lunedì 18 marzo 2024

Mons. Giusti, vescovo di Livorno, a "schiena dritta" con gli atei




Mons. Simone Giusti, Vescovo di Livorno, prende una decisione difficile e giusta in questi tempi tristi, rifiutando un assurdo protocollo con gli atei e viene attaccato da Arci Atea (vedere sotto, non sapevamo che l'Arci avesse un settore dedicato agli atei, pensavamo che si limitassero ai gay e alle lesbiche).
Notate, in fondo all'articolo, "dio" scritto minuscolo.
Luigi C.


 18 MARZO 2024




ArciAtea, 13-3-24

Il vescovo cattolico di Livorno Simone Giusti non intende sottoscrivere un protocollo con il Comune e con le altre confessioni religiose e orientamenti filosofici aconfessionali; perché non vuole dialogare con i “senza Dio”? perché vuole mantenere una “posizione privilegiata“ nei confronti delle altre confessioni religiose?

La storia è un po’ complessa, vediamola in sintesi. A Livorno esiste dal 2006 un tavolo delle religioni presieduto dal sindaco, che coinvolge numerose confessioni religiose ma non le associazioni degli atei e agnostici. Nel 2019 è stato stipulato un contratto fra Azienda USL Toscana NordOvest e Comune di Livorno, in rappresentanza del “Tavolo delle religioni” per l’assistenza spirituale e morale alle persone credenti e non credenti, affidando in comodato d’uso al Tavolo un locale nell’ospedale, denominato “Sala multireligiosa”.

È opportuno ricordare che i servizi di assistenza religiosa o spirituale assicurati a non cattolici, almeno nel SSN, si applicano anche ai non credenti in base all’art 38 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, combinato con l’art.3 della Costituzione Italiana e in base all’art.52 c.2 del Trattato Costituzionale Europeo, ratificato dal Parlamento italiano il 7 aprile 2005, che equipara lo status delle associazioni filosofiche non confessionali a quello delle confessioni religiose.

Il Gruppo nazionale di lavoro per la stanza del silenzio e dei culti e ArciAtea APS, sono intervenuti per superare l’esclusione delle associazioni aconfessionali (nel caso ArciAtea e UAAR); il 30 ottobre 2020 si è tenuto a Livorno un importante convegno in materia, i relativi atti sono stati pubblicati nel settembre 2022.

Il Comune di Livorno e le confessioni religiose aderenti al Tavolo hanno accolto queste sollecitazioni. Il 10 ottobre 2023 è stata concordata la bozza di “un nuovo Protocollo d’Intesa, già risultato di precedenti confronti tra Amministrazione e partecipanti, che garantisca una maggiore inclusività riconoscendo la volontà di Confessioni di fede e di Associazioni filosofiche aconfessionali di aderire anche formalmente al Tavolo”. L’ampliamento del “Tavolo delle religioni e delle spiritualità” (questa è la nuova denominazione) è stato recepito dal Comune di Livorno con la delibera del 1° dicembre 2023.

Poi – sorprendentemente, visto che questo percorso era stato condiviso anche dal rappresentante della chiesa cattolica – il vescovo di Livorno ha comunicato, con una lettera privata al sindaco, che non avrebbe firmato. Gli altri partecipanti al Tavolo hanno scritto al vescovo (“Desideriamo pertanto invitarla a prendere parte alla prossima riunione del Tavolo per poterci comunicare personalmente le Sue perplessità sul nuovo Protocollo e per avviare un confronto che porti a ritrovare un accordo tra tutti gli aderenti sulla natura e gli scopi del Tavolo”) ma senza ottenere risposta. Sembra che l’ostacolo alla sottoscrizione sia la presenza di associazioni atee; se così fosse, la decisione del vescovo contrasterebbe con le tante entusiastiche comunicazioni sulle “aperture” ecumeniche della chiesa cattolica.

L’ecumenismo della chiesa cattolica – al di là delle varie suggestioni offerte dalla comunicazione e rilanciate dai media compiacenti – sembra quindi essere niente altro che il desiderio di riportare nel proprio ovile le “pecorelle smarrite”, cioè non un vero dialogo per una comune ricerca, ma un percorso per riaffermare la propria Verità Assoluta. Questo “ecumenismo” si rivolgerebbe, a cerchi concentrici, innanzi tutto ai cristiani scismatici, poi un po’ agli abramitici (ebrei, cristiani e musulmani), poi forse un po’ talvolta anche agli altri credenti; ma i miscredenti in dio, portatori del relativismo del pensiero scientifico della modernità, sembra che debbano restare fuori anche dell’ultimo cerchio.





Sì a eutanasia e fecondazione artificiale, la Rivoluzione di Paglia



Il divieto di eutanasia provoca danni peggiori dei benefici; via libera alla fecondazione omologa: sono le clamorose affermazioni contenute nel libro La gioia della vita, riflessione comune dei teologi della Pontificia Accademia per la Vita (Pav). E anche la Bibbia si può correggere. Ormai siamo nell'eresia conclamata.


PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA

ECCLESIA 



Tommaso Scandroglio, 18-03-2024

La gioia della vita è un testo pubblicato il mese scorso e «frutto della riflessione comune di un gruppo qualificato di teologhe e teologi riunitosi per iniziativa della Pontificia Accademia per la Vita», come si legge nel risvolto di copertina. Un testo nato come base per i lavori del seminario della Pontificia Accademia per la Vita (Pav) del 2021 ed ora pubblicato per celebrare l’imminente 30° anniversario dell’Evangelium vitae (non il 25° come scrive mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pav). Gli errori presenti in questo testo sono così numerosi e gravi che di certo non si può ritenere il volume Gioia della vita celebrativo del pensiero di Giovanni Paolo II.

Per motivi di spazio dobbiamo concentrarci solo su alcune tematiche e pure in modo parziale. La prima: l’eutanasia. Vietare o non vietare? Il testo afferma che è bene non vietare perché «potrebbero risultare danni maggiori al bene pubblico e alla convivenza civile, amplificando la conflittualità o favorendo forme clandestine di pratiche ufficialmente illegali» (p. 150). Ma Tommaso d’Aquino, spesso citato a sproposito nel volume ma non in questo caso, dice: «[sono proibiti quei vizi] dannosi per gli altri, senza la cui proibizione non può sussistere l’umana società, quali l’omicidio, il furto e simili» (Summa Theologiae, I-II, q. 96, a. 2 c.).

L’eutanasia è un omicidio e quindi come tale deve essere sempre vietato anche se, per ipotesi, tale divieto aumentasse la conflittualità civile e fomentasse l’eutanasia clandestina (a margine: tutti gli omicidi sono clandestini) perché senza il divieto si distruggerebbe il bene comune. Legittimare l’eutanasia? «Ha lo svantaggio di “avallare” e in qualche modo giustificare una pratica eticamente controversa o rifiutata. […] Si pone comunque l’interrogativo se la responsabilità penale e civile – per esempio nel caso dell’assistenza al suicidio – non potrebbe essere sfumata, entro limiti chiaramente fissati e a conclusione di un dibattito culturale e politico-istituzionale» (p. 151).
Non è lecito interrogarsi sulla legittimazione del suicidio assistito: l’unica opzione moralmente valida è il suo divieto.

Si esprime poi favore per l’interruzione della nutrizione, idratazione e ventilazione assistita, perché tali interventi mirano a «focalizza[rsi] sul mantenimento di funzioni dell’organismo, considerate isolatamente. Vengono così persi di vista la globalità della persona e il suo bene complessivo» (p. 173). Ma nutrizione, idratazione e ventilazione assistite, eccetto nei casi rari in cui sono interventi sproporzionati, sono supporti vitali necessari e doverosi da fornire. Toglierli significa, come vogliono far intendere gli autori del testo, uccidere la persona per non farla più soffrire. Significa eutanasia.

In merito al rispetto del principio di proporzione nelle terapie per non cadere nell’accanimento terapeutico si afferma che per decidere della proporzione della cura la parola finale spetta sempre al paziente (cfr. pp. 85, 148-149, 172). Ciò può essere vero in taluni casi, ad esempio in merito alle terapie antalgiche, ma non è sempre vero come invece vuole indicare il testo; perché il paziente, seppur informato, potrebbe errare nella valutazione della proporzionalità, ad esempio rinunciando a farsi amputare un braccio in cancrena per salvarsi la vita perché ritenuto da lui stesso intervento sproporzionato. Infine si esprime un favore assoluto verso le Dichiarazioni anticipate di trattamento, le Dat (cfr. p. 149).

Le posizioni favorevoli all’eutanasia qui espresse sono ovviamente contrarie al contenuto di Evangelium vitae, testo che si vuole celebrare con queste pagine.

In aperta contraddizione con lo scritto di Giovanni Paolo II e con tutta la dottrina morale della Chiesa cattolica in materia è anche l’apertura senza riserve alla fecondazione artificiale seppur omologa: «Nella procreazione assistita omologa nelle sue varie forme […] la generazione non viene artificiosamente separata dal rapporto sessuale, perché questo “è di per sé” infecondo. Al contrario la tecnica agisce come una forma di terapia che permette di rimediare alla sterilità, non sostituendosi al rapporto, ma permettendo la generazione» (p. 130).

In primo luogo è da specificare che nel rapporto sessuale tra marito e moglie dove l’uno o entrambi sono sterili o la donna infertile, il rapporto per sua natura rimane fecondo: è essenzialmente fecondo ed accidentalmente infecondo a motivo di patologie o di interventi chirurgici o dell’età. Dunque non «”è di per sé” infecondo» come scrive la Pav. In secondo luogo anche ammettendo – ipotesi fantasiosa – che il prelievo dell’ovocita e degli spermatozoi avvenga dopo un rapporto sessuale e si proceda quindi al concepimento in vitro, il momento unitivo viene separato da quello procreativo, perché quest’ultimo avviene non a seguito del rapporto sessuale, bensì a seguito dell’intervento del tecnico di laboratorio. Qui la medicina non aiuta a compiere ciò che si compie per virtù propria (come avviene nell’inseminazione artificiale dove il concepimento – il momento topico del passaggio tra essere e non essere – avviene nel corpo della donna grazie alla mobilità degli spermatozoi e non grazie all’intervento dell’uomo), ma, contrariamente a quanto scritto in Gioia della vita, la medicina si sostituisce ad un atto ed ai suoi naturali sviluppi che non è lecito sostituire. Inoltre nella fecondazione artificiale il concepimento non avviene nell’unico luogo consono alla dignità della persona, ossia nel corpo della donna, ma al di fuori di esso.

