sabato 28 ottobre 2017

La sofferenza di Benedetto XVI






scritto da Aldo Maria Valli

L’immagine di Benedetto XVI con una tumefazione sotto l’occhio destro suscita un’infinita tenerezza. La foto, pubblicata su Facebook dal vescovo di Passau Stefan Oster, che ha fatto visita al papa emerito qualche giorno fa, ci mostra Joseph Ratzinger in tutta la fragilità dell’attuale condizione. Benedetto, che ha compiuto novant’anni nell’aprile scorso, appare smagrito, ma ciò che colpisce di più è la sua espressione. Forse mi sbaglio, ma lo sguardo sembra un po’ sperduto e tradisce una sorta di mortificazione, tipica negli anziani in certe circostanze.

Sappiamo che da anni papa Ratzinger vede molto poco dall’occhio sinistro, a causa di una maculopatia, e che deve utilizzare un apparecchio acustico. Tutto ciò certamente non rende facili gli incontri. Tuttavia nell’ex monastero vaticano che è diventata la sua residenza riceve volentieri le visite degli amici e, con la semplicità che gli è propria, non ha rifiutato di lasciarsi fotografare dopo il piccolo incidente, offrendo così un’immagine di sé che è diventata subito cara a tutti coloro che lo pensano e pregano per lui.

In queste ultime fotografie di Benedetto XVI c’è tanta verità. E vedere papa Ratzinger così, indebolito e indifeso, avvolto in una tonaca bianca diventata troppo larga, fa tornare alla mente le parole da lui dedicate alla sofferenza nell’enciclica «Spe salvi» sulla speranza cristiana: «Possiamo cercare di limitare la sofferenza, di lottare contro di essa, ma non possiamo eliminarla» (n. 37).

Poi spiegava: «Proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità, dell’amore, del bene, scivolano in una vita vuota, nella quale forse non esiste quasi più il dolore, ma si ha tanto maggiormente l’oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine. Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore» (n. 37).

Più avanti Benedetto, con la tipica lucidità, puntava l’attenzione sulle implicazioni sociali della sofferenza e sulla stretta connessione tra accettazione della sofferenza e verità: «La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana. La società, però, non può accettare i sofferenti e sostenerli nella loro sofferenza, se i singoli non sono essi stessi capaci di ciò e, d’altra parte, il singolo non può accettare la sofferenza dell’altro se egli personalmente non riesce a trovare nella sofferenza un senso, un cammino di purificazione e di maturazione, un cammino di speranza. Accettare l’altro che soffre significa, infatti, assumere in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia. Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c’è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell’amore. La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine. Ma anche la capacità di accettare la sofferenza per amore del bene, della verità e della giustizia è costitutiva per la misura dell’umanità, perché se, in definitiva, il mio benessere, la mia incolumità è più importante della verità e della giustizia, allora vige il dominio del più forte; allora regnano la violenza e la menzogna. La verità e la giustizia devono stare al di sopra della mia comodità ed incolumità fisica, altrimenti la mia stessa vita diventa menzogna. E infine, anche il “sì” all’amore è fonte di sofferenza, perché l’amore esige sempre espropriazioni del mio io, nelle quali mi lascio potare e ferire. L’amore non può affatto esistere senza questa rinuncia anche dolorosa a me stesso, altrimenti diventa puro egoismo e, con ciò, annulla se stesso come tale» (n. 39).

L’intera enciclica andrebbe ripercorsa, tale è la sua profondità e tali sono le riflessioni che è in grado di innescare, in controtendenza rispetto al pensiero dominante. Mi limito a un punto che ci aiuta a capire ancora meglio come il novantenne Ratzinger sta vivendo quotidianamente la sua condizione di anziano: «Faceva parte di una forma di devozione, oggi forse meno praticata, ma non molto tempo fa ancora assai diffusa, il pensiero di poter “offrire” le piccole fatiche del quotidiano, che ci colpiscono sempre di nuovo come punzecchiature più o meno fastidiose, conferendo così ad esse un senso. In questa devozione c’erano senz’altro cose esagerate e forse anche malsane, ma bisogna domandarsi se non vi era contenuto in qualche modo qualcosa di essenziale che potrebbe essere di aiuto. Che cosa vuol dire “offrire”? Queste persone erano convinte di poter inserire nel grande com-patire di Cristo le loro piccole fatiche, che entravano così a far parte in qualche modo del tesoro di compassione di cui il genere umano ha bisogno. In questa maniera anche le piccole seccature del quotidiano potrebbero acquistare un senso e contribuire all’economia del bene, dell’amore tra gli uomini. Forse dovremmo davvero chiederci se una tale cosa non potrebbe ridiventare una prospettiva sensata anche per noi» (n. 40).

E sentite che cosa diceva Benedetto XVI nel maggio 2010, durante la visita alla chiesa della Piccola casa della Divina Provvidenza di Torino, meglio nota come Cottolengo, nell’incontro con i malati: «Cari malati, voi svolgete un’opera importante: vivendo le vostre sofferenze in unione con Cristo crocifisso e risorto, partecipate al mistero della sua sofferenza per la salvezza del mondo. Offrendo il nostro dolore a Dio per mezzo di Cristo, noi possiamo collaborare alla vittoria del bene sul male, perché Dio rende feconda la nostra offerta, il nostro atto di amore. Cari fratelli e sorelle, tutti voi che siete qui, ciascuno per la propria parte: non sentitevi estranei al destino del mondo, ma sentitevi tessere preziose di un bellissimo mosaico che Dio, come grande artista, va formando giorno per giorno anche attraverso il vostro contributo. Cristo, che è morto sulla Croce per salvarci, si è lasciato inchiodare perché da quel legno, da quel segno di morte, potesse fiorire la vita in tutto il suo splendore».

Ecco. Possiamo essere sicuri che papa Benedetto sta offrendo le sue sofferenze per il bene dell’umanità e della Chiesa. E così sta collaborando alla vittoria del bene sul male.

Uniamoci a lui.

Aldo Maria Valli



















giovedì 26 ottobre 2017

CAMISASCA: SUMMORUM PONTIFICUM UN DONO ANCHE PER CELEBRARE MEGLIO NELLA FORMA ORDINARIA





Venerdì 13 ottobre, il centenario delle apparizioni della Madonna di Fatima si è solennemente chiuso a Correggio (Reggio Emilia), presso il santuario della Madonna della Rosa, con la Messa nella forma straordinaria del Rito Romano celebrata dal vescovo Massimo Camisasca. Riportiamo di seguito l’omelia.



Cari fratelli e sorelle perché il vescovo è venuto qui? Vorrei iniziare subito rispondendo a questa domanda.

Perché voi siete miei figli e il pastore deve essere pastore di tutte le sue pecore. Ciascuna secondo il suo dono e secondo la sua storia. Tutti coloro che sono dentro il nostro gregge hanno il diritto di essere seguiti aiutati corretti e amati dal vescovo e perciò ho desiderato venire qui proprio per questa ragione.

La seconda ragione è inerente alla celebrazione della Forma Straordinaria della messa: io sono profondamente convinto che l’intuizione di Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum non fosse contro la Messa di Paolo VI, ma a favore di essa e cioè in modo che le due celebrazioni, le due forme diverse di celebrazione, potessero aiutarsi a vicenda. In particolare che il silenzio e la sacralità che accompagnano questa celebrazione nel cosiddetto “Rito antico” possano aiutare tutti noi presbiteri che celebriamo la Santa Messa secondo la Forma ordinaria del messale di Paolo VI a custodire sempre il gusto del silenzio, della meditazione e dell’essere davanti a Dio, che deve connotare ogni celebrazione eucaristica.

Se mi chiedete personalmente che cosa, penso che sia stato un bene per la Chiesa la traduzione nelle lingue moderne della Celebrazione eucaristica; penso nello stesso tempo che sarebbe stato un bene custodire anche il latino all’interno della Messa nel prefatio, nel Canone o in alcune celebrazioni.

Oggi mi sono anche divertito: leggendo dei blog, non li leggo mai, li ritengo una perdita di tempo ma mi sono divertito. I miei segretari mi hanno fotocopiato dei blog, mi sono divertito. Vabbè, non dico altro, altrimenti uno non ha che da farsi il sangue amaro, che è una cosa negativa, allora, bene, prendiamo le distanze. A me le letture politiche delle vicende ecclesiali non interessano, a me interessa la Chiesa, interessano i miei figli, interessa aiutare ciascuno nella situazione in cui è secondo la sensibilità che ha e anche le necessità di correzione.

Quello che vi supplico è di portare tutta la vostra sensibilità e la vostra storia nella edificazione nella comunione ecclesiale nella Chiesa.

Una Chiesa che vive lacerazioni, polarizzazioni che possono nascondere quello che è invece il valore centrale della sua realtà: la comunione trinitaria del Dio vivente.

Vorrei riferirmi in questo giorno benedetto, il 13 ottobre, a lei, a Maria, alla madre delle grazie che abbiamo sentito nel libro della Sapienza chiamata con una espressione tornata molto nei testi della Chiesa dopo Giovanni Paolo II: madre dell’amore bello.

Che cos’è questo amore bello?

Anzitutto è madre dell’amore, questo è l’importante compito di Maria: continuare ad essere generativa, la sua generazione non si è concluda con la generazione di Cristo ma continua ogni giorno nella generazione della Chiesa. Lo avete sentito: “Donna ecco tuo figlio”.

Assieme a Gesù nato dal suo ventre c’è il figlio Giovanni, nato dal cuore di Maria che ha ottenuto la figliolanza di uomo a Maria. Dunque Maria non smette mai di generare, è madre dell’amore perché essa genera figli di Dio cioè genera uomini e donne che mette sulla strada del riconoscimento della loro creaturalità.

Ciascuno di noi è aiutato da Maria a camminare verso la scoperta di essere creatura, perciò figlio e figlia di Dio, perciò destinato in comunione con lui.

Ma come è difficile questo cammino.

Senza Cristo l’amore tende a diventare possesso, prevaricazione, si copre di belle parole di belle intenzioni ma diventa violenza. Solo con Cristo che purifica il nostro cuore e che ci rende simili a lui è capace di essere un amore che non pretende nulla, ma che tutto desidera spendersi.

