venerdì 30 settembre 2022

L’eugenetica è sempre stata coerente col pensiero moderno. E anche oggi è così







Di Samuele Salvador 28 SET 2022

Il ruolo centrale, benché sotterraneo, che l’eugenetica ha svolto nella storia delle ideologie moderne e la sua presenza ai giorni nostri sotto mutate sembianze: questo il nucleo del recente contributo alla rivista francese Catholica di Guilhem Golfin, dal titolo Les avatars de l’eugénisme (Catholica, n. 155, Eté 2022, pp. 41-49).

Nata nel fermento positivista e scientista dell’Ottocento, l’eugenetica intendeva applicare al contesto sociale le recenti teorie di Darwin circa l’evoluzione delle specie, lamentando la necessità di combattere la presunta degenerazione della specie umana. Se i progressi tecnici e scientifici riducevano la pressione selettiva nei confronti dei meno adatti, dei “difettosi”, risultava necessaria l’introduzione di una selezione artificiale per far proseguire il moto evolutivo.

Golfin descrive come l’impianto teorico eugenista abbia camminato di pari passo – talvolta influenzando, talvolta trovando concordanze – con molte delle ideologie dell’epoca a partire dal razzismo, una vera e propria gerarchica tassonomia umana: in questo caso i risvolti pratici eugenetici si ebbero quando l’appartenenza a razze inferiori fu percepita non solo come un difetto ma come ostacolo al progresso della società o dell’umanità.

Ma in essa trovarono appoggio teorico anche le pratiche eutanasiche (esemplare in questo senso l’azione nazista), la contraccezione (la Sanger, fondatrice di organizzazioni che diventeranno in seguito la Planned Parenthood, rivendicava la necessità che poveri e ignoranti non si riproducessero oltremodo) e le sterilizzazioni, talvolta forzate (continuate peraltro sino al XX secolo, ad esempio nell’India di Indira Gandhi).

L’eugenetica risultava poi inseparabile dal processo di “naturalizzazione” della politica, ossia la negazione di qualsivoglia trascendenza, costituendo la giustificazione da un lato alle teorie di Hobbes (sintetizzate in homo homini lupus) e dall’altro alla sopraffazione da parte della borghesia in ambito economico.

Insomma come afferma Golfin ”l’eugenetica appare come una sorta di matrice, sia teorica che pratica, che ha permesso di riunire correnti di idee e pratiche diverse, al servizio di progetti politici a loro volta diversi, dal liberalismo al nazismo, ma che rivendicavano tutti una sociologia scientifica”.

“Questa convergenza – continua l’autore – attesta la profonda coerenza del pensiero moderno nella diversità dei suoi temi, che hanno come filo conduttore il dominio della natura e dell’uomo, dietro l’apparente progresso, e una costante azione di sovversione”. In una parola: quella “naturalizzazione” della politica, per la quale il darwinismo ha svolto il ruolo di garante scientifico.

Apparentemente, dopo i genocidi nazisti, l’eugenetica scomparve dalla scena pubblica. In realtà secondo Golfin “a partire dagli anni Cinquanta, la paura della degenerazione della specie è stata sostituita da quella dello scenario apocalittico di sovrappopolazione che porta all’esaurimento delle risorse naturali e alla carestia: il discorso ecologico ha sostituito direttamente il discorso eugenetico. ”La svolta malthusiana non deve sorprendere: d’altronde vi è una certa vicinanza tra Darwin e Malthus se si considera che per il primo la lotta per la sopravvivenza avviene proprio in un ambiente con scarsità di risorse, ovvero l’assunto di partenza delle teorie del secondo.

Perseguendo questo scopo demografico-ambientalista, un certo numero di pratiche legate all’eugenetica permangono tutt’oggi, e in un certo modo – secondo Golfin – si intensificano, in quanto tenderebbero ad essere impiegate su scala mondiale. L’autore porta come esempio il libro Elimination of the Poor, nel quale Gabriel Tereso, medico esperto di politiche sanitarie, presenta come il malthusianesimo sia riscontrabile nelle politiche di controllo della popolazione, spesso attuate sotto la copertura dell’azione per lo sviluppo e la lotta contro il sovrappopolamento. Tra queste, campagne di vaccinazione sarebbero state utilizzate per la sterilizzazione di popolazioni in America Latina, Africa e Asia, o per l’inoculazione di sostanze abortive.

