mercoledì 31 ottobre 2018

Asia Bibi finalmente libera. Deo gratias!




31 ottobre 2018

Dopo 3.420 giorni di carcere ingiusto e ingiustificato, Asia Bibi è finalmente libera. La madre cattolica di cinque figli è stata definitivamente assolta dalla Corte Suprema, che stamattina ha comunicato pubblicamente il verdetto. Dopo essere stata condannata in primo e secondo grado per false accuse di blasfemia, l’8 ottobre si è tenuta a Islamabad l’udienza finale del processo, presieduta dal presidente della Corte suprema, Mian Saqib Nisar. In quell’occasione, i giudici hanno preso una decisione ma hanno tenuta segreta la sentenza, vietando ai media di parlare del caso a motivo della sua estrema delicatezza. Attualmente, 300 agenti sono stati schierati a guardia del tribunale.


IL CALVARIO DI ASIA BIBI
Oggi Asia Bibi è libera, ma il suo calvario è durato un tempo che pare infinito. Era il 14 giugno 2009 quando la donna cattolica bevve un bicchiere d’acqua per ristorarsi dal lavoro nei campi e fu accusata da due donne musulmane di avere infettato la fonte, in quanto infedele. Ai tentativi delle colleghe di convertirla all’islam, lei rispose: «Il mio Gesù è morto sulla croce per redimere i peccati di tutta l’umanità, Maometto cosa ha fatto per voi?». Asia Bibi venne insultata e picchiata da una folla di musulmani chiamati a raccolta dai muezzin delle moschee. Dopo 5 giorni, il 19 giugno 2009, il mullah musulmano Qari Muhammad Sallam, che non aveva assistito all’alterco, formalizzò l’accusa di blasfemia davanti alla polizia e la madre cattolica fu arrestata e portata via dalla sua casa del villaggio di Ittar Wali (Punjab).

IL MARTIRIO DI ASIA BIBI

Ora che Asia Bibi è libera e il suo martirio è finito, e nella speranza che i giudici abbiano atteso un mese a comunicare il verdetto per dare il tempo di predisporre tutto per la sua fuga dal Pakistan, dove non può più restare visto che sulla sua testa pende ancora una taglia da 500 mila rupie (10 mila dollari), non si può dimenticare che il martirio è stato consapevolmente scelto da Asia Bibi. Scrisse la donna in una lettera datata dicembre 2012:

"Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nel­la mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha of­ferto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta one­stà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musul­mana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui»”.


3.420 GIORNI, POI IL MIRACOLO

Asia Bibi è rimasta in carcere 3.420 giorni, quasi 10 anni nei quali non ha potuto vedere i suoi cinque figli Imran, Nasima, Isha, Sidra e Isham, e lo ha fatto per non rinnegare la sua fede in Gesù. Come ha dichiarato a Tempi nel 2014, «il mio più grande desiderio è di poter tornare a vivere con la mia famiglia e mio marito». Come dichiarato ancora a Tempi, non ha mai smesso di credere nella sua liberazione: «Io credo nel nome di Gesù che la potenza della Sua mano mi darà la libertà, proprio come ha fatto con Pietro. Quando si trovava in carcere, lo Spirito Santo è venuto e ha aperto la porta della sua cella. Io mi aspetto un miracolo come questo». Oggi il miracolo è finalmente accaduto. 













lunedì 29 ottobre 2018

Seminario sull'ideologia "gender", Empoli, in 4 incontri




L’Associazione Via Verità Vita ♥ 

Presenta 

Seminario sull’ideologia del gender in 4 incontri 





05-11-2018 ore 21:15 COMPRENDERE il GENDER. 

Dove finisce la libertà e inizia l’ideologia 


14-11-2018 ore 21:15 IDENTITA’ e DIVERSITA’. 

Le nuove discriminazioni 


20-11-2018  ore 21:15 DALLA PARTE DEI BAMBINI 

I doveri dell’istruzione scolastica 


26-11-2018 ore 20:00 Cena di condivisione 

ore 21:30 DALLA PARTE DELLE MADRI 

Il business dell’utero in affitto 



Con la partecipazione di don Gianluca Palermo

-Parroco di Castelmartini, PT-



Ad Empoli, su suggerimento di alcune associazioni e gruppi laicali, con il patrocinio dell’Osservatorio per le Politiche della Famiglia di Cascina (PI), l’associazione Via Verità Vita♥, con sede a Empoli e Pisa, torna a riparlare dell’ideologia del gender, questa volta in 4 serate, fornendo una occasione di approfondimento su temi attuali che riguardano l’amore, lo sviluppo psicofisico, l’antropologia umana, le questioni giuridiche ed il necessario coinvolgimento della scuola. 

Non mancherà neppure il profilo spirituale ed etico perché il filo conduttore è il benessere del bambino in quanto persona, dotata di corpo, mente e anima. 

Il seminario è diretto a tutti, in primis ai genitori,- educatori per eccellenza- e a studenti, insegnanti, liberi professionisti, psicologi, medici, operatori sociali e associazioni. 

Daremo uno sguardo anche alle scuole parentali con Debora Barbieri, consigliere di Via Verità Vita♥. 

A conclusione delle quattro giornate viene rilasciato un attestato di partecipazione da parte di agenzia di formazione accreditata dalla Regione Toscana. 

Intervengono Valerio Lago, presidente dell’Osservatorio per le politiche della famiglia, l’avv. Andrea Gasperini, Renzo Puccetti, medico e docente di bioetica e scrittore, don Francesco Capolupo, cappellano militare, Maria Cristina Del Poggetto, psichiatra, psicoterapeuta e mediatrice familiare, l’avv. Costanza Settesoldi, consigliera dell’Osservatorio per le politiche della famiglia, l’avv. Mauro Domenici del foro di Lucca e don Gianluca Palermo, parroco di Castelmartini (PT). Conclude Andrea Poggianti, consigliere comunale di Empoli. Modera l’avv. Tessa Gnesi, presidente dell’Associazione Via Verità Vita♥.

L’intento è anche quello di ripercorrere le tappe delle idee in un itinerario dal ‘68 ad oggi attraverso fatti e contenuti nuovi che l’ideologia di genere dà alle parole, ai valori, alle libertà, allo scopo di fornire a tutti, gli strumenti per un confronto perché oggi si parla molto di rispetto ed al contempo di libertà di espressione e di religione, come fossero in antitesi.

Gli incontri si tengono nella Chiesa di S. Stefano degli Agostiniani alle ore 21,15, il primo è il 5 novembre sulla “comprensione del gender”, il secondo il 14 novembre su “Identità e diversità”, Gli ultimi due incontri, il 20 ed il 26 novembre guardano a queste tematiche “dalla parte dei bambini” e “dalla parte delle madri” in un itinerario di approfondimento nel mondo scolare ed educativo, per concludersi con gli aspetti etici e giuridici della maternità surrogata.

Il seminario informa in modo semplice e comprensibili a tutti, perché vuole essere divulgativo prima che formativo, perché lo scopo è aiutare tutti a vivere questi tempi, a capirli e a trovare risposte per i nostri giovani, sia come genitore che come docente.

L’iscrizione può essere formalizzata anche durante il seminario ed è possibile partecipare a singoli incontri.



















venerdì 26 ottobre 2018

Elogio della nostalgia


 

by Aldo Maria Valli, 26-10-2018

Il libro si intitola Nostalgia. Going home in a homeless world. È in inglese e l’ha scritto il professor Anthony Esolen, docente di letteratura al Thomas More College of Liberal Arts di Merrimack, nel New Hampshire.

Dico subito che non l’ho letto, ma che ho solo visto la recensione che padre John Zuhlsdorf gli ha dedicato nel suo blog (http://wdtprs.com/blog/2018/10/book-received-nostalgia-going-home-in-a-homeless-world-by-anthony-esolen/), tuttavia il titolo è bastato. Nostalgia: andare a casa in un mondo senza casa: non è proprio questa l’esigenza che tanti di noi avvertono, all’interno della Chiesa cattolica? Tornare a casa, in una casa di nuovo accogliente, una casa che sia veramente la tua, diversa da questa Chiesa che invece, se solo osi far notare che qualcosa non va, ti fa sentire non a casa, ma straniero in patria.

