martedì 31 dicembre 2013

Islam e cristianesimo. Dove il dialogo inciampa

                           





Nella "Evangelii gaudium" papa Francesco ha dettato le regole del rapporto con i musulmani. Il gesuita islamologo Samir Khalil Samir le esamina ad una ad a una. E ne denuncia i limiti
  

di Sandro Magister

ROMA, 30 dicembre 2013 – Nel messaggio "urbi et orbi" di Natale papa Francesco ha elevato questa preghiera: "Tu, Signore della vita, proteggi quanti sono perseguitati a causa del tuo nome".

E all'Angelus della festa di santo Stefano, il primo dei martiri, ha di nuovo pregato "per i cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a Cristo e al Vangelo".

Più volte papa Jorge Mario Bergoglio ha manifestato il suo dolore per la sorte dei cristiani in Siria, nel Medio Oriente, in Africa e in altri luoghi del mondo, ovunque sono perseguitati e uccisi, spesso "in odio alla fede" e ad opera di musulmani.

A tutto questo il papa risponde invocando incessantemente "il dialogo come contributo per la pace".

Nella esortazione apostolica "Evangelii gaudium" del 24 settembre, il più importante dei documenti finora da lui pubblicati, Francesco ha dedicato al dialogo con i musulmani i seguenti due paragrafi:

252. In quest’epoca acquista una notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam, oggi particolarmente presenti in molti Paesi di tradizione cristiana dove essi possono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società. Non bisogna mai dimenticare che essi, "professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale". Gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani; Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi. Al tempo stesso, molti di loro sono profondamente convinti che la loro vita, nella sua totalità, è di Dio e per Lui. Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri.

253. Per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni. Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica. Prego, imploro umilmente tali Paesi affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza.

I commenti alla "Evangelii gaudium" hanno prestato scarsa attenzione a questi due paragrafi.

Pochi, ad esempio, hanno notato l'insolito vigore con cui papa Francesco reclama anche nei paesi musulmani quella libertà di culto che i credenti dell'Islam godono nei paesi occidentali.

Chi ha dato evidenza a questo "coraggio" del papa – come il gesuita e islamologo egiziano Samir Khalil Samir – ha però anche rilevato che egli si è limitato a chiedere la sola libertà di culto, tacendo su quella privazione della libertà di convertirsi da una religione all'altra che è il vero punto dolente del mondo musulmano.

Padre Samir insegna a Beirut, Roma e Parigi. È autore di libri e di saggi sull'Islam e sul suo rapporto col cristianesimo e con l'Occidente, l'ultimo pubblicato quest'anno dall'EMI con il titolo: "Quelle tenaci primavere arabe". Durante il pontificato di Benedetto XVI è stato uno degli esperti più ascoltati dalle autorità vaticane e dallo stesso papa.

Lo scorso 19 dicembre ha pubblicato sull'importante agenzia "Asia News" del Pontificio Istituto Missioni Estere un'ampia nota di commento ai passaggi della "Evangelii gaudium" dedicati all'Islam.

Un commento a due facce. Nella prima parte della nota padre Samir mette in luce "le tante cose positive" dette da papa Francesco sul tema.

Ma nella seconda parte ne passa in rassegna i limiti. Con rara franchezza.

Ecco qui di seguito questa seconda parte del suo commento.

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PUNTI DELLA "EVANGELII GAUDIUM" CHE RICHIEDONO CHIARIMENTO

di Samir Khalil Samir



1. I musulmani "adorano con noi un Dio unico, misericordioso" (n. 252)

Io prenderei con cautela questa frase. È vero che i musulmani adorano un Dio unico e misericordioso. Ma questa frase suggerisce che le due concezioni di Dio sono uguali. Invece nel cristianesimo Dio è Trinità nella sua essenza, pluralità unita dall'amore. È un po' più che sola clemenza e misericordia. Abbiamo due concezioni abbastanza diverse dell'unicità divina. Quella musulmana caratterizza Dio come inaccessibile. La visione cristiana dell'unicità trinitaria sottolinea che Dio è Amore che si comunica: Padre-Figlio-Spirito, oppure Amante-Amato-Amore, come suggeriva Sant'Agostino.

Poi, anche la misericordia del Dio islamico cosa significa? Che Lui fa misericordia a chi vuole e non la fa a coloro a cui non vuole. "Dio fa entrare nella Sua misericordia chi Egli vuole" (Corano 48:25). Queste espressioni si trovano in modo quasi letterale nell'Antico Testamento (Esodo 33:19). Ma non si arriva mai a dire che "Dio è Amore" (1 Giovanni 4:16), come si esprime san Giovanni.

La misericordia nel caso dell'islam è quella del ricco che si china sul povero e gli concede qualcosa. Ma il Dio cristiano è Colui che scende verso il povero per innalzarlo al suo livello; non mostra la sua ricchezza per essere rispettato (o temuto) dal povero: dona se stesso per far vivere il povero.


2. "Gli scritti sacri islamici conservano parte degli insegnamenti cristiani" (n. 252)

È vero in un certo senso, ma può essere anche ambiguo. È vero che i musulmani riprendono parole o fatti dei vangeli canonici, ad esempio il racconto del l'Annunciazione si ritrova quasi letteralmente nei capitoli 3 (la famiglia di 'Imr?n) e 19 (Mariam).

Ma più frequentemente il Corano s'ispira ai pii racconti dei Vangeli apocrifi, e non ne tirano il senso teologico che ci si trova, e non danno a questi fatti o parole il senso che hanno in realtà, non per cattiveria, ma perché non hanno la visione globale del messaggio cristiano.


3. La figura di Cristo nel Corano e nel Vangelo (n. 252)

Il Corano si riferisce a "Gesù e Maria [che] sono oggetto di profonda venerazione". A dir il vero, Gesù non è oggetto di venerazione nella tradizione musulmana. Invece, per Maria, si può parlare di una venerazione, in particolare da parte delle donne musulmane, che volentieri vanno ai luoghi di pellegrinaggio mariano.

L'assenza di venerazione per Gesù Cristo si spiega probabilmente per il fatto che, nel Corano, Gesù è un grande profeta, famoso per i suoi miracoli a favore dell'umanità povera e malata, ma non è uguale a Maometto. Solo da parte dei mistici, si può notare una certa devozione, essi lo chiamano anche "Spirito di Dio".

In realtà, tutto ciò che si dice di Gesù nel Corano è l'opposto degli insegnamenti cristiani. Egli non è Figlio di Dio: è un profeta e basta. Non è nemmeno l'ultimo dei profeti perché invece il "sigillo dei profeti" è Maometto (Corano 33:40). La rivelazione cristiana è vista solo come una tappa verso la rivelazione ultima, portata da Maometto, cioè l'Islam.


4. Il Corano si oppone a tutti i dogmi cristiani fondamentali

La figura di Cristo come seconda persona della Trinità è condannata. Nel Corano si dice in modo esplicito ai cristiani: "O Gente della Scrittura, non eccedete nella vostra religione e non dite su Dio altro che la verità. Il Messia Gesù, figlio di Maria, non è altro che un messaggero di Dio, una Sua parola che Egli pose in Maria, uno Spirito da Lui [proveniente]. Credete dunque in Dio e nei Suoi messaggeri. Non dite 'Tre', smettete! Sarà meglio per voi. Invero Dio è un dio unico. Avrebbe un figlio? Gloria a Lui" (Corano 4:171). I versetti contro la Trinità sono molto chiari e non hanno bisogno di tante interpretazioni.

Il Corano nega la divinità di Cristo: "O Gesù, figlio di Maria, sei tu che hai detto alla gente: 'Prendete me e mia madre come due divinità all'infuori di Dio'?" (Corano 5:116). E Gesù lo nega!

Infine, nel Corano è negata la redenzione. Addirittura si afferma che Gesù Cristo non è morto in croce, ma è stato crocifisso un suo sosia: "Non l'hanno ucciso, non l'hanno crocifisso, ma è sembrato loro" (Corano 4:157). In tal modo Dio ha salvato Gesù dalla cattiveria dei giudei. Ma così Cristo non ha salvato il mondo!

Insomma, il Corano e i musulmani negano i dogmi essenziali del cristianesimo: Trinità, Incarnazione e Redenzione. Si deve aggiungere che questo è il loro diritto più assoluto! Ma non si può allora dire che "Gli scritti sacri dell'Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani". Si deve semplicemente parlare del "Gesù coranico" che non ha niente a che vedere con il Gesù dei Vangeli.

Il Corano cita Gesù perché pretende di completare la rivelazione di Cristo per esaltare Maometto. Del resto, vedendo quanto Gesù e Maria fanno nel Corano, ci si accorge che essi non fanno altro che applicare le preghiere e il digiuno secondo il Corano. Maria è certamente la figura più bella tra tutte quelle presentate nel Corano: è la Madre Vergine, che nessun uomo ha mai toccato. Ma non può essere la Theotokos; anzi, è una buona musulmana.


I PUNTI PIÙ DELICATI


1. Etica nell'Islam e nel cristianesimo (252)

L'ultima frase di questo paragrafo della "Evangelii gaudium" dice, parlando dei musulmani: "Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri". Questo è vero e la pietà verso i poveri è un'esigenza dell'Islam.

C'è però una doppia differenza, mi sembra, tra l'etica cristiana e quella musulmana.

La prima è che l'etica musulmana non è sempre universale. Si tratta spesso di aiuto dentro la comunità islamica, mentre l'obbligo di aiuto, nella tradizione cristiana, è di per sé universale. Si nota per esempio, quando c'è una catastrofe naturale in qualche regione del mondo, che i Paesi di tradizione cristiana aiutano senza considerare la religione di chi è aiutato, mentre Paesi musulmani ricchissimi (quelli del Penisola Arabica per esempio) non lo fanno in questo caso.

La seconda è che l'Islam lega etica e legalità. Chi non digiuna durante il mese di Ramadan commette un delitto e va in prigione (in molti Paesi). Se osserva il digiuno previsto, dall'alba al tramonto, è perfetto, anche se dopo il tramonto mangia fino all'alba del giorno seguente, più e meglio del solito: "si mangiano le cose migliori e in abbondanza", come mi dicevano alcuni amici egiziani musulmani. Sembra non esserci altro significato nel digiuno se non ubbidire alla legge stessa del digiuno. Il Ramadan diventa il periodo in cui i musulmani mangiano di più, e mangiano le cose più prelibate. L'indomani, dato che per mangiare nessuno ha dormito, nessuno lavora. Però, dal punto di vista formale, tutti hanno digiunato per alcune ore. È un'etica legalista: se fai questo, sei nel giusto. Un'etica esteriore.

