diceva disperato mentre lasciavamo l'assemblea: "Questa", disse, "è la fine dell'esperimento ecumenico durato 500 anni che era l'anglicanesimo". Pensai che forse era un po' esagerato, ma riflettendo ho cominciato a rendermi conto della forza della sua osservazione. Quello che voleva dire era che nella guerra civile tra puritani, anglo-cattolici e progressisti, i progressisti avevano appena messo a segno un colpo da kappaò che avrebbe riconfigurato la Chiesa per sempre.

La Chiesa d'Inghilterra è un'entità che confonde. Sembra una sola Chiesa, ma non lo è; è stato un compromesso concettuale fin dal suo inizio. Per dirla in modo più semplice, la Chiesa ha ereditato edifici e strutture ecclesiali cattoliche ma si vestiva e pregava come protestante. Nel corso degli anni il pendolo del potere è oscillato avanti e indietro tra puritani e sacramentalisti, ma nel XX secolo la Chiesa ha cominciato a cedere sotto l'assalto della cultura secolare, guidata prima da Darwin, Durkheim, Marx e Freud, e poi si è accasciata sotto l'assalto del revisionismo teologico tedesco del XIX secolo. Ma fu il femminismo della seconda metà del XX secolo che fece più danni.

Una Chiesa di Stato è particolarmente vulnerabile al cambiamento culturale. Se la società che serve comincia a rifiutare i valori o la cultura cristiana, si trova di fronte a un terribile dilemma. O assecondare questo rifiuto, cospargendo di benedizioni spurie la direzione non-cristiana o anti-cristiana in cui va la società; oppure prendere una posizione morale e chiamare la società a tornare ai valori cristiani; in altre parole, a pentirsi.

Ci sono stati momenti in cui si tentò la strada del pentimento. Wesley lo richiese per il peccato personale e l'incredulità collettiva nel XVIII secolo; Wilberforce e la Setta di Clapham, contro la schiavitù nel XIX secolo; il vescovo George Bell, contro i bombardamenti a tappeto delle città tedesche e il massacro dei civili nel XX secolo.

Tuttavia il femminismo della seconda metà del XX secolo non ha portato solo donne prete, ma è stato come un cavallo di Troia per una varietà di valori utopici secolari: il relativismo, l'uguaglianza totale, il trionfo del soggettivo sull'oggettivo, la campagna per ripulire l'utero dai neonati indesiderati, il ripudio del patriarcato e della "mascolinità tossica".

Anche se attraenti in termini secolari, tutti questi argomenti hanno minato aspetti dell'integrità della Rivelazione Divina.

E così che è iniziato un processo crescente di preferire sistemare le cose sulla terra piuttosto che portare le anime in cielo; la Gaia dell'apocalitticismo ecologico e la priorità dell'antirazzismo divennero tematiche superiori al pentimento personale e alla rinascita dell'anima.

Tuttavia i due movimenti collegati ma distinti che si sono proposti di cambiare il DNA apostolico della Chiesa d'Inghilterra sono state le ordinazioni delle donne al sacerdozio e all'episcopato, e poi la ratifica delle relazioni e del matrimonio omosessuale. Sia l'ordinazione delle donne che l'affermazione delle identità e delle relazioni gay erano obiettivi secolari di primo piano. Ma né il femminismo che stava dietro al primo, né il disordine della rivoluzione sessuale che stava dietro al secondo, erano coerenti con la Scrittura o la tradizione. Quindi, o questa era una nuova rivelazione che la Chiesa e il mondo stavano aspettando... o era qualcos'altro.

Il femminismo cominciò ad esprimersi in un'antipatia sempre più forte verso la mascolinità. La guerra dei sessi divenne più aggressiva. La promozione di una maggiore simpatia per l'omosessualità si trasformò in una minaccia stridente e aggressiva per mettere a tacere le voci che mettevano in dubbio la sua legittimità.

Dov'era la Chiesa d'Inghilterra in queste guerre culturali? Come molti gruppi protestanti, era pesantemente concentrata sui valori del progresso e dell'auto-miglioramento personale, sociale e politico. Riapparvero due vecchie eresie per dare una piattaforma a questo nuovo pensiero. L'arianesimo emerse quando le femministe si complimentarono con Gesù per la sua limitata ma degna accettazione delle donne, ma lo castigarono per essere un uomo del suo tempo, cieco ai miglioramenti che il XXI secolo avrebbe scoperto. Egli non era il Logos che stava sulla soglia del tempo e dello spazio come il Cristo cosmico paolino, ma una figura storica limitata dalla sua particolare cultura. E il pelagianesimo pose le basi per l'ambizione irrealizzabile di migliorare la sorte delle persone attraverso una rinnovata energia politica e sociale che rimuovesse l'ingiustizia e l'ineguaglianza. Mentre la Chiesa spostava il peso delle sue energie dall'evangelizzazione e dalla Bibbia alla giustizia sociale e all'attivismo, i fedeli più tradizionali alle due estremità dello spettro, la puritana e la cattolica, iniziarono ad andarsene.

Fu un voto al Sinodo Generale, in cui entrambe queste circoscrizioni chiesero che le loro integrazioni teologiche e spirituali fossero riconosciute e protette, che causò tanto sgomento al collega vescovo che ho menzionato prima.

Gli evangelici e gli anglo-cattolici imploravano i loro compagni anglicani di rispettare le loro credenze e di non imporre loro donne prete e vescovi. La maggioranza liberale rifiutò e lo fece con una soddisfazione giubilante.

Mentre lasciavo quel Sinodo, ebbi un'esperienza che agì come una lente interpretativa per molto di ciò che stava accadendo nella Chiesa in generale. Mi trovai ad aspettare alla fermata dell'autobus, dove accanto a me apparve una nota donna prete, attivista femminista. (Lei stessa sarebbe presto diventata vescovo, e si distingueva per due cose: l'amore e la promozione del nudismo e la sua discreta coabitante lesbica). Le dissi qualcosa a proposito dei tempi terribili e contundenti che avevamo passato al Sinodo. "Beh, naturalmente lei sa perché abbiamo fatto quello che abbiamo fatto, no?", mi sputò quasi in faccia. "No, non credo di saperlo", risposi. "Ci siamo vendicati di tutti voi. Vi abbiamo punito per ogni offesa e mancanza di rispetto che qualcuno di voi abbia mai mostrato a una donna".

Rimasi stupito sia dalla sua veemenza che da quello che aveva detto. Senza smettere di questionare la sua supposizione di misoginia diffusa, risposi: "Ma lei ha invocato uno spirito di vendetta. Questo è uno spirito che si oppone profondamente allo Spirito Santo. Ha un'idea dello scompiglio che l'invocazione di un tale spirito provocherà nella Chiesa?".

Lei mi guardò con aria assente. Parlavamo due lingue diverse e vivevamo in due mondi differenti.

Quindi sì, l'esperimento ecumenico durato 500 anni che era stata la Chiesa d'Inghilterra finiva lì. Lo scomodo e precario equilibrio tra puritani, anglo-cattolici e i devoti dello zeitgeist, era finito.

Il potere del collante era stato efficace ma la lotta intestina era finita con l'epurazione dei puritani e degli anglo-cattolici. I puritani avevano fornito alla miscela anglicana un congregazionalismo vigoroso ed evangelico; e i sacramentalisti avevano iniettato un certo grado di pietà e spiritualità cattolica, presa in prestito dalla Madre Chiesa, un'inclinazione per la santità e l'eucaristia. Erano loro che avevano portato sia la profondità della preghiera che l'ampiezza del sangue nuovo con la conversione. Strappate entrambe le ali della Chiesa, ciò che rimase fu un centro superficiale, politicizzato e de-energizzato, incapace di rinnovamento spirituale, pentimento o conversione.

I puritani fuggirono verso il più ampio mondo evangelico, e gli anglo-cattolici presero un grato rifugio nell'Ordinariato della Cattedra di San Pietro della Chiesa Cattolica, eretto per quei fedeli provenienti dall'anglicanesimo. Più del 10% del clero parrocchiale cattolico romano ora è ex-anglicano.

Nel frattempo, la vittoria dei progressisti sembra sempre più una vittoria di Pirro. I dati demografici sono negativi. Solo l'1,9% frequenta le chiese. Tra il 2009 e il 2019, i battesimi, i matrimoni e i funerali sono diminuiti del 30-40%. E il 33% dei fedeli anglicani ha più di 70 anni.

Mentre gli anglicani conservatori si mobilitano in tutto il mondo, la mancanza di qualcosa di equivalente al Magistero Cattolico li lascia preda di scismi e conflitti settari. Quelli numerosi fra di noi che si sono rivolti alla Chiesa Cattolica l’hanno fatto perché le turbolenze dei nostri giorni ci hanno fatto ripensare alle rivendicazioni della Riforma - e le hanno trovate carenti. In questo riesame, molti di noi hanno riletto i Padri dei primi cinque secoli e non vi hanno trovato elementi di Lutero, Calvino, Zwingli o erasmiani, bensì la Chiesa Cattolica e il Magistero. La promessa di Gesù a Pietro in Matteo 16:18, "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa", rintocca con una nuova e urgente risonanza.



