giovedì 31 ottobre 2019

Dopo l’apostasia l’idolatria








p. Serafino M. Lanzetta, 30-10-2019

Come può accadere che senza troppi rimorsi, anzi con baldanzosa esultanza, l’idolatria penetri nel tempio di Dio? Delle statuine, alla fine identificate ufficialmente come idoli Pachamama, sono state non solo al centro di un roboante evento mediatico per il fatto che giustamente erano state gettate nel Tevere, ma soprattutto sono state il simbolo e la vera cifra del Sinodo amazzonico appena conclusosi. Un Sinodo che ha fatto i conti con l’idolatria. Le premesse erano state già poste dall’Instrumentum laboris. Era chiaro sin dall’inizio che il Sinodo amazzonico presentasse una nuova religione ecologica legata alla terra – “madre terra”, simbolo della femminilità più riuscita – fonte di ispirazione e di profezia per il nostro tempo e ciò al fine di assegnare alla Chiesa il suo vero volto. Un volto è stato trovato in quello scolpito dal feticcio della fertilità. Il tira e molla dei media vaticani e para-vaticani per dissuadere il pubblico dall’idea che a Roma si sponsorizzasse la religione di Pachamama non è riuscito a spegnere l’ira e l’indignazione di quei cattolici che hanno avuto il coraggio di parlare. Pochi, come sempre. E poi il fatto che un periodico liberale inglese come The Tablet si preoccupasse di dissuadere dal pericolo idolatrico fornendo un’ermeneutica cristiana delle statuine la dice lunga. L’idolatria di questi giorni è frutto di un processo più lungo, ma che avrebbe portato inevitabilmente a sostituire Dio con le cose delle mani dell’uomo. La vicenda delle Pachamama è un’accurata radiografia della Chiesa nel suo interno in questo momento drammatico.

L’idolatria non accade improvvisamente come un colpo di fulmine; è preparata da un processo più lungo che inizia con la perdita della fede, con un ateismo silenzioso e pragmatico che come una larva cresce, prende forma, la forma di un’apostasia piuttosto generale. Si è diventati atei senza saperlo; anzi credendo di fare gli interessi del Vangelo in un mondo che cambia continuamente. Assumendo il cambiamento come luogo teologico dell’annuncio (prima ancora che si arrivasse al territorio), il divenire, il processo, si è sostituito al Messaggio che volevamo trasmettere. Così l’ateismo strisciante ha preso corpo in un’apostasia diffusa. Evidenza di ciò è l’incapacità ormai di reagire al continuo martellamento anti-cristico e anti-ecclesiale. L’incapacità è in realtà più profonda: è il non rendersi neppure conto della gravità della situazione e della necessità di dover intervenire. Come si può qualificare questa anomalia diffusa se non come apostasia? Un’apostasia però anch’essa atipica e liquida. Non è solo l’abbandono della fede ma anche la sua trasformazione interna in un altro credo, in un’altra religione. Non solo il tradimento dei Comandamenti di Dio – molto spesso alimentata da una condotta morale non idonea – ma soprattutto l’uso strumentale di categorie teologiche, di dottrine cristiane, per fare altro, per dire altro. Un uso nominalistico della fede ha fatto diventare quella fede, di fatto ripudiata, un’altra cosa: l’adorazione degli idoli o quantomeno la sua giustificazione. Se Dio non c’è perché non sappiamo se esista e perché la fede che ci ha rivelato non è sufficiente ad appagare quella sete inappagata di conoscenza e di cambiamento, allora ogni cosa lo può rappresentare, ogni idolo può essere espressione di ciò che è importante per l’uomo.

L’idolatria nella Bibbia accade normalmente come conseguenza di un peccato di adulterio spirituale, di prostituzione agli idoli delle genti. Prostituzione qui è sinonimo di rinnegamento della fedeltà sponsale all’unico Dio, dell’apostasia di Israele. Di ciò è emblema la vicenda personale del profeta Osea che prendendo in moglie una prostituta doveva manifestare nei figli generati da questa unione la degenerazione del popolo. Ciò fu
salutare per richiamare il popolo di Dio alla sua fedeltà. Israele, dopo essere stato condotto nel deserto, sarebbe ritornato, come una sposa fedele, all’amore del suo Dio (cf. Os 1-2). Quanto deserto è ancora necessario oggi perché il Signore parli al cuore della sua Amata? Se poi l’adulterio viene giustificato pragmaticamente con la misericordia e il discernimento, come sembra accada con Amoris laetitia, ciò non provoca un adulterio più grave di natura spirituale nei confrontidella fede della Chiesa? E ciò non è una premessa per l’apostasia e quindi l’idolatria?

Di più, quegli israeliti che vedendo Mosè tardare nel discendere dal Sinai chiedono ad Aronne di fare un vitello d’oro davanti al quale prostrarsi e al quale offrire sacrifici erano un popolo dalla «dura cervice» (Es. 32,9). Già molte volte si erano lamentati del Signore, avevano perfino messo in dubbio la mano di JHWH nell’uscita portentosa dall’Egitto. Era un popolo che al disagio di vedersi ramingo nel deserto avrebbe volentieri preferito la schiavitù antica, alla libertà di essere popolo di Dio la certezza di un pane da mangiare. L’idolatria è frutto di una protesta contro Dio. Inizia con la sfiducia nei suoi confronti; sfiducia che porta ad allontanarsi da Lui e quindi a cercare altro. L’idolatria è il frutto del rinnegamento della vera fede. Perché però gli idoli sono avvincenti? Per quale ragione la “religione” degli idoli affascina, seduce e prende il posto della vera fede? Perché gli idoli sono opera delle mani dell’uomo, sono il ritratto di ciò che l’uomo vuole essere, di ciò che veramente pensa e ama. Adorare un idolo è adorare se stessi al posto di Dio. O meglio, è adorare l’anti-dio che seduce e separa da Dio, il diavolo, come si vede chiaramente dalle parole di Gesù al diavolo tentatore nel deserto (cf. Mt 4,8-10). L’uomo non può non adorare, deve però scegliere chi. Tollerando la presenza degli idoli – le Pachamama nel nostro contesto odierno – accanto alla fede, si dice che in fondo la religione è ciò che appaga i desideri dell’uomo.

Purtroppo però vaneggiare nei propri ragionamenti ottenebra la mente ottusa portando a misconoscere le perfezioni di Dio per dare gloria all’uomo corruttibile, a uccelli, quadrupedi e rettili (cf. Rm 1, 22-23). Gli idoli sono sempre avvincenti perché si adora ciò che si vuole e soprattutto non si hanno troppi grattacapi morali. Anzi, sono per lo più la sublimazione di tutti gli istinti umani. Il vero grattacapo però si ha quando la corruzione morale dilaga e infesta la Chiesa. Un “abbandono di Dio” all’impurità per essersi prostituiti ad altri dei, per aver scambiato la verità di Dio con la menzogna adorando e servendo le creature anziché il Creatore (cf. Rm 1, 24-25)? Sembra proprio che San Paolo parli a noi uomini d’oggi. È il collasso dogmatico e morale la radice di questa triste parabola.

P.S. Mi permetto di rimandare al mio Editoriale su Fides Catholica (1-2019) per approfondire il tema del collasso teologico-morale alla radice della crisi nella Chiesa.












Senza fedeltà alla dottrina non c'è sinodalità





L'annuncio da parte di papa Francesco su un prossimo sinodo dedicato alla sinodalità non può non preoccupare. Malgrado i proclami questi ultimi sinodi sono stati un pessimo esempio di sinodalità, ma soprattutto non ci può essere sinodalità senza fedeltà alla tradizione e senza il consapevole inserimento in quanto la Chiesa ha sempre insegnato.




Stefano Fontana EDITORIALI
30-10-2019

La sinodalità è il problema, non la soluzione.
Quando papa Francesco, nel discorso a conclusione del sinodo sull’Amazzonia ha segnalato la possibilità di un prossimo sinodo sulla sinodalità molti avranno tremato. Se si fa un sinodo sulla sinodalità vuol dire che sulla sinodalità c’è incertezza. Ma allora il futuro sinodo che dovrà appunto parlare di sinodalità, avrà un fondamento debole, perché è proprio la sinodalità a fondare e legittimare il sinodo.

A parte questo curioso gioco di parole, un prossimo eventuale sinodo sulla sinodalità
preoccupa molto perché si teme che esso possa convalidare l’attuale versione di sinodalità e consacrarne l’uso fatto in questi ultimi tempi; un uso, bisogna riconoscere, poco sinodale. La sinodalità è oggi una parola passepartout, che dovrebbe aprire ogni porta e condurre alla soluzione di ogni problema, mentre invece è l’origine di molti problemi.

La sinodalità viene tanto conclamata e declamata
, ma in realtà non viene applicata. È una parola-copertina, una parola-paravento, una parola-foglia-di-fico. La gravissima questione degli abusi sessuali doveva essere risolta con la sinodalità. Anche quella dei divorziati risposati doveva essere risolta con la sinodalità. Pure l’ecologia integrale andrebbe risolta con la sinodalità, come del resto la riforma della Chiesa. Non ci saranno né conversione pastorale né conversione ecologica senza conversione sinodale, così si dice. La conversione sinodale sembra precedere perfino la conversione a Cristo.

Però, nonostante queste declamazioni
, né il sinodo sulla famiglia, né quello sui giovani, né ora questo sull’Amazzonia sono stati impostati e condotti in modo veramente sinodale. Il contestatissimo Instumentum laboris è stato scritto da una manciata di persone della REPAM, la Rete ecclesiale panamazzonica, e la propagandata consultazione di 80 mila indigeni non sembra essere realmente avvenuta. Le nomine dei Padri sinodali sono state fortemente orientate a senso unico. Qualcuno nutriva forse dei dubbi su come avrebbero votato padre Spadaro o il cardinale Marx? Le indicazioni fondamentali su dove si vuole arrivare sono state date in anticipo al punto che ora, uscito il documento finale, si discute degli stessi problemi ampiamente previsti dei quali si discuteva prima del sinodo, ossia sacerdozio agli sposati, donne diacono, riti amazzonici.