Il digiuno cristiano è invece qualcosa che ha come scopo l'avvicinarsi al sacrificio di Gesù, alla solidarietà con i poveri e non c'è il momento in cui si recupera quanto uno non ha mangiato.

Se qualcuno applica la legge islamica, tutto è in ordine. Il fedele non cerca di andare oltre la legge. La giustizia è richiesta per legge, ma non è superata. Per questo, non c'è nel Corano l'obbligo del perdono; invece, Gesù nel Vangelo chiede di perdonare in modo infinito (settanta volte sette: cfr. Matteo 18, 21-22). Nel Corano la misericordia non arriva mai all'amore.

Lo stesso vale per la poligamia: si può avere fino a quattro mogli. Se voglio averne una quinta, basta ripudiare una di quelle che ho già, magari la più vecchia, e prendermi una sposa più giovane. E avendo sempre e solo quattro mogli sono nella perfetta legalità.

C'è anche l'effetto contrario, per esempio per l'omosessualità. In tutte le religioni, è un peccato. Ma per i musulmani, è anche un delitto che dovrebbe essere punito con la morte. Nel cristianesimo è un peccato, ma non un crimine. Il motivo è ovvio: l'Islam è religione, cultura, sistema sociale e politico; è una realtà integrale. Ed è chiaramente così nel Corano. Il Vangelo invece distingue chiaramente la dimensione spirituale ed etica dalla dimensione socio-culturale e politica.

Lo stesso vale per la purezza, come lo spiega in modo chiaro Cristo ai Farisei: "Non ciò che entra nella bocca contamina l'uomo, ma è quel che esce dalla bocca che contamina l'uomo" (Mt 15, 11).


2. "I fondamentalismi da entrambe le parti" (n. 250 e 253)

Ci sono infine due aspetti che vorrei criticare. Il primo è quello in cui il papa mette insieme tutti i fondamentalismi. Al n. 250 si dice: "Un atteggiamento di apertura nella verità e nell'amore deve caratterizzare io dialogo con i seguaci delle religioni non cristiane, nonostante i vari ostacoli e difficoltà, particolarmente i fondamentalismi da entrambe le parti".

L'altro è la conclusione della sezione sul rapporto all'Islam che termina con questa frase: "Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l'affetto verso gli autentici credenti dell'Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un'adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza" (n. 253).

Personalmente, non metterei i due fondamentalismi sullo stesso piano: i fondamentalisti cristiani non portano le armi; il fondamentalismo islamico è criticato, anzitutto proprio dai musulmani, perché questo fondamentalismo armato cerca di riprodurre il modello maomettano. Nella sua vita, Maometto ha fatto più di 60 guerre; ora se Maometto è il modello eccellente (come dice il Corano 33:21), non sorprende che certi musulmani usano anche loro la violenza ad imitazione del Fondatore dell'Islam.


3. La violenza nel Corano e nella vita di Maometto (n. 253)

Infine, il papa accenna alla violenza nell'islam. Nel paragrafo 253 si legge: "Il vero Islam e un'adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza".

Questa frase è bellissima, ed esprime un atteggiamento molto benevolo del papa verso l'Islam. Mi sembra però che essa esprima più un desiderio che una realtà. Che la maggioranza dei musulmani possa essere contraria alla violenza, può anche darsi. Ma dire che "il vero islam è contrario ad ogni violenza", non mi sembra vero: la violenza è nel Corano. Dire poi che "un'adeguata interpretazione del Corano si oppone ad ogni violenza" ha bisogno di molte spiegazioni. Basta ricordare i capitoli  2 e 9 del Corano.

È vero comunque quanto il pontefice afferma sul fatto che l'islam ha bisogno di una "adeguata interpretazione". Questa strada è praticata da alcuni studiosi, ma non è abbastanza forte da contrastare quella che va per la maggiore. Questa minoranza di studiosi cerca di reinterpretare i testi coranici che parlano della violenza, mostrando che essi sono legati al contesto dell'Arabia dell'epoca ed erano nel contesto della visione politico-religiosa di Maometto.

Se l'islam vuole rimanere oggi in questa visione legata al tempo di Maometto, allora ci sarà sempre violenza. Ma se l'islam – e vi sono parecchi mistici che l'hanno fatto – vuole ritrovare una spiritualità profonda, allora la violenza non è accettabile.

L'islam si trova davanti a un bivio: o la religione è una strada verso la politica e verso una società politicamente organizzata, oppure la religione è un'ispirazione a vivere con più pienezza e amore.

Chi critica l'islam a proposito della violenza non fa una generalizzazione ingiusta e odiosa: mostra delle questioni presenti, vive e sanguinanti nel mondo musulmano.

In Oriente si comprende molto bene che il terrorismo islamico è motivato religiosamente, con citazioni, preghiere e fatwa da parte di imam che spingono alla violenza. Il fatto è che nell'islam non vi è un'autorità centrale, che corregga le manipolazioni. Ciò fa sì che ogni imam si creda un muftì, un'autorità nazionale, che può emettere giudizi ispirati dal Corano fino a ordinare di uccidere.


CONCLUSIONE: UNA "ADEGUATA INTERPRETAZIONE DEL CORANO"


Per concludere, il punto davvero importante è quello della "adeguata interpretazione". Nel mondo musulmano, il dibattito più forte– che è anche il più proibito – è proprio quello sull'interpretazione del libro sacro. I musulmani credono che il Corano sia sceso su Maometto, completo, in quella forma che conosciamo. Non c'è il concetto d'ispirazione del testo sacro, che lascia spazio a un'interpretazione dell'elemento umano presente nella parola di Dio.

Facciamo un esempio. Ai tempi di Maometto, con tribù che vivevano nel deserto, la pena per un ladro era il taglio della mano. A cosa serviva? Qual era lo scopo di questa pena? Non permettere che il ladro rubasse più. Allora dobbiamo chiederci: come possiamo oggi salvaguardare questo scopo, cioè che il ladro non rubi? Possiamo usare altri metodi al posto del taglio della mano?

Oggi tutte le religioni hanno questo problema: come reinterpretare il testo sacro, che ha un valore eterno, ma che risale a secoli o millenni.

Quando incontro amici musulmani, io metto in luce il fatto che oggigiorno bisogna interrogarsi sullo "scopo" (maqased) che avevano le indicazioni del Corano. I teologi e i giuristi musulmani dicono che si deve ricercare gli "scopi della Legge divina" (maq?sid al-shar?'a). Questa espressione corrisponde a ciò che il Vangelo chiama "lo spirito" del testo, in opposizione alla "lettera". Occorre cercare l'intento del testo sacro dell'islam.

Diversi studiosi musulmani parlano dell'importanza di scoprire "lo scopo" dei testi coranici per adeguare il testo coranico al mondo moderno. E questo, mi sembra, è molto vicino a quanto il Santo Padre intende suggerire parlando di "una adeguata interpretazione del Corano".

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Il testo integrale di padre Samir Khalil Samir, su Asia News del 19 dicembre:

> Papa Francesco e l'invito al dialogo con l'Islam

E l'esortazione apostolica di papa Francesco del 24 novembre:

> Evangelii gaudium




www.chiesa


lunedì 30 dicembre 2013

Dio ci guardi dall'aver paura...



In occasione della Festa della Sacra Famiglia riportiamo di seguito un ampio stralcio dell’omelia pronunciata oggi, 29/12/2013, dal Card. Carlo Caffarra Arcivescovo di Bologna


…vi dicevo all’inizio che questa pagina evangelica ci fa capire quale è la condizione della famiglia anche oggi.

 Essa si trova ad essere il terreno di scontro fra il potere di questo mondo e la voce di Dio.

 E dove avviene questo scontro? In primo luogo nel cuore, nella coscienza di ogni uomo e di ogni donna. E’ in essa che la voce di Dio risuona; è nel cuore che il divino progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia è scritto. Ma dall’altra parte potenti lobbies in possesso non raramente dei mezzi della produzione del consenso, cercano di distogliere gli uomini e le donne dall’ascoltare la voce di Dio che parla nella loro coscienza; dal leggere quella legge divina che è scritta nel cuore umano. (…)

Ma lo scontro non avviene solo nell’intimo dei cuori e delle coscienze. Avviene sul piano anche pubblico, nei luoghi della deliberazione e della decisione legislativa e giurisprudenziale; come ideologia, come programma di azione e formazione del comportamento; come delegittimazione pubblica di ogni forma di dissenso da quella ideologia.
 
   Cari fratelli e sorelle, carissimi sposi e genitori, in che modo Giuseppe ha difeso la sua famiglia? Ponendosi semplicemente in obbedienza al progetto di Dio. Non aveva altro strumento.
 
            Ed oggi cari amici? «La Chiesa, seguendo Cristo, cerca la verità, che non sempre coincide con l’opinione della maggioranza. Ascolta la coscienza e non il potere ed in questo difende i poveri e i disprezzati» [b. Giovanni Paolo II, Es. Ap. Familiaris consortio 5].

 Questa, cari fratelli e sorelle, è la vostra forza: la docilità alla voce di Dio che risuona nella vostra coscienza. In che modo risuona? Donandovi la luce di alcune evidenze originarie. Mi piace semplicemente enunciarle.

 La prima: il matrimonio avviene fra un uomo con una donna.

La seconda: il bambino ha diritto ad un uomo ed ad una donna che siano suo padre e sua madre; e quindi non possono essere sostituiti da due adulti dello stesso sesso che non sono, ma “fanno” da padre e da madre.