Golfin conclude efficacemente affermando che “lungi dall’essere scomparsa dagli orizzonti della cultura contemporanea, l’eugenetica è anzi ancora molto presente, semplicemente sotto un’apparenza più mascherata che in passato e con un carattere più indiretto”.

Golfin ha il pregio di indicare lo stretto legame di tutte queste pratiche con i fondamenti filosofici della modernità, mostrando come l’eugenetica, in un movimento quasi circolare, abbia rafforzato i presupposti ad essa precedenti, primo fra tutti che l’uomo sia un animale come gli altri.

È dunque opportuno non dimenticare che per avversare i numerosi frutti amari del nostro tempo, l’abbattimento del tronco del naturalismo, dal quale essi derivano e traggono nutrimento ideologico, è opera imprescindibile. Senza un’impostazione filosofica buona la discesa nella barbarie sarà sempre inevitabile.

Samuele Salvador




giovedì 29 settembre 2022

Non c'è più religione: Ruini scivola su aborto e Cirinnà




Difende la 194 che «deve essere pienamente applicata»; approva le unioni civili che «devono essere diverse dal matrimonio», cosa che la Cirinnà già prevede. E si intromette nel nuovo esecutivo auspicando che segua l'agenda Draghi. Un'intervista drammaticamente disarmante quella del Corriere al cardinal Ruini.



L'INTERVISTA AL CORRIERE
EDITORIALI

Stefano Fontana 29-09-2022

Intervista molto deludente quella concessa dal cardinale Camillo Ruini ad Aldo Cazzullo e pubblicata sul Corriere della Sera di ieri, 28 settembre.

Prima di trattare altri aspetti dell’intervista, vorrei entrare subito nel merito dei due punti più dolorosi: Il cardinale ha dato la sua piena accettazione della legge 194 sull’aborto e la altrettanto piena accettazione della legge Cirinnà sulle unioni civili anche omosessuali. Tutti vedono la pesante gravità della cosa.

A proposito del primo argomento il cardinale ha detto: «Spero che la legge 194 sia finalmente attuata anche dove dice che lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». Con queste improvvide parole egli ha avvalorato la tesi che la 194 è giusta e che deve essere solo completamente attuata. Una tesi purtroppo ormai molto diffusa nella Chiesa, ma insostenibile e inaccettabile: perché quella legge ammette l’aborto che non è mai ammissibile, perché lo riconosce come diritto mentre è un gravissimo torto, perché ha già impedito di nascere a milioni di bambini, perché limitarsi “aiutare le donne che vorrebbero portare avanti la gravidanza” significa riconoscere che, in caso di insuccesso, l’aborto è cosa legittima. Significa anche non tenere conto che le cause dell’aborto sono ben altro da quelle economiche e bloccare qualsiasi progetto di abrogazione della 194. Molti si chiedono oggi con grande disagio spirituale e intima sofferenza: ma la Chiesa è ancora contraria all’aborto? Mille indizi, e ora questo di Ruini, sembrano dirci di no.

Il cardinale non si limita tuttavia a questo, ma approva anche la legge Cirinnà. Alla domanda di Cazzullo sul tema egli risponde: «Le unioni civili dovrebbero essere differenziate realmente, e non solo a parole, dal matrimonio tra persone dello stesso sesso. Devono essere unioni non matrimoni». Ora, la legge Cirinnà dice proprio questo, quindi il cardinale la approva. La Cirinnà non le chiama matrimoni, tanto è vero che si fonda sull’articolo 2 della Costituzione relativo alle aggregazioni sociali e non sugli articoli su matrimonio e la famiglia.