Queste posizioni aberranti e non cattoliche in ambito bioetico derivano da una visione antropologica altrettanto aberrante. Il punto di partenza è il seguente: si celebra «il primato dell’esperienza della vita e della vita credente» (p. 13). Il primato non è in Dio, bensì nell’esperienza, non nella trascendenza ma nell’immanenza. Ma cosa vuol dire in antropologia “esperienza”? Vuol dire l’Io che decide di compiere delle scelte, degli atti. Allora al centro dell’antropologia troviamo l’Io che diventa atto, la libertà autoreferenziale, l’Io coincide con l’atto in relazione con altri Io-atti, travolgendo così la prospettiva cattolica e non solo che vede la persona come sostanza individuale di natura razionale: «Un’ermeneutica della persona in termini di libertà-in-relazione rappresenta un superamento definitivo della nozione tradizionale di persona come rationalis naturae individua sostantia. La persona non deve essere compresa alla luce delle categorie sostanzialiste, ma piuttosto in termini di un processo storico. […] Il passaggio da un’interpretazione di persona in termini di sostanza ad una in termini di atto comporta la consapevolezza che la comprensione di persona implica, in ultima analisi, una valenza pratica e non teorico oggettivante. […] L’identità umana non è data una volta per sempre, ma ha un’originaria forma storica e narrativa» (p. 94).
La persona in quanto tale non è data per sempre, ma si costruisce da sé nelle scelte in relazione con gli altri: «L’essere umano esiste nella differenza della relazione» (Ib.).

Sotto questa angolatura anti-metafisica perché storicistica, non c’è più l’esse, ma l’agere: la prassi e quindi l’esistere vincono sull’essere. Ed ecco perché la pastorale vince sulla dottrina, il processo sulla norma, la volontà sull’intelletto, la storia sulla geografia, il tempo sullo spazio (cfr. Papa Francesco Evangelium Gaudium, n. 222).
Questa prospettiva antropologica di matrice fichtiana dove l’Io pone se stesso e lo assolutizza, dove la persona è autofondativa – ossia costitutivamente composta dalle sue azioni, ontologicamente essere in azione – è logicamente errata perché prima c’è l’essere e poi l’azione. È la persona che permette l’atto e la relazione, non sono l’atto e la relazione a fondare la persona, questa è anteriore alle scelte e alle relazioni.

Se al centro dell’antropologia troviamo l’Io-atto in relazione ne consegue che al centro della morale troveremo una coscienza che sceglie l’atto in relazione con le altre coscienze e le contingenze, un soggettivismo etico in perenne dialogo. Chiamasi «fenomenologia della coscienza morale» (p. 19). E in modo più analitico: «l’ingiunzione etica […] appartiene alla coscienza umana e non può essere ridotta a una legge astratta separata dall’esperienza, personale e culturale» (p. 17); «esiste un accesso fenomenologico al linguaggio normativo, perché così che si affrontano le rivendicazioni morali. […] Il linguaggio morale di regole e norme è riferito in modo costitutivo alla realtà dell’interazione umana e della comunicazione delle esperienze etiche e sulla nozione di bene umano» (p. 90); «gli standard dell’agire morale vengono acquisiti storicamente, attraverso un processo di verifica all’interno di una comunità la cui esperienza diventa uno dei punti di riferimento per l’articolazione dottrinale del magistero stesso» (pp. 91-92); «la legge […] è il frutto del dialogo delle coscienze. Il rapporto tra la coscienza e la legge [morale] deve essere pensato in modo dialettico» (p. 96).

Il risultato è il seguente: «La conoscenza stessa esercita una funzione attiva e costitutiva nei confronti della verità» (p. 91). Dunque l’atto conoscitivo non riconosce la verità, ma la crea. La verità, anche quella morale, quindi non è più adaequatio rei et intellectus, dove la realtà è anteriore alla conoscenza, bensì la verità è prodotto posteriore all’attività conoscitiva in confronto costante con gli altri e il contesto. L’oggettivo viene scalzato dal soggettivo (cfr. p. 84).

In tal senso i principi primi della legge naturale evaporano (cfr. p. 93) e con essi le azioni intrinsecamente malvagie – a cui in tutto il testo non si fa mai cenno – e lasciano posto alle norme particolari prodotte dalla coscienza in confronto dialettico con altre esperienze (cfr. pp. 96-97), una coscienza che non ha più come paradigma valoriale la natura umana e nemmeno come vedremo i Comandamenti divini, ma l’Io stesso in relazione con le altre coscienze e la situazione specifica. È il famigerato processo del discernimento che porta all’etica della situazione: «analizzando [l’atto nelle circostanze concrete], un tale atto “oggettivamente” fuori norma può rivelarsi legittimo» (p. 102). Da qui, ad esempio, la interpretazione velatamente pro contraccezione delle parole di Paolo VI, contenute in un suo discorso del 31 luglio del 1968 tenuto per spiegare il senso dell’enciclica Humanae vitae (cfr. noa n. 28 p. 85), e le aperture su eutanasia e fecondazione artificiale.