*Gavin Ashenden è un ex arcivescovo anglicano e cappellano onorario della regina Elisabetta d'Inghilterra, ora convertito e laico cattolico. Dopo un'illustre carriera accademica e clericale, è stato nominato Cappellano della Regina nel 2008; si è dimesso nel 2017. Nel dicembre 2019, il dottor Ashenden è stato ricevuto nella Chiesa cattolica dal vescovo di Shrewsbury, in Inghilterra.



Fonte: Inside the Vatican, 1 Gennaio 2022. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia









venerdì 25 febbraio 2022

Cristianesimo senza miracoli e senza inferno






25 Febbraio 2022 Gianfranco Amato Blog


Per comprendere lo stato di crisi della Chiesa e della fede cristiana, è sufficiente leggere le dichiarazioni di alcune teologi á la page, e biblisti particolarmente popolari e apprezzati.

Tra questi spicca certamente Padre Alberto Maggi, religioso dell’Ordine dei servi di Maria, che vanta persino studi all’École biblique di Gerusalemme, l’istituto più prestigioso del mondo per chi intenda approcciarsi alle Scritture con rigore scientifico, e che da trent’anni resta saldo al timone dell’altrettanto prestigioso Centro Studi Biblici di Montefano. È pure un volto conosciuto ed apprezzato dal pubblico, grazie ai suoi commenti al Vangelo trasmessi da TV2000, l’emittente televisiva della Conferenza Episcopale Italiana.

Le ultime dichiarazioni pubbliche rese da Padre Alberto Maggi appaiono assai eloquenti sul citato stato della Chiesa e della fede cristiana.

Il noto teologo, infatti, ha iniziato col definire «pericoloso» lo stesso Libro sacro per i cristiani, ovvero la Bibbia, in quanto «capace di far perdere la fede, più che suscitarla». Per Padre Maggi, infatti, il contenuto di quel testo sacro in realtà narra «una storia poco avvincente di cui conosciamo già il finale e su cui pesano condizionamenti esterni che finiscono per farci pensare all’assurdità del suo racconto».

Una di queste assurdità, per Padre Maggi, è proprio il concetto di «inferno come luogo di dannazione eterna». Il teologo, infatti, sostiene che «nella Bibbia questa parola non compare, al suo posto c’è la dizione d’inferi quale regno dei morti», e precisa che «da pochi anni anche l’ultima edizione delle Scritture curata dalla Cei è stata corretta, ma, visto che prevale la logica del “si è pensato e fatto sempre così”, poco ci si adopera e cambiare la mentalità comune».

Per Padre Maggi, quindi, nessun è dannato per l’eternità al termine dei suoi giorni, fra pianti e stridor di denti. Sul punto, infatti, il teologo è tranchant: «Nessuno. Nei Vangeli semmai si parla di una vita biologica, che si chiude con la morte a cui segue o un’esistenza senza fine nello spirito per chi, credente o meno, abbia amato, oppure una morte seconda, definitiva». Insomma, l’inferno come lo intende il Magistero della Chiesa sarebbe in realtà vuoto. Questa è un’idea molto più di diffusa di quanto si possa immaginare soprattutto nei seminari e nelle scuole teologiche. Oltre che tra alcuni autorevoli esponenti delle gerarchie ecclesiastiche. E ciò nonostante le chiare e inequivocabili parole dello stesso Gesù Cristo, citate nel Vangelo di Matteo: «E questi se ne andranno al castigo eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25,46). Ma si sa, come ha spiegato il Generale dei gesuiti Padre Arturo Sosa Abscal ai tempi di Gesù «nessuno aveva un registratore per inciderne le parole», e dunque, in mancanza di certezze, occorre contestualizzare, relativizzare e procedere secondo il metodo del discernimento.

Il nostro Padre Alberto Maggi ne ha pure per i miracoli evangelici: «Anche questa parola è estranea ai Vangeli. Gesù ha compiuto dei segni per favorire la fede, non ha stravolto le leggi della fisica». E per spiegarlo cita l’episodio della resurrezione di Lazzaro, chiarendo bene che esso ha un suo «significato teologico, non storico­». E a chi gli obietta che togliendo inferno e miracoli si rischia di annacquare il messaggio cristiano, il nostro teologo risponde così: «Tutt’altro, lo si purifica da un’esegesi letteralista incapace di cogliere il reale messaggio liberante di Dio».

Per avere un quadro completo della situazione, è utile ricordare anche il fatto che lo stesso Padre Maggi sia stato uno dei primi accaniti sostenitori della chiusura delle chiese difronte all’emergenza Covid-19. Una circostanza non casuale. Ricordiamo bene quando disse, per esempio, che «la libertà di culto tanto sbandierata è essere responsabili della salute delle persone, non di infettare la gente». E ricordiamo altrettanto bene un’altra sua celebre affermazione: «La salute delle persone è molto più importante di una celebrazione». Nessun anticlericale mangiapreti è arrivato a tanto. Evidentemente ci voleva un teologo e biblista del calibro di Maggi, il quale ha voluto comunque precisare il senso della sua frase in questi termini: «La verità è che senza lavoro non si campa, senza culto si campa benissimo; questa è una cosa importante, anche se mi sembra ovvia: senza lavoro non si può andare avanti, senza la celebrazione della Messa si campa ugualmente bene, c’è tanta gente che non partecipa mai all’eucaristica e vive lo stesso». Forse bisognerebbe ricordare l’ammonimento evangelico che «non di solo pane vive l’uomo», ma qui torneremmo al problema del registratore sollevato dal Generale dei gesuiti.










Una significativa immagine per capire l’attuale stato d’impazzimento





25 FEBBRAIO 2022


Con l’amniocentesi si può sapere se il nascituro a problemi di Trisomia 21 e così decidere di abortire. In Danimarca ormai si sta completando quella che viene chiamata la “down syndrome free”. E nessuno si scandalizza. Vi offriamo questa immagine che dice tutto.



Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri











UNPLANNED – La vera storia di Abby Johnson





SABATO 26 Febbraio

in esclusiva nazionale

UNPLANNED – LA STORIA VERA DI ABBY JOHNSON


Il link per la visione in streaming è acquistabile da ora fino al giorno prima della proiezione (Venerdi 25 Febbraio) sullo store Dominus:

https://dominusproductionstore.com/home/789-unplanned-guarda-il-film-su-vimeo.html

oppure

chiamando lo 0550468068 (Lun.-Ven. 9-18)

Una volta acquistato, riceverete il link entro 12ore all’indirizzo email indicato in fase di acquisto. Insieme al link del film UNPLANNED, riceverete anche il link del film UNA CANZONE PER MIO PADRE (attivo da subito per 24 ore successive all’attivazione) che – oltre ad essere un film meraviglioso suggerito soprattutto ai giovanissimi – consentirà di fare la prova di proiezione sul vostro dispositivo.

Maggiori info sul film:

www.unplanned.it






Chi erano quei 21 martiri decapitati dall’ISIS? Un’inchiesta



di Sandro Magister
24 feb 22

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Erano ventuno i cristiani decapitati in quanto “popolo della croce” dai musulmani dello Stato Islamico giusto sette anni fa, a metà febbraio del 2015, sulla spiaggia libica di Wilayat Tarabulus, poco a ovest di Sirte. Erano venti copti d’Egitto, più un loro compagno del Ghana.

Poche settimane dopo l’eccidio, il “papa” dei copti Tawadros II li canonizzò come martiri. Ma poco o nulla si sapeva di questi ventuno prima che uno scrittore tedesco di fama, Martin Mosebach, si avventurasse nei loro villaggi a ricostruirne la storia e a consegnarla in un libro, avvincente come un romanzo, che in questi giorni vede la luce nella sua traduzione italiana, edita da Cantagalli, intitolata appunto: “I 21. Viaggio nella terra dei martiri copti”.

Il martirio dei ventuno fu immortalato in un video prodotto e diffuso dei loro stessi uccisori, in dichiarata sfida a Roma come simbolo dell’occidente cristiano. Ma per le famiglie e il popolo degli uccisi quel video si è capovolto in fonte di gioia e di fede. Prima d’essere decapitati, sulle bocche dei ventuno è stato tutto un mormorio di “Jarap Jesoa!”, di invocazioni al Signore Gesù, come negli atti dei martiri dei primi secoli, in una Chiesa d’Egitto che ha sempre contato i suoi anni a partire dalle persecuzioni di Diocleziano e continua tuttora a chiamarsi “la Chiesa dei martiri”, quasi ininterrottamente oppressa da bizantini, persiani, arabi, fatimidi, mamelucchi, ottomani, fino agli odierni regimi militari, ai Fratelli Musulmani e ai loro fanatici imitatori.

