venerdì 30 novembre 2012

I distruttori delle parole non vinceranno!






La dittatura dell'ipocrisia punta a nascondere la verità con linguaggi fumosi e fuorvianti


di Carlo Climati

Uno dei mezzi più usati dai regimi dittatoriali per controllare e indottrinare le masse è sempre stato quello di distruggere le parole, svuotandole del loro più autentico significato.

Conosciamo già, con tristezza, l'orribile linguaggio che in questi ultimi anni ha cercato di mascherare l'orrore della soppressione del bambino del grembo materno.
Il Concilio Vaticano II definisce l'aborto: un “delitto abominevole”. Eppure, in questi anni, si è preferito utilizzare un termine neutro: “interruzione volontaria di gravidanza”.
Dovremmo chiederci, con sincerità: che cosa si interrompe con l'aborto? Una gravidanza o una vita umana? Sicuramente una vita umana.
Una maternità interrotta ferisce gravemente i cuori delle persone coinvolte. La banalità del male genera altrettante vittime.

Gandhi diceva: “Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l'aborto è un crimine”. Ma si preferisce nascondere questa drammatica realtà con un linguaggio fumoso e fuorviante.
Del resto, il bambino non ancora nato non è neppure considerato una vita umana. Per definirlo viene spesso utilizzata un'altra parola ipocrita: “prodotto del concepimento”.

La fantasia dei distruttori delle parole, a quanto pare, non conosce il senso del ridicolo.
Tra i modi più efficaci per cogliere i mutamenti del mondo che ci circonda c’è sicuramente quello di analizzare le parole che vengono usate nella vita quotidiana. Ogni linguaggio, infatti, rappresenta lo specchio perfetto del proprio tempo. Riesce a riprodurre, fedelmente, gli aspetti positivi o negativi dell’epoca a cui appartiene.
Molti vocaboli e modi di dire, entrati nell'uso comune dei giovani, rappresentano il segnale d’allarme di un'epoca in cui sembra trionfare la non-cultura del non-impegno.
Certe parole sono il frutto del non-pensiero imperante, che vorrebbe cancellare il concetto di “sforzo” dalla sfera dei rapporti con gli altri.

Oggi il campo più devastato dall’imperante non-cultura del non-impegno è sicuramente quello dei rapporti umani. Lo si comprende dal modo in cui sono cambiate, in peggio, le parole che riguardano la sfera affettiva.
I sentimenti sembrano bruciarsi rapidamente. Tante canzoni, trasmissioni televisive, riviste per ragazzi parlano d'amore. Ma di quale amore si tratta? Che tipo di valore viene attribuito a questo termine? Troppo spesso, purtroppo, tutto si riduce ad una pura e banale manifestazione del proprio egoismo.

Amare qualcuno significa, sicuramente, impegnarsi. Significa anche, e soprattutto, saper vedere l'altro come un essere umano. Non come un oggetto da usare, gettandolo via quando non serve più.
Il desiderio d'amare e di essere amati nasce, troppo spesso, per colmare un vuoto o per soddisfare un proprio bisogno. Ma poi, quando è necessario fare sul serio, impegnarsi, sacrificarsi, cominciano i problemi. C’è una tendenza a fuggire e a non assumersi le proprie responsabilità.

Per accorgersene, basta riflettere su un modo di dire che viene utilizzato per definire i legami amorosi. Due persone che si amano, secondo il linguaggio comune, vivono "una storia".
Questa parola, di per sé, rappresenta già un inganno. La "storia", infatti, ha sempre un inizio ed una fine. Quindi, lascia intravedere l’idea di un rapporto incerto, pessimista, non duraturo, limitato ad un periodo di tempo. E’ qualcosa che, prima o poi, terminerà.

Un altro grave problema è quello della mancanza di progettualità. La non-cultura del non-impegno sta contribuendo a far scomparire il termine "fidanzato", che viene sostituito dal più generico "ragazzo".
Ormai non si dice quasi più che due persone sono "fidanzate". Si dice, banalmente, che "stanno insieme". E quindi, ci si limita a prendere atto di una situazione ovvia.
E’ vero che due persone che si amano “stanno insieme”. Ma questa espressione nasconde un inganno. Al contrario del “fidanzamento”, comunica un senso di immobilità, di stasi. Esclude totalmente la prospettiva di uno sguardo verso il futuro.

La massima espressione del non-impegno è rappresentata da una parola inglese utilizzata sempre più spesso in televisione e nelle riviste per ragazzi: il "partner". E’ una parola fredda, anonima, insignificante, che riassume alla perfezione il nulla più assoluto e la mancanza di progettualità di certi rapporti di oggi.
Che cosa si può fare per cambiare questa tendenza? Un primo passo potrebbe essere proprio quello di educare i giovani a ritrovare il più autentico significato delle parole, mettendo da parte i termini fumosi ed equivoci.

Basta con i "partner"! Basta con le "storie"!, Basta con le “interruzioni di gravidanza” e con i “prodotti del concepimento”! I distruttori delle parole non vinceranno!

Al piatto conformismo di certi linguaggi ingannevoli bisogna contrapporre la gioia della speranza, della scommessa sull’altro, dell'impegno quotidiano per un amore teso verso le vette dell’infinito.


ROMA, venerdì, 30 novembre 2012 ZENIT.org



Avviso di restauri nel "Cortile dei gentili"






Un inatteso messaggio di Benedetto XVI riporta l'iniziativa alla sua finalità originaria: quella di evangelizzare i non credenti, e non solo di ascoltarli. Il cardinale Ravasi atteso alla prova dei fatti





di Sandro Magister

ROMA, 30 novembre 2012 – Quando alla vigilia di Natale del 2009 Benedetto XVI lanciò l'idea del "Cortile dei gentili", ne disse subito la finalità: tener desta la ricerca di Dio tra agnostici o atei, come "primo passo" della loro evangelizzazione.

Ma il papa non ne stabilì le modalità d'esecuzione. Affidò la messa in opera dell'idea al presidente del pontificio consiglio della cultura, l'arcivescovo e poi cardinale Gianfranco Ravasi, valente e sperimentato creatore di eventi culturali.

Ravasi esordì a Parigi il 24 e 25 marzo 2010, organizzando un incontro che ebbe un notevole impatto. Lo stesso Benedetto XVI vi prese parte con un videomessaggio rivolto ai giovani riuniti sul sagrato di Notre Dame.

Nei successivi appuntamenti, però, il papa rimase in silenzio. Il "Cortile dei gentili" proseguì con una sequenza serrata di incontri, in diversi paesi. Con un crescendo culminato il 5 e 6 ottobre di quest'anno ad Assisi, con un cast di partecipanti record, a cominciare dal presidente della repubblica italiana, Giorgio Napolitano, agnostico di formazione marxista.

A questo crescendo è corrisposto, però, un calo di interesse generale e di risonanza nei media.

Un calo comprensibile. Il fatto che dei non credenti prendessero la parola in un incontro promosso dalla Santa Sede non era più una notizia. E non era una notizia nemmeno il fatto che ciascuno vi esponesse la rispettiva visione del mondo, peraltro già risaputa, alla pari con gli altri, in una sorta di "quadri di un'esposizione".

A dispetto della suggestione di ciascun evento e dell'ammirazione che esso riscuoteva tra i partecipanti, il "Cortile dei gentili" rischiava di non produrre più nulla di nuovo e di significativo, sul versante dell'evangelizzazione.

Se una novità infatti c'è stata, nell'ultimo suo incontro tenuto 1l 16 e 17 novembre in Portogallo (vedi foto), essa è venuta da fuori e dall'alto.

Per la prima volta nella storia del "Cortile dei gentili" – a parte il caso particolare di Parigi –, Benedetto XVI ha inviato ai partecipanti un proprio messaggio.

Un messaggio nel quale egli ha voluto riportare l'iniziativa alla sua finalità originaria: quella di parlare di Dio a chi ne è lontano, risvegliando le domande che avvicinino a Dio "almeno come Sconosciuto".

Nel messaggio, chiaramente scritto di suo pugno, Benedetto XVI ha preso avvio dal tema principale del "Cortile dei gentili" portoghese: "l'aspirazione comune di affermare il valore della vita umana".

Ma subito ha argomentato che la vita di ogni persona, tanto più se amata, non può non "chiamare in causa Dio".

E ha proseguito:

"Il valore della vita diventa evidente solo se Dio esiste. Perciò, sarebbe bello se i non credenti volessero vivere 'come se Dio esistesse'. Sebbene non abbiano la forza per credere, dovrebbero vivere in base a questa ipotesi; in caso contrario, il mondo non funziona. Ci sono tanti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto, se Dio non sarà posto al centro, se Dio non diventerà di nuovo visibile nel mondo e determinante nella nostra vita".

Nel concludere, Benedetto XVI ha citato una riga del messaggio rivolto dal concilio Vaticano II agli uomini di pensiero e di scienza:

"Felici coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri".

E ha aggiunto lapidariamente:

"Questi sono lo spirito e la ragion d’essere del Cortile dei gentili".

L'indubbia rettifica impressa al "Cortile dei gentili" da Benedetto XVI con questo messaggio non è stata rimarcata dai media, nemmeno da quelli cattolici e più attenti.

Ma il cardinale Ravasi l'ha sicuramente registrata e sottoscritta. Lo si è capito anche da questo passaggio del bilancio del "Cortile" portoghese pubblicato su "L'Osservatore Romano" del 23 novembre:

"A Guimarães, il pubblico ha sollevato una questione: la sacralità della vita presuppone qualcosa che ci trascende. Come possiamo conoscere Dio? È stato cioè toccato l’obiettivo per il quale il 'Cortile dei gentili' è stato pensato: esprimere l’inquietudine riguardo a Dio. Tema vasto e complesso sul quale, ha detto il cardinale Ravasi, il 'Cortile dei gentili' tornerà in maniera più approfondita nei prossimi incontri".

Ai prossimi incontri la verifica della svolta.

Intanto, Benedetto XVI ha affidato al cardinale Ravasi, che è anche rinomato biblista, l'onore di presentare ai media di tutto il mondo il terzo tomo della sua opera su Gesù, quella dedicata ai Vangeli dell'infanzia. Segno della fiducia che continua a riporrre in lui.

E a sua volta Ravasi ha dato inizio, su "L'Osservatore Romano", a una serie di articoli sull'incontro/scontro tra la fede e l'incredulità nella cultura contemporanea, come apporto all'Anno della fede indetto dal papa.