Questa antropologia e questa teoria morale soggettivista e quindi relativista non solo necessariamente si pongono in antitesi con il Magistero di sempre, ma inevitabilmente anche con le Sacre Scritture e quindi con il diritto divino positivo che non può più affermare verità immutabili, ma solo contingenti. La coscienza storica del soggetto in relazione con le altre coscienze che opera in una certa circostanza particolare non può che storicizzare anche la Rivelazione sulle tematiche di morale. Nello scritto è esplicitato chiaramente: «per noi oggi dovrebbe essere impossibile trattare le Scritture come proposte e norme senza tempo, pretendendo di estrarne delle verità immutabili. […] Sembra che il messaggio biblico si elabori, si approfondisca attraverso il tempo, secondo un percorso di riscritture e riformulazioni. La verità rivelata è una verità che si matura, che si sviluppa progressivamente, a costo di essere corretta da un momento all’altro. Questo vale anche per le parole poste sotto l’autorità di Mosè, che trasmettono anche i comandamenti di Dio» (pp. 22- 23).

Questa è un’eresia perché la Pav asserisce che si possa correggere la verità rivelata – e si può correggere solo ciò che è errato – ma nella Bibbia in materia di fede e morale non ci sono errori. È una eresia perché contraddice il dogma dell’inerranza biblica: «Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle Sacre Lettere» (Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 11). E sul versante morale ciò vuol dire che, come esplicitamente dichiarato dalla Pav, anche i Dieci comandamenti possono essere superati.






domenica 17 marzo 2024

Le cure "gender" nell'ospedale del Papa. "La transizione? Giusto non ostacolarla"






"Uno staff di psicologi e psichiatri affronterà i disagi degli adolescenti. "Poi rilasceremo un certificato di idoneità all'avvio della terapia ormonale"".
 
QUI dal sito del Gemelli l'annuncio ufficiale: "Al termine del percorso verrà rilasciato un certificato circa la tipologia e la durata dell’iter intrapreso e le condizioni cliniche dell’utente". In altre e più semplici parole verrà rilasciato il CERTIFICATO per procedere nei centri specializzati per il cd. "cambio di sesso"
Non siamo su "Scherzi a parte", ma nell'ospedale Gemelli, l'ospedale dove vengono curati i Papi, di proprietà della Università Cattolica e attiguo al Vaticano.

Ed è inutile che Francesco parli contro il gender: alle parole DEVONO seguire i fatti, altrimenti è una presa in giro per tutti noi cattolici. E per le povere vittime bambini che sono "stuprate" da queste folli sperimentazioni. Dopo che persino in Gran Bretagna e in Svezia hanno fatto marcia indietro (QUI e Il Timone QUI).

Luigi C.




Maria Sorbi, Il Giornale, 13 Marzo 2024

I dubbi sull'identità di genere e il desiderio di un cambio di sesso verranno affrontati nell'ospedale del Papa. A conferma di un'apertura, non scontata, verso le problematiche gender della generazione Z. Al policlinico Gemelli di Roma apre un poliambulatorio dedicato alla disforia.

Una équipe multidisciplinare di psicologi e psichiatri comincerà un percorso con gli adolescenti in crisi di identità, coinvolgerà le loro famiglie, cercherà di capire da cosa nasce il disagio nel proprio corpo. E alla fine, dopo un iter che durerà qualche mese (a seconda dei casi), rilascerà un certificato. Una sorta di diagnosi nulla-osta che le famiglie potranno presentare negli istituti clinici in cui si effettuano le terapie ormonali di avvio alla transizione di genere.

In sostanza, si vuole scavare a fondo sulle cause e la convinzione dei ragazzi per fare in modo che una scelta così importante non sia superficiale. Soprattutto dopo le indagini aperte su alcuni centri di cura, tra cui l'ospedale Careggi di Firenze, in cui si sospetta che la triptorelina venisse somministrata senza rispettare le procedure dell'Aifa. Cioè senza un percorso di psicoterapia. «È bene dirlo subito: il nostro obbiettivo principale è affrontare il profondo dolore che affligge i ragazzi con disforia di genere - spiega Gabriele Sani, ordinario di Psichiatria all'università Cattolica e direttore dell'unità operativa di Psichiatria clinica e d'urgenza della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli - Non vogliamo essere in alcun modo un centro di coercizione. Non intendiamo condizionare nè dissuadere nessuno. Il nostro percorso sarà una riflessione condivisa per andare a fondo del disagio».

A seconda dei casi, lo staff di psichiatri e psicoterapeuti chiederà l'affiancamento di un endocrinologo, di un nutrizionista o di uno specialista che può aiutare a completare il quadro clinico. «La disforia di genere è solo l'ultima manifestazione di un profondo processo di trasformazione socio-culturale che dalla nascita di internet in poi ha promosso un nuovo modo di pensare, di comunicare e di percepire la realtà - afferma Federico Tonioni, ricercatore di Psichiatria all'Università Cattolica e dirigente medico della UOC Psichiatria clinica e di urgenza della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS - Hikikomori, Disturbi dell'apprendimento e disforia di genere sembrano muoversi su quel confine sottile che separa le sorprendenti potenzialità evolutive dell'essere umano dalla possibile genesi di nuove psicopatologie. E come spesso accade questi due ambiti sono destinati a sovrapporsi. Ci avviciniamo all'apertura di questo nuovo servizio animati dal bisogno di comprendere, lontani da qualsiasi pregiudizio e nel rispetto di ogni individualità, consapevoli di lasciare ai giovani di oggi un mondo sempre più difficile da abitare».