 Preghiamo, specialmente oggi, perché il Signore ci custodisca sempre nella rettitudine delle nostre coscienze; perché non si attenui mai in noi la sana sensibilità di fronte al bene o al male. E Dio ci guardi dall’aver paura dai decreti o leggi emanate a seconda del trend della moda. (…)
 
 
 
 
 
 
 
 

CHI SONO I VERI CRISTIANI IDEOLOGICI

  

 
 
 
 
 
Corrado Gnerre
 
Un tipico errore della Chiesa post-conciliare è quello di non voler essere attenti alla realtà delle cose. La Vita di Grazia diminuisce … non fa nulla. Il senso del peccato diminuisce … non fa nulla. Le famiglie si sfasciano … non fa nulla. I matrimoni civili aumentano e in alcune zone d’Italia sono più numerosi di quelli religiosi … non fa nulla. I giovani hanno dimenticato completamente l’obbligo e il valore della castità prematrimoniale … non fa nulla. Le leggi dello Stato recepiscono sempre più il relativismo etico dominante … non fa nulla. Va tutto bene, è inutile preoccuparsi.
Un tipico errore che si manifesta in due atteggiamenti.
Il primo atteggiamento minoritario è di chi dinanzi allo sfacelo fa silenzio, in un certo senso apprezza e -sempre in un certo senso- quasi spera che il trend continui su questa falsariga. Si tratta –diciamocelo francamente- dell’atteggiamento di quei cattolici che non hanno la coscienza pulita, che hanno molti disordini nella vita privata e che in questo modo sperano di poter tacitare la propria coscienza convincendosi che tutto sommato ciò sarebbe la dimostrazione che la morale cattolica non può essere completamente rispettata e che deve cambiare radicalmente.
 
Il modo invece maggioritario di manifestare questo errore è più complesso, è quello di chi si accorge che c’è molto che non va, ma nello stesso tempo si sforza di dimostrare che ciò che non va rientrerebbe in una sorta di crisi fisiologica della Chiesa. Non può non andare così: per liberarsi da “incrostazioni storiche” di contaminazioni con il potere e con certi conservatorismi, la Chiesa deve vivere una crisi, una crisi che la porterà ad una maggiore “spiritualizzazione” e ad essere più fedele al suo mandato. Gli argomenti che si adducono ovviamente sono complessi, ma si capisce bene come alla base di questi vi è un’altra questione piscologica. Se per il primo atteggiamento la questione è più “bassa”, in un certo senso è una questione “di pancia”, per il secondo l’atteggiamento la questione è “di testa”.
 
E’ la posizione ideologica che impedisce di capire. L’ideologia –si sa- è un’ipertrofia dell’intelligenza che, proprio perché ipertrofia, si traduce in un accecamento dell’intelligenza stessa.
Una realtà quando cresce troppo finisce con l’annullare se stessa. Il cancro altro non è che una crescita impazzita delle cellule e un uomo che fosse troppo alto non riuscirebbe a vivere bene, non passerebbe facilmente attraverso le porte, non entrerebbe facilmente in un auto, non troverebbe facilmente vestiti da poter indossare o scarpe da poter calzare.
L’ideologia è l’intelligenza sproporzionata e ipertrofizzata che vuole prescindere dall’osservazione per affidarsi esclusivamente alle proprie costruzioni teoriche e intellettuali.
 
Spesso sentiamo l’attuale Pontefice parlare contro i cristiani “ideologici” e molti leggono questa definizione come un riferimento a cristiani di formazione tradizionale che sono soliti denunciare uno stato della Fede e della Chiesa tutt’altro che positive.
Ora, la definizione è senz’altro da utilizzare perché c’è tanto “cattolicesimo ideologico” ai nostri giorni, ma chiediamoci: in chi c’è questo atteggiamento? A chi bisogna davvero affibbiare una simile etichetta? A chi legge le cose come stanno o a chi si illude che le cose vadano bene quando invece non vanno assolutamente bene?
 
Molti conoscono la celebre frase di un noto teorico del socialismo sovietico: “Se i fatti non ci daranno ragione, peggio per i fatti!” Ebbene, in tanti –troppi- cattolici oggi si attaglia bene questa massima. Dinanzi alla crisi evidentissima della Vita di Grazia, dinanzi all’altrettanto evidentissima crisi della Chiesa, non bisogna mutare i dettami pastorali, le linee di tendenza, le programmazioni dei recenti decenni, il problema non starebbe lì, non può stare lì.
Eppure, per evangelica sapienza, i cirstiani dovrebbero essere arciconvinti che dai frutti si riconoscono gli alberi.
 
Monsignor Giacomo Biffi, vescovo emerito di Bologna, utilizzando il suo inconfondibile stile nel suo Il Quinto Evangelo scrisse a proposito di questo atteggiamento così diffuso:  "Il Regno dei cieli è simile a un pastore che avendo cento pecore e avendone perdute novantanove, rimprovera l'ultima pecora per la sua scarsità di iniziativa, la caccia via e, chiuso l'ovile, se ne va all'osteria a discutere di pastorizia". E pensare che queste cose Biffi le scrisse nel lontano 1969: una vera profezia.
 
Nell’ultimo Avvento il cardinale di Vienna, monsignor Schonborn, ha predicato nella diocesi di Milano e per l’occasione ha detto parlando della Chiesa attuale: “(…) lasciamo la nostalgia degli anni Cinquanta, quelli della mia infanzia, nel villaggio, quando la chiesa si riempiva di gente per tre volte ogni domenica. Tutti in chiesa. Lasciamo la nostalgia per la vitalità dei nostri oratori degli anni Cinquanta e Sessanta.” Eccolo il vero cristianesimo “ideologico”.
 
Un conto è dire che, constatando la diversità fra il passato e il presente, il cattolico non debba abbattersi, altro è dire che vada abbandonata la nostalgia. Parole incomprensibili. Quando si perde qualcosa di bello, la nostalgia è più che opportuna, ed è l’unico atteggiamento umanamente ragionevole.
Certo, non bisogna deprimersi, anzi è necessario ancora più attivarsi, rimboccarsi le maniche e agire, convinti che le sorti della storia non sono nelle nostre mani ma in quelle di Dio e della Sua Santissima Madre, ma un simile impegno può essere motivato solo da una costatazione intelligente: le cose ora non vanno bene, bisogna agire per modificarle. Dire di “lasciare la nostalgia” è quanto di più “ideologico” possa essere affermato in una simile situazione … a meno che non si desideri “apostatare”, cosa che non riteniamo possibile, ipotizzabile e concepibile in un cardinale di Santa Romana Chiesa.
 
Si ha paura di vedere la realtà così come essa è, ma ciò non è un atteggiamento realmente cristiano, perché il cristiano è prima di tutto uomo di osservazione che fa della virtù della prudenza il timone del proprio giudicare e del proprio agire. 
 
 
 
Fonte: ILGIUDIZIOCATTOLICO.com
 
 
 
 
 

domenica 29 dicembre 2013

Feriti dalla freccia della bellezza

 


"In un ambiente culturale privo di stupore, la bellezza si afferma con un'importanza ancora più rilevante, perfino in chi rigetta l'idea della verità o della bontà"

"La freccia della bellezza di Dio può perforare molti strati di confusione e di errore. Quando questa freccia raggiunge il bersaglio, dentro al cuore si apre una via. La ricerca della verità diviene possibile e scompare un ostacolo alla fede".


di James D. Conley

Quando iniziai gli studi seminaristici, ero divenuto cattolico solo da pochi anni. Mi ero convertito alla Chiesa cattolica negli anni in cui ero stato studente all'Università del Kansas durante un corso di studi sui "Great Books" chiamati "Integrated Humanities Program". Quando entrai in seminario, stavo ancora imparando i fondamenti del cattolicesimo. Nel mio primo semestre, scoprii che i nuovi entrati in seminario dovevano cercarsi un direttore spirituale. Alcuni miei compagni mi suggerirono Padre Anton Morganroth, uno dei nostri professori. Padre Morganroth era un ebreo convertito alla fede cattolica, fuggito con la famiglia dalla Germania nazista nel 1938. Era una figura alta e imponente. Era amato e temuto dai seminaristi.

Un giorno mi feci coraggio e mi presentai a Padre Morganroth chiedendogli se mi avesse preso per dirigermi spiritualmente. Mi scrutò guardandomi in silenzio, dopodiché mi disse semplicemente: "presentati nel mio alloggio martedì alle 19". Dopo la cena in refettorio, Padre Morganroth era solito ritornare nella sua camera per suonare il piano - suonava sontuosamente. Se si aveva un appuntamento con lui, faceva trovare la porta socchiusa. Bastava spingere leggermente la porta e sedersi su una sedia vicina al piano. La prima volta che percorsi il corridoio che portava all'appartamento di Padre Morganroth, ricordo la bella musica classica da piano che sentivo provenire dalla sua camera. La porta era socchiusa. Rimasi fermo qualche momento davanti alla porta ascoltando la musica. Infine spinsi la porta, entrai nella camera e mi sedetti. Mi guardò da sopra il pianoforte e annuì con la testa in segno di approvazione.

Seduto, ascoltavo la musica. C'era uno spartito sul pianoforte - una suonata di Mozart - ma Padre Morganroth teneva sempre gli occhi chiusi. Non leggeva la musica. Passarono alcuni minuti. Cinque. Poi sette. Alla fine furono dieci minuti. Completò il brano, e ci fu silenzio. Non dimenticherò mai quel silenzio. Stavamo entrambi gustando la bellezza di quei momenti. Probabilmente, era per me la prima volta che ascoltavo musica classica così da vicino. Era qualcosa che sfiorava la perfezione. Dopo alcuni attimi di silenzio, desideroso di cominciare, ruppi il silenzio, dicendo: "allora, Padre, facciamo direzione spirituale?". Padre Morganroth si voltò, mi guardò dritto negli occhi e disse: "figliolo, questa era la tua direzione spirituale. Ora puoi andare". Vi ritornai la settimana dopo e cominciammo le nostre regolari sessioni, che furono meravigliose. Ma ad aprire la via fu la bellezza di quella musica che mi allargò mente e cuore alle realtà della vita spirituale.

Molti di noi amano la verità e la bellezza della nostra fede cattolica, e vogliamo condividerla con gli altri. Molti di noi sanno anche che la nostra cultura sta andando verso una direzione allarmante - verso una crisi che non può essere evitata senza Gesù Cristo e la sua Chiesa. In effetti, queste due dimensioni - salvezza e cultura - sono profondamente intrecciate. Il Vangelo non coinvolge solo la nostra salvezza individuale: è anche un mandato universale, secondo le parole di San Pio X, "per restaurare tutte le cose in Cristo". Tale mandato si estende al di là della nostra personale santificazione. Quando parliamo di evangelizzazione, non intendiamo solo la conversione degli individui, ma anche la trasformazione della cultura. Cristo è il Signore della pubblica piazza e della nostra vita comune, così come è il Signore delle nostre case e dei nostri cuori. Pertanto, la missione evangelizzatrice della Chiesa costituisce anche un mandato per la conversione culturale.