Nel primo di questi articoli, il 28 novembre, il cardinale ha sprigionato la sua eccezionale padronanza della letteratura, delle arti e delle scienze, con una lussureggiante fioritura di autori citati. Nell'ordine: Aleksandr Blok, Franz Kafka, Emile Cioran, Jean Cocteau, Rudolf Bultmann, Blaise Pascal, Jan Dobraczynski, Robert Musil, Ludwig Wittgenstein, Luis de León, David Hume, Anatole France, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Alberto Moravia, Augusto Del Noce, Jacques Prévert, Eugenio Montale, Johann Wolfgang von Goethe.

In mezza pagina di giornale una ventina di autori, quasi tutti non credenti eppure tutti rivelatisi "vulnerabili" alle domande su Dio.

Ma torniamo a Benedetto XVI e al suo poco noto ma importante messaggio all'ultimo "Cortile dei gentili". Tutto da leggere.

__________



"COME IN EDIFICI DI CEMENTO SENZA FINESTRE..."


di Benedetto XVI





Cari amici,

con viva gratitudine e con affetto, saluto tutti i partecipanti al "Cortile dei gentili", che s’inaugura in Portogallo il 16 e 17 novembre 2012 e che riunisce credenti e non credenti attorno all’aspirazione comune di affermare il valore della vita umana sulla crescente ondata della cultura della morte.

In realtà, la consapevolezza della sacralità della vita che ci è stata affidata, non come qualcosa di cui si possa disporre liberamente, ma come un dono da custodire fedelmente, appartiene all’eredità morale dell’umanità. "Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cfr. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine" (Enciclica "Evangelium vitae", n. 2). Non siamo un prodotto casuale dell’evoluzione, ma ognuno di noi è frutto di un pensiero di Dio: siamo amati da Lui.

Però, se la ragione può cogliere questo valore della vita, perché chiamare in causa Dio? Rispondo citando un’esperienza umana. La morte della persona amata è, per chi l’ama, l’evento più assurdo che si possa immaginare: lei è incondizionatamente degna di vivere, è buono e bello che esista (l’essere, il bene, il bello, come direbbe un metafisico, si equivalgono trascendentalmente). Parimenti, la morte di questa stessa persona appare, agli occhi di chi non ama, come un evento naturale, logico (non assurdo). Chi ha ragione? Colui che ama ("la morte di questa persona è assurda") o colui che non ama ("la morte di questa persona è logica")?

La prima posizione è difendibile solo se ogni persona è amata da un Potere infinito; e questo è il motivo per cui è stato necessario appellarsi a Dio. Di fatto, chi ama non vuole che la persona amata muoia; e, se potesse, lo impedirebbe sempre. Se potesse... L’amore finito è impotente; l’Amore infinito è onnipotente. Ebbene, è questa la certezza che la Chiesa annuncia: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3, 16). Sì! Dio ama ogni persona che, perciò, è incondizionatamente degna di vivere. "Il sangue di Cristo, mentre rivela la grandezza dell’amore del Padre, manifesta come l’uomo sia prezioso agli occhi di Dio e come sia inestimabile il valore della sua vita". (Enciclica "Evangelium vitae", n. 25).

Nell’epoca moderna, l’uomo ha però voluto sottrarsi allo sguardo creatore e redentore del Padre (cfr. Gv 4, 14), fondandosi su se stesso e non sul Potere divino. Quasi come succede negli edifici di cemento armato senza finestre, dove è l’uomo che provvede all’areazione e alla luce; e, ugualmente, persino in un tale mondo auto-costruito, si attinge alle "risorse" di Dio, che sono trasformate in nostri prodotti. Che dire allora? È necessario riaprire le finestre, vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra, e imparare a usare tutto ciò in modo giusto.

Di fatto, il valore della vita diventa evidente solo se Dio esiste. Perciò, sarebbe bello se i non credenti volessero vivere "come se Dio esistesse". Sebbene non abbiano la forza per credere, dovrebbero vivere in base a questa ipotesi; in caso contrario, il mondo non funziona. Ci sono tanti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto, se Dio non sarà posto al centro, se Dio non diventerà di nuovo visibile nel mondo e determinante nella nostra vita. Colui che si apre a Dio non si allontana dal mondo e dagli uomini, ma trova fratelli: in Dio cadono i nostri muri di separazione, siamo tutti fratelli, facciamo parte gli uni degli altri.

Amici miei, vorrei concludere con queste parole del concilio Vaticano II agli uomini di pensiero e di scienza: "Felici coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri" (Messaggio, 8 dicembre 1965). Questi sono lo spirito e la ragion d’essere del "Cortile dei gentili". A voi impegnati in diversi modi in questa significativa iniziativa, esprimo il mio sostegno e rivolgo il mio più sentito incoraggiamento. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnino oggi e in futuro.

BENEDICTUS PP XVI

Dal Vaticano, 13 novembre 2012


http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350375

giovedì 29 novembre 2012

Quali i frutti del Concilio Vaticano II dopo cinquanta anni?


Concilio Vaticano Secondo





di Cesare Maria Glori

 Quest’anno celebriamo il cinquantenario dell’apertura del Concilio Vaticano II e la ricorrenza viene presa come spunto per approfondimenti e studi critici. Dopo cinquanta anni sarebbe stato lecito attendersi l’emergere di qualche positivo risultato come, ad esempio, un rinnovato slancio missionario e un risveglio del fervore liturgico con una partecipazione entusiasta e numerosa alla vita ecclesiale. Nulla di tutto ciò è avvenuto.

Sul Concilio Vaticano II, invece, si intrattengono confronti anche serrati e aspri, si discute molto, anzi troppo, ma sempre per esaltarlo a priori come conquista di un recuperato confronto con la modernità o per considerarlo come causa immediata della crisi manifesta e inequivocabile della Chiesa, sia essa considerata come struttura che come comunità.

Benedetto XVI lamenta, e con ragione, la crisi della fede. Crisi che è generalizzata e più visibile nelle nazioni di più antica cristianizzazione. Questa crisi era stata già individuata da Paolo VI° quando parlò del fumo di satana che era penetrato nella Chiesa. Allorché Paolo VI° disse Chiesa non intendeva certamente la comunità ecclesiale ma soprattutto la sua testa, il suo centro nevralgico, in altri termini la gerarchia. Benedetto XVI per contrastare questa crisi ha promosso la “Rievangelizzazione” . Che cosa significa questa parola e che cosa sottintende? Significa esattamente quel che il termine stesso esprime e cioè che occorre riportare a far vivere il Vangelo laddove esso è stato messo da parte. Vangelo vissuto significa vivere in una mentalità e in modo conforme a quanto esso insegna. Non vi sono dubbi che nel mondo d’oggi i popoli che erano cristiani si siano allontanati molto da quella mentalità e da quella cultura che aveva fatto dell’Europa e dell’Occidente la comunità dei cristiani, seppure con le differenze dovute alla grande crisi della Riforma del secolo sedicesimo.

Non per nulla si dice oggi correntemente, e si considera quanto vien detto e ripetuto quasi come una conquista, che viviamo in un mondo postcristiano. Questo termine vuole affermare non soltanto un desiderio di molti – molti che possono, oggi, anche essere la maggioranza – ma anche celebrare la mutazione avvenuta nei paesi occidentali e cioè che viviamo con una mentalità che non è più, sostanzialmente, cristiana. Si ha un bel dire che si tratta di una crisi temporanea, una crisi che preannuncia un rinnovamento e che questo rinnovamento produrrà una rinascita, una trasformazione in meglio della Chiesa. Quale Chiesa, innanzitutto? Affermarlo per la Chiesa cattolica mi parrebbe, a dir poco, temerario. Come si può rinascere a nuova vita e tornare ad un fervore religioso quando i fedeli diminuiscono sempre di più a mano a mano che le generazioni si danno il cambio? Non sarà, purtroppo, la Rievangelizzazione, promossa e desiderata con tanta fede e con tanta passione da Benedetto XVI°, a rivitalizzare la Cattolicità languente se non interverrà la Divina Provvidenza per il tramite di Maria Santissima, luce dei nostri tempi, a imprimere lo slancio missionario in coloro che sono chiamati a questo compito che appare, rebus sic stanti bus, votato all’insuccesso. Ma ciò che non è possibile a noi esseri umani non è impossibile a Dio, per cui si deve sperare anche contro le più sfavorevoli prospettive. Noi esseri umani siamo soltanto degli operai nella vigna del Signore e dobbiamo operare anche nelle avverse situazioni e sperare sempre nel Suo aiuto e nella Sua insostituibile opera. Perciò la Rievangelizzazione è una missione che deve essere portata avanti, costi quel che costi, data la situazione attuale della Chiesa cattolica. Occorre confidare nell’aiuto di Dio e della Vergine Maria Santissima, corredentrice e mediatrice di tutte le grazie, sperando contro ogni avversa realtà per riportare la fede laddove essa si è affievolita o, in troppi casi, del tutto scomparsa.

Se Benedetto XVI° ha promosso la rievangelizzazione a cinquanta anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, vuol dire che qualcosa non ha funzionato come era lecito attendersi dopo gli osanna elevati alla sua chiusura e le speranze che si nutrivano. Il concilio doveva essere pastorale e tale è stato definito e, per questo motivo, doveva infondere slancio al modo di presentare Gesù Cristo al mondo. Dopo cinquanta anni era logico attendersi dei risultati ma questa missione di riportare il Vangelo fra le genti cristiane, o che tali erano, sta a significare che la perdita della Fede in Gesù Cristo è il risultato più clamoroso ed evidente del Post Concilio. Non è il caso di affrontare in questa sede le cause della perdita della fede in Gesù Cristo e se esse debbano essere, in qualche modo, connesse al Concilio. Sarebbe semplicemente presuntuoso e inopportuno affrontare un tema del genere in poche battute. Qualche riflessione può, però, essere fatta. Se sono i risultati a giudicare ogni evento umano, allora occorre fare un confronto fra il Concilio Tridentino e il Vaticano II. Quello di Trento ebbe immediatamente frutti prodigiosi sul piano pastorale. Non è il caso qui di affrontare l’aspetto dottrinale, anche se quel concilio ebbe proprio la dottrina fra i suoi fini. Limitiamoci a esaminare i frutti sul piano pastorale. Al termine del Concilio di Trento si ebbe uno sviluppo grandioso nella formazione sacerdotale; furono istituiti i seminari e le vocazioni furono numerose e confortanti per rivitalizzare la chiesa cattolica scossa dalla frattura dolorosa della Riforma. Assieme alle vocazioni vi fu un fiorire di santità in ogni parte del mondo cattolico e l’emergere di grandi personalità che dettero slancio e nuova linfa vitale alla Chiesa di Cristo. Straordinario fu lo slancio missionario ad opera soprattutto delle nuove congregazioni (Gesuiti in prima linea), ma non meno straordinario fu quello degli Ordini votati alla carità verso il prossimo (ordini ospitalieri e per la formazione dei giovani e l’assistenza dei bisognosi) e non meno efficaci furono le organizzazioni associative laicali (confraternite e fraterie varie). Se dovessimo fare un paragone con quanto si è verificato dopo il Concilio Vaticano II non potremmo far altro che stendere un bilancio negativo. L’abbandono di centinaia di migliaia di sacerdoti e di consacrati e consacrate in tutto il mondo è stata un’autentica tragedia per la Chiesa Cattolica ed il fenomeno non pare essersi arrestato. I seminari si sono svuotati e soltanto i nuovi Ordini, tutti quelli ispirati ad un ritorno alla Tradizione, presentano un fiorire di vocazioni confortante.

