mercoledì 31 ottobre 2012

LA DISOBBEDIENZA AL PAPA





di P. Giovanni Cavalcoli, OP

Il Concilio Vaticano II, come ci dicono gli studiosi, nel campo dell’ecclesiologia ha avuto tra le altre la funzione di completare l’opera del Concilio Vaticano I, il quale, come è noto, fu interrotto a seguito dell’ingresso in Roma delle truppe piemontesi.

Così il Vaticano II, dopo che il Concilio precedente aveva trattato dei poteri del Papa, passò a trattare di quelli delle altre compagini ecclesiali, cominciando, come sappiamo, dalla dottrina del Popolo di Dio, ossia la Chiesa come insieme dei fedeli, e poi le funzioni dei vescovi, dei presbiteri, dei religiosi e dei laici: un corpo di dottrina imponente ed importantissimo, che ci fa meglio conoscere con ordine e le dovute distinzioni, quali sono i vari ministeri, uffici, servizi, missioni e carismi strutturali della Chiesa.

Con ciò il Concilio ha voluto valorizzare, attivare e stimolare, nella loro giusta autonomia ma anche nelle reciproche relazioni, tutte le energie, le forze e le potenzialità della Chiesa, così da assicurarle quel nuovo slancio evangelizzatore e missionario che notoriamente fu, secondo le indicazioni del Beato Giovanni XXIII, uno degli scopi se non proprio lo scopo principale del Concilio. In questa linea di potenziamento delle strutture della Chiesa il Concilio elaborò una più approfondita dottrina del Collegio episcopale e della Chiesa locale. Da ciò poi son nate le Conferenze episcopali nazionali.

Tuttavia, a mio modesto avviso, in questo enorme corpo di dottrina, nel momento in cui si ribadivano con totale chiarezza il primato, le prerogative ed i poteri del Romano Pontefice, si trascurò di proporre una sufficiente dottrina circa quell’indispensabile strumento del suo magistero e del suo governo che è la Curia Roma con l’insieme dei suoi dicasteri e dei suoi uffici, a cominciare dalla Segreteria di Stato.

E’ vero che immediatamente dopo la fine del Concilio vi provvedette saggiamente Paolo VI, che pur veniva su dalla Segreteria di Stato, ma - benché io non sia un esperto in questo campo - devo esprimere la mia modesta opinione che non so quanto tale riforma sia stata veramente efficace. Ci si doveva liberare dalla secolare antipatia nei confronti della Curia Romana che risaliva addirittura alla nascita del luteranesimo e forse non si ebbe il coraggio di dare a questo preziosissimo organismo, che media fra il Papa e il Popolo di Dio, la sufficiente funzionalità, energia e chiarezza.

Impressionati dallo stantio luogo comune anticlericale della “prepotenza della Curia Romana”, la riforma ha prodotto una Curia troppo debole e scarsamente utile per una conduzione efficace della Chiesa da parte del Papa, mentre sono eccessivamente emerse le istanze dell’episcopato e dei teologi, i quali in certi casi hanno sottovalutato e visto male quell’organo di governo del Papa.

Questa lacuna, secondo me, è uno dei motivi che sono all’origine della nefasta separazione che sarebbe sorta in modo drammatico dall’immediato postconcilio e che dura a tutt’oggi, fra il Papa e suoi immediati, fidati e fedeli collaboratori da una parte - in fin dei conti la Curia esiste ancora! - e dall’altra il resto del Popolo di Dio, a cominciare del collegio cardinalizio ed episcopale, per arrivare a tutte le altre componenti del corpo ecclesiale.

E’ successo così, e questo tutti lo hanno notato, che la giusta valorizzazione del Popolo di Dio promossa dal Concilio, in molti casi è stata falsificata da uno stile e da un’impostazione di eccessiva autonomia nei confronti della S.Sede, per non dire di aperta disobbedienza e ribellione con contestazioni di ogni sorta, sia nel campo disciplinare che, e ciò è molto peggio, addirittura nel campo della dottrina della fede.

Il Papa ha cominciato a restare isolato, inascoltato, disatteso, addirittura tradito. Basti per tutti l’orrendo episodio di Paolo Gabriele col processo che ne è seguito, dal quale sembrerebbe risultare che egli avrebbe agito “da solo”, cosa assurda solo che qualunque persona di buon senso rifletta sull’accaduto, del resto reso noto dagli stessi organi del Vaticano: come si può pensare che un qualunque oscuro - che però doveva essere fidatissimo - domestico privato del Papa abbia potuto da solo per scopi suoi privati sottrarre furtivamente al Sommo Pontefice per sei anni 82 scatoloni di documenti privati e segreti, probabilmente molto importanti, senza che nessuno in Segreteria di Stato se ne sia accorto? Che cosa se ne faceva Gabriele di tutto questo immenso delicatissimo materiale? Voleva mettere su un archivio storico per conto suo?

E chi vi parla è uno che ha lavorato in Segreteria di Stato per otto anni, dal 1982 al 1990. A chi la si vuol dare ad intendere? Perché non riconoscere piuttosto in quanto è avvenuto un fatto orribile ed inaudito, che certamente ha procurato un’enorme sofferenza al Vicario di Cristo, da lui sopportata con altissima dignità? Perché non si trovano commenti autorevoli di questo episodio? Non è forse il caso di fare ulteriori indagini per togliere quella “sporcizia” della quale parlò il Papa in una famosa omelia?

Non sarà forse questa la punta dell’iceberg della ribellione che da tempo si è insinuata nei confronti del Papa persino tra i suoi stretti collaboratori? Non si nota forse da tempo dissenso e contrasto col Papa persino il alcuni Cardinali? Non c’è ribellione al Papa persino negli Ordini che tradizionalmente sono stati il suo braccio destro, come i Domenicani e i Gesuiti?

Questa volta i modernisti infiltrati persino nella Segreteria di Stato, sentendosi sicuri, hanno fatto un imperdonabile passo falso, per il quale adesso non può essere tutto come prima, benché essi siano riusciti ad far fare un processo giudiziario in un settimana, ingenuamente lodato per la sua velocità da parte di certi giuristi italiani: per forza! si è voluto coprire tutto il più presto possibile, nella speranza (vana) che questo imbarazzante episodio sia dimenticato quanto prima. Ma, come dice il proverbio: “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Si è trovato lo zampino, ora bisogna trovare la gatta.

Un giorno in Segreteria di Stato vidi per caso un appunto al Papa del Cardinal Domenicano Luigi Mario Ciappi, degnissima persona che mi onorava della sua amicizia. Era il Teologo della Casa Pontificia. Il biglietto diceva con tono allarmato e la franchezza tipica del Domenicano: “Santità, ci sono deviazioni dottrinali persino nella Facoltà Teologiche Pontificie”.

La cosa tragicomica è che i modernisti si permettono di disobbedire tranquillamente al Papa anche in materia di fede, mentre guai a chi disobbedisce loro, sempre in materia di “fede”, naturalmente la “fede” come la intendono loro, che comporta ogni genere di deviazione dalla autentica ortodossia. In tal modo essi da una parte lasciano parlare o difendono gli eretici, e dall’altra vorrebbero chiudere la bocca ai difensori del Papa, del Magistero e della sana dottrina. La situazione sta diventando intollerabile. Occorre veramente una “riscossa cristiana”!

Il Papa solo com’è, con traditori in casa, difficilmente è in grado di difendere i buoni e di correggere i ribelli. Egli certo ci dà ottime direttive. Gli strumenti per conoscere la sana dottrina non mancano. E’ carente lo strumento per far osservare la disciplina e per correggere i devianti. Con questo non nego i grandi meriti della Congregazione per la Dottrina della fede. Ma essa va aiutata, sostenuta, incoraggiata, perché più volte è stato notato da saggi osservatori come il personale stesso di questo importantissimo Organismo sembri troppo scarso ed impari alla massa enorme di questi problemi che si accumulano in questo settore fondamentale dell’“obbedienza della fede” (Rm 1,5; 15,18; II Cor 10,5; I Pt 1,22).

Obbedire al Papa, quando ci parla come Vicario di Cristo, mette in gioco la nostra obbedienza a Cristo come Mastro della Fede. La nostra fede di cattolici in Cristo ci è mediata dalla nostra obbedienza al Papa, s’intende in quanto ci insegna il Vangelo. E’ ovvio che al di fuori di questo altissimo ufficio che caratterizza il Papa in quanto Papa, egli è una persona fallibile e può fungere semplicemente, come si sul dire, da semplice “dottore privato”, come appare chiaramente dai libri, pur sempre belli e importanti, che Benedetto XVI, “Ratzinger”, come dice significativamente il sottotitolo, ha scritto su Gesù Cristo, invitando il lettore ad entrare in discussione con lui, cosa che evidentemente non farebbe se ci parlasse come Maestro della Fede e dall’altra parte come un teologo così grande come lui non potrebbe avere la libertà di esprimere le sue opinioni?

Indubbiamente questa duplice linea di insegnamento del Papa può essere fraintesa da cattolici sprovveduti. Per questo motivo, credo, i Papi del passato si sono sempre astenuti dallo scrivere libri su quel tono, anche se ovviamente in altri documenti ordinari non sempre hanno impegnato la loro infallibilità pontificia.

Tuttavia oggi possiamo pensare ad un Popolo di Dio abbastanza maturo per saper apprezzare non solo l’insegnamento ufficiale del Papa, ma anche le sue discutibili opinioni, soprattutto se si tratta di un teologo di prima grandezza, come Ratzinger, forte peraltro di una ventennale esperienza fatta alla CDF.

Le istanze autoritative intermedie che stanno tra il Papa e il Popolo di Dio, benché ovviamente non siano dei semplici meccanici trasmettitori delle direttive e degli insegnamenti pontifici, devono oggi comprendere, in molti casi, laddove esse sono inquinate dal modernismo, che se vogliono aver autorità presso i fedeli e i sudditi, esse per prime devono obbedire al Papa e alla S.Sede.

Diversamente il fedele avveduto non potrà seguirli, ed è pronto anche a subire persecuzione, come purtroppo sta avvenendo in molti casi. Per farsi santi occorre saper soffrire anche da parte dei fratelli senza avere la timidezza o l’opportunismo di uscire dal sentiero della verità disobbedendo al Vangelo insegnato dal Successore di Pietro.