Il Concilio Vaticano II ha confermato questo mandato culturale nel decreto sull'apostolato dei laici. Il capitolo II della 'Apostolicam Actuositatem' insegna che "l'opera della redenzione di Cristo ha per natura sua come fine la salvezza degli uomini, però abbraccia pure il rinnovamento di tutto l'ordine temporale". "Di conseguenza," afferma il Concilio, "la missione della Chiesa non mira soltanto a portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche ad animare e perfezionare l'ordine temporale con lo spirito evangelico". Il rinnovamento culturale è essenziale, poiché la fede cattolica non si riduce ad una convinzione privata. Il mistero dell'Incarnazione cambia ogni cosa. La nostra fede diventa fondamento di una cultura - un modo condiviso di concepire la vita usando delle cose del mondo per rendere gloria a Dio.

I grandi teologi ci insegnano che la grazia non abolisce le cose buone del mondo. Piuttosto, Cristo le conduce alla loro realizzazione. La nostra fede è incarnazionista. Ogni verità, ogni bellezza e ogni bontà sono "attraverso di lui" e "per lui", sono parte del disegno redentivo di Dio. Verità, bellezza e bontà sono integrali alla nostra salvezza. Ai fedeli cattolici sta a cuore la verità: come nostro Signore, vogliamo che tutti "siano salvati e giungano alla conoscenza della verità". Sta a cuore anche la bontà, soprattutto la bontà morale, la vita di virtù, così spesso disprezzata dalla cultura contemporanea. Ma che dire della bellezza? Che posto ha la bellezza nella nostra evangelizzazione della cultura?

E' una domanda importante che noi talvolta trascuriamo o fraintendiamo. E' proprio questa domanda, il ruolo della bellezza nella evangelizzazione e nel rinnovamento culturale, che desidero considerare. Il titolo di questo saggio "Sempre antica e sempre nuova: il ruolo della bellezza nella restaurazione della cultura cattolica", è tratto da una frase delle 'Confessioni di Sant'Agostino' nel Libro X. Al capitolo X, Sant'Agostino si rammarica del fatto che gli siano voluti 33 anni per scoprire la bellezza del divino. In quelle parole immortali, egli esclama: "Tardi ti ho amato, o bellezza tanto antica e tanto nuova". La bellezza è antica e nuova insieme: siamo subito sorpresi e confortati dalla sua presenza. La bellezza esiste in una sfera ultraterrena, per cui le cose belle ci espongono all'assenza di tempo dell'eternità.

Ecco perché è importante la bellezza, nel senso eterno. La bellezza faceva parte del disegno creativo di Dio al principio, ed è gran parte del suo disegno redentivo anche ora. Dio ha immesso il desiderio della bellezza nei nostri cuori, e usa quel desiderio per ricondurci a lui. Verità e bellezza sono doni di Dio, e la Nuova Evangelizzazione deve operare per rendere bella la verità. Con mezzi antichi e nuovi, dobbiamo fare uso della bellezza per infondere ancora una volta lo spirito del Vangelo nella cultura occidentale. Con mezzi della bellezza terrena, possiamo aiutare i nostri contemporanei a scoprire la verità del Vangelo, così che giungano a conoscere l'eterna bellezza di Dio, quella bellezza che Sant'Agostino descriveva come "sempre antica e sempre nuova".


II. Incontro con la Bellezza della cultura cristiana

Come ho già detto, io sono un convertito alla fede cattolica. Entrai nella Chiesa nel 1975 sotto la guida di uno dei grandi maestri del XX secolo, il compianto John Senior, cofondatore di 'Integrated Humanities Program' all'università del Kansas. Egli fu il mio padrino di Battesimo, e le sue idee su fede e cultura costituiscono una continua ispirazione per me.

Il mio padrino amava la bellezza, non per sé stessa ma come irradiazione di Gesù Cristo, creatore e redentore della bellezza. Senior vedeva la bellezza del mondo alla luce dell'eternità, ed aiutava gli altri ad assumere la medesima visione trascendente. John Senior non era un evangelizzatore nel senso tradizionale del termine: non predicava da un pulpito, né scriveva opere di apologetica. Il suo intento in classe non era quello di convertirci, ma di aprire la nostra mente alla verità, dovunque si trovasse. E lo attuava principalmente mediante l'immaginazione. Nel suo stile inusuale, Senior era un evangelizzatore notevolmente dotato. Nutriva un profondo amore per la Chiesa e per la bellezza della cultura cristiana nella storia. E il suo amore era contagioso. Negli anni '70, all'università del Kansas ci furono letteralmente centinaia di convertiti alla Chiesa cattolica.

L''Integrated Humanities Program' ebbe vita dal 1970 al 1979, un decennio che, con l'eccezione di qualche ottimo rock and roll, fu un deserto culturale. Quando iniziai il programma, la mia formazione culturale mancava della ricca storia della cristianità. All'università del Kansas, non solo io ma anche i miei colleghi studenti non avevamo alcuna coscienza della nostra eredità culturale. Ignoravamo le verità fondanti della civiltà occidentale, e non avevamo che una superficiale cognizione della bellezza da esse ispirate. La nostra vita era largamente plasmata dai grossolani richiami dei mass media, e dalle mutevoli mode della cultura popolare. Certo, vi era un'assenza di verità nella nostra vita, ma vi era pure una profonda assenza di bellezza. Le nostre anime erano affamate dell'una e dell'altra, e neppure lo sapevamo.

Ma John Senior sapeva che cosa ci mancava. E anche i suoi colleghi professori, Dennis Quinn e Frank Nelick, sapevano. Sapevano che gli studenti dovevano incontrare la bellezza; cuore e immaginazione dovevano essere catturati dalla bellezza prima di perseguire verità e bellezza in modo serio e degno. La verità era la mèta finale, ma la sua ricerca aveva bisogno di approcci mentali e impostazione di vita che noi studenti non avevamo. La nostra sete di verità esigeva una iniziazione alla bellezza: la bellezza della musica, della pittura e architettura, della natura, della poesia, della danza, della calligrafia e di molte altre cose. Attraverso queste esperienze di bellezza, abbiamo conquistato il senso dello stupore, senso dello stupore che ci ha donato la passione per la verità. Il motto di 'Integrated Humanitied Program' era una famosa sentenza latina: "Nascantur in admiratione" ("nascano nello stupore").

L'esperienza della bellezza ci ha cambiato. Quando studiavamo i grandi filosofi e teologi, ci aprivamo alle loro parole. Non avevamo più la presunzione di trovare la verità nei dettami della cultura popolare, così come non pensavamo più che le mode e le tendenze moderne fossero il vertice della bellezza. La verità è perenne e senza tempo la bellezza. Sì, un gran numero di studenti divennero cattolici attraverso 'Integrated Humanities Program', ma ciò non avvenne per proselitismo in classe o per corsi di apologetica. Avvenne perché diventammo amanti della bellezza, e pertanto, cercatori della verità. Quando incontrammo il Vangelo e la Tradizione cristiana, la bellezza ci diede "occhi per vedere" e"orecchie per udire".


III. Il linguaggio trascendente della Bellezza

So, per esperienza, che la bellezza può raggiungere persone che sembrano irraggiungibili. Può aprire la loro mente a verità che altrimenti rifiuterebbero. Perfino scettici incalliti e post-moderni non riescono a negare la realtà della bellezza quando la incontrano in un luogo che induce alla contemplazione e alla riflessione.

Dobbiamo ammettere che la cultura laica ha una forte presa sull'immaginazione. E' difficile spezzarla. Ma il potere della bellezza possiede ancora la forza necessaria per penetrare il cuore più duro. L'esperienza della bellezza è trasformante. Risveglia dentro di noi l'intuito che la vita ha significato al suo livello più profondo. La bellezza può muoverci all'umiltà, dandoci un senso di stupore dinanzi al mistero della vita. L'incontro con la bellezza ci parla della natura autentica e venerabile dell'esistenza. Ecco perché parliamo della bellezza come qualcosa di "trascendente". Ogni presenza di vera bellezza va al di là di se stessa, verso l'infinita perfezione di Dio. Egli ha ricolmato il mondo di tante forme di attraente bellezza, cosicché le cose create ci portano a contemplare la gloria trascendente del Creatore.

Si può pensare alla bellezza come a un genere di linguaggio con il quale Dio parla al nostro cuore e anima. Egli parla sempre così, a tutti noi, credenti e non-credenti allo stesso modo. La bellezza del creato proclama la gloria di Dio anche a coloro che ancora non credono. Nella bellezza Dio si rivela. Similmente, la bellezza artistica ci mostra che l'uomo è fatto ad immagine del Creatore, anche se lo stesso artista non lo riconosce. Il linguaggio della bellezza è soprattutto importante nel nostro tempo, dal momento che viviamo in un periodo di grave confusione intellettuale e morale. La bellezza non è l'unico linguaggio che Dio usa per comunicare la sua gloria. Il Creatore parla alla nostra anima anche con la verità intellettuale e la bontà morale. Ma queste forme di comunicazione sono divenute problematiche. Molti, specialmente nella moderna cultura occidentale, sono troppo intellettualmente e moralmente confusi per ricevere tale messaggio.

Dio continua a parlare loro con il linguaggio della verità e della bontà, ma la loro comprensione è bloccata da false idee dominanti, in particolare l'idea che la verità e la bontà siano puramente soggettive, e quindi relative all'individuo o al gruppo. "Ad ognuno il suo" o "chi lo può dire". Papa Benedetto la chiamava "la dittatura del relativismo". Padre Robert Barron, rettore del Seminario di Santa Maria del Lago a Chicago, teologo e grande comunicatore della fede, ha recentemente affermato che nella Nuova Evangelizzazione dobbiamo "camminare con la bellezza". Secondo lui, l'uomo post-moderno potrà farsi beffe della verità e della bontà, ma resta ancora sedotto dalla bellezza. E afferma che la bellezza è la punta dell'evangelizzazione, una punta con cui l'evangelizzatore trafigge cuore e mente di coloro che evangelizza. Per dirla col poeta, "guarda, guarda le stelle" è un additare al creato o a un'opera artistica, invita i non-credenti ad apprezzare 'ciò che è' e poi a considerare l'origine di 'ciò che è'.