Ripeto, non ho letto il libro e mi limito a prendere spunto dal titolo, che mi ha colpito. Stando a quel che dice il padre Zuhlsdorf, l’opera non è apertamente cattolica, ma è profondamente cattolica la visione del mondo che esprime. Sta di fatto che quella parola, “nostalgia”, secondo me merita oggi una riflessione.
“Sei un nostalgico” è una delle numerose accuse che mi sento rivolgere ogni volta che parlo della Chiesa “di una volta”, dove mi sentivo a casa. Una Chiesa nella quale ti potevi fidare del parroco e del vescovo, senza temere che da un giorno all’altro potessero inventarsi qualche novità ben poco cattolica o potessero mettersi a parlare come esponenti delle Nazioni Unite o come sindacalisti o ambientalisti. Una Chiesa nella quale non si parlava mai di accoglienza e di inclusività, ma era veramente accogliente e inclusiva, nei fatti, perché era chiara nella sua proposta e dunque onesta. Una Chiesa che non faceva nulla, ma proprio nulla, per apparire amica e simpatica, e per questo era una vera Madre, che ti metteva di fronte alle tue responsabilità. Una Chiesa che parlava del peccato e non di non meglio precisate “fragilità”. Una Chiesa che parlava del giudizio divino e non di una generica misericordia. Una Chiesa che raccomandava il timor di Dio e non era tutta gioia e letizia e sorrisi e canti e balli, ma trasmetteva la vera gioia insegnando l’adesione all’eterna legge divina.
Nostalgia, sì. Tanta nostalgia. La provo sempre di più. E non ho nessun problema a definirmi nostalgico, anche se so bene che in Italia la parola ha una marcata connotazione politica che la rende ancora meno praticabile.
Nell’etimologia della parola nostalgia c’è il riferimento all’àlgos, al dolore, mentre nòstos significa il tornare al paese, a casa. La nostalgia è dunque quel dolore lancinante che ti prende quando sei lontano da casa e avverti il bisogno di tornarci. È nostalgia di ciò che conosci bene, delle cose e delle persone tra le quali sei cresciuto. È nostalgia di un mondo del quale ti fidavi e del quale ti sentivi parte.
Ma nella Chiesa di oggi quanto possiamo fidarci? E ci sentiamo veramente a casa?
Sento già l’accusa successiva: in quanto nostalgico, il sottoscritto sarebbe anche tradizionalista, nel senso di legato a un concetto malato di tradizione, come di cosa ferma, immobile, e dunque morta.
Bene, mi piace rispondere che, in quanto cattolico, non sono, né posso essere, storicista. Sicché non cedo alla tentazione, tanto diffusa oggi, anche nella Chiesa, di sostenere che per attuare l’esperienza di fede occorre assumere la storia, e dunque il cambiamento, rigettando la verità assoluta e definitiva. Certo, la rivelazione divina passa attraverso la storia, ma la storia, ovvero il mondo, non è l’unico orizzonte. Il cattolico ha un altro orizzonte, più alto. Un orizzonte soprannaturale.
Ho dunque nostalgia anche di una Chiesa che insegnava il soprannaturale e non se ne vergognava. Una Chiesa che parlava dei Novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso) e non si poneva problemi di linguaggio politicamente corretto. Una Chiesa che tuonava contro il peccato chiamandolo con il suo nome e ricordando che il peccato può essere mortale, il che significa che, in mancanza di pentimento, condanna l’anima alla dannazione eterna.
Nostalgia, sì, tanta. Nostalgia delle liturgie oneste, pulite, non sguaiate, non “strane”, non animate, non oltraggiate. Nostalgia di tabernacoli visibili, riconoscibili, e non nascosti, non camuffati. Nostalgia di preti vestiti da preti. Di suore vestite da suore. Di laici che non vanno all’ambone a leggere i testi sacri indossano calzoncini corti e canottiere. Nostalgia di certe forme che erano sostanza, perché rimandavano a precisi significati teologici. Nostalgia di buona educazione religiosa. Nostalgia di quella gravitas, di quella dignità e serietà che era patrimonio dei chierici ma anche dei laici, prima dell’impazzimento.
Certo, ci può essere anche una falsa nostalgia, o una nostalgia distorta, per una presunta età dell’oro che in realtà non è mai esistita e che ora viene costruita dalle nostre menti a scopo consolatorio. Ma non voglio cadere in questa trappola. Quella di cui ho nostalgia non è una mitica età dell’oro. No, è la mia casa. Una casa che ho conosciuto bene, ma che è quasi scomparsa.
Padre John Zuhlsdorf spiega che nel libro del professor Esolen si parla anche di Ulisse e della dea Calipso, che cercò di sedurlo, ma lui seppe resistere, perché pensava a Itaca.
E noi pensiamo mai alla nostra Itaca?

Aldo Maria Valli












giovedì 25 ottobre 2018

Caso Cappato - Dj Fabo. Consulta-Pilato, il suicidio assistito sarà presto realtà





Caso Dj Fabo: la Consulta non decide ma passa la patata bollente al Parlamento autorizzandolo a inserire nella legge sulle Dat anche alcuni casi di aiuto al suicidio. Una volta che le Camere avranno fatto questo lavoro sporco sarà agevole per la Corte Costituzionale mantenere il reato di aiuto al suicidio ad eccezione dei nuovi casi previsti. La platea dei candidati all’eutanasia si allargherà a depressi, annoiati dalla vita o disperati per un dolore esistenziale. In questo modo la Corte Costituzionale avrà così messo nelle loro mani una rivoltella per uccidersi.



Tommaso Scandroglio, 25-10-2018

L’ultima puntata della saga giudiziaria di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione radicale Luca Coscioni che nel 2017 aveva accompagnato Dj Fabo nella clinica svizzera Dignitas dove praticano l’eutanasia, era andata in onda presso il Tribunale di Milano nel febbraio del 2018. Allora i giudici della Corte di assise lo avevano assolto dal reato di istigazione al suicidio. In merito al reato di aiuto al suicidio ex art 580 cp i giudici, sospendendo il processo, avevano sollevato eccezione di incostituzionalità presso la Corte costituzionale. Ieri la Consulta ha deciso. Anzi no. Anzi forse.

Partiamo dal comunicato stampa emesso dalla Consulta: “La Corte costituzionale ha rilevato che l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti. Per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina, la Corte ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 settembre 2019”. In parole povere: prima il Parlamento legiferi sul fine vita e poi la Consulta deciderà se il reato di aiuto al suicidio è incostituzionale, in parte o in toto. Nel frattempo il processo a carico di Cappato rimane sospeso.

Alcune considerazioni. La prima. Una legge sul fine vita c’è già e non ha compiuto nemmeno un anno. Si chiama “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” del 22 dicembre 2017. In quella legge l’eutanasia, sia nella sua variante commissiva che omissiva, è legalizzata. Però per dare la morte a Tizio è prevista un’unica metodica: occorre che questi viva grazie a delle macchine - pensiamo alla nutrizione, idratazione e ventilazione assistita ad esempio - e dunque è necessario per ucciderlo staccarlo dalle stesse. Sono escluse come pratiche eutanasiche l’iniezione letale e l’aiuto al suicidio. Perciò è fondamentale per i sostenitori della dolce morte ampliare le possibilità per accedere all’eutanasia e così rendere legittimo l’aiuto al suicidio e in futuro anche l’iniezione letale. Infatti, ad esempio, il depresso come potrebbe mai morire dato che non è collegato a nessun presidio vitale da cui, staccandolo, potremmo ucciderlo?

A questi casi fa riferimento la Consulta allorchè afferma che “l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione”. Accettate le premesse erronee la conclusione dei giudici non fa una grinza: se chi è intubato può esercitare il diritto a morire – la legge individua un vero e proprio diritto soggettivo a morire – perché negare questo stesso diritto ad altri soggetti che, per loro “sfortuna”, non sono attaccati a delle macchine da cui dipendono per vivere? Sarebbe discriminatorio. Se morire è un diritto, deve poter essere esercitato in tutte le sue forme: rinuncia di presidi vitali e consegna al paziente di un preparato letale che il paziente assumerà da sé: chiamasi aiuto al suicidio. Ecco quindi che la strategia dei radicali ha funzionato: Cappato si autodenuncia e così si va a processo. Grazie al processo si può chiedere, come hanno fatto gli avvocati di Cappato, che il reato di aiuto al suicidio sia passato al vaglio della Corte Costituzionale. Infine quest’ultima spinge la palla in rete.

Seconda riflessione. La Corte poteva benissimo dichiarare incostituzionale l’art. 580 cp, ma non lo ha fatto. Perché? Proviamo ad abbozzare una risposta. Partiamo da un duplice dato che è certo: alla Corte non piace che il reato di aiuto al suicidio scompaia, altrimenti avrebbero potuto abrogarlo. Ecco il riferimento dei giudici al bilanciamento tra il diritto a morire e alcuni beni costituzionalmente rilevanti. Parimenti ai membri della Consulta non piace l’attuale portata sanzionatoria di questo reato. Infatti, se la Corte avesse ritenuto l’art. 580 intoccabile, avrebbe potuto ritenere infondata o inammissibile la questione di legittimità, ma così non ha fatto, e inoltre non avrebbe chiesto al Parlamento di rivedere la disciplina sull’aiuto al suicidio.

La Corte molto probabilmente ha rilevato che, varata la legge sulle Dat di cui sopra, l’eccezione rappresentata dal reato all’aiuto al suicidio non poteva stare più in piedi: “l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione”. Legalizzata l’eutanasia, perché escludere la modalità dell’aiuto al suicidio per provocare la morte? Sarebbe apparso arbitrario. Di contro – e qui entriamo invece nel regno delle ipotesi – abrogare in tutto o in parte l’art. 580 cp sarebbe stato troppo avventato, perché forse la collettività non è ancora pronta per un tale passo. La soluzione allora è stata interlocutoria: passare la patata bollente al Parlamento. Indicando questa strada, i giudici vogliono che sia il legislatore ad inserire in qualche modo nell’attuale legge sulle Dat l’aiuto al suicidio. Una volta che il Parlamento, entro un anno, avrà fatto questo lavoro sporco, e non potrà sottrarsi a tale compito, sarà agevole per la Consulta affermare che il reato di aiuto al suicidio rimane vigente ad eccezione dei casi e delle modalità previste dalla legge sulle Dat così come modificata dal Parlamento.