Ecco: madre del bell’amore è la cosa di cui più abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di sapere che c’è una madre e che non siamo soli, che siamo amati, abbiamo bisogno di sapere e sperimentare che questa madre è una forza in noi di conversione della nostra esistenza, un cambiamento del nostro cuore, la forza ci rende capaci di amare.

Sapendoci amati da lei diventiamo capaci di amare. Come e grande come è bella la vita cristiana che nella sua semplicità porta a noi ciò che è essenziale: la capacità di amare, perdonare, vivere in comunione, di essere famiglia di Dio e permette alle nostre famiglie di rinascere continuamente di rinascere e donarsi.

Che cosa voglio augurarvi? Ecco anzitutto di imparare il silenzio, la liturgia celebrata secondo questa forma ci introduce nel silenzio, ma attenti: il silenzio non è mai un automatismo, se noi partecipiamo a questa liturgia come a un rito esteriore non impareremo il silenzio perché il silenzio è un dialogo con Dio, il silenzio è qualche cosa che è chiamato a vivere dentro tutta la nostra giornata.

La prima cosa dunque è che la partecipazione a questa Messa ci aiuti a un silenzio vero, pieno di adorazione, e nello stesso tempo la profondità di questa adorazione deve spingerci ad essere testimoni di Cristo in mezzo agli uomini e alle donne della nostra vita. Cristo ci chiama e ci sceglie per mandarci, per dare la testimonianza del nostro volto gioioso, di coloro che sono corsi al sepolcro e hanno trovato la pietra rotolata e hanno sentito l’angelo che diceva: non è morto, è vivo è colui che attendevate e che adesso si manifesta pienamente nella vostra vita. Essere suoi testimoni, il Signore vi ha scelto per questo, per essere suoi testimoni.

Chiedete a lui ogni giorno la gioia e la forza della testimonianza, soprattutto con la vostra leggerezza di vita con la capacità di attraversare anche le difficoltà con la fede che fa dire: sì ma Dio c’è, è qui mi prende per mano, non mi lascia solo, mi accompagna lo riconosco.

Cari fratelli e sorelle preghiamo gli per gli altri e pregate per il vescovo perché il suo ministero in questa diocesi possa essere sempre pieno di gioia e sappia attraversare con passo leggero le difficoltà e sappia perdonare, esprimere affetto dovunque a ogni cuore che lo cerca, a ogni baratro che si apre nell’umano, sappia essere un braccio, una mano, un piede che porta agli altri uomini e alle altre donne non solo la notizia che Gesù è risolto, ma la sua presenza sacramentale che è efficace.


Massimo Camisasca +














Dalla Polonia il Cardinal Sarah denuncia la "tranquilla apostasia" dell'Europa





Marco Tosatti (26-10-2017)

Il cardinale Robert Sarah ha partecipato nei giorni scorsi al Congresso Internazionale organizzato a Varsavia dal Movimento Europa Christi, nell’Università intitolata al cardinale Stefan Wyszyìnski, e a cui hanno presenziato esponenti della politica, della cultura e della Chiesa. Il porporato ha svolto il suo intervento partendo da quella che ha chiamato “un’inedita crisi di civiltà”, affermando che “L’Europa, costruita sulla fede in Cristo, è ora in un periodo di tranquilla apostasia”.

Il cardinale guineano ha trattato del problema dei migranti, e dei rifugiati; e ha affermato che i leader mondiali non possono mettere in questione “Il diritto che ogni nazione ha di fare una distinzione fra un rifugiato politico o religioso”, che è obbligato a lasciare la sua terra, e “i migranti economici che vogliono cambiare il loro luogo di residenza” senza adattarsi alla nuova cultura in cui si trovano. “L’ideologia dell’individualismo liberale promuove una miscela che è destinata a erodere i confini naturali delle patrie e le culture, e conduce a un mondo post-nazionale e unidimensionale dove l’unica cosa che conta sono il consumo e la produzione. Ma questa direzione di sviluppo è inaccettabile”.

Il porporato ha elogiato la Polonia: “Oggi la Polonia mostra la strada, quando nega un’obbedienza automatica alle richieste che scaturiscono dall’esterno, dalla globalizzazione liberale”. Sarah ha affermato che è vero che “ogni immigrato è un essere umano e va rispettato, ma non bisogna dimenticare il rapporto integrale dei diritti umani e dei doveri. Così un immigrato, proveniente da un’altra cultura o ambiente religioso, non può aspettarsi la relativizzazione del bene comune della nazione in cui si reca”. Il cardinale ha ricordato che “Tutti hanno il diritto di rimanere nella propria patria”. Gli Stati europei sono in gran parte responsabili della destabilizzazione del Medio Oriente. “Questo ha costretto le persone a fuggire. Accettare tutti in Europa non è una soluzione ai problemi di queste regioni lacerate dalla guerra”.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ha detto il porporato, sembrava che l’Europa stesse per iniziare un nuovo periodo positivo, dopo che molte nazioni aveva riacquistato libertà e democrazia. “Tuttavia l’Unione Europea ha scelto di non fare ricorso alle radici cristiane della civiltà europea. Così ha cominciato a costruire le proprie istituzioni non su valori, ma su astrazioni, come il mercato libero, l’eguaglianza degli individui e i diritti umani individualistici. Questo è stato un grande errore, perché tutte le leggi dovrebbero basarsi sul concetto di dignità umana. È solo Dio la fonte dei valori che danno l’essenza dell’uomo e che devono essere irrinunciabili”.

L’Unione Europea pensa che le radici cristiane possano essere sostituite da un “Nuovo Umanesimo”, indipendente dalla religione. “Ma in questo modo la UE ha perso la verità storica sulle fonti della civiltà europea, di cui questo continente è stata la culla. La fonte di ogni male è il taglio volontario da Dio. E l’Europa costruita sulla fede in Cristo, tagliata fuori dalle sue radici cristiane, è ora in un periodo di tranquilla apostasia”.

Questa crisi spirituale “porta a una grave crisi antropologica. Una delle sue conseguenze è la distruzione sistematica della famiglia. Con la scusa della lotta contro la discriminazione, alcuni vogliono offuscare la differenza fra la famiglia e le unioni omosessuali, la promozione di una vasta gamma di modelli non basati sull’unione permanente di un uomo e di una donna. L’Europa non sarà più se stessa se la cellula base della famiglia sarà scomparsa, o trasformata in qualcosa di diverso”.

L’apostasia che l’Europa sta vivendo non può essere senza conseguenze, “e l’umanesimo non deve diventare un’ideologia del male”. Sarah ha ricordato come Giovanni Paolo II abbia considerato nello stesso modo totalitarismo e nichilismo. Il cristianesimo ha creato una fonte di cultura in Polonia: “Grazie a questo la Polonia, che ha affrontato eroicamente nella sua storia diverse ideologie del male, ora ha la forza di affrontare le nuove sfide antropologiche e morali. L’anima polacca ha in sé la forza per resistere alle sirene del nuovo messianismo ateo”; se sarà fedele alle sue promesse battesimali. Perciò “La Polonia deve essere la sentinella dell’Europa, per avvertire l’Europa dei pericoli che derivano dall’apostasia silenziosa”.

















martedì 24 ottobre 2017

«Quella di Lutero? Non fu riforma ma rivoluzione»







di Gerhard Ludwig Müller

C’è grande confusione oggi nel parlare di Lutero, e bisogna dire chiaramente che dal punto di vista della teologia dogmatica, dal punto di vista della dottrina della Chiesa non fu affatto una riforma, ma una rivoluzione, cioè otale dei fondun cambiamento tamenti della fede cattolica. Non è realistico sostenere che la sua intenzione fosse solo di lottare contro alcuni abusi delle indulgenze o contro i peccati della Chiesa rinascimentale. Abusi e azioni cattive sono sempre esistite nella Chiesa, non solo nel Rinascimento, e anche oggi ci sono. Siamo la Chiesa santa a causa della Grazia di Dio e dei sacramenti, ma tutti gli uomini di Chiesa sono peccatori, tutti hanno bisogno del perdono, della contrizione, della penitenza.

Questa distinzione è molto importante. E nel libro scritto da Lutero nel 1520, “De captivitate Babylonica ecclesiae”, appare assolutamente chiaro che Lutero ha lasciato dietro di sé tutti i principi della fede cattolica, della Sacra Scrittura, della Tradizione apostolica, del magistero del Papa e dei Concili, dell’episcopato. In questo senso ha stravolto il concetto di sviluppo omogeneo della dottrina cristiana, così come spiegato nel Medioevo, arrivando a negare il sacramento quale segno efficace della grazia che vi è contenuta; ha sostituito questa efficacia oggettiva dei sacramenti con una fede soggettiva. Qui Lutero ha abolito cinque sacramenti, ha anche negato l’Eucarestia: il carattere sacrificale del sacramento dell’Eucarestia, e la reale conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Gesù Cristo. E ancora: ha definito il sacramento dell’ordine episcopale, il sacramento dell’ordine, una invenzione del Papa - definito l’Anticristo - e non parte della Chiesa di Gesù Cristo. Noi diciamo invece che la gerarchia sacramentale, in comunione con il successore di Pietro, è elemento essenziale della Chiesa cattolica, non solo un principio di una organizzazione umana.

Per questo non possiamo accettare che la riforma di Lutero venga definita una riforma della Chiesa in senso cattolico. Quella cattolica è una riforma che è un rinnovamento della fede vissuta nella grazia, nel rinnovamento dei costumi, dell’etica, un rinnovamento spirituale e morale dei cristiani; non una nuova fondazione, una nuova Chiesa.

È perciò inaccettabile affermare che la riforma di Lutero «fu un evento dello Spirito Santo». È il contrario, fu contro lo Spirito Santo. Perché lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conservare la sua continuità tramite il magistero della Chiesa, soprattutto nel servizio del ministero Petrino: su Pietro solo Gesù ha fondata la Sua Chiesa (Mt 16,18) che è «la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» ( 1Tim 3,15). Lo Spirito Santo non contraddice se stesso.

Si sentono tante voci che parlano troppo entusiasticamente di Lutero, non conoscendo esattamente la sua teologia, la sua polemica e gli effetti disastrosi di questo movimento che ha rappresentato la distruzione dell’unità di milioni di cristiani con la Chiesa cattolica. Noi possiamo valutare positivamente la sua buona volontà, la lucida spiegazione dei misteri della fede comune ma non le sue affermazioni contro la fede cattolica, soprattutto per quel che riguarda i sacramenti e la struttura gerarchica-apostolica della Chiesa.