Riscossa cristiana    30 ottobre 2012

S. Messa in Rito Romano antico alla Badia di Vaiano



Propositura della Badia di San Salvatore Vaiano 
Museo della Badia di Vaiano 
Associazione pro Museo della Badia di Vaiano 



Domenica 11 novembre 2011 
Festa di San Salvatore 
S. Messa in Rito Romano antico 
ore 11:15 


 Nell'Anno della Fede da poco inaugurato dal papa Benedetto XVI per ricordare i cinquanta anni dall'apertura del Concilio Vaticano II, in occasione della festa di San Salvatore, titolare dell’antica abbazia benedettina-vallombrosana, torna per il quinto anno consecutivo la S. Messa in Rito Romano antico in latino, cosiddetto Rito Damaso-Gregoriano, la cui celebrazione si è mantenuta sostanzialmente intatta dall’epoca apostolica, attraverso l’opera di riordino dei papi San Damaso (366-384) e San Gregorio magno (590-604) e del Concilio di Trento (1543-1565), fino ad oggi. 

 Domenica 11 novembre alle ore 11:15 nella chiesa dell’antica abbazia di San Salvatore si potrà assistere ad un rito suggestivo e solenne: nuovamente si sentiranno risuonare le parole latine del sacerdote che celebra la Messa rivolto verso Oriente da dove proviene “il sole che sorge”, simbolo di Cristo stesso, secondo il rito bimillenario della Chiesa Cattolica rivisto dal B. Giovanni XXIII nel 1962 all’apertura del Concilio Vaticano II e liberalizzato da Papa Benedetto XVI nel 2007 con il motu proprio Summorum Pontificum. 

 Ed anche i fedeli potranno partecipare attivamente con la preghiera, con i canti dell'Ordinario e con le risposte al sacerdote: a questo scopo saranno messi a disposizione appositi foglietti e libretti con la traduzione in Italiano. Anche quest'anno partecipa la Società Corale Corte Bardi di Vernio, diretta dal M° Elisabetta Ciani. 




 Alla fine della Messa sarà possibile venerare la reliquia del crocifisso miracoloso conservata per secoli dai monaci vallombrosani di Vaiano. Alla fine della Messa verrà distribuita, con una piccola offerta, un'artistica cartolina de Il Miracolo del Crocifisso di Beirut, affresco manierista del chiostro mediceo. Ciò avviene perché il papa attuale Benedetto XVI con un atto giuridico per tutta la Chiesa Cattolica chiamato “motu proprio” del 7 luglio 2007, ed entrato in vigore il 14 settembre dello stesso anno, ha reso libera anche nella chiese parrocchiali la celebrazione della Messa latina secondo l’antico rito romano, considerando che “la liturgia celebrata secondo l’uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni” e per tale motivo “ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande”. L’esigenza è nata anche dal fatto che - come scrive il papa - “anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro”. 


 Per la celebrazione, in pieno accordo con il Proposto di Vaiano don Carlo Bergamaschi, è stato invitato un sacerdote pratese don Enrico Bini, Parroco della chiesa dello Spirito Santo a Prato e storico della chiesa, autore di numerose pubblicazioni. L’occasione per questa celebrazione è data dalla festa di San Salvatore, titolare dell’antica abbazia benedettina e vallombrosana, che per secoli è stata celebrata dai monaci di Vaiano: la data del 9 novembre era una delle scadenze dell’anno in cui i contadini che coltivavano terre del monastero dovevano consegnare come canone di affitto una parte del raccolto ed avevano diritto in quel giorno ad una merenda dai monaci consistente in pane e pecorino e un bicchiere di vino. Questa festa, secondo gli studi pubblicati da Adriano Rigoli, rimanda all’antichissima devozione del Crocifisso di Beirut che è legata alla fondazione stessa del monastero in epoca altomedievale fra la fine dell’VIII-inizio del IX secolo, operata da una schiatta gentilizia longobarda ricondotta all’ortodossia calcedonese da missionari provenienti dal Medioriente, molto probabilmente dal Libano, che portarono le loro devozioni come quella del Salvatore di Beirut e della storia agiografica ad esso legata. Nel chiostro della Badia di Vaiano, in occasione dei recenti restauri, è venuto alla luce un affresco cinquecentesco che rappresenta proprio l’evento miracoloso di Beirut e ancora oggi si ricorda, proprio per questo motivo, la visita a Vaiano nel 2004 del vicario maronita della diocesi di Beirut mons. Toubia Abi Aad. Sappiamo che di questo evento miracoloso si discusse al II concilio di Nicea convocato nel 787, con il consenso anche del Pontefice Adriano I e la partecipazione di trecentodieci vescovi, nel quale fu fissata la dottrina tradizionale riguardo alla venerazione delle immagini sacre: ancora oggi nelle Chiese orientali a ricordo di questo concilio e per la venerazione delle icone viene celebrata una grande festa la prima domenica di Quaresima, detta appunto la “Festa dell’Ortodossia”. Per Vaiano riguardo a questa festa, la cui data tradizionale è il 9 novembre, abbiamo numerose informazioni: così sappiamo che Guccio di Domenico mugnaio e Piero suo fratello da Savignano, due dei lavoratori che tenevano in affitto beni del monastero dovevano pagare come canone ogni anno 60 staia di grano (oltre litri 24 lo staio, in tutto litri 1440) e “oltre al detto grano dee dare l’anno paia due di buoni veri e grassi capponi per la festa di san Salvatore”. Nel 1410, in uno dei momenti più difficili economicamente per la storia del monastero, abbiamo la “lista della spesa” di quello che fu acquistato per rendere più solenne la festa: oltre alle spese eminentemente liturgiche, che comprendevano 7 candele per la chiesa (sette candele erano indispensabili per la celebrazione della Messa Pontificale da parte dell’abate), circa 1,5 Kg di “candele minute” per i fedeli che le accendevano dietro offerta e circa 200 g. di incenso” per la Messa solenne, anche la parte, se vogliamo, profana degli acquisti, tra cui una grande quantità di carne (vitella, arista, sugnaccio, “capi e piedi di porco”), formaggio (compresi 1,5 Kg di Parmigiano), 20 arance (allora una vera e propria rarità) e per finire circa 400 g. di spezie tra “spezie dolci”, “spezie forti” (comprendenti pepe, cannella e chiodi di garofano) e zafferano. 

 (testo di Adriano Rigoli)

martedì 30 ottobre 2012

Intervista di Paix Liturgique a don Nicola Bux




Favorire la rinascita del sacro nei cuori

fonte: Paix Liturgique lettera n. 35

All'udienza generale dello scorso 3 ottobre, Benedetto XVI ha voluto sottolineare la centralità della liturgia, e ha insegnato che essa "non è una specie di 'auto-manifestazione' di una comunità", ma "implica universalità e questo carattere universale deve entrare sempre di nuovo nella consapevolezza di tutti. La liturgia cristiana è il culto del tempio universale che è Cristo Risorto, le cui braccia sono distese sulla croce per attirare tutti nell’abbraccio dell’amore eterno di Dio. E’ il culto del cielo aperto". È estremamente significativo che un discorso così denso sia stato pronunciato proprio nell'imminenza dell'apertura dell'Anno della Fede: ciò testimonia del ruolo fondamentale che Benedetto XVI assegna alla liturgia nel suo magistero e anche nella nuova evangelizzazione.
A cinque anni dall'entrata in vigore del Motu Proprio e in vista dell'ormai imminente pellegrinaggio "Una cum Papa nostro", che porterà a Roma il "popolo del Summorum Pontificum", abbiamo chiesto a uno dei più profondi conoscitori del pensiero liturgico del Papa, don Nicola Bux, di fare il punto sullo status quaestionis. Autore del best-seller "La riforma di Benedetto XVI. La liturgia tra innovazione e tradizione", Don Nicola è, fra l'altro, Consultore dell'Ufficio per le celebrazioni liturgiche del Santo Padre e della Congregazione per il Culto Divino.

1) Don Nicola, 49 anni dopo la sua promulgazione, la costituzione apostolica Sacrosanctum Concilium sembra ancora essere lettera morta in tante diocesi del mondo. Per non parlare della riforma della riforma di Papa Benedetto, della quale lei è un ardente promotore, che fatica ad arrivare nelle nostre parrocchie: in Italia come in Francia, pochi altari e santuari sono stati ripristinati per rispondere all'invito papale a una maggiore solennità del culto liturgico. Come spiega questa distanza tra gli orientamenti liturgici romani e la realtà delle messe domenicali?

Risposta: La Chiesa, lo sappiamo dalla sua storia, si sviluppa mediante riforme e non rivoluzioni, diversamente dal mondo.Perchè sono i suoi uomini a dover cambiare il cuore e la mente, e poi ciò influisce positivamente sul cambiamento delle strutture: un cambiamento che è come lo sviluppo organico del corpo, senza abnormità o sussulti. Così avviene per la sacra liturgia: si sviluppa in modo quasi impercettibile da forme preesistenti; se invece ce se ne accorgesse bruscamente, vorrebbe dire che non è avvenuto un 'aggiornamento' ma un cambiamento da una cosa ad un'altra, per cui la norma della preghiera (lex orandi) non corrisponde alla norma del credo (lex credendi). Si è caduti in errore e persino in eresia.
Dell'opera di riforma di papa Benedetto XVI, non solo della liturgia ma della Chiesa, visto lo stretto rapporto tra le due, ci si accorge che non è altro che l'attuazione della Costituzione liturgica del Vaticano II, solo se interviene la osservazione appena indicata. Il problema pertanto non è innanzitutto di ripristinare l'altare in modo che si possa celebrare nelle due forme del rito romano, ma di favorire la rinascita del sacro nei cuori, ossia la percezione che Dio è presente tra noi e quindi il culto è divino, la liturgia è sacra se riconosce la Sua presenza, cioè la adora, e implica gli atteggiamenti conseguenti: inginocchiarsi, raccogliersi, far silenzio, ascoltare ecc. Quanto alla distanza tra la liturgia papale e quelle locali, c'è da riflettere: siamo cattolici se riconosciamo il primato del Successore di Pietro, ossia la responsabilità personale datagli dal Signore sulla Chiesa universale; ora, se nella Chiesa universale vi sono diversi riti in specie orientali, a capo dei quali stanno i patriarchi, a capo di quello romano c'è il Vescovo di Roma che, celebrando in san Pietro o nei viaggi apostolici, opera la salvaguardia dell'unità sostanziale del rito romano nelle diversità locali (cfr SC 38). Per queste ragioni, la liturgia celebrata dal Vescovo di Roma, non solo è esemplare ma typica, ovvero normativa, in quanto attua le prescrizioni dei libri liturgici, come tutti sono tenuti a fare ovunque, se sono cattolici.