Il Cardinale Fernandez: "Ad aprile un documento sulla dignità umana




Lo ha confermato il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede al National Catholic Register. Vedi testi correlati, il primo con osservazioni specifiche: qui - qui - qui.




Edward Pentin, 17 marzo 2024

Il prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, cardinale Fernandez, ha confermato che un documento vaticano sulla "dignità umana" è quasi completo e sarà pubblicato all'inizio del prossimo mese.
Il cardinale argentino Victor Manuel Fernandez, che sta supervisionando la stesura del testo, ha dichiarato al National Catholic Register il 7 marzo che il documento ha avuto "diverse versioni" ma "è quasi finito e la pubblicazione avverrà all'inizio di aprile".

Il cardinale, che ha iniziato il suo lavoro come prefetto del dicastero a settembre, ha detto che un "nuovo testo" è stato preparato "negli ultimi mesi" ed "è già stato discusso dai cardinali e vescovi” in una riunione periodica del mercoledì. "Al momento stiamo incorporando alcuni suggerimenti proposti", ha aggiunto.

I suoi commenti arrivano dopo che, in un'intervista del 12 gennaio, aveva rivelato che il suo dicastero stava preparando "un documento molto importante sulla dignità umana che contiene "una forte critica alle tendenze immorali della società contemporanea".

Il cardinale ha dichiarato all'agenzia di stampa EFE che il nuovo documento "non include solo questioni sociali, ma anche una forte critica a questioni morali come il cambiamento di sesso, la maternità surrogata, le ideologie di genere ". Il corrispondente di La Croix, Loup Besmond, ha osservato in un articolo del 5 marzo che i teologi hanno lavorato al documento negli ultimi cinque anni e che il cardinale Fernandez lo ha "completamente rivisto e che il Papa gli ha dato istruzioni "specifiche per farlo"".

"Si dice che il prossimo documento si concentrerà su questioni centrali per il pontificato di Francesco, come le migrazioni e l'ambiente, mentre la prima versione si limitava a questioni bioetiche", ha scritto Besmond, prevedendo che il nuovo testo potrebbe "provocare maggiore agitazione in tutta la Chiesa".

Il cardinale Fernandez ha assistito a lungo Papa Francesco nella stesura di documenti, a partire dalla Conferenza di Aparecida del 2007 dei vescovi dell'America Latina e dei Caraibi, quando aiutò l'allora cardinale Jorge Mario Bergoglio a redigere il documento finale dell'assemblea.

Da quando è succeduto al cardinale Luis Ladaria Ferrer come prefetto a settembre, il cardinale Fernández ha emesso quattro risposte formali del Dicastero a varie questioni dottrinali, oltre alla controversa dichiarazione Fiducia Supplicans sulla benedizione delle coppie omosessuali e irregolari, che ha portato a un documento successivo destinato a contribuire a chiarire la dichiarazione.

Nell'intervista rilasciata a gennaio a EFE, il cardinale Fernández ha dichiarato di non prevedere altri documenti controversi: "Non credo che in futuro sarò al centro delle cronache perché non prevediamo che il dicastero abbia questioni che potrebbero essere molto controverse, come le ultime".


Città del Vaticano, sabato, 9. marzo, 2024 14:00 (ACI Stampa)







sabato 16 marzo 2024

Il Sinodo avanza e il copione è già scritto dalla regia



Un nuovo documento e una lettera in vista del secondo round del processo sinodale. Dai cinque temi indicati e dal metodo è già chiaro dove si andrà a parare: la continua evoluzione (o dissoluzione) della fede.


INNESCARE PROCESSI

ECCLESIA 



Stefano Fontana, 16-03-2024

Il percorso sinodale procede. La segreteria generale del Sinodo ha pubblicato il documento dal titolo Come essere Chiesa sinodale in missione? in vista della seconda sessione del sinodo prevista per il prossimo ottobre. Su questa base dovrebbe partire la nuova fase di consultazione per arrivare poi alla redazione del nuovo Instrumentum laboris. Nello stesso tempo Francesco ha inviato una lettera al cardinale Mario Grech, segretario generale del sinodo, disponendo che vengano costituiti dei gruppi di studio sinodali per analizzare alcuni punti indicati nella stessa lettera. La complessità di questi temi, secondo Francesco, richiederà un approfondimento specifico per il quale i lavori del sinodo sarebbero poco adatti. Partiranno quindi in via parallela questi gruppi di studio che in ottobre riferiranno al sinodo quanto da loro elaborato nel frattempo e potranno continuare i lavori anche in seguito, fino al giugno 2025. Che ormai il sinodo si avvicini molto ad essere un processo “permanente” risulta così ancora più evidente.

Le molteplici critiche rivolte al progetto sinodale in corso, tra cui quelle della Bussola soprattutto con il convegno romano del 3 ottobre 2023 La babele sinodale, possono essere riassunte in due. La prima è che la definizione della nuova sinodalità come un “camminare insieme” dà la priorità al verbo camminare, non indica tanto una realtà quanto un percorso o meglio una realtà che nasce da un percorso. Si dice, infatti, che la Chiesa è sinodale mentre invece essa è una, santa, cattolica e apostolica e, in quanto tale, ha anche una sinodalità, senza però essere sinodale, come ha una conciliarità, senza però essere conciliare. Dando la precedenza all’atto piuttosto che al contenuto, la nuova teologia della sinodalità assume in proprio l’impostazione del modernismo filosofico e teologico secondo il quale il metodo viene prima del contenuto, il pensare prima dell’essere, il fare prima della realtà, l’interpretare prima del conoscere e, per dirla con Cornelio Fabro, l’esistenza prima dell’essenza. La cosa non è da prendere sottogamba, dato che si tratta, in fondo, del principio di immanenza.