Non è corretto neanche affermare che Lutero aveva inizialmente buone intenzioni, intendendo con ciò che fu poi l’atteggiamento rigido della Chiesa a spingerlo sulla strada sbagliata. Non è vero: Lutero aveva sì intenzione di lottare contro il commercio delle indulgenze, ma l’obiettivo non era l’indulgenza come tale ma in quanto elemento del sacramento della penitenza.

Non è neanche vero che la Chiesa abbia rifiutato il dialogo: Lutero ebbe prima una disputa con Giovanni Eck, poi il Papa inviò come legato il cardinale Gaetano per dialogare con lui. Si può discutere sulle modalità ma quando si tratta della sostanza della dottrina, si deve affermare che l’autorità della Chiesa non ha commesso errori. Altrimenti si deve sostenere che la Chiesa ha insegnato per mille anni errori nella fede, quando sappiamo – e questo è elemento essenziale della dottrina – che la Chiesa non può errare nella trasmissione della salvezza nei sacramenti.

Non si deve confondere sbagli personali, i peccati delle persone della Chiesa con errori nella dottrina e nei sacramenti. Chi lo fa crede che la Chiesa sia solo una organizzazione fatta di uomini e nega il principio che Gesù stesso ha fondato la sua Chiesa e la protegge nella trasmissione della fede e della Grazia nei sacramenti tramite lo Spirito Santo. La Sua Chiesa non è un’organizzazione solo umana: è il corpo di Cristo, dove c’è la infallibilità del Concilio e del Papa in modalità precisamente descritte. Tutti i concili parlano della infallibilità del magistero, nella proposizione della fede cattolica. Nella confusione odierna in tanti sono arrivati invece a capovolgere la realtà: ritengono il papa infallibile quando parla privatamente, ma poi quando i papi di tutta la storia hanno proposto la fede cattolica dicono che è fallibile.

Certo, sono passati 500 anni, non è più il tempo della polemica ma della ricerca della riconciliazione: non però a costo della verità. Non si deve fare confusione. Se da una parte dobbiamo saper cogliere l’efficacia dello Spirito Santo in questi altri cristiani non cattolici che hanno buona volontà, che non hanno commesso personalmente questo peccato della separazione dalla Chiesa, dall’altra non possiamo cambiare la storia, ciò che è successo 500 anni fa. Una cosa è il desiderio di avere buone relazioni con i cristiani non cattolici di oggi, al fine di avvicinarci a una piena comunione con la gerarchia cattolica e con l’accettazione anche della tradizione apostolica secondo la dottrina cattolica; un’altra cosa è l’incomprensione o la falsificazione di ciò che è successo 500 anni fa e dell’effetto disastroso che ha avuto. Un effetto contrario alla volontà di Dio: «...Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anche essi in noi, perchè il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gio 17, 21).




















lunedì 23 ottobre 2017

ROSARIO MONDIALE PER BENEDETTO XVI MARTEDÌ 24 OTTOBRE ORE 15:00!!!! DIFFONDI OVUNQUE!!





Doctor Angelicus

HO DECISO DI ORGANIZZARE UN ROSARIO MONDIALE PER BENEDETTO XVI MARTEDÌ 24 OTTOBRE 2017, ORE 15:00.

TI CHIEDO DI DIFFONDERE QUESTA INIZIATIVIA OVUNQUE: TRA I TUOI AMICI, NELLA TUA PARROCCHIA, NELLA TUA DIOCESI, SU FACEBOOK E SU OGNI SOCIAL NETWORK.





NON ABBANDONIAMO QUELLO CHE È STATO IL NOSTRO DOLCE CRISTO IN TERRA PER BEN OTTO ANNI!
STA OFFRENDO LA SUA VITA PER LA SALVEZZA DELLA CHIESA!!!



P.S
IL 24 OTTOBRE RICORRE LA MEMORIA DI SANT' ANTONIO MARIA CLARET, FONDATORE DEI MISSIONARI FIGLI DELL' IMMACOLATO CUORE DI MARIA, DUNQUE GIORNO PIENAMENTE "FATIMIANO" !!!!












domenica 22 ottobre 2017

GPII: I SANTI DEGLI ULTIMI TEMPI SARANNO FORMATI DA MARIA, PER PORTARE NELLA CHIESA LA VITTORIA SULLE FORZE DEL MALE





Centosessant’anni or sono veniva resa pubblica un’opera destinata a diventare un classico della spiritualità mariana. San Luigi Maria Grignion de Montfort compose il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine agli inizi del 1700, ma il manoscritto rimase praticamente sconosciuto per oltre un secolo. Quando finalmente, quasi per caso, nel 1842 fu scoperto e nel 1843 pubblicato, ebbe un immediato successo, rivelandosi un’opera di straordinaria efficacia nella diffusione della “vera devozione” alla Vergine Santissima. Io stesso, negli anni della mia giovinezza, trassi un grande aiuto dalla lettura di questo libro...
[...]

Com'è noto, nel mio stemma episcopale, che è l'illustrazione simbolica del testo evangelico appena citato, il motto Totus tuus è ispirato alla dottrina di san Luigi Maria Grignion de Montfort. Queste due parole esprimono l'appartenenza totale a Gesù per mezzo di Maria: “Tuus totus ego sum, et omnia mea tua sunt", scrive san Luigi Maria; e traduce: “Io sono tutto tuo, e tutto ciò che è mio ti appartiene, mio amabile Gesù, per mezzo di Maria, tua santa Madre” (Trattato della vera devozione, 233). La dottrina di questo Santo ha esercitato un influsso profondo sulla devozione mariana di molti fedeli e sulla mia propria vita. 

[...]
Negli scritti di san Luigi Maria troviamo lo stesso accento sulla fede vissuta dalla Madre di Gesù in un cammino che va dall'Incarnazione alla Croce, una fede nella quale Maria è modello e tipo della Chiesa. San Luigi Maria lo esprime con ricchezza di sfumature quando espone al suo lettore gli “effetti meravigliosi” della perfetta devozione mariana: “Più dunque ti guadagnerai la benevolenza di questa augusta Principessa e Vergine fedele, più la tua condotta di vita sarà ispirata dalla pura fede. Una fede pura, per cui non ti preoccuperai affatto di quanto è sensibile e straordinario. Una fede viva e animata dalla carità, che ti farà agire solo per il motivo del puro amore. Una fede ferma e incrollabile come roccia, che ti farà rimanere fermo e costante in mezzo ad uragani e burrasche. Una fede operosa e penetrante che, come misteriosa polivalente chiave, ti farà entrare in tutti i misteri di Gesù Cristo, nei fini ultimi dell'uomo e nel cuore di Dio stesso. Una fede coraggiosa, che ti farà intraprendere e condurre a termine senza esitazioni cose grandi per Dio e per la salvezza delle anime. Una fede, infine, che sarà tua fiaccola ardente, tua vita divina, tuo tesoro nascosto della divina Sapienza e tua arma onnipotente, con la quale rischiarerai quanti stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte, infiammerai quelli che sono tiepidi ed hanno bisogno dell'oro infuocato della carità, ridarai vita a coloro che sono morti a causa del peccato, commuoverai e sconvolgerai con le tue soavi e forti parole i cuori di pietra e i cedri del Libano e, infine, resisterai al demonio e a tutti i nemici della salvezza” (Trattato della vera devozione, 214).

Come san Giovanni della Croce, san Luigi Maria insiste soprattutto sulla purezza della fede e sulla sua essenziale e spesso dolorosa oscurità (cfr Segreto di Maria, 51-52). È la fede contemplativa che, rinunciando alle cose sensibili o straordinarie, penetra nelle misteriose profondità di Cristo. Così, nella sua preghiera, san Luigi Maria si rivolge alla Madre del Signore dicendo: “Non ti chiedo visioni o rivelazioni, né gusti o delizie anche soltanto spirituali... Quaggiù io non voglio per mia porzione se non quello che tu hai avuto, cioè: credere con fede pura senza nulla gustare o vedere” (ibid., 69). La Croce è il momento culminante della fede di Maria, come scrivevo nell'Enciclica Redemptoris Mater: “Mediante questa fede Maria è perfettamente unita a Cristo nella sua spoliazione... E' questa forse la più profonda kénosis della fede nella storia dell'umanità” (n. 18).


Lo Spirito Santo invita Maria a “riprodursi” nei suoi eletti, estendendo in essi le radici della sua “fede invincibile”, ma anche della sua “ferma speranza” (cfr Trattato della vera devozione, 34). Lo ha ricordato il Concilio Vaticano II: “La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e nell'anima, è l'immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell'età futura, cosi sulla terra brilla come un segno di sicura speranza e di consolazione per il Popolo di Dio in marcia, fino a quando non verrà il giorno del Signore” (Lumen gentium, 68). Questa dimensione escatologica è contemplata da san Luigi Maria specialmente quando parla dei “santi degli ultimi tempi”, formati dalla Santa Vergine per portare nella Chiesa la vittoria di Cristo sulle forze del male (cfr Trattato della vera devozione, 49-59). Non si tratta in alcun modo di una forma di "millenarismo", ma del senso profondo dell'indole escatologica della Chiesa, legata all'unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo. La Chiesa attende la venuta gloriosa di Gesù alla fine dei tempi. Come Maria e con Maria, i santi sono nella Chiesa e per la Chiesa, per far risplendere la sua santità, per estendere fino ai confini del mondo e fino alla fine dei tempi l'opera di Cristo, unico Salvatore. [...]
da «Vatican.va»


sabato 21 ottobre 2017

Con Dio in Russia






scritto da Aldo Maria Valli

«Niente poteva separarmi da Dio perché egli è presente in tutte le cose. Nessun pericolo mi poteva minacciare, nessuna paura poteva più spaventarmi, salvo quella di distogliere il mio sguardo da lui e non vederlo più».

Queste parole sono di un religioso, un gesuita: Walter J. Ciszek, americano nato da una famiglia di emigrati polacchi. Parole che riassumono efficacemente una vicenda umana e spirituale da conoscere, perché si tratta di una grandissima testimonianza di fede.

L’occasione è offerta dalla pubblicazione di una nuova edizione dell’autobiografia di padre Ciszek, «With God in Russia» (Harper Collins), nella quale il protagonista ripercorre gli anni vissuti da prigioniero in Unione Sovietica, nel gulag.