Il cardinale Ruini è stato presidente CEI fino al 7 marzo 2007. Il 28 marzo di quello stesso anno – sotto la presidenza del “ruiniano”, come allora si diceva, cardinale Bagnasco -, il Consiglio permanente della CEI ha pubblicato la Nota sulle unioni di fatto, in cui si dice che eventuali garanzie e tutele giuridiche delle persone coinvolte, sia in relazioni di fatto eterosessuali che omosessuali, debbano venire risolte sul piano del diritto individuale e mai con il riconoscimento della coppia in quanto coppia. Ora, invece, Ruini – ma non lui solo - dice il contrario. Eppure, dalla conclusione della sua presidenza CEI al documento in parola erano passati solo 21 giorni: possibile che egli non se ne faccia più carico?

Fin qui l’intervista è drammaticamente disarmante. Su altri punti è tristemente deludente. L’argomento dell’intervista era l’esito delle elezioni politiche. Cazzullo ha fatto delle domande solo politiche, il cardinale Ruini ha dato risposte solo politiche. Il primo ha fatto il proprio mestiere, anche se le domande erano scontate, il secondo, invece, non ha fatto il proprio mestiere, perché non ha risposto da cardinale ma da politicante.

Perché Berlusconi ha retto e Salvini no? Il bilancio di Draghi esce ridimensionato? Come spiegare il crollo della sinistra a Modena? Che interesse ci può essere a sapere il parere del cardinale Ruini, in quanto cardinale e non in quanto Ruini, su simili questioni? E non è un parere sprecato, dato che un cardinale, in quanto cardinale, dovrebbe rispondere a ben altre domande, anche se l’intervistatore non gliele facesse? In tutta l’intervista manca, purtroppo, uno sguardo superiore, una visione ispirata che non si limiti alla storia ma che attinga alla teologia della storia. Si dirà: anche per questioni così profane come delle elezioni politiche? Direi proprio di sì, dato che la politica ha – anche quando lo nega, anzi ancora di più quando lo nega – a che fare con valori assoluti, ed è proprio di questo che un cardinale dovrebbe parlare. Il suo parere sul carattere della Meloni, i suoi auspici che governi da moderata, non solo ci interessano poco, ma sono anche poco consoni ad un cardinale.

Il cardinale dice la sua anche su tre tematiche strettamente politiche, che non rientrano di per sé nelle competenze ecclesiastiche. Prima di tutto dà un giudizio assai positivo del governo Draghi e prevede – o auspica – che Giorgia Meloni seguirà la stessa linea. Secondariamente elogia l’Unione Europea e sostiene che essa sia un “bene” per l’Italia. In terzo luogo, si dice a favore di un rafforzamento dell’esecutivo anche nella forma del presidenzialismo. Si tratta di indicazioni politiche, per di più non molto cifrate, per la nuova maggioranza? Quando un cardinale scende a questi livelli di politica politicante si può pensare di tutto.





mercoledì 28 settembre 2022

Ordinazioni a Pistoia: Mons. Tardelli esorta i nuovi preti... a essere preti fino in fondo






Non riguarda una "Messa in latino", ma merita di essere rilanciata anche qui l'omelia del vescovo di Pistoia mons. Fausto Tardelli all'ordinazione di due nuovi sacerdoti, domenica 25 settembre.

Il presule li ha esortati a «essere una cosa solo con Cristo», coltivando «un amore sempre più intenso e profondo a Cristo morto e risorto, così da essere sempre più lui, nei pensieri, negli atteggiamenti, nelle scelte, nel ministero», «a fare tutto ciò che è fattibile per il bene delle persone ma sempre con questa grande prospettiva nel cuore: che oltre il pane materiale, conoscano il Pane della vita; che oltre i bisogni terreni, possano scoprire colui che dona la vita eterna». 

Altrimenti, «diventereste magari dei bravi operatori sociali, ma verreste meno a quella che è la missione propria che vi è stata affidata». Anche nei momenti oscuri, ha continuato il vescovo, «le vostre lacrime non si dovranno però trasformare in rabbia o sconforto ma in preghiera, in supplica al Signore».
 
In breve, ha detto ai preti di fare... i preti. E non è poco di questi tempi. Auguri ai due nuovi sacerdoti pistoiesi, don Alessio e don Maximilien. Di seguito il testo dell'omelia.

Stefano





ORDINAZIONE PRESBITERALE

ALESSIO BIAGIONI E MAXIMILIEN BALDI

CATTEDRALE DI S. ZENO (DOMENICA, 25 SETTEMBRE 2022)



«Ma tu, uomo di Dio, tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni».

Queste raccomandazioni dell’apostolo Paolo a Timoteo stasera sono rivolte a voi, carissimi Alessio e Maximilien. Sono per voi. Per voi che state per diventare presbiteri, che ricevete dal Signore un mandato speciale, una consacrazione, per essere immagine viva di Lui Buon Pastore in mezzo al popolo di Dio e anche tra chi non fa parte di questo popolo.

Quello che mi sento di dirvi oggi, proprio sulla scia dell’apostolo Paolo, è che siate uomini dai grandi desideri. Sì: uomini dai grandi desideri. Non desideri di piccolo cabotaggio, limitati, sbiaditi, bensì grandi come l’orizzonte sul mare. Non quei desideri che sono soltanto capricci di un io malato di delirio di onnipotenza. No. Quei desideri invece che solo Dio sa mettere nel nostro cuore e suscitare in noi per la sua misericordia.

Che siate dunque uomini animati da questi desideri potenti, forti; che siate sempre in cammino, tesi a vivere il presente ma con l’ardore del cuore che vi fa guardare avanti in una tensione continua e gioiosa. Animati da desideri capaci di smuovervi, che originano impegni concreti e un modo di vedere il presente carico di speranza. Animati in particolare da tre grandi desideri direi, di cui stasera vi voglio parlare. Imparate a coltivarli; che non si affievoliscano mai dentro di voi ma che anzi si approfondiscano sempre di più nel corso degli anni.

Il primo di questi desideri da coltivare è di essere una cosa solo con Cristo, di configurarsi pienamente a lui in tutto, di partecipare con ogni fibra del vostro essere, alla morte e alla resurrezione del Signore. Per arrivare a dire, ancora con Paolo nella lettera ai Galati: «non vivo più io ma Cristo vive in me».

Ecco il primo grande desiderio che deve bruciare dentro le vostre anime ogni giorno. Questo il vostro anelito, questo la vostra prospettiva che si rinnova ogni volta che celebrerete l’eucaristia: diventare pane donato nel Pane che viene dal cielo; divenire ogni giorno di più vino versato per amore insieme al sangue di Cristo. Acquisire ogni giorno di più i sentimenti che furono in Gesù Cristo, il quale venne per servire e non per essere servito.

Sia questo il vostro primo grandissimo, rinnovato desiderio: quello di un amore sempre più intenso e profondo a Cristo morto e risorto, così da essere sempre più lui, nei pensieri, negli atteggiamenti, nelle scelte, nel ministero. Un desiderio che, certo, si accompagnerà sempre anche alla consapevolezza che tutto è dono di Grazia e che la vostra partecipazione alla vita di Cristo rimane su questa terra sempre imperfetta e lacunosa. Ma proprio per questo, il desidero di una piena comunione con Cristo si farà sempre più intenso e struggente.

C’è però anche un secondo grande desiderio che deve abitare il vostro cuore e tutta la vostra vita: è il desiderio dell’apostolo. E cioè che ogni persona possa incontrare e conoscere il Signore Gesù e trovare la pienezza della vita. Dovete imparare a bruciare per questo desiderio perchè infiammi la vostra esistenza di ministri del Signore. Tutto in voi e nel vostro operare deve mirare a questo: che le persone possano incontrarsi col Signore, che possano riconoscere la sua presenza amorevole di salvatore nella loro vita; che possano sentire la gioia che produce la sua sequela. Voi siete al servizio di questo incontro. Come Giovanni Battista, voi siete gli amici dello sposo, non lo sposo. Non dovrete portare avanti la vostra persona, ma solo Lui, invitando a scoprirlo e a lasciarsi incontrare ed amare. Siete chiamati a preparare la strada al Signore per lasciare poi a lui l’incontro con le persone che cambia loro la vita e che salva.

Questo desiderio grande e forte vi porterà ad amare tutte le persone che incontrerete con un amore pienamente umano ma che è quello di Cristo perché le vedrete coi suoi occhi; vi porterà a spendervi per distribuire il pane per i bisogni degli uomini e delle donne, vi spingerà a fare tutto ciò che è fattibile per il bene delle persone ma sempre con questa grande prospettiva nel cuore: che oltre il pane materiale, conoscano il Pane della vita; che oltre i bisogni terreni, possano scoprire colui che dona la vita eterna in modo che i loro giorni divengano un canto di lode al Signore.

Se questo desiderio si affievolisse in voi, diventereste magari dei bravi operatori sociali, ma verreste meno a quella che è la missione propria che vi è stata affidata, ciò per cui siete ordinati, ciò per cui il Signore vi ha chiamato.

E questo desiderio, sappiatelo, vi porterà inevitabilmente a piangere, qualche volta. Constatando la vostra opacità, il vostro essere strumenti inefficaci a causa dei vostri peccati, oppure scontrandovi – impotenti – con la durezza dei cuori e la refrattarietà alle parole di Cristo. Questo desiderio vi procurerà sicuramente dolore, nel vedere l’ostinazione nel male che c’è nel mondo, la chiusura di quelli che la prima lettura di oggi dal profeta Amos chiama “gli spensierati di Sion”, che «bevono il vino in larghe coppe e si ungono con unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano». Le vostre lacrime non si dovranno però trasformare in rabbia o sconforto ma in preghiera, in supplica al Signore, in intercessione come quella di Mosè per quel popolo eletto dalla dura cervice che gli era stato affidato. Soprattutto dovrete continuare ad amare; ad amare tutti; anche coloro che magari in qualche modo vi crocifiggeranno. Anche nei loro confronti il vostro amore vi porterà non solo a sopportare con pazienza ma a desiderare per essi la conoscenza della misericordia di Cristo salvatore.

Infine, ecco anche il terzo grande desiderio che dovete coltivare: quello cioè di un mondo che diventa regno di Dio. Quello cioè di un mondo trasformato e trasfigurato dall’amore. «Venga il tuo regno», ci fa pregare Gesù, spingendoci a coltivare questo desiderio. Una preghiera che si ripete ogni giorno, per chiedere ogni giorno che si realizzi il suo «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Voi, carissimi, siete chiamati a far crescere sempre di più questo desiderio ardente e operoso nel vostro cuore, di fronte a un mondo che è ancora così lontano da ciò che dovrebbe essere. La parabola del povero Lazzaro, ascoltata nel Vangelo, non è semplicemente un invito alla elemosina. Essa denuncia una situazione di grave ingiustizia che c’è nel mondo e che solo la misericordia di Dio sa compensare in modo straordinario. Purtroppo, questa nostra società è segnato da ingiustizie e strutture di peccato; è segnato in larga misura dalla violenza e dalla guerra; il dio denaro spadroneggia su uomini e cose, mentre il malaffare e la corruzione sono diffusi. Stiamo rovinando la casa comune per noi e per chi verrà dopo di noi. Voi dovete essere uomini che sentono forte il desiderio che le cose siano diverse, che le cose cambino, che l’umanità diventi luogo di pace e di fraternità. E dovrete cominciare a vivere, a dare concretezza a questo desiderio, nel piccolo della vostra vita, all’interno della vostra realtà, dentro gli spazi di vita che abiterete per il vostro ministero. E questo desiderio di un mondo nuovo e migliore, dovrete cercare anche di trasmetterlo alle persone che vi saranno affidate, educando le coscienze, perché le nostre comunità cristiane siano luoghi dove si impara a mettersi al servizio e ad impegnarsi per il bene comune e non ci si accontenti di curare individualisticamente la propria anima.

Sì, carissimi Alessio e Max, ecco ciò che mi sento di raccomandarvi stasera mentre rendo grazie al Signore per il dono che siete per me e per la nostra chiesa: siate dunque uomini dai grandi desideri. Osate ciò che umanamente sembra impossibile, confidando però sempre non nelle vostre povere forze ma nel dono dello Spirito che oggi vi consacra come ministri di Dio.

Fonte: Diocesi di Pistoia

Foto tratta dalla pagina FB della Diocesi



martedì 27 settembre 2022

L'Occidente è diventato un manicomio






27 settembre 2022


Qui l'indice dei precedenti su realtà distopica e transumanesimo. L'Occidente è diventato un manicomio


Michel Onfray 

Una bambina di otto anni che vuole cambiare sesso, tagliagole presentati come vittime del sistema e di sé stessi, una ragazza che non va più a scuola e profetizza la catastrofe climatica mentre il clero del suo paese dice che è la reincarnazione di Cristo, donne che vendono uteri, bambini su commissione, la chiesa cattolica che corre dietro alle mode del politicamente corretto, il quotidiano Libération che si dice progressista celebrando la coprofagia, i vegani che militano contro i cani guida, un antropologo che scopre che ci sono troppi dinosauri maschi e non abbastanza femmine nei musei… Sono alcuni dei frammenti della nuova opera di Michel Onfray, “La nef des fous: Des nouvelles du Bas-Empire”. Il titolo si riferisce al secondo periodo dell’Impero romano, ma anche al dipinto di Hieronymus Bosch, che mostra una serie di personaggi stretti su una piccola barca e in preda ai propri vizi.


È l’intellettuale francese meno facilmente classificabile. I cattolici lo criticano per quel suo “Trattato di ateologia” che gli diede enorme successo. Gli atei lo guardano con sospetto perché lamenta la fine dell’Europa giudaico-cristiana e attacca il “laicismo militante”. I liberali lo incasellano fra i populisti, specie da quando ha fondato una nuova rivista, il Front Populaire. I liberal non lo hanno mai sopportato molto, troppo “reazionario”. La destra lo accusa di essere un anarchico di sinistra. La sinistra lo taccia di cripto lepenismo, perché difende i ceti popolari. I custodi del 1789 non gli perdonano le troppe pagine dedicate alle decapitazioni di massa di Robespierre e al genocidio in Vandea. E nel paese di Jacques Lacan e Françoise Dolto, Onfray ha scritto anche un libro contro Freud. Non si può dire che non se le cerchi. Sessantadue anni, fondatore dell’Università popolare di Caen, Onfray vive ancora a Chambois, un magnifico paesino dimenticato da qualche parte della Normandia, nei pressi di Argentan (dove dal 16 al 24 agosto 1944 americani e inglesi circondarono l’esercito tedesco), storico feudo della sinistra che oggi vota massicciamente Marine Le Pen.

Sullo sfondo di una civiltà sull’orlo del collasso, nel libro di Onfray c’è una sinistra che ha rinunciato alle sue lotte per suicidarsi in un naufragio ideologico. L’idealismo marxista ha dominato la vita intellettuale francese per mezzo secolo, fino al ’68. “Il mese di maggio ha sepolto la vecchia sinistra sartriana a beneficio di una sinistra strutturalista incarnata da Foucault. Sartre, il vecchio papa del marxismo, è crollato come un castello di carte. Per Marx non c’erano neri, gialli, bianchi, ebrei, cristiani, musulmani, uomini o donne, eterosessuali o omosessuali, ma sfruttatori borghesi e proletari sfruttati”. Foucault incarna lo strutturalismo che, scrive Onfray, “fornisce la sua ideologia al nichilismo contemporaneo. Lo strutturalismo annuncia che esisterebbero strutture invisibili, indicibili, ineffabili. La sinistra francese non poteva più guardare a Mosca per pensare, tranne che per meditare su rovine e macerie. Quindi ha rivolto lo sguardo a occidente, affascinata dai campus americani”. Il proletariato non sarebbe più stato l’attore della storia, “gli viene ordinato di cedere il passo alle minoranze”. Il filosofo si è divertito a compilare sotto forma di effemeridi del 2020 “alcune cose piuttosto sorprendenti di questa èra del collasso”. Ricorda l’articolo su Libération del filosofo transessuale Paul B. Preciado, ex compagna della scrittrice e attivista di sinistra Virginie Despentes: “Affermiamoci come cittadini totali e non più come uteri riproduttivi. Attraverso l’astinenza e l'omosessualità, ma anche attraverso la masturbazione, la sodomia, il feticismo, la coprofagia, la bestialità… e l’aborto. Non lasciamo che una sola goccia di sperma nazionale cattolico entri nelle nostre vagine”. “E’ quella la sinistra? La mia sinistra non è coprofila e zoofila”, scrive Onfray.


Secondo il filosofo, il “crollo dei valori è totale” e denuncia Elon Musk come “il grande uomo della barbarie”. “Se la sinistra che ha difeso le persone, i poveri e gli indigenti ci invita a mangiare le feci e sodomizzare il nostro pesce rosso, c’è davvero qualcosa che non va”. Onfray attacca la cultura woke americana. “Non c’è molto dibattito, ma molti insulti. Siamo razzisti, siamo omofobi, siamo misogini, siamo fallocrati. E’ l’anatema. O sei con noi o sei contro di noi. E se sei contro di noi, sei il nemico. Questa è una guerra spietata e non un dibattito. Potremmo discutere, argomento contro argomento. Questo non è il caso. Alla fine sarai un fascista, un nazista, un pétainista, sei di estrema destra e la questione è risolta”. Sul Parisien, la politologa e attivista femminista Françoise Vergès ha descritto Napoleone I come “razzista, sessista, dispotico, militarista e colonizzatore”.


“Etimologicamente parlando, è il tempo della decomposizione della nostra civiltà”, spiega Michel Onfray al Foglio. “Tutto ciò che costituiva la civiltà giudeo-cristiana è oggi decomposto, sconfitto, distrutto. E’ la vecchia fantasia rivoluzionaria che si sta realizzando: ‘Facciamo tabula rasa del passato!’. Siamo in un periodo di transizione tra la fine di questa civiltà esaurita dopo duemila anni di esistenza e l’avvento della prossima, che sarà probabilmente quella del transumanesimo. Stiamo davvero vivendo momenti di barbarie come ce ne sono stati spesso nella storia con i suoi autodafé, i suoi roghi reali o virtuali di biblioteche, le sue inquisizioni, i suoi tribunali rivoluzionari, le sue condanne, le sue purificazioni…”.


Nei momenti di declino, dall’antica Grecia a oggi, emergono fantasie transessuali. “Per affermarsi ideologicamente, il transumanesimo ha bisogno di distruggere la differenza sessuale e l’antica definizione umanista dell’uomo a favore di un terzo sesso non più naturale ma artificiale, quindi deciso, scelto, voluto, costruito, prodotto, un corpo come oggetto che può essere venduto, affittato, riparato, modificato, migliorato… La teoria del gender lavora consciamente o inconsciamente su questo progetto, cancellando tutto ciò che è naturale a favore del culturale. Un bambino non è più un essere vivente, una persona, ma è un progetto: se non abbiamo più il progetto di questo bambino, una legge francese votata in Parlamento ha appena autorizzato la possibilità di metterlo a morte negli ospedali, per mano stessa dei medici, con il pretesto di ragioni psicosociali”. Onfray si riferisce all’aumento del periodo di aborto da dodici a quattordici settimane. “Stiamo andando verso la generalizzazione di questo concetto: l’uomo non sarà più un essere autonomo, un soggetto dotato di una coscienza e fornito di libero arbitrio, ma una cosa con un destino proprio – prendiamo, teniamo, buttiamo via, sostituiamo, gettiamo nella pattumiera?”.


Pochi intellettuali ormai, e quasi tutti della vecchia guardia, mettono in discussione questo nuovo consenso. “C’è una doppia tradizione in filosofia. C’è quella di Platone, che consiglia re e principi e diventa familiare con i potenti, e c’è quella di Diogene, un uomo libero che non trovava interesse nel frequentare i potenti. Ci sono molti filosofi nella prima categoria perché c’è molto da guadagnare mangiando alla tavola dei grandi. C’è molto da guadagnare nel futile, ma molto da perdere in ciò che costituisce l’onore e la dignità di un uomo. Anche la sua libertà. Le ho detto che ho una grande stima di Diogene?”.


Al giornale spagnolo El Mundo lei ha appena detto che la sinistra che compra e vende i bambini con la maternità surrogata non è la sua. “La mia sinistra non è la sinistra dei marxisti, che è la sinistra del filo spinato, né la sinistra dei liberali, che è la sinistra del denaro e dell’impoverimento. La mia sinistra è quella di Orwell, che si definiva un ‘anarchico conservatore’, e mi sta bene. La sinistra maastrichtiana, come ho appena detto, lavora per abolire la civiltà giudeo-cristiana e per realizzare il consumismo transumanista. Per farlo, ha gettato il popolo alle ortiche, con il pretesto che si è rifugiato nelle braccia dei populisti, e lo ha sostituito con un popolo composto da minoranze religiose, sessuali, culturali, corporali e razziali. Tocqueville non amava la democrazia perché vedeva in essa il pericolo della tirannia della maggioranza. Si sbagliava: la democrazia si spezza sottomettendosi alla tirannia delle minoranze, a cui dà pieno potere sulla maggioranza”.


La chiesa, scrive nel libro, si sta adagiando sulle ali di ogni venticello politicamente corretto. “Sì. Papa Francesco, a differenza del suo predecessore, Benedetto XVI, che gli ha resistito, è l’uomo della decadenza. Non sono cristiano, ma se lo fossi, vedrei in lui l’Anticristo annunciato nell’Apocalisse! Dal Concilio Vaticano II, la chiesa non vede l’ora di dare pegni alla modernità. Ha liquidato l’ontologia, la metafisica, la teologia, il sacro, la trascendenza, in favore di una fredda morale! Credendo di tenersi così i suoi seguaci, li ha persi”.


Lei ha scritto che noi abbiamo il monopattino, i musulmani invece hanno Allah. “Il potere dell’islam dipende meno da una questione di forza di questa religione e più dalla debolezza del cristianesimo, che, come ho appena detto, si sta lentamente ma inesorabilmente suicidando”, ci dice ancora Onfray. “Una civiltà non cade perché è attaccata dall’esterno, ma perché è minata dall’interno. Le ricordo, visto che è così gentile da citare ‘Decadenza’ (in Italia è uscito per Ponte alle Grazie), che in questo libro dico che la Sagrada Familia di Barcellona è stata decisa dal suo architetto nel XIX secolo, che il XX secolo non è stato sufficiente per costruirla, che è stata tuttavia santificata da un Papa nel XXI secolo e che questo Papa si è dimesso… A questo bisogna aggiungere che è stato sventato un attacco islamista che avrebbe distrutto quella che è già una rovina”.


Veniamo all’isteria generata dal fenomeno Greta Thunberg. “Il politicamente corretto avanza sul principio del cavallo di Troia: non dice mai che distruggerà, spezzerà, sopprimerà, devasterà una civiltà, ma che agisce per il bene degli uomini e dell’umanità. Il riscaldamento globale, un fatto provato le cui cause restano da determinare proprio evitando l’ideologia e preoccupandosi piuttosto di astrofisica, geologia e geomorfologia, climatologia, questo riscaldamento globale è quindi un eccellente argomento sofisticato e retorico per chi vuole abolire confini, popoli e nazioni a vantaggio di una politica post-nazionale e cosmopolita. La Terra è un Tutto la cui gestione ecologica richiede un governo planetario, è un’entità globale che richiede la fine del locale: abracadabra… Greta è la santa laica di questa