In breve la Consulta non ha toccato l’art. 580 perché, probabilmente, da una parte vorrebbe che l’aiuto al suicidio rimanesse reato per alcuni casi: il marito anziano che mette in mano alla moglie malata di Alzheimer del veleno perché lo beva. Casi che rientrano nei “beni costituzionalmente rilevanti”. E su altro versante vorrebbe che, nel rispetto della ratio della legge sulle Dat, l’aiuto al suicidio non solo fosse non sanzionabile, ma addirittura legittimato per altri casi: il medico fornisce al paziente terminale dopo il suo consenso un preparato letale misto a sedativi che sarà assunto dal paziente stesso in una struttura pubblica o convenzionata. In altre parole questi distinguo necessitano non dell’intervento della Consulta, bensì di quello del legislatore che disciplini con accuratezza e precisione quando e come l’aiuto al suicidio è legittimo. E’ per questo che i giudici hanno chiamato in causa il Parlamento.

Detto tutto ciò, la morale è amara: come previsto l’aiuto al suicidio diventerà, nei modi previsti dal Parlamento, legittimo. Questo farà sì che la platea dei candidati all’eutanasia si allargherà: non più solo i Welby, le Eluana e i Dj Fabo – non più solo i disabili gravi e le persone con gravi disturbi di coscienza – ma tutti coloro che depressi o solo annoiati dalla vita o disperati per un dolore esistenziale insopprimibile vorranno farla finita. In sintesi la Corte Costituzionale ha messo nelle loro mani una rivoltella per uccidersi.












sabato 20 ottobre 2018

“TUTTI A ROMA!”. IL PELLEGRINAGGIO INTERNAZIONALE SUMMORUM PONTIFICUM ALLA SUA SETTIMA EDIZIONE





Marco Tosatti

A Roma dal 26 al 28 ottobre si svolgerà la settima edizione del pellegrinaggio “Summorum Pontificum”, un avvenimento particolarmente caro a chi è legato alla messa secondo il vetus ordo. Il pellegrinaggio ormai ha conseguito una stabile collocazione nel panorama delle attività ed iniziative destinate ai sempre più numerosi fedeli che coltivano la fede cattolica al ritmo della liturgia tradizionale.

Il Pellegrinaggio è organizzato dal Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum (CSNP), che collabora in maniera organica con il Comitato organizzatore – il Coetus Internationalis Summorum Pontificum (CISP). Attraverso gli anni e uno stretto contatto con i partecipanti gli organizzatori hanno potuto constatare che il Pellegrinaggio – nato nel 2012, negli ultimi mesi del pontificato di Benedetto XVI, come pubblico e corale ringraziamento per l’emanazione del Motu Proprio Summorum Pontificum – è progressivamente divenuto il catalizzatore di una porzione importante della Chiesa: quel Populus Summorum Pontificum che ne custodisce con integra fedeltà non solo il patrimonio liturgico così come ci è pervenuto lungo i secoli, ma, insieme ad esso, il tesoro dottrinale incorrotto della fede cattolica tutta intera, cui la liturgia tradizionale è indissolubilmente intrecciata.


Appare particolarmente significativo e importante, in un momento in cui la Chiesa cattolica vive tensioni e disgregazioni, che da ogni parte del mondo e della cattolicità accorrano a Roma tanti fedeli a testimonianza concreta della perenne giovinezza e della fervorosa vitalità sia del vetus ordo missae, sia di tutta la Tradizione cattolica, in ogni sua manifestazione.

Quest’anno sarà il Vescovo di Copenaghen, mons. Czeslaw Kozon, a guidare il Pellegrinaggio, che con l’unica eccezione dell’edizione 2017, svoltasi in settembre per coincidere col decennale dell’entrata in vigore del Motu Proprio Summorum Pontificum, si tiene sempre in modo da concludersi l’ultima domenica di ottobre. Quest’anno l’evento si articola in una serie di momenti cardine: la solenne S. Messa di apertura, venerdì 26 ottobre, nella chiesa “culla” del Pellegrinaggio, la SS. Trinità dei Pellegrini; l’indomani, sabato 27, a partire dalle 9,30, l’Adorazione Eucaristica, la grande processione per le vie di Roma, da S. Lorenzo in Damaso fino alla Basilica di S. Pietro. A mezzogiorno è previsto il Pontificale all’altare della Cattedra; a fine pomeriggio, i primi vespri della Festa di Cristo Re, sempre nella chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini; nella stessa chiesa, infine la S. Messa solenne di chiusura la domenica conclusiva, 28 ottobre, Festa di Cristo Re.


Il crescente successo dell’iniziativa ne ha reso sempre più complessa l’organizzazione, affidata ad un pool di volontari coordinati dal CISP, sotto la guida di Giuseppe Capoccia e Guillaume Ferluc, rispettivamente Delegato Generale e Segretario Generale, cui si affianca l’Abbé Claude Barthe, cappellano del Pellegrinaggio. Alcuni aspetti particolari sono affidati alle cure di specifici partners organizzativi: così Oremus Paix Liturgique si occupa dell’ormai consueta e apprezzatissima riunione per il clero che segue il Pontificale in San Pietro, il sabato, mentre Juventutem riunisce i giovani pellegrini; il CNSP si occupa dell’Adorazione Eucaristica e della processione dei fedeli verso la Basilica Vaticana, prima del Pontificale. Quest’anno Oremus Paix Liturgique ha organizzato anche il primo Forum del Populus Summorum Pontificum, che si terrà presso l’istituto di Patristica «Augustinianum» nella mattinata di venerdì 26 ottobre. Si considera che, sulla scia delle precedenti edizioni, sono attesi circa 2000 partecipanti (ma il dato è in tendenziale e costante crescita), e che la gestione del pellegrinaggio è davvero affidata a volontari puri, si può comprendere come si tratti di un’operazione assai impegnativa. Anche sotto il profilo del finanziamento, frutto di donazioni private e delle offerte dei pellegrini, il pellegrinaggio diviene di anno in anno più oneroso: ma va detto che la Provvidenza non ha mai fatto mancare il Suo sostegno, sicché si è sempre potuto far quadrare i conti.

È da auspicare che il coetus fidelium intensifichi la sua presenza e partecipazione, dicono gli organizzatori. “Il Pellegrinaggio romano – dice Marco Sgroi, rappresentante nazione del Summorum Pontificum – è un dono che la Provvidenza ci fa per così dire a domicilio: sappiamo coglierne le potenzialità anche per valorizzare a livello locale l’apostolato liturgico – ma non solo liturgico – cui siamo chiamati, per consolidare i nostri gruppi, per sentirci parte viva di un movimento vivo, per confermarci nella buona battaglia, per dimostrare la nostra gratitudine ai sacerdoti che, spesso a costo di gravosi sacrifici, celebrano per noi la S. Messa tradizionale. È in questo spirito che il CNSP ha adottato una specie di proprio motto per il Pellegrinaggio: tutti a Roma!”.



Il programma del settimo pellegrinaggio internazionale a Roma del popolo Summorum Pontificum

Da venerdì 26 a domenica 28 ottobre si terrà il VII pellegrinaggio internazionale a Roma del popolo Summorum Pontificum. Quest’anno, sarà Mons. Czeslaw Kozon, Vescovo di Copenaghen, a guidare i pellegrini lungo il cammino di S. Pietro.

Il pellegrinaggio del Populus Summorum Pontificum 2018 inizierà ufficialmente alle h. 18 di venerdì 26 ottobre, con la celebrazione di una Messa solenne nella chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini. Sede della parrocchia personale istituita nel 2008 su richiesta di Papa Benedetto XVI, la chiesa, costruita nel sito dell’ostello in cui S. Filippo Neri si prendeva cura dei pellegrini e dei poveri, è il fulcro abituale del pellegrinaggio.

In occasione dei 30 anni della Fraternità sacerdotale San Pietro (FSSP) che ha segnato la prima riconciliazione di una parte dei preti lefebvriani con Roma, gli organizzatori del pellegrinaggio hanno tenuto ad invitare un sacerdote rappresentativo dell’espansione della FSSP nel mondo: don Charles Ike, sacerdote della Nigeria, primo sacerdote devoto alla liturgia tradizionale mai ordinato in Africa sin dalla riforma liturgica.

«Il Motu Proprio Ecclesia Dei Afflicta del 1988, che ha fatto nascere i diversi Istituti Ecclesia Dei, ha preparato il terreno al Motu Propio Summorum Pontificum, permettendo la formazione di una generazione di sacerdoti votati alla celebrazione della liturgia tradizionale. Primo Istituto Ecclesia Dei per numero di membri, circa 300, e per anzianità, la FSSP è anche un partner fedele del Populus Summorum Pontificum per il tramite della parrocchia della Trinità dei Pellegrini, i cui parroci – ieri p. Kramer, oggi p. Sow – ci accolgono sempre volentieri», spiega Giuseppe Capoccia, Delegato Generale del CISP.