Ma andiamo con ordine.

Walter Ciszek nasce in Pennsylvania il 4 novembre 1904. Figlio di emigrati dalla Polonia, ha dodici fratelli, tra cui due sorelle che diventeranno suore. Entra nella Compagnia di Gesù nel 1928 e dal 1934 studia al Collegium Russicum di Roma, voluto nel 1929 da Pio XI, e affidato ai gesuiti, come centro di formazione di missionari da inviare nella Russia sovietica.

Nel 1938 Walter è ordinato sacerdote cattolico di rito bizantino e un anno dopo, spinto dal desiderio di testimoniare la fede là dove un regime ateo pretende di cancellare Dio, riesce a passare di nascosto la frontiera e si stabilisce ad Albertyn, nella regione di Slonim. È territorio polacco, ma proprio in quel periodo, in seguito al patto Molotov-Ribbentrop, l’area passa sotto il controllo sovietico.

L’arrivo dell’Armata Rossa sconvolge tutto. Nella parrocchia in cui lavora padre Walter si stabilisce un gruppo di soldati sovietici e subito incominciano arresti e persecuzioni. Le proprietà ecclesiali sono espropriate e la parrocchia viene chiusa.

Per dare assistenza spirituale agli operai polacchi trasferiti in Russia il gesuita si trasferisce a Teplaya Gora, negli Urali, dove però ogni attività religiosa può avvenire solo nella clandestinità. Le spie comuniste sono ovunque e parlare di Dio in pubblico equivale a una condanna certa. Per celebrare la messa si va nei boschi, ovviamente senza abiti liturgici, usando un tronco come altare. L’apostolato è impossibile. I lavoratori cattolici temono gli informatori comunisti ed evitano di rivelare la loro fede.

Nonostante le precauzioni, nell’agosto 1940 padre Ciszek è arrestato e condotto prima nella prigione di Perm, poi nel famigerato carcere moscovita della Lubianka, quartier generale sei servizi segreti e simbolo del terrore staliniano.

In carcere il gesuita subisce una doppia emarginazione. Gli stessi compagni di prigionia, sottoposti agli effetti della propaganda atea, vedono nel prete una parassita, lo insultano e lo evitano.

Dopo due anni di interrogatori, sevizie e privazioni, la polizia segreta sovietica riesce a strappare al gesuita americano, ormai esausto, una «confessione» dei suoi presunti crimini. Per Ciszek è un terremoto interiore. Si rende conto di aver puntato più sulla sua testardaggine e sulla capacità di far fronte alle sfide che sull’aiuto di Dio. Soltanto quando ammette la sua totale impotenza e si abbandona alla volontà di Dio ritrova la pace. Non esita a chiamarla una conversione.

La condanna, in quanto «spia», è a quindici anni di gulag. Gettato in un vagone con una ventina di criminali comuni, il religioso è deportato a Krasnoyarsk, in Siberia, dove lavora a ritmi impossibili e temperature polari in una miniera di carbone. Ma, sia pure in condizioni tanto estreme, riesce a celebrare la messa con vino e pane introdotti di nascosto, e di notte confessa i prigionieri e assiste i moribondi. Incontra anche pastori battisti e pope ortodossi incarcerati e vive quello che poi definirà l’«ecumenismo della persecuzione».

Solo il 22 aprile 1955 può uscire finalmente dal gulag e dopo quindici anni riesce per la prima volta a comunicare con la famiglia, che dal 1947 lo aveva dato per morto.

Costretto al confino, trova lavoro come meccanico in un garage nella città di Abakan. Poi, il 12 ottobre 1963, improvvisamente, la libertà: nell’ambito di uno scambio di prigionieri con i servizi occidentali, il Kgb lo preleva, lo porta a Mosca e lo imbarca su un volo per Londra.

Rientrato negli Stati Uniti, padre Ciszek presta la sua opera per vent’anni al Centro ecumenico Giovanni XXIII della Fordham University, a New York. Dove muore l’8 dicembre 1984.

«Ho imparato a rivolgermi a Dio per domandargli la sua consolazione e a non porre la mia fiducia in altri se non in lui» racconta rievocando i lunghi anni di prigionia. Ma perché andare proprio nella tana del lupo?

All’origine c’è l’appello di Pio XI, che nel 1929, l’anno di fondazione del Russicum, chiede nuovi missionari per la Russia. Ma c’è anche il temperamento di un giovane attirato dalle imprese apparentemente impossibili.

È così che Ciszek, primo prete americano ordinato secondo il rito bizantino, consacra la sua vita all’apostolato in mezzo alla persecuzione.

Ciszek racconta di essere stato un ragazzo ostinato e duro con se stesso. Lo affascinava l’idea di fare sempre la cosa più difficile. Di qui il sogno di essere missionario nella Russia sovietica. Di qui anche la capacità di resistere alla fame, al freddo, agli interrogatori, ai soprusi, alle violenze. Ma la vera forza gli arrivò da Dio. Perché «la religione, la preghiera e l’amore di Dio non cambiano la realtà, ma le danno un nuovo significato».

E la paura? Certo che la provò. Così come la solitudine. Ma «tu pensi forse che Dio non sappia dove sei e ti possa dimenticare?». Proprio nei momenti più tragici padre Ciszek riconosce la mano della Provvidenza e avverte che il compito al quale è stato chiamato è portare anime a Dio.

L’ispirazione, racconta, gli venne dalla figura di Stanislao Kostka, nobile adolescente polacco che nel XVI secolo, sfidando la contrarietà della famiglia, fuggì di casa e andò a piedi a Roma per entrare nella Compagnia di Gesù (e ricordiamo che proprio a Stanislao Kostka è intitolata la chiesa di Varsavia di fronte alla quale riposa il beato Jerzy Popiełuszko, il sacerdote polacco rapito e ucciso trentatré anni fa, il 19 ottobre 1984, da funzionari del Ministero dell’interno polacco).

«Apostolo della divina provvidenza», così madre Marija Shields, di un monastero bizantino carmelitano in Pennsylvania, ha definito padre Ciszek. «Voleva che tutti vivessimo per Dio e ci ha mostrato come farlo».

La causa di beatificazione del gesuita è stata avviata nel 1990.

Il 7 maggio dell’anno 2000 mi trovavo al Colosseo, a Roma, quando Giovanni Paolo II commemorò i testimoni della fede del ventesimo secolo. Ricordo alcune delle parole pronunciate nell’omelia: «La generazione a cui appartengo ha conosciuto l’orrore della guerra, i campi di concentramento, la persecuzione […]. Sono testimone io stesso, negli anni della mia giovinezza, di tanto dolore e di tante prove […]. La loro memoria non deve andare perduta, anzi va recuperata in maniera documentata. I nomi di molti non sono conosciuti; i nomi di alcuni sono stati infangati dai persecutori, che hanno cercato di aggiungere al martirio l’ignominia; i nomi di altri sono stati occultati dai carnefici. […]. Laddove l’odio sembrava inquinare tutta la vita senza la possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come l’amore sia più forte della morte. All’interno di terribili sistemi oppressivi, che sfiguravano l’uomo, nei luoghi di dolore, tra privazioni durissime, lungo marce insensate, esposti al freddo, alla fame, torturati, sofferenti in tanti modi, essi hanno fatto risuonare alta la loro adesione a Cristo morto e risorto […]. Resti viva, nel secolo e nel millennio appena avviati, la memoria di questi nostri fratelli e sorelle. Anzi, cresca! Sia trasmessa di generazione in generazione, perché da essa germini un profondo rinnovamento cristiano!».

Aldo Maria Valli


















giovedì 19 ottobre 2017

Frutti della grazia del motu proprio Summorum Pontificum per la vita monastica e la vita sacerdotale





(Prima parte)

Nell’ambito delicato della liturgia, in cui le suscettibilità sono in agguato, il soggetto di questo intervento comporta un vantaggio. Sganciato da ogni ideologia, esso si vuole risolutamente pragmatico. Il contadino, quando pianta un seme, può avere un’ideologia. Quando raccoglie, non è più lo stesso. Al contatto con il reale, con la natura, l’ideologia ha contribuito alla nascita di un frutto. Un frutto che può raccogliere; un frutto che può essere bello, piccolo, talora assente.
Dieci anni fa, Papa Benedetto XVI ha realizzato un progetto maturato sin dai primi tempi del suo incarico di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: ridare uno statuto ufficiale al messale del 1962, attraverso la promulgazione del motu proprio Summorum Pontificum.
Mettiamoci umilmente al servizio non dei nostri pensieri, ma della Chiesa, e più particolarmente della sua liturgia, considerando i frutti di questo documento per la Chiesa universale.
In un primo momento, vorrei evocare la storia liturgica dell’abbazia di Fontgombault, come una panoramica. Seguiranno delle riflessioni sui frutti del documento pontificio secondo i punti di vista del rito e della Chiesa.


Storia

Dom Jean Roy O.S.B. (1921-1977), Abate di Notre-Dame di Fontgombault dal 1962 al 1977, accolse di buon grado il piccolo convoglio di riforme dell’Ordo Missæ, nel 1965. Non fu tuttavia senza qualche apprensione che seguì la fermentazione, che sfocerà nel 1969 nella promulgazione di un nuovo Ordo Missæ, del quale percepì al contempo le qualità e i limiti.

Fedele al principio di non dire nulla che non sia teologicamente certo, né di fare alcunché che non sia canonicamente in regola, e contro numerose e forte pressioni, il Padre Abate mantenne l’uso del messale tridentino fino alla fine del 1974.

Secondo il documento di promulgazione del nuovo messale, esso sarebbe diventato obbligatorio quando le conferenze episcopali avessero ottenuto l’approvazione della traduzione. Fu questo il caso alla fine di quell’anno. 