La conduzione del sinodo è stata preparata e accompagnata
da una comunicazione addomesticata: nessun minimo cenno da parte di trasmissioni televisive, giornali o riviste cattoliche allineate a qualche punto interrogativo sul sinodo, a qualche perplessità. Solo un coro unanime ed entusiasta. Su queste basi molti pensano che sia il documento finale (almeno in bozza) sia la futura esortazione apostolica (almeno in bozza) siano già stati scritti prima dell’inizio dei lavori.

Questo modo non sinodale di attuare la sinodalità
, in virtù del principio di coerenza, si ripercuoterebbe anche sull’eventuale futuro sinodo sulla sinodalità e l’effetto segnerebbe una ulteriore delegittimazione sia della sinodalità che del sinodo. Sinodi condotti in questo modo mettono in crisi l’adesione credente dei fedeli, ossia indeboliscono la sinodalità stessa, che non riguarda solo chi partecipa attivamente ad un sinodo, ma anche tutto il corpo ecclesiale che, pur non avendovi partecipato, ha pregato e ha creduto.

C’è però anche di più.
Oltre ai difetti di applicazione e alle contraddizioni nell’esercizio della sinodalità, oggi si nota una concezione di sinodalità piuttosto pericolosa. Non ci può essere sinodalità senza fedeltà alla tradizione e senza il consapevole inserimento in quanto la Chiesa ha sempre insegnato. La sinodalità non è una relazione assembleare o un metodo di discussione, è il convinto inserimento nella vita stessa della Chiesa, in comunione con tutta la Chiesa, compresa la Chiesa di ieri, fino agli apostoli, compresa la Chiesa che non è più peregrina sulla terra, sotto il papa regnante e sotto la tradizione dei papi non più regnanti.

Senza fedeltà assoluta alla dottrina non c’è sinodalità
perché uno è lo Spirito che ha ispirato la rivelazione e che anima l’unione tra i membri della Chiesa. Non sono i Padri sinodali a sinodalizzarsi con il loro-convenire, è Cristo che li sinodalizza (ammesso che la parola esista) con il loro convocarli costituendoli in unità. Se la sinodalità guarda solo avanti e non anche indietro rischia di diventare una assise assembleare a disposizione per cambiamenti decisi al di fuori della sinodalità.

Se la sinodalità parte dall’uomo, o dal popolo, o dalla situazione, e non da Dio
, rischia di rendersi funzionalmente dipendente da un progetto umano. Il fariseo non è colui che ricorda ai Padri sinodali che c’è una dottrina che non è nata in Amazzonia e che l’Amazzonia ha il diritto di ricevere integra, ma al contrario è chi mette la sinodalità a servizio di una dottrina che si dice nasca dall’Amazzonia. La sinodalità non è un con-venire da cui far nascere la verità, ma è la verità a servizio della quale con-venire. La sinodalità non è un come senza un contenuto, non è un contenitore da riempire di con-divisioni, ma ha alle spalle un contenuto veritativo da servire insieme. È per questo che, parlando a rigore, per avere sinodalità non è nemmeno necessario fare i sinodi. E se si fanno, bisogna sempre tenere presente che è la sinodalità a fare i sinodi e non i sinodi a fare la sinodalità. Con uno slogan: meno sinodi e più sinodalità.


















mercoledì 30 ottobre 2019

Festa San Salvatore Vaiano 9-10 novembre 2019





Festa di San Salvatore: due giorni di iniziative
A Vaiano un convegno sui botanici del Seicento e la Messa in latino


Appuntamento sabato 9 e domenica 10 novembre alla Badia di Vaiano




Vaiano, 24 ottobre 2019 – Due giorni di iniziative a Vaiano (Prato) per la Festa di San Salvatore.


Sabato 9 e domenica 10 novembre la Badia di Vaiano aprirà le porte a una serie di appuntamenti pensati per celebrare la ricorrenza dedicata al titolare dell’antica abbazia benedettina-vallombrosana.

Sabato 9 novembre
(ore 15.30) il Cucinone dei monaci della Badia di Vaiano ospiterà la conferenza
“Michelangelo Tilli e don Bruno Tozzi, abate di Vaiano, insigni botanici del Seicento” di Claudia Centi studiosa, vicesindaco e assessore alla Cultura del Comune di Castelfiorentino. Un incontro su due personaggi che hanno fatto la storia degli studi sulle piante: Tilli, medico e botanico nato a Castelfiorentino nel 1655, fu tra i primi in Italia ad utilizzare le serre per le piante, rendendo possibili in Italia le coltivazioni dell'ananas e del caffè. L’abate vallombrosano Bruno Tozzi (1656-1743), famoso botanico e micologo italiano, fu abate di Vaiano nel 1722. Nel Monastero di Vallombrosa, dove la sua biblioteca è consultabile ancora adesso, studiò e raffigurò con perizia le essenze vegetali. La sua fama raggiunse anche Londra dove, pur declinando l’invito, fu chiamato a rivestire il ruolo di professore di Botanica.

Parteciperanno: don Marco Locati parroco di Vaiano, Primo Bosi sindaco di Vaiano, Francesco Fontanive presidente dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Prato, Marco Capaccioli vicepresidente Associazione Nazionale Case della Memoria. A moderare sarà Adriano Rigoli coordinatore del Museo della Badia di Vaiano e presidente dell’Associazione Nazionale Case della Memoria. Nel corso dell'incontro sarà presentato il romanzo storico di Claudia Centi su Michelangelo Tilli “I fiori del caffè profumano di Gelsomino” (Certaldo, Federighi Editore, 2019). A seguire, nella Sala dell'antica Gualchiera (ore 17), si terrà “Nell'orto di Tilli”, rappresentazione scenica a cura dei giovani della Compagnia Teatrale amatoriale “Passi di Luce” di Castefiorentino, la cui sceneggiatura e i cui testi sono liberamente ispirati al libro di Claudia Centi.

Domenica 10 novembre
(ore 18) nella Chiesa abbaziale di San Salvatore della Badia di Vaiano si terrà come da tradizione la Santa Messa solenne in Rito Romano antico in latino. Questo è il dodicesimo anno consecutivo che la messa viene officiata secondo il Rito Damaso-Gregoriano a partire dal 2008, anno in cui fu ricordato il bicentenario della soppressione del monastero di Vaiano (1808). La Messa sarà celebrata da padre Stefano Bertolini della Congregazione dell'Oratorio di Prato e Parroco di Santa Cristina a Pimonte di Prato. Alla fine della celebrazione, chi vorrà potrà unirsi alla venerazione della reliquia del crocifisso miracoloso di Beirut, conservata per secoli dai monaci vallombrosani di Vaiano.

Info: Museo della Badia di Vaiano 328.6938733, adriano.rigoli@gmail.com






martedì 29 ottobre 2019

I vescovi italiani vogliono farci pregare la Pachamama




A Verona il parroco fa recitare una preghiera rituale alla Pachamama e i fedeli insorgono. Ma tutto parte da lontano: già in aprile l'organismo missionario della Cei invitava a pregare la Pachamama in preparazione al Sinodo. In un opuscolo in cui non compare nemmeno la parola Gesù, ma rivolto a parrocchie e fedeli, fa capolino la preghiera andina alla Madre terra. Siamo allo sdoganamento conclamato del paganesimo con l'imprimatur dei vescovi italiani. 


LA CEI IN CAMPO CON GLI IDOLI

ECCLESIA
Andrea Zambrano, 29-10-2019

E’ l’oggetto del momento. Si illudeva chi pensava che la Pachamama sarebbe sparita dai nostri radar dopo la chiusura del Sinodo sull’Amazzonia. Così come si illudeva chi si era lasciato convincere dalla versione del Vaticano che quello alla Madre terra visto in questi giorni, chiamata o no Pachamama poco importa, non fosse un atto di culto. La verità è che quello dell’idolatria pagana fa parte di una precisa strategia che non passa soltanto dal Repam, ma è assimilata anche dagli organismi della Conferenza Episcopale Italiana.

Il titolo di questo articolo infatti, non è peregrino, se letto alla luce di quanto la Nuova BQ ha scoperto approfondendo la notizia che sta andando per la maggiore sui social in queste ore.

In una parrocchia di Verona il prete ha fatto recitare una preghiera alla Pachamama e su questo non ci possono essere interpretazioni discordanti dato che uno dei foglietti distribuiti in chiesa sta girando originale su internet.

Siamo a Verona, nella parrocchia del Sacro Cuore ed è qui che il 25 ottobre scorso il parroco don Claudio Castellani ha promosso una veglia missionaria chiamata Buen Vivir. Già dal sottotitolo si poteva comprendere che non si sarebbe trattato di una veglia come quelle che solitamente le parrocchie organizzano per chiedere al padrone della messe di inviare operai nella vigna: Veglia di preghiera sulla responsabilità verso Madre terra, con riferimento al Sinodo indetto dal Papa.

Dove sta la notizia? Sta in questo: ad un certo punto, tra una canzone di De Gregori e un’altra invocazione decisamente eterodossa, il parroco ha fatto leggere una preghiera alla Pachamama.

Ecco il testo: «Pachamama di questi luoghi, bevi e mangia a volontà questa offerta, affinché sia fruttuosa questa terra. Pachamama buona madre, sii propizia! Sii propizia! Fa che i buoi camminino bene e che non si stanchino. Fa che la semente spunti bene, che non succeda nulla di male, che il gelo non la distrugga, che produca buoni alimenti. A te lo chiediamo: donaci tutto. Sii propizia! Sii propizia».



Difficile a questo punto dimostrare che si sia trattato di un evento “culturale” di solidarietà nei confronti delle popolazioni andine (la Pachamama, è una divinità Inca, andina, non amazzonica). Il carattere di orazione e di invocazione non lascia spazio a dubbi.