Il sabato è la giornata focale del pellegrinaggio, con la processione solenne per le vie di Roma e la Messa pontificale celebrata nella Basilica di S. Pietro. Quest’anno, gli organizzatori hanno invitato a celebrare nella basilica vaticana il Vescovo di Copenaghen, diocesi che comprende tutta la Danimarca, fino alle isole Faroe e alla Groenlandia.

Alle h. 9,30 i pellegrini si ritroveranno nella Basilica di S. Lorenzo in Damaso, in piazza della Cancelleria, per l’Adorazione Eucaristica (sarà possibile confessarsi). Alle h. 10,30 prenderà avvio la processione, imboccando via del Pellegrino per poi raggiungere Ponte Sant’Angelo e di lì piazza San Pietro, dopo aver percorso tutta via della Conciliazione.

La Messa pontificale celebrata da mons. Kozon inizierà a mezzogiorno. Predicherà Sua Eminenza, il cardinale Angelo Comastri, Arciprete della basilica vaticana. I canti della Messa saranno diretti anche quest’anno dal maestro Aurelio Porfiri, che l’anno scorso aveva appositamente composto una Messa per il decennale del Motu Proprio Summorum Pontificum. Quest’anno, proporrà ai pellegrini la Messa cum jubilo insieme a brani della tradizione romana per il proprio.

Alle h. 18, di nuovo nella chiesa della Trinità dei Pellegrini saranno cantati i Primi Vespri della Festa di Cristo Re, presieduti da Mons. François Bacqué, Arcivescovo di Gradisca, che ha servito come Nunzio Apostolico in particolare in Olanda.

Domenica 28 ottobre, Festa di Cristo Re, alle 9,30 sarà celebrata una Messa solenne nella chiesa di Gesù e Maria (Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote – ICRSS – Via del Corso), destinata ai pellegrini che desiderano poi assistere all’Angelus papale, mentre mons. Kozon celebrerà alle h. 11 alla Trinità dei Pellegrini la Messa di chiusura del pellegrinaggio.

Venerdì 26 ottobre, in preparazione al pellegrinaggio, Paix Liturgique e le federazioni internazionali Una Voce e Juventutem, organizzano una giornata di conferenze per esplorare lo sviluppo della forma straordinaria del rito romano nel mondo.

L’incontro si terrà presso l’Istituto di patristica Augustinianum, situato di fronte al Sant’Uffizio, subito fuori da Piazza San Pietro (via Paolo, VI, 25) ed inizierà alle ore 10 (accoglienza dei partecipanti dalle 9.15 in poi, gratuito per il clero).

Sito Internet del pellegrinaggio:

https://populussummorumpontificum.com/de-es-fr-it-pl-pt/













mercoledì 17 ottobre 2018

Card. Sarah: “Annacquare” l'insegnamento della Chiesa non attirerà i giovani






mercoledì 17 ottobre 2018


[Traduzione di Chiesa e postconcilio dal Catholic Herald ]

Al Sinodo dei vescovi il card. Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino e i Sacramenti, ha dichiarato che solo perché alcuni giovani non sono d’accordo con l’insegnamento morale cattolico, anche nel campo della sessualità, ciò non significa che gli insegnamenti della Chiesa siano poco chiari o debbano cambiare.


Nella sessione di martedì scorso, il cardinale ha detto che la Chiesa e i suoi pastori dovrebbero “proporre coraggiosamente l’ideale cristiano secondo la dottrina morale cattolica e non annacquarla, nascondendo la verità per attirare i giovani in seno alla Chiesa”. E ha notato come, in preparazione del Sinodo, alcuni giovani hanno chiesto alla Chiesa chiarezza nel presentare il suo insegnamento su “alcune questioni che stanno loro particolarmente a cuore: libertà in linea generale e non solo nei rapporti sessuali, non discriminazione in base all’orientamento sessuale, uguaglianza tra uomini e donne, anche nella Chiesa, ecc.”

Altri, tuttavia, egli ha detto, “esigono non solo una discussione aperta e senza pregiudizi, ma anche un cambiamento radicale, un vero e proprio capovolgimento da parte della Chiesa nel suo insegnamento in questi ambiti”. E ha aggiunto: l’insegnamento della Chiesa può non essere condiviso da tutti, ma nessuno può dire che non sia chiaro. Tuttavia, si può verificare “una mancanza di chiarezza da parte di alcuni pastori nello spiegare la dottrina” e ciò richiede “un profondo esame di coscienza”.


Il cardinale Sarah ha indicato la storia evangelica del giovane ricco che ha chiesto a Gesù che cosa deve fare per ottenere la vita eterna; Gesù gli ha detto di vendere tutto quello che aveva e di seguirlo, aggiungendo che “Gesù non ha abbassato le prerogative della sua chiamata” e ciò vale anche per la Chiesa.


Infatti, caratteristica dei giovani è il loro idealismo e le loro alte finalità, non solo per quanto riguarda le ambizioni professionali e personali, ma anche nell’ambito della “giustizia, della trasparenza nella lotta alla corruzione e nel rispetto della dignità umana”.


Il cardinale ha detto: “Sottovalutare il sano idealismo dei giovani” è un grave errore e segno di mancanza di rispetto, oltre al fatto che “chiude la porta a un vero processo di crescita, maturazione e santità”. E d'altra parte, “rispettando e promuovendo l’idealismo dei giovani, essi possono diventare la risorsa più preziosa per una società che vuole crescere e migliorare”.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]






lunedì 8 ottobre 2018

Durezza di cuore







Giovanni Scalese

Al di là delle tante considerazioni che si possono fare sul vangelo di questa domenica, mi ha 
particolarmente impressionato il linguaggio che Gesú usa con i farisei. Da notare, come premessa, che Gesú, ai farisei che lo interrogano sulla liceità del divorzio, chiede: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Segno, questo, che egli si attende che essi rispondano citando il sesto comandamento («Non commettere adulterio»). E invece quelli replicano: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Ignorando la legge che proibisce, ricordano l’eccezione che autorizza. Ebbene, per giustificare la deroga fatta da Mosè al comandamento di Dio, Gesú dà la seguente spiegazione: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma».


Mi hanno colpito molto queste parole di Gesú. Oggi un’affermazione del genere sarebbe inconcepibile. A seguito della “conversione pastorale” che la Chiesa ha compiuto negli ultimi cinquant’anni e che ha visto una forte accelerazione nell’ultimo quinquennio, nessuno si sognerebbe di rispondere nel modo in cui ha risposto Gesú. Oggi si direbbe: Per la vostra debolezza, per la vostra fragilità Mosè ha previsto una deroga al comandamento. E invece no; Gesú dice: «Per la durezza del vostro cuore». Si direbbe che, se in questo brano evangelico c’è qualcuno duro di cuore, secondo i parametri dell’odierna pastorale, questi sia proprio Gesú, non certo i farisei, che invece sono preoccupati di trovare nelle pieghe della legge divina, cosí esigente, qualsiasi appiglio per venire incontro alla fragilità umana. Gesú, anziché commuoversi di fronte alle difficoltà, alle prove, alle ferite di un’umanità sofferente, parla di “durezza di cuore”. A quanto pare, Gesú non si fa scrupolo di rinfacciare a questa umanità tanto piagata la sua durezza di cuore. Vogliamo accusare Gesú di insensibilità, di rigidità, di scarso senso pastorale, di chiusura dinanzi alle prove della vita e alla debolezza della natura umana? O, vista la distanza che separa il nostro linguaggio dal suo linguaggio, non sarà piuttosto il caso di interrogarci sulla validità degli attuali metodi pastorali?


Di fronte alla condiscendenza di Mosè e dei farisei verso l’umana debolezza, Gesú non esita a proporre agli uomini il progetto iniziale di Dio in tutta la sua purezza e sublimità. Un ideale astratto, lo si liquiderebbe sbrigativamente ai nostri giorni; un ideale che ignora i limiti oggettivi della nostra condizione creaturale. Se Gesú si mostra cosí esigente con noi, ci sarà pure un motivo. Non è forse venuto nel mondo proprio per risanare l’umanità malata e permetterle di rispondere, con la grazia, alla sua sublime vocazione? Il Concilio di Trento, citando Sant’Agostino, ci assicura: «Dio non comanda l’impossibile; ma, quando comanda, ti ammonisce di fare quello che puoi e di chiedere quello che non puoi, e ti aiuta perché tu possa farlo» (Decreto sulla giustificazione, c. 11; cf Agostino, De natura et gratia, 43, 50).
Q

Pubblicato da Querculanus 












venerdì 5 ottobre 2018

P. Serafino M. Lanzetta. Alla radice della presente crisi della Chiesa






L’autore, in passato appartenente ai Francescani dell’Immacolata, insegna teologia dogmatica alla facoltà teologica di Lugano, in Svizzera, e presta servizio pastorale in Inghilterra, nella St. Mary’s Church di Gosport, diocesi di Portsmouth. Tra i suoi libri si distingue, tradotto anche in inglese: “Il Vaticano II, un concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari”, Cantagalli, Siena, 2016.