La seconda principale critica riguarda la regia del processo sinodale fatta dal centro con una pianificazione sistematica in modo tale da condurlo verso risultati prestabiliti, facendo credere che tali esiti siano nati dal percorso stesso. I dati a conferma di questa valutazione sono innumerevoli, dalle nomine dei responsabili principali ai “facilitatori” ai tavoli di lavoro, dai documenti pontifici fatti uscire durante i lavori sinodali per fissare dei punti di non ritorno alle dichiarazioni di intenti esternate alla stampa durante qualche intervista. Per fare un solo esempio: tutti sanno già da ora che dal sinodo uscirà la decisione di ordinare le donne diacono. Papa Francesco lo ha fatto capire più volte ed è emerso anche il modo per farlo: inventarsi un diaconato femminile “non sacramentale”. A questo penserà il cardinale Fernández che già si è inventato una benedizione “non liturgica”. La nomina del nuovo prefetto della Dottrina della Fede, dopo quella del relatore e del segretario del sinodo, ambedue fedeli “sinodalisti”, garantisce che la strada per attuare quanto si è deciso che il sinodo deciderà si troverà, in un modo o nell’altro.

Non si pensi che i due punti ora visti siano in contrasto tra loro: dire che la sinodalità è un processo e contemporaneamente dirigerla in via preventiva. Se una realtà diventa un processo storico, colui o coloro che presumono di conoscere il senso di questo processo storico non solo possono ma devono condurlo ai suoi esiti. Alla logica dello storicismo non si sfugge.

Ora, se esaminiamo i due nuovi documenti, la lettera del Papa a Grech e il documento della segreteria in vista della nuova fase del sinodo, si trova conferma delle osservazioni ora fatte. La segreteria indica cinque temi di analisi e discussione e di ognuno si può già individuare dove andrà a parare. Il primo punto – “Il volto sinodale missionario della Chiesa locale” – è destinato a condizionare il ruolo del vescovo ponendogli attorno nuovi “organismi di comunione” che lo immobilizzino e lo uniformino ad uno standard. Il secondo punto – “Il volto sinodale missionario dei raggruppamenti di Chiese” – è destinato ad “anglicanizzare” la Chiesa cattolica, attribuendo alle Conferenze episcopali poteri dottrinali e disciplinari, cosa su cui Francesco insiste fin da sempre. Tra l’altro l’espressione “raggruppamenti di Chiese” mette in grave agitazione. Il terzo punto – “Il volto sinodale missionario della Chiesa universale” – finirà con una revisione del primato del vescovo di Roma a fronte di un aumento di ruolo di organismi sinodali e collegiali. Il quarto punto – “Il metodo sinodale” – confluirà in una prassi generalizzata di “discernimento” dagli esiti non solo consultivi ma anche deliberativi. L’ultimo punto – “Il ‘luogo’ della Chiesa sinodale in missione” – ci porta alla “situazione” esistenziale e storica come luogo ermeneutico dell’autocomunicazione di Dio e quindi della formazione della coscienza credente. Quest’ultimo punto mira a consegnare l’esperienza di fede nella Chiesa alla insuperabile relatività della situazione e alla mutevole storicità come luogo teologico di una fede sempre in evoluzione.





venerdì 15 marzo 2024

Sorpresa in Francia: i giovani cattolici riscoprono il digiuno




NEWS 15 Marzo 2024 




 di Giuliano Guzzo 

«La Quaresima è molto di moda tra i giovani cattolici». No, non si tratta del giudizio di qualche sognatore né della valutazione di qualche gruppetto cristiano di nicchia, bensì della sorprendente osservazione svolta in uno dei Paesi più secolarizzati del mondo – la Francia – ad opera non già di qualche bollettino parrocchiale ma del più antico giornale d’Oltralpe, Le Figaro. L’articolo in questione, firmato da Jean-Marie Guénois, non ha affatto tono ironico. Al contrario, è dominato da un sentimento di curiosità, anzi potremmo anche dire di stupore rispetto al periodo quaresimale.

«Pensavamo che questa pratica di privazione di quaranta giorni, tra il Mercoledì delle Ceneri e la Domenica di Pasqua fosse finita», scrive Guénois, «ma eccola riprendere forza in questa generazione, sebbene nutrita dai beni materiali e dall’infinita facilità delle applicazioni digitali». Le Figaro, che non è affatto un giornale di apologetica come invece è il nostro mensile, non effettua queste considerazioni così sulla base di mere impressioni. Prima d’arrivare a scrivere che «la Quaresima è molto di moda tra i giovani cattolici», il giornale ha ricevuto unanime consenso da parte di diversi sacerdoti, incluso Thibaut de Rincquesen, ex cappellano accademico della Sorbona.