In un ambiente culturale privo di stupore, la bellezza si afferma con un'importanza ancora più rilevante di altri tipi di ambiente. Rimane innegabilmente qualcosa nell'esperienza della bellezza, perfino in chi rigetta l'idea della verità oggettiva o bontà. La bellezza può entrare là dove altre forme di comunicazione divina non entrano. Quando si incomincia con la bellezza, essa può suscitare il desiderio di conoscere la verità della cosa che ci attrae, il desiderio di parteciparvi. E successivamente la verità ci può ispirare di fare il bene, di sforzarci nella virtù. In uno dei suoi scritti prima di essere eletto Pontefice, Benedetto XVI ha parlato dell'esperienza di venire "feriti dalla freccia della bellezza". E' una bellissima immagine per un'esperienza condivisa allo stesso modo da credenti e non-credenti. La "freccia della bellezza" di Dio può perforare molti strati di confusione e di errore. Quando questa freccia raggiunge il bersaglio, dentro al cuore si apre una via. La ricerca della verità diviene possibile e scompare un ostacolo alla fede.


IV. La Bellezza nella Nuova Evangelizzazione

Chiaramente, la bellezza ha un ruolo centrale da giocare nella Nuova Evangelizzazione. Vorrei concludere con tre punti guida, che ci aiuteranno ad incorporare la bellezza nella rievangelizzazione della cultura occidentale.

Il primo punto, il più essenziale, è che si deve presentare le verità di fede in maniera bella. In particolare, il culto liturgico deve riflettere la stessa bellezza e santità di Dio. Il culto, dopo tutto, è il fondamento della cultura cristiana. La bellezza della sacra liturgia vuole irradiarsi nel mondo. La bellezza liturgica forma la vita comune dei credenti e può contribuire ad attirare chi sta fuori della Chiesa. Un liturgista per la maggiore, Mons. Nicola Bux, ha scritto che "una liturgia mistica celebrata con dignità può essere di grande aiuto per chi cerca di trovare Dio". "Storicamente", egli nota, "i grandi convertiti erano colpiti dalla grazia mentre assistevano a riti solenni e ascoltavano mirabili canti". Mons. Bux ha ragione. Per rinnovare la cultura cattolica ed evangelizzare i nostri contemporanei, dobbiamo restituire bellezza alla sacra liturgia. Se non riusciamo a riportare bellezza e santità alle nostre chiese, non potremo recuperarla da nessun'altra parte.

La seconda raccomandazione è di prendere confidenza con la bellezza della cultura cristiana nella storia. Non dobbiamo essere tutti professori alla John Senior, ma dobbiamo aprire cuore e mente alle cose belle che l'Incarnazione ha reso possibile. Di recente, le monache benedettine del monastero da poco inaugurato a nord di Kansas City, hanno registrato due stupendi CD di canto gregoriano le cui vendite sono andate a ruba. La gente sa riconoscere la bellezza quando la vede e quando la ascolta. I monaci benedettini di Clear Creek, i cui fondatori erano miei compagni di classe al tempo di 'Integrated Humanities Program', iniziarono il monastero nel 1999 con 12 monaci, e attualmente ne contano 42, tutti giovani la cui vita è all'insegna dell'ora et labora, incentrati nel bel canto in latino dei salmi distesi durante la giornata. E' interessante parlare con gli agricoltori locali dell'Oklahoma che vivono lì da generazioni, in un'area che ha sempre avuto pochissimi cattolici. Ebbene, essi sono innamorati dei monaci. L'agricoltura, insieme all'amicizia, è un importante punto di terreno comune. Con il dialogo e l'amicizia, possiamo aiutare il mondo a capire la visione cristiana che ha ispirato la bellezza che tutti noi apprezziamo.

Infine, vorrei consigliare di aprire la mente alla bellezza in tutte le sue manifestazioni. Si dice spesso che qualsiasi verità viene da Dio, dovunque la si trovi; e lo stesso si può dire della bellezza: ogni genuina bellezza viene da Dio, dovunque la si trovi. La cultura cristiana è suprema espressione di bellezza al servizio della verità. Ma la bellezza si trova ovunque, nell'intero creato di Dio e nel campo della cultura. Il sacerdote gesuita e poeta Gerald Manley Hopkins, uno dei favoriti di Papa Francesco, ha scritto che per coloro che hanno occhi per guardare, il mondo intero è stato "caricato della grandezza di Dio". Perciò dobbiamo sviluppare il nostro gusto della bellezza, dovunque esista. Allora potremo aiutare a vedere la bellezza per quella che è: un riflesso terreno della gloria di Dio, gloria che conduce alla verità e alla bontà.


V. Conclusione

Nel pieno dell'attuale crisi culturale, abbiamo coraggio, sapendo che Dio non è silenzioso. Egli continua a parlare con potenza per mezzo della bellezza, anche per coloro che sono divenuti insensibili alle realtà della verità e della bontà. "La bellezza salverà il mondo", ha scritto Dostoevsky. E' così. Quando indica il costante amore di Dio. Sono tante le anime da salvare, e un vasto deserto culturale da far rifiorire. Sono compiti che richiedono abilità nel linguaggio divino della bellezza. Ma per parlare questa lingua, occorre che prima ascoltiamo. E per ascoltare, occorre fare silenzio nella nostra vita. Prego Dio che apra i nostri occhi e le nostre orecchie alla bellezza, e ci aiuti ad usarla a servizio della Verità.


Mons. James D. Conley
Vescovo di Lincoln, Nebraska


CrisisMagazine.com, 10/10/2013
http://www.crisismagazine.com/2013/ever-ancient-ever-new-the-role-of-beauty-in-the-restoration-of-catholic-culture
trad. it. di d. Giorgio Rizzieri

 

 

sabato 28 dicembre 2013

I Lager dei Francescani dell’Immacolata

 

 
 
Frater Vigilius
 
Lettera di un Frate Francescano dell’Immacolata sotto Commissariamento Apostolico
 

 Da quando P. Fidenzio Volpi, Cappuccino, Commissario Apostolico, è subentrato alla guida del nostro Istituto dei Francescani dell’Immacolata, insieme a nuovi collaboratori, la nostra vita è molto cambiata. Direi che è stata totalmente stravolta rispetto al carisma originario conferitogli dai fondatori, P. Stefano M. Manelli e P. Gabriele M. Pellettieri ed approvato a suo tempo dalla Santa Sede (1/1/1998). La nostra vita si nutriva di spiritualità francescana, di studio delle fonti, di incontri di preghiera e convegni su testi biblici, liturgici, patristici.
 
Attingeva alla ricchissima liturgia Cattolica, sia del Novus che del Vetuso Ordo, con i canti gregoriani del Liber usualis, del Graduale Triplex, con i canti polifonici della tradizione cristiana, ma anche con tanti canti popolari antichi e nuovi in lingua moderna per cui era stato compilato ad uso dei Conventi un apposito libretto. Ogni anno era progettato un simposio internazionale su un tema specifico di teologia cattolica: tutti potevano partecipare, non era chiuso a nessuno. Erano organizzate inoltre con cadenza annuale per i religiosi sia fratelli che sacerdoti giornate di spiritualità, giornate di studio, conferenze sul carisma dell’Istituto, ma anche su temi vari di spiritualità francescana e mariana, aggiornamenti sulla morale e sulla teologia del B. Giovanni Duns Scoto e di altri grandi teologi … Oggi non c’è più nulla di tutto questo! Non solo è venuto a mancare improvvisamente questo substrato spirituale e teologico, che è l’anima della vita interiore per ogni religioso, il suo nutrimento quotidiano per la meditazione e la preghiera, ma a questo non è stato sostituito assolutamente nulla! Solo un silenzio di tomba sull’essenza della vita religiosa e cristiana spira dalle nuove sedi e dai nuovi capi del nostro Istituto.

Il Commissario Apostolico – sempre con il suo fidato e vendicativo Segretario, P. Alfonso Bruno – non ha mai parlato in maniera diffusa e sistematica ai Frati; si è incontrato solo con alcuni ed in alcune case. Mai ci ha fatto una conferenza spirituale, mai ci ha spiegato un brano del Vangelo, degli scritti Francescani o anche solo del Catechismo della Chiesa Cattolica; mai ci ha parlato dell’Immacolata Concezione, caposaldo della spiritualità cristiana. In compenso ha emanato in abbondanza decreti, oltremodo minacciosi e oltraggiosi per noi tutti, rimproverandoci senza fornire alcuna prova o giustificazione di essere insubordinati, di essere contro il Papa, di essere contro il Concilio Vaticano II, di essere “lefebvriani”. Il rimprovero è pervicace ed ossessivo, martellante come le accuse false dei processi-farsa dei detenuti della Lubjanka nella Mosca stalinista. Si sostanzia di molteplici provvedimenti punitivi che si succedono a raffica dal giorno alla notte, senza alcuna spiegazione e senza alcuna finalità educativa o correttiva. Abbiamo l’impressione di essere solo puniti o di subire vendette senza motivo. La parola d’ordine è: obbedire senza pensare.
 
Se il capo vuole distruggere, deve distruggere. Lo vuole il Commissario. Quindi lo vuole la Chiesa ed il Papa.
 
I provvedimenti più importanti del Commissario infatti sono:

 1) L’obbligo di non celebrare più la Messa nel Vetus Ordo, promulgata dal B. Giovanni XXIII nel 1962. Perché? Nessuna spiegazione. E’ stato detto in un primo tempo ai nostri sacerdoti di fare domanda formale per iscritto al Commissario per celebrarla. Molti di loro (la stragrande maggioranza) hanno confidato in questa possibilità ed hanno scritto al Commissario. Nessuno di loro (tranne qualche risibile eccezione) ha avuto una risposta. E’ forse una messa cattiva quella del Vetus Ordo? Arguisco dalle minacce del Commissario che forse questa è una Messa “contro il Papa”, è “Lefebvriana”, e quindi non si può dire. Ma allora anche il B. Giovanni XXIII che l’ha promulgata, ed anche il Papa Benedetto XVI che ha ristabilito la disciplina di questa Messa, dando la possibilità a tutti i sacerdoti di celebrarla, sono “Lefebvriani”, sono “contro il Papa”; cioè sono contro se stessi?