Di particolare attualità è il suo riferimento, tra le radici dell’attuale crisi, alla contestazione intraecclesiale contro l’enciclica “Humanae vitae”, testo capitale del magistero di Paolo VI, il papa che sarà proclamato santo domenica 14 ottobre.






di Serafino M. Lanzetta

La Santa Madre Chiesa è dinanzi a una crisi senza precedenti in tutta la sua storia. Abusi di ogni tipo, specialmente nella sfera sessuale, sono sempre esistiti tra il clero. Tuttavia, l’epidemia corrente è atipica in ragione dell’intersecarsi di una crisi morale e di una dottrinale, le cui radici sono più profonde del semplice comportamento scorretto di alcuni membri della gerarchia e del clero. Bisogna raschiare la superficie e scavare più in profondità. La confusione dottrinale genera il disordine morale e viceversa; gli abusi sessuali hanno prosperato per tanti anni sotto la copertura della noncuranza, al punto di riuscire a trasformare in modo silenzioso la dottrina relativa alla morale sessuale in un fatto semplicemente anacronistico.

Senza dubbio, come ha detto il vescovo inglese Philip Egan di Portsmouth, questa crisi si dipana su tre livelli: “primo, un presunto catalogo di peccati e di crimini commessi contro i giovani da parte di membri del clero; secondo, i circoli omosessuali centrati attorno all’arcivescovo Theodore McCarrick, ma presenti anche in altre aree della Chiesa; quindi, terzo, la cattiva gestione e la copertura di tutto ciò da parte della gerarchia fino ai circoli più alti”.

Quanto lontano dovremmo andare per identificare le radici di questa crisi? Possiamo considerare, tra l’altro, in modo essenziale due cause morali quali radice principale. Una è legata in modo remoto al problema odierno che affligge la Chiesa, l’altra in modo prossimo.

*

La prima causa può essere individuata nell’opposizione all’interno della Chiesa all’enciclica “Humanae vitae”. Obiettando contro l’indissolubile alleanza tra il principio unitivo e quello procreativo del matrimonio, si faceva strada al tollerare ogni altra forma di unione, giustificandola in nome dell’amore. L’amore doveva essere posto prima e al di sopra della fissità della natura. La contraccezione sarebbe stata vista come un mezzo morale legittimo mediante il quale salvaguardare la priorità della responsabilità dell’uomo rispetto alla legge di Dio, sia naturale che soprannaturale.

In realtà, lo scenario che si apriva fu abbastanza diverso. Difatti, se la procreazione non era più il fine primario del matrimonio, bisognava non solo separarla dall’amore, ma, al contrario, l’amore doveva essere separato dalla procreazione, fino a giustificare una procreazione senza unione quale logica conclusione di un amore senza procreazione. Un amore sterile, isolato dal suo contesto naturale e sacramentale, fu spinto forzosamente nella società e nella Chiesa.

Era in gioco l’identità dell’amore. Come recentemente sottolineato dal vescovo Kevin Doran, presidente della commissione di bioetica della conferenza episcopale irlandese, c’è una “connessione diretta tra la ‘mentalità contraccettiva’ e un numero sorprendentemente così alto di persone che sembrano pronte a ridefinire il matrimonio oggi come relazione tra due persone senza distinzione di sessi”. Egli ha anche aggiunto che se l’atto dell’amore può essere separato dal suo fine procreativo, “allora è anche abbastanza difficile spiegare perché il matrimonio deve essere tra un uomo e una donna”.

La crisi attuale della Chiesa è da un lato la manifestazione di una crisi di identità sessuale, una ribellione ideologica contro il magistero ancorato a una perenne tradizione morale; dall’altro, l’incapacità di guardare al vero problema, cioè, l’omosessualità e i circoli omosessuali tra il clero. Più dell’80 per cento dei casi di abusi sessuali noti commessi dal clero, infatti, non sono casi di pedofilia ma di pederastia. La convinzione che ogni forma di amore deve essere accettata è diventata un luogo comune è ciò in ragione dell’aver allentato il divieto della contraccezione, anche senza cambiare le formule dogmatiche. La vera essenza del Modernismo consiste nel cambiare la teoria con la prassi, abituando le persone agli usi accettati dalla maggioranza.

“Humanae vitae” fu oggetto di una protesta mai vista prima, sollevata dall’interno della Chiesa. Un libro intitolato “The Schism of ’68” descrive tra le altre cose come i cattolici si battevano per un aggiornamento sessuale. “Aggiornamento” era una delle parole-chiavi per interpretare il Vaticano II e i suoi documenti.

Cardinali, vescovi ed episcopati presero attivamente parte in questa ribellione. Il primate del Belgio, cardinale Leo Joseph Suenens, dopo la pubblicazione dell’enciclica riuscì a far pubblicare dall’intero episcopato belga una dichiarazione in opposizione a “Humanae vitae” in nome di una supposta libertà di coscienza. Questa dichiarazione, insieme con quella formulata dall’episcopato tedesco servì da modello per la protesta di altri episcopati. Il cardinale John C. Heenan di Westminster descrisse la pubblicazione dell’enciclica di papa Giovanni Battista Montini sulla trasmissione della vita come “il più grande shock dal tempo della Riforma”. Il cardinale Bernard Alfrink, insieme con nove altri vescovi olandesi, votò perfino a favore di una dichiarazione di indipendenza, la quale invitava il popolo di Dio a rigettare il divieto della contraccezione.

In Inghilterra, più di 50 sacerdoti firmarono una lettera di protesta pubblicata sul “Times”. Tra questi sacerdoti c’era anche Michael Winter, il quale, descrivendo la sua decisione di lasciare il sacerdozio, disse che fu scatenata dalla crisi su “Humanae vitae”. Winter poi si sposò e nel 1985 pubblicò un libro dal titolo “Whatever happened to Vatican II?”, allo scopo di risuscitare l’insegnamento conciliare da ciò che lui percepiva come suo affossamento da parte delle autorità romane. Forse era convinto che la radice della contraccezione, quantunque percepita come supremazia dell’amore, era da ritrovarsi nell’insegnamento del Vaticano II. Winter è anche membro fondatore del Movimento per un clero sposato. Ciò che è veramente sorprendente – Winter non è il solo caso – dal punto di vista del clero è il dramma che alcuni di loro vissero quando, con parole loro, il peso del divieto della contraccezione fu messo sulle spalle dei laici. Come potevano veramente capire – se proprio era tale – una tale sofferenza?

Tuttavia, il punto qui è un altro: se una protesta “ufficiale” contro “Humanae vitae”, guidata da cardinali e vescovi, fu ritenuta legittima in ragione della sua armonia con l’ideologia del momento – non dimentichiamo che in quegli anni il movimento del ’68 era intento a sovvertire la morale cristiana in nome del sesso libero – allora è difficile non vedere perché una mentalità “ufficiale” che giustifica l’omosessualità nel clero e ogni tipo di unione sessuale non avrebbe potuto prendere il sopravvento e un giorno diventare maggioritaria.

“Se la questione è davanti alla barra della coscienza”, come scrisse Tom Burns sul “Tablet” del 3 agosto 1968 (lo stesso editoriale è stato ripubblicato il 28 luglio 2018), ci può sempre essere una coscienza che rigetta la barra come tale. Una coscienza senza la previa illuminazione della verità è come una barca sballottata dalle onde del mare. Prima o poi affonda. La sola coscienza – cioè una coscienza senza la verità – non è coscienza morale. Essa deve essere educata al fine di conseguire il bene e rigettare il male.

Non è un mistero che coloro che sono a lavoro per seppellire definitivamente “Humanae vitae” gioiscono alla promulgazione di “Amoris laetitia”, come se fosse stato finalmente colmato il vuoto dell’amore nell’insegnamento della Chiesa. Un certo sforzo teologico attuale mira a superare “Humanae vitae” con “Amoris laetitia” in modo che questo recente insegnamento di papa Francesco sull’amore nella famiglia sia direttamente legato a “Gaudium et spes” senza nessun riferimento ad “Humanae vitae” e a “Casti connubii”. La tentazione di isolare il Vaticano II rispetto all’intera tradizione della Chiesa è ancora forte. Ma come alla “sola coscienza”, così accade anche a un singolo documento del magistero come “Gaudium et spes” e “Amoris laetitia”. Nessun documento può essere letto alla luce di se stesso, ma solo alla luce dell’ininterrotta tradizione della Chiesa.

*

Dopo un’accesa ribellione, cominciò il silenzio della dottrina. E così veniamo alla radice prossima di questo scandalo: la copertura della dottrina del peccato. La parola “peccato” iniziò a scomparire già dalla predicazione post-conciliare. Il peccato, quale separazione da Dio e offesa contro di lui per ripiegarsi sulle creature, fu ignorato. Questo straordinario vuoto lasciato dalla dottrina del peccato fu riempito da valutazioni psicologiche di una multiforme condizione di debolezza nell’uomo. La teologia spirituale fu sostituita con la lettura di Freud e Jung, veri maestri di molti seminari. Il peccato divenne irrilevante, mentre l’auto-stima e il superamento di ogni tabù, specialmente nella sfera sessuale, divennero le nuove password ecclesiastiche.

D’altra parte, una nuova teologia della misericordia, specialmente quella promossa dal cardinale Walter Kasper, ha favorito una nuova visione della misericordia di Dio quale attributo intrinseco dell’essenza divina (se è così, c’è allora un perdono divino di Dio con Se stesso, dal momento che la misericordia richiede il pentimento e il perdono?) così da superare la giustizia punitiva trasformandola in un amore sempre-perdonante. In questa nuova definizione, la punizione eterna nell’inferno ha ancora qualcosa da dire? La misericordia è diventata un surrogato teologico per coprire (e insabbiare) il peccato, ignorandolo e accogliendolo sotto il manto del perdono. L’idea di Lutero circa la giustificazione non è lontana da questo modo di vedere.

