Aborto | CR 1912
di Giuseppe Brienza, 20 Agosto 2025
L’ultimo Consiglio dei Ministri riunitosi a Palazzo Chigi prima della pausa estiva il 4 agosto scorso, sotto la presidenza della premier Giorgia Meloni, ha impugnato la legge della Regione Siciliana n. 23 del 5/06/2025, recante “Norme in materia di sanità”, in quanto contrastante, fra l’altro, con l’articolo 117 della Costituzione in materia di parità di accesso agli uffici pubblici.
L’importante decisione del Governo, adottata su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli (Lega), ha sottoposto in pratica al vaglio della Consulta una norma considerata incostituzionale, ingiusta e discriminatoria che avrebbe permesso alla Regione di indire concorsi pubblici riservati ai soli medici non obiettori di coscienza all’aborto nei reparti ospedalieri dove si pratica la c.d. Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG).
Accogliendo favorevolmente la notizia e auspicando la positiva conclusione dell’iter di impugnazione, il mondo prolife italiano attende ora, soprattutto dal partito di appartenenza del Presidente del Consiglio Fratelli d’Italia (FdI), iniziative legislative idonee ad impedire che altre analoghe normative possano essere varate in futuro tanto a livello regionale quanto nazionale compromettendo l’imparzialità dei criteri di assunzione negli ospedali pubblici e la stessa dignità etica e professionale dei medici obiettori di coscienza all’aborto, anche se il discorso vale naturalmente per tutti gli altri operatori sanitari pubblici. Ci riferiamo in particolare a FdI in quanto, nella comunicazione nazionale diramata a seguito dell’impugnazione della legge siciliana, il partito della Meloni ha ribadito e fatto proprio un principio di garanzia che dovrebbe essere di portata universale, ovvero che «non si può negare agli obiettori di coscienza di partecipare ai concorsi».
«L’obiezione di coscienza rappresenta l’espressione più autentica della libertà personale, religiosa, morale e intellettuale – hanno spiegato in merito il senatore e capogruppo di FdI in commissione insularità Raoul Russo e la capogruppo del partito alla Camera in commissione giustizia Carolina Varchi –. Per tale motivo apprendiamo favorevolmente l’impugnativa da parte del consiglio dei Ministri della legge che prevedeva l’assunzione negli ospedali pubblici di medici e altro personale non obiettore di coscienza».
«La legge violava l’articolo 117 della Costituzione – hanno aggiunto Russo e Varchi –, che garantisce i principi di uguaglianza, di diritto di obiezione di coscienza, di parità di accesso agli uffici pubblici e in tema di pubblico concorso. La legge 194 del 1978 [che ha introdotto l’aborto nel nostro ordinamento] garantisce appieno tutti i diritti in campo ed in Sicilia non vi è alcun problema legato alla sua concreta applicazione. La legge impugnata da Roma, pertanto, aveva un carattere strumentale».
«Noi – concludono i due parlamentari – non siamo contro l’obiezione di coscienza che non è solo una questione di principio ma anche uno strumento concreto di tutela della dignità umana, della pluralità delle coscienze e della convivenza democratica, ma va garantita a tutti la possibilità di partecipare ad un concorso pubblico».
In Italia gli ospedali pubblici non sono tenuti per legge a garantire l’accesso all’aborto, come comunemente si afferma. Nel nostro Paese, infatti, come recentemente ricordato anche da una giurista favorevole all’IVG come l’avv. Annamaria Bernardini De Pace, la legge 194 non proclama che l’aborto è un diritto, bensì «una scelta tutelata dallo Stato» (L’equivoco sulla “194” e il diritto di procreare, in Il Giornale, 22 aprile 2024). Il termine“diritto” nella legge 194 appare solo nella fraseriguardante la procreazione cosciente e responsabile che, a partire dal Sessantotto, ha subito una radicale trasformazione dal suo significato originale (v. l’art. 1: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio»). Il termine, infatti, prima di essere ideologicamente identificato con il birth control o family planning per indicare prima l’intenzione di “non avere figli” poi la mentalità contraccettiva, richiama alla possibilità di conoscere l’andamento della fertilità e dell’infertilità nella consapevolezza che non si rifiuta la vita concepita in un periodo fertile né la si pretende quando la fertilità è assente. La procreazione responsabile, in definitiva, dovrebbe riferirsi alla fertilità e all’infertilità come due facce della stessa medaglia, poiché sul piano biologico invita a conoscere le leggi della trasmissione della vita e a rispettarle.
Alla luce di una corretta interpretazione della legge italiana sull’aborto non esistono vincoli specifici a che gli ospedali pubblici abbiano in servizio esclusivamente i prevalentemente medici obiettori di coscienza all’aborto. La normativa impegnata dal Governo della Sicilia assume quindi un’importanza particolare anche perché la Regione presenta una delle più alte percentuali di obiettori a livello nazionale.
Come si può leggere nell’ultima relazione del Ministero della salute, «nel 2022, la quota di ginecologi obiettori di coscienza risulta pari al 60,5%, inferiore rispetto al 63,6% dell’anno precedente, ma ancora elevata e con notevoli differenze tra le Regioni: le percentuali più alte di ginecologi obiettori di coscienza si rilevano in Molise (90,9%) e Sicilia (81,5%); le percentuali più basse in Valle d’Aosta (25,0%) e Provincia Autonoma di Trento (31,8%)». A motivo di tale persistente fedeltà dei medici italiani al “giuramento di Ippocrate” l’Italia è stata ripetutamente condannata dal “Comitato europeo dei diritti sociali” per aver violato il diritto alla salute delle donne che vogliono abortire, riconoscendo che esse incontrano «notevoli difficoltà» nell’accesso all’IVG a motivo dell’alto numero di medici obiettori di coscienza.
La legge approvata dalla Regione Siciliana a fine maggio prevedeva non solo che le aziende sanitarie espletassero concorsi dedicati a medici non obiettori, ma anche l’obbligo vessatorio per le stesse di sostituzione del personale medico qualora avesse cambiato idea (in senso prolife) una volta entrato in servizio. Il Governo ha impugnato la legge spiegando che l’obbligo di assumere medici non obiettori precludeva ai medici obiettori la possibilità di partecipare ai concorsi. Toccherà ora alla Corte costituzionale esprimersi sulla costituzionalità della legge, che resta per ora in vigore.
Ricordiamo in conclusione che è la stessa legge 194 a prevedere l’istituto dell’obiezione di coscienza all’aborto, un diritto (questo sì) contemplato da quasi tutte le leggi occidentali che hanno legalizzato l’aborto. L’art. 9 della legge 194/1978, infatti, riconosce al personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie che «non è tenuto a prendere parte […] agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. […] L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento». Chiaro che con l’avvento dell’aborto farmacologico, cioè della così detta “pillola abortiva” RU 486 e similari, si pongono altrettante delicate questioni etiche e di coscienza. Nondimeno preservare a livello costituzionale il principio della non discriminazione a livello professionale dei medici obiettori all’aborto costituirebbe una preziosa precondizione ad ulteriori progressi nell’ampia gamma della difesa e promozione della vita umana innocente.

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