Il fumo di Satana
Pubblicato 29 agosto 2025
Fu vera riforma o un cedimento allo spirito del mondo? Le radici di un dibattito che continua ancora oggi.
di Don Mario Proietti, 29-08-2025
Fu vera riforma o un cedimento allo spirito del mondo? Le radici di un dibattito che continua ancora oggi.
di Don Mario Proietti, 29-08-2025
Iniziamo il nostro percorso entrando nel vivo della storia. Dopo aver tracciato le linee generali della crisi ecclesiale, vogliamo tornare a uno degli episodi che più chiaramente mostrano come certi fermenti abbiano iniziato a minare la vita della Chiesa molto prima del Concilio Vaticano II.
Come spesso accade, la Chiesa si trovò a precorrere i tempi. Prima ancora che la Rivoluzione francese scoppiasse a Parigi abbattendo la monarchia e con essa l’idea stessa che il potere fosse espressione della volontà di Dio e da Lui benedetto, già un’altra rivoluzione aveva preso forma all’interno della Chiesa. Non con ghigliottine e barricate, ma con decreti sinodali e proposte di riforma radicale: quella del Sinodo di Pistoia del 1786.
Convocato dal vescovo Scipione de’ Ricci, con l’appoggio del granduca Pietro Leopoldo, quel Sinodo volle “aggiornare” la Chiesa secondo i criteri dell’Illuminismo. In esso si anticiparono idee che sarebbero poi esplose nella società civile: riduzione del sacro a ciò che è utile e razionale, sospetto verso le forme popolari di devozione, rivendicazione dell’autonomia delle comunità locali rispetto all’autorità centrale. In altre parole, una vera e propria “rivoluzione francese in seno alla Chiesa”, che Pio VI condannerà pochi anni dopo con la bolla Auctorem fidei (1794).
Parlarne oggi è importante perché ci aiuta a capire che la crisi non nasce negli anni Sessanta, ma covava da secoli e che riaffiorarono sotto altre forme nell’Ottocento e nel Novecento. Conoscere le radici significa evitare letture superficiali e ideologiche: non è il Concilio in sé il colpevole, ma un terreno già segnato da due secoli di tensioni tra fede e modernità.
Alla fine del Settecento la Chiesa si trovava in un contesto scosso da forze nuove e aggressive. L’Illuminismo avanzava con le sue istanze di razionalizzazione, il giurisdizionalismo statale pretendeva di controllare la vita ecclesiale, mentre il giansenismo manteneva viva una tensione rigorista che penetrava anche nei seminari e nelle diocesi.
In Austria l’imperatore Giuseppe II impose i cosiddetti “seminari generali”, sotto controllo statale, con il chiaro intento di sottrarre al Papa la formazione del clero. In Toscana il granduca Pietro Leopoldo appoggiò le riforme ecclesiastiche del vescovo di Pistoia e Prato, Scipione de’ Ricci (1741–1810), che diventerà il principale promotore del Sinodo.
Ricci si presentava come erede di Lodovico Antonio Muratori, con la sua critica alle devozioni popolari e il tentativo di epurare la religione da elementi giudicati superstiziosi. Ma il suo progetto aveva assorbito forti influssi giansenisti e febroniani: la riduzione della liturgia a semplice catechesi, la marginalizzazione della devozione mariana e dei santi, l’idea di una Chiesa federale fatta di comunità locali poco legate a Roma.
Così dal 18 al 28 settembre 1786 si celebrò il Sinodo di Pistoia. Tra le decisioni che furono prese troviamo alcune proposte che, rilette oggi, mostrano chiaramente l’orientamento che lo animava.
Anzitutto, l’uso della lingua volgare nella liturgia. Non si trattava di una semplice traduzione per favorire la partecipazione dei fedeli, come sarebbe stato discusso due secoli dopo al Vaticano II, ma di una scelta ideologica: il latino era visto come un residuo del passato da eliminare, un ostacolo da abbattere più che un patrimonio da custodire.
Un secondo punto fu la forte limitazione del culto dei santi e delle immagini sacre. Tutto ciò che esprimeva la pietà popolare, processioni, feste, devozioni, reliquie, veniva considerato superstizione. Il Sinodo puntava a una religione più “razionale”, spogliata di quegli elementi che invece avevano nutrito per secoli la fede semplice del popolo.
(FONTE)

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