Resisi conto che il parroco aveva appena fatto pregare una divinità pagana, che anticamente veniva evocata proprio nei sacrifici umani delle popolazioni precolombiane, alcuni fedeli hanno protestato – more evangelico – proprio col sacerdote. Il quale non solo ha rivendicato il gesto, ma se n’è addirittura vantato. Ai poveri fedeli non è restato altro da fare che – sempre more evangelico - esprimere pubblicamente tutto il loro dolore. E’ partito così un tam tam di critica verso questa forma di idolatria diabolica all’interno di chiesa cattolica.

Così ad esempio, l’utente Filippo Grigolini, tra i primi a denunciare l’incursione feticista in chiesa: «Quelli che te la impongono (la Pachamama ndr) sono gli stessi che, se chiedi di venire a benedire la casa ti dicono che sei superstizioso.... se gli chiedi una cristiana benedizione dei campi a protezione del raccolto (le rogazioni), ti ridono dietro. Noi cattolici invochiamo San Isidoro e tanti altri. Loro intercedono per noi presso Dio».

Come non dargli ragione? La tradizione della Chiesa è ricca di rogazioni e soprattutto di preghiere apposite nelle quattro tempora, volte proprio a chiedere a Dio una fecondità di raccolti e di messe come benedizione di Dio sui frutti della terra. Un tesoro di preghiere che oggi la maggior parte dei sacerdoti non conosce neppure, figuriamoci se lo promuove.

Attenzione: nelle rogazioni si chiede il dono della fertilità della terra a Dio, che è creatore, non a un idolo che della terra ne è la rappresentazione idolatrica. La differenza sta tutta qui e sta alla base delle migliaia di martirii effettuati agli inizi dell’avventura cristiana per quei fedeli che non volevano sacrificare proprio a questo genere di raffigurazioni, come ad esempio offrire una scrofa gravida a Cerere/Demetra.

Torneremo presto anche a questo genere di sacrifici? Dio ce ne liberi, ma il fatto che si invochi una divinità pagana proprio con questo scopo getta un inquietante squarcio su quanto sta accadendo nella Chiesa. Anche quella italiana.

L’iniziativa di don Castellani non è infatti solo farina del suo sacco, sarebbe già preoccupante se fosse così, se fosse stato il prete a scrivere la preghiera, ma almeno ci saremmo consolati con l’episodio isolato.


Invece non è così. Il prete non ha fatto altro che eseguire pedissequamente quanto raccomandato ai preti dall’organismo pastorale della Cei che si occupa di missioni e che si chiama Missio. Presieduto dal vescovo di Bergamo monsignor Francesco Beschi e diretto dal sacerdote veronese don Giuseppe Pizzoli, missio è intervenuto da protagonista nel Sinodo appena concluso.

La preghiera alla Pachamama infatti compare in un opuscolo scritto nell’aprile scorso e chiamato, appunto, Bien Vivir (vivere bene), lo stesso nome dato dal sacerdote alla sua veglia. Si tratta di un opuscolo fatto di schede e video “per animare sulle tematiche dell’Amazzonia le comunità, i gruppi e le scuole in Italia”. 30 pagine di verbosa comunicazione sulla terra, i popoli, la chiesa e i martiri di “questa enorme foresta che è sotto i riflettori della Chiesa e della società civile”.

La preghiera compare proprio in una di queste sezioni, la terza, tra le indicazioni su che cosa possiamo fare noi per gli indigeni dell’Amazzonia: pregare la Pachamama. Curioso, per non dire inaccettabile, per un documento che ignora totalmente nelle sue 30 pagine – provare per credere – la parola Gesù Cristo.

Si tratta dunque di un sussidio per le parrocchie che non ha nulla di cattolico, che mescola rivendicazioni sociali e ecologiste, ma che, grazie all’imprimatur dell’organismo dei vescovi italiani, ha buon gioco nell’arrivare sulle scrivanie dei parroci dalla porta principale. Ed è attraverso questo canale che don Castellani l’ha proposto ai suoi fedeli.

La Chiesa italiana dunque raccomanda ai preti e alle parrocchie attraverso un suo organismo ufficiale di pregare la Pachamama e lo raccomanda da aprile scorso. A questo punto non c’è da stupirsi se alcuni vescovi abbiano portato la statuetta in processione in San Pietro, se le statuette sono state sottoposte a paraliturgie nei giardini vaticani o nella chiesa di Santa Maria in Traspontina dove poi sono state sottratte per essere buttate nel Tevere.

Ma quella della Pachamama non è una amicizia solo della Chiesa italiana né è un invito recente al popolo di Dio. Già nel 2011 il Comboniano Alex Zanotelli invitata addirittura a salvare la Pachamama e alcuni anni fa divenne virale il video in cui il prefetto del dicastero vaticano per la Cultura, il cardinal Ravasi, partecipava in Argentina a un culto idolatrico proprio alla Pachamama. Processi estremi, diremmo oggi, avviati da tempo e che arrivano ai fedeli sotto forma di proposta pastorale col crisma della Cei e l’inavvertenza che nel frattempo da folclore missionario si è passati direttamente all'idolatria.

Ma in fondo è tutto scritto, giustificato e programmato nelle parole di uno degli consulenti teologici chiave del Sinodo appena concluso, padre Paulo Suess che al portale vaticano ufficialmente ha delineato l’idea di evangelizzazione che sta dietro a questo progetto: nessun elemento veritativo portato dalla fede cattolica, tutto, Gesù Cristo e le forme cultuali indigene, come Pachamama sono sullo stesso piano. Praticamente lo sdoganamento ufficiale del paganesimo.



















lunedì 28 ottobre 2019

A proposito di idoli e riti pagani, ecco cosa fece San Benedetto quando arrivò a Montecassino



San Benedetto (Luca Signorelli, ciclo di affreschi)




Di Sabino Paciolla|Ottobre 27th, 2019

A proposito di riti pagani e di “proselitismo”, riprendo questa pagina della Vita di S. Benedetto scritta da S. Gregorio Magno. Quando Benedetto giunge a Montecassino trova degli insediamenti pagani. Ecco la narrazione sull’origine del cenobio fondato da Benedetto.



“Pietro: vorrei adesso sapere ancora due cose: dove andò a finire il santo uomo e se diede ancora segni del suo miracoloso potere.

Gregorio: il santo uomo dunque aveva preso la decisione di cambiare dimora, ma non poté mutare un nemico. In seguito infatti non solo dovette sostenere lotte ancora più gravi, ma si trovò davanti a combatterlo apertamente, a tu per tu, il maestro stesso del male. Il paese di Cassino è situato sul fianco di un alto monte, che aprendosi accoglie questa cittadella come in una conca, ma poi continua ad innalzarsi per tre miglia, slanciando la vetta verso il cielo. C’era in cima un antichissimo tempio, dove la gente dei campi, secondo gli usi degli antichi pagani, compiva superstiziosi riti in onore di Apollo. Intorno vi crescevano boschetti, sacri ai demoni, dove ancora in quel tempo, una fanatica folla di infedeli vi apprestava sacrileghi sacrifici.

Appena l’uomo di Dio vi giunse, fece a pezzi l’idolo, rovesciò l’altare, sradicò i boschetti e dove era il tempio di Apollo eresse un Oratorio in onore di S. Martino e dove era l’altare sostituì una cappella che dedicò a S. Giovanni Battista.

Si rivolse poi alla gente che abitava lì intorno e con assidua predicazione la andava invitando alla fede.

L’antico nemico, però, non poté tollerare questa attività e non più occultamente o in sogno, ma con palesi apparizioni prese a disturbare la tranquillità del Padre. Con alte grida si lamentava della violenza che subiva e i suoi urli giungevano fino alle orecchie dei fratelli, pur senza vederne la figura”.













domenica 27 ottobre 2019

Rito amazzonico, viri probati, donne diacono: la nuova Chiesa uscita dal Sinodo





IL DOCUMENTO FINALE DEL SINODO

ECCLESIA
Nico Spuntoni, 27-10-2019


I 185 padri sinodali aventi diritto hanno votato il documento finale del Sinodo speciale dei Vescovi per la Regione Panamazzonica. Il testo non è vincolante ma sarà offerto a papa Francesco in vista della preparazione dell'apposita esortazione post-sinodale. Nel documento finale è entrata la proposta di istituire un rito amazzonico. Passa anche una "teologia dal volto amazzonico". Ha trovato posto il diaconato permanente anche per le donne. E nell'ambito dei nuovi ministeri, viene proposta nel documento anche la possibilità per i laici di esercitare la cura pastorale, in assenza di un sacerdote nella comunità. Su nessuno dei punti proposti, comunque, c'è l'unanimità. Opposizioni forti di minoranze di padri sinodali soprattutto sul rito amazzonico e sulla "teologia dal volto amazzonico". E intanto la Pachamama, ripescata dal Tevere, torna in chiesa.



I 185 padri sinodali aventi diritto hanno votato il documento finale del Sinodo speciale dei Vescovi per la Regione Panamazzonica. Il testo non è vincolante ma sarà offerto a papa Francesco in vista della preparazione dell'apposita esortazione post-sinodale. Un'esortazione che, ha chiarito il pontefice durante l'ultima sessione dell'assemblea, potrebbe essere pubblicata entro la fine dell'anno. Quali sono le indicazioni che i padri sinodali hanno offerto al Santo Padre con la votazione di ieri?

Intanto, nel documento finale è entrata la proposta di istituire un rito amazzonico. Sarà compito di un nuovo organismo ecclesiale regionale – altra novità sancita dal testo finale e sulla cui creazione viene riconosciuto un ruolo ufficiale a Repam - far nascere una commissione che "secondo usi e costumi delle popolazioni ancestrali" sarà chiamata all'"elaborazione di un rito amazzonico, che esprime il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale amazzonico". Il passaggio fa esplicito riferimento a quanto stabilito dalla Lumen Gentium sulle Chiese orientali ("Per divina Provvidenza è avvenuto che varie Chiese, in vari luoghi stabilite dagli apostoli e dai loro successori, durante i secoli si sono costituite in vari raggruppamenti, organicamente congiunti, i quali, salva restando l'unità della fede e l'unica costituzione divina della Chiesa universale, godono di una propria disciplina, di un proprio uso liturgico, di un proprio patrimonio teologico e spirituale").