 2) La proibizione di celebrare la liturgia delle ore nel rito latino ed anche di usare i rituali in latino, come permesso invece dal Papa Benedetto XVI. Qui allora non si tratta più della Messa, ma della lingua latina. La lingua latina, nell’intendimento del Commissario Apostolico, sembra essere anche essa in toto una lingua “cattiva”, “Lefebvriana”, “contro il Papa”, “contro il Concilio”. Non si devono usare testi latini, né studiarli? Ma la lingua della Chiesa è stata ed è tuttora il latino, come afferma lo stesso Concilio Vaticano II (Cf. Sacrosanctum Concilium n. 36). Come si può proibire lo studio e la pratica di questa lingua? Cosa c’è di “contro il Papa” in questo? Nella nostra biblioteca conventuale noto che c’è un testo del Concilio Vaticano II, in edizione bilingue. La lingua originale del Concilio Vaticano II, che è la prima nel testo, è il latino e non la lingua moderna. Dunque il Concilio Vaticano II sarebbe stato scritto, nella sua edizione originaria, in una lingua che è “contro il Concilio”?

3) La proibizione di accostarsi al nostro fondatore, P. Stefano M. Manelli. Non possiamo scrivergli, né chiamarlo al telefono, né parlargli, né tantomeno andarlo a trovare. La proibizione su questo punto è assoluta e radicale. Sembra che tutto insieme sia diventato un pericoloso delinquente da tenere strettamente recluso. Cos’ha fatto di male? Perché nessuno può parlargli? Silenzio assoluto del Commissario Apostolico e delle altre autorità dell’Istituto. Eppure è lui che ci ha insegnato la vita spirituale e ci ha dato il buon esempio derivante dai grandi santi dell’Ordine: San Massimiliano, San Pio da Pietrelcina, San Francesco, Santa Chiara e tanti altri di cui ha scritto meravigliose biografie; è lui che ha scritto la “traccia mariana”, sotto la guida di San Pio da Pietrelcina, e gli altri testi fondanti la nostra spiritualità come Il voto mariano. Dobbiamo dimenticarci tutti i lunghi anni di formazione e di intensa vita spirituale vissuta fino ad oggi e tutti i suoi studi che abbiamo letto per anni per decreto del Commissario Apostolico e di qualche altra “autorità” a lui devota?! Viene da pensare che i nostri “nuovi responsabili” dell’Istituto non conoscano affatto la spiritualità e il carisma dell’Istituto.

 4) La proibizione di scrivere sui nostri settimanali, sulle nostre riviste, la proibizione di collaborare con la nostra casa editrice, la “Casa Mariana editrice”, la proibizione pure di diffondere i testi della “Casa Mariana editrice”. Questi provvedimenti draconiani somigliano a quelli dei regimi nazisti e paleocomunisti nei quali era vietata tutta la stampa che non era controllata dal regime: gli unici organi d’informazione erano quelli dello stato e del partito unico. Alla faccia della “libertà dei figli di Dio” tanto decantata e glorificata dal Commissario Apostolico! Qui da noi vengono violati dei diritti umani fondamentali, sanciti anche dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948), che recita così al suo articolo 19: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere», per non rifarci al Vangelo. Ci è negata dunque la libertà di pensiero e di espressione! Pure il pensare e lo scrivere o ricevere e diffondere libri sono attività “Lefebvriane”, “contro il Papa”, “contro il Concilio”? Mi risulta che la nostra casa editrice stampava testi di Sant’Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa, di San Luigi M. Grignion de Montfort, di San Pio da Pietrelcina. Certamente anche questi sono autori “Lefebvriani”, “contro il Papa” e “contro il Concilio”, secondo il Commissario, e perciò bisogna vietarne la diffusione. Il nostro commissario Apostolico sembra aver ripristinato l’Indice dei libri proibiti, già solennemente abolito con decreto pontificio dal Papa Paolo VI (1966). Ciò dimostra che l’autorità canonica del nostro Commissario è superiore a quella del Sommo Pontefice!

 5) La proibizione di avere dei gruppi di laici che pur si sono formati negli anni intorno ai nostri conventi. Per quale motivo? Nessuna spiegazione. I nostri gruppi di laici sono sciolti e non possono portare più alcun abito religioso anche se hanno fatto la professione secolare nel Terz’Ordine Francescano dell’Immacolata. So di un gruppo di anziane signore abituate a dire il Rosario prima della Messa in un nostro Convento. Avevano chiesto di fare la professione secolare e così indossare l’abito religioso dei Terziari Francescani per morire con quell’abito, tanto caro anche al B. Pio IX e al B. Giovanni XXIII. Il Commissario Apostolico ha imposto di togliere l’abito religioso a tutti i Terziari Francescani dell’Immacolata. I Frati sono andati da quelle signore a dir loro che non potevano più portare quell’abito. “Perché?” – hanno chiesto. “Il Commissario Apostolico ha detto che siete contro il Papa” – hanno risposto i Frati. “E perché siamo contro il Papa?!”. A questa domanda i Frati non hanno saputo rispondere.

 6) La proibizione di avere un proprio Seminario di studi teologici. Perché? Nessuna spiegazione dal Commissario Apostolico. E’ abolito e basta. Eppure tutti i professori che vi insegnavano si sono laureati e licenziati nelle attuali Università Pontificie: la Pontificia Università “Antonianum”, la Pontificia Università “Lateranense”, l’Istituto Patristico “Augustinianum”, la Pontificia Università di “Santa Croce” dell’Opus Dei, la Pontificia Facoltà Teologica “Marianum”, ed altre assolutamente approvate dalla Santa Sede. Ma forse anche queste Università Pontificie nell’intendimento del nostro Commissario Apostolico sono sospette di attività “Lefebvriane”, “contro il Papa”, “contro il Concilio”. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Mi chiedo se anche il nostro Commissario Apostolico abbia studiato a suo tempo pure lui in una di queste università che ora sospetta di cripto-lefebvrianesimo.

 7) Anche la gestione dell’economia è argomento di severo e costante rimprovero per noi da parte del Commissario. Noi non sappiamo gestire i beni – ha sempre detto. Dunque abbiamo bisogno di lui per farlo. In effetti circola la voce che per i suoi augusti servigi all’Istituto il Commissario ed i suoi invisibili collaboratori percepiscano a spese delle casse dei Francescani dell’Immacolata qualcosa come 5.300 euro al mese. Non c’è che dire: il Commissario ha dato subito prova di saperci fare con i soldi! Soprattutto con quelli di un Istituto di Mendicanti Francescani che non ha alcuna attività lucrativa per mantenersi. Leggo però nel testo della Liturgia delle ore del Servo di Dio il Papa Paolo VI, alla festa di S. Francesco di Sales, 24 gennaio, un brano tratto dall’ Introduzione alla Vita devota (I, 1) dello stesso, in cui è detto: «Dimmi Filotea, sarebbe conveniente se il Vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei Certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i Cappuccini?» (Liturgia delle ore secondo il Rito romano-serafico – III, Assisi 1975, p. 1254). Mi chiedo se P. Fidenzio Volpi, Cappuccino, conosca questo aspetto della povertà cappuccina messo in così bella evidenza dalla Liturgia delle ore del Papa Paolo VI.

 8) Ho saputo della prossima chiusura di alcuni nostri conventi da parte del Commissario. Guarda caso erano gli unici Conventi dove c’era il permesso di celebrare la Messa nella forma promulgata dal B. Giovanni XXIII del 1962. I Vescovi in quei luoghi erano consenzienti. Anche quei Vescovi sicuramente sono pericolosi per noi e per la Chiesa, nonché per il Papa perché forse cripto-lefebvriani, amanti di una Messa e di una lingua che non deve più esistere.

 9) Non possiamo liberamente telefonare o usare il cellulare od il computer. Ci è stato detto che i nostri telefoni ed i nostri computers sono tutti controllati grazie ad un sofisticato sistema di spionaggio elettronico e tutto quello che diciamo e scriviamo sarà riferito al Commissario Apostolico. Così dobbiamo stare attenti a scrivere ed a parlare. I cellulari ed i computers che usiamo, siccome siamo Francescani dell’Immacolata commissariati, non godono della normativa sulla privacy.

Proprio per quest’ultima disposizione interna si è creato veramente un clima di sospetto e di terrore tra noi. Non sappiamo più chi abbiamo vicino. Stiamo molto attenti anche a parlare. Guai a scherzare, soprattutto sul Commissario Apostolico. Qualche micro registratore potrebbe essere nascosto nelle tasche del saio di qualche frate-spia che potrebbe riferire tutto al Commissario o ai suoi devoti servitori. Qualcosa di simile mi sembra di aver letto nelle memorie dei dissidenti sovietici ai tempi della NKVD o del KGB e ai tempi della Gestapo nella Germania nazista. Il tuo vicino può non essere un tuo amico. Anche se è una persona che conosci da anni: può essere invece il tuo traditore. Potresti pagare caro un tuo innocente intervento di commento sull’operato del Commissario e suoi stretti collaboratori: sono ormai una casta sacrale ed intoccabile. So di frati che sono stati trasferiti in conventi di altri continenti per semplici considerazioni fatte amichevolmente con i Confratelli sul Commissario Apostolico e la nuova gestione dell’Istituto. Questo sarebbe il carisma che il nostro amato Commissario deve “raddrizzare”, come dice lui, nelle sue lettere. Forse deve riportarci al tempo del “Padre dei Popoli”, come si faceva chiamare amabilmente il compagno Stalin, o del Führer, Adolf Hitler, al tempo dei suoi campi di concentramento e delle leggi razziali.
In effetti, pensandoci bene, è proprio sotto il Führer che è diventato santo l’ispiratore del nostro carisma Francescano-Mariano: San Massimiliano M. Kolbe….
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Serve un nuovo Sant'Atanasio

 

Il posto di Atanasio. Rudolf Graber
tratto dal Settimanale di Padre Pio dal Numero 38 del 29 settembre 2013

di Paolo Risso

Vescovo per trent’anni, mons. Graber vive anni difficili per la Chiesa. Si trova a dover denunciare una “teologia” sempre più lontana da Cristo, snaturata a partire dalla Liturgia, che ha distrutto ormai il senso del “Sacro”. Crisi tutt’altro che risolta, dati i nostri stessi tempi bui.
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Lo sguardo luminoso dietro le lenti. Il volto sereno atteggiato a sorriso. Uno stile serio e lieto con la sicurezza della Verità. Così si presentava già al primo incontro mons. Rudolf Graber, vescovo di Ratisbona, il quale nella sua lunga vita si distinse per le virtù e per le opere. Una vita incentrata in Gesù Cristo e tutta “giocata” per Lui e per la sua Chiesa.