2) Si sa bene ormai che il Santo Padre propone e non impone. Così sembra fare il Culto divino che pubblica molti documenti ma senza ricorrere a misure normative, pensiamo in particolare alla questione della comunione in mano che è emblematica di un abuso divenuto legge. Da due anni, lei è consultore della Congregazione per il Culto Divino: qual è il potere reale della Congregazione in materia?

Risposta: Il Santo Padre non propone sue idee sulla liturgia, ma custodisce e innova (? n.d.r.) quanto la Chiesa riceve dalla tradizione apostolica e da Gesù stesso. Nè una proposta nè una imposizione, bensì l'obbedienza a Qualcosa che viene sempre prima di noi e che da noi è ricevuto. I documenti dei dicasteri della Curia romana devono solo tradurre in atto tutto ciò, incluse le misure normative e le sanzioni previste dal diritto canonico. Un esempio: l'Istruzione Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare nella Ss. Eucaristia. Chi è al corrente, per esempio, della differenza tra legge e indulto? Perciò non sa risolvere la questione del modo di fare la S.Comunione.
Il punto è che oggi va ricompreso nella liturgia non solo, ma nella Chiesa, il diritto di Dio, il suo primato e le conseguenze che ha sull'etica come sul culto a lui dovuto. Possiamo noi inventarci la legge morale? Nemmeno dunque potremmo inventarci il culto senza cadere nel peccato di farci un dio a modo nostro, ossia l'idolatria. Su questa questione per fortuna proprio Joseph Ratzinger aprì il dibattito con il noto testo Introduzione allo spirito della liturgia; raccolto esemplarmente dal cardinal Raymond Leo Burke ne: La Danza vuota intorno al Vitello d'Oro, ed.Lindau, e recentemente dal libro di Daniele Nigro, I diritti di Dio. La liturgia dopo il Vaticano II, ed.Sugraco.

3) Nella lettera ai vescovi che accompagna il Summorum Pontificum, il Santo Padre invitava all'arricchimento mutuo delle due forme dell’unico rito romano ma per arrivare a quest'arricchimento ci deve prima essere un incontro fra le due liturgie. Come si fa se la forma straordinaria rimane fuori dalle parrocchie: non è la messa parrocchiale il luogo naturale per quest'incontro?

Risposta: Il Santo Padre ha ripristinato il rito romano celebrato fino al Vaticano II, definendolo 'forma extraordinaria' rispetto a quella ordinaria uscita dalla riforma post-conciliare. Lo ha fatto perchè consapevole a motivo degli studi fatti e dei rapporti con insigni studiosi della liturgia, alcuni dei quali periti conciliari, che non erano soddisfatti di quanto si era riformato, ma nemmeno dello stato precedente: si pensi a Joseph Andreas Jungmann, autore di Missarum Sollemnia. Di qui la ragione innanzitutto dell'arricchimento mutuo tra le due forme, da perseguire con avvedutezza e pazienza, cosa che avviene celebrandole entrambe come sta già avvenendo dappertutto. Non è vero che il Papa ha pubblicato il Motu proprio per fare un piacere alla Fraternità Sacerdotale San Pio X: è del tutto alieno dal suo stile e dal suo pensiero. E' vero invece che deve portare la pace in tutta la Chiesa, dopo decenni di abusi e teoremi, resistenze e indulti. L'incontro tra le due forme avviene semplicemente celebrandole da parte del medesimo sacerdote e offrendole ai fedeli. Ma ci vorrà tempo per prepararsi, perchè molti ecclesiastici non conoscono più il latino; e si devono preparare anche i fedeli all'attuazione piena dei n 36 e 54 della Costituzione liturgica che prevedono l'affiancamento delle lingue correnti al latino, lingua dell'unità della Chiesa universale. Domando: è più giusto che in un santuario come Lourdes si celebri la Messa 'internazionale', in più lingue, sicchè ogni gruppo ne capisca la quinta parte? Oppure una Liturgia cattolica, nella lingua latina che fa sentire tutti membri dell'Una Santa Cattolica e Apostolica? Per mettere i fedeli in condizione di capire, è necessario cominciare con sussidi bilingue, e in ogni cattedrale e parrocchia si arrivi a celebrare la Messa secondo il dettato del n 36, come sta facendo il Papa ovunque vada. Questo si può fare anche col Messale di Paolo VI editio typica latina. Perchè la Chiesa universale deve ricorrere all'inglese, quando ha la sua koinè nella veneranda lingua latina?

4) A inizio settembre, ha partecipato a un incontro in Brasile sul Summorum Pontificum, promosso da alcuni vescovi: può dirci che cos'ha visto e imparato da questo viaggio?

Risposta: Ho imparato ancora una volta come sia vero ciò che dice il Signore nell'Apocalisse: "Ecco io faccio nuove tutte le cose" (21,5). Dove primeggiava la teologia della liberazione, si va affermando la Messa in forma extraordinaria, in molte città del Brasile. Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli laici in modo sereno e costruttivo attuano l'insegnamento di Benedetto XVI, si celebra nelle due forme del rito romano e si affronta il dibattito secondo il metodo suggerito da san Pietro: Adorate nei vostri cuori il Signore Cristo, sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi, con dolcezza, rispetto e buona coscienza (cfr 1 Pt 3,15-16).

5) Infine, sabato 3 novembre, in basilica vaticana, il cardinale Cañizares, Prefetto del Culto divino, celebrerà la forma straordinaria in chiusura del pellegrinaggio del popolo Summorum Pontificum a Roma. Che cosa le suggerisce questa notizia: possiamo vedere in questo gesto di colui che è il custode della liturgia per il Santo Padre un esempio dello spirito autentico della comunione ecclesiale che è tanto mancata nel tormentato post-concilio?

Risposta: Il gesto del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti vuole dimostrare una voltà di più che nessuno è di troppo nella Chiesa, come disse il Papa ai Vescovi francesi nel suo viaggio in Francia nel 2008. La sacra liturgia si differenzia dalle devozioni private per il fatto che è il culto pubblico della Chiesa e non la devozione di singoli, di gruppi o di movimenti. A questi possono essere stati concessi alcuni adattamenti, ma nella salvaguardia dell'unità del rito romano nelle sue due forme ordinaria e extraordinaria. Non sono ammesse altre forme per gruppi particolari. Tuttavia ritengo che per il Papa l'urgenza grande è che il rito romano innanzitutto nella forma ordinaria sia celebrato con fede, dignità e osservando le prescrizioni dei libri liturgici.
In tal modo, la Messa in forma extraordinaria promossa dal Coetus Internationalis Summorum Pontificum deve rappresentare un segno di obbedienza e comunione col Papa. Senza la comunione affettiva ed effettiva col Sommo Pontefice e i Vescovi uniti con lui, non si può dire d'essere cattolici. Chiederemo istantemente al Signore l'unità - viene da unus cioè stare insieme intorno ad Uno - e la pace, sinonimo della comunione - viene da cum-munera - mettere insieme i carismi di ciascuno. E speriamo che cessino le rivalità e l'autoaffermazione, e si promuova la fraternità tra tutti nella carità di Cristo, a cominciare dal proprio ambiente, regione e nazione.

"Tutto è diventato così avvizzito". Il filosofo Spaemann a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II




In una recente intervista rilasciata da Robert Spaemann al giornale Die Welt (26 ottobre 2012), il filosofo tedesco spiega perché a suo giudizio non c'è motivo, a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II, per una celebrazione giubilare: "tutto infatti è divenuto così avvizzito... È subentrata nella Chiesa un'epoca del tramonto. Persone che negano la risurrezione di Cristo rimangono professori di teologia e predicano come sacerdoti. Persone che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciate fuori dalla Chiesa. Qui c'è qualcosa che non va". Vediamo in dettaglio l'intervista in una nostra traduzione:


Die Welt: Lei era a Roma per la celebrazione del giubileo del Concilio Vaticano II. Per lei personalmente un motivo per festeggiare?

Robert Spaemann: In verità no. Si deve dire apertamente in primo luogo che si è introdotta un'epoca del tramonto. Una celebrazione giubilare non può far assolutamente niente di fronte al fatto che migliaia di sacerdoti già durante il Concilio hanno lasciato il loro ministero.

Die Welt: Quale la responsabilità del Concilio a tal proposito?

Robert Spaemann: Fu parte di un movimento, che ha avvolto l'intero mondo occidentale, parte della cultura della rivoluzione. Papa Giovanni XXIII disse allora che fine del Concilio era l'aggiornamento della Chiesa. Questo fu tradotto da molti con adattamento, adattamento al mondo. Ma questo fu un malinteso. Aggiornamento significa: opposizione della Chiesa al mondo, che sempre ha avuto e sempre deve avere, attualizzandola per il nostro tempo. Questo è il contrario di adattamento.

Die Welt: Giovanni XXIII certamente nel suo stesso discorso di apertura del Concilio ha risvegliato le attese che si trattasse di adattamento.

Robert Spaemann: Questo è vero. Giovanni XXIII era un uomo profondamente devoto. Ma era impresso di un ottimismo che presto già lo si poteva definire scellerato. Questo ottimismo non era giustificato. Nelle cose ultime la prospettiva storica cristiana suona conforme al Nuovo Testamento: alla fine ci sarà un grande apostasia, e la storia si scontrerà con l'Anticristo. Ma di questo il Concilio non fa parola. Si è eliminato tutto ciò che alludeva a lite e conflitto. Si è voluto benedire lo spirito del mondo emancipatore e culturalmente rivoluzionario.

Die Welt: Se in Germania come all'inizio dell'anno un tribunale giudica che la Chiesa cattolica può essere chiamata impunita setta di pedofili nessuno protesta. Questo ha qualcosa a che fare con lo spirito del Concilio Vaticano II?

Robert Spaemann: Sì. Il Concilio ha indebolito i cattolici. La Chiesa si è sempre trovata in un combattimento, un combattimento spirituale, non militare, ma una lotta. L'Apostolo Paolo parla delle armi della luce, l'elmo della fede ecc. Oggi la parola "nemico" è diventata indecente, il comandamento "Amate i vostri nemici" non può essere più impiegato perché non siamo più autorizzati ad avere nemici. Per i cosiddetti cattolici progressisti c'è in realtà ancora solo un nemico: i tradizionalisti. Questo è sì un'eredità del Concilio. Certamente noi cristiani per le offese della fede e della Chiesa non dovremmo usare nessuna violenza. Ma protestare dovrebbe essere possibile.