I ventuno sono quasi tutti dell’Alto Egitto, dei villaggi agricoli attorno alla città di Samalut e sotto la rocca di Gebel El-Teir, sulla sponda orientale del Nilo, con l’antico santuario che ricorda una tappa della fuga in Egitto di Gesù, Maria e Giuseppe. A El-Or il presidente egiziano Al-Sisi ha finanziato la costruzione di una grande chiesa in onore dei martiri, con le loro reliquie. Ma la vita dei copti, in Egitto, nonostante siano molto più numerosi di quanto dicano le statistiche ufficiali, continua ad essere sotto severa minaccia. Martin Mosebach, nel corso della sua inchiesta, è rimasto stupito dalle fortificazioni erette a difesa delle sedi vescovili con le loro cattedrali, le scuole, gli uffici.

Ma nonostante tutte le ostilità, Mosebach ha anche registrato una stupefacente ripresa di vitalità della Chiesa copta, con i suoi monasteri nel deserto, ciascuno con centinaia di monaci, molti dei quali di giovane età.

La santità “normale” dei ventuno martiri – come descritta nelle pagine del libro riprodotte qui sotto – è un’attestazione di questa fede viva e diffusa.

Con la loro fede indomita, nei quarantuno giorni di prigionia prima dell’esecuzione, i ventuno non solo non hanno abbracciato l’islam ma hanno convertito alla fede cristiana uno dei loro carcerieri, poi messosi in salvo con la fuga, non prima di aver confidato per telefono la sua conversione ai familiari di un prigioniero.

Al termine della sua inchiesta, Mosebach si chiede se i cristiani copti, forti di ininterrotti secoli di martirio, non accendano una speranza anche per le sfibrate Chiese d’Occidente, arrivate oggi, dopo i passati splendori, “proprio laddove la Chiesa copta ha perseverato con pazienza”, fino a rifiorire in mezzo a tante avversità.

*

UNA SANTITÀ “ASSOLUTAMENTE NORMALE”




(Dal capitolo: “Presso le famiglie dei martiri”)

Sedici dei ventuno martiri avevano abitato a El-Or in un vicolo, gli uni accanto agli altri. Nelle case era appesa un’immagine del figlio ucciso, con una corona e in bianca veste diaconale. Nessuna casa era avvolta dalla tristezza, condoglianze e commiserazioni erano fuori posto. […]

Il martirologio ufficiale dell’archidiocesi, in ragione dello scarso materiale biografico, era assai stringato nel descrivere le personalità dei singoli martiri. […] Ma dopo la mia visita a El-Or e ai villaggi vicini, ho capito che il cronista vescovile aveva semplicemente messo per iscritto ciò che gli era stato riferito. Anch’io non ho udito nient’altro che quanto udito da lui.

La vedova di Tawadros, che con i suoi 46 anni era il più anziano dei martiri, una donna che da sola doveva ora allevare i loro tre figli, mi diceva di suo marito: “Era onesto e semplice”. La vergine Maria avrebbe detto qualcosa di diverso di san Giuseppe? Il parroco che era con me aggiunse: “Questi erano giovani normali, assolutamente normali. Mai avrei pensato che un giorno potessero diventare santi!”. Ma se questi fossero stati giovani normali, si sarebbe trattato in ogni caso di una normalità assai elevata. La vedova di Tawadros aveva saputo che in Libia gli era stato raccomandato di cambiare il suo nome cristiano, perché questo gli poteva attirare rabbia. La sua risposta era stata: “Chi incomincia a cambiare il proprio nome, alla fine cambia anche la propria fede”.

La vedova di Magued, che con i suoi 41 anni era il secondo più anziano dei ventuno, un contadino robusto con fronte bassa e capelli folti, mi disse al momento del congedo e con imbarazzo, come se questa confessione le costasse: “Voleva che noi tutti fossimo angeli”.

La giovane vedova di Samuel, di 28 anni, il maggiore dei due fratelli, mi mostrò in primo luogo una foto di famiglia in posa, in cui stava con il marito e i tre figli sullo sfondo di un futuristico orizzonte. Poi aggiunse che, dalla Libia, suo marito si preoccupava che la famiglia pregasse; ad ogni chiamata questa era la sua ultima domanda.

Il ventiseienne Milad non rinunciava ai suoi digiuni pur con il suo pesante lavoro agricolo e contro il consiglio del parroco, al quale rispondeva: “L’uomo non vive di solo pane”. Così mi raccontava la sua vedova, quasi ancora una fanciulla, vestita a lutto. Dalla Libia le è stata riconsegnata la Bibbia che lui portava sempre con sé nella borsa. Lei non è capace di leggerla, e custodisce questo tesoro per i figli.

Il ventitreenne Girgis, il maggiore dei due fratelli, fidanzato da poco con sua cugina, rimaneva spesso a pregare, per due ore, nella sua camera, e suo padre mi indicava la porta chiusa, sulla quale erano erano attaccate immagini sante colorate, come se dentro vi fosse ancora suo figlio.

La giovane vedova del ventottenne Luka – che non ha mai potuto vedere sua figlia – si ricordava che sapeva leggere nei pensieri, anche nei suoi: “Mi aveva sempre inviato denaro, prima ancora che potessi dire che mi serviva qualcosa”. Dopo la visita presso di loro, venni a sapere che le giovani vedove che conobbi mai si sarebbero risposate, sarebbero rimaste da sole perché sposate con un martire.

La madre di Bishoy e di suo fratello più giovane Samuel, una piccola donna indebolita, teneva in mano un’immagine di quest’ultimo in cui appariva con grandi occhi da icona e il volto sereno. Egli aveva sempre detto: “Io sono il figlio del Re”. A dodici anni una pietra, dal terzo piano, lo aveva colpito in testa. “Mentre si trovava in terapia intensiva gli apparve la Santa Vergine che gli disse: ‘Non temere’, e subito si ritrovò guarito”.

Nella casa del ventitreenne Mina è conservato un oggetto da lui costruito: il modellino di una chiesa copta, grande quanto una gabbia per uccelli, con piccole torri a cupola e finestre ad arco, illuminata all’interno da lampadine dai colori luccicanti. Mentre la stava costruendo, mi disse la madre, Mina era stato preservato da una grave lesione: “La sega circolare scivolò ed era già sulla sua mano quando, improvvisamente, s’inceppò il movimento”. […]

Solamente la madre di Kiryollos, che aveva avuto altri cinque figli, non seppe riferirmi nulla sul figlio. Un’atmosfera serena dominava nella sua casa, un giovane zio, che era prete, disse: “Egli semplicemente ha vissuto giorno per giorno”. Era questo ciò che sulla faccia del martire io stesso credevo di aver colto nel video dell’esecuzione, lo sguardo perduto, la leggera assenza, un sognare ad occhi aperti? Anche dopo la decapitazione il suo volto conservò questa espressione. Mi venne in mente quel passo dell’Apocalisse: “Poi vidi le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni” (20, 4-6). […]

Il padre di Malak, un contadino grosso, allegro, nella notte dopo l’uccisione riferì di aver assistito a questo fenomeno: nel cielo scuro era apparsa una intensa luce bianca, “come da un cannone laser”. Lui e i vicini l’avevano vista ancor prima che giungesse la notizia della morte dei loro figli. “Noi non sapevamo come stessero, ma quando vedemmo la luce, allora fu chiaro: o erano stati liberati o erano morti”.

E dopo il massacro, i miracoli non cessarono. […] Trovò così conferma tra le famiglie, ma anche tra i vicini e un vasto numero di persone in tutto il paese, il fatto che i martiri fossero realmente giunti a Cristo. Durante i quarantuno giorni della loro prigionia, ci si era tormentati senza notizie e rassegnati al peggio. Tuttavia, quando videro il video diffuso dagli uccisori e ne ebbero certezza, allora ritornò la fiducia: “Noi oggi abbiamo un santo martire in Cielo: dobbiamo rallegrarci e nulla può più colpirci”.

Fu questa la ragione per cui il video venne accolto con assoluta naturalezza. In ogni famiglia vi era un iPad sul quale si poteva vederlo in tutta la sua lunghezza, senza adattamenti pietosi e senza tagli; circondati da bambini col naso che colava, in ambienti che erano abbelliti da fotografie degli incoronati, con una capra sulla porta e il vitello nella stanza accanto.

In tanti colloqui non ho mai sentito una sola volta la richiesta di ritorsione o di vendetta o, almeno, di punizione degli assassini. Era come se non ci si volesse occupare degli assassini, poiché lo splendore dei martiri li oscurava. Quel che contava per i loro figli era questo: avevano “combattuto la buona battaglia, finita la corsa, conservata la fede” (2Tm 4,7), come scrive l’apostolo Paolo.

————

L’inchiesta di Martin Mosebach sui ventuno martiri della Chiesa copta ha la prefazione del cardinale Robert Sarah, sull’autentico significato del martirio cristiano, tutto diverso da quello in uso nel mondo musulmano.