Le Missioni costituiscono un problema a sé, poiché si ha paura di annunciare con entusiastica fede il Vangelo per tema di offendere le culture autoctone, a motivo di una erronea interpretazione di come si debba affrontare l’approccio verso persone di diversa fede. Rispetto della fede altrui non può significare la rinuncia a predicare la buona novella come ci ha comandato di fare Gesù stesso. Se si ha paura di farlo per timore di essere osteggiati e perseguitati sarebbe meglio starsene a casa. Gesù Cristo ha bisogno di apostoli coraggiosi e non Gli servono servitori pusillanimi e timorosi.

Ma l’aspetto più sconfortante del Post Concilio resta la perdita della fede in tutto il mondo cattolico, massime nei paesi di più antica cristianizzazione. Addebitare la causa di questi fenomeni al Concilio sarebbe non solo assurdo ma anche infondato. Non sono state le risoluzioni del Concilio (Costituzioni e decreti) ad aver provocato la crisi ma, semmai, la loro cattiva lettura e distorta interpretazione. Se certi passi in alcune delle risoluzioni conciliari possono prestarsi a letture controverse ed equivoche, non si avvertono però palesi e inequivocabili vulnus agli aspetti dogmatici della Fede Cattolica. Una cosa però è certa ed inequivocabile. La vocazione pastorale del Concilio è stata un insuccesso e i risultati lo starebbero a dimostrare. Un’altra lettura, tuttavia, può essere fatta in senso completamente opposto. In previsione degli attacchi che il mondo ha lanciato alla Chiesa Cattolica, la Provvidenza sta facendo pulizia in seno ad essa per prepararla con forze convinte e decise, anche se ridotte nel numero, ad affrontare la sfida. Sfida che si preannuncia epocale e sconvolgente per il futuro del mondo intero. La battaglia sarà dura e costerà enormi sacrifici e tante vittime, ma la vittoria finale è fuori discussione. Dio non sarà mai sconfitto; lo ha garantito Maria Santissima, la Sua portavoce più affidabile, a Fatima e lo va ripetendo anche in altre apparizioni. Sono sempre le minoranze convinte e decise a decidere le sorti degli scontri epocali. Se dalla Riforma in poi sono state le minoranze agguerrite e decise ad avere l’iniziativa, saranno anche minoranze decise e animate da una fede incrollabile in Cristo a tener testa all’attacco di forze fra loro in contrasto ma unite in questo urto che si profila essere decisivo per le sorti del mondo intero. L’anticristo è già in azione ma una minoranza coraggiosa e fiduciosa, guidata da Maria Santissima, emergerà come baluardo ostinato e incrollabile a reggere l’urto poderoso del principe di questo mondo.

Quest’anno celebriamo il cinquantenario dell’apertura del Concilio Vaticano II e la ricorrenza viene presa come spunto per approfondimenti e studi critici. Dopo cinquanta anni sarebbe stato lecito attendersi l’emergere di qualche positivo risultato come, ad esempio, un rinnovato slancio missionario e un risveglio del fervore liturgico con una partecipazione entusiasta e numerosa alla vita ecclesiale. Nulla di tutto ciò è avvenuto. Sul Concilio Vaticano II, invece, si intrattengono confronti anche serrati e aspri, si discute molto, anzi troppo, ma sempre per esaltarlo a priori come conquista di un recuperato confronto con la modernità o per considerarlo come causa immediata della crisi manifesta e inequivocabile della Chiesa, sia essa considerata come struttura che come comunità.

Benedetto XVI lamenta, e con ragione, la crisi della fede. Crisi che è generalizzata e più visibile nelle nazioni di più antica cristianizzazione. Questa crisi era stata già individuata da Paolo VI° quando parlò del fumo di satana che era penetrato nella Chiesa. Allorché Paolo VI° disse Chiesa non intendeva certamente la comunità ecclesiale ma soprattutto la sua testa, il suo centro nevralgico, in altri termini la gerarchia. Benedetto XVI per contrastare questa crisi ha promosso la “Rievangelizzazione” . Che cosa significa questa parola e che cosa sottintende? Significa esattamente quel che il termine stesso esprime e cioè che occorre riportare a far vivere il Vangelo laddove esso è stato messo da parte. Vangelo vissuto significa vivere in una mentalità e in modo conforme a quanto esso insegna. Non vi sono dubbi che nel mondo d’oggi i popoli che erano cristiani si siano allontanati molto da quella mentalità e da quella cultura che aveva fatto dell’Europa e dell’Occidente la comunità dei cristiani, seppure con le differenze dovute alla grande crisi della Riforma del secolo sedicesimo.

Non per nulla si dice oggi correntemente, e si considera quanto vien detto e ripetuto quasi come una conquista, che viviamo in un mondo postcristiano. Questo termine vuole affermare non soltanto un desiderio di molti – molti che possono, oggi, anche essere la maggioranza – ma anche celebrare la mutazione avvenuta nei paesi occidentali e cioè che viviamo con una mentalità che non è più, sostanzialmente, cristiana. Si ha un bel dire che si tratta di una crisi temporanea, una crisi che preannuncia un rinnovamento e che questo rinnovamento produrrà una rinascita, una trasformazione in meglio della Chiesa. Quale Chiesa, innanzitutto? Affermarlo per la Chiesa cattolica mi parrebbe, a dir poco, temerario. Come si può rinascere a nuova vita e tornare ad un fervore religioso quando i fedeli diminuiscono sempre di più a mano a mano che le generazioni si danno il cambio? Non sarà, purtroppo, la Rievangelizzazione, promossa e desiderata con tanta fede e con tanta passione da Benedetto XVI°, a rivitalizzare la Cattolicità languente se non interverrà la Divina Provvidenza per il tramite di Maria Santissima, luce dei nostri tempi, a imprimere lo slancio missionario in coloro che sono chiamati a questo compito che appare, rebus sic stanti bus, votato all’insuccesso. Ma ciò che non è possibile a noi esseri umani non è impossibile a Dio, per cui si deve sperare anche contro le più sfavorevoli prospettive. Noi esseri umani siamo soltanto degli operai nella vigna del Signore e dobbiamo operare anche nelle avverse situazioni e sperare sempre nel Suo aiuto e nella Sua insostituibile opera. Perciò la Rievangelizzazione è una missione che deve essere portata avanti, costi quel che costi, data la situazione attuale della Chiesa cattolica. Occorre confidare nell’aiuto di Dio e della Vergine Maria Santissima, corredentrice e mediatrice di tutte le grazie, sperando contro ogni avversa realtà per riportare la fede laddove essa si è affievolita o, in troppi casi, del tutto scomparsa.

Se Benedetto XVI° ha promosso la rievangelizzazione a cinquanta anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, vuol dire che qualcosa non ha funzionato come era lecito attendersi dopo gli osanna elevati alla sua chiusura e le speranze che si nutrivano. Il concilio doveva essere pastorale e tale è stato definito e, per questo motivo, doveva infondere slancio al modo di presentare Gesù Cristo al mondo. Dopo cinquanta anni era logico attendersi dei risultati ma questa missione di riportare il Vangelo fra le genti cristiane, o che tali erano, sta a significare che la perdita della Fede in Gesù Cristo è il risultato più clamoroso ed evidente del Post Concilio. Non è il caso di affrontare in questa sede le cause della perdita della fede in Gesù Cristo e se esse debbano essere, in qualche modo, connesse al Concilio. Sarebbe semplicemente presuntuoso e inopportuno affrontare un tema del genere in poche battute. Qualche riflessione può, però, essere fatta. Se sono i risultati a giudicare ogni evento umano, allora occorre fare un confronto fra il Concilio Tridentino e il Vaticano II. Quello di Trento ebbe immediatamente frutti prodigiosi sul piano pastorale. Non è il caso qui di affrontare l’aspetto dottrinale, anche se quel concilio ebbe proprio la dottrina fra i suoi fini. Limitiamoci a esaminare i frutti sul piano pastorale. Al termine del Concilio di Trento si ebbe uno sviluppo grandioso nella formazione sacerdotale; furono istituiti i seminari e le vocazioni furono numerose e confortanti per rivitalizzare la chiesa cattolica scossa dalla frattura dolorosa della Riforma. Assieme alle vocazioni vi fu un fiorire di santità in ogni parte del mondo cattolico e l’emergere di grandi personalità che dettero slancio e nuova linfa vitale alla Chiesa di Cristo. Straordinario fu lo slancio missionario ad opera soprattutto delle nuove congregazioni (Gesuiti in prima linea), ma non meno straordinario fu quello degli Ordini votati alla carità verso il prossimo (ordini ospitalieri e per la formazione dei giovani e l’assistenza dei bisognosi) e non meno efficaci furono le organizzazioni associative laicali (confraternite e fraterie varie). Se dovessimo fare un paragone con quanto si è verificato dopo il Concilio Vaticano II non potremmo far altro che stendere un bilancio negativo. L’abbandono di centinaia di migliaia di sacerdoti e di consacrati e consacrate in tutto il mondo è stata un’autentica tragedia per la Chiesa Cattolica ed il fenomeno non pare essersi arrestato. I seminari si sono svuotati e soltanto i nuovi Ordini, tutti quelli ispirati ad un ritorno alla Tradizione, presentano un fiorire di vocazioni confortante.

Le Missioni costituiscono un problema a sé, poiché si ha paura di annunciare con entusiastica fede il Vangelo per tema di offendere le culture autoctone, a motivo di una erronea interpretazione di come si debba affrontare l’approccio verso persone di diversa fede. Rispetto della fede altrui non può significare la rinuncia a predicare la buona novella come ci ha comandato di fare Gesù stesso. Se si ha paura di farlo per timore di essere osteggiati e perseguitati sarebbe meglio starsene a casa. Gesù Cristo ha bisogno di apostoli coraggiosi e non Gli servono servitori pusillanimi e timorosi.