Sarebbe interessante chiedere a coloro che tra il clero commettono questi crimini orribili cosa pensano del peccato. La parola della Sacra Scrittura “… coloro che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne, con i suoi vizi e le sue concupiscenze” (Galati 5, 24), potrebbe apparire facilmente come moralità vecchio stampo, non perché le Parola di Dio sia sbagliata o non ispirata dallo Spirito Santo, ma semplicemente perché proporre un tale insegnamento alla società di oggi sarebbe meramente anacronistico, fuori moda. Lo spirito del mondo – spesso mescolato a un supposto “spirito del Concilio” – ha soffocato la vera dottrina della fede e della morale.

È anche il clericalismo una radice di questa crisi di abusi sessuali? Papa Francesco l’ha ripetuto più volte. Certamente è il potere clericale che si brandisce nella schiavizzazione sessuale di seminaristi e di uomini in formazione. Però è molto difficile capire come il clericalismo possa spiegare la predazione di generazioni di seminaristi se l’omosessualità non gioca nessun ruolo. Sarebbe come dire che un gran bevitore è sempre ubriaco non perché abbia un’abitudine al bere, ma perché ha molti soldi che può spendere nel comprarsi tutto l’alcool che vuole.

Il clericalismo non può essere l’unica risposta, anche perché c’è un’altra sua forma – più sottile, ma spesso ignorata – che è di gran lunga peggiore: fare uso del proprio potere clericale per pervertire la buona dottrina. Il clero facilmente si inventa proprietario del Vangelo, prendendosi licenze di dispensare dai precetti di Dio e della Chiesa secondo la teologia del momento. Quando non ci si attiene più alla retta dottrina della Chiesa, si cade facilmente nel burrone del mero divertimento e del peccato. Al contrario, una vita di peccato senza la grazia di Dio che santifica è il miglior alleato nella manipolazione della dottrina. Dottrina di fede e vita morale vanno sempre insieme.

A modo di sintesi: la radice principale di questo scandalo gravissimo è il modernismo, che oggi è già diventato un post-modernismo. Dal favorire il cambiamento delle formule dogmatiche con lo scorrere del tempo, siamo passati a ignorarle completamente. La dottrina è al sicuro come un libro importante su uno scaffale molto polveroso, ma non ha nulla da dire al palpito della vita quotidiana.

Non ci dovrebbe essere più nessun dubbio circa la vastità di questa crisi e la necessità di intervenire con un’azione tale da sradicare il male alla radice. Però questa azione drastica, che speriamo possa essere presto all’opera, non sarà efficace se prima di tutto non ritorniamo alla verità dell’amore, capendo sapientemente che la mentalità contraccettiva ha portato solo un rigido inverno demografico con una cultura di morte. La contraccezione è un amore sterile che apre alla possibilità di un amore fuori dal suo contesto, oltre se stesso, immaturo. Un amore morto ora minaccia la Chiesa con una visibile ripercussione negli abusi sessuali e negli scandali del clero. La mentalità del mondo ha avuto un violento impatto sulla vita della Chiesa.

Infine, dovremmo pure ritornare a chiamare le cose con il loro nome. Peccato è ancora peccato. Se non abbiamo la forza di farlo, è già segno che esso ha prevalso. Se invece chiamiamo il peccato con il suo nome, allora si prepara la via a sradicarlo.















martedì 2 ottobre 2018

Gli Angeli nella vita dei Santi - Storie straordinarie!






Di Don Marcello Stanzione

La devozione ai Santi Angeli ci stimola potentemente nella nostra ascesa quotidiana verso la santità. Bisognerebbe scrivere un'enciclopedia sui rapporti tra i santi e gli angeli perché è infinito il numero dei cristiani santi che hanno avuto una grande familiarità con gli spiriti celesti.

San Francesco d'Assisi nacque verso il 1182 e dopo una gioventù libertina si convertì e ricevette da Dio le stigmate. Il suo biografo San Bonaventura da Bagnoregio così descrive questo episodio della vita di San Francesco:

« Una mattina, verso la festa dell'Esaltazione della Croce, mentre pregava in un luogo appartato del monte, vide scendere dal cielo un Serafino con sei ali infuocate e risplendenti. Quando questi, con volo rapidissimo, giunse nell'aria vicina al luogo dov'era l'uomo di Dio, tra le ali apparve l'immagine di un uomo crocifisso... Delle ali due si alzavano sul capo, due si aprivano al volo e due ne ricoprivano tutto il corpo. A questa vista il Santo rimase stupefatto, mentre il suo cuore fu preso da un sentimento misto di tristezza e di gaudio. Si rallegrava, infatti, dello sguardo grazioso col quale si vedeva guardato da Cristo apparsogli sotto l'immagine di un Serafino; ma, a vederlo crocifisso, l'anima sua si sentiva trapassata dalla spada d'una dolorosa compassione. Era sommamente meravigliato per questa visione che gli sembrava incom¬prensibile, sapendo bene che il dolore della passione non si concilia in alcun modo con la beatitudine di un Serafino. Alla fine, però, il Signore gli fece comprendere che tale visione era stata offerta ai suoi occhi dalla provvidenza divina, affinché questo amico di Gesù Cristo fosse preavvertito che sarebbe stato totalmente trasformato per assomigliare a Cristo Crocifisso, e non col martirio della carne ma con l'incendio amoroso del suo spirito. Quando la visione scomparve, lasciò nel cuore di Francesco un meraviglioso fervore ma anche nella carne di lui erano rimasti impressi i segni non meno meravigliosi della passione di Cristo. Subito, infatti, cominciarono ad apparire nelle mani e nei piedi di lui i segni dei chiodi, come poco prima l'immagine dell'uomo crocifisso ».

Sempre San Bonaventura racconta un altro episodio angelico nella vita di San Francesco:

« Essendo egli tanto debole a causa delle sue infermità ebbe il desiderio di ascoltare il suono di qualche strumento a sollievo del suo spirito. Ed ecco che a soddisfare il desiderio del Santo venne una schiera di angeli ». Questa musica celestiale fu udita anche dagli altri frati che si trovavano presso il Santo.

Santa Teresa d'Avila (1515-1582), grande Riformatrice dell'Ordine Carmelitano, ebbe numerosi incontri con gli Angeli, fu la prima donna ad essere proclamata Dottore della Chiesa. Santa Teresa fu la mistica che ebbe il più misterioso incontro tra un essere umano e un essere celeste. Tale storico incontro fu reso famoso dal grande scultore Bernini che scolpì "L'estasi di Santa Teresa". La mistica spagnola così descrive tale incontro celestiale:

« Vedevo vicino a me, sul lato sinistro, un Angelo con sembianze corporee. Era piccolo e molto bello; con il suo viso appassionato pareva essere tra i più elevati tra coloro che sembrano incendiati d'amore, che io chiamo Cherubini poiché non mi hanno mai rivelato il loro nome. Ma vedo chiaramente nel cielo una così grande differenza tra certi Angeli e altri che non saprei nemmeno spiegarla. Vedevo dunque l'Angelo che teneva in mano un lungo dardo in oro, la cui estremità di ferro pareva infuocata. Mi sembrava che lo conficcasse dritto nel mio cuore, fino a giungere alle viscere. Quando lo estrasse, si sarebbe detto che il ferro le avesse portate via con sé e mi lasciò tutta immersa in un infinito amore per Dio. Il dolore era così vivo che mi faceva emettere grida fortissime. Ma la soavità procuratami da quell'incomparabile tormento è così immensa che l'anima non poteva desiderarne la fine, né accontentarsi di altro al di fuori di Dio. Non è una sofferenza corporale, bensì Spirituale... È uno scambio d'amore così dolce tra Dio e l'anima che supplico il Signore di degnarsi, nella sua immensa bontà, di elargirne altrettanto a coloro che presteranno fede alle mie parole ».

La beata Agnese da Montepulciano (1268-1317) ricevette dieci volte la Santa Comunione dalle mani di un Angelo e fu più volte consolata dalle visioni degli Angeli dai quali ricevette anche l'ordine di costruire un nuovo monastero.

Sembra che le attività degli Angeli siano state uno degli oggetti preferiti della contemplazione di San Tommaso d'Aquino (1225-1274). Per ricompensare la dedizione del suo affezionato segretario, fra Reginaldo da Priverno, compose il "De substantiis separatis", che è un trattato sugli Angeli. San Tommaso tratta spesso degli Angeli nella Somma teologica e nella Somma filosofica. Gli Angeli custodi, scrive nella sua prima grande opera, ci istruiscono illuminando le nostre immagini, fortificando il lume della nostra intelligenza, portandoci ad una migliore conoscenza delle cose.