Il libro fa parte di una collana delle Edizioni Cantagalli dedicata all’insigne filosofo tedesco Robert Spaemann (1927-2018) e diretta da Leonardo Allodi, professore di sociologia dei processi culturali all’Università di Bologna. Del comitato scientifico della collana fanno parte, tra gli altri, il cardinale Camillo Ruini, Rémi Brague, Sergio Belardinelli, Carlo Galli, Vittorio Possenti, Gabriella Cotta e lo stesso Mosebach.









mercoledì 23 febbraio 2022

Ucraina: radici e conseguenze della crisi


 



di Roberto de Mattei, 16 Febbraio 2022


Lo “show” mediatico tra Biden e Putin sfocerà in una guerra reale tra Russia e Ucraina, destinata a coinvolgere anche l’Europa? Tutto è possibile, nell’era dell’imprevedibile. In questo caso non si tratterebbe di una guerra civile interna all’Ucraina, ma di un conflitto internazionale che vedrebbe di fronte la Russia e l’Occidente. Però i due contendenti non hanno nessun interesse a uno scontro militare di questo tipo, a meno che nel clima di esasperazione di toni artificialmente creato, un evento inatteso non modifichi le strategie in campo.

Il nome Ucraina (Ukraïna) è etimologicamente legato al termine slavo «kraj» (limite, bordo), che indica una «terra di confine». L’Ucraina è infatti, una vasta pianura dagli incerti confini, densamente popolata, ricca di risorse agricole e minerarie. Le origini storiche di questa terra sono antiche: fu chiamata Scizia dai greci e Sarmatia dai romani. Dal medioevo fino alla caduta dell’Impero austro-ungarico fu conosciuta in Occidente come Rutenia, mentre in Russia, era chiamata “Piccola Russia”, per affermare la sua appartenenza all’Impero degli Zar.

L’Ucraina è infatti la culla della Russia, la cui nascita risale alla conversione al Cristianesimo del principe Vladimir I (980-105), detto il Santo. Il Regno di Kiev da lui fondato fu il più antico Stato slavo cristiano, che si estese dal Baltico al Mar Nero, fino ai Carpazi, costituendo una delle Confederazioni più importanti dell’Europa medioevale. Però nel 1240 questo vasto regno fu quasi completamente distrutto dai mongoli, la cui dominazione si protrasse per oltre 250 anni.

Il regno di Kiev, pur aderendo allo scisma di Oriente (1054), aveva fatto parte della Cristianità occidentale. Lo Stato moscovita che si affermò nel XVI secolo, dopo la liberazione dai mongoli, sviluppò l’eredità di Bisanzio in senso antieuropeo. Sebbene con Pietro il Grande la Russia fosse entrata a far parte del sistema degli Stati europei, l’impero zarista fu sempre percepito come una minaccia dagli altri Stati del vecchio continente per la sua connotazione asiatica e il suo carattere autocratico.

Nel corso dei secoli l’Ucraina fu più volte smembrata e sottoposta, di volta in volta, ai Granduchi lituani e ai re di Polonia, all’Impero russo e a quello austriaco, ma rimase culturalmente legata all’Occidente e i suoi abitanti rifiutarono sempre i termini di ‘piccola Russia’ o ‘nuova Russia’ (‘Novorossija’), usati dagli Zar e oggi riproposti da Putin.

Dopo il crollo dell’Impero zarista durante la Prima guerra mondiale, gli Imperi centrali, con il Trattato di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918, imposero ai bolscevichi il riconoscimento dell’Ucraina indipendente. L’Armata rossa, nel suo intento di esportare la Rivoluzione in Occidente, attaccò la Polonia, ma nell’agosto del 1920 fu sconfitta sulla Vistola dal generale Józef Piłsudski (1867-1935), che passò al contrattacco, tentando di riconquistare i territori dell’antica Confederazione polacco-lituana. Il Trattato di Riga, firmato il 18 marzo 1921 dalla Polonia da un lato e dalla Russia e dall’Ucraina dall’altro, segnò il fallimento del progetto di Piłsudski e, come scrive il conte Emmanuel Malinsky (1875-1938), può essere considerato il vero giorno di nascita dello Stato bolscevico (Les Problèmes de l’Est et la Petite-Entente, Librairie Cervantes, Paris 1931, p. 300). Nel 1922 l’Ucraina entrò ufficialmente a far parte dell’URSS, con l’eccezione della Galizia e della Volinia, assegnate alla Polonia. Da allora, se si eccettua l’occupazione nazionalsocialista del 1941-1943, restò sovietica fino alla proclamazione della sua indipendenza, l’8 dicembre 1991.

L’Ucraina post-sovietica sta cercando di entrare nella Nato e nell’Unione Europea, per difendersi dall’egemonia Russa, mentre Mosca vuole preservare la propria influenza su una nazione con cui condivide oltre 1500 chilometri di confine. Il conflitto in corso è anche una “guerra del gas” in cui è in gioco il futuro energetico dell’Europa. Da una parte c’è la Russia, che è il principale fornitore del nostro continente; dall’altra gli Stati Uniti, che vogliono entrare nel mercato europeo con il loro Gnl (Gas naturale liquido) che viene trasportato sulle navi e costa più di quello della Russia che arriva con le pipeline.

Il problema però non è solo economico. Putin, si propone di restituire alla Russia una nuova coscienza imperiale ed è deciso a non tollerare ulteriori espansioni a Est della Nato dopo l’adesione delle Repubbliche baltiche e dei Paesi dell’ex-Patto di Varsavia. Come osserva il politologo Alexandre Del Valle, «tutta la politica estera di Vladimir Putin si inserisce in questa forte tendenza della geopolitica russa tradizionalmente orientata alla conquista territoriale delle aree che circondano il suo nucleo storico centroeuropeo. In questo sistema, l’Ucraina rappresenta ovviamente il fulcro che permette alla Russia di tornare ad essere una potenza eurasiatica perché, da questo Paese, la Russia può proiettarsi sia sul Mar Nero e sul Mediterraneo orientale che sull’Europa centrale e balcanica. Da qui la strategia americana volta a sostenere in Ucraina, come in Georgia e altrove, le forze politiche ostili a Mosca» (La mondialisation dangereuse, L’Artilleur, Paris 2021, p. 99).

Il prof. Massimo de Leonardis ricorda le parole di Zbigniew Brzesinski (1928-2017) che riassumono la sostanza del problema. «Senza l’Ucraina la Russia cessa di essere un Impero, ma se sottomette l’Ucraina diventa automaticamente un Impero» (Prefazione a Giorgio Cella, Storia e geopolitica della crisi ucraina, Carocci, Roma 2021, p. 12). In questa prospettiva, la Russia, sposta le sue truppe ai confini con l’Ucraina, per non essere accerchiata dalla Nato, ma la Nato mette in allerta i suoi soldati per difendere l’Ucraina dall’accerchiamento della Russia.

Per chi vede le cose con gli occhi della fede, al di là degli interessi geopolitici contrapposti, di Biden e di Putin, la prima domanda da porsi riguarda il bene delle anime. Sotto quest’aspetto, che per noi è il più importante, non possiamo dimenticare che l’Ucraina è il centro della Chiesa greco-cattolica ucraina, di rito bizantino, con sede in Kiev, dove l’arcivescovo Svjatoslav Ševčuk, occupa oggi la cattedra arcivescovile che fu dell’intrepido cardinale Josyp Slipyj (1892-1984), deportato per 18 anni nei lager comunisti. Inoltre nella regione ucraina della Transcarpazia esiste anche la Chiesa greco cattolica rutena di rito bizantino, che conta tra i suoi martiri l’eparca Teodoro Romža, assassinato su ordine di Nikita Chruščëv, il 1º novembre 1947 e beatificato da papa Giovanni Paolo II, il 27 giugno 2001. Oggi costituisce l’eparchia di Mukačevo, immediatamente dipendente dalla Santa Sede.

L’espansionismo della Russia non corrisponde solo alle ambizioni geopolitiche di Putin, ma anche alla richiesta del Patriarcato di Mosca di esercitare la propria autorità religiosa in tutto lo spazio ex-sovietico, contro quelle che esso definisce le indebite ingerenze del Patriarcato di Costantinopoli e soprattutto del Vaticano. Putin, da parte sua, è consapevole del fatto che la Russia non può fare a meno dei suoi legami con la chiesa ortodossa, che conferisce al regime legittimità morale e supporto in termini di consenso. L’annessione da parte di Putin dell’Ucraina, o di una parte di essa, rappresenterebbe una russificazione del paese che rafforzerebbe il ruolo della chiesa ortodossa russa a scapito di quella cattolica di rito bizantino. Gli interessi politici dei cattolici non coincidono né con quelli di Putin né con quelli di Biden, ma sul piano religioso, che è il più elevato, bisogna respingere ogni forma di espansione del Patriarcato di Mosca nelle terre slave e forse domani in Occidente. La Chiesa cattolica attraversa oggi una grave crisi interna, ma la soluzione a questa crisi può venire solo dalla parola di Verità della Chiesa di Roma, non certo dal «Drang nach Westen», la spinta verso Occidente dall’autocefalia ortodossa.








martedì 22 febbraio 2022

Bianchi e l’identità perduta della comunità di Bose


Papa Francesco e Enzo Bianchi


Costruita sull’ermeneutica della discontinuità e della rottura, la comunità ecumenica in Italia non è un’autentica comunità monastica.