Die Welt: I testi che il Concilio dopo lunghe discussioni ha approvato sono vaghi compromessi. Chi ha vinto, riformatori o tradizionalisti?

Robert Spaemann: Nessuno dei due. Entrambi gli schieramenti hanno agito al Concilio come politici. Questo vale soprattutto per il partito dei progressisti. Quando per una decisione potevano prevedere di non ottenere la maggioranza, hanno introdotto nella decisione di compromesso alcune clausole generali, da cui sapevano, che dopo il Concilio poteva essere ammollita. Hanno spesso lavorato in modo cospirativo. E hanno fino a oggi la prerogativa dell'interpretazione sul Vaticano. Gradualmente tuttavia si instaura una nuova coscienza. Lentamente si cessa di mentire nelle proprie tasche. Tutto è diventato così avvizzito: uomini che negano la risurrezione di Cristo possono rimanere professori di teologia cattolici e predicare come sacerdoti durante le Messe. Persone che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciate fuori dalla Chiesa. Qui certo qualcosa non funziona.

Die Welt: Cosa intende quando dice che i novatori avrebbero una prerogativa di interpretazione sul Vaticano?

Robert Spaemann: Le porto tre esempi. Oggi viene detto spesso che il Concilio avrebbe eliminato il celibato. Si dovrebbe solo condurre fino in fondo gli accenni di allora. A tal proposito mai prima alcun concilio ha difeso il celibato con così tanto rilievo. Secondo esempio. I vescovi tedeschi hanno annunciato nella cosiddetta dichiarazione di Königstein che l'insegnamento della Chiesa in materia di "pillola" non è vincolante. Il Concilio aveva detto proprio il contrario, ovvero che l'insegnamento della Chiesa in questa domanda obbliga in coscienza i cattolici. O, terzo esempio: ognuno sa che il Concilio ha autorizzato la lingua del popolo nella liturgia. Solo alcuni sanno: il Concilio ha soprattuto asserito che la lingua propria della liturgia della Chiesa occidentale è e riamane il latino. E Papa Giovanni XXIII ha appositamente scritto un'enciclica sul significato del latino per la Chiesa occidentale.

Die Welt: Cosa le disturba soprattutto?

Robert Spaemann: Non penso a singole scelte. Maggiormente a ciò che veramente è stato fatto dal Concilio. Forse si deve ricominciare a leggere i testi originali. Già alla fine del Concilio si è sollevato, come scrive Joseph Ratzinger, come un certo spettro, che si chiama "spirito del Concilio" che, molto condizionato, aveva a che fare solo con decisioni fattuali. Spirito del Concilio significa: la volontà del nuovo. Fino ad oggi i cosiddetti riformatori si richiamano attraverso tutte le possibili idee di riforma allo spirito del Concilio e intendono con ciò adattamento. Oggi però abbiamo bisogno del contrario del "mondanizzarsi della Chiesa", che già Lutero deplorava. Abbiamo bisogno di ciò che il Papa chiama "fine della mondanizzazione" (Entweltlichung).

Die Welt: Lei ha scritto: "L'autentico progresso rende talvolta necessarie le correzioni di corso e in talune circostanze anche passi indietro" Come può la Chiesa invertire rotta?

Robert Spaemann: Fondamentalmente deve fare quello che sempre ha fatto: deve sempre tornare indietro. Vive dei Santi, che sono modello del tornare indietro. Non è in ordine se la Chiesa in Germania, a cui appartiene la Casa Editrice "Weltbildverlag", si sostiene per anni mediante la vendita del porno. Per dieci lunghi anni i cattolici hanno informato di questo i vescovi e non è successo niente. Ora che il tutto viene fuori il segretario della Conferenza Episcopale Tedesca ha fatto di questi fedeli con disprezzo dei fondamentalisti. Che ora viene introdotta questa prassi di vendita ha a che fare poco evidentemente con il tornare indietro.



Fonte: Die Welt

lunedì 29 ottobre 2012

È morto don Renato Gargini




Questa mattina è tornato alla casa del Padre don Renato Gargini. Canonico della cattedrale di San Zeno dal 27 Settembre 1957. Nato l'8 Settembre 1925 a Casalguidi (Pt), era stato ordinato prete il 29 giugno 1949. Sacerdote molto amato e stimato, che ha dedicato tutta la sua vita ai ragazzi handicappati ed alle loro famiglie. Con il suo insegnamento ed il suo esempio di vita lascia una grande eredità spirituale, umana ed intellettuale per tutta la Chiesa.
La camera ardente sarà allestita da martedì pomeriggio nella Chiesa di S. Ignazio di Loyola in piazza dello Spirito Santo a Pistoia.

Il Rito funebre sarà celebrato Mercoledì 31 dal Vescovo Mons. Bianchi in Cattedrale alle ore 16,00.

*

Pensare secondo Dio e non secondo gli uomini

di Don Renato Gargini



C'è una cantina dove l'amore si beve. E’ là dove si ha la pienezza della vita, Dio.
C'è chi intende poco e ama molto. c'è chi intende molto e ama poco. In questa cantina -"bodega" come dice Giovanni della Croce- lo Spirito muove l'uomo e apre la strada verso una progressiva unione fino ad arrivare al matrimonio spirituale. Discorsi estranei alla vita concreta dell'uomo? Se si vuole operare una risoluzione dei problemi dell'uomo, al di fuori della relazione con Dio, in troppi ambiti si ha l'impressione che il discorso dello Spirito che introduce all'unione piena ed esaltante con Dio (bevvi dell'Amato) appartenga al mondo della "fiction".
In verità, i nostri ragazzi sono parte reale del Corpo di quel Cristo (...) che sulla croce "emisit spiritum". D'altra parte essi ricevono anche lo Spirito Santo nella stanza dell'unione, come gli apostoli con Maria.
Sono insomma le ferite del Corpo di Cristo. A stare dunque con loro, siamo invasi da una spinta sicura per divenire solidali e ricercatori. Ormai le madri degli handicappati non sono più lasciate sole. Le famiglie sono accompagnate non solo da una pietà e da una misericordia sterile e senza sostegno. Non si può negare che esistano handicappati ancora lasciati soltanto allo sforzo dei genitori. L'handicap costituisce da solo un continente, dove si arriva anche nudi e desolati. Eppure l'evoluzione di una nazione non si misura dall'andamento delle borse e dei mercati, ma dallo spirito di servizio.
(...)DR8


Ma come non rimanere sorpresi che persista, non solo nel profondo, la valutazione di molti: era meglio se non era nato quest'uomo gravato di handicap? Tanto più che non è solo una domanda silenziosa, ma non di rado irrompe prepotente nel mondo prenatale con strumenti scientifici per negare il diritto alla vita.
Se si vuole, questi nostri ragazzi intorno alla tavola eucaristica con il segno della lingua dello Spirito, non sono soltanto nomi particolari di uomo o membra ferite del Corpo di Cristo. Essi ci richiamano a un atteggiamento proprio dell'uomo nuovo che fa cose nuove. È la preghiera che introduce nel mistero intertrinitario. "Se voi, cattivi come siete, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono". (Lc 11, 13) L'operazione solidale e scientifica, nello Spirito Santo viene conseguentemente ad acquisire tratti nuovi: l'assenza di limite, la gioia del vivere, il convergere verso l'unità della comunione, la voglia incontenibile di inventare la vita. Nella consuetudine con i nostri ragazzi siamo liberati da una visione delimitata dell'uomo. È Cristo che manifesta dalla santità delle sue ferite, lo splendore della sua resurrezione.
"Egli è stato esaltato dalla destra di Dio, ha ricevuto dal Padre il dono dello Spirito Santo secondo la promessa ed ha effuso questo stesso Spirito, come voi ora vedete ed ascoltate" (At 2, 33). Non è una fiction, è la realtà, la vera realtà.

DR7
"Tutti quelli che si lasciano guidare dallo Spirito di Dio sono figli di Dio" (Rom 8, 14).
E lo Spirito di Dio viene manifestato nella varietà dei carismi, per l'utilità comune.
Gli handicappati costituiscono una lettera vergata non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivo (2 Cor. 3, 3). In questa lettera ci sono i fondamenti perché la Società e la scienza non si lascino impaurire e paralizzare. L'uomo vi può apprendere lo schema della divina creazione: "Vide che le cose erano tutte buone". Con la comunione, poi, essa ci aiuta a sopravanzare i modi aggressivi della divisione e il pensare secondo l'uomo che è corrosivo della realtà. Il pensare secondo Dio, infatti si raggiunge nel mistero dei deboli. Dio infatti essendo potente si è fatto debole e il suo Spirito ci scopre il suo movimento comunicativo.


tratto da: http://www.aprpistoia.it/index.php/it/downloads/news/94-il-ritorno-alla-casa-del-padre-di-don-renato.html






domenica 28 ottobre 2012

Collegialità e comunione. La democrazia con la Chiesa non c'entra. Intervista del card. Betori






di Paolo Rodari


Giuseppe Betori, folignate, 65 anni, cardinale arcivescovo di Firenze, biblista ed esegeta molto attento nel contrastare le letture esegetiche che separano il Gesù della storia dal Cristo della fede, presidente per la Commissione che redige il messaggio finale al Sinodo dei vescovi, deve molto nel suo percorso formativo a due cardinali di peso degli ultimi decenni italiani, Camillo Ruini e Carlo Maria Martini. Fu Martini, infatti, che nel 1981, già rettore del Pontificio Istituto Biblico e da appena due anni arcivescovo di Milano, diede addio alla carriera universitaria segnandosi come correlatore (relatore fu Díonisio Mínguez, che poi lasciò l’abito) al dottorato in scienze bibliche di Betori, interessato a una tesi il cui titolo non era prettamente nelle corde del prestigioso gesuita: “Perseguitati a causa del Nome. Struttura dei racconti di persecuzione in Atti 1,12-8,4”. Fu Ruini, invece, che scelse Betori come suo fidato collaboratore negli anni di conduzione della Conferenza episcopale italiana, gli anni del Vangelo inteso come forza culturale della società.