Profilo di un uomo
Era nato il 13 settembre 1903. Intelligentissimo e lucido, presto appassionato di Gesù, il giovane si avvia rapidamente al Sacerdozio con l’intento di prolungare Gesù in primo luogo nel servizio alla Verità. A soli 23 anni, il 1° agosto 1926, è ordinato sacerdote.

Vorrebbe dedicarsi subito all’apostolato diretto, ma i superiori lo mandano a Roma a laurearsi in Sacra Teologia all’Angelicum, l’ateneo dei Domenicani che sulla scia del Fondatore, il beato padre Giacinto Cormier (†1916) e dei suoi illustri docenti, tra i quali il padre Reginaldo Garrigou-Lagrange (†1964), allora era assai prestigiosa scuola di Filosofia e di Teologia, alla sequela di san Tommaso d’Aquino.

Addottoratosi in modo brillante, don Rudolf, dal 1929 al 1962, lavorerà nella sua diocesi di Eichstâtt in Baviera. Dal 1941 è professore di Storia della Chiesa, di Teologia fondamentale, di Ascetica e Mistica all’Università. Intraprende la sua attività scientifica di studi e ricerche e le sue pubblicazioni, tradotte in diverse lingue, lo rendono noto in Germania e nel mondo.

Nello studio della Teologia intorno a Gesù Cristo, don Rudolf scopre in modo singolare il posto della Madonna e di Lei si innamora a fondo, intravedendo presto una forza di irradiazione sulle anime che solo Maria Santissima può donare. Così dal 1957 al 1962 diventa capo della redazione del Bote von Fatima (Messaggero di Fatima). Sale su molti pulpiti e cattedre a parlare della Madonna: la sua identità, i suoi privilegi, il suo ruolo nell’opera della Salvezza, nella conversione delle anime e del mondo a Gesù, il Figlio suo e nostro unico Salvatore. Nel 1973 vengono pubblicati due volumi delle sue splendide omelie mariane e di altri suoi scritti sui grandi problemi della Chiesa, da lui sempre studiati e illuminati.

Un grande avvenimento è accaduto intanto nella sua vita. Il 28 marzo 1962, da papa Giovanni XXIII è elevato alla dignità di vescovo e insediato nella antica e illustre Ratisbona. Come vescovo ratisbonese partecipa al Concilio Vaticano II, impegnandosi nella difesa della Verità.


Centenario di sant’Atanasio
Sarà un nobile Presule, ma a renderlo ancora celebre a più di 20 anni dalla sua morte avvenuta il 31 gennaio 1992 (un trentennio di Episcopato!), è il suo libro Sant’Atanasio e la Chiesa del nostro tempo (edizioni Civiltà, Brescia 1973), pubblicato nel XVI centenario della morte di sant’Atanasio (†373), vescovo di Alessandria d’Egitto, il grande difensore della Divinità di Gesù Cristo contro l’eresia di Ario, al Concilio di Nicea (325) e sino alla sua fine, subendo attacchi, condanne, esilio e sofferenze di ogni genere.

Mons. Rudolf Graber, partendo dalla crisi ariana del IV secolo d.C. e presentando la figura e l’opera gigantesca di sant’Atanasio, passa poi a illustrare come una gravissima crisi sta dilagando ora nel secolo XX, nella Chiesa, crisi tutt’altro che risolta. Egli osserva lucidamente che il pericolo che ci sovrasta e ci minaccia nel nostro tempo è assai peggiore dell’assalto di Ario nell’epoca dell’intrepido Atanasio.

È entrato ora nel popolo già cristiano-cattolico un veleno mortale. Noi sappiamo qual è il canale di infiltrazione: sul popolo hanno presa non tanto le idee astratte, ma ciò che tocca con mano, ciò che in pratica gli è proposto, ciò che vive. In una parola, la Liturgia. Gli incessanti cambiamenti, le inattese e, per la maggioranza, non motivate sorprendenti novità liturgiche, hanno gettato l’allarme hanno confuso gli spiriti semplici e retti, pronti a ricevere tutto, in modo indiscriminato. Attraverso una riforma liturgica, condotta spesso in modo scanzonato, è stata scossa e sofisticata la fede retta e semplice nei Sacramenti: il Battesimo e la Confessione, soprattutto l’Eucaristia.

Si è diffusa – denuncia mons. Graber – una deplorevole confusione nelle coscienze, che è la causa principale dello smarrimento del “Sacro”. Una desacralizzazione, voluta e imposta da certo clero progressista, che fa parte del “complotto” delle forze sovversive (leggi: Massoneria) che vogliono rovinare la fede e la preghiera. Cambiata la regola della preghiera (lex orandi), si cambia in modo facilissimo la regola della fede (lex credendi), e viceversa, per cui a un certo punto, nulla più regge.

Oggi, a 45-50 anni dall’inizio di queste cose, ne vediamo la gravità, ma chi pone mano ad esse? L’attenzione, purtroppo, continua a essere rivolta più all’uomo che a Dio.

Mons. Graber, in questo suo capolavoro, accusa e documenta tale complotto, ripetendo il monito dello statista barone Von Hertling, uomo pio e saggio, che già nel 1905 aveva scritto: «Gli indecisi, i titubanti, gli uomini di poca fede sogliono subire l’assalto senza possibilità di opporre resistenza; così si spezzano gli ultimi legami che li tenevano uniti alla Chiesa. Credono di avere il diritto di condannare tutta la pietà cattolica».

Queste parole dette del modernismo d’inizio secolo XX, mons. Graber le applica in modo ancora più denso al modernismo del nostro tempo che giunge alla negazione piena di Gesù Cristo stesso e del Cattolicesimo che viene da Lui: «Del Cattolicesimo così non resta più nulla» (ven. Pio XII), solo un umanitarismo come vogliono la Massoneria e gli “utili idioti” che di essa fanno il gioco, sorridendo alle “aperture”, all’“aria aperta” fatta entrare nella Chiesa!

Il servirsi della “tavola” come faceva Cranmer (1489-1556) all’inizio dell’anglicanesimo, al posto del vero altare ormai trascurato e disprezzato, nuoce assai in questo senso. “Assemblea” e celebrante si “autocelebrano” a vicenda, incentrandosi sull’uomo e non su Dio. è sminuita la realtà del Sacrificio di Gesù e si fa risaltare invece la convivialità.

Con lo pseudo-altare non più sacro, perde poco alla volta il carattere sacro anche Quello che si mette sopra: il Figlio di Dio, Gesù Cristo eucaristico è dimenticato e persino negato. Le molte, irriverenti e diverse maniere di dare la Comunione (“sulla mano”, ma si poteva trovare una cosa peggiore?) fanno il resto. E il continuo chiasso di vario genere, musiche e canti stolti e brutti, persino da osteria, uccidono lo spirito di preghiera, che non può esserci senza raccoglimento.

Dal lucido libro di mons. Graber, questi sono soltanto appunti. Ciò che qui viene chiamata «crisi della Chiesa», papa Paolo VI ha chiamato «autodistruzione della Chiesa»: occorre ascendere alle sue cause, per correggere e riemergere, ma chi lo fa? Ci si illude ancora in un falso ottimismo che aggrava il male, senza rimedio.


Una teologia senza Cristo
Mons. Graber addita il “documento” della Società segreta (si trova nell’Archivio Vaticano), che suona così: «Noi cerchiamo di distogliere il prete dall’altare e procuriamo di occuparlo in altre cose; rendiamolo politicante e gaudente; in breve diverrà ambizioso, intrallazzatore e perverso. La nostra impresa mira alla corruzione del popolo per mezzo del clero. E con questa corruzione siamo certi di vedere la Chiesa precipitare nella tomba». Nel suo libro, mons. Graber fa vedere (scrive ai primi anni ’70 del secolo scorso) che il programma della Massoneria si sta realizzando. In tutti i Paesi marciano «i pornoteologi», come li definì padre Cornelio Fabro (1911-1995), uno dei maggiori filosofi italiani del nostro tempo. Tutto va a rotoli, si difendono, si giustificano le relazioni pre-matrimoniali, gli adulteri, l’amore di gruppo, gli atti contro natura e quant’altro di perverso possa esistere.

Si pensi ora quanto più tutto ciò si è realizzato oggi, ma la Chiesa come ai tempi di sant’Atanasio, non scenderà nella tomba, perché Essa appartiene a Gesù, l’Uomo-Dio che l’ha acquistata con il suo Sangue e con il medesimo Sangue la nutre.

Infine, mons. Graber rammenta Karl Rahner, prima del Concilio Vaticano II: già allora non era senza macchia. Infatuato di Heidegger e di tutta la filosofia esistenzialistica, portò fin dal principio una nascosta (neppur troppo) contraddizione di se stesso, che si è aggravata negli anni del Concilio e del post-Concilio, quando tutto è stato posto in discussione. Oggi, anche rileggendo il Rahner pre-conciliare, lo si vede come un vero camaleonte che prende sempre il colore dell’ambiente, a dir poco un opportunista.

Quindi è passato alla testa della schiera attivissima non solo in Germania, ma nel mondo intero, lanciatasi all’assalto del Cristo stesso e della sua Chiesa. Sotto un linguaggio fine e persino a volte edificante, egli elabora una “teologia” incentrata sull’uomo e sul mondo, una teologia senza Cristo. Altri “teologi”, altre “cattedre” lo hanno seguito, così che oggi una triste, tristissima gloria resta a Rahner. Egli ha minato e quasi distrutto la fede nel Battesimo – imposto e voluto da Cristo – con il suo slogan: «Ogni uomo è cristiano».