Santa Giovanna d'Arco (1412-1431), patrona della Francia, era una semplice contadinella quando, ispirata da Dio, lasciò la casa paterna per farsi guerriera e liberare la Francia dagli invasori inglesi. Accusata ingiustamente di eresia morì martire sul rogo. Santa Giovanna d'Arco fornì ai giudici questa preziosa testimonianza di come gli Angeli le affidassero il compito di riscattare la patria e la guidarono nelle mosse da compiere:

« Quando avevo all'incirca tredici anni cominciai a udire la voce di Dio che mi guidava e la prima volta provai una grande paura. Sentii quella voce, durante l'estate, nel giardino di mio padre, verso il mezzogiorno... essa proveniva dal lato destro dov'era la chiesa e di rado la sentivo senza vedere anche un forte chiarore nella stessa direzione. Sentii la voce tre volte e compresi che si trattava della voce di un Angelo... la prima volta pensai che fosse l'Arcangelo Michele ed ebbi molta paura; successivamente lo vidi molte volte, prima di sapere che era proprio lui. Vidi l'Arcangelo e gli Angeli con questi miei occhi così come vedo voi. E quando si allontanarono da me piansi perché avrei voluto che mi portassero con loro... Dissi alla voce che ero una povera ragazza e che non sapevo né cavalcare né fare la guerra ».

Santa Angela da Foligno così scrisse riguardo agli spiriti celesti:

« Provavo una tale gioia per la presenza degli Angeli e i loro discorsi mi riempirono di così tanta felicità che non avrei mai creduto che i santissimi Angeli fossero così gentili e capaci di donare alle anime tali delizie. Avevo pregato gli Angeli, in modo particolare i serafini, e i santissimi custodi mi dissero: ora ricevi quello che i serafini possiedono e potrai così partecipare alla loro gioia ».

Un'altra volta la Beata Angela da Foligno così scrisse:

« Scorsi nella mia anima due gioie perfettamente distinte: una proveniva da Dio, l'altra dagli angeli e non si assomigliavano. Ammiravo la magnificenza di cui il Signore era circondato e chiesi come si chiamava ciò che stavo osservando. Sono i Troni - disse la voce. La moltitudine era abbagliante e infinita tanto che, se il numero e la misura non fossero leggi della creazione, avrei creduto che la folla sublime davanti ai miei occhi fosse innumerevole e smisurata. Non scorgevo né l'inizio né la fine di quella folla il cui numero trascende le nostre cifre ».

Sant'Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, parla degli Angeli nel suo libro "Esercizi Spirituali”, del 1535. Nelle regole volte al maggior discernimento degli spiriti, S: Ignazio annota:

« Prima regola: è proprio di Dio e degli Angeli conferire nei loro motivi vera letizia e gioia spirituale, togliendo ogni tristezza e ogni turbamento a cui induca il nemico ».

L'Angelo è quindi per S. Ignazio di Loyola il messaggero della vera armonia, e quando entriamo in comunicazione con lui, corpo e anima esultano e abbandonano qualsiasi legame insito nella fragilità della nostra condizione. Per S. Ignazio a seconda della nostra intima disposizione ad accogliere l'Angelo, esso diventa consolatore o vendicatore come scrive nella settima regola:

« A quelli che procedono di bene in meglio, l'Angelo buono tocca l'anima in modo dolce, lieve e soave, come goccia d'acqua che entri in una spugna; e il cattivo gli la tocca invece pungentemente, e con rumore e disturbo, come quando la goccia d'acqua cada nella pietra; e a quelli che procedono di male in peggio, i suddetti spiriti toccano in modo contrario essendo la disposizione dell'anima ad essere contraria o simile a tali Angeli, infatti, quando è contraria, essi entrano con strepito e facendosi sentire, percettibilmente; mentre quando è simile, lo spirito entra in silenzio come in casa sua a porta aperta ».

Questo insegnamento sugli Angeli di S. Ignazio fu accolta e vissuto da numerosi santi gesuiti che diffusero il culto agli Angeli custodi. San Francesco Saverio, prossimo ad andare in Giappone, così scriveva ai suoi confratelli di Goa in India:

« Vivo nella grande speranza che Dio mi stia per concedere la grazia della conversione di questi paesi, poiché non fidando in me stesso, ho posto ogni mia fiducia in Gesù Cristo, nella Santissima Vergine Maria e in tutti i nove Cori degli Angeli, fra i quali ho eletto per protettore il Principe e Campione della Chiesa militante San Michele; e non poco spero in quell'Arcangelo alla cui speciale cura è stato affidato questo gran regno del Giappone. Ogni giorno mi raccomando a questi in modo particolare e a tutti gli Angeli custodì dei giapponesi ».

Un altro santo gesuita fu San Luigi Gonzaga (1568-1591) da uno scritto del quale apprendiamo i suoi propositi e le sue pratiche in onore dei santi Angeli:

« Ti immaginerai di trovarti fra i nove Cori degli Angeli che stanno facendo orazione a Dio e cantando quell'inno: "Sanctus Deus Sanctus fortis, Sanctus Immortalis, Miserere nobis", però ripetendolo tu ancora nove volte, farai con essi la loro orazione. All'Angelo custode ti raccomanderai particolarmente tre volte al giorno: la mattina con l'Angele Dei, la sera con la stessa orazione e durante il giorno quando vai in chiesa a visitare gli altari. Fa' conto che dal tuo Angelo devi essere guidato come un cieco, che non vedendo i pericoli della strada, si mette del tutto nella provvidenza di quello che per mezzo del bastone lo guida ».

San Luigi, grande modello di purezza, si sentiva talmente attratto all'amore verso i santi Angeli che compose in loro onore un breve trattato in cui raccoglie tutto quanto la Sacra Scrittura dice di questi Spiriti celesti.

San Stanislao Kostka (1550-1568) una volta racconta a un novizio gesuita suo compagna:

« Sappiate che essendomi ammalato a Vienna, in Austria, nella casa di un protestante, e desiderando ardentemente ricevere la comunione, mi affidai con devozione a S. Barbara e, mentre il mio cuore era colmo di questo desiderio, apparvero due Angeli nella mia stanza e con essi la Santa martire ed uno degli Angeli mi dette la comunione ».

Un'altra volta S. Stanislao stava viaggiando a piedi attraverso la Germania diretto a Roma, vide una chiesa che una volta era stata cattolica, i fedeli vi stavano entrando ed egli fece lo stesso. S. Stanislao si accorse con tristezza che quella chiesa era diventata un tempio protestante. Ne fu profondamente afflitto, ma la sua amarezza si trasformò in gaudio quando vide un gruppo di Angeli venirgli incontro e uno di essi teneva la Santa Ostia tra le dita. S. Stanislao cadde in ginocchio e ricevette la comunione direttamente dalle mani dell'Angelo.

Santa Rosa da Lima (1586-1617) ebbe grande familiarità con il proprio Angelo custode, più di una volta quando Santa Rosa era ammalata, le portò le medicine necessarie alle sue cure.

San Filippo Neri (1515-1595) fu salvato dal suo Angelo custode che lo sollevò così in alto da evitare che il Santo fondatore dei preti dell'Oratorio fosse travolto da una carrozza trainata da quattro cavalli imbizzarriti che a pazza velocità attraversavano uno stretto vicolo di Roma.

Un'altra volta a San Filippo Neri si fece innanzi un povero per chiedergli l'elemosina, il Santo fece per dare prontamente tutte le poche monete di cui disponeva, ma l'altro disse sorridendo: « Io volevo vedere solamente quello che tu sapevi fare », e scomparve. Come S. Filippo Neri confidava in seguito a due suoi intimi sacerdoti, il pezzente era il suo Angelo custode, il quale era ricorsa a questa simulazione per fargli capire sempre più quanto la carità ai poveri fosse accetta a Dio e ai suoi Angeli.

Il Vescovo S. Francesco di Sales (1576-1622) prima di iniziare le sue omelie, faceva una pausa e guardava i suoi uditori per qualche minuto e nel frattempo si rivolgeva agli Angeli custodi dei suoi fedeli chiedendo di instillare nei cuori dei loro protetti le sue prediche.

San Gerardo Maiella da bambino, a otto anni fece per accostarsi con gli altri fedeli alla Santa Comunione, ma fu respinto dal sacerdote perché a quei tempi la Sacra Particola si riceveva ad un'età maggiore. Confuso ed afflitto, il piccolo Gerardo si mise a piangere. Ma la notte seguente, per mano dell'Arcangelo San Michele, il Signore si donava a lui nella Santa Comunione. Gerardo confidò alla Sig.ra Emanuela Vetronica e ad altre persone di famiglia: « Ieri il prete non volle comunicarmi, ma questa notte sono stato comunicato dall'Arcangelo San Michele ». Quando S. Gerardo, prossimo alla morte, riceverà l'ordine dai suoi superiori di rivelare i segreti dell'anima sua, egli non farà che confermare l'accaduto. Inoltre è anche degno di nota che S. Gerardo desse sempre il posto d'onore all'immagine dell'Arcangelo San Michele.

Santa Margherita Maria Alacoque confidò: « Avevo spesso il conforto di godere della presenza del mio fedele Custode e di essere da lui ripresa e corretta. Una volta, essendomi voluta intromettere a parlare del matrimonio di una mia parente, egli mi fece capire che ciò era indegno di un'anima religiosa e me ne riprese severamente fino a dirmi che, semmai fossi tornata a occuparmi di simili intrighi, egli mi avrebbe nascosto il suo volto ».