Un’era oggi dimenticata? “Non direi” dice Betori al Foglio qualche ora prima della conferenza stampa di fine lavori del Sonodo. “Anche in queste settimane ci siamo riuniti per riaffermare la potenza del Vangelo come forza culturale per la nostra società e non, come molti vorrebbero, la culturizzazione della pastorale. Il Vangelo giudica tutto e chiama ogni uomo al confronto coi propri contenuti. Di più, il Vangelo è un giudizio sul mondo senza accomodamenti. Una sana ragione non può non confrontarsi col Vangelo. Ogni intellettuale che si rispetti è chiamato a questo confronto, la sua intelligenza lo esige ma è anche lo stesso Vangelo a esigerlo. Il Vangelo giudica il mondo perché ne taglia le imperfezioni”.

Il “taglio” è stato il tema cardinale dell’intervento di Betori al Sinodo. Non c’è trasmissione della fede senza un taglio. Cosa significa? “Taglio è un’immagine di san Basilio ripresa dal cardinale Joseph Ratzinger da uno studio del teologo ed esegeta tedesco Joachim Gnilka. Nell’Aula Paolo VI, nel 2002, durante il convegno della Cei “Parabole mediatiche”, Ratzinger fece una riflessione incentrata sul rapporto fra fede e cultura. Parlò del fatto che la presenza del cristiano nel mondo non si configura come un adeguamento a esso, senza una prospettiva critica. Proprio la fede costituisce un principio irrinunciabile di discernimento in ordine al vero, al bene, al giusto e al bello, che porta il discepolo di Cristo a fuggire l’errore, il male, la prevaricazione, ciò che è ignobile e spregevole. Si stabilisce così un quadro di estraneità a ogni compromesso con mode, tendenze, egemonie culturali che sfigurano l’immagine divina iscritta nel profondo dell’identità dell’uomo e della donna. La fede opera come una sorgente di autenticità che sana e vivifica. Basilio il Grande, nel confronto con la cultura greca del suo tempo si trovò di fronte ad un compito assai simile a quello che oggi interpella noi. Basilio fa riferimento al profeta Amos, là dove dice di sé: ’Io sono un mandriano e coltivatore di sicomori’. La traduzione greca dei Settanta esplicita diversamente l’ultima espressione: ’Ero uno che incide i sicomori’, basandosi sul fatto che i frutti del sicomoro devono essere intagliati prima del raccolto, così da accelerarne la maturazione. Il sicomoro produce frutti molto abbondanti, i quali però non hanno alcun sapore se non vengono incisi accuratamente, cosicché il loro succo fuoriesca ed essi diventino gradevoli al gusto. Per questo motivo consideriamo (il sicomoro) come un simbolo per l’insieme dei popoli pagani: sono una grande quantità, ma allo stesso tempo insipidi. Ciò deriva dalla vita secondo le abitudini pagane. Quando però si riesce a inciderla con il Logos, essa si trasforma, diventa gustosa e utile. Soltanto il Vangelo può incidere le nostre culture e i loro frutti, affinché ciò che prima era inutilizzabile sia purificato e reso non soltanto valido ma anche saporoso. Il Vangelo è un taglio, una purificazione destinata a produrre maturazione e risanamento. Questo taglio è un approccio alla cultura dal suo interno, percezione delle sue minacce, come pure delle sue possibilità palesi o nascoste. E’ per questo motivo che Ratzinger è contrario al termine inculturazione perché equivoco. Vera inculturazione è quando il Vangelo purifica, risana, le culture. Non quando semplicemente entra nelle culture senza giudicarle. Il Vangelo non si adegua alla cultura perché è la medicina delle culture. L’immagine del taglio è rilevante anche nel Nuovo Testamento per indicare la capacità della parola di Dio nel fare discernimento sulle realtà umane. La parola è una spada a doppio taglio che entra nel cuore dell’uomo”.

Questo taglio, questo giudizio sul mondo, sembra essere oggi più difficile di un tempo. Il Papa parla di una preoccupante desertificazione della fede. Viviamo in un deserto spirituale. Per molti questo deserto è anche frutto del Concilio, delle sue aperture. Dice Betori: “Il deserto della fede non è un frutto del Concilio. E’ semmai frutto di un contesto culturale che il Concilio non poteva prevedere. Non ne è causa nè può avere risposte adeguate per il tempo contemporaneo se non attraverso un cammino di comprensione nuovo. Così hanno fatto Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E’ il magistero del Papa che in continuazione invita ad affrontare i nuovi contesti ritornando al Concilio, studiandolo e tenendo conto dei tempi nuovi. Il tema del deserto però è anche un tema biblico di purificazione della fede. Non è soltanto un tempo di prova e di aridità. E’ anche un tempo in cui la fede d’Israele matura. Un tempo oscuro per tutti noi, di disorientamento, ma anche un tempo di messa alla prova che purifica. E’ un tempo di ritorno all’essenziale della fede”.

Da più parti, però, si ritiene che la chiesa sia ancora un passo indietro rispetto alle sfide dei tempi. C’è chi dice che la chiesa non è oggi profetica, che è rimasta a 200 anni fa, e c’è chi chiede un Concilio Vaticano III: “Un Concilio ha sempre un lungo periodo di maturazione. Il nostro non è un tempo di un nuovo Concilio ma di comprensione dell’ultimo Concilio. E’ lo Spirito Santo, e non i chierici, laici o religiosi, a stabilire il tempo propizio di un nuovo Concilio. Il Vaticano II è arrivato quando un Papa spinto dallo Spirito Santo ha detto che il momento era arrivato. Nessuno si è messo a tavolino per prevederlo. Il Concilio non è un evento che pochi illuminati possono decidere a tavolino. La chiesa oggi è profetica soltanto se rimane fedele a se stessa, alla sua missione di giudicare il mondo e di chiamare gli uomini al confronto col Vangelo”.

In Austria e in Germania gruppi di sacerdoti e di laici chiedono riforme strutturali. L’abolizione dell’obbligo del celibato sacerdotale, nuove misure per i divorziati risposati, una maggiore considerazione del ruolo delle donne e in generale dei laici. Sono proposte che preoccupano? O cosa? “Sono proposte alle quali occorre rispondere anzitutto dicendo che nessun rinnovamento avviene modificando le strutture della chiesa. Il rinnovamento avviene piuttosto se Dio torna ad avere un suo posto nella chiesa e nella società. Cambiare le strutture non cambia la fede dei credenti. Ciò che spinge a credere è l’incontro con Cristo. Il vero problema è il posto che Dio ha nella coscienza della gente. Il problema di Dio è ciò che mette in crisi l’uomo, che lo interroga e che converte, non se i preti si sposano oppure no. Se i preti si sposano non aumentano i credenti”.

Un altro tema che ricorre è quello di una maggiore collegialità. Per molti il Sinodo potrebbe divenire il luogo in cui un esercizio del potere più collegiale viene messo in campo. “Il Sinodo è già un evento collegiale. Cosa significa collegialità? Significa maggiore partecipazione nelle dinamiche della comunità. Non significa più democrazia. La democrazia cerca la prevalenza di un’opinione sulle altre. La comunione invece tende a portare tutti verso un qualcosa che può essere da tutti ritenuto proprio. Se il Sinodo, ad esempio, dovesse accettare le decisioni democratiche non aiuterebbe la comunione della chiesa ma introdurrebbe quel principio della democrazia che non le è proprio”.



http://www.paolorodari.com/2012/10/27/collegialita-e-comunione-la-democrazia-con-la-chiesa-non-centra-cardinal-betori-spiega-al-foglio-che-la-chiesa-non-si-compromette-con-le-mode/

sabato 27 ottobre 2012

La dimensione sponsale della fede







Nel Prologo della sua Expositio super Symbolum Apostolorum, S. Tommaso d'Aquino attribuisce alla fede quattro beni.
Il primo, che consiste nel congiungere l'anima con Dio, è descritto nel modo seguente: «Mediante la fede cristiana l'anima contrae con Dio una specie di matrimonio, secondo quanto è scritto in Osea: Ti farò mia sposa per sempre...ti fidanzerò con me nella fedeltà (Os2,21-22). Per questo a chi viene battezzato, con la domanda "Credi in Dio?" viene chiesto per prima cosa di dichiarare la propria fede, perché il Battesimo è il primo dei sacramenti della fede» (1).

Come si vede, viene determinata una relazione tra quest'unione mirabile e il sacramento del battesimo. L'Aquinate scrive di "una specie" di matrimonio, certamente per evitare che si possa credere ad una sorta di unione ontologica tra Dio e l'anima. L'unione, che avviene in virtù del battesimo, ma non senza la professione della fede, determina una trasformazione reale dell'essere. Nel linguaggio teologico si parla di rigenerazione, di nuova creazione, di adozione. Le descrizioni impiegate sono diverse, come richiede un mistero che non può essere spiegato in modo esaustivo da nessuna immagine, ma che riceve nuova luce dall'accostamento sapiente di tutte. Nella Lettera agli Efesini (1, 6) questo mistero è descritto con l'immagine della grazia con la quale siamo stati gratificati: la grazia che ci ha trasformati nell'intimo, che ci ha riempito di grazia (non è facile tradurre il verbo, che ha in se stesso il termine grazia), perché potessimo diventare figli adottivi in Cristo. In Ef 1, 13 a questo dono, assolutamente gratuito, corrisponde la risposta del credente: «Anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso». È lo Spirito santo che segna l'anima, irrevocabilmente, nella conformazione a Cristo e nell'accoglienza della grazia che Egli ci ha meritato con il suo sangue. Così, nel momento stesso della nostra rigenerazione, noi siamo inseriti nel mistero sponsale di Cristo e della Chiesa. Il prevalere di aspetti mondani anche nella Chiesa, e l'esasperazione di alcune immagini scritturistiche a discapito di altre, non consentono di saper riconoscere agevolmente in questo patto sponsale le origini stesse della nostra rigenerazione e della conseguente vita di fede. Anche una riduzione della portata mistagogica dei sacramenti (da non confondere con il cammino di "iniziazione") esercita il suo influsso su questa percezione visibile dell'inserimento nel Corpo di Cristo. A ragione bisogna dire che siamo inseriti nel corpo visibile della Chiesa, il corpo che ci è donato in questo pellegrinaggio terreno, perché siamo inseriti in quel mistero di amore sponsale che non si lascia esaurire dalla temporalità. «Questo mistero è grande», ammonisce l'Apostolo (cf. Ef 5, 32). Il fatto che Paolo legga il patto coniugale come riflesso della sponsalità che lega Cristo alla Chiesa, rafforza la nostra considerazione. È la vita cristiana tutta che dev'essere compresa a partire da quel rapporto! Perciò possiamo capire la "specie" di matrimonio di cui parla S. Tommaso. Nessuno di noi è la Chiesa, ma ciascuno, per la sua parte e secondo i doni di grazia ricevuti, deve portare in sé il riflesso di quell'amore che lo ha generato alla vita eterna. Questa è l'assunzione seria e responsabile che il credente fa del mistero della Chiesa nella sua stessa vita. E in questo modo la sua stessa anima diventa il luogo in cui la sponsalità della Chiesa assume un volto, si traduce in una testimonianza, sostiene una speranza. Anzi, l'anima diventa bella della stessa bellezza che Cristo ha donato alla Chiesa per mezzo del suo lavacro (cf. Ef 5, 25-27). S. Gregorio Nazianzeno la considera conformata alla bellezza del Logos, quando descrive il "felice ritorno" che noi compiamo nel dono della somiglianza con Cristo (2).