Il Padre Abate ottemperò, non senza reticenze, ma considerando che i monaci non dovevano nemmeno dare l’impressione di disobbedire. Più tardi, dirà che la sua decisione rilevava più dalla prudenza che dall’obbedienza, poiché non era certo che il nuovo messale fosse obbligatorio e che il messale tridentino fosse legittimamente interdetto. L’avvenire mostrerà che il suo dubbio era giustificato.
Il Padre Abate raccomandò ai sacerdoti dell’abbazia di conservare nella celebrazione dei santi misteri le disposizioni di pietà, di rispetto, di senso del sacro che avevano acquisito alla scuola del messale tridentino.
È in questo clima liturgico pesante che il Padre Abate ha concluso la sua vita, in occasione di un Congresso benedettino a Roma, nel 1977; una vita senza dubbio abbreviata, almeno parzialmente, dalla lotta che non ha cessato di condurre per la difesa della santa Chiesa e della sua Tradizione.
Mediante la lettera circolare Quattuor abhinc annos, del 3 ottobre 1984, inviata alle conferenze episcopali, la Congregazione per il Culto divino faceva eco al desiderio del Sommo Pontefice san Giovanni Paolo II (1920-2005), di dare soddisfazione ai sacerdoti e ai fedeli desiderosi di celebrare secondo il messale romano pubblicato nel 1962. 

A partire dalla festa dell’Annunciazione del 1985, i sacerdoti del monastero – a condizione di farne personalmente richiesta all’ordinario del luogo – ricevettero il permesso di dire la metà delle messe della settimana secondo tale messale.
Una nuova tappa fu compiuta in seguito alle infelici “consacrazioni di Ecône”, con la creazione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei. Al prezzo di trattative rese difficili in virtù di persone influenti, Dom Antoine Forgeot O.S.B., successore del Padre Abate Jean, ottenne dalla Commissione il rescritto del 22 febbraio 1989, autorizzando a riprendere in maniera abituale il messale del 1962.

Incoraggiata dalla Commissione per tutto ciò che avrebbe potuto rappresentare un avvicinamento con il messale del 1969, l’abbazia ha conservato il nuovo calendario per il santorale, e ha adottato qualche nuovo prefazio, una preghiera universale la domenica… Queste usanze si riveleranno andare nella direzione del pensiero del cardinale Joseph Ratzinger.
Il 7 luglio 2007, il motu proprio Summorum Pontificum ha reso il suo pieno diritto di cittadinanza al messale del 1962. Se all’abbazia non fu occasione di riunioni, già anticipate da più di vent’anni, esso ha aumentato la devozione filiale e la gratitudine dei monaci nei confronti della Madre Chiesa e verso Benedetto XVI.
Da questa data, un centinaio di sacerdoti desiderosi d’imparare a celebrare nella forma extraordinaria – la cui età media è attorno ai 30-40 anni –, sono venuti all’abbazia. Inviati dal loro vescovo in vista di un ministero specifico, venuti da sé stessi al fine di rispondere alla richiesta dei fedeli, o semplicemente desiderosi di celebrare in privato questa forma venerabile per profittare della sua spiritualità, essi compiono il loro soggiorno con la convinzione di avere scoperto un tesoro. Le difficoltà incontrate riguardano l’uso della lingua latina e una presa di coscienza di una “conversione” da compiere nella maniera di celebrare, sulla quale torneremo oltre.

La gran parte di essi continueranno a praticare abitualmente la forma ordinaria. Altri celebreranno regolarmente una o più messe nella forma extraordinaria nella loro parrocchia – ciò che prevede il motu proprio –, e non solo per dei fedeli relegati in una “piccola cappella”.

Come non vedere qui le primizie di un rinnovamento della Chiesa orante, la nascita di sacerdoti e fedeli senza complessi, che attingono generosamente alla fonte inesauribile della tradizione liturgica della Chiesa, segnata almeno dalle preghiere del sacerdote – dette private –, di spirito monastico. 

Il messale di san Pio V è un messale medievale. Beneficia del clima di una società in cui il monachesimo ha svolto un ruolo capitale, sia tramite Cluny sia attraverso Cîteaux. Arricchito dal contatto con la tradizione monastica, esso è a immagine di ciò che san Benedetto chiede ai suoi monaci: “non si anteponga nulla all’Opera di Dio” (RB 43,3).

Che dei sacerdoti riscoprano così il sacro, che i fedeli se ne abbeverino, non può essere senza riverbero sulla società. Ecco già uno dei primi frutti del motu proprio.




[Dom Jean Pateau O.S.B., Padre Abate dell’abbazia Notre-Dame di Fontgombault, “Fruits de la grâce du motu proprio Summorum Pontificum pour la vie monastique et la vie sacerdotale”, conferenza in occasione del V Convegno sul motu proprio Summorum Pontificum, dal titolo Il Motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI: Una rinnovata giovinezza per la Chiesa, svoltosi a Roma, presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, il 14 settembre 2017. Trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B. / 1 - continua]









romualdica.blogspot.it (19-10-2017)





Dat, un male minore? No, resta omicidio in camice bianco




Dat: prosegue l'iter al Senato 




Tommaso Scandroglio (19-10-2017)

Il disegno di legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento
, dopo essere stato licenziato dalla Camera, prosegue il suo iter in Senato. Mercoledì 27 settembre la Commissione affari costituzionali ha approvato un “parere non ostativo” con osservazioni che ora passerà al vaglio – insieme a tutto il resto del testo di legge – della Commissione Sanità.

Le modifiche al Ddl sarebbero le seguenti:
il termine “disposizioni” dovrebbe mutare in “dichiarazioni”. Le prime infatti esprimono un carattere di obbligatorietà maggiore rispetto al secondo lemma che invece manifesterebbe una semplice opinione del paziente la quale potrebbe anche non essere assecondata dal medico. Il senatore di Democrazia Solidale Lucio Romano, già presidente dell’associazione cattolica Scienza & Vita ed estensore del parere, in merito a questa prima modifica dichiara: “profilo caratterizzante del disegno di legge è e deve essere il bilanciamento tra il principio della inviolabilità della libertà personale (articolo 13 della Costituzione) e il diritto alla salute, che l'articolo 32 della Costituzione qualifica come diritto fondamentale della singola persona e come interesse dalla collettività. Alla luce di questa premessa, nel titolo, nonché ovunque ricorra nel disegno di legge, la parola: ‘disposizioni’ dovrebbe essere sostituita con la seguente: ‘dichiarazioni’, al fine di valorizzare la relazione di cura e di fiducia tra il medico e il paziente, così come afferma l'articolo 1, comma 2, del disegno di legge”. In buona sostanza questo cambiamento lessicale dovrebbe rispettare la libertà di cura del paziente e la sfera di autonomia del medico.

In realtà anche se passerà questa modifica il medico dovrà comunque sottostare
alle richieste del paziente, anche a quelle di carattere eutanasico. Ce lo dice il combinato disposto di due articoli del disegno di legge all’esame al Senato. L’art. 1 comma 5 permette al paziente di rifiutare l’attivazione della nutrizione e idratazione artificiali, l’interruzione di questi mezzi di sostentamento vitale e di qualsiasi terapia già in essere, comprese quelle salvavita. Il medico non può sollevare obiezione di coscienza in riferimento a queste richieste, infatti il comma 6 dell’art. 1 così recita: “Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo”.

Da rammentare che la legge qualifica “trattamento sanitario”
anche idratazione e nutrizione (art. 1 c. 5). Dunque anche se le disposizioni diventeranno dichiarazioni le Dat rimarranno vincolanti per il medico.

La seconda modifica proposta nel parere prevede
una “verifica periodica dell'attualità delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento” dichiara Romano. Si pensa ad una obbligatoria verifica quinquennale. Ancora da vedere se le Dat non rinnovate perderanno efficacia giuridica: ma se così non fosse che senso avrebbe obbligare le persone a rivedere le proprie Dat?

A tal proposito è da rilevare che innanzitutto la pratica delle rivedibilità delle Dat
, nei Paesi dove è permessa, spesso non viene accolta dai pazienti per il semplice motivo che anche se cambiano idea sulle cure non si accorgono di aver cambiato idea e quindi non sentono l’esigenza di cambiare il contenuto delle proprie Dat (Cfr. R.M. GREADY - P.H. DITTO - J.H DANKS ET AL., Actual and perceived stability of preferences for life-sustaining treatment, in Journal of Clinical Ethics, 2000, 11 (4); S.J. SHARMAN - M. GARR - J.A. JACOBSEN ET AL., False memories for end-of-life decisions, in Health Psychology, Mar. 2008, 27 (2)).

In secondo luogo, ed è l’aspetto più rilevante,
non è tanto la possibilità di rivedere o meno le Dat che fa problema, ma il problema sono le Dat stesse che rimangono uno strumento che non attualizza le volontà del paziente ma le congela nel passato. Il parere quindi approva comunque la validità di uno strumento che è invece inefficace per sua natura e che apre a pratiche eutanasiche.

Passiamo al terzo punto del parere.
Attualmente il testo di legge considera nutrizione e idratazione trattamenti sanitari e quindi come tali rifiutabili dal paziente. Il parere invece vorrebbe che fosse il medico a decidere quando nutrizione e idratazione debbano essere considerate terapie e quando mezzi di sostentamento vitale. Qui la censura riguarda un aspetto di carattere morale che coinvolge anche gli altri due punti del parere. Qualcuno potrebbe voler difendere il parere perché introduce un miglioramento del testo di legge. Questo è vero, perché perlomeno in qualche caso troveremmo un medico che qualificherà idratazione e nutrizione come mezzi di sostentamento vitale e quindi per legge non rifiutabili. Ma il problema di carattere morale sta nel fatto che si otterrebbe questo miglioramento per mezzo di un atto eticamente non accettabile, cioè inserendo nel testo di legge una facoltà moralmente illecita.

Infatti da una parte si permetterebbe al medico
di riconoscere la vera natura clinica di idratazione e nutrizione e quindi di qualificarle come mezzi di sostentamento vitale (facoltà lecita), su altro fronte invece si consentirebbe al medico di non riconoscere tale natura e di attribuire ad entrambe la qualifica di “terapie” (facoltà illecita). Ad una facoltà buona si accompagnerebbe una malvagia.

Stesse riserve per gli altri due punti:
si propone la modifica migliorativa di uno strumento – le Dat – che calato in quel testo di legge rimane uno strumento di morte. E’ un po’ come se chi fosse contrario alla pena di morte proponesse una modifica per migliorare le esecuzioni capitali: non più la sedia elettrica, così cruenta, bensì l’iniezione letale. La sostanza non muterebbe.