Ma l’aspetto più sconfortante del Post Concilio resta la perdita della fede in tutto il mondo cattolico, massime nei paesi di più antica cristianizzazione. Addebitare la causa di questi fenomeni al Concilio sarebbe non solo assurdo ma anche infondato. Non sono state le risoluzioni del Concilio (Costituzioni e decreti) ad aver provocato la crisi ma, semmai, la loro cattiva lettura e distorta interpretazione. Se certi passi in alcune delle risoluzioni conciliari possono prestarsi a letture controverse ed equivoche, non si avvertono però palesi e inequivocabili vulnus agli aspetti dogmatici della Fede Cattolica. Una cosa però è certa ed inequivocabile. La vocazione pastorale del Concilio è stata un insuccesso e i risultati lo starebbero a dimostrare. Un’altra lettura, tuttavia, può essere fatta in senso completamente opposto. In previsione degli attacchi che il mondo ha lanciato alla Chiesa Cattolica, la Provvidenza sta facendo pulizia in seno ad essa per prepararla con forze convinte e decise, anche se ridotte nel numero, ad affrontare la sfida. Sfida che si preannuncia epocale e sconvolgente per il futuro del mondo intero. La battaglia sarà dura e costerà enormi sacrifici e tante vittime, ma la vittoria finale è fuori discussione. Dio non sarà mai sconfitto; lo ha garantito Maria Santissima, la Sua portavoce più affidabile, a Fatima e lo va ripetendo anche in altre apparizioni. Sono sempre le minoranze convinte e decise a decidere le sorti degli scontri epocali. Se dalla Riforma in poi sono state le minoranze agguerrite e decise ad avere l’iniziativa, saranno anche minoranze decise e animate da una fede incrollabile in Cristo a tener testa all’attacco di forze fra loro in contrasto ma unite in questo urto che si profila essere decisivo per le sorti del mondo intero. L’anticristo è già in azione ma una minoranza coraggiosa e fiduciosa, guidata da Maria Santissima, emergerà come baluardo ostinato e incrollabile a reggere l’urto poderoso del principe di questo mondo.



Conciliovaticanosecondo.it    21 novembre 2012

«Vedremo se chi ha votato la legge sull’incesto poi si riempirà ancora la bocca con gli slogan sulla difesa della famiglia»




 Intervista ad Alfredo Mantovano (Pdl)






di Benedetta Frigerio

«Signor Presidente, onorevoli colleghi, un vecchio adagio popolare dice che la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni e io non nego la buona intenzione. Anzi la lodevole intenzione di eliminare una serie di presunte – spiegherò perché presunte – discriminazioni a carico dei figli di una unione incestuosa». Sono le parole di Alfredo Mantovano, deputato pidiellino, ex sottosegretario all’Interno, firmatario degli emendamenti bocciati e contrari al riconoscimento dei figli dell’incesto previsto dalla norma varata ieri dal Parlamento con 366 favorevoli, 31 contrari e 58 astenuti. Lo scopo della legge era quello di riconoscere i diritti di tutti i figli naturali, nati anche al di fuori del matrimonio, ma il sapore della norma è più di una legittimazione dei diritti degli adulti, al di là di ogni responsabilità civile contratta attraverso il matrimonio. «Se davvero si volevano tutelare i figli, perché si è votato per dare ai responsabili di un incesto il diritto di riconoscere quel figlio, contro il suo vero interesse e contrastando con l’articolo 564 del Codice penale che prevede il carcere per chi pratica l’incesto? Il contrasto tra la nuova legislazione civile e il Codice penale porterà a una sua depenalizzazione. Vedere la gente esultare in aula per l’approvazione di questa legge è stato uno spettacolo grottesco».

Chi ha voluto questa norma ha parlato, come Rosy Bindi, di una civiltà liberata dal fardello del bigottismo che non tutela i figli nati fuori dal matrimonio, anche quelli dell’incesto che si dice non avessero diritti. È così?

In aula c’era chi citava santi e sacre scritture a favore di questa norma; io mi sono limitato laicamente a citare il diritto positivo e a svolgere considerazioni esclusivamente laiche. In primo luogo, oggi il divieto di riconoscimento – come tutti sanno, ma è il caso di ricordarlo – non è assoluto. Il riconoscimento è possibile in una serie di ipotesi: quando si ignorava al momento del concepimento l’esistenza di un vincolo parentale; quando, in epoca successiva al concepimento, è venuto meno per l’annullamento di un matrimonio il vincolo di affinità. Non solo, la giurisprudenza ha applicato la categoria della buona fede anche alla vittima di violenza, quindi la donna che subiva la violenza dell’incesto poteva già operare il riconoscimento. Il figlio, poi, come recita l’articolo 580 del Codice civile, non otteneva l’eredità ma solo da un punto di vista formale, perché – di fatto – aveva diritto ad un assegno vitalizio che corrispondeva all’eredità che gli sarebbe spettata. Il figlio naturale, senza essere costretto ad apparire figlio di un rapporto incestuoso, poteva quindi ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione e, se maggiorenne ed in stato di bisogno, ottenere anche gli alimenti, come prevede l’articolo 279 del Codice civile. È nell’interesse di un figlio, che si trovi in tale drammatica situazione, avere questo marchio, che non dipende dalla sua volontà, ma può dipendere anche dalla volontà di chi è stato autore di una violenza? Perché qui non è più il figlio che, maggiorenne – come dice l’attuale normativa -, decide sul riconoscimento o meno, ma è l’esatto contrario, è il padre o la madre, comunque chi ha commesso una violenza, che d’ora in poi potrà decidere autonomamente se riconoscerlo o meno. Si può arrivare a delle vere e propria assurdità: L’articolo 564 del Codice penale, che nessuno ancora ha abolito, punisce come un delitto con pena severa l’atto di incesto, che accadrà ora?

Perché sono stati respinti gli emendamenti alla legge, anche se contrari solo a questo passaggio?

Per un insieme di ragioni gravi. Da una parte la sinistra ormai non si presenta più come un alternativa sul piano economico e politico, ma ha spostato la sua attenzione, come tutti i partiti europei, verso temi antropologici di matrice libertaria e radicale. Questo purtroppo accade perché ormai le politiche economiche, strutturali e di sviluppo sono stabilite dall’Europa. C’è poi una ragione politica: si sta rinforzando il patto con Sel a cui si dà carta bianca su tutte le proposte più ideologiche. Non meno grave il fatto che, dall’altra parte, il Pdl sia assente. Siamo pochi ad avere le idee chiare sull’importanza di queste tematiche per la società futura. Perciò è mancata, anche in questo caso, la volontà di agire con decisione. Peggio: il partito non è stato capace di fare una battaglia e un terzo di noi ha votato a favore della norma. e così hanno agito anche ad alcuni parlamentari della Lega, ma anche dell’Udc. Vedremo se questi stessi saranno quelli che sentiremo riempirsi la bocca di slogan sulla famiglia durante la prossima campagna elettorale. Perciò dico che bisogna leggere bene le analisi del sangue di chi parlerà: si può già fare guardando chi ha votato la norma sull’incesto. Perché, come diceva Jean-Paul Sartre, «quanto alla famiglia, scomparirà soltanto quando avremo cominciato a sbarazzarci del tabù dell’incesto; la libertà deve essere pagata a questo prezzo».

Hanno votato la legge sull’incesto. Qualcuno si è spinto fino a teorizzare che sia lecito?

Chi teorizza che i figli si possono fare in qualsiasi caso e che i genitori non devono essere discriminati rispetto a quelli sposati sono molti, con Paola Concia in testa. Solo che la cosa è subdola perché la lesione dei diritti dei bambini non è esplicita, ma passa con il vessillo della difesa dei diritti degli adulti: bisogna avere diritti senza responsabilità delle proprie azioni. Questa è l’idea di libertà teorizzata dai più radicali. Poi, di fatto, pagano i bambini, ma intanto le norme passano anche con lo sponsor di certi cattolici che sempre più ingrossano le cifre dei voti radicali.

Sui temi antropologici le differenze fra i partiti vanno sempre più assottigliandosi. Cosa accadrà alle prossime elezioni?

Nella prossima legislazione la maggioranza sarà ancora più libertaria. Date le forze in campo, mi pare evidente che stiamo andando verso un’estremizzazione dei temi etici. Si proporrà il riconoscimento della famiglia omosessuale, la legalizzazione dell’eutanasia, la legge sull’omofobia. E tutto avverrà anche grazie al silenzio imbarazzato di molti, come ormai accade da tempo. Forse ci si accorgerà di quello che sta accadendo quando dovranno chiudere i seminari o le scuole paritarie, come sta succedendo Oltreoceano, ma sarà tardi.

Le spinte libertarie e l’assenza di un’alternativa e un’azione forte ci stanno portando a quello che Pier Paolo Pasolini dichiarò negli anni Settanta, quando profetizzo la svolta del Pci, favorevole ad aborto e divorzio, verso un grande partito radicale di massa?

Ci stiamo tutti omologando. Ma a quanti hanno citato il Vangelo e i santi a sproposito per giustificare la norma a favore dell’incesto vorrei ricordare le cronache di Sodoma e Gomorra e la fine dell’impero romano imploso nella sua immoralità. Mentre a chi tace dico che, come Sodoma e Gomorra, forse meritiamo la distruzione dei partiti e della politica già in atto.


Tempi   28 novembre 2012

Convegno a Firenze sul Concilio Vaticano II







Coordinamento Toscano 28 novembre 2012

mercoledì 28 novembre 2012

Il celibato sacerdotale? Per il governo massonico messicano “una grande immoralità”



Città del Messico
Città del Messico 

In una recente ricerca, altri retroscena della persecuzione che diede vita alla “Cristiada”


di Giuseppe Brienza

Dalle prime fasi della Rivoluzione messicana (1924-1928) sono emersi «numerosi progetti per far sì che il clero abbandonasse il celibato […]. Nel “Diario de los Debates del Congreso Constituyente”, si può rinvenire l’intervento del deputato Alonso Romero, nel quale si affermava che la confessione auricolare e il celibato sacerdotale costituivano “una grande immoralità”».