Un concetto rafforzato dalle righe successive, dove viene affermato che "ciò si aggiungerebbe ai riti già presenti nella Chiesa, arricchendo il lavoro di evangelizzazione, la capacità di identificare la fede in una cultura propria e il senso di decentralizzazione e collegialità della cattolicità della Chiesa". Nel documento si fa menzione anche della possibilità di "studiare e proporre come arricchire i riti ecclesiali con il modo in cui questi popoli si preoccupano del loro territorio e si relazionano con le loro acque". Questo paragrafo, il numero 119, è stato uno di quelli che ha raccolto più voti contrari: 29 contro i 140 positivi. In generale, è il capitolo dedicato ai riti per i popoli indigeni ad aver incassato il maggior numero di "non placet". A 22 padri sinodali non è piaciuto l'appello a dare "una risposta veramente cattolica alla richiesta delle comunità amazzoniche di adattare la liturgia valorizzando la visione del mondo, le tradizioni, i simboli e i riti originari che includono dimensioni trascendenti, comunitarie ed ecologiche" (paragrafo 116).

Così come non c'è stata unanimità sulla liturgia, non c'è stata neppure sul tema dell'inculturazione della teologia: a 17 padri sinodali non è piaciuto il paragrafo 54 sulla teologia dal volto amazzonico nel quale si riconosce che il "mondo indigeno con i suoi miti, narrativa, riti, canzoni, danza ed espressioni spirituali arricchisce l'incontro interculturale" e si specifica che "l'evangelizzazione della Chiesa non è un processo di distruzione, ma di consolidamento e rafforzamento di questi valori; un contributo alla crescita dei 'germi del verbo' presenti nelle culture".

All'uscita dall'aula dei lavori, monsignor Erwin Krautler, il vescovo austriaco precursore di questo Sinodo e grande supporter dell'ordinazione di preti sposati e diaconato femminile, si è detto contento per il risultato. Non poteva essere altrimenti: tutte le proposte più 'ardite' da lui sostenute con gran forza hanno trovato spazio nel documento finale. Al paragrafo 103, partendo dall'importanza del ruolo delle religiose nella regione più volte emersa durante queste tre settimane, si è fatta menzione della ripetuta richiesta del diaconato permanente anche per le donne sollevata durante le consultazioni. A queste righe è seguito il rimando diretto al "risultato parziale" conseguito dalla Commissione di Studio sul Diaconato delle donne istituita da papa Francesco nel 2016 e che aveva concluso i suoi lavori nel dicembre del 2018. All'epoca, commentando le conclusioni della Commissione, Bergoglio aveva detto che il risultato non era un granché ed aveva affermato di non poter fare "un decreto sacramentale senza un fondamento teologico, storico". Oggi, al termine dei lavori del Sinodo, il pontefice ha annunciato che convocherà di nuovo la Commissione chiamata a studiare sulla possibilità invocata da diversi padri sinodali durante queste tre settimane.

Nell'ambito dei nuovi ministeri, anticipato da paragrafi dedicati all'importanza della missione dei laici e alla necessità di dare a loro il compito di delineare il volto amazzonico della Chiesa, non è mancato un passaggio sull'altra grande questione del Sinodo, quella relativa ai cosiddetti 'viri probati'. I padri sinodali hanno votato la possibilità che “il vescovo, per un determinato periodo di tempo, data l'assenza dei sacerdoti nelle comunità, potrebbe delegare l'esercizio della cura pastorale a una persona non investita del carattere sacerdotale, che sia membro della comunità”. Per evitare i “personalismi”, si è richiesto inoltre che la carica sia a rotazione. Ben 41 pareri contrari al paragrafo numero 111 in cui - tirando in ballo le note difficoltà di molte delle "comunità ecclesiali del territorio amazzonico" ad accedere all'Eucaristia per lunghi periodi - viene proposto di "stabilire criteri e disposizioni da parte dell'autorità competente (...) per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana predicando la Parola e celebrando i Sacramenti nelle aree più remote della regione amazzonica". L'espressione "viri probati" non compare, un po' a sorpresa, nel documento ma la sensazione è che il contenuto di questo paragrafo possa rappresentare in futuro uno spiraglio per avallare la loro istituzione. Sintomatica della volontà di alcuni dei padri sinodali di fare dell'Amazzonia un banco di prova di una battaglia più generale è la chiosa finale, in cui si lascia agli atti che "alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all'argomento"

Nel suo discorso finale, papa Francesco si è mostrato consapevole del fatto che questo testo potrebbe provocare critiche tra quelle che egli ha definito “elite cattoliche” e che – secondo lui – andranno a rintracciare “le cosette e si dimenticheranno del grande” nel documento finale. Oggi a San Pietro il pontefice celebrerà la messa di chiusura dell'assemblea speciale. “Si vedrà”, come ha detto Bergoglio nel suo intervento di venerdì pomeriggio, se le ormai famosissime pachamama ripescate nel Tevere dai carabinieri saranno esposte in Basilica durante la cerimonia. Intanto, sempre ieri, a pochi metri dall'aula in cui i padri sinodali votavano a maggioranza il documento finale, una delle statue è ritornata a "casa", collocata in bella vista – e circondata di candele - al centro della navata della chiesa di Santa Maria in Traspontina.


















venerdì 25 ottobre 2019

Castel Sant’Angelo e San Michele formano un binomio inscindibile




Editoriale Radici cristiane 

Castel Sant’Angelo e San Michele formano un binomio inscindibile
Dobbiamo credere fermamente nel ruolo degli Angeli. Dobbiamo crederlo con devozione come fondamento della resistenza cattolica all’autodemolizione della Chiesa. È una condizione necessaria per la restaurazione della Civiltà cristiana. Nel Cielo è pronta una milizia angelica, quell’Acies ordinata di cui ci parla san Luca, pronta a combattere il male e l’ingiustizia per fare la gloria di Dio e portare in terra pace agli uomini di buona volontà.




RC n.147 - ottobre 2019 di Roberto de Mattei


Un’antica e celebre tradizione ricollega la venerazione dell’arcangelo ad un episodio prodigioso accaduto mille anni prima. Tra il 589 e il 590 una violenta epidemia di peste, la terribile lues inguinaria, si era abbattuta sulla città di Roma. I cittadini romani interpretarono questa epidemia come un castigo divino per la corruzione della città. Il 7 febbraio 590 morì di peste lo stesso papa Pelagio II. Fu eletto papa Gregorio I, destinato ad entrare nella storia come san Gregorio Magno. Per placare la collera divina, il Papa ordinò una «litania settiforme», cioè una processione generale del clero e della popolazione romana, formata da sette cortei che confluirono verso la Basilica Vaticana. Mentre la grande moltitudine camminava per la città, la pestilenza arrivò al punto tale di furore che nel breve spazio di un’ora ottanta persone caddero a terra morte. Ma san Gregorio non cessò un attimo di esortare il popolo perché continuasse a pregare e volle che dinanzi al corteo fosse portato il quadro della Vergine dell’Ara Cœli, dipinta dall’evangelista san Luca.

Fatto meraviglioso: man mano che l’immagine avanzava, l’aria diventava più sana e limpida ed i miasmi della peste si dissolvevano, come se non potessero sopportarne la presenza. Si era giunti al ponte che unisce la città al Castello, quando improvvisamente, al di sopra della sacra immagine, si udì un coro di angeli che cantavano: «Regina Cœli, laetare, Alleluja - Quia quem meruisti portare, Alleluja - Resurrexit sicut dixit, Alleluja!». San Gregorio rispose ad alta voce: «Ora pro nobis Deum, Alleluja!». Nacque così il Regina Cœli, l’antifona con cui nel tempo pasquale la Chiesa saluta Maria Regina per la risurrezione del Salvatore. Dopo il canto gli Angeli si disposero in cerchio intorno al quadro e san Gregorio Magno, alzando gli occhi, vide sulla sommità del Castello un Angelo sterminatore, che dopo avere asciugato la spada grondante sangue la riponeva nel fodero, in segno del cessato castigo.

La pestilenza, grazie alle preghiere di san Gregorio, era miracolosamente terminata. Da allora i romani cominciarono a chiamare la Mole Adriana “Castel Sant’Angelo” e, a ricordo del prodigio, posero in cima al castello la statua di san Michele in atto di rinfoderare la spada. Anche oggi una terribile peste devasta la città di Roma, ma non è una peste fisica, è una peste spirituale e morale, che aggredisce le anime, non i corpi. Questa peste spirituale è allo stesso tempo una colpa e un castigo, ma chi governa la Chiesa sembra non rendersi conto né della colpa né del castigo. Forse solo un castigo dei corpi, una guerra, un’epidemia, un terremoto può risvegliare le anime e portarle al pentimento e alla conversione. Questo castigo giungerà attraverso gli Angeli e attraverso gli Angeli avverrà la restaurazione della società e della Chiesa.

San Tommaso d’Aquino insegna che Dio si serve di cause seconde per governare l’ordine del creato ed, in particolare, la vita degli uomini. Queste cause seconde sono gli Angeli, i primi esseri creati proprio perché destinati ad essere i suoi strumenti di governo su tutte le altre creature. Essi, dice san Tommaso, hanno per compito «l’esecuzione della Provvidenza divina riguardo agli uomini» (Summa Theologica, I, q. 113, a. 2). Sotto questo aspetto, la devozione agli Angeli è più importante di quella ai Santi. I santi infatti sono modelli di virtù che dobbiamo imitare e pregare perché intercedano per noi. Essi non hanno però, se non in casi straordinari, quel potere sulle creature che gli Angeli hanno in maniera ordinaria per decreto divino.