Ci troviamo così di fronte a una nuova “strage degli innocenti”: i bimbi morti senza Battesimo, perché le nuove pratiche e la svalutazione del Battesimo hanno preso forza dalle tesi di Rahner. Ma tutta una pastorale (che è la negazione della pastorale vera), proprio a causa di Rahner professato da legioni, non si occupa più della Salvezza delle anime, della lotta al peccato, della vita in grazia di Dio, della Confessione frequente e della necessaria, indispensabile, continua conversione a Gesù Cristo. Una realtà terribile: sembra non esistere il problema più urgente, l’unico vero problema, la Salvezza delle anime. Al punto che malati e morenti sono spesso lasciati morire senza Sacramenti: certi preti e parroci non se ne interessano più!

Conclude così il libro mons. Graber: «La terra tremi sotto i nostri piedi. Si può presagire con certezza che la Chiesa uscirà incolume da una tale rovina, ma nessuno può dire e congetturare chi e che cosa sopravvivrà. Noi, dunque, avvisando, raccomandando, alzando le mani, vorremmo impedire il male mostrandone i segni. Persino i giumenti che portano i falsi profeti, si impennano, arretrano e rinfacciano con linguaggio umano la loro ingiustizia a chi li batte e non vede la spada sguainata (da Dio), che chiude loro la strada. Operate dunque finché è giorno, perché di notte nessuno può operare. Non serve nulla l’aspettare: l’attesa non ha fatto altro che aggravare tutte le cose».

Ecco, ciò che serve oggi: un nuovo sant’Atanasio. O meglio: molti sant’Atanasio. Ma Gesù, per mezzo di Maria Santissima Immacolata, non mancherà di mandarceli quando Lui vorrà. A noi pregare, agire, soffrire e offrire per Lui e affrettare l’ora.



Tratto da "unaFides"


Bach fa ritorno in chiesa. A Firenze la vigilia dell’Epifania

                               
bach
 



di Sandro Magister

Alle 10.30 del prossimo 5 gennaio, seconda domenica dopo Natale, l’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori celebrerà nella basilica di San Lorenzo una messa in canto.

In canto nel senso vero della parola. Le antifone e il Credo saranno cantati in gregoriano dalla cappella musicale della cattedrale di Firenze, diretta dal Maestro Michele Manganelli. Mentre il Kyrie, il Gloria, il Sanctus e l’Agnus Dei saranno quelli della Messa in si minore BWV 232 di Johann Sebastian Bach.

E sarà proprio questa la grande novità musicale della celebrazione: l’esecuzione del capolavoro di Bach nel suo contesto originale, per il quale era stato ideato e scritto, non una sala da concerto ma la liturgia eucaristica di rito cattolico romano. Bach era protestante, ma compose quest’opera per la liturgia cattolica. Non a caso suo figlio Carl Philipp Emanuel la titolò “Die grosse Katholische Messe” nel catalogo postumo del 1790 delle opere paterne.

A eseguire la Messa di Bach, sotto la direzione di Mario Ruffini, saranno i concertisti e il coro del Maggio Musicale Fiorentino, preparato da Lorenzo Fratini, con l’apporto di quattro giovani solisti, il soprano Giulia Peri, il mezzosoprano Anastasia Boldyreva, il tenore Alfonso Zambuto e il basso Gabriele Spina. La disposizione nella chiesa dei cantori e dell’orchestra come anche alcuni adattamenti musicali faranno in modo di fondere il più armoniosamente possibile la musica con la liturgia, rimuovendo ogni elemento di spettacolarità.

Ma non è tutto. La messa del 5 gennaio in San Lorenzo si distinguerà anche per la presenza, tra i fedeli, di un folto gruppo di detenuti della Casa Circondariale di Sollicciano.

In questo carcere l’associazione La Pasqua di Bach, promotrice dell’evento, svolge da diverso tempo un’intensa attività di educazione alla musica, con concerti, film, cori, corsi musicali, ascolti guidati, costruzione di strumenti, coinvolgendo non solo i detenuti ma anche i figli delle guardie carcerarie.
Sarà un detenuto di Sollicciano a proclamare nella messa del 5 gennaio la seconda lettura, tratta dalla lettera di Paolo agli Efesini, mentre la prima lettura sarà letta da Sergio Givone, che è parrocchiano della basilica di San Lorenzo.

Altre notizie sono nel sito dell’associazione La Pasqua di Bach.




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venerdì 27 dicembre 2013

I cristiani sono perseguitati anche in Occidente






di Achille Benedettini

Nei Vangeli si legge che Gesù nasce in una mangiatoia perché non c´è posto per lui nell´albergo. L'evangelista Luca usa il termine "katálüma" che indica la stanza comune, poco importa che fosse un´abitazione privata o una locanda, non c´era posto per Gesù che viene. E oggi? Dopo duemila anni quale è la situazione nella stanza comune della vita pubblica? In Corea del Nord i dissidenti che portano con sé una Bibbia sono abitualmente giustiziati. In Nigeria, Kenya, Sudan, Libia, Siria, Egitto, India e tanti altri Paesi i cristiani vengono aggrediti, percossi, mutilati, uccisi, le loro proprietà distrutte, le chiese date alle fiamme. L´Osce fornisce la cifra di 160.000 cristiani che nello scorso decennio sono stati annualmente uccisi a causa della loro appartenenza religiosa. Se questi fratelli pagano col sangue la loro fedeltà al Signore, cosa accade nell´occidente ebbro di relativismo democratico?

Prima venne che "il buon medico non obietta", i medici, quelli buoni devono fare gli aborti, devono prescrivere contraccettivi criptoabortivi, possono deontologicamente avere irrilevanti convincimenti etici, ma non una coscienza obbligante. Con i medici sono entrati nelle liste dei cristiani da piegare alla servitù del Leviatano farmacisti, infermieri, ostetriche. È proseguito nel New Mexico con Elaine Huguenin condannata a pagare miglia di dollari per avere rifiutato il photo-book di fidanzamento a Vanessa Willock con la compagna. Secondo uno dei giudici il compromesso con i propri valori religiosi "è il prezzo della cittadinanza". Poi è toccato a Jack Phillips che in Colorado rischia 1 anno di galera per essersi rifiutato di preparare la torta nuziale ai signori Charlie Craig e David Mullins. Stesso problema in Oregon per Aaron e Melissa Klein che hanno dovuto chiudere la pasticceria dopo l'uragano di offese e minacce che è seguito alla denuncia per non avere voluto preparare la torta nuziale alle signore Rachel Cryer e Laurel Bowman. Non solo fotografi e pasticceri. Nello Stato di Washington è toccato alla fioraia Barronelle Stutzman vedersi denunciata per avere detto di no all'addobbo della cerimonia omo-nuziale di Robert Ingersoll col partner Curt Freed. Dall'altra parte dell'oceano non è andata meglio ad Hazelmary e Peter Bull, i coniugi proprietari di un bed & breakfast in Cornovaglia, che sono stati multati di 3600 sterline per avere offerto due singole, ma non il letto matrimoniale a Steven Preddy e il compagno Martin Hall. Ora la loro attività di una vita intera è in vendita dopo il boicottaggio da parte delle agenzie di prenotazione e i numerosi atti di vandalismo.

Neppure il "mestiere" di genitore è al sicuro. Provare per credere andando a domandare a Arthur e Anna Wiens, o a Eduard e Rita Wiens, condannati a 138 giorni complessivi di galera per essersi rifiutati di mandare i 4 figli di 9 e 10 anni ad assistere alle lezioni obbligatorie di educazione sessuale dal programmatico titolo tardo sessantottino "il mio corpo è mio". In Svizzera è iniziata l'operazione di indottrinamento per i bambini a suon di scatole del sesso, peni di legno e vagine di peluche, come ha raccontato con ampi dettagli su la Bussola Tommaso Scandroglio. In Italia abbiamo assistito al professore Enrico Pavanello, docente di religione ad un liceo classico di Venezia, costretto alle scuse per avere osato presentare la dottrina cattolica sull'omosessualità. Diffusione planetaria ha poi avuto il mea culpa in multilingua di Pietro Barilla, per l'omofoba pretesa di pubblicizzare la propria azienda mostrando la famiglia formata da un uomo e una donna. L'ordine del Lazio ha varato le linee guida per gli psicologi, manco a dubitare totalmente conformi all'impostazione affermativa. Condotte terapeutiche ispirate da prospettive scientifiche difformi sono a rischio di deferimento. Sempre in Italia è stato varato il decalogo gay-friendly per i giornalisti. La parola d'ordine è "it's okay to be gay", il povero giornalista è avvertito, come ancora su La Bussola ha riferito Massimo Introvigne.

Allora, proviamo a fare le somme: medici, infermieri, farmacisti, ostetriche, psicologi, fotografi, fioristi, giornalisti, pasticceri, albergatori, insegnanti, imprenditori e persino quello di genitori sono tutti mestieri, professioni e ruoli che la secolarizzazione anticristiana sta rendendo incompatibili con la propria fede. E molti altri ambiti sono potenzialmente minati. Come per Gesù, anche per costoro non c'è posto nell'albergo della società. A questi nuovi cristeros non viene impedito il culto, ma qualcosa di non meno importante: viene imposto il peccato, giacché agire contro coscienza significa sempre peccare. I cristiani vedono sempre più restringere i territori su cui potere vivere da cristiani. Ogni giorno interi appezzamenti ci vengono sottratti. Certo possiamo tirare un sospiro di sollievo per non avere perso un´intera regione in un colpo solo sotto la mannaia della risoluzione portata in Europa dalla signora Estrela; l´abbiamo scampata per sette provvidenziali voti, ma se ci guardiamo intorno vedremo qualcosa che già videro gli occhi di Baliano di Ibelin affacciandosi dalle mura di Gerusalemme la mattina del 20 settembre 1187: un esercito soverchiante che cinge d´assedio le mura per distruggere ogni traccia di cristianità.

I binari paralleli dei diritti riproduttivi e dell´agenda gender portano i cristiani alla meta certa del campo di concentramento dove lì rimarranno per un po´ in attesa della soluzione finale. Stiamo a grandi passi avvicinandoci alla linea rossa, quella che indica nella violazione dell'ordine morale, dei diritti fondamentali dell'uomo e della legge di Dio, i limiti all'obbedienza all'autorità. Preghiamo perché i pastori abbiano la virilità sufficiente auspicata dal direttore Cascioli per condurre oggi la vigorosa e pacifica battaglia, prima che al popolo di Dio non rimanga che la scelta tra abiura e resistenza (CCC 2243).
 
 
 
 
 
 
 
La nuova Bussola Quotidiana 27-12-2013