Si tratta di un antico vizietto di alcuni, e non pochi, politici cattolici:
proporre il male minore. Ma il male, seppur minore, mai si può compiere. In merito al Testo unico sulle Dat invece, riprendendo un commento critico del Centro Studi Livatino, dobbiamo dire che lo stesso è totalmente irricevibile e non emendabile in meglio in alcun modo perché la sua stessa ratio è un ratio di morte. In sintesi, deve essere rifiutato in toto perché è una legge intrinsecamente ingiusta.

Non sono di questo avviso i senatori a vita
Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano e Carlo Rubbia che, “come Senatori a vita, chiamati ad esercitare un ruolo il più possibile libero da ogni condizionamento, appartenenza o calcolo” (sic), su Repubblica e il Corriere hanno pubblicato ieri un appello affinché prosegua speditamente l’iter di approvazione di questo disegno di legge, non volendo cambiare una virgola di quest’ultimo. E’ urgente l’approvazione perché secondo loro la maggioranza degli italiani è favorevole (ma ammesso e non concesso che sia così, la verità rimane tale anche in minoranza), perché il living will è legge in altri paesi (ma se il tuo vicino di casa ammazza e ruba allora è giusto che lo faccia anche tu?) e perché “dà valore alla volontà di ciascuno, tutela la dignità di tutti”.

Per nulla vero dato che la volontà del paziente incosciente potrebbe essere mutata
e le Dat non ne possono tenere in conto, né è rispettata quella del medico volta a non prestarsi ad un omicidio in camice bianco e neppure quella dei minori dato che decidono altri a posto loro. Occorre una legge secondo i quattro senatori perché ormai i casi “Englaro, Welby, Nuvoli e migliaia di altri meno noti” hanno creato precedenti che non si può più far finta di non vedere. A parte che sarebbe necessario documentare le altre migliaia di casi simili – in realtà inesistenti – c’è solo da commentare che i casi Englaro, Welby e Nuvoli non hanno messo in evidenza supposte lacune legislative, ma sono solo stati casi in cui i giudici non hanno applicato la normativa penale ed hanno pronunciato decisioni contra legem. Se vogliamo una norma per depenalizzare e addirittura legittimare i reati di omicidio, di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio, basta dirlo chiaramente.

Tommaso Scandroglio



mercoledì 18 ottobre 2017

Il coraggio di un'Ave Maria "inopportuna"





Andrea Zambrano (18-10-2017)

Può un’Ave Maria recitata in un’aula universitaria provocare la reazione rabbiosa di studenti e persino del rettore? La risposta è sì perché quella preghiera è un ostacolo alla realizzazione dei voleri del padrone di questo mondo. Soprattutto se a farsene promotrice è una docente che per quella brevissima, ma potente preghiera, è stata sottoposta ad una gogna mediatica ingiustificata.

Le cronache locali di Macerata non parlano d’altro. Lei si chiama Clara Ferranti, insegna linguistica e glottologia all’ateneo marchigiano e da qualche giorno deve difendersi da una infamante accusa: quella di essere cattolica. Ma non di quei cattolici che vivono la propria fede nel chiuso della loro stanzetta, scendendo a patti con il mondo perché in fondo un conto è la fede e un altro sono il lavoro, lo stipendio e le relazioni sociali. No, la professoressa Clara Ferranti non ha certo il physique du role di una Giovanna D’Arco, però la sua testimonianza la dà. Come? Ad esempio con una “mossa” che ha spiazzato tutti, ma che in coscienza sentiva di fare, anche perché alimentata da una solida vita di preghiera.

Succede questo. La prof aveva seguito le vicende legate al Rosario polacco per la difesa della patria dal terrorismo islamista (sì, si dice così e barerebbe chi lo spacciasse per l’Islam tout court) e aveva aderito alla maratona di preghiera di sostegno che anche in Italia ha visto il prodigarsi di migliaia di cattolici con la corona in mano. Solo che l’appuntamento era il 13 ottobre per le 17.30, centenario delle apparizioni a Fatima e giorno concordato per la preghiera in comunione con il popolo polacco. A quell’ora era prevista la recita del Rosario.

Ma la Ferranti in quel momento era immersa nella terza ora della sua lezione di glottologia, una materia non proprio “leggera”. Quindi, dopo averci pregato su un po’, ha preso la decisione: “Proporrò ai ragazzi, cioè i miei studenti, di recitare un’Ave Maria per la pace. Chi non vorrà, si asterrà”.

Detto, fatto. Ma il principe di questo mondo, che quando vede corone dei Rosari e manti azzurri inizia ad agitarsi, gli ha scatenato contro una canea dalla quale ancora oggi deve difendersi: post su Facebook, falsità, offese, inni a satana e persino la dura reprimenda del rettore che, con un linguaggio burocratico e ministeriale le ha rimproverato che a scuola certe cose non si fanno, dopo ovviamente aver chiesto scusa agli studenti che si sono sentiti offesi.

Una doverosa precisazione: il gesto della prof non è proprio quello che si può dire un atto politicamente corretto, ma nemmeno formalmente ineccepibile: certo, interrompere una lezione e iniziare a pregare potrebbe far sorgere la rivendicazione che, un domani, il professore di fede islamica, all’orario concordato con il muezzin inizi a stendere lo stuoino e si orienti verso La Mecca invitando gli studenti a fare altrettanto.

Come la metteremmo? Male e poco servirebbe avanzare la scusa che la nostra cultura è cattolica, perché ormai, non lo è purtroppo più. Quella della prof è stata una decisione forse troppo impulsiva (sarebbe bastato proporla alla fine della lezione), sicuramente poco incline alla diplomazia accademica che deve essere laica. Però, da qualunque parte la si rigiri, si può accusare la Ferranti di inopportunità, ma non di aver offeso il sentimento di chissà quanti studenti non credenti. E poi: se l’ateneo avesse proposto/imposto un minuto di silenzio per qualsivoglia motivo, secondo i crismi e i codici della religione di Stato che è ormai diventato il laicismo, si sarebbe scatenato tutto questo putiferio? No, ergo, la prof ha fatto bene a esternare la sua fede, anche se ha dovuto fare i conti con le formalità che le davano torto in quel momento.

Anche perché la fede presuppone la verticalità: o ce l’hai o non ce l’hai. E lei evidentemente ce l’ha, sennò non avrebbe senso la massima aurea del cattolicesimo da testimoniare, citiamo San Paolo, opportune et importune, parole che smentirebbero chiunque avanzasse giustificativi di sorta da parte degli agguerriti delatori.

Ma trattarla da pericolosa sediziosa è oggettivamente una reazione giacobina che la dice lunga sul grado di libertà che si esercita dentro le aule scolastiche.

La Nuova BQ ha raggiunto la professoressa e ha scoperto che a farle più male non sono state le critiche, ma le falsità sul suo conto: “E’ stato un unicum – ha detto – devo ammettere che ho avuto un po’ di remore, poi alla fine ho deciso per farla dopo averci pregato su. Quando l’ho proposto qualcuno si è messo a ridere e io gli ho risposto che non c’era nulla da ridere. Ma le falsità sul mio conto no, quelle non le tollero”.

Quali? “Ad esempio quella che alcuni ragazzi sono dovuti uscire dall’aula, o che la preghiera sia stata imposta, così come è falso che abbia dato un’occhiataccia a chi non si è unito in preghiera. Ho soltanto chiesto loro di restare in piedi in segno di rispetto”.

Invece il profilo Officina Universitaria ha parlato persino di una limitazione della libertà, salvo però ricevere in risposta le testimonianze degli studenti presenti, che hanno smentito lo sfogatoio accademico. Della serie: "So’ ragazzi", però alcuni sono ben impostati, almeno sul fronte diabolico dato che – stando a quanto riferisce la prof – è stato fatto anche un Inno a Satana.

Come detto il rettore ha preso e distanze e si è scusato con gli studenti, ma alla prof Ferranti quell’intervento non è piaciuto: “La reazione è abnorme rispetto alla vicenda in sé, il fatto che si sia scagliato così veementemente contro di me mi fa sorgere il sospetto che forse abbia qualche interesse politico dietro il suo comportamento. Quel che è certo è che l’inno al laicismo che ha prodotto evidenzia un tratto semanticamente molto povero di contenuti, se non contraddittorio”.

La docente sta ricevendo la solidarietà di un vasto mondo che la sta sostenendo, ma non in università: “Una critica di una collega mi ha particolarmente ferito”, ci ha detto. Invece il vescovo di Macerata Nazzareno Marconi l'ha presa sul serio e l'ha difesa con un affilato commento: “Grazie all'università ai non credenti e agli anticlericali perché ci avete ricordato quali tesori possediamo senza apprezzarne adeguatamente il valore e l’importanza”. A noi che diciamo 50 Avemaria tutte d'un fiato spesso può sfuggire perché ci abituiamo, ma l'episodio ci mostra che potenza possa avere una sola rosa donata a Maria. La potenza di disperdere i superbi nei pensieri del loro cuore.

E adesso? Paura per ritorsioni di carriera? O di essere emarginata? “E’ un problema che non mi pongo, rifletto solo sul fatto che se un'Ave Maria deve scatenare questo putiferio mi sembra evidente che si tratti di Parola di Dio vivente. E il Principe di questo mondo si scatena di fronte a questa vitalità del cuore e dell’anima che cerca Dio”. E aggiungiamo noi, non è un caso che Lutero, il quale oggi viene celebrato in ogni salsa, considerasse una bestemmia il Rosario, l'Ave Maria all'ennesima potenza. Riproporlo è doveroso. Appunto: al momento opportuno, ma anche in quello inopportuno.


Andrea Zambrano








http://www.lanuovabq.it/






lunedì 16 ottobre 2017

Miracolo del sole il 13 ottobre 2017 in Nigeria, dopo la riconsacrazione della Nigeria al Cuore Immacolato di Maria, in occasione del centenario dell'ultima apparizione a Fatima.





Ecco il link del video:
https://videopress.com/v/W7ltuNG2



“Miracolo del Sole in Nigeria, il 13 ottobre, dopo la riconsacrazione della Nigeria al Cuore Immacolato di Maria, in occasione del centenario dell’ultima apparizione a a Fatima”.

“Benin City, nello Stato di Edo, Nigeria. Si dice fosse presente l’intera Conferenza Episcopale”.