Un angelo aprì, nel 1916, il ciclo delle apparizioni di Fatima e nel terzo segreto rivelato dalla Madonna, secondo le parole di suor Lucia, «abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando, emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo, indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza!».

Quando e come questa spada di fuoco si abbatterà sulla terra? Terribile mistero di fronte al quale non possiamo che abbandonare la nostra debolezza alla Madonna e al nostro Angelo custode.

Ma, per prepararci a quel momento, dobbiamo credere fermamente nel ruolo degli Angeli. Dobbiamo crederlo con devozione, anche perché la ragione ci dimostra l’esistenza di Dio, ma non ci dimostra l’esistenza degli Angeli. Credere agli angeli è un atto di amore all’ordine soprannaturale. Oggi la devozione agli Angeli è un fondamento della resistenza cattolica all’autodemolizione della Chiesa ed è una condizione necessaria per la restaurazione della Civiltà cristiana.

Nel Cielo è pronta una milizia angelica, quella Acies ordinata di cui ci parla san Luca quando, nella notte di Natale, annuncia «tutta la milizia celeste», «multitudo militiae coelestis laudantiam Deum et dicentes: Gloria in altissimis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis» (2, 14) cioè un esercito di Dio, composto di legioni angeliche, pronte a combattere il male e 1’ingiustizia per fare la gloria di Dio e portare in terra pace agli uomini di buona volontà. Contemplando sempre il volto di Dio (Mt 18, 10), che è l’eterna Verità, gli Angeli combattono ogni forma di errore e di oltraggio alla legge divina e rivelata.

Essi, che sono spiriti “guerrieri”, ci aiutano e ci sostengono non solo nell’inevitabile battaglia difensiva, ma anche nel combattimento aggressivo contro l’errore e il male sotto ogni forma. Nell’ora presente, in cui le potenze delle tenebre sono al culmine della loro attività, è quanto mai necessario il ricorso ai santi Angeli ed a san Michele in particolare, l’Angelo guerriero per antonomasia, il vincitore di Lucifero, che schiaccia con il suo tallone e trafigge con la sua lancia.

Il combattimento, che oppose gli angeli all’inizio della creazione, si ripete ogni giorno nella storia della Chiesa e nel corso di questo mese di ottobre raggiungerà un momento apicale con il Sinodo sull’Amazzonia, che si svolge in Vaticano. Noi vogliamo pregare gli Angeli, schierandoci, a loro immagine, come una legione, formando una acies ordinata che combatte per la gloria di Dio e la pace sulla terra. E la pace sulla terra non è altro che la tranquillità dell’ordine naturale e cristiano.
















“Ecco perché io, sacerdote, nel rito antico sono davvero alter Christus”




25 OTT ''19

Aldo Maria Valli

Cari amici di Duc in altum, dopo la pubblicazione della lettera La bellezza del rito orientale. Ovvero come vivere il mistero e rendere gloria a Dio, ho ricevuto un contributo che volentieri vi propongo. Arriva da un sacerdote che celebra la Messa tridentina.

A.M.V.

***


Caro Valli, rincuora leggere lettere come La bellezza del rito orientale, che lei ha pubblicato giorni fa in Duc in altum. Un sacerdote è rincuorato dal vedere come il vero sensus fidelium nonostante tutto sopravviva e si manifesti attraverso la capacità di percepire, toccare e vivere il Mistero.

La Santa Messa gregoriana, o tridentina, che celebro dal giorno della mia ordinazione, anche se ora per molti motivi sub secreto, mi lascia sempre con il senso vero dell’ineffabile. Poiché siamo incapaci di coglierne tutta la bellezza, la grandezza e la profondità, la Chiesa ha cesellato questo straordinario gioiello per farci toccare Dio e consentirgli di toccare noi e far vibrare tutto il nostro essere così da santificarci e santificare.

L’elemento più evidente, per chi è chiamato a celebrarla, è la profonda sensazione di inadeguatezza, piccolezza e a tratti meschinità che si prova giungendo ai piedi dell’altare, e nel contempo si avverte la grandezza misericordiosa dell’Altissimo che concede il privilegio di accostarsi a Lui, quasi un sovrano che concede udienza.

L’altare ti parla durante la celebrazione, ti ricorda chi sei, alter Christus. Già dal tuo essere rivolto a Lui il popolo ti percepisce naturalmente come tale. Non un intrattenitore, non un animatore di un villaggio turistico, non un imbonitore da televendite ma alter Christus.

Da seminarista spesso partecipavo alle liturgie dei monaci basiliani dell’abbazia di Grottaferrata, fuori Roma, unica espressione di Chiesa orientale che nonostante il grande scisma (fino a oggi per lo meno, e Deus avertat), rimase unita al Papa. Le icone, i paramenti, il canto, con quel basso continuo, l’incenso, le candele, le preghiere: tutto parla di Dio e tutto parla a Dio.

A volte penso che se res ad Triarios rediit supplicherò i buoni padri di rinfoltire i ranghi di quell’abbazia millenaria.

Grazie dottor Valli per il suo apostolato, prezioso e confortante.

Don Massimiliano














mercoledì 23 ottobre 2019

Credere di guadagnare l'Amazzonia per perdere il resto del mondo. Una lettera da Mindanao




di Sandro Magister
22 ott 2019
Ricevo e pubblico.

*

Caro Magister,

le suggestioni di riti più o meno amazzonici e di statuette di donne incinte possono incantare i padri sinodali e chi li circonda, ma mettono nei guai i cattolici nel sud del mondo. Perché anche tra le baracche delle periferie globali la gente guarda Youtube e passa ore su Facebook, e quelle statuette assumono lì un significato che complica molto la vita di catechisti e missionari alle prese con una costante emorragia di fedeli.

È esperienza di chiunque faccia qualche viaggio missionario fuori dall'Europa quella di trovarsi di fronte un gran numero di agguerrite chiese evangeliche o sette millenariste che passano gran parte del loro tempo ad attaccare la Chiesa cattolica e a portarle via fedeli. Uno dei loro argomenti principali è: “I cattolici adorano le statue”, "I cattolici adorano i demoni". Ergo: “I cattolici non sono cristiani, venite da noi".

Bene. Vi racconto la mia esperienza di semplice fedele che per motivi personali frequenta spesso l'estremo sud delle Filippine, Mindanao. Regione in cui a un gran numero di musulmani da secoli insediati si è aggiunta una esplosione protestante che fa intravvedere un futuro in salsa brasiliana, cioè pentecostale, anche in quello che ancor oggi è uno dei Paesi più cattolici del mondo, appunto le Filippine.

Non c'è strada, canale Tv o frequenza radiofonica che non sia infestata da predicatori in cerca di prede cattoliche. Il primo obiettivo è convincere che la Chiesa cattolica è falsa. Il secondo è farsi pagare la decima. Ebbene, le immagini dell'adorazione di divinità pagane – o comunque di qualcosa che sembra una divinità pagana – durante una cerimonia nei giardini vaticani, sotto gli occhi del papa, hanno fatto davvero il giro del mondo. E a Mindanao, specie nelle aree come South Cotabato dove i protestanti sono ormai il 20 o 25 per cento della popolazione, hanno dato un grosso aiuto a predicatori di ogni sorta per additare: "Guardate, i cattolici sono idolatri. Come vi abbiamo sempre detto. Come dice la Bibbia”.

Conversando oggi con una giovane, coraggiosa catechista cattolica, anche lei scandalizzata, ho sentito nella sua voce la vergogna di non sapere come difendere la sua fede, di non sapere come spiegare ai ragazzi che non è vero che i cattolici sono idolatri. Per rispetto poi non ha voluto nemmeno commentare su Facebook quanto successo a Roma, perché se si fosse messa a criticare quanto avvenuto avrebbe fatto un assist ai protestanti. Valle a spiegare alla gente di queste regioni le sottigliezze del prefetto Paolo Ruffini sul vedere il male laddove non c'è. E se questo è successo a Mindanao, non oso immaginare in Africa o in Sud America.

Quello che è certo è che quelle immagini, viste dal sud del mondo, fanno davvero tanto male al cuore. E rendono la vita molto difficile a chi già ogni giorno da un lato rischia attentati islamici quando va in chiesa e dall’altro lato fronteggia il proselitismo protestante quando cammina per strada.

Spero che a Roma capiscano. Credere di guadagnare così l'Amazzonia per perdere il resto del mondo... Bel risultato.

[Lettera firmata]
















martedì 22 ottobre 2019

San Paolo docet: "non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni"



S. Nicola distrugge gli Idoli pagani, Monastero di Esphigmenou





dal blog Scuola Ecclesia Mater

Ciò che dovrebbe fare ogni cristiano, degno di questo nome, è abbattere e distruggere i nuovi idoli pagani quando questi sono utilizzati non a titolo di conservazione storica del proprio passato (ad es. in un museo), ma come divinità a cui prestare culto e venerazione, per giunta in luoghi cristiani.


Nicola Malinconico, S. Benedetto abbatte gli idoli a Montecassino,
 1690-1710, Abbazia, Montecassino



G. Velasco, S. Benedetto distrugge l'idolo di Apollo,



Lode perenne agli impavidi giovani cattolici che, intrepidi e con sprezzo del pericolo di subire persecuzioni, hanno rapito le statue della divinità pagana di Pachamama, che avevano contaminato con il loro lezzo diabolico la chiesa romana di S. Maria in Traspontina. La chiesa, certo, andrebbe riconsacrata ed offerta una messa di espiazione perché in essa divinità pagane sono state celebrate. Non diversamente anche San Pietro.