A documentare questo ulteriore crudo aspetto della persecuzione inflitta alla Chiesa negli anni 1920 e ’30 in Messico, che diede poi vita alla “Cristiada”, è adesso anche un grosso volume, appena pubblicato da due ricercatori della Pontificia Università della Santa Croce (PUSC) di Roma, Laurent Touze e Marcos Arroyo, intitolato “Il celibato sacerdotale - Teologia e vita” (Editore Edusc, Roma 2012). Nel saggio dal quale è tratta la citazione iniziale, “Il matrimonio imposto al clero come politica di scristianizzazione rivoluzionaria: Francia 1793 e Messico 1926” di don Carlo Pioppi, che insegna storia della Chiesa nelle facoltà di Teologia e di Comunicazione sociale della PUSC, vengono messe in luce ulteriori vicende della Rivoluzione messicana, che ebbe inizio nel 1926 quando il governo del paese latino-americano fu conquistato da un apparato politico massonico e laicista.

A seguito delle prime affollatissime proiezioni “private” del film del regista Dean Wright “Cristiada”, finora mai trasmesso nelle sale cinematografiche italiane (Cristiada”: quando il potere politico mise al bando la fede), questo volume che raccoglie gli interventi del XIV Convegno di studi della Facoltà di Teologia della PUSC, tenuto a Roma il 4-5 marzo 2010, illustra anche dal punto di vista documentario le misure vessatorie nei confronti del clero, dalla proibizione di compiere cerimonie religiose fuori dalle pertinenze dei luoghi di culto alla proibizione dell’abito ecclesiastico fuori dalle chiese che, scrive Pioppi, fu quindi «privato di molti diritti civili».

Non si trattava solo di discorsi di esaltati, tant’e che anche la “Lettera Pastorale dell’Episcopato Messicano” del 22 aprile 1926 tratta della minaccia di una legislazione in questo senso.

Gli eventi presentati nel volume inducono a chiedersi il motivo di tanta ostilità al celibato sacerdotale e, commenta Pioppi, «senza dubbio la risposta va cercata nella frase di Montesquieu: “il celibato del clero è una delle cause tra le più importanti del prestigio della Chiesa Cattolica tra la popolazione”; per distruggere tale prestigio fu dunque necessario costringere gli ecclesiastici a prender moglie».



Marcos Arroyo (a cura di) Il celibato sacerdotale - Teologia e vita Editore Edusc Roma 2012 pp. 306

Vatican Insider   28 novembre 2012

Benedetto XVI: per comunicare la fede ci vuole familiarità con Dio







BENEDETTO XVI  UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI  Mercoledì, 28 novembre 2012


L'Anno della fede. Come parlare di Dio?

Cari fratelli e sorelle,

La domanda centrale che oggi ci poniamo è la seguente: come parlare di Dio nel nostro tempo? Come comunicare il Vangelo, per aprire strade alla sua verità salvifica nei cuori spesso chiusi dei nostri contemporanei e nelle loro menti talvolta distratte dai tanti bagliori della società? Gesù stesso, ci dicono gli Evangelisti, nell’annunciare il Regno di Dio si è interrogato su questo: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?» (Mc 4,30).

Come parlare di Dio oggi? La prima risposta è che noi possiamo parlare di Dio, perché Egli ha parlato con noi. La prima condizione del parlare di Dio è quindi l’ascolto di quanto ha detto Dio stesso. Dio ha parlato con noi! Dio non è quindi una ipotesi lontana sull’origine del mondo; non è una intelligenza matematica molto lontana da noi. Dio si interessa a noi, ci ama, è entrato personalmente nella realtà della nostra storia, si è autocomunicato fino ad incarnarsi. Quindi, Dio è una realtà della nostra vita, è così grande che ha anche tempo per noi, si occupa di noi. In Gesù di Nazaret noi incontriamo il volto di Dio, che è sceso dal suo Cielo per immergersi nel mondo degli uomini, nel nostro mondo, ed insegnare l’«arte di vivere», la strada della felicità; per liberarci dal peccato e renderci figli di Dio (cfrEf 1,5; Rm 8,14). Gesù è venuto per salvarci e mostrarci la vita buona del Vangelo.

Parlare di Dio vuol dire anzitutto avere ben chiaro ciò che dobbiamo portare agli uomini e alle donne del nostro tempo: non un Dio astratto, una ipotesi, ma un Dio concreto, un Dio che esiste, che è entrato nella storia ed è presente nella storia; il Dio di Gesù Cristo come risposta alla domanda fondamentale del perché e del come vivere. Per questo, parlare di Dio richiede una familiarità con Gesù e il suo Vangelo, suppone una nostra personale e reale conoscenza di Dio e una forte passione per il suo progetto di salvezza, senza cedere alla tentazione del successo, ma seguendo il metodo di Dio stesso.

Il metodo di Dio è quello dell’umiltà – Dio si fa uno di noi – è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazaret e nella grotta di Betlemme, quello della parabola del granellino di senape. Occorre non temere l’umiltà dei piccoli passi e confidare nel lievito che penetra nella pasta e lentamente la fa crescere (cfr Mt 13,33). Nel parlare di Dio, nell’opera di evangelizzazione, sotto la guida dello Spirito Santo, è necessario un recupero di semplicità, un ritornare all’essenziale dell’annuncio: la Buona Notizia di un Dio che è reale e concreto, un Dio che si interessa di noi, un Dio-Amore che si fa vicino a noi in Gesù Cristo fino alla Croce e che nella Risurrezione ci dona la speranza e ci apre ad una vita che non ha fine, la vita eterna, la vita vera.

 Quell’eccezionale comunicatore che fu l’apostolo Paolo ci offre una lezione che va proprio al centro della fede del problema “come parlare di Dio” con grande semplicità. Nella Prima Lettera ai Corinzi scrive: «Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (2,1-2).

Quindi la prima realtà è che Paolo non parla di una filosofia che lui ha sviluppato, non parla di idee che ha trovato altrove o inventato, ma parla di una realtà della sua vita, parla del Dio che è entrato nella sua vita, parla di un Dio reale che vive, ha parlato con lui e parlerà con noi, parla del Cristo crocifisso e risorto.

La seconda realtà è che Paolo non cerca se stesso, non vuole crearsi una squadra di ammiratori, non vuole entrare nella storia come capo di una scuola di grandi conoscenze, non cerca se stesso, ma San Paolo annuncia Cristo e vuole guadagnare le persone per il Dio vero e reale. Paolo parla solo con il desiderio di voler predicare quello che è entrato nella sua vita e che è la vera vita, che lo ha conquistato sulla via di Damasco.

Quindi, parlare di Dio vuol dire dare spazio a Colui che ce lo fa conoscere, che ci rivela il suo volto di amore; vuol dire espropriare il proprio io offrendolo a Cristo, nella consapevolezza che non siamo noi a poter guadagnare gli altri a Dio, ma dobbiamo attenderli da Dio stesso, invocarli da Lui. Il parlare di Dio nasce quindi dall’ascolto, dalla nostra conoscenza di Dio che si realizza nella familiarità con Lui, nella vita della preghiera e secondo i Comandamenti.

Comunicare la fede, per san Paolo, non significa portare se stesso, ma dire apertamente e pubblicamente quello che ha visto e sentito nell’incontro con Cristo, quanto ha sperimentato nella sua esistenza ormai trasformata da quell’incontro: è portare quel Gesù che sente presente in sé ed è diventato il vero orientamento della sua vita, per far capire a tutti che Egli è necessario per il mondo ed è decisivo per la libertà di ogni uomo. L’Apostolo non si accontenta di proclamare delle parole, ma coinvolge tutta la propria esistenza nella grande opera della fede.

Per parlare di Dio, bisogna fargli spazio, nella fiducia che è Lui che agisce nella nostra debolezza: fargli spazio senza paura, con semplicità e gioia, nella convinzione profonda che quanto più mettiamo al centro Lui e non noi, tanto più la nostra comunicazione sarà fruttuosa. E questo vale anche per le comunità cristiane: esse sono chiamate a mostrare l’azione trasformante della grazia di Dio, superando individualismi, chiusure, egoismi, indifferenza e vivendo nei rapporti quotidiani l’amore di Dio. Domandiamoci se sono veramente così le nostre comunità. Dobbiamo metterci in moto per divenire sempre e realmente così, annunciatori di Cristo e non di noi stessi.

A questo punto dobbiamo domandarci come comunicava Gesù stesso. Gesù nella sua unicità parla del suo Padre - Abbà - e del Regno di Dio, con lo sguardo pieno di compassione per i disagi e le difficoltà dell’esistenza umana. Parla con grande realismo e, direi, l’essenziale dell’annuncio di Gesù è che rende trasparente il mondo e la nostra vita vale per Dio.

Gesù mostra che nel mondo e nella creazione traspare il volto di Dio e ci mostra come nelle storie quotidiane della nostra vita Dio è presente. Sia nelle parabole della natura, il grano di senapa, il campo con diversi semi, o nella vita nostra, pensiamo alla parabola del figlio prodigo, di Lazzaro e ad altre parabole di Gesù. Dai Vangeli noi vediamo come Gesù si interessa di ogni situazione umana che incontra, si immerge nella realtà degli uomini e delle donne del suo tempo, con una fiducia piena nell’aiuto del Padre. E che realmente in questa storia, nascostamente, Dio è presente e se siamo attenti possiamo incontrarlo. E i discepoli, che vivono con Gesù, le folle che lo incontrano, vedono la sua reazione ai problemi più disparati, vedono come parla, come si comporta; vedono in Lui l’azione dello Spirito Santo, l’azione di Dio. In Lui annuncio e vita si intrecciano: Gesù agisce e insegna, partendo sempre da un intimo rapporto con Dio Padre.

Questo stile diventa un’indicazione essenziale per noi cristiani: il nostro modo di vivere nella fede e nella carità diventa un parlare di Dio nell’oggi, perché mostra con un’esistenza vissuta in Cristo la credibilità, il realismo di quello che diciamo con le parole, che non sono solo parole, ma mostrano la realtà, la vera realtà. E in questo dobbiamo essere attenti a cogliere i segni dei tempi nella nostra epoca, ad individuare cioè le potenzialità, i desideri, gli ostacoli che si incontrano nella cultura attuale, in particolare il desiderio di autenticità, l’anelito alla trascendenza, la sensibilità per la salvaguardia del creato, e comunicare senza timore la risposta che offre la fede in Dio. L’Anno della fede è occasione per scoprire, con la fantasia animata dallo Spirito Santo, nuovi percorsi a livello personale e comunitario, affinché in ogni luogo la forza del Vangelo sia sapienza di vita e orientamento dell’esistenza.

Anche nel nostro tempo, un luogo privilegiato per parlare di Dio è la famiglia, la prima scuola per comunicare la fede alle nuove generazioni. Il Concilio Vaticano II parla dei genitori come dei primi messaggeri di Dio (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 11; Decr. Apostolicam actuositatem, 11), chiamati a riscoprire questa loro missione, assumendosi la responsabilità nell’educare, nell’aprire le coscienze dei piccoli all’amore di Dio come un servizio fondamentale alla loro vita, nell’essere i primi catechisti e maestri della fede per i loro figli.