Non si può comprendere la realtà della Chiesa se si prescinde dal suo essere sposa e perciò madre. La centralità che queste categorie assumono nei primi secoli non può essere soppiantata da acquisizione nuove e pur feconde. Ora, neppure la rigenerazione battesimale può essere compresa senza questo riferimento. S. Agostino insiste molto sul rapporto tra Maria e la Chiesa proprio a motivo della verginità e della maternità. In un sermone del tempo di Natale scrive: «La vergine santa Chiesa celebra pertanto oggi il parto della Vergine. Ad essa si riferisce l'Apostolo quando dice: Vi ho fidanzati ad un solo sposo, per presentarvi a Cristo come una vergine casta. Come mai vergine casta riferito a tanta gente di ambo i sessi, riferito non solo ai giovani consacrati e alle vergini ma anche agli sposati, padri e madri? Come mai vergine casta se non per l'integrità della fede, della speranza e della carità? Cristo, che avrebbe ricostituito la verginità nel cuore della Chiesa, prima l'ha conservata nel corpo di Maria. Nelle nozze umane la donna è consegnata allo sposo e perde la sua verginità; la Chiesa invece non potrebbe essere vergine se lo sposo a cui viene consegnata non fosse figlio di una vergine» (3). E altrove dice: «Questi è il più bello tra i figli dell'uomo, figlio di Maria la santa, sposo della Chiesa santa, che ha reso simile a sua madre: infatti l'ha fatta madre per noi e la custodisce vergine per sé. Alla Chiesa infatti si riferisce l'Apostolo quando dice: Vi ho fidanzati ad un solo sposo, per presentarvi a Cristo come una vergine casta . Di essa dice ancora l'Apostolo che è nostra madre, non schiava ma libera, i cui figli, pur essendo l'abbandonata, sono più numerosi di quelli di colei che ha marito. La Chiesa, come Maria, rimane per sempre integra e feconda pur rimanendo incorrotta. Quanto Maria meritò di conservare nel corpo la Chiesa lo conserva nel cuore; la differenza è che Maria partorì un solo figlio, la Chiesa ne partorisce molti, da riunire però in unità tramite quell'unico figlio di Maria» (4).

Siamo rigenerati, dunque, dal grembo verginale e sempre fecondo della Madre Chiesa e siamo uniti ad altri fratelli per essere una cosa sola in Cristo, Figlio della Vergine.

Possiamo dire che la conformazione battesimale a Cristo è anche una "specie" di conformazione alla Chiesa, nel senso che Cristo si rende presente per mezzo della Chiesa nell'esistenza concreta di chi è stato rigenerato.

Non deve stupirci, pertanto, che S. Massimo il Confessore consideri la Chiesa quale immagine e forma dell'anima: «La santa Chiesa può essere non soltanto l’immagine dell’intero uomo, dico di quello che consiste dell’unione di corpo ed anima, ma anche della stessa anima considerata per se stessa per mezzo della ragione. Poiché infatti (...) l’anima generalmente consiste in una intellettiva e vitale potenza: l’intellettiva si muove spontaneamente secondo volontà, la vitale invece involontariamente secondo natura, come è, rimane ferma. Ed ancora, all’intellettiva appartiene il principio contemplativo e l’attivo: e (...) il contemplativo si chiama intelletto, l’attivo ragione; e l’intelletto muove la facoltà intellettiva, la ragione rende previdente la facoltà animale. E quello è ed è chiamato sapienza, dico l’intelletto, quando mantenga del tutto immobili i propri movimenti verso Dio; e la ragione allo stesso modo è ed è chiamata saggezza, quando con la forza saggiamente congiungendo alla mente la facoltà animale da lui governata con previdenza, mostra che non è differente, ma che, come lui, porta la stessa e medesima immagine di Dio, per mezzo della virtù» (5).

Osserva S. Bernardo: «Tale conformità marita l'anima col Verbo, poiché così essa si rende simile per mezzo della volontà a Colui cui è simile per natura e Lo ama come ne è amata. Se dunque ama perfettamente, ha contratto le nozze. Che cosa vi è di più giocondo di tale conformità? Qual cosa più desiderabile di quella carità da cui proviene che tu, o anima, non contenta degli insegnamenti degli uomini, da te stessa con fiducia ti avvicini al Verbo, sia sempre unita al Verbo, interroghi familiarmente il Verbo e lo consulti su ogni cosa, fatta tanto capace di comprendere, quanto sei audace nel desiderio? È questo veramente un contratto di connubio spirituale e santo. Ho detto poco, contratto: è un amplesso. Amplesso, in verità, in cui volere e non volere le stesse cose fa di due uno spirito solo. E non c'è da temere che la disparità delle persone renda in qualche modo imperfetto l'accordo delle volontà, perché l'amore non sente soggezione reverenziale. Infatti amore viene da amare, non da riverire. ... L'amore abbonda nel proprio senso, l'amore quando giunge assimila e sottomette tutte le altre affezioni. Perciò chi ama, ama ed altro non sa» (6).


La fede muove l'intelletto e lo rende capace di obbedire a Dio, ma nel contempo induce la ragione a ritenere assolutamente conveniente questo movimento dell'essere. Bisogna, però, intendere cosa si voglia dire quando si afferma che l'intelletto può cogliere la verità.

Un certo ottimismo teologico, riconducibile alla cosiddetta svolta antropologica, ha finito per esasperare ciò che è naturale. All'uomo, naturalmente costituito come interlocutore di Dio, non serve nient'altro che la sua condizione di creatura per poter essere raggiunto direttamente dalla salvezza. Il vangelo sarebbe pertanto una semplice elevazione dell'umanità ad una vita migliore. Altra cosa è sostenere, invece, che l'uomo sia capace di Dio. Infatti, «l'uomo, grazie alla natura spirituale e alla capacità di conoscenza intellettuale e di libertà di scelta e di azione, si trova, fin da principio, in una particolare relazione con Dio. La descrizione della creazione (cf. Gen 1-3) ci permette di constatare che l'“immagine di Dio” si manifesti soprattutto nella relazione dell'“io” umano con il “Tu” divino. L'uomo conosce Dio, e il suo cuore e la sua volontà sono capaci di unirsi con Dio («homo est capax Dei»). L'uomo può dire “sì” a Dio, ma anche dirgli “no”. La capacità di accogliere Dio e la sua santa volontà, ma anche la capacità di opporsi ad essa» (7) .

L'intelletto dell'uomo, ferito dal peccato originale, non ha certamente perduto del tutto la capacità di conoscere la verità. Tuttavia, proprio a motivo del peccato, esso è esposto a limiti e ad errori. Non potremmo spiegarci altrimenti la radicale opposizione che alcuni manifestano a tutto quello che evoca non solo una trascendenza e la possibilità di una Rivelazione, ma anche un ordine naturale che determini il riconoscimento di una legge morale. Tra i difetti dell'intelletto bisogna menzionare almeno l'orgoglio e l'accecamento spirituale. Osserva a questo proposito R. Garrigou-Lagrange: «L'orgoglio dello spirito (...) ci dà tale fiducia nella nostra ragione e nel nostro giudizio, che non ci sentiamo affatto disposti a consultare altre persone (...) Questo potrebbe portarci a ricusare agli altri la libertà che esigiamo per le nostre opinioni, a non sottomettersi che molto, molto imperfettamente alle direttive del Sommo Pastore, ed anche ad attenuare e a minimizzare i dogmi, sotto pretesto di spiegarli meglio di quanto sia stato fatto fino ad ora» (8). L'accecamento spirituale è, invece, quella disposizione che porta a preferire i beni transitori a quelli eterni e a distogliere lo sguardo dalla luce della verità che vuole rifulgere nell'anima.

Pure la volontà conosce impedimenti derivanti dallo stato di decadenza dell'uomo. «Per giungere a purificare e fortificare la volontà, è necessario agire secondo le convinzioni profonde della fede cristiana, e non secondo lo spirito proprio, più o meno mutevole secondo le circostanze e i moti dell'opinione. Dopo aver riflettuto davanti a Dio e pregato per ottenere la sua grazia, dobbiamo agire con risolutezza nel senso del dovere o di quanto più ci sembra conforme alla volontà divina» (9).

La fede, ricorda l'autore della Lettera agli Ebrei, è «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1). S. Tommaso evidenzia che il credere «è un atto dell'intelletto che aderisce alla verità sotto il comando del volere» (10). La fede è quindi una virtù dell'intelletto, per mezzo della quale noi possiamo aderire al mistero della vita intima di Dio. Attraverso la fede noi obbediamo a Dio e gli prestiamo il primo, fondamentale culto.

Così il culto ragionevole (cf Rm 12,1) diventa la dimensione nuova dell'offerta che il credente può fare di se stesso a Dio per mezzo di Cristo. È questo movimento di uscita da sé che determina il passaggio dall'io privato all'Io più grande di Cristo, di fronte al quale è anche l'Io della Chiesa. Per questo si viene battezzati nella fede della Chiesa. Se la rigenerazione dell'uomo deve significare l'ingresso nella vita stessa di Dio, occorre che Dio stesso comunichi non solo questa vita, ma persino l'atto con il quale l'uomo acconsente di essere attirato ed inserito vitalmente in questo Io più grande. La grazia che gratifica diventa, allora, la grazia che eleva e che santifica attraverso l'accoglienza da parte di colui al quale essa è comunicata attraverso la fede: «Con il battesimo di rigenerazione la grazia divina ci trasmette due beni, di cui l'uno supera infinitamente l'altro. Ci elargisce subito il primo, quando con la stessa acqua cancella ogni macchia di peccato e rinnova lo splendore dell'immagine divina in ogni tratto della nostra anima; per elargirci il secondo poi, che è quello della somiglianza, attende la nostra cooperazione» (11).