San Giovanni Bosco, il fondatore della Congregazione Salesiana, scrisse un opuscoletto popolare per diffondere il culto degli spiriti celesti intitolato: "Il devoto dell'Angelo Custode". La devozione agli Angeli era così familiare a San Giovanni Bosco che un giorno, udendo un gruppo di operai che cantavano i loro stornelli ben ritmati li imparò subito e ne scrisse le note, poi chiese a Silvio Pellico di comporgli alcuni versi che fossero una piacevole invocazione, all'Angelo custode. Il Pellico accettò é ne venne fuori una popolarissima canzone che coinvolgeva i giovani déll'oratorio.

Uno dei più famosi ragazzi dell'oratorio di Don Bosco fu San Domenico Savio (1842-1857). Una volta Raimonda, la sorellina di San Domenico Savio, cadde in uno stagno: Il fratello si tuffó nell'acqua pur non sapendo nuotare. "Dove hai preso la forza?" - gli avevano chiesto alcuni ammiratori del suo gesto. "Non ero solo" - aveva risposto sereno il ragazzo - "io reggevo Raimonda, ma a sorreggere me c'era l'Angelo custode".

Un'altra volta il sole di luglio bruciava la campagna di calore e i contadini avevano sospeso il lavoro. Un contadino, vedendo passare il Santo ragazzo, gli chiese: "Non hai paura di andartene tutto solo per queste strade deserte?" - "Non sono solo" - rispose San Domenico Savio. "Non vedo nessuno con te" - "Voi non vedrete nessuno, eppure c'è: è il mio Angelo custode".

Santa Caterina Labouré (I806-1876) è la figlia della Carità di San Vincenzo de Paoli che ha diffuso la devozione della Medaglia Miracolosa. Era la notte del diciotto luglio 1830 e suor Caterina riposava, quando si sentì chiamare per ben tre volte da una voce. La novizia scostò le tende del suo letto e vide un bellissimo fanciullo vestito dì bianco, la fronte era aureolata di cerchi luminosi. Caterina subito comprese che questo bambino era il suo Angelo custode che con voce celestiale le disse: « Vieni in cappella. Là ti attende la Beata Vergine. Io ti accompagno! ». Erano circa le 23,30. Suor Labouré seguì il suo Angelo che le si pose a sinistra e l'accompagnò per le stanze del monastero. Al suo passaggio lo Spirito celeste diffondeva intorno a sé raggi di luce; le porte si aprivano appena le toccava con là purità del dito è lo lampade si accendevano automaticamente. Arrivati in cappella, Santa Caterina Labouré andò alla balaustra e in ginocchio incominciò a pregare mentre l'Angelo entrò nel presbiterio e si pose a sinistra dell'altare e a mezzanotte le annunziò: « Ecco la Santa Vergine! ». La Madonna le parlò a lungo della missione che la suora avrebbe dovuto svolgere per la gloria di Dio e poi scomparve. Suor Caterina fu quindi accompagnata di nuovo dal suo Angelo custode e ritornò in dormitorio quando già erano le due.

Un'altra Santa che ebbe grande dimestichezza con il suo angelo custode fu Santa Gemma Galgani (1878-1903) la quale si serviva del suo Angelo, come postino, per recapitare a Roma la corrispondenza con il suo direttore spirituale, il padre passionista Germano. Santa Gemma scrive: « La lettera, appena terminata, la do all'Angelo. E qui accanto a me che aspetta ». E le lettere di Santa Gemma misteriosamente giungevano a destinazione senza passare attraverso le poste reali.

Un giorno Santa Gemma fu presa da una certa inquietudine interiore perché il suo confessore era poco esigente con lei che invece non cessava di vedersi "piena di peccati". Uscendo dal confessionale non poté trattenere la sua tristezza, ma racconta:

« Per calmarmi mi si è avvicinato l'Angelo custode, ero in chiesa e pronunciò queste parole: "Ma dimmi a chi vuoi credere, al confessore o alla tua testa? Al confessore che ha continui lumi e assistenza, che ha molta capacità, oppure a te che non hai nulla, nulla, nulla di tutto ciò? O la superba! - mi diceva - vuol farsi maestra, guida e direttrice del confessore!" ».

Santa Gemma, nei suoi diari, rivela anche le particolari delicatezze dell'Angelo nei confronti della sua persona:

« L'Angelo custode non cessa di vigilarmi, di istruirmi e darmi dei saggi consigli. Più volte al giorno mi si fa vedere e mi parla. Ieri mi tenne compagnia mentre mangiavo, però non mi sforzava come fanno gli altri. Dopo che ebbi mangiato non mi sentivo niente bene, allora lui mi porse una tazzina di caffé così buono che guarii subito e poi mi fece un po' riposare ».

In un'altra pagina del suo diario Santa Gemma Galgani annota:

« L'Angelo mi dette da bere alcune gocce di un liquido bianco in un bicchiere dorato, dicendomi che era la medicina con la quale il medico del paradiso guariva gli infermi ».

La realtà dell'Angelo custode era così evidente per Santa Gemma da farle credere che lo vedessero anche le persone che le stavano vicino. Con Santa Gemma concludo questa rapida carrellata sui rapporti fra gli Angeli ed alcuni Santi ricordando ciò che il frate domenicano Sertillanges scrive:

« C'è senza dubbio un nesso fra santità ed esistenza angelica, solo che nessuno è mai diventato santo perché ha visto gli angeli, ma ha visto gli angeli perché è diventato santo ».

Di Don Marcello Stanzione















lunedì 1 ottobre 2018

Pellegrinaggio toscano a Montenero: il resoconto





Il resoconto del Pellegrinaggio toscano di sabato scorso (ormai all'undicesima edizione), dal nostro amico Francesco.
QUI per il privilegio concesso dell'Indulgenza Plenaria per i partecipanti.
QUI qualche articolo di MiL sulle edizioni precedenti.



01-10-2018

Sabato 29 settembre 2018, organizzato dal Coordinamento Toscano Benedetto XVI, si è tenuto l’XI pellegrinaggio al santuario della Madonna delle Grazie di Montenero (LI) dei gruppi toscani di fedeli legati alla tradizione liturgica latino-gregoriana, alla giornata hanno partecipato anche pellegrini giunti da fuori regione.

Il pellegrinaggio ha avuto inizio con l’ascesa dei fedeli verso il santuario durante la quale è stato recitato il S. Rosario; alle 11:30 monsignor Nicola BUX del clero dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto, consultore della Congregazione per le Cause dei Santi, assistito dai canonici dell’Istituto di Cristo Re e Sommo Sacerdote che hanno curato tutto il servizio liturgico, ha celebrato una S. Messa solenne in terzo per la festa della Dedicazione di S. Michele arcangelo; la corale Divini Cantores di Lucca diretta dal M°. Marco Tomei ha cantato la Missa sine nomine di Tommaso Ludovico Grossi da Viadana e altri brani di Palestrina, Felice Anerio e Mozart; durante l’omelia il celebrante ha ricordato ai fedeli che la missione della chiesa cattolica è quella di annunciare Cristo e non parlare di migranti e di ecologia.

Al termine della celebrazione, molto partecipata, i pellegrini e il clero si sono spostati in un ristorante attiguo al santuario per il pranzo.
La bella giornata di fede e devozione alla Vergine si è conclusa nella sala S. Giovanni Gualberto del santuario dove, introdotto dal canonico Federico Pozza ICRSS e preceduto da un breve e applaudito intervento dell’avvocato Marco Sgroi del Coordinamento nazionale Summorum Pontificum che ha salutato i pellegrini intervenuti invitandoli al VII pellegrinaggio “ad Petri sedem” che si terrà dal 26 al 28 ottobre 2018, mons. Bux ha tenuto una conferenza dal titolo La Santa Eucarestia nella crisi della Chiesa cattolica. 

Nella sua relazione il presule pugliese ha ricordato che il laicato consapevole che promuove il recupero della bellezza liturgica è segno delle forze che dall’interno rigenerano la chiesa, istituzione divino-umana che non dobbiamo mai considerare qualcosa d’altro rispetto a noi. 

La crisi della Chiesa cattolica, nella sua parte umana, consiste nel voler inseguire le mode e, d’altro canto, il rimanere nella verità di sempre è il segreto per rimanere giovani. Mons. Bux ha inoltre fatto presente, citando Benedetto XVI, che la crisi consiste innanzitutto e principalmente in un crollo della liturgia e, quindi, anche dell’eucarestia; «con questo crollo molti preti non sanno più quale sia la natura della liturgia», «io prete non posso fare quello che voglio, io prete sono [come] un pubblico ministro dello stato che deve amministrare un rito processuale in tribunale, avete mai visto un giudice o un avvocato che si inventa lui le procedure del processo?». 

La CEI, ha proseguito, ha commissionato uno studio per capire come i migranti si sentono accolti, avrebbe fatto meglio a preoccuparsi di sapere come mai i cattolici non vanno più a messa oppure quale idea essi abbiano di Gesù Cristo. La relazione si è conclusa con l’invito a resistere a questa specie di apostasia che ha preso piede nella chiesa e a rendere ragione, nella carità e nel rispetto, di ciò in cui crediamo e speriamo perché così rimarranno confusi gli avversari.