L’articolo della prof.ssa Murzaku è stato originariamente pubblicato su The Catholic World Report. La traduzione è a cura di Sabino Paciolla.




di Ines Murzaku*, 22 Febbraio 2022


Cosa è successo alla comunità di Bose dall’aprile dell’anno scorso?


Dal 30 gennaio 2022, dopo il consiglio generale, la comunità monastica di Bose ha eletto un nuovo priore, Sabino Chialà, che fa parte della comunità dal 1989. Fr. Chialà è uno studioso di ebraico e siriaco e uno specialista dell’orientamento cristiano dei primi secoli e dei Padri del deserto, ed è autore di numerosi articoli e relazioni di conferenze. In una recente intervista, il nuovo priore – solo il secondo dopo il fondatore, fr. Enzo Bianchi – quando gli è stato chiesto cosa pensa del monachesimo contemporaneo, della vita religiosa in generale e della rapida diminuzione del numero dei religiosi, ha risposto:


Spesso si parla di “crisi” del monachesimo o della vita religiosa, e si pensa alla diminuzione dei numeri. Credo invece che la vera crisi sia quella dell’identità.
Questo invita alla domanda: Il nuovo priore porterà una nuova identità a Bose e sarà in linea con la millenaria tradizione monastica cattolica? La crisi di Bose è infatti una crisi di identità. Il nuovo priore porterà pace e unità in questa comunità monastica mista sperimentale? L’elezione del nuovo priore porrà fine all’agitazione di due anni che ha messo in crisi la comunità e il suo fondatore Bianchi?

Il fondatore di Bose, Bianchi, al quale è stato ordinato con Decreto Pontificio (13 maggio 2020) di lasciare definitivamente la comunità di Bose, ha acquistato e sta ristrutturando una cascina e un grande terreno ad Albiano di Ivrea, in provincia di Torino, a circa otto miglia da Bose. La casa è di notevoli dimensioni e valore monetario; ha diciotto stanze, un cortile, e sette ettari di terreno, ed è facilmente raggiungibile dall’autostrada in modo che il fondatore di Bose possa continuare a servire tutti coloro che hanno bisogno di ospitalità, come scrive Bianchi in un recente tweet mentre mostra i suoi peperoni ripieni appena sfornati: “Venite a pranzare, troverete piatti gustosi e converseremo in pace”.

Non ci sono informazioni su chi vivrà con Bianchi nella cascina ristrutturata. Sarà una nuova Bose, una nuova comunità? Albiano sarà un rifugio per tutti quei fratelli e sorelle che potrebbero lasciare Bose? E da dove vengono i soldi per un tale investimento? La Regola di Bose (22) sulla povertà prescrive:

Voi [fratelli e sorelle] conoscerete la povertà, [in primo luogo], mettendo i vostri beni e le remunerazioni del vostro lavoro in totale comunione con gli altri. Consegnerete il vostro salario/ guadagno al fratello nominato dal consiglio, e così il guadagno non sarà più vostro, ma della comunità. Il Vangelo è duro ed esigente su questo punto: la condivisione dei beni, compreso il mantello è un requisito primario e rudimentale per seguire Gesù.

Bianchi non ha spiegato le fonti finanziarie di questo nuovo e consistente investimento. Uno dei sostenitori di Bianchi e un ex membro di Bose spiega che il denaro è stato fornito:
È stato fatto [acquistato] grazie all’aiuto di molti amici, seminando il bene e aiutando a sua volta migliaia di persone per oltre cinquant’anni.

Questo nuovo investimento potrebbe causare un nuovo scandalo per Bianchi e Bose? Potenzialmente.

Sabino Chialà è il nuovo priore – non abate – di Bose. San Benedetto nella sua regola usa più volte il termine priore. Il priore è decisamente una posizione controversa per San Benedetto, specialmente in relazione a quei priori che pensano di essere secondi abati ed esenti dall’autorità dell’abate, causando così conflitti nella comunità. San Benedetto usa un linguaggio forte contro i priori; per San Benedetto, avere un priore non è una buona idea poiché tutti i membri della comunità dovrebbero obbedire all’abba-padre/abate come figli adottivi.

Tuttavia, Bose non ha un abate perché non è un’autentica comunità monastica. Ha invece un priore, che è:
…non più grande degli altri, né un capo né un padre, né un maestro né un direttore perché tutti questi titoli e funzioni appartengono solo a Cristo (regola 29)

L’abate di Benedetto è un padre, che in ebraico significa generatore, e un maestro di retta dottrina; il suo insegnamento non si discosta mai dalle istruzioni del Signore. Tutto ciò che insegna è come il lievito della giustizia divina, e come un padre porta la colpa dei suoi figli. Il ruolo del priore è sotto quello dell’abate; il priore è eletto dalla comunità ma ha compiti più pratici e quotidiani, compresa la gestione economica e organizzativa di un monastero. Diverse grandi abbazie hanno ancora sia un abate che un priore, con l’abate che ha la priorità.

“Monastero” Bose è una nuova interpretazione del monachesimo, post-Vaticano II, molto lontana dagli ideali monastici del monachesimo classico. Nel corso di cinquant’anni, quella di Bose si è trasformata in una forma confusa di monachesimo senza una vera identità monastica, e tanto meno cattolica. Bose ha contribuito alla confusione post-Vaticano II e alle nuove interpretazioni dei documenti del concilio. Nel corso degli anni, è diventato un sostenitore della “discontinuità” e della rottura con la tradizione; per Bose, la tradizione della Chiesa è iniziata con il Vaticano II, che ha dato impulso a una nuova Chiesa. Bianchi, anche dopo le turbolenze del biennio, è ancora membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Giovanni XXIII per le scienze religiose (Scuola di Bologna) fondata da Giuseppe Alberigo, indicato come:
professore emerito dell’Università San Raffaele di Milano, fondatore ed ex priore del monastero di Bose e membro a vita del Consiglio di amministrazione.

Bianchi e Bose continuarono a distinguere tra i concili ecumenici e i concili generali, indicando che il Vaticano II era l’inizio della nuova Chiesa. Bose e Bianchi divennero forti e popolari seguaci della Scuola di Bologna e dell’ermeneutica della discontinuità e della rottura.

La confusione e il pericolo sono gravi. Secondo il discorso di Papa Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana:
[L’ermeneutica della discontinuità] rischia di finire in una scissione tra la Chiesa preconciliare e la Chiesa postconciliare. Essa afferma che i testi del Concilio in quanto tali non esprimono ancora il vero spirito del Concilio.

A Bose l’Eucaristia non viene celebrata quotidianamente; le specie eucaristiche non sono nel tabernacolo – per paura di offendere i membri non cattolici della comunità. Lo stesso vale per l’adorazione eucaristica, che è assente a Bose. Lo stesso vale per l’insegnamento della Chiesa sul peccato originale, che è assente nel pensiero di Bianchi. La dottrina cattolica, secondo Bianchi, non insegna né menziona il peccato originale. Al contrario, le affermazioni del Catechismo della Chiesa Cattolica (390) sul peccato originale sono chiare e precise. Esso dice che sebbene la caduta in Genesi 3 usi un linguaggio figurativo, la Genesi afferma:
un evento primordiale, un fatto avvenuto all’inizio della storia dell’uomo. La Rivelazione ci dà la certezza della fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale commessa liberamente dal nostro primo genitore.

A causa di questi e altri problemi, ci si chiede come mai Bianchi e Bose continuino a diffondere la non verità, pontificando con il pieno sostegno della macchina mediatica e dei pontefici romani, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI a Papa Francesco? La maestria di Bianchi nell’usare gli slogan del giorno, insieme al suo carisma, ha camuffato la sua teologia secolare, rendendolo quasi intoccabile per cinquant’anni.

Ma c’è qualche speranza per Bose? Come ha detto il neoeletto priore, dobbiamo guardare al concetto di identità, tornando alle radici del monachesimo autentico. I monaci devono cominciare ad essere monaci, sotto le strutture della Chiesa. Il monachesimo autentico, come ha fatto in passato, ha il potenziale per aiutare la Chiesa ad uscire da una crisi profonda. Se i monaci torneranno ad essere monaci, illumineranno la Chiesa attuale con la vitalità della Chiesa del primo millennio dove la Chiesa era forte.

Nel frattempo, più di venti fratelli e sorelle hanno lasciato Bose dopo lo scandalo del fondatore. Ma i numeri sono secondari. Sono l’autenticità e la cattolicità che contano, come profetizzò padre Joseph Ratzinger nel 1968: “Dalla crisi di oggi emergerà la Chiesa di domani – una Chiesa che ha perso molto. Diventerà piccola e dovrà ricominciare più o meno dall’inizio”.