 XVIII sec., chiesa di S. Biagio, Nicosia



Ma almeno quella chiesa romana, grazie a giovani coraggiosi, è stata mondata dalla presenza demoniaca di Pachamama.
S. Paolo ammoniva i cristiani di Corinto a non entrare in comunione con gli idoli e con coloro che adorano gli idoli: "i sacrifici dei pagani sono fatti a demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni" (1 Cor. 10, 20-21).



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lunedì 21 ottobre 2019

SUMMORUM PONTIFICUM, A ROMA IN PELLEGRINAGGIO: 25-27 ottobre 2019




Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, vi diamo notizia di un appuntamento importante che avrà luogo questa settimana a Roma. E ben volentieri pubblichiamo alcune informazioni su questo evento. Buona lettura.


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INIZIA VENERDÌ IL PELLEGRINAGGIO INTERNAZIONALE
SUMMORUM PONTIFICUM 2019


Proprio in questo fine settimana, e precisamente da venerdì 25 ottobre, si svolgerà a Roma l’annuale Pellegrinaggio Internazionale del Populus Summorum Pontificum, che ha raggiunto la sua ottava edizione.

Il pellegrinaggio, che quest’anno sarà guidato da S. E. R. Mons. Dominique Rey, Vescovo di Fréjus-Toulon, prenderà dunque avvio venerdì 25 ottobre 2019, con la VIA CRUCIS che si terrà nella chiesa di S. Luigi dei Francesi. Il clou sarà, come sempre, la grande PROCESSIONE e il PONTIFICALE in S. Pietro sabato 26 ottobre; i pellegrini potranno poi darsi l’arrivederci al 2020 domenica 27 ottobre con il PONTIFICALE della Festa di Cristo Re che Mons. Rey celebrerà nella chiesa della SS. Trinità dei Pellegrini.



Il pellegrinaggio del Populus Summorum Pontificum porta ogni anno a Roma, e proprio in San Pietro, migliaia tra fedeli e sacerdoti attaccati alla liturgia tradizionale: una comunità diffusa in tutto l’orbe cattolico, composta in larga parte da giovani, sempre più consapevole della propria vitalità e sempre più grata di poter costituire quello che è stato felicemente chiamato Populus Summorum Pontificum, il popolo del Summorum Pontificum, con evidente riferimento al Motu Proprio con cui nel 2007 Benedetto XVI liberalizzò la celebrazione della S. Messa gregoriana (che molti chiamano “Messa tridentina” o, più icasticamente ancora, “Messa in latino”). Una liturgia non solo mistagocicamente efficacissima, ma anche pienamente espressiva della fede cattolica incorrotta e “tutta intera”: oggi, dunque, particolarmente preziosa. Per cui si potrebbe considerare significativo, per non dire provvidenziale, che il Pellegrinaggio – che si tiene sempre l’ultima domenica di ottobre – quest’anno coincida con le giornate conclusive del Sinodo Panamazzonico. Sarà un’occasione in più per far udire la voce orante dei tanti cattolici che pregano perché la Chiesa superi presto la grave crisi che l’attanaglia. Dunque un’occasione da non perdere: per tutti, ma soprattutto per i romani e per coloro che potranno raggiungere agevolmente Roma almeno nella giornata di sabato 26, quando il popolo fedele scenderà nuovamente per le vie dell’Urbe e potrà recarsi a pregare sulla tomba dell’Apostolo con le parole della millenaria ed universale tradizione liturgica della Chiesa. Un bel modo per dimostrare che il sensus fidei del popolo non si è ancora spento, e saprà difendere con amore le verità della fede e la grandezza del sacerdozio cattolico.




Ma ecco, più in dettaglio, il programma della tre giorni romana:

Venerdì 25 ottobre

15,45, chiesa di San Luigi dei Francesi, Piazza di S. Luigi dei Francesi: VIA CRUCIS (a cura dell’Istituto del Buon Pastore – IBP).
17,15, Basilica di Santa Maria ad Martyres (Pantheon), Piazza della Rotonda: S. MESSA DI APERTURA DEL PELLEGRINAGGIO (a cura dei Norbertini di Godollo e cantata dalla schola della chiesa di San Michele di Budapest)


Sabato 26 ottobre

9,30, Basilica di San Lorenzo in Damaso, Piazza della Cancelleria, 1: ADORAZIONE EUCARISTICA (a cura del Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum – CNSP) e confessioni.
10,30, a partire dalla Basilica di San Lorenzo in Damaso, Piazza della Cancelleria, 1: PROCESSIONE SOLENNE VERSO SAN PIETRO, guidata da S.E.R. Mons. Rey. La processione attraverserà Ponte S, Angelo e via della Conciliazione.
12,00, Basilica di S. Pietro in Vaticano: S. MESSA PONTIFICALE ALL’ALTARE DELLA CATTEDRA, celebrata da S.E.R. Mons. Rey; coro diretto dal maestro Aurelio Porfiri.

Domenica 27 ottobre
9,30, chiesa dei Santi Nomi di Gesù e Maria, Via del Corso, 45: S. MESSA DELLA FESTA DI CRISTO RE(a cura dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote – ICRSS).
11,00, chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini, Piazza della Trinità dei Pellegrini, 1: S. MESSA PONTIFICALE DELLA FESTA DI CRISTO REcelebrata da S.E.R. Mons. Rey (a cura della Fraternità Sacerdotale S. Pietro – FSSP).
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La partecipazione al pellegrinaggio ed agli eventi che ne compongono il programma è gratuita: non è richiesta alcuna iscrizione o registrazione.

Anche quest’anno, come già nelle edizioni precedenti, al programma del Pellegrinaggio si associano alcuni eventi complementari. Eccoli:

Venerdì 25 ottobre, h. 10,00, Aula Magna dell’Augustinianum, v. Paolo VI, 25: CONVEGNO SUMMORUM PONTIFICUM organizzato da Paix Liturgique. Interverranno Natalia Sanmartin Fenollera, Padre John Zuhlsdorf, Don Nicola Bux, Rubén Peretó Rivas, João Silveira. Per informazioni: contact@paixliturgique.org.

Venerdì 25 ottobre
, h. 20,00, in luogo da destinarsi: PRESENTAZIONE DEL LIBRO “THE CASE FOR LITURGICAL RESTORATION” a cura della Foederatio Internationalis Una Voce – FIUV. Per informazioni: secretary@fiuv.org.

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domenica 20 ottobre 2019

Il Dottore che ha studiato le esperienze di pre-morte





Sono i casi di cui parla il dottor Theillier, medico che ha studiato i miracoli di Lourdes




Il dottor Patrick Theillier conosce bene i fenomeni soprannaturali. Cattolico convinto e impegnato, ha lavorato per dieci anni come medico dell’Ufficio delle Constatazioni Mediche del santuario di Lourdes. Insieme ad altri medici, non necessariamente credenti, si è impegnato a verificare scientificamente il carattere umanamente inspiegabile delle guarigioni ottenute per intercessione di Nostra Signora di Lourdes.

Ed è proprio a partire dalle conclusioni elaborate da questo Ufficio che è stato possibile alla Chiesa giungere al riconoscimento di alcuni miracoli. Una guarigione inspiegabile è dichiarata miracolo quando l’autorità ecclesiastica competente vi riconosce un segno della potenza e dell’amore di Dio presente nella vita degli uomini, in grado di fortificare la fede del popolo cristiano.

In “Quando la mia anima uscì dal corpo” (edizioni San Paolo) il dottor Theillier studia le esperienze di pre-morte, o avvenute “ai confini della morte” (conosciute con la sigla inglese NDE, Near-Death Experiences).




1) “HO FATTO UN VIAGGETTO IN CIELO”


Nel 2010 Todd Burpo, un pastore della chiesa metodista del Nebraska, negli Stati Uniti, scrisse un piccolo libro, Heaven Is for Real, il Paradiso per davvero, nel quale raccontò la NDE di suo figlio Colton: «Ha fatto un viaggetto in Cielo» nel corso di un’operazione di peritonite alla quale è sopravvissuto. La storia è particolare perché Colton aveva solo 4 anni quando il fatto accadde, e ha raccontato la sua esperienza, ai genitori stupiti, in maniera occasionale e frammentaria. Le NDE dei bambini sono le più toccanti perché sono le meno inquinate, le più vere; si potrebbe dire: le più vergini.

Pre-Morte più autentica nei bambini


Il pediatra dottor Melvin Morse, direttore di un gruppo di ricerca sulle esperienze di pre-morte all’Università di Washington, dice:

«Le esperienze di pre-morte dei bambini sono semplici e pure, non inquinate da nessun elemento di carattere culturale o religioso. I bambini non rimuovono queste esperienze come fanno sovente gli adulti, e non hanno difficoltà a integrare le implicazioni spirituali della visione di Dio».

“La’ gli angeli hanno cantato per me”
Ecco dunque il riassunto del racconto fatto da Colton come è riportato nel libro Heaven Is for Real. Quattro mesi dopo la sua operazione, passando in auto vicino all’ospedale dove era stato operato, a sua mamma che gli domanda se se ne ricorda, Colton risponde con una voce neutra e senza esitazione: «Sì, mamma, me ne ricordo. È là che gli angeli hanno cantato per me!». E con un tono serio aggiunge: «Gesù ha detto loro di cantare perché io avevo molta paura. E dopo andava meglio». Stupito, suo padre gli domanda: «Vuoi dire che c’era anche Gesù?». Il bambino facendo un cenno affermativo col capo, come se confermasse una cosa del tutto normale, dice: «Sì, c’era anche lui». Il padre gli domanda: «Dimmi, dov’era Gesù?». Il bambino risponde: «Ero seduto sulle sue ginocchia!».

La descrizione di Dio


Come è facile immaginarsi i genitori si domandano se tutto ciò sia vero. Ora, il piccolo Colton rivela che aveva lasciato il suo corpo durante l’operazione, e lo prova descrivendo con precisione ciò che ciascuno dei genitori stava facendo in quel momento in un’altra parte dell’ospedale.

