Articolo scritto da Infovaticana, pubblicato su Infovaticana, nella traduzione curata da Sabino Paciolla (27 agosto 2025).
Infovaticana
Il dibattito sulla legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia coinvolge diverse nazioni, ma non tutte le chiese locali reagiscono allo stesso modo. In Italia si sta affermando una strategia del “male minore” che mira a una legge restrittiva; in Uruguay, il vescovado ribadisce un no categorico, ponendo l’accento sulle cure palliative e sulla dignità umana. Questa differenza rivela due visioni pastorali e politiche distinte su come affrontare la cultura della morte.
Il fatto è che introdurre una legge del “male minore” non neutralizza il male, ma lo normalizza. Quando lo Stato regola la morte, la rende un’opzione socialmente legittima, e i più fragili finiscono per sentire la pressione di “non essere un peso”.
Il fatto è che introdurre una legge del “male minore” non neutralizza il male, ma lo normalizza. Quando lo Stato regola la morte, la rende un’opzione socialmente legittima, e i più fragili finiscono per sentire la pressione di “non essere un peso”.
Italia: la CEI e la PAV tra mediazione politica e dottrina morale
Secondo La Brújula Cotidiana, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e i responsabili della Pontificia Accademia per la Vita (PAV) hanno approvato l’iter di un progetto di legge governativo che limita l’accesso al suicidio assistito – età adulta, collegamento alle cure palliative, valutazione nazionale e costo a carico del richiedente – appellandosi al n. 73 della Evangelium vitae come argomento di contenimento dei danni. La proposta cerca di “anticipare” un’altra più ampia promossa dalla sinistra. Di fronte a ciò, associazioni pro-vita e vescovi come il cardinale Camillo Ruini avvertono che è preferibile nessuna legge a una cattiva legge.
Il ricorso all’Evangelium vitae è discutibile, poiché il testo di San Giovanni Paolo II si riferiva alla possibilità di modificare leggi ingiuste già in vigore, non di inaugurare una prima legge “meno cattiva” che nella pratica legittima l’eutanasia. L’esperienza italiana con la legge 40/2004 dimostra che le restrizioni finiscono per cadere nel tempo: la china scivolosa non è un’ipotesi, ma un modello storico.
Uruguay: un chiaro “no” all’eutanasia e un sì categorico alla dignità
Nell’aprile 2025, i vescovi dell’Uruguay hanno pubblicato una dichiarazione in cui respingevano il progetto di legge sull’eutanasia e invitavano a difendere la vita in tutte le sue fasi come contributo esplicito al dibattito pubblico, fatto che hanno ribadito lunedì scorso dopo l’approvazione della legge sulla “morte dignitosa” alla Camera dei deputati uruguaiana.
La Conferenza Episcopale dell’Uruguay insiste sul fatto che la risposta umana e cristiana alla sofferenza passa attraverso l’accompagnamento, le cure palliative e la solidarietà, non attraverso l’eliminazione del paziente. Sulla stessa linea, hanno sottolineato la necessità di legiferare alla luce della dignità della vita umana, sottolineando che la vera compassione non consiste nell’accelerare la morte, ma nell’alleviare la sofferenza senza abbandonare chi soffre.
A differenza del tono negoziale dell’Italia, il documento uruguaiano dimostra che la chiarezza dottrinale e la carità pastorale non si escludono. Riconoscere il dolore dei malati non significa accettare l’eutanasia come “misericordia”, ma rafforzare l’assistenza medica, spirituale e familiare che fa sentire ogni persona preziosa fino alla fine.
Due strategie, due impatti culturali
Mentre in Italia si ritiene che una legge restrittiva possa essere un argine contro proposte più permissive, in realtà essa trasmette il messaggio che l’eutanasia è negoziabile. Con il tempo, le eccezioni diventano la regola e i tribunali finiscono per smantellare i vincoli. In Uruguay, al contrario, il rifiuto esplicito alza il livello morale e concentra la discussione sulle cure palliative integrali, evitando che la morte diventi una prestazione giuridica. Così, legiferare sulla morte erode la fiducia medico-paziente e la solidarietà intergenerazionale, mentre ciò che è veramente umano è prendersi cura, accompagnare e non abbandonare.
Cosa c’è in gioco per la Chiesa?
Il confronto porta a una conclusione chiara: le conferenze episcopali plasmano il clima morale quando parlano con chiarezza. In Italia, la ricerca di compromessi rischia di diluire l’insegnamento in chiave di gestione politica; in Uruguay, la fermezza episcopale dimostra che la difesa della vita può essere propositiva e persuasiva nella piazza pubblica. La Chiesa non è chiamata ad essere gestore di danni, ma testimone della verità sull’uomo. Laddove la legge apre la porta all’uccisione, la sua missione non è quella di scegliere il cardine, ma di chiudere la porta.

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