L’autenticità, la credibilità e la fede sono molto significative per costruire e fortificare la Chiesa di domani. Per ora, Bose è carente in tutti gli aspetti.








* Ines Angeli Murzaku è professore ordinario di storia ecclesiastica e presidente fondatore del dipartimento di studi cattolici della Seton Hall University, South Orange, New Jersey, USA. Specialista in Storia della Chiesa Bizantina e Cattolica, la prof.ssa Murzaku insegna nei corsi di laurea, ordinaria e magistrale, in Storia e Teologia della Chiesa, con particolare attenzione al cristianesimo mediterraneo, al monachesimo, al cristianesimo orientale e all'ecumenismo. Fa anche parte dei comitati consultivi editoriali del Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata e nelle riviste della Religione dell'Europa Orientale. E’ molto coinvolta nel dialogo interreligioso ed ecumenico con varie organizzazioni internazionali governative e non governative. Murzaku è stata in precedenza vicepresidente dell'Associazione per lo studio delle nazionalità (ASN) e membro del consiglio direttivo dell'Associazione dei cristiani associati per le relazioni con l'Europa Orientale (CAREE). Murzaku ha vinto diverse prestigiose borse di studio, tra cui una borsa di ricerca Alexander von Humboldt per ricercatori esperti e un Social Sciences and Humanities Research Council of Canada Grant (SSHRC), e ha vinto tre Fulbright Senior Research Scholar Awards per la ricerca in Italia e Slovenia. Attualmente, la prof.ssa Murzaku è co-autrice di una traduzione ed edizione critica della Vita di San Neilos di Rossano per Dumbarton Oaks, Università di Harvard, e sta anche lavorando ad un progetto editoriale dal titolo Monachesimo Greco nel Sud Italia, 1000-1500 per Ashgate Publishing.







lunedì 21 febbraio 2022

In questo tempo di crisi, cerchiamo di capire cosa non può e cosa può cambiare di un dogma







di Corrado Gnerre per il C3S,  21 FEBBRAIO 2022

Una delle caratteristiche tipiche della crisi del cattolicesimo oggi è quella di ritenere (di fatto anche se non teoricamente, perché si continua ad affermare che nulla si vuole mutare) la verità modificabile, ovvero una sorta di storicismo teologico o di teologia storicista, per la serie: è la storia che giudica la verità e la può modificare come vuole, per cui ciò che era vero ieri non necessariamente deve essere considerato vero oggi e ciò che era ritenuto errato ieri non necessariamente deve essere ritenuto errato oggi.

L’eresia modernista arrivò ad affermare che il dogma non avrebbe nulla di definito, ma sarebbe una semplice “smagliatura” del tempo, modificabile ed elasticizzabile come si vuole. Insomma, sarebbe il singolo credente ad essere autorizzato ad un’interpretazione del dogma confacente alla propria storia e alla propria psicologia. Eresia modernista che il grande san Pio X condannò immediatamente definendola “sintesi di tutte le eresie”, ma che, a mo’ di fiume carsico, è andata sottoterra per poi riemergere negli ultimi decenni in maniera spaventosa e di fatto trionfando su tutti i fronti.

Pertanto è giusto porsi la domanda: è legittimo modificare il dogma?

Ovviamente la risposta è più che ovvia: il dogma è immutabile di suo e non lo si può affatto modificare. Ciò però non vuol dire che qualcosa non possa cambiare nel tempo. Vediamo cosa.

Per essere precisi possiamo dire così: le formule dogmatiche sono immutabili quanto all’essenza, cioè al loro contenuto sostanziale, ma possono essere approfondite per una maggiore penetrazione delle stesse.

A riguardo, il grande maestro è san Vincenzo da Lerino (V secolo) che si occupò proprio di questa questione nel suo celebre Communitorium. Egli afferma che il dogma può essere penetrato, cioè approfondito, da parte della Chiesa come Magistero e anche da parte dei singoli fedeli, ma a condizione che questa penetrazione (approfondimento) avvenga nel rispetto del genere, del senso e del contenuto del dogma stesso. Concetto, questo, che fu fatto proprio anche dal Concilio Vaticano I.

Ma cosa significa che il dogma può essere “penetrato” solo nel rispetto del suo genere, senso e contenuto? Che il dogma non può cambiare intrinsecamente ma solo approfondito estrinsecamente. Per essere più precisi possiamo dire che il dogma non può cambiare né in sé (cioè non può subire mutamenti intrinseci) né sostanzialmente (non può passare da una verità ad un’altra che sia sostanzialmente diversa dalla prima), ma può essere approfondito estrinsecamente da parte del soggetto che conosce; soggetto che, come abbiamo detto prima, può essere il Magistero della Chiesa, ma anche il singolo fedele, ovviamente sottomettendosi sempre al giudizio della Chiesa docente. Approfondimento che può riguardare anche la ricerca di espressioni che lo rendano più comprensibile.

Insomma, il dogma non può affatto cambiare. Non c’è né teologo, né storia, né mondo … e nemmeno Papa che tenga. Sì, nemmeno Papa, ciò perché Pietro e i suoi successori non sono stati investiti da Cristo per essere “padroni”, ma “custodi” della Verità.

Ricapitolando, l’unico progresso legittimo che si può ammettere per il dogma non è né in sé né nella sostanza, ma solo in merito alla sua conoscenza e alla sua espressione.

Un esempio? Facciamo riferimento ad un dogma mariano, quello della Verginità di Maria. Ebbene, in questo caso non potrebbe mai esserci come processo legittimo la negazione della sostanza, ovvero la verginità stessa, bensì degli approfondimenti sui motivi per i quali Dio ha voluto che la sua Santissima Madre rimanesse sempre vergine.

Dio è Verità, Bontà e Bellezza
Il Cammino dei Tre Sentieri








domenica 20 febbraio 2022

I santi bambini di Fatima alla scuola della Santa Vergine





Prof. Plinio Corrêa de Oliveira su Santa Giacinta Marto (1910-1920) e San Francesco Marto (1908-1919).


20 febbraio. In località Aljustrel vicino a Fatima in Portogallo, beata Giacinta Marto, che, sebbene ancora fanciulla di tenera età, sopportò con pazienza il tormento della malattia da cui era affetta e testimoniò con fervore la sua devozione alla beata Vergine Maria. (Martirologio Romano ed. 2004)
4 aprile. Nella località di Aljustrel vicino a Fatima in Portogallo, beato Francesco Marto, che, rapidamente consumato ancora fanciullo da una malattia, rifulse per la soavità dei costumi, la perseveranza nelle avversità e nella fede e la costanza nella preghiera. (Martirologio Romano ed. 2004)


NOTA: sia il testo del prof. Plinio Corrêa de Oliveira sia l’ultima edizione del Martirologio Romano riportano gli attributi «beata» e «beato», in quanto la canonizzazione è avvenuta successivamente (2017).


L.V.


***

20 febbraio

Beati Francesco e Giacinta di Fatima

Io do grande importanza a questa beatificazione. Quel che leggiamo sulla vita di Giacinta (1910-1920) e di Francesco (1908-1919) parla con enfasi di un’esistenza santa, tale da meritare l’onore degli altari. Sia Giacinta, per tutto ciò che soffrì, che Francesco si ammalarono ed ebbero a soffrire difficili e penose infermità. Tutto fa credere che Giacinta fosse pienamente gradita dalla Madonna, quando avvennero le apparizioni. Però, con suo fratello non era così.


Egli in qualcosa dispiaceva alla Vergine, il che comunque non gli impedì di essere un testimone delle apparizioni e, quindi, di costituire un trio con sua cugina, Lucia, e con la sorella. Infatti, Francesco non udiva ciò che la Madonna diceva, ma “soltanto” La vedeva … (Magari potessimo vederLa! Neanche immagino che cosa potrei esprimere!). Ma fu chiaro che lui “soltanto” vedeva perché in qualcosa dispiaceva alla Santissima Vergine.


Dunque, considerate il modo in cui Lei tratta le anime elette - come Francesco in effetti lo era e morì in odore di santità: la Madonna gli limitò in qualche modo la conoscenza di ciò che accadeva. Quindi, egli ricevette la grazia di vederLa, ma non quella di ascoltarLa. Così, la Madonna fu severa nel non consentire a Francesco di udire la sua voce; ma dopo, avendogli concesso la grazia di pentirsi, gli diede pure la grazia di emendarsi. Dunque, una vita breve, tutta fatta di olocausto, una vita santa e una morte in odore di santità.