Stupisce i suoi genitori descrivendo il Cielo con dei particolari inediti, corrispondenti alla Bibbia. Descrive Dio come veramente grande, veramente grande; e dice che ci ama. Dice che è Gesù che ci riceve in Cielo.

Non ha più paura della morte. Lo rivela una volta a suo padre che gli dice che rischia di morire se attraversa la strada correndo: «Che bello! Vuol dire che tornerò in Cielo!».

L’incontro con la Vergine Maria


In seguito risponderà sempre con la stessa semplicità alle domande che gli pongono. Sì, ha visto degli animali in Cielo. Ha visto la Vergine Maria inginocchiata davanti al trono di Dio, e altre volte vicino a Gesù, che ama sempre come fa una mamma.


2) IL “TUNNEL” DEL NEUROCHIRURGO


Il dottor Eben Alexander, neurochirurgo americano, specialista del cervello, non credeva assolutamente ad una vita dopo la morte. Era scettico: per lui, tutti i racconti di NDE erano deliri e stupidaggini. Nel 2008 ebbe una meningite fulminante che gli fece cambiare idea. Dapprima in un articolo del settimanale americano Newsweek, e poi in un libro, racconta la sua esperienza di pre-morte. Un viaggio che l’ha convinto dell’esistenza di una vita dopo la morte.

“Ero in una dimensione più vasta dell’universo”


Quattro anni fa i medici dell’ospedale generale di Lynchburg, in Virginia, dove lui lavorava, gli hanno diagnosticato una rara forma di meningite batterica, che colpisce generalmente i neonati. Le possibilità di uscirne senza cadere in uno stato vegetativo erano deboli, e divennero nulle già al pronto soccorso.

«Ma mentre i neuroni della mia corteccia venivano ridotti all’inattività completa, la mia coscienza, liberata dal cervello, percorse una dimensione più vasta dell’universo, una dimensione che non mi ero mai nemmeno sognato e che sarei stato felice di poter spiegare scientificamente prima di sprofondare nel coma. Ho fatto un viaggio in un ambiente riempito di grandi nuvole rosa e bianche… Molto sopra queste nuvole, nel cielo, volteggiavano in cerchio degli essere cangianti che si lasciavano dietro delle lunghe scie. Degli uccelli? Degli angeli? Nessuno di questi termini descrive bene questi esseri che erano diversi da tutto ciò che avevo potuto vedere sulla terra. Erano più avanzati di noi. Erano degli esseri superiori».

Un canto celeste


Il dottor Eben Alexander si ricorda di aver anche udito un suono in pieno sviluppo, come un canto celeste, che veniva da sopra, e che gli ha dato una grande gioia, e di essere stato poi accompagnato nella sua avventura da una giovane donna.

Dopo questa NDE, il dottor Alexander non ha avuto più dubbi: la coscienza non è né prodotta né limitata dal cervello, come il pensiero scientifico dominante continua a ritenere, e si estende al di là del corpo.

Nuova idea di coscienza


«Ora, per me è – dice Alexander – cosa certa che l’idea materialistica del corpo e del cervello come produttori, piuttosto che come veicoli, della coscienza umana, è superata. Al suo posto sta già nascendo una nuova visione del corpo e dello spirito. Questa visione, a un tempo scientifica e spirituale, farà posto alla verità, che è il valore che i più grandi scienziati della storia hanno sempre cercato».


3) LA FUCILAZIONE


Ecco una lettera di don Jean Derobert. È una testimonianza certificata data in occasione della canonizzazione di padre Pio.

«In quel tempo – spiega don Jean – lavoravo al Servizio Sanitario dell’esercito. Padre Pio, che nel 1955 mi aveva accettato come figlio spirituale, nelle svolte importanti della mia vita mi ha sempre fatto pervenire un biglietto in cui mi assicurava la sua preghiera e il suo sostegno. Così accadde prima del mio esame all’Università Gregoriana di Roma, così accadde quando entrai nell’esercito, così accadde anche quando dovetti raggiungere i combattenti in Algeria».

Il biglietto di Padre Pio


«Una sera, un commando F.L.N. (Front de Libération Nationale Algérienne) attaccò il nostro villaggio. Fui preso anch’io. Messo davanti a una porta insieme ad altri cinque militari, fummo fucilati (…). Quel mattino avevo ricevuto un biglietto da padre Pio con due righe scritte a mano: «La vita è una lotta ma conduce alla luce» (sottolineato due o tre volte)».

La salita in cielo


Immediatamente don Jean fece l’esperienza dell’uscita dal corpo. «Vidi il mio corpo al mio fianco, sdraiato e sanguinante, in mezzo ai miei compagni uccisi anch’essi. Cominciai una curiosa ascensione verso l’alto dentro una specie di tunnel. Dalla nuvola che mi circondava distinguevo dei visi conosciuti e sconosciuti. All’inizio questi visi erano tetri: si trattava di gente poco raccomandabile, peccatori, poco virtuosi. Man mano che salivo i visi incontrati diventavano più luminosi».

L’incontro con i genitori


«All’improvviso il mio pensiero si rivolse ai miei genitori. Mi ritrovai vicino a loro a casa mia, ad Annecy, nella loro camera, e vidi che dormivano. Ho cercato di parlare con loro ma senza successo. Ho visto l’appartamento e ho notato che avevano spostato un mobile. Molti giorni dopo, scrivendo a mia mamma, le ho domandato perché avesse spostato quel mobile. Lei mi rispose: “Come fai a saperlo?”. Poi ho pensato al papa, Pio XII, che conoscevo bene perché sono stato studente a Roma, e subito mi sono ritrovato nella sua camera. Si era appena messo a letto. Abbiamo comunicato scambiandoci dei pensieri: era un grande spirituale».

“Scintilla di luce”


Ad un tratto don Jean si ritrova in un paesaggio meraviglioso, invaso da una luce azzurrina e dolce.. C’erano migliaia di persone, tutte dell’età di circa trent’anni. «Ho incontrato qualcuno che avevo conosciuto in vita (…) Ho lasciato questo “Paradiso” pieno di fiori straordinari e sconosciuti sulla terra, e sono asceso ancora più in alto… Là ho perso la mia natura di uomo e sono diventato una “scintilla di luce”. Ho visto molte altre “scintille di luce” e sapevo che erano san Pietro, san Paolo, o san Giovanni, o un altro apostolo, o il tale santo».

La Madonna e Gesù


«Poi ho visto santa Maria, bella all’inverosimile nel suo mantello di luce. Mi ha accolto con un indicibile sorriso. Dietro di lei c’era Gesù meravigliosamente bello, e ancora più indietro c’era una zona di luce che sapevo essere il Padre, e nella quale mi sono tuffato».

La prima volta che vide padre Pio dopo quest’esperienza, il frate gli disse: “Oh! Quanto mi hai dato da fare tu! Ma quello che hai visto era molto bello!”.

Fonte:
it.aleteia.org/…/3-esperienze-di…







Approfondimento:
La testimonianza integrale dell'abbé Derobert


"Caro Padre,

Lei mi ha domandato una relazione scritta a proposito dell'evidente protezione di cui sono stato oggetto nell'agosto 1958 durante la guerra d'Algeria.

In quell'epoca, ero al servizio del Corpo Sanitario delle Forze Armate e avevo notato come ad ogni momento importante della mia vita, Padre Pio, che mi aveva accettato nel 1955 come figlio spirituale, mi facesse pervenire una cartolina che assicurava la sua preghiera e il suo sostegno.

Uno di questi casi fu prima del mio esame all'università Gregoriana di Roma, così come al tempo della mia partenza per l'esercito, oppure quando dovetti raggiungere i combattenti in Algeria.

Una sera, un commando del F.L.N. (Fronte di Liberazione Nazionale Algerino) attaccò il nostro villaggio e fui ben presto fatto prigioniero, messo davanti ad un portone con cinque altri militari e là fummo fucilati.

Mi ricordo che non ho pensato né a mio padre, né a mia madre di cui ero, tra l'altro, figlio unico, ma provavo solamente una grande gioia perché «andavo a vedere ciò che esisteva dall'altro lato».

Avevo ricevuto, la mattina stessa, una cartolina da Padre Pio con due righe manoscritte: «La vita è una lotta, ma porta alla Luce» (sottolineato due o tre volte).

Immediatamente, feci l'esperienza dell'uscita dal corpo, e lo vidi accanto a me riverso e sanguinante in mezzo ai miei compagni, anch'essi uccisi. Ho allora iniziato ad ascendere e ad entrare stranamente in una sorta di tunnel.

Dalla densa nube che mi circondava, emergevano dei visi conosciuti e non.All'inizio, questi volti erano tenebrosi; si trattava di persone poco raccomandabili, peccatori con poche virtù. Però, man mano che salivo, ne incontravo altri sempre più luminosi.

Ero sorpreso di come potessi camminare... e mi dicevo esser fuori dal tempo, dunque già resuscitato... Mi stupivo di poter osservare tutt'intorno alla mia testa senza voltarmi indietro.

Ero sbalordito di non aver sentito nulla per le ferite riportate dalle pallottole dei fucili e compresi che erano entrate nel mio corpo così velocemente da neutralizzare qualsiasi dolore.

Subito, il mio pensiero andò ai miei genitori... E in un lampo mi sono ritrovato ad Annecy, a casa mia, e li ho visti dormire nella loro camera. Ho provato a parlare loro, ma senza successo.

Ho visitato l'appartamento notando il cambio di posizione di un mobile. Molti giorni dopo, scrivendo a mia madre, le ho domandato perché lo aveva spostato. Nella risposta che mi inviò mi chiese: «Come fai a saperlo tu?»

Ho pensato pure a Papa Pio XII, che conoscevo bene (ero stato studente a Roma), e immediatamente sono arrivato nella sua stanza. Si era appena messo a letto. Abbiamo comunicato per mezzo dei pensieri (telepatia; ndt), perché era un grande spiritualista.