Proprio Rincquesen ha confermato come il punto, qui, non sia tanto la Quaresima bensì un nuovo interesse per la fede dei giovani, e non solo di quelli che provengono da un ambiente cattolico. Quest’anno a Parigi ci sono state il 25% in più di richieste di battesimo degli adulti rispetto all’anno scorso. La situazione, ha spiegato sempre il sacerdote a Le Figaro, appare simile anche in altre diocesi che attualmente è parroco nella parrocchia di Saint-Gerain-des-Prés. Non resta che credere a queste testimonianze, visto e considerato che abbiamo anche altri riscontri di una fede cattolica dinamica.

Basti pensare al pellegrinaggio annuale, di Chartres, percorso a piedi in tre giorni lungo i 100 km circa che separano la cattedrale di Notre-Dame a Parigi dalla cattedrale di Notre-Dame a Chartres: da chiesa a chiesa, da gotico a gotico, da Nostra Signora a Nostra Signora. Un evento molto caro ai più devoti, e che, se nel 2019 aveva raccolto già circa 10.000 persone, nell’edizione del 2023 di pellegrini ne ha registrati oltre 16.000, facendo segnare un aumento del 60%, tanto che l’associazione Notre-Dame de Chrétienté, gli organizzatori dell’evento – che riunisce gran parte degli istituti religiosi e dei gruppi di laici legati alla Messa “in rito antico” –, ha dovuto chiudere le iscrizioni.

Anche questo ritrovato vigore del mondo della tradizione, attenzione, non deve meravigliare. Come infatti abbiamo potuto esporre – dati e statistiche alla mano – sul nostro mensile, esiste ormai una robusta e pluridecennale serie di evidenze alla luce delle quali è possibile non solo pronosticare ma già constatare come, nell’Occidente laico e secolarizzato, la sola fede cristiana destinata a sopravvivere sia quella forte; viceversa, quella liquida e progressista appare destinata ad estinguersi, finendo sostanzialmente fusa e confusa con quella stessa cultura dominante che guarda con immeritata simpatia.

Tornando alla Francia e alla Quaresima «molto di moda tra i giovani cattolici», Le Figaro riporta anche che la stessa Chiesa non si aspettava che la giovane generazione potesse riscoprire l’importanza delle pratiche di digiuno. Invece, a quanto pare, così sta avvenendo. Certo, «i giovani cattolici» che stanno vivendo la Quaresima con tanto impegno saranno una quota largamente minoritaria in Franca. Ma il fatto stesso che vi siano, e siano sufficientemente impegnati da attirare l’attenzione del più antico quotidiano di un Paese che ha appena inserito l’aborto in Costituzione – e che ora spinge per più eutanasia -, lascia immaginare che no, il secolarismo non sarà l’ultima parola. Il futuro della Francia, e probabilmente dell’Europa, cammina già su gambe giovani e devote.

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La dignità umana: osservazioni in vista del nuovo documento vaticano








Di Andrea Mondinelli, 15 MAR 2024

“Dignità della persona” è una delle espressioni più inflazionate e sconosciute nel loro significato. In bioetica tutti la utilizzano e la invocano: sia coloro che combattono contro l’eutanasia, sia coloro che la sostengono. Dignità della persona, infatti, è espressione anfibologica, ossia un’espressione contenente un’ambiguità sintattica o semantica e dunque interpretabile in modi diversi a seconda del modo di leggerla. La nozione di dignità non è univoca, se così non fosse non accadrebbe che alcuni, in nome della dignità, invocassero ad esempio l’eutanasia come diritto umano e altri, in nome della stessa dignità, all’opposto la considerassero un delitto. Non è questione di applicazione del termine, ma del suo significato. “Le parole sono la sola cosa per la quale valga la pena combattere”[1], come diceva Chesterton. Ne va del destino dell’uomo. Partiamo dalla definizione riportata dalla Garzanti: 1. nobiltà morale che deriva all’uomo dalla sua natura, dalle sue qualità, e insieme rispetto che egli ha di sé e suscita negli altri in virtù di questa sua condizione: comportarsi con dignità; una persona priva di dignità; difendere la propria dignità”.

La dignità, secondo tale definizione, deriva dalla natura stessa dell’uomo. Stessa cosa si legge nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “L’unico e sufficiente titolo necessario per il riconoscimento della dignità di un individuo è la sua partecipazione alla comune umanità”. Ma è veramente così? Tali definizioni ci dicono da dove la dignità deriva senza, però, dimostrarlo. Diventa significativo il terzo significato riportato dalla Garzanti: “3. (non com.) principio filosofico generale; postulato, assioma”.

La dignità è un postulato od un’assioma? La risposta a questa domanda è decisiva. Secondo la filosofia scolastica, la dignità è un’assioma, che è “verità, principio che per la sua evidenza non ammette discussioni (filos., mat.) verità di per sé evidente e indiscutibile, che sta alla base di ogni dimostrazione” . I medievali per significare il primato assoluto di questi principi usarono il temine dignitas, li chiamarono dignitates, ciò che per noi è “assioma” per i medievali era “dignitas”. “Dignità” vuol dire “non dipendere da nessuno”; un mezzo dipende da chi lo usa, se c’è qualcosa che non dipende da nessuno certo non è un mezzo; da qui deriva il fatto che la persona non può essere un mezzo ma deve essere sempre un fine.