Maria Santissima è fedele alle sue Manifestazioni, non poteva mancare un suo Segno per i 100 anni.


miracolo del sole a Fatima il 13 ottobre 1917


Il 13 ottobre del 1917, davanti a circa 70 mila persone, Lucia grida: «Guardate il sole!». Le spesse nubi si squarciano ed appare il sole che comincia a roteare, a cambiare di colore, a danzare nel cielo e poi ad avvicinarsi progressivamente alla terra, come se stesse per precipitarvi.

Il Vescovo di Leiria, nella sua Lettera Pastorale sul culto della Madonna di Fatima così ha scritto: «Il fenomeno solare del 13 ottobre 1917, riferito e descritto nei giornali dell’epoca, è stato quanto mai meraviglioso e lasciò una indelebile impressione in quanti ebbero la felicità di presenziarvi. Questo fenomeno, che nessun osservatorio astronomico ha registrato, e perciò non naturale, è stato costatato da persone di tutte le categorie e classi sociali, credenti e miscredenti, giornalisti dei principali giornali portoghesi, e ancora da individui distanti parecchi chilometri dal luogo dove avveniva; il che sfata ogni spiegazione di illusione collettiva».














CON MARIA PER LE STRADE DI LONDRA. TESTIMONIARE PUBBLICAMENTE CHI È LA VERA REGINA D'INGHILTERRA







Le suggestive immagini dell’annuale Crociata del Rosario, organizzata dal Brompton Oratory di Londra, che sabato scorso, 14 ottobre, si è celebrata con particolare solennità e partecipazione di fedeli per il centenario delle apparizioni di Fatima.


Dopo la sua conversione al cattolicesimo, nel 1845, il futuro cardinale e oggi beato John Henry Newman divenne un oratoriano e portò in Inghilterra l’Oratorio di San Filippo Neri. La prima fondazione avvenne a Birmingham, poi un altro gruppo di convertiti guidato da padre Wilfrid Faber fondò l’Oratorio di Londra.


Oggi la comunità è formata da nove sacerdoti. Il parroco è Uwe Michael Lang, nativo della Germania, già consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice e officiale della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: giovane e grande liturgista stimato da Benedetto XVI.


Il Brompton Oratory di Londra è un’isola di spiritualità e di liturgia autenticamente cattolica nel cuore di una delle metropoli più secolarizzate e sulfuree d’Occidente. La sua Schola Cantorum, diretta da Charles Cole, è impegnata in un recupero del patrimonio della musica liturgica, per evangelizzare tramite la bellezza.



















domenica 15 ottobre 2017

Il vescovo Cordileone contro i mali del mondo




Mons. Cordileone



Monsignor Salvatore Cordileone, il vescovo italo-americano di San Francisco, in occasione della consacrazione della sua diocesi al Cuore Immacolato, ha pronunciato un’omelia di fuoco contro i mali che stanno imperando in questo tempo.




Domenica, 15 ottobre 2017 — «Anche nelle nostre città (…) vediamo l’esaltazione e perfino la celebrazione del volgare, schernendo il bel piano di Dio su come ci ha creati nei nostri propri corpi, per la comunione gli uni con gli altri, e con Lui stesso». È un passaggio dell’omelia che il vescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone, ha tenuto lo scorso 7 ottobre quando ha consacrato al Cuore 

In particolare aborto, eutanasia e vita omosessuale vengono definiti senza giri di parole «un riflesso vivo dell’inferno». Il riferimento è alle cosiddette pride paradesche i movimenti omosessualisti organizzano anche nelle strade di San Francisco. Rientrano in un elenco stilato dal vescovo sui grandi mali, tra cui le due guerre mondiali e i genocidi, che hanno attraversato il mondo in questi ultimi 100 anni che ci separano dalle apparizioni mariane di Fatima. «E poi», ha detto Cordileone riferendosi all’aborto legale, «c’è il grande attacco alla vita umana innocente: la nostra terra è stata sporcata dal sangue dei bambini innocenti in quella che è diventata una grande epidemia mortale equivalente a un genocidio nel ventre materno».

Infine, «adesso c’è l’abbandono dei nostri fratelli e sorelle sofferenti all’altra estremità della viaggio della vita», cioè il fenomeno dell’eutanasia sempre più diffuso e pervasivo. «Se pensiamo a ciò che è accaduto in questi ultimi 100 anni», si è chiesto Cordileone, «non ci dice che il secolo che abbiamo appena attraversato non era altro che un’esperienza dell’inferno?». Un’intera generazione «ha beffato Dio, ma Dio non può essere preso in giro, non perché egli si diletta nel vendicarsi di noi, ma perché se voltiamo le spalle a Dio il male ci si rivolge contro, portandoci alla autodistruzione».

«Lo chiedo a tutti i cattolici della diocesi di San Francisco, se non lo fanno già, che recitino il rosario tutti i giorni. E chiedo a tutte le famiglie che recitino insieme il rosario almeno una volta alla settimana». Il Cuore immacolato di Maria, ha concluso, «alla fine trionferà». È attraverso quel Cuore che «camminiamo dall’oscurità del peccato e della morte alla luce della verità e della misericordia di Cristo. C’è, dall’altra parte di quella porta, un paradiso glorioso, immenso e pieno di luce, che è il Cielo».




(fonte: lanuovabq.it)










sabato 14 ottobre 2017

Grygiel: «Il Rosario polacco, sfida al Padrone del mondo»






Andrea Zambrano (14-10-2017)

"Chi accusa i polacchi di aver recitato il grande Rosario ai confini contro gli immigrati islamici mente sapendo di mentire". Sono le parole del professore Stanislaw Grygiel, polacco, già docente all'Istituto Giovanni Paolo II e soprattutto grande amico di San Giovanni Paolo II Papa. In questa intervista alla Nuova BQ risponde punto su punto alle accuse rivolte da certa stampa mainstream, Corriere e Repubblica in testa, e da buona parte di mondo cattolico italiano alla straordinaria iniziativa di preghiera che si è svolta in Polonia e che ha visto la partecipazione di due milioni di persone.

Professore Grygiel, i polacchi sono stati accusati da un certo tipo di intellighenzia laicista, ma anche cattolica, di fomentare l’odio. Però il grande Rosario sui confini polacchi è stato un grande atto d’amore verso la Chiesa. Come stanno le cose?

Il continuo affidarsi da secoli del popolo polacco a Dio e al Suo Figlio, la fedeltà al Loro Amore, la fedeltà al loro Stato che oggi esprime la loro identità culturale, danno fastidio alle forze laiciste che hanno deciso di creare un “nuovo ordine” nel mondo. Il Padrone di queste forze, mancando di saggezza ma non d’intelligenza, sa che le uniche armi contro la fede di un popolo di questo genere sono la menzogna forgiata dall’odio e la paura che incussa negli uomini li piega davanti al potere. Questo Padrone è scaltro. Presenta il suo odio per i polacchi come amore per l’umanità, criticandoli di non amarla. S’infuria, vedendo come loro non si lascino ingannare. L’Unione Europea, per esempio, che odia l’Europa le cui radici sono state messe nella terra di Gerusalemme, di Atene e di Roma, con qualsiasi pretesto attacca i polacchi che amano questa vera Europa e in lei vogliono vivere. Spinti da quest’odio, i padroni dell’Unione Europea si fanno beffe del Rosario con cui i polacchi chiedono a Maria di radicarli ancora più profondamente nel suo Figlio e nella Chiesa, che nei primi secoli della sua esistenza imparò in Atene a porre la domanda sulla verità dell’uomo e in Roma a porre la domanda su come adeguare a questa verità l’ordine sociale. Alcuni (forse troppi) uomini della Chiesa in Occidente non comprendono questo. Perché? Perché sono uomini di poca fede, di poca cultura e di corta memoria. Non c’è allora da meravigliarsi che siano anche loro a sradicare la Chiesa da Cristo e a trasformarla in una società effimera come lo sono le altre. La preghiera dell’uomo è misura della sua fede.

Una delle accuse è stata quella di pregare contro l’islam, in realtà la preghiera era contro il terrorismo di matrice islamista. Come spiega questa differenza sostanziale?

Il popolo polacco pregava e prega per la pace, perché conosce molto bene la tragedia della guerra. Non intende però la pace come mancanza della guerra. Le guerre saranno fatte fino alla fine del mondo, perché l’uomo rimarrà sempre uomo. Perciò i polacchi non vogliono pagare con la propria dignità, che proviene dall’essere l’uomo immagine e somiglianza di Dio, per una pace che dovrebbe essere chiamata tregua. Ai terroristi che vogliono cancellare questa dignità negli altri, i polacchi dicono: No! Il loro “Rosario alle frontiere” era anche per i terroristi e mai contro di loro. Il loro Rosario li difende contro il nemico che si trova nel loro stesso intimo. I polacchi non disprezzano i terroristi, odiano i loro atti criminali. Chi dice che i polacchi hanno recitato il Rosario contro gli immigrati, in particolare islamici, mente per ignoranza colpevole oppure per una qualche ricompensa elargitagli da coloro che hanno interesse a cambiare la storia e a sottometterlo ai loro comandi.

È stato fatto anche il tentativo di accusare i polacchi di complicità con i nazisti nella persecuzione degli ebrei in un parallelo con gli islamici oggi. Ma la storia dice questo?

Se dopo tanti anni di “correzioni” ci sono ancora alcune “stelle erranti” che guidano la gente verso le menzogne storiche, secondo le quali i polacchi hanno contribuito a creare i campi di concentramento come quello di Auschwitz, allora, oltre a continuare a dire come stanno le cose, i polacchi non possono che pregare e digiunare, poiché sanno che alcuni spiriti non possono essere cacciati via in altro modo. Gli spiriti così maligni “costringono” i polacchi a recitare il Rosario e a digiunare. Se in Polonia dove i tedeschi fucilavano intere famiglie quando nelle loro case trovavano un ebreo nascosto (i tedeschi adottarono un decreto in tal senso solo in Polonia, oltre che in Serbia), allora di che cosa sono testimoni le centinaia di migliaia degli ebrei salvati in Polonia? È significativo che i polacchi siano accusati di aver collaborato con i nazisti soprattutto da persone appartenenti a Stati che come alleati di Hitler perpetrarono tali crimini in forma ufficiale. Questi attacchi contro i polacchi non sono forse un vano sforzo fatto di liberarsi dalle colpe e dai rimorsi? Il popolo polacco nell’Europa d’oggi, lo dico con le parole di Dostoevskij, è come una crosta sul sedere dell’uomo; con esso non le è possibile sedere comodamente.