E in questo compito è importante anzitutto la vigilanza, che significa saper cogliere le occasioni favorevoli per introdurre in famiglia il discorso di fede e per far maturare una riflessione critica rispetto ai numerosi condizionamenti a cui sono sottoposti i figli. Questa attenzione dei genitori è anche sensibilità nel recepire le possibili domande religiose presenti nell’animo dei figli, a volte evidenti, a volte nascoste.

Poi, la gioia: la comunicazione della fede deve sempre avere una tonalità di gioia. E’ la gioia pasquale, che non tace o nasconde le realtà del dolore, della sofferenza, della fatica, della difficoltà, dell’incomprensione e della stessa morte, ma sa offrire i criteri per interpretare tutto nella prospettiva della speranza cristiana. La vita buona del Vangelo è proprio questo sguardo nuovo, questa capacità di vedere con gli occhi stessi di Dio ogni situazione. È importante aiutare tutti i membri della famiglia a comprendere che la fede non è un peso, ma una fonte di gioia profonda, è percepire l’azione di Dio, riconoscere la presenza del bene, che non fa rumore; ed offre orientamenti preziosi per vivere bene la propria esistenza.

 Infine, la capacità di ascolto e di dialogo: la famiglia deve essere un ambiente in cui si impara a stare insieme, a ricomporre i contrasti nel dialogo reciproco, che è fatto di ascolto e di parola, a comprendersi e ad amarsi, per essere un segno, l’uno per l’altro, dell’amore misericordioso di Dio.

Parlare di Dio, quindi, vuol dire far comprendere con la parola e con la vita che Dio non è il concorrente della nostra esistenza, ma piuttosto ne è il vero garante, il garante della grandezza della persona umana. Così ritorniamo all’inizio: parlare di Dio è comunicare, con forza e semplicità, con la parola e con la vita, ciò che è essenziale: il Dio di Gesù Cristo, quel Dio che ci ha mostrato un amore così grande da incarnarsi, morire e risorgere per noi; quel Dio che chiede di seguirlo e lasciarsi trasformare dal suo immenso amore per rinnovare la nostra vita e le nostre relazioni; quel Dio che ci ha donato la Chiesa, per camminare insieme e, attraverso la Parola e i Sacramenti, rinnovare l’intera Città degli uomini, affinché possa diventare Città di Dio.

Vatican.va


martedì 27 novembre 2012

Il diavolo fa le pentole... ma non le monete. La Slovacchia rivuole le aureole dei suoi santi





Ricordate la notizia di qualche giorno fa, a proposito della incomprensibile richiesta di qualche euroburocrate allergico ai cristiani di cancellare i "simboli religiosi" dalle monete slovacche per la commemorazione dei Santi Cirillo e Metodio? 
Bene, pare ora che a seguito delle proteste levatesi da parecchi parti, in prima fila le Chiese, ecco la marcia indietro della Banca centrale Slovacca (che pure si era prima piegata), e ora sostiene la richiesta ufficiale di mantenere il disegno originale, aureole e crocette comprese. Così oggi il SIR ha dato la notizia in italiano:
(Sir Europa - Bratislava) - Il non voler rappresentare i santi Cirillo e Metodio con i simboli religiosi che li caratterizzano è una mancanza di rispetto nei confronti degli abitanti della Slovacchia e dei valori cristiani. Per questo motivo la Conferenza episcopale slovacca accoglie con favore il fatto che la Banca centrale slovacca abbia cambiato la sua intenzione a riguardo e che il design recentemente approvato della moneta commemorativa rispetti ora le radici cristiane della nazione. Secondo Anton Ziolkovský, segretario esecutivo della Conferenza episcopale, non si possono separare i santi Cirillo e Metodio dalla loro missione: “Ringraziamo tutti coloro che, con il loro sostegno, hanno contribuito a questo cambio e speriamo che le nostre legittime motivazioni siano ora rispettate anche dalla Commissione europea (Ce)”. Il design originario della moneta commemorativa, che sarà emessa in occasione del 1150° anniversario dell’arrivo dei fratelli di Tessalonica nella regione della Grande Moravia, era stato respinto dalla Ce e da diversi Stati membri che avevano chiesto di eliminare l’aureola e le croci dai vestiti. La Banca centrale slovacca, che aveva inizialmente assecondato la richiesta, dopo le proteste giunte dalla Chiesa cattolica, da diverse istituzioni e da eminenti figure della vita sociale e politica slovacca, ha infine deciso di insistere sul design originario mantenendo i simboli religiosi.





A volte far sentire le esigenze delle maggioranze silenziose (e cristiane) calpestate e vilipese è davvero necessario. E adesso prepariamoci alle immancabili polemiche natalizie su: presepi a scuola sì o presepi no...


Testo preso da: Cantuale Antonianum  27 novembre 2012

Paolo VI e la fede del popolo







di Andrea Tornielli

Erano passati solo cinque anni dalla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, e Papa Paolo VI pubblicava l’esortazione apostolica «Quinque iam anni» (8 dicembre 1970), intervenendo con chiarezza nel travaglio vissuto dalla Chiesa nel post-concilio. Colpisce come già allora, il Papa del dialogo con il mondo evidenziasse con estrema chiarezza la tendenza a mettere in discussione l’essenziale della federichiamando il dovere dei vescovi a difendere la fede dei semplici. Ve ne propongo alcuni brani.

«Molti fedeli sono turbati nella loro fede da un cumulo di ambiguità, d’incertezze e di dubbi che la toccano in quel che essa ha di essenziale. Tali sono i dogmi trinitario e cristologico, il mistero dell’Eucaristia e della presenza reale, la Chiesa come istituzione di salvezza, il ministero sacerdotale in mezzo al popolo di Dio, il valore della preghiera e dei sacramenti, le esigenze morali riguardanti, ad esempio, l’indissolubilità del matrimonio o il rispetto della vita umana. Anzi, si arriva a tal punto da mettere in discussione anche l’autorità divina della Scrittura, in nome di una radicale demitizzazione. Mentre il silenzio avvolge a poco a poco alcuni misteri fondamentali del cristianesimo, vediamo delinearsi una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un cristianesimo avulso dalla Tradizione ininterrotta che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi religiosi».


«Eccoci allora chiamati – noi tutti che abbiamo ricevuto, con l’imposizione delle mani, la responsabilità di conservare puro e integro il deposito della fede e la missione di annunciare incessantemente il Vangelo – a offrire la testimonianza della nostra comune obbedienza al Signore. Per il popolo, che ci è stato affidato, è diritto imprescrittibile e sacro il ricevere la parola di Dio, tutta la parola di Dio, di cui la Chiesa non ha cessato di acquistare una sempre più profonda comprensione. Per noi è grave e urgente dovere di annunciargliela instancabilmente, perché esso cresca nella fede e nella intelligenza del messaggio cristiano e dia testimonianza, con tutta la sua vita, della salvezza in Gesù Cristo».
«Nell’attuale crisi che investe il linguaggio e il pensiero, spetta a ciascun Vescovo nella propria Diocesi, a ciascun Sinodo, a ciascuna Conferenza Episcopale curare attentamente che questo sforzo necessario non tradisca mai la verità e la continuità della dottrina della fede. Bisogna segnatamente vigilare affinché una scelta arbitraria non coarti il disegno di Dio entro le nostre umane vedute, e non limiti l’annuncio della sua Parola a quel che le nostre orecchie amano ascoltare, escludendo, secondo criteri puramente naturali, quel che non è di gradimento ai gusti odierni. “Ma anche se noi – ci previene l’apostolo Paolo – o anche un angelo del Cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che noi vi abbiamo annunciato, sia anatema” (Gal. 1, 8)».

«Infatti, non siamo noi i giudici della parola di Dio: è essa che ci giudica e che mette in luce il nostro conformismo alla moda del mondo. “Le manchevolezze dei cristiani, anche di coloro che hanno la missione di predicare, non saranno mai nella Chiesa un motivo per attenuare il carattere assoluto della parola. Il filo tagliente della spada (Cfr. Hebr. 4, 12; Apoc. 1, 16; 2, 16) non potrà mai essere smussato. Essa mai potrà parlare della santità, della verginità, della povertà e dell’obbedienza diversamente da Cristo” (Hans Urs von Balthasar, Das Ganze im Fragment, Einsiedeln, Benziger, 1963, p. 296).

Lo ricordiamo di passaggio: se le inchieste sociologiche ci sono utili per meglio conoscere la mentalità dell’ambiente, le preoccupazioni e le necessità di coloro ai quali annunciamo la parola di Dio, come pure le resistenze che le oppone l’umana ragione nell’età moderna, con l’idea largamente diffusa che non esisterebbe, fuori della scienza, alcuna forma legittima di sapere, le conclusioni di tali inchieste non potrebbero costituire di per se stesse un criterio determinante di verità».

«All’indomani di un Concilio, che è stato preparato con le migliori conquiste della scienza biblica e teologica, un considerevole lavoro resta da compiere, specialmente per approfondire la teologia della Chiesa e per elaborare un’antropologia cristiana adeguata allo sviluppo delle scienze umane e alle questioni che esse pongono all’intelligenza dei credenti. Chi di noi non riconosce, con l’importanza di questo lavoro, le sue esigenze e non ne comprende le inevitabili incertezze? Ma, dinanzi alla rovina che causa oggi nel popolo cristiano la divulgazione di ipotesi avventate o di opinioni che turbano la fede, noi abbiamo il dovere di ricordare con il Concilio che la vera teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione (Cfr. Dei verbum, 24; A.A.S., LVIII (1966), p. 828)».

«Non ci riduca al silenzio, Fratelli carissimi, il timore delle critiche sempre possibili e a volte fondate. Per quanto necessaria la funzione dei teologi, non ai sapienti però Dio ha affidato la missione di interpretare autenticamente la fede della Chiesa: questa s’innesta nella vita di un popolo, di cui responsabili dinanzi a Dio sono i Vescovi. Tocca appunto a loro di annunciare a questo popolo quel che Dio gli domanda di credere».



andreatornielli.it  27 novembre 2012


Il Sacramento della confessione





NON DIRE MAI

- Io non mi confesso, perché non ho nulla da dire al Confessore. Io non ho peccati, perché non ammazzo, non rubo e non faccio male a nessuno. La Parola di Dio ci dice: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la veri­tà non è in noi. E se diciamo che non abbiamo peccato facciamo di Gesù un bugiardo e la sua parola non è in noi" (1 Gv 1, 8-10).
Padre Pio è stato un grandissimo Santo, che ha portato sul suo corpo per ben 50 anni le stimma­te di Gesù. Ebbene egli si confessava ogni gior­no! Tu pensi forse di essere più santo di lui, dato che non ti confessi mai?...
- Io andare dal prete a fargli sapere i fatti miei? Mai!
Per la salute del corpo tu non riveli al medico le miserie del tuo corpo e quanto c'è di più delica­to? Eppure il tuo corpo diventerà polvere... E perché non vuoi fare altrettanto col medico della tua anima, il Sacerdote che è Ministro di Dio? E qui si tratta della salvezza o della perdizione eterna!
Pensaci...