La professione di fede precede sempre il battesimo. Anche quando il nuovo cristiano non può intenderla e farla propria, essa gli appartiene come il primo atto del suo inserimento nel corpo della Chiesa. L'Io più grande pronuncia per lui le parole che costituiscono, qui in terra, il consenso al patto d'amore con cui Cristo vuole raggiungerci per mezzo della Sua Chiesa. La volontà dell'anima non ha un ruolo marginale, come non lo ha mai la volontà dell'amante di essere assimilato all'amato. E, tuttavia, la professione di fede, con le sue articolazioni delle verità che Dio ha voluto liberamente rivelare, esprime la grandezza della volontà salvifica di Dio, senza la quale nessuna volontà umana potrebbe elevarsi sino a Lui. Per questo la fede ci è donata. Per questo non è mai mortificante che sia la Chiesa a dirci in qual modo noi possiamo corrispondere all'amore di Cristo, e non è mai opprimente l'apprendere da essa cosa potrebbe distoglierci dall'essere effettivamente raggiunti dalla grazia della salvezza. L'emancipazione dalla Chiesa non è mai affermazione di libertà; è sempre capitolazione alle richieste del proprio io ancor prima che asservimento ad altre volontà. Tutto si gioca, invece, nell'equilibrio tra il proprio io e l'Io della Chiesa. Ancora una volta bisogna richiamare le parole di Benedetto XVI: «La sua risurrezione è stata dunque come un'esplosione di luce, un'esplosione dell'amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé. Tutto ciò avviene concretamente attraverso la vita e la testimonianza della Chiesa; anzi, la Chiesa stessa costituisce la primizia di questa trasformazione, che è opera di Dio e non nostra. Essa giunge a noi mediante la fede e il sacramento del Battesimo, che è realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una vita nuova. È ciò che rileva San Paolo nella Lettera ai Galati: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (2, 20). È stata cambiata così la mia identità essenziale, tramite il Battesimo, e io continuo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c'è di nuovo, ma trasformato, purificato, "aperto" mediante l'inserimento nell'altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così "uno in Cristo" (Gal 3, 28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. "Io, ma non più io": è questa la formula dell'esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della "novità" cristiana chiamata a trasformare il mondo» (12).

Cosa comporta, allora, la vita di fede per l'anima? Il vincolo sponsale, che la Tradizione ha sempre richiamato, diventa desiderio di comunione con Cristo. Bisogna lasciarsi trasformare, se si desidera trasformare il mondo. Non può esservi volontà più alta e profonda che questa. «Come infatti cresce il dialogo con Dio nell'anima nostra, quando la sua parola viene accolta, capita, trattenuta, così cresce anche la vita dell'anima. Viceversa, quando viene a mancare la parola di Dio nell'anima, succede che anche la vita dell'anima venga meno. Pertanto, come l'unione dell'anima e del corpo è animata, nutrita e sostenuta dal soffio vitale, così l'anima nostra è vivificata dalla parola di Dio e dalla grazia spirituale. Perciò dobbiamo cercare in ogni modo ‑ come cosa primaria rispetto a tutto il resto - di raccogliere in noi le parole di Dio e di trasfonderle nel nostro intimo, nei sentimenti, nelle sollecitudini, nei pensieri e nelle azioni. Solo così i nostri atti corrisponderanno alle parole delle Scritture e il nostro agire non sembrerà discordare dai precetti celesti. Allora potremo dire anche noi: La tua parola mi fa vivere» (13).

È necessario che la fede della Chiesa sia riscoperta e proposta come il nutrimento della propria fede. Non si deve intendere soltanto la fede professata, bensì la fede vissuta, vale a dire la fede nella sua complessità (vita sacramentale, direzione spirituale, formazione, correzione fraterna, ascolto dei grandi testimoni e dei Dottori, carità, opere di misericordia, etc.). Sarebbe ben poca cosa la volontà d'essere uniti a Cristo, se Egli non dovesse essere il Cristo della fede. Resteremmo confinati al nostro io, ed il nostro desiderio, per quanto apprezzabile, consegnerebbe l'anima alla sterilità dello spirito. Bisogna chiedersi se la crisi della fede non sia dipesa anche dall'aver voluto ignorare o celare la verità che Cristo ha affidato alla Chiesa; se non sia correlata ad un impegno per il mondo che non sempre corrisponde al disegno di Dio per il mondo. Quando la professione di fede diventa incomprensibile, è segno che ci sottraiamo all'Io più grande invece di lasciarsi attrarre e trasformare. L'autentica conversione è frutto della fede in quanto è l'espressione evidente di questa volontà d'essere raggiunti da Cristo nella Chiesa e per mezzo della Chiesa. Come nota S. Ambrogio: «Il Verbo di Dio trapassa l'anima e la rischiara tutta come un chiarore di luce eterna. E sebbene egli abbia una potenza che si estende attraverso tutti, che tutti raggiunge e che sta sopra tutti ‑ perché per tutti egli è nato da una vergine, per i buoni e per i malvagi, come sopra buoni e malvagi fa nascere anche il suo sole ‑, tuttavia egli riscalda unicamente chi gli si avvicina» (14).

«Mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). È l'eterno presente dell'amore di Cristo, che è sempre lo stesso (cf. Eb 13,8). Oggi mi ama e continua ad offrire se stesso al Padre. È questa offerta che mi raggiunge attraverso la fede. Ed è la stessa offerta che diviene il vincolo d'amore che mi lega alla sua vita divina, il fidanzamento che mi porta in dote la vita stessa di Dio. Possa la Chiesa essere sempre feconda di figli che vivono la fede, ad essi consegnata nel santo battesimo, come patto d'amore sponsale. Perché soltanto un'anima che sente d'essere amata e che intende corrispondere all'amore, saprà essere un'anima che vive la vita stessa della Chiesa e la riflette nella santità personale e nelle opere della fede.






Antonio Ucciardo
---------------------------------------------------------------------------------


Note


(1) S. Tommaso d'Aquino, Il Credo, in Opuscoli spirituali, Bologna, Edizioni Studio domenicano, 1999, p.34.
(2) Cf. H. Rahner, L'ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Roma, Ed. Paoline, 1971, p. 65.
(3) S. Agostino, Discorso 188, 3.4.
(4) S. Agostino, Discorso 195, 2.
(5) S. Massimo Confessore, Mistagogia, V.
(6) S. Bernardo, Sermoni sul Cantico dei Cantici, 83, 3.
(7) B. Giovanni Paolo II, Catechesi all'Udienza generale, 23 aprile 1986.
(8) R. Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore, Roma, Edizioni Vivere In, 2000 (rist.), vol II, p. 110.
(9) Ivi, p. 130.
(10) S. Tommaso d'Aquino, Somma Teologica, II-II, q. 4, a. 5.
(11) Diadoco di Fotica, Considerazioni sulla fede, 89.
(12) Benedetto XVI, Discorso al IV Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, 19 ottobre 2006.
(13) S. Ambrogio, Commento al Salmo 118, 6. 1,6‑7.
(14) Ivi, 19, 38.


http://www.formazioneteologica.it/index.php?categoria=12&sezione=15




venerdì 26 ottobre 2012

L'antinomismo post-conciliare rifiuta la metafisica e impedisce la riforma della Chiesa







Riportiamo l’intervento scritto di S. Em. R. Card. Raymond Leo Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, alla quinta Sessione dei Circoli Minori del Sinodo dei Vescovi (23 ottobre 2012).


«L’Instrumentum laboris ci ricorda che la testimonianza della fede cristiana è una risposta sommamente adeguata ai problemi esistenziali, specialmente perché tale testimonianza supera la falsa frattura esistente tra il Vangelo e la vita (cfr. n° 118). Ma, perché abbia luogo la testimonianza della fede, di cui il mondo oggi ha urgente bisogno, all’interno della Chiesa si richiede la coerenza tra la vita e la fede.
Tra le più gravi ferite della società di oggi si rileva nella cultura giuridica il distacco dalla sua radice obiettiva ovvero metafisica, che è la legge morale. In questi ultimi tempi questo distacco si è di molto accentuato, manifestandosi come un vero antinomismo, che pretende di rendere legali azioni intrinsecamente cattive, come l’aborto procurato, il concepimento artificiale della vita umana allo scopo di procedere a sperimentazioni sulla vita dell’embrione umano, la cosiddetta eutanasia di coloro che godono del diritto preferenziale alla nostra assistenza, il riconoscimento legale delle unioni di persone dello stesso sesso equiparate al matrimonio, e la negazione del diritto fondamentale della coscienza e della libertà religiosa.
L’antinomismo affermatosi nella società civile purtroppo ha contagiato nel post-Concilio anche la vita ecclesiale, associandosi malauguratamente alle cosiddette novità culturali. L’euforia postconciliare, tesa all’instaurazione di una Chiesa nuova all’insegna di libertà e amore, ha favorito fortemente un’attitudine di indifferenza verso la disciplina della Chiesa, se non addirittura una ostilità.
Pertanto la riforma della vita ecclesiale auspicata dai Padri Conciliari è stata in certo senso impedita, se non tradita. Dediti alla odierna nuova evangelizzazione, abbiamo il compito di porre a fondamento la conoscenza della tradizione disciplinare della Chiesa e il rispetto del diritto nella Chiesa. La cura della disciplina della Chiesa non equivale ad una concezione contraria alla missione della Chiesa nel mondo, ma è una giusta attenzione per poter testimoniare coerentemente la fede nel mondo.
Il servizio, umile certamente, del Diritto Canonico nella Chiesa è anche del tutto necessario. Come potremmo infatti testimoniare la fede nel mondo qualora ignorassimo o trascurassimo le esigenze della giustizia nella Chiesa? La salvezza delle anime, fine principale della nuova evangelizzazione, deve anche essere sempre nella Chiesa “la legge suprema”» (can. 1752).