Giacinta si trovava su un gradino più alto, perché udiva quel che la Madonna diceva. Quindi, si fece carico di tutto il peso delle privazioni e persino delle incomprensioni delle persone del suo tempo e morì amorosamente rivolta alla Vergine. Sono due anime che, se saranno beatificate, riuniranno in sé un ricco insieme di insegnamenti per noi. Coloro che ebbero la grazia di giammai peccare, potranno vedere in Giacinta una speciale protettrice; temo, però, che il numero dei protetti di Francesco sia maggiore e che coloro che hanno peccato vedano proprio in Francesco un particolare protettore. E che, insomma, in quell’occasione due nuovi protettori fioriranno per noi in Cielo. Che cosa vuol dire “fioriranno in Cielo”? Infatti, loro sono ormai in Cielo e, quindi, già sbocciati. Però, otterranno la gloria estrinseca (cioè terrena) che decorrerà dalla beatificazione ed è in questo senso che uso il termine “sbocciare”.


* * * *


Dal libro del P. Demarchi, Era una Signora più brillante del sole…, Seminario delle Missioni della Madonna di Fatima, Cova da Iria, 3ª Edizione:


«La vera direttrice spirituale di Giacinta, Francesco e Lucia fu, essenzialmente, la Madonna. La benevola Signora della Cova da Iria assunse l’incarico di realizzare questo capolavoro e, come non poteva essere altrimenti, lo portò a termine con pieno successo. Dalle sue mani sorsero tre angeli rivestiti di carne, che però, allo stesso tempo, erano tre autentici eroi. La materia prima era di una plasticità ammirevole, e cosa dire ancora sull’Artista? Alla sua scuola i tre piccoli montanari fecero, in breve tempo, passi da gigante nel cammino della perfezione. In essa si avverarono alla lettera le parole di un gran devoto di Maria, San Luigi Maria Grignion da Monfort. Egli ci conferma che alla scuola della Vergine, l'anima progredisce più in una settimana che nel corso di un anno fuori di essa.


«Infatti, la pedagogia della Madre di Dio non conosce confronti. In due anni la Vergine Santissima riuscì ad elevare i due fratellini – Francesco e Giacinta – sino alle più alte cime della santità cristiana. Il ritratto di Giacinta delineatoci dalla mano ferma di Lucia è rivelatore: ‘Giacinta aveva sempre un portamento serio, modesto e amabile, che sembrava trasmettere la presenza di Dio in tutti i suoi atti, il che è proprio delle persone di età già avanzata e di grande virtù. Non vidi mai in lei quella eccessiva leggerezza e quell’entusiasmo dei bambini per i gingilli e gli scherzi. Non direi che gli altri bambini corressero appresso a lei, come lo facevano con me, forse perché la serietà del suo atteggiamento era assai superiore alla sua età. Se alla sua presenza qualche bambino oppure un adulto diceva qualcosa o faceva qualunque azione meno che conveniente, lei li rimproverava dicendo: ‘Non lo fate perché offende Dio, Nostro Signore, ed Egli è già tanto offeso’».


Questo brano racconta la storia di una grazia straordinaria, segnalando diversi aspetti dell’opera della Madonna in relazione a questi tre bambini.


Anzitutto, dobbiamo considerare il valore simbolico dell’opera della Madonna sui bambini. Sbagliano coloro che immaginano che un’opera come questa miri soltanto ai tre bambini: è tutto un nuovo modo di operare della Grazia. Quest’opera trasformò soavemente quei piccoli, da un momento all’altro, con il semplice fatto delle ripetute apparizioni della Madonna.


Qui abbiamo qualcosa di somigliante al Segreto di Maria enunciato da San Luigi Maria Grignion da Monfort, cioè una di quelle azioni profonde della grazia sull’anima, che si sviluppano senza che la persona se ne renda conto, e la fa sentire sempre più libera, sempre più disinvolta nel praticare il bene, mentre i difetti che la intralciano e la legano al male man mano si dissolvono.


La persona cresce nell’amore di Dio, nel desiderio di impegnarsi nel bene, nell’opposizione al male. Tuttavia, tutto questo accade in maniera meravigliosa all’interno dell’anima, in modo che essa non intraprende le grandi e metodiche battaglie dell’ammirabile ascesi, della virtù, della santità come coloro che combattono secondo il sistema classico della vita spirituale; invece, la Madonna trasforma l'anima da un momento all’altro.


Possiamo ben domandarci se quest’opera della Madonna sui tre pastorelli, e specialmente su Francesco e Giacinta, non abbia un valore simbolico, e non indichi quale sarà l’azione di Maria Santissima su tutta l’umanità quando Ella compirà le promesse fatte a Fatima.


Possiamo, quindi, domandarci se non si dovrebbe vedere qui un inizio del Regno di Maria, cioè, del trionfo del Cuore Immacolato di Maria su due anime annunciatrici della grande rivelazione della Madonna, e che in seguito aiutarono tante anime – con i loro sacrifici e preghiere sulla terra, e poi con le loro suppliche in Cielo – ad accogliere il messaggio di Fatima. E lo fanno ancora.


Questo ci porta direttamente a una conclusione: Se così fosse, allora Francesco e Giacinta sono gli intercessori naturali perché si chieda alla Madonna che inizi al più presto il Regno di Maria dentro di noi, mediante questa misteriosa trasformazione che è il Segreto di Maria.


Dobbiamo chiedere con insistenza – sia a Giacinta sia a Francesco – che comincino a trasformarci, ad ottenere per noi i doni che loro stessi hanno ricevuto, e che abbiano cura specialmente di coloro che, come noi, hanno la missione di diffondere il messaggio di Fatima.


Sarebbe molto importante dire una parola sul rapporto tra il messaggio di Fatima e noi. È già stato detto mille volte tra noi, che la nostra vita spirituale cresce nella misura in cui prendiamo sul serio il fatto che il mondo attuale si trova in una deplorevole decadenza e che si avvicina alla sua rovina. Inoltre, che questa rovina significa la realizzazione dei castighi previsti dalla Madonna a Fatima e che, di conseguenza, quanto più ci collochiamo in questa prospettiva, tanto più la nostra vita spirituale si infervorerà. E che, al contrario, quanto più ci allontaniamo da questa ottica, tanto più la nostra vita spirituale decadrà.


Dunque, per intercessione di Francesco e di Giacinta, dobbiamo dire alla Madonna: Venga a noi il vostro Regno, o Signora, venga con urgenza!


Fonte: Plinio Corrêa de Oliveira, Cum Sanctis Tuis, ChoraBooks (QUI per acquistare)