COS’E’ LA CONFESSIONE?

- É il Sangue di Cristo che lava le anime!
- "La sconfitta più grande che ci ha inflitto Dio è il sacramento della Confessione, perché se un'anima in peccato mortale ci appartiene, con una confessione ben fatta, subito ci viene strap­pata!" (Il Demonio a San Nicola di Flue).
Il Demonio ha terrore della confessione, quindi fa di tutto per non farci confessare o per farci confessare male. Questo è il punto debole del Demonio ed è lì che dobbiamo attaccarlo! Per questo la Madonna ha detto:
"Cari figli, confessatevi spesso e confessatevi bene!"

PER CONFESSARSI BENE

Quando Gesù scese dal monte, un lebbroso gli si prostrò ai piedi dicendo: "Signore, se tu vuoi puoi guarirmi". E Gesù, stesa la mano, lo toccò e disse: "Lo voglio, sii sanato". E subito fu guarito dalla sua lebbra. Poi Gesù disse al mira­colato di presentarsi al sacerdote e di fare l'offer­ta per la sua purificazione, secondo la legge di Mosè (Mt 8, 1-4). La lebbra è figura del peccato. Il lebbroso è il peccatore che ha bisogno di gua­rire. Come Gesù ordinò al lebbroso guarito di presentarsi al sacerdote, così ha stabilito che l'a­nima resti guarita solo se il ministro di Dio, a cui ci presentiamo, perdona i peccati a nome Suo.
É necessario accostarsi alla Santa Confessione, cioè a Dio, con rispetto, con pre­parazione, con umiltà. Dio così disse a Mosè presso il roveto ardente: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove tu stai, é una terra santa!" (Es 3,5).

l. L'esame di coscienza
Fare l'esame di coscienza significa ricercare diligentemente i peccati commessi dopo l'ultima confessione fatta bene. Questa ricerca deve esse­re fatta evitando ogni fretta e mancanza di atten­zione.

2. Dolore dei peccati
Il dolore dei peccati consiste nel provare grande dolore per le colpe commesse. Il dolore è perfetto se uno sente che ha offeso il Padre che ci ama infinitamente; è imperfetto se nasce dalla paura dei castighi e dell'Inferno. É necessario avere dolore di tutti i peccati, sia di quelli morta­li (detti così perché danno la morte all'anima) sia di quelli veniali (i peccati meno gravi). Molti cre­dono che il dolore si riduce nella breve e veloce recita dell'atto di dolore. Quanto si sbagliano! Padre Pio piangeva a singhiozzi quando uno non provava dolore nella confessione. E con te fareb­be la stessa cosa?

3. Proponimento di non commetterne più
Il proponimento è la volontà decisa a non fare più peccati. Non basta avere una volontà generica di correggersi, ma bisogna essere dispo­sti ad usare tutti i mezzi per evitare i peccati. San Domenico Savio diceva: "Preferisco morire, anziché commettere un solo peccato!". Siamo obbligati a fuggire le occasioni di peccato perché "chi ama il pericolo, in esso perirà" (Sir 3,25).

4. La confessione dei peccati
Consiste nel dire al sacerdote i peccati com­messi per averne l'assoluzione. Alcuni dicono che si confessano a Dio direttamente, ma sba­gliano perché Gesù non ha mai detto di fare così. Ha dato invece agli Apostoli ed ai loro successo­ri il potere divino di perdonare i peccati dicendo: "A chi voi perdonerete i peccati, saranno perdo­nati: a chi non li perdonerete non saranno perdo­nati" (Gv 20, 21-23).
Chi è in peccato grave non deve ricevere la Santa Comunione senza essersi prima confessa­to, anche se ne prova un grande dolore! É il caso di chi fa la Santa Comunione in peccato grave e poi va a confessarsi. É meglio non fare la Santa Comunione anziché farla in peccato!
É vivamente raccomandata la confessione frequente anche delle colpe quotidiane (peccati veniali) perché ci aiuta a formare una retta coscienza cristiana, a lottare contro le cattive inclinazioni, ad avanzare nella vita spirituale. Chi volutamente nasconde un peccato grave, non fa una buona confessione e se fa la Santa Comunione in peccato, ricordi che: "Chi mangia e beve indegnamente il Corpo e Sangue di Cristo, mangia e beve la propria condanna" (1 Cor 11, 29).

5. La soddisfazione o penitenza
Bisogna fare il possibile per riparare le pro­prie colpe. La semplice giustizia umana lo esige. Non basta essere perdonati in confessione, l'ob­bligo della riparazione dura. Come si fa a ripara­re, ad esempio un peccato di aborto? Qui ci vuole un pentimento ed una riparazione che duri tutta una vita!
Se non ripariamo i peccati commessi in que­sta vita, li sconteremo in Purgatorio. Molti cri­stiani lo sottovalutano. Eppure la Madonna di Fatima, a Lucia che le chiese dove si trovava una sua amica morta, rispose: "Non è con me in Paradiso. É in Purgatorio e ci resterà fino atta fine del mondo!".

Prima della Confessione

Cerca un momento tranquillo: mettiti davan­ti al Crocifisso e prega così:
1. Signore Gesù, che sanavi gli infermi e aprivi gli occhi ai ciechi, tu che assolvesti la donna peccatrice e confermasti Pietro nel tuo amore, perdona tutti i miei peccati, e crea in me un cuore nuovo, perché io possa vivere in perfetta unione con i fratelli e annunziare a tutti la salvezza.
"Vi dico: ci sarà più gioia in cielo per un pecca­tore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Le 15,7) Ora alla luce di Dio fà il tuo

Esame di coscienza

2. Da quanto tempo non ti confessi bene? L'ultima volta hai detto tutti i peccati gravi com­messi? - Nelle confessioni passate hai mai nasco­sto volutamente qualche peccato mortale? – Da quanto tempo non ricevi la Comunione? - L'hai fatta sempre bene? - Hai mancato di rispetto al SS. Sacramento accostandoti alla comunione parlando, ridendo, senza preparazione e senza pensare chi stavi per ricevere? - Hai mai profana­to l'Eucarestia commettendo sacrilegio? - Sai vivere con austerità soprattutto nei giorni coman­dati dalla Chiesa? - Fai qualche penitenza il venerdì? - Hai mangiato carne nei venerdì di qua­resima? - Hai fatto digiuno il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo?


IO SONO IL SIGNORE TUO DIO: ...

1. "Non avrai altro Dio fuori di me".
Credi in Dio, Padre, Provvidenza e Salvatore tuo e di tutti gli uomini?
La tua vita è orientata a Dio?
Lo ami come Figlio?
L'hai messo al primo posto tra i valori della tua vita?
Credi nel Padre, Figlio, Spirito Santo?
Preghi mattina e sera?
Vivi le virtù cristiane della fede, speranza e cari­tà?
Consideri la fede come un dono prezioso da coltivare?
Ti impegni a crescere nella fede?
Hai avuto e nutrito dubbi sulla tua religione cat­tolica?
Hai letto libri, articoli, riviste contrarie alla tua fede, a Cristo, alla Chiesa?
Cerchi di conoscere, di studiare e farti spiegare la dottrina della tua santa madre Chiesa?
Hai parlato male della religione, del Papa, dei sacerdoti?
Hai allontanato qualcuno dalla pratica religiosa? Hai partecipato a riti satanici?
Hai aderito a sette eretiche o scismatiche?
Ti sei iscritto a società segrete illegali?
Speri nell'amore di Dio oppure ti scoraggi e disperi davanti alle difficoltà della vita, imprecando e ribellandoti?
Adori vera­mente solo Dio, sentendoti perciò libero da ogni forma di superstizione che blocca la libertà di pensare e di vivere?
Sei superstizioso?
Porti addosso amuleti, portafortuna, oggetti scaraman­tici?
Credi davvero all'oroscopo?
Ti sei lascia­to impressionare e hai "scritto e continuato le famigerate "catene" di S. Antonio o di S. Rita o altre simili stupidità?
Sei andato da indovini, o maghi, chiromanti, fattucchiere?
Hai partecipa­to a sedute spiritiche? Hai cercato di evocare e di entrare in contatto con i morti?
Hai aiutato la Chiesa, sovvenendo alle sua opere (Missioni, Lebbrosi, Seminari, Vocazioni, Orfani, ecc.)?

2. "Non nominare il nome di Dio invano".
Hai rispetto e amore per il nome di Dio e della Madonna?
Hai bestemmiato?
Hai detto affermazioni false o eretiche su Dio, quali per esem­pio: "Dio non fa le cose giuste", "Dio è crudele", "Dio è cattivo", "Dio si diverte alle sofferenze degli uomini", "Dio si dimentica dei buoni", ecc.?
Hai raccontato fatti e barzellette blasfe­me?
Usi un linguaggio volgare, turpe, immon­do (= turpiloquio) indegno di un battezzato?
Hai fatto giuramenti senza necessità?
Hai mantenuto i voti e le promesse fatte?

3. "Ricordati di santificare le feste".
Le 24 ore della domenica e dei giorni festivi costitui­scono "il giorno del Signore": le hai rese sante con la preghiera e facendo opere buone, coltivan­do i valori sacri della vita (famiglia, amicizia, cultura, natura, solidarietà, pace, ecc.)?
Ti sei liberato dalla fatica godendo la libertà di figlio di Dio?
Hai partecipato alla Messa, vivendo un'o­ra insieme agli alti credenti?
Alla Messa ti sei distratto, hai chiacchierato, hai disturbato gli altri? Hai commesso peccati mortali di domeni­ca, disonorando il giorno del Signore?