Problema risolto? Per nulla! In che cosa consiste questa dignità? Bisogna trovare nell’uomo qualche cosa che lo renda a tal punto assoluto da non appoggiarsi solamente su se stesso. Allora diventa chiaro che la dignità della persona umana è strettamente, metafisicamente legata alla presenza intima di Dio nell’uomo. Paolo Pasqualucci, in un suo ottimo libro[2], cita padre Serafino Lanzetta: “La dignità umana deve esser rinvenuta nel momento iniziale della creazione, quando Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza, elevandolo in tal modo alla condizione della giustizia originaria. Con il peccato, l’uomo ha perduto la giustizia e ha perduto la sua dignità, che gli sarà restituita da Cristo con la grazia santificante. Così l’uomo viene giustificato e ricreato grazie a Dio nella giustizia e nella verità, costituendo esse la radice della sua dignità”.

Continua Pasqualucci: “L’autentica concezione cristiana dell’uomo, in quanto natura creata, sulla quale fondare in modo corretto il concetto della dignità, è dunque così articolata: una natura pura, creata da Dio, cui si aggiunge la natura creata ed elevata da Dio, capace del bene come del male a causa della libertà di cui gode ma già orientata verso il fine sovrannaturale, costituito dalla vita eterna nella Visione Beatifica. Questa concezione è unitaria nonostante debba distinguere tra natura, preternaturale, sovrannaturale. Ecco, dunque, l’emergere della vera dignità dell’uomo. Era quella dell’uomo eletto ad essere “immagine e somiglianza di Dio” grazie ai doni preternaturali. Dopo il peccato di disobbedienza, l’immagine, significante la condizione della semplice natura creata, corpo e anima, è rimasta, sia pure con le limitazioni imposte dalle conseguenze della Caduta, mentre la somiglianza, nella quale si attuava lo stato di giustizia e santità originarie, è andata perduta. E con ciò la vera dignità dell’uomo è stata ferita. L’equilibrio tra uomo e Dio, quale si aveva nell’Eden, è scomparso. Questa è dunque la verità da ristabilire a proposito del concetto cattolico della dignità dell’uomo: non esiste una dignità dell’uomo in sé, in quanto uomo”.

Se si toglie di mezzo Dio la dignità scade a postulato, che è una “proposizione non dimostrata e non dimostrabile che viene ammessa come vera, in quanto necessaria per dimostrare un fatto, una teoria ecc.” . Questa accezione che tanto piace al mondo laico, perché toglie di mezzo Dio, allo stesso tempo depotenzia in maniera spaventosa il concetto di dignità, che, diventando una semplice convenzione umana, non è più un principio primo, non è più né verità, né virtù. Infatti, mentre l’assioma è verità indiscutibile, il postulato è solamente ammesso come vero, non è vero di per sé. Quel come è molto significativo, perché ci ricorda Gen. 3,4-5: “Ma il serpente disse alla donna: Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”. La dignità come postulato è una moneta falsa, taroccata e manipolabile. Ora, si capisce il motivo della contraddizione da cui siamo partiti: la parola dignità è la stessa, ma il significato, il concetto che esprime è sottilmente diverso, è quasi uguale, ma come ci ricorda bene G.K. Chesterton: “La falsità mai è tanto falsa quanto più è vicina alla stessa verità. Quando il dardo colpisce vicino al nervo della verità, la coscienza cristiana grida alto per il dolore”[3].

Abbiamo eliminato l’equivoco: è l’uomo stesso che, normatore di se stesso (autonomos), dichiara chi ha o non ha dignità, in base ad una convenzione consensuale o meno. Per rendersene conto, basta cogliere il pensiero dei campioni bioeticisti della cultura della morte. T.H. Engelhardt dichiara che i diritti di non interferenza possono trovare attuazione anche in assenza di convergenze non puramente formali su una nozione di bene. Basta il riconoscimento che, quando ci incontriamo come stranieri morali, noi possiamo derivare una comune autorità morale dal consenso, anche se non riusciamo a metterci d’accordo su come derivarla da Dio o dalla ragione. Ed uno dei “consensi” riportati nel suo manuale di bioetica è il seguente: “Non tutti gli esseri umani sono persone. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non-persone umane. Tali entità sono membri della specie umana, ma non persone autonome e quindi degne di tutela”[4]. Togliere di mezzo Dio, come fondamento della dignità umana, porta ad un vero e proprio delirio di onnipotenza laicista: “uccidere un neonato con malformazioni non è moralmente equivalente a uccidere una persona. E molto spesso non è per niente sbagliato”[5].

L’unico modo di contrastare questa vera e propria follia è quello di essere testimoni coraggiosi e senza cedimenti della verità tutta intera, usando bene quel grande dono di Dio che è la ragione umana, illuminata dalla fede.

In conclusione, un abisso separa la concezione cristiana della dignità dell’uomo da quella laica, oggi dominante. Ecco il punto fermo da tener presente: il fondamento della dignità della persona risiede in Dio e, di conseguenza, il concetto della nostra dignità è inseparabile dall’illustrata dialettica di peccato e redenzione.



[1] Cit. da M. De Corte ne “Della Prudenza. La più umana delle virtù”, Edizioni Piane.

[2] P. Pasqualucci, La falsa dignità. Una visione dell’uomo spesso fraintesa, ed. Fede & Cultura.

[3] G.K. Chesterton, San Tommaso d’Aquino.

[4] T.H. Engelhardt, Manuale di bioetica, p. 126.

[5] P. Singer. Etica pratica pag. 140, ed. italiana