***

LA MALATTIA DI GIACINTA E LA SUA SALITA IN CIELO


Racconta suor Lucia di Fatima:
Trascorrevano così i giorni di Giacinta, finché nostro Signore non mandò la polmonite che la gettò a letto, insieme col suo fratellino. Il giorno prima di ammalarsi diceva: 'Mi fa tanto male la testa e ho tanta sete! Ma non voglio bere, per soffrire per i peccatori'.
Tutto il tempo che mi restava libero dalla scuola e da qualche cosetta che mi facevano fare, andavo dai miei compagni. Un giorno passo da loro prima di andare a scuola e Giacinta mi dice: 'Senti! Di' a Gesù nascosto che io gli voglio molto bene e che lo amo molto'. Altre volte diceva: 'Di' a Gesù cbe gli mando tanti saluti affettuosi'. Se passavo prima dalla sua stanza, diceva:
'Ora va' a vedere Francesco; io faccio il sacrificio di stare qui sola'.
Un giorno sua madre le portò una tazza di latte e le disse di prenderlo.
- Non io voglio mamma, - disse allontanando la tazza con la manina.
La zia insistette un poco e poi se ne andò dicendo:
- Ma non so che cosa devo fare, se tutto ti ripugna.
Appena rimasti soli, le domandai: 'Ma perché disobbedisci così a tua madre e non offri questo sacrificio a nostro Signore?'. All'udire questo, lasciò cadere alcune lacrime, che io ebbi il piacere di asciugare e disse: 'io adesso non mi ero ricordata'. Chiama la madre, le chiede perdono e le dice che prende tutto quello che vuole. La mamma le porta la tazza di latte. Lo prende senza mostrare la minima ripugnanza. Dopo mi dice: 'Se tu sapessi quanto mi è costato a berlo!'.
Un'altra volta mi disse: 'Faccio sempre più fatica a bere latte e brodo; ma non dico niente. Bevo tutto per amore di nostro Signore e del Cuore imma­colato di Maria, la nostra mammina del cielo'.
- Stai meglio? - le chiesi un giorno.
- Tu sai bene che non sto meglio - e aggiunse - ho un dolore forte al petto, ma non dico niente. Soffro per la conversione dei peccatori.
Un giorno, arrivata vicino a lei, mi domandò: 'Hai già fatto tanti sacri­fici oggi? Io ne ho fatti tanti. Mia madre è andava via e a me molte volte mi è venuta la voglia dì andare a visitare Francesco, ma non ci sono andata'
La sua salute però migliorò un pochino. Poté alzarsi e passava allora le giornate seduta sul letto del fratellino. Un giorno mi fece chiamare perché andassi in fretta da lei. Andai di corsa.
La Madonna è venuta a vederci e dice che tra poco verrà a prendere Francesco e a portarlo in cielo. A me ha domandato se volevo convertire an­cora altri peccatori. Le ho detto di sì. Mi ha detto che andrò in un ospedale e che là soffrirò molto. Mi ha detto di soffrire per la conversione dei peccatori, in riparazione dei peccati contro il Cuore immacolato di Maria e per amore di Gesù. Le ho domandato se anche tu venivi con me. Ha detto di no. Questa è la cosa che mi costa di più. Ha detto che veniva mia madre a portarmi e poi resto là da sola. - Rimase pensierosa per un po', poi ag­giunse: - Se tu venissi con me! Quel che mi costa di più è andare senza di te! E forse l'ospedale è una casa molto oscura, dove non si vede niente e io sto li a soffrire da sola! Ma non importa: soffro per amore di nostro Signore, per riparare le offese al Cuore immacolato di Maria, per la con­versione dei peccatori e per il santo Padre.
Quando arrivò l'ora che il suo fratellino partiva per il cielo, lei gli fece le sue raccomandazioni: 'Tanti cari saluti da parte mia a nostro Signore e alla Madonna e digli che soffro tutto quello che vogliono per convertire i peccatori e in riparazione al Cuore immacolato di Maria.
Sofferse molto per la morte del fratello. Restava a lungo pensierosa e se le domandavano a che cosa stesse pensando, rispondeva: 'A Francesco. Come mi piacerebbe rivederlo. E gli occhi le si riempivano di lacrime.
Un giorno le dissi:
- A te ormai manca poco per andare in cielo. Io invece...
- Poverina! - rispose non piangere! Lassù io pregherò molto, mol­to per te. Sai, è la Madonna che vuole così per te. Se avesse scelto me, io sarei contenta, per poter soffrire di più per i peccatori.
Arrivò anche il giorno di andare all'ospedale, dove ebbe a soffrire mol­to davvero. Quando la madre andò a visitarla, le domandò se voleva qualche cosa. Le disse che voleva vedere me. Mia zia, a costo di molti sacrifici, mi ci portò, non appena poté ritornarci. Appena mi vide, mi abbraccio con gioia e chiese alla madre che mi lasciasse li e andasse a fare la spesa.
Le domandai allora se soffriva molto.
- Altro che! Ma offro tutto per i peccatori e in riparazione al Cuore immacolato di Maria.
Poi parlò con entusiasmo di nostro Signore e della Madonna e diceva:
- Mi piace tanto soffrire, per amor suo, per fargli piacere. Loro vogliono molto bene a chi soffre per convertire i peccatori.
Il tempo destinato alla visita passò in fretta e mia zia era già tornata a riprendermi. Domandò alla figlioletta se voleva qualche cosa. Chiese che riportasse anche me quando tornasse a vederla. E la mia buona zia, che voleva far piacere alla sua bambina, mi ci portò una seconda volta. La trovai con la stessa gioia di soffrire per amore del nostro buon Dio, del Cuore im­macolato di Maria, per i peccatori e per il santo Padre: era il suo ideale e parlava sempre di questo.
Tornò ancora per qualche tempo alla casa paterna. Aveva nel petto una grande ferita aperta e sopportava la medicazione quotidiana senza un la­mento, senza mostrare il minimo segno di malessere. Ciò che le costava di più erano visite e interviste frequenti di persone che la cercavano e dalle quali ora non poteva nascondersi.
- Offro anche questo sacrificio per i peccatori, - diceva con rassegna­zione. - Oh, se potessi arrivare fino al Cabeco a dire ancora un rosario nella nostra grotta! Ma ormai non ce la faccio più. Quando vai a Cova da Iria, prega per me. Là non ci vado più di sicuro. - E le lacrime le scor­revano sul viso.
Un giorno mia zia mi disse: 'Domanda a Giacinta a che cosa sta pensan­do, quando sta tanto tempo con le mani sulla faccia, senza muoversi. Io gliel'ho domandato, mi ha sorriso, ma non mi ha risposto'. Feci la domanda e mi rispose:
- Penso al Signore, alla Madonna, ai peccatori e a... (accennò ad alcune cose del segreto). Mi piace molto pensare.
La zia mi domandò che cosa aveva risposto la sua bambina e io le dissi tutto con un sorriso. Allora mia zia disse a mia madre, raccontando il fatto:
'Io non capisco. La vita di questi bambini è un enigma'. E mia madre ag­giungeva: 'Quando sono soli, parlano e parlano a non finire e anche sforzan­dosi di ascoltare, non si riesce a capire una parola. Se arriva qualcuno, ab­bassano la testa e non dicono una parola. Non posso capire questo mistero.
La santissima Vergine si degnò di nuovo di visitare Giacinta, per annun­ciarle nuove croci e nuovi sacrifici. Mi dette la notizia e mi diceva: 'Mi ha detto che vado a Lisbona, in un altro ospedale; che non rivedrò più nemme­no i miei genitori; che dopo molto soffrire, morirò sola, ma che non abbia paura, perché verrà Lei là a prendermi per portarmi in cielo'. E piangendo mi abbraccia e diceva: 'Non ti rivedrò mai più. Tu là non verrai a visitarmi. Senti: prega molto per me che muoio sola'.
Nel frattempo, finché non arrivò il giorno di andare a Lisbona, sofferse in modo orribile. Mi abbracciava e diceva piangendo:
- Non ti rivedrò mai più. Né la mamma, né i miei fratelli, né il mio papà! Non rivedrò più nessuno e poi muoio sola sola!
- Non ci pensare - le dissi un giorno.
- Lascia che ci pensi, perché più ci penso, più soffro; e io voglio soffrire per amore di nostro Signore e per i peccatori. E poi non fa niente. La Madonna viene a portarmi in cielo...
A volte baciava un crocifisso, lo abbracciava e diceva:
- O mio Gesù, io vi amo e voglio soffrire molto per amor vostro.
Quante volte diceva:
- O Gesù, ora puoi convertire molti peccatori, perché questo sacrificio è molto grande.
Mi chiedeva a volte:
- E morirò senza rivedere Gesù nascosto? Se me lo portasse la Madonna, quando viene a prendermi!...
Le chiesi una volta:
- Che cosa farai in cielo?
- Amerò molto Gesù, il Cuore immacolato di Maria, pregherò molto per te, per i peccatori, per il santo Padre, per i miei genitori e fratelli e per tutte le persone che mi hanno domandato di pregare per loro.
Quando la madre si mostrava triste a vederla così malata, le diceva:
- Non ti rattristare, mamma. Io vado in cielo. Pregherò molto per te.
Altre volte diceva:
- Non piangere, sto bene.
Se le chiedevano se aveva bisogno di qualche cosa, diceva:
- Tante grazie, non ho bisogno di nulla. - Ma quando se ne andavano aggiungeva – Ho molta sete, ma non voglio bere, offro tutto a Gesù per i peccatori.
Un giorno che mia zia mi faceva delle domande, mi chiamò e mi disse: - Non voglio che tu dica a nessuno che io soffro. Nemmeno a mia madre, perché non voglio che si rattristi.
Un giorno la trovai mentre abbracciava un quadro della Madonna e diceva: - Oh, mammina del cielo, allora devo morire sola sola?
La povera bambina pareva terrorizzata all’idea di morire sola. Per incoraggiarla, le dicevo: - Che cosa t’importa di morire sola, se la Madonna viene a prenderti? – E’ vero, non m’importa niente. Ma non so com’è! A volte non mi ricordo che Lei viene a prendermi. Solo mi ricordo che muoio e tu non sei vicino a me.
E venne alla fine il giorno della partenza per Lisbona. L’addio spezzava il cuore. Mi rimase parecchio tempo abbracciata al collo e diceva piangendo: - Non ci rivedremo mai più. Prega molto per me, finché non andrò in cielo. Lassù, dopo, io pregherò per te. Non dire mai il segreto a nessuno, anche se ti ammazzano. Ama molto Gesù e il Cuore immacolato di Maria e fa molti sacrifici per i peccatori.
Da Lisbona mi mandò ancora a dire che la Madonna era già andata a trovarla, che le aveva detto l’ora e il giorno della sua morte e mi raccomandava di essere molto buona.
Termino così, ecc.mo e rev.mo signor vescovo di raccontare all’E.V rev.ma quello che mi ricordo della vita di Giacinta.
Chiedo al nostro buon Dio che si degni di accettare questo atto di ubbedienza per accendere nelle anime la fiamma d’amore ai Cuori di Gesù e di Maria.
Adesso domando un favore. E’ questo: se V.E. pubblicherà alcune cose di quelle che ho appena finito di raccontare, lo faccia in modo tale che non parli in nessuna maniera della mia povera e miserabile persona. E confesso, ecc.mo e rev.mo signor vescovo, che se venissi a sapere che l’E.V. avrà bruciato questo scritto senza nemmeno leggerlo, sarebbe per me un grande piacere, perché l’ho scritto solo per ubbidire alla volontà del nostro buon Dio, manifestata a me dal volere espresso della V.E. rev.ma.