4. "Onora il padre e la madre".
Hai amato, rispettato, ubbidito, aiutato i genitori, secondo le tue possibilità?
Sei stato gentile e disponibile in famiglia?
In casa collabori e condividi la vita con i tuoi?
Crei serenità, comunione, conversa­zione con gli altri o li fai vivere in solitudine e nel silenzio?
Rispetti gli anziani, le donne, i bambi­ni: i superiori, le autorità?
Ubbidisci con lealtà alle leggi dello Stato?
Capisci il valore di parte­cipare alle votazioni pubbliche?
Hai votato secondo coscienza?
Hai mai venduto il tuo voto per interessi privati?
Paghi con giustizia le tasse?
Ti interessi responsabilmente della vita pubblica della tua comunità civile e religiosa, o hai dato "una delega in bianco" ai tuoi rappre­sentanti?
Ti impegni per l'educazione dei figli?
Vegli sulle loro amicizie, giochi, divertimenti, letture?
Ti senti responsabile della scuola che frequentano?
Dai loro esempio di vera vita cri­stiana?
Preghi insieme a loro in famiglia?

5. "Non uccidere".
Consideri la tua vita come un dono di Dio, del quale tu non sei padrone assoluto?
La rispetti con la moderazione nel cibo, nelle bevande, nel fumo?
Ti concedi il giu­sto riposo?
Fuggi l'alcolismo, la droga?
Hai spacciato droga?
Sei prudente nel guidare la macchina?
Hai messo mai in pericolo la tua vita o quella degli altri?
Hai mai tentato il suicidio?
Hai procurato mutilazioni a te o ad altri?
Hai dato scandalo?
Hai curato opportunamente la salute tua e dei tuoi cari?
Ti sforzi di amare gli altri come te stesso?
Hai fatto agli altri quello che vuoi venga fatto a te?
Coltivi sentimenti di odio, rancore, vendetta?
Sei un prepotente nei tuoi modi di parlare o di agire?
Hai invidia o gelosia verso gli altri?
Rispetti e aiuti chi è più debole nella società: malati, portatori di han­dicap, anziani, bambini, poveri? Hai abusato del potere che la tua posizione sociale ti dà?
hai perdonato le offese ricevute?
Hai fatto, procu­rato, consigliato l'aborto, uno dei peccati più gravi al cospetto di Dio e della Chiesa?
Hai ucciso qualcuno?
Hai mai usato violenza?
Sei stato complice in sequestri di persona?
Hai pla­giato ragazzi o giovani rendendoli schiavi della tua volontà?
Hai calunniato?
Hai dato percos­se, fatto ferite, prodotto malattie a qualcuno?
Hai, conservi, usi armi pericolose o offensive?­ Sei iscritto alla camorra?
Da camorrista hai imposto tangenti, ricatti, taglie a persone inno­centi o a commercianti?
Hai rispettato l'am­biente?
Sei stato crudele con gli animali?
Hai imprecato o augurato il male ad altri?
Nell'affermare le tue idee religiose, culturali, politiche o sportive ti lasci andare al fanatismo?
Se sei medico, per colpevole imperizia, leggerez­za o distrazione hai causato morte o danni ai tuoi pazienti?
Hai praticata l'eutanasia? - Pratichi l'aborto?

6. "Non commetter atti impuri".
Sul corpo, sull'amore, sulla sessualità, sulla castità hai una concezione cristiana?
Hai conservato puro e casto il tuo corpo?
Hai commesso atti disone­sti, osceni, immorali? Ti sei abbandonato alla lussuria, all' autoerotismo, a perversioni sessuali, all'omosessualità?
Hai frequentato orge?
Hai avuto delle "avventure"?
Hai dato scandalo con il tuo modo di vestire, di agire, di parlate?
Sei stato occasione di peccato a qualcuno?
Hai sedotto o rovinato qualche persona innocente?
Hai molestato sessualmente colleghe di lavoro?
Hai conservata la tua fedeltà alla fidanzata o fidanzato?
Hai rapporti prematrimoniali?
Nel matrimonio hai il senso cristiano del sacramento ricevuto?
Hai usato male o abusato del matri­monio?
Ami, rispetti, aiuti con fedeltà e gene­rosità il tuo coniuge?
Eviti le occasioni e le compagnie cattive e pericolose?
Sei fedele a tua moglie (o a tuo marito)?
Convivi con un uomo (o donna) senza essere sposato?
Offendi la dignità del matrimonio con l'uso dei preservativi, pillole anticoncezionali e cose simili?

7. "Non rubare"
Sei convinto della parola del Vangelo: É impossibile per chi è attaccato ai soldi entrare nel Regno di Dio?
Sai che l'avari­zia per la Bibbia è "idolatria", cioè adorazione del danaro al posto di Dio?
Sei usuraio?
Hai prestato soldi con eccessivo interesse, rovinando persone bisognose già in difficoltà?
Sei onesto nel lavoro, nella professione, in ufficio, nel commercio?
Quello che possiedi l'hai guada­gnato onestamente?
Credi di lavorare lealmente in modo da meritare lo stipendio mensile?
Hai preteso regalie, bustarelle, favori non dovuti?
Ti sei lasciato corrompere?
Hai corrotto o tentato di corrompere impiegati pubblici o privati?
Hai perso tempo sul lavoro?
Hai preteso raccoman­dazioni per andare avanti?
hai imposto camorristicamente tangenti?
Sei convinto che la disonestà degli altri non giustifica mai la tua?
Oltre ai tuoi diritti hai mai pensato anche ai tuoi doveri?
Rispetti i diritti degli altri?
Nelle riven­dicazioni, anche giuste, guardi anche il bene comune?
Ti sei assentato dal lavoro senza necessità?
Hai fatto scioperi ingiusti? - Paghi le tasse?
Tu, datore di lavoro, paghi il giusto sti­pendio ai dipendenti?
Sei evasore fiscale?
Hai fatto danni all'ambiente, a monumenti o cose pubbliche, a proprietà private sporcando imbrat­tando o scrivendo con robaccia, rifiuti o spray?
Hai riparato o risarcito i danni fatti?
Hai resti­tuito danaro o altro avuto in prestito?
Ti vendi per ottenere favori o vantaggi?
Hai frodato le compagnie di assicurazioni dichiarando danni falsi e facendoti pagare ingiustamente?
Ti sei sempre assunto le tue responsabilità?
Hai sper­perato danaro o sciupato beni?
Hai fatto giochi d'azzardo?
Sei dedito al gioco, danneggiando la famiglia?
Hai falsificato gli assegni?
Hai spac­ciato coscientemente danaro falso?
Hai acqui­stato merce chiaramente rubata (= ricettazione)?
Hai minacciato qualcuno pretendendo del dena­ro (= ricatto)?
Hai preso merce di nascosto nei grandi magazzini senza pagare?
Hai onorato gli impegni accettati a voce o firmati (= convenzio­ni, contratti, cambiali, accordi, ecc.), anche se legalmente non puoi esservi costretto?

8. "Non dire falsa testimonianza"
Sei falso, sleale, doppio?
Nelle tue parole inganni il prossimo?
Hai detto bugie, menzogne, giudizi avventati?
Hai giurato sulla falsità? Testimoniando hai fatto deposizioni false?
Con un silenzio colpevole hai coperto fatti delittuosi (= omertà)?
Hai messo voci false sul conto di innocenti?
Hai riparato ad eventuali calunnie dette?
Col tuo esempio non hai insegnato a mentire ai tuoi figli?
Sei ostinato nelle tue posi­zioni, anche quando hai capito di aver torto?
Nel gioco hai imbrogliato o barato?
Sai perdere senza farne tragedia?

9. "Non desiderare la donna (o l'uomo) d'al­tri"
Hai custodito la modestia e il pudore nella tua vita e nei tuoi pensieri?
Hai una mente "puli­ta"?
Hai guardato donne (o uomini) con concu­piscenza?
Hai accettato e goduto di pensieri o desideri impuri?
Leggi o vedi giornali, riviste, libri, spettacoli osceni?
Segui e gusti racconti, films, romanzi pornografici?
Contribuisci allo sviluppo e diffusione della pornografia com­prando materiale osceno?
In casa tieni statue oscene, o posters, immagini pornografiche?
Pensi o parli della donna (o dell'uomo) come di solo oggetto di piacere?
Hai dei flirts?
Tu, donna, cerchi con moda sconveniente o con il modo di comportarti di suscitare nell’uomo desideri, eccitamenti cattivi?
Capisci che questo è una violazione morale e uno scandalo?

10. “Non desiderare la roba d’altri”.
Ti lamenti sempre di quello che hai, dicendo: “Beati loro”?
Sei invidioso dei beni e delle cose altrui?
Auguri e godi del male degli altri?
Cerchi di imbrogliare o di danneggiare qualcuno?
Hai commesso intrallazzi?

Atto di dolore

Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi, e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propon­go col tuo santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia, perdo­nami.

Ora via dal sacerdote, ministro di Dio e della Chiesa, e accusa tutto quanto ti ricordi, operando in te una vera “conversione”.
Il perdono di Dio ti viene dato attraverso il ministero del sacerdote, che dice:
“Dio, Padre di Misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, ed ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dei tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio + e dello Spirito Santo.
Fatto il segno della croce, torna al tuo posto e con gioia ringrazia il Signore

Ringraziamento dopo la confessione

Dio onnipotente ed eterno, che mi correggi con giustizia e perdoni con infinita clemenza, ricevi il mio umile ringraziamento. Tu che nella tua provvidenza tutto disponi secondo un disegno di amore, fà che accogliendo in me la grazia del perdono porti frutti di conversio­ne e viva sempre nella tua amicizia. Per Cristo nostro Signore. Amen.

LA SANTA COMUNIONE

Per ricevere bene la S. Comunione, bisogna essere in grazia di Dio, cioè senza peccati mor­tali nell'anima. Si deve ricevere il Signore in stato di Grazia santificante. Chi riceve la S. Comunione in peccato, commette il gravissimo peccato di sacrilegio. Inoltre occorre sapere che nella Santa Comunione, noi riceviamo COLUI che l'Universo non può contenere! É necessario perciò un grande raccoglimento interno ed ester­no: mani giunte, grande fede ed amore, vestiti decorosi.
Infine bisogna essere digiuni da un'ora, prima di ricevere Gesù nell'Ostia Santa. L'acqua naturale non rompe il digiuno, come pure le medicine. Non si devono assolutamente avere in bocca caramelle o gomme da masticare in Chiesa e prima di ricevere la S. Comunione, per­ché si rompe il digiuno. Fatta la S. Comunione, si va - tutti raccolti e con le mani giunte - al proprio posto senza correre. In ginocchio, al nostro posto, facciamo il dovuto ringraziamento a Gesù venuto in noi, con le mani giunte, testa china ed occhi socchiusi, per favorire il necessario e cri­stiano raccoglimento.
É doveroso anche fare la genuflessione davanti a Gesù Sacramentato (la lampada accesa ci dice dov'è) e dire, con fede ed amore: "Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e divinissimo Sacramento!".

Preghiere a Gesù e Maria