Anche Giovanni Paolo II è stato tirato in ballo. Ritiene che sia stato strumentalizzato?

San Giovanni Paolo II – ne sono testimone personale – era per l’accoglienza degli altri ma mai per scendere a compromessi con la propria fede, con la propria dignità e identità. Va bene, diceva, possono costruire le loro moschee, ma domandiamo la reciprocità! Entrino nelle nostre case, ma senza cambiarle! Si adeguino all’ordine che regna in esse! Se qualcuno cerca di ucciderci, difendiamoci, cercando di vincere senza calpestare nessuno. Perché si è scontrato con i comunisti? Perché non era accogliente nei confronti di quelli che nel nostro Paese volevano costruire un ordine micidiale per l’uomo? Egli era accogliente ma non a costo della verità della persona umana e del suo affidarsi a questa verità. Quando vedo la strumentalizzazione di questo santo Papa e del suo insegnamento, continuamente perpetrata dai politicanti, non posso che gridare: Quousque tandem…? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?... O tempora, o mores!

Vorrei ricordare a margine che nei secoli scorsi la Polonia accolse milioni di ebrei e di ariani perseguitati in Europa occidentale non perché avesse bisogno di operai, ma per pura compassione. Questi perseguitati però s’inserirono nel popolo polacco, costituendo con esso un tutt’uno. Essere accogliente significa ricevere il perseguitato e offrirgli le proprie condizioni e il proprio tenore di vita, ma è proprio ciò che gli immigrati di oggi rifiutano.

Veniamo al grande Rosario: che cosa ci insegna questa straordinaria manifestazione di popolo?

Questa straordinaria e spontanea manifestazione di popolo, espressione della sua forza spirituale, vista alla luce del Vangelo e della storia di questo popolo martirizzato da tanti vicini, ci insegna che le conseguenze dell’affidarsi alla Verità che è Gesù Cristo non ci hanno deluso e non ci deluderanno.

Perché la Polonia ha questa specificità di promuovere la propria fede in ambito pubblico?

I polacchi si comportano così perché loro sono così. Si comportano così perché non sono degli schizofrenici che nella propria casa si comportano in modo diverso da come si comportano sulle piazze. La paura? Sì, conoscono anche la paura, ma conoscono la grandezza della propria dignità fino al punto di essere coraggiosi nel difenderla. Per i polacchi sono abominevoli i politici che dicono loro (come qualche mese fa il presidente della Francia disse alla Signora Beata Szydło, Primo Ministro della Polonia): “Voi avete i principi, ma noi abbiamo i soldi”.

Come avete vissuto voi polacchi che vivete all’estero questo momento?

Ci siamo radunati nelle chiese, nei santuari mariani e abbiamo recitato il Rosario in comunione con i polacchi in Polonia. È accaduto così in tutti i continenti. Non entriamo in polemica con la cattiveria di coloro che ci attaccano. In questi casi le polemiche non servono. Servono solo la preghiera e il digiuno.

Qual è il significato teologico del Rosario che è stato recitato?

Il Rosario è preghiera e la preghiera è locus theologicus, cioè fonte della conoscenza della verità rivelata che i teologi cercano di comprendere più profondamente. Nella preghiera la Tradizione della fede rimane viva. In altri termini, nella preghiera il passato storico rimane metafisicamente presente e attivo. Quanti teologi sono però capaci di attingere l’“acqua viva” da questo pozzo che è il Rosario?

Che cosa significa in un’Europa che ha perso la dimensione del sacro questo Rosario pubblico?






http://www.lanuovabq.it/it/grygiel-il-rosario-polacco-sfida-al-padrone-del-mondo





venerdì 13 ottobre 2017

13 Ottobre 2017: rosario alla Madonna di Fatima







Anche in Italia "Un muro di persone reciterà il Rosario (e digiunerà) su tutto il territorio della nostra Nazione"

AIASM (Associazione Italiana Accompagnatori Santuari Mariani) seguendo gli insegnamenti di Maria e seguendo il bellissimo esempio 
dei fratelli polacchi, il 13 ottobre alle ore 17.30 indice la più potente iniziativa per la pace: "il digiuno e la preghiera del Santo Rosario"

Su tutto il territorio Nazionale ogni uomo/donna di buona volontà si rechi quindi nella propria Parrocchia e:o crei gruppi di preghiera con la stessa intenzione dei fratelli Polacchi: "Chiedere alla Madonna di salvare l'Italia e l’Europa dal nichilismo islamista e dal rinnegamento della fede cristiana".

La Recita del Rosario comincerà alle ore 17.30,  il digiuno a pane ed acqua (come chiede Maria) tutto il giorno... Chi  non può digiunare ricordi che può fare rinunce. 

Anche in Italia si richiede di essere in stato di grazia (previa confessione sacramentale)

MA PERCHE' PROPRIO IL  ROSARIO ED IL DIGIUNO? 

La Madonna ci insegna che il Rosario è la più potente arma contro il male e con il digiuno si possono fermare anche le guerre e gli eventi naturali. 

Quindi nel suo centenario dalle Apparizioni di Fatima imploriamo proprio questo e venerdì  13 ottobre 2017 alle ore 17.30, uniti, eleviamo al cielo le nostre preghiere

www.aiasm.it 




Consacrazione al Cuore Immacolato 
1. O Beatissima Vergine Maria, apparendo a Fatima,
hai voluto che la Chiesa trovasse rifugio nel tuo Cuore Immacolato.
Tu hai promesso ai tre pastorelli:
«Il mio Cuore Immacolato sarà il vostro rifugio
e la via che vi condurrà a Dio».
Accogliendo il tuo invito e confidando nella tua promessa,
oggi, centesimo anniversario della tua ultima apparizione,
ci prostriamo ai tuoi piedi
per affidarci a te e implorare la tua protezione.
Rinnoviamo innanzi tutto le promesse del Battesimo e della Cresima;
quanti fra noi si sono impegnati a seguire il tuo Figlio piú da vicino
rinnovano i loro voti religiosi;
quelli che partecipano al sacerdozio di Cristo come ministri ordinati
rinnovano le loro promesse sacerdotali.
Ma oggi vogliamo anche consacrarci
— o rinnovare la nostra consacrazione — a te,
che sei nostra Madre, nostra Signora e nostra Regina.
Noi siamo tuoi e tuoi vogliamo essere:
ti dedichiamo tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che amiamo,
tutto ciò che siamo;
a te diamo il nostro corpo e la nostra anima,
la nostra mente e il nostro cuore;
desideriamo che tutto ciò che è in noi e intorno a noi ti appartenga.
Vogliamo essere tuoi nella prosperità e nell’avversità,
nella gioia e nel dolore,
nella salute e nella malattia, nella vita e nella morte;
poniamo tutti noi stessi e i nostri cari nel santuario del tuo Cuore.
Proteggi, ti supplichiamo, le nostre famiglie, le nostre comunità,
i nostri parenti, i nostri amici
e tutti coloro che si affidano alle nostre preghiere.
Sii per tutti il rifugio che hai promesso!



Sub tuum praesidium confugimus, Sancta Dei Genetrix.
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.


2. Oggi vogliamo raccomandare a te la nostra Comunità cristiana.
Questa Missione è solo un piccolo gregge;
ma, confidando nella parola del tuo Figlio, non temiamo,
perché al Padre è piaciuto di dare a noi il suo regno.
Non abbiamo nulla da esibire,
se non la nostra povera fede, speranza e carità,
e la nostra tenera devozione a te,
che veneriamo come Madre della Divina Provvidenza.
Benedici, ti supplichiamo, il Santo Padre,
Pastore della Chiesa universale,
e me, indegno tuo figlio e servo,
al quale egli ha affidato questa porzione del popolo di Dio;
benedici i nostri sacerdoti, i religiosi e le suore, e tutti i fedeli
che appartengono, seppur temporaneamente, a questo ovile.
Concedi che la nostra Missione possa crescere agli occhi di Dio,
e rendere presente, in tutti i suoi ordini,
la Santa Chiesa Cattolica in Afghanistan.
Noi crediamo che il tuo Figlio ha in questo paese altre pecore
che non appartengono a questo recinto:
anche quelle egli deve guidare; e ascolteranno la sua voce
e diventeranno un solo gregge, un solo Pastore.


Sub tuum praesidium confugimus, Sancta Dei Genetrix.
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.


Per questo, oggi vogliamo consacrare al tuo Cuore Immacolato
anche il paese in cui viviamo.
Non è la nostra patria, ma è diventato la nostra dimora.
Ci è molto caro; e sappiamo che è ancor piú caro a te.
Gli Afghani non appartengono al nostro gregge,
ma sono nostri fratelli e figli tuoi;
anche loro sono stati redenti dal sangue del tuo Figlio.
Da lunghi anni il loro paese è lacerato dalla guerra.
Finora tutti gli sforzi umani si sono rivelati inutili:
le armi, la diplomazia e la politica hanno fallito.
Non ci resta che ricorrere a te.
Tu sei onnipotente per grazia;
tu sei la nostra ultima spiaggia:
se tu non ci ascolti, non sapremmo a chi rivolgerci.
Concedi, ti supplichiamo, la sospirata pace all’Afghanistan:
disarma la mano dei violenti,
sgombra i cuori dall’odio,
poni fine alle lotte fratricide,
risana le ferite di una società malata,
riapri le vie del dialogo, della fiducia e della cooperazione.
Da’ a questo paese riconciliazione, armonia, integrità morale, giustizia,
ordine, sicurezza, stabilità e libertà.
Da questa terra è sorta la stella
che condusse i Magi ad adorare tuo Figlio:
tu, che sei la Stella del mattino,
sii per questo popolo la stella che li conduce a Cristo.
E, siccome l’Afghanistan è il cuore dell’Asia,
da qui illumina col tuo splendore
tutti i popoli di questo vasto continente,
nel quale il Figlio di Dio — tuo Figlio! —
ha voluto piantare la sua tenda in mezzo a noi.
Affretta la venuta del suo regno;
affretta il trionfo del tuo Cuore Immacolato!


O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria!


Salve, Regina, madre di misericordia,
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A te ricorriamo, esuli figli di Eva;
a te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime.
Orsú dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi.
E mostraci, dopo questo esilio,
Gesú, il frutto benedetto del tuo seno.

O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!