Ho proseguito la mia ascensione fino a trovarmi circondato da un paesaggio meraviglioso soffuso di una luce azzurrognola molto delicata... Non c'era tuttavia il sole «perché il Signore è la loro Luce...» come dice l'Apocalisse.

Ho visto là migliaia di persone, tutte con un'età approssimativa di trent' anni, e ne ho incontrate alcune che conoscevo mentre erano in vita... La tale era morta a 80 anni... e sembrava averne 30... La tal altra era morta a 2... ed entrambe apparivano coetanee...

Ho lasciato questo «paradiso» costellato di fiori straordinari e sconosciuti quaggiù. Sono salito ancora più in alto... Là, ho perso la mia natura umana e sono diventato una «goccia di Luce».

Ho veduto molte altre Scintille luminose e sapevo che una era San Pietro, un'altra Paolo oppure Giovanni, o un apostolo, o quel tal Santo... Poi ho visto Maria, meravigliosamente bella nel suo mantello di Luce, che mi accoglieva con un sorriso indicibile...

Dietro di Lei c'era Gesù, di una bellezza indescrivibile, e alle Sue spalle splendeva una zona di Radianza, che sapevo essere il Padre, e in cui mi sono immerso...

Ho sperimentato, così, l'appagamento totale di tutto ciò che potevo desiderare. Ho conosciuto la felicità perfetta... e, bruscamente, mi sono ritrovato sulla Terra, il viso nella polvere, in mezzo ai corpi insanguinati dei miei compagni.

Ho preso coscienza che il portone davanti al quale mi trovavo era crivellato dai colpi che avevano attraversato il mio corpo; che il mio abito era perforato e intriso di sangue; che il mio petto e il dorso erano macchiati anch'essi di sangue a metà coagulato, un po' vischioso... ma io ero incolume!

Sono andato allora dal Comandante così com'ero. Mi venne incontro gridando al miracolo. Era il comandante Cazelle, oggi deceduto.

Quest'esperienza mi ha segnato molto, senza alcun dubbio. Ma quando, affrancato dall'Esercito, mi recai da Padre Pio, egli mi scorse da lontano nel salone San Francesco. Mi fece segno di avvicinarmi e mi diede, come sempre, un piccolo buffetto affettuoso.

Poi mi disse queste semplici parole: «Oh! Come mi hai fatto correre! Ma quello che hai visto, era talmente bello!» E chiuse lì la sua osservazione.

Si può capire, ora, il motivo per cui io non abbia più paura della morte... poiché so cosa c'è dall'altra parte!"

Padre Jean Derobert






Questo documento fa parte degli atti del processo per la canonizzazione di Padre Pio.La relazione scritta ci è stata concessa a condizione di non renderla pubblica prima della canonizzazione stessa.

Suor Benjamine














sabato 19 ottobre 2019

Abolire il latino ha impoverito tutti quanti

 



di Silvana De Mari

Pubblicato sul quotidiano La Verità del 14 ottobre 2019, pag. 17



Culto e cultura sono due parole legate ad un’etimologia comune
. Se qualcuno cambia il culto cambia anche la cultura. Il culto è stato cambiato con il Vaticano II. La Chiesa è ormai desacralizzata, resa incapace di risposte, persa nel relativismo, incapace di guardare a Dio.
Inchiodata sull’uomo, essa non è più in grado di rispondere a nulla, si occupa di ecologia e migranti, celebra la madre terra (il minuscolo non è un errore) con una cerimonia di apertura del Sinodo per l’Amazzonia che è stata una cerimonia dalle apparenze pagane.

La desacralizzazione della Chiesa è l’evento indispensabile al suicidio dell’Occidente
ed è cominciato con la cosiddetta Messa in italiano, in realtà Messa in volgare. Quando si parla di Messa in latino e in italiano, inevitabilmente l’attenzione si sposta sulla lingua e tutti pensano che si tratti della stessa Messa, semplicemente tradotta. Sono, invece, due Messe completamente diverse, La Messa fu modificata, ma il termine corretto è stravolta, alla fine del Concilio Vaticano II.
Da sempre i concili si fanno per fronteggiare una crisi, ma non c’era nessuna crisi alla fine degli anni Cinquanta. Anzi, le chiese e i seminari erano pieni. Gli alberi si giudicano dai frutti. Dopo il Concilio 100.000 tra monaci e sacerdoti, 70.000 tra suore e monache abbandonarono la vita ecclesiastica. Non pochi sono morti suicidi.

A mezzo secolo da quel Concilio, sempre più chiese sono chiuse
e diventano centri commerciali o moschee. Mentre una cerimonia, che per gentilezza definiamo pagana, è stata appena celebrata in Vaticano per l’inizio dei lavori del Sinodo per l’Amazzonia. Sinodo che, se mantiene le sue tragiche promesse, terminerà il cattolicesimo trasformandolo in un ecologismo opinabile.
Come siamo arrivati a questo? Modificando, ma il termine corretto è stravolgendo, la
Messa che, in realtà, non poteva essere modificata.

Papa Pio V, infatti, aveva stabilito che la messa cosiddetta tradizionale
- quella
che ora chiamiamo Vetus Ordo - non poteva essere modificata. Nessuno, nemmeno un altro pontefice, poteva contraddire questo ordine.

«La Messa non potrà essere cantata o recitata in altro modo
da quello prescritto dall’ordinamento del Messale da Noi pubblicato». «Con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo [...] stabiliamo e comandiamo, sotto pena della nostra indignazione, che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato, nulla mai possa venire aggiunto, detratto, cambiato […]».
Invece la Messa fu violentemente cambiata e, come sottolineò il cardinale Alfredo Ottaviani in una lettera che mai trovò risposta, nella Messa tradizionale c’era un sacrificio (era il sacrificio di Cristo che si ripeteva) mentre nella Messa nuova si parla di «mensa».

L’altare non è più un altare su cui si compie un sacrificio, ma una mensa.
Tutto il testo è rattrappito, come il Confiteor, stravolto, cancellato e sostituito. Le parole in latino: «Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto» (cioè che tu entri dentro di me perché la tua presenza nell’Ostia è reale), diventa «Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa» (l’Ostia è Cristo oppure è una cena?). L’altare è, dunque, diventato una tavola rivolta verso l’assemblea, come per i protestanti. Tutta l’operazione è stata fatta per riappacificarsi con i protestanti. Ma non ha funzionato. Ai protestanti non siamo piaciuti e noi ci siamo spampanati.

Appartengo a una famiglia cattolica.
Saltiamo il discorso teologico: o era corretta la Messa precedente e l’ordine di non modificarla, o era giusto modificarla. La stessa cosa non può essere, contemporaneamente, vera o falsa.
Con quel gesto folle la Chiesa ha rinunciato alla Verità, che è una. La Chiesa dovrebbe essere di Dio, non dei preti. E poi c’eravamo noi, che eravamo il popolo.
Quella che hanno stravolto e immiserito era la nostra Messa, quelli che hanno reso inutili erano i nostri altari. Quelle che hanno tolto, spendendo cifre folli, erano le nostre balaustre: quelle davanti alle quali, da secoli, ci inginocchiavamo le hanno tolte e poi svendute al primo acquirente. Non c’era villetta di neo ricco che non avesse al suo interno una balaustra d’altare a delimitare il salotto dall’angolo bar. Quelli che hanno sperperato in mano ad architetti atei per costruire chiese di una bruttezza ripugnante erano i nostri soldi.

Ricordo mia madre senza parole
: la striminzita Messa che andavamo a sentire non era più la stessa, la lingua sacra era stata abolita. Prima tutti conoscevano il latino, anche gli analfabeti. Nel pronunciare le formule latine si alzavano verso Dio, gli offrivano il loro sforzo. Ora, tutto si sfarina in traduzioni sempre diverse, ma tradurre vuol dire perdere: se vado in Polonia non capisco la Messa, se morirò in Irlanda non capirò l’estrema unzione.

Prima il sacerdote guardava il tabernacolo.
Ora gli volta le spalle. Il significato simbolico è terribile. Per evitarlo, nelle chiese dell’età postconciliare, ripeto di ripugnante e non casuale bruttezza, il tabernacolo è messo «da qualche parte», di lato. Il crocifisso, se è dietro il sacerdote e sopra il vecchio altare, può essere guardato dall’assemblea ma non dal sacerdote, che gli dà le spalle. Il significato simbolico è atroce. Così, sempre per rimediare, si mette anche il crocifisso «di lato». Che cosa vuol dire?

Non ci inginocchiamo più per ricevere la comunione,
chi lo fa intralcia, eppure per un cattolico l’ostia è Cristo. Non si mette più il piattino per raccogliere l’Ostia se cade: non è più sacra?
La Messa aveva una potenza sacra ed esorcistica enorme, era un rito potente e pieno di significato. Ora, un gruppo sempre più striminzito di sacerdoti santi riesce a riempire di
sacro anche la Messa Novus Ordo, che è comunque valida se la consacrazione è stata fatta. Ma miriadi di sacerdoti la banalizzano, la insultano. In Germania aggiungono perfino la danza, uno o due ballerini davanti all’altare durante la consacrazione.
Il Novus Ordo, la messa nuova, è una mensa, il Vetus Ordo era un sacrificio che si rinnovava.

Dopo aver stravolto la Messa, Paolo VII osservò che il fumo di Satana era entrato nel tempio di Dio. Ora la nostra spassionata impressione, mentre guardiamo la cerimonia di apertura del Sinodo, mentre ascoltiamo altissimi prelati dire inenarrabili fesserie, dalla salvezza di Sodoma all’inesistenza del Demonio, mentre la nuova Chiesa 2.0 sempre più incredibile e pirotecnica chiama la signora Emma Bonino una grande italiana e si inginocchia davanti a statuette falliche, l’impressione è che il fumo di Satana in Vaticano abbia fatto il nido e si stiano schiudendo le uova.

E allora, cercate qualcuno che dica una Messa in latino
e dopo che l’avete trovato, non muovetevi da lì.