Approfondimenti di "Fides Catholica"

giovedì 25 ottobre 2012

A Rieti, un convegno dedicato al Servo di Dio Tomas Tyn






Il Centro Culturale Padre Tomas Tyn di Rieti ha organizzato, il 19 ottobre scorso, presso la bella sala della Fondazione Varrone, un convegno dal titolo La forza della verità. Padre Tomas Tyn, un aiuto nell’anno della Fede, in occasione del quale è stato presentato il libro La forza della verità. Lezioni di teologia, in cui l’avvocato G. Battisti ha raccolto da registrazioni vocali alcune lezioni del Servo di Dio, Padre Tyn.

Padre Giovanni Cavalcoli, Docente di Teologia e di Metafisica, Vicepostulatore della Causa di Beatificazione di Padre Tyn, oltre che suo confratello, ha ricordato che il 29 giugno 1975, in occasione della sua ordinazione sacerdotale, il Servo di Dio espresse segretamente il voto di offrire la sua vita allo scopo di chiedere, per intercessione della Madonna, la liberazione della sua patria e della Chiesa dal comunismo, senza spargimento di sangue.

A 39 anni fu colpito da un tumore terribile, sopportato con infinita pazienza, continuando a scrivere il suo libro Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, che resterà nella storia della filosofia. Il 1° gennaio 1990, giorno della sua morte, Havel inaugurò lo Stato democratico senza che ci fosse neppure un morto.

In Tomas, ricorda il Padre, c’è la completezza della vocazione domenicana: lo studio, una cultura sterminata, la contemplazione, l’assidua direzione spirituale, e un’attività sorprendentemente intensa, fatta di conferenze, congressi internazionali, sulla quale sorgono ancora materiali di lavoro, inediti.
L’avvocato Battisti, organizzatore e moderatore del convegno, rileva, altresì, che in una temperie culturale come la nostra, segnata dal disorientamento e dalla presenza di numerosi falsi profeti, si sentirà sempre più il bisogno di rifarsi all’insegnamento di Padre Tyn, in quanto vero maestro di Fede: sentiva come missione propria quella di divulgare la retta dottrina cattolica, poiché era consapevole che la corruzione della Fede è uno dei mali più gravi in quanto colpisce direttamente l’anima.

Egli ha così concepito la Teologia come la “Scienza dei Santi”, sia nel riaffermare con forza il legame tra ragione e Fede, precisando la natura di entrambe, sia nel valorizzare la metafisica come premessa indispensabile per una vera teologia. «Una fede che non regge dinanzi al ragionamento vuol dire che è una fede titubante – dichiara Padre Tyn nelle lezioni –. Ragionamento vero e Fede ortodossa non si contraddicono mai! È assurdo pensare ad esempio che Iddio Creatore contrasti con il Dio Redentore e Santificatore. San Tommaso ha una straordinaria acribia metafisica in queste cose anche se dice che nemmeno il filosofo più sapiente ha mai capito che cosa è l’essenza di una sola mosca!».

Ma è proprio questo il problema della nostra cultura, come rileva la dott.ssa Pannuti, in base alla denuncia fatta dall’allora cardinale Ratzinger nel suo libro In principio Dio creò il cielo e la terra: il misconoscimento della creazione e così l’attacco alla Fede nell’Incarnazione, attraverso le sue immagini, pittoriche, letterarie, sacre, e infine l’uomo stesso, immagine di Dio. E lo afferma, prendendo spunto dalla bella relazione dell’avvocato Ranucci sulle scoperte relative alla Sindone, che dimostrano come, dal punto di vista scientifico, le possibilità che essa sia un falso, alla luce delle riscontrate ed eccezionali caratteristiche comuni tra Gesù e l’Uomo della Sindone, sono pari ad 1/200 miliardi.

Così pure inconsistente è l’ipotesi che si tratti di un autoritratto di Leonardo, perché Marguerite de Charnay, discendente del Cavaliere francese Geoffroy de Charny che nel 1350 fece costruire una Chiesa a Lirey in Francia, per custodire e mostrare ai fedeli la Sindone, la vendette ai Savoia nel 1453, allorché Leonardo non aveva compiuto un anno.

In tal modo il relatore ha illustrato con dovizia di particolari le vicende della passione di Cristo, attraverso le tracce lasciate nel telo, mostrando l’eccezionalità dell’uso del casco di spine, la vera posizione dei chiodi, le caratteristiche del sangue. La Pannuti ha così notato che, come il cardinale Ratzinger nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia, anche Padre Tyn ha rivolto uno studio critico nei confronti di quelle filosofie che sospingono Dio in una lontananza inafferrabile dalla nostra ragione, così da rendere vano il nostro parlare, dipingere immagini su di Lui, fino a dissolvere la possibilità stessa della Rivelazione.
Così entrambi si richiamano alla necessità di ricuperare un apofatismo moderato di marca tomista, che contempla la possibilità di un’analogia e una partecipazione tra Creatore e creatura, pur in una infinita differenza di essenze. Padre Tomas si è così molto impegnato ad esaminare, con acribia e profondità straordinarie, la realtà della creazione, consapevole che «se abbiamo una corretta comprensione di Dio come Creatore, capiremo anche come il mondo dipenda interamente da Dio e come l’onnipotenza di Dio è perfettamente in grado di operare quella Salvezza che la Scrittura ci propone.

In effetti chi capisce un minimo della Creazione capisce anche come ad esempio il Signore Iddio può ricomporre i nostri poveri corpi mortali alla fine dei tempi nella Resurrezione – come si legge nelle sue lezioni –. Vedete quindi che l’opera della Creazione è il presupposto di tutta l’opera della Redenzione e della Santificazione. Vedete allora come nella Creazione appare già l’opera di misericordia».

E, come l’arte riproduce le forme concepite da Dio con la Sua Sapienza e impresse mediante il Verbo nella creazione con ordine mirabile, così la liturgia mostra la Sua bellezza proprio mediante forme ordinate da Dio stesso. E l’urgenza di un ricupero del vero senso della liturgia per approfondire la Fede, secondo le intenzioni espresse dal santo Padre nel Motu Proprio Summorum Pontificum, è stato l’argomento della relazione del dott. Bernardini, Direttore del Circolo Ragionar Cattolico di Livorno, in occasione della quale si è ricordato il profondo amore per la liturgia, manifestato dal Servo di Dio, allorquando celebrava con grande perfezione e devozione la liturgia gregoriana, secondo le norme dell’Indulto concesso dal Papa Giovani Paolo II.


Zenit.org

mercoledì 24 ottobre 2012

Lista nera dei principali “pro-life” europei








di Veronica Rasponi

È un documento riservato, che non troverete su Internet. Con il titolo Top 27 European Anti-choice Personalities, una potente lobby abortista europea, l’EPF (European Parliamentary Forum on Population an Development) ha schedato i principali oppositori del secolarismo in Europa. Anti-choice significa Pro-life. I Pro-choice (a favore della scelta) sono i sostenitori dell’aborto e di ogni forma di sesso non riproduttivo, a cominciare da quello omosessuale.

Gli Anti-choice sono coloro che difendono la vita, la famiglia e il diritto naturale contro le ideologie antinataliste e relativiste. La lista nera comprende 27 “personalità” di dieci paesi europei, tra le quali l’europarlamentare slovacca Anna Zaborska, il presidente della Fondazione Jérôme Lejeune, Jean-Marie Le Mané, il responsabile delle associazioni europee di Tradizione, Famiglia e Proprietà Caio Xavier da Silveira, il duca Paul von Oldenburg, rappresentante della Federazione Pro-Europa Christiana di Bruxelles, il segretario generale dell’Istituto Civitas Alain Escada, e cinque italiani, l’on. Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, il marchese Luigi Coda Nunziante, presidente dell’Associazione Famiglia Domani, il prof. Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto, il dott. Massimo Introvigne, vice-reggente di Alleanza Cattolica e l’on. Luca Volonté, dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

Ognuno dei 27 personaggi è presentato con un “curriculum” e una fotografia, come si usa per i “wanted”, i ricercati con taglia di una volta. Manca solo l’indirizzo per potere meglio localizzarli e colpirli. Qui infatti non sono in questione le idee, ma la libertà di esprimerle.

Chiunque rappresenti un ostacolo al secolarismo, merita di essere isolato e ostracizzato. Prima moralmente, e poi giuridicamente, ma forse anche fisicamente, perché ciò che le liste di proscrizione come questa alimentano, è l’odio ideologico ad personam. Si tratta di un’ennesima dimostrazione della “dittatura del relativismo”, che reclama la libertà per tutto e per tutti, ma cerca di soffocare in tutti i modi la voce di chi si oppone alla degradazione morale contemporanea.

L’EPF fa parte di quei “poteri forti” che, grazie ad enormi risorse finanziarie e ad una capillare diffusione, creano il “consenso” mediatico e politico. Si tratta di un’organizzazione con sede a Bruxelles, che raccoglie membri di diversi parlamenti ed è presieduta dal vice presidente della Camera dei Deputati della Georgia, George Tsereteli. Il suo programma si riassume nella “Carta sui diritti sessuali e riproduttivi” varata nel 1995 dalla International Planned Parenthood Federation, fondata dall’eugenista Margaret Sanger, con «lo scopo di promuovere il controllo delle nascite è quello di creare una razza di purosangue». I diritti riproduttivi, che sono in realtà i diritti a non riprodursi, si esprimono nella rivendicazione di una assoluta libertà sessuale, da raggiungersi attraverso vaste campagne di “educazione” alla contraccezione e all’aborto, fino alla sterilizzazione di massa.

L’EPF, che è una longa manus della International Planned Parenthood Federation, è finanziata dalle istituzione pubbliche europee e da ricche fondazioni private: è noto ad esempio l’impegno nella diffusione del secolarismo dello speculatore internazionale George Soros e della Fondazione Bill e Melinda Gates che, nel luglio 2012, ha promosso una gigantesca raccolta di fondi per assicurare l’accesso alla contraccezione alle donne povere di tutto il mondo. Tra le associazioni collegate con l’EPF ci sono i Catholics for a Free Choice (CFFC, cattolici per la libera scelta), sostenitori di una “teologia abortista”, che furono i promotori della campagna lanciata nel 2000 per espellere la Santa Sede dalle Nazioni Unite. Oggi i difensori della vita e della famiglia sono sotto tiro. Per essi tuttavia questa “lista nera” è un motivo di onore.


Corrispondenza Romana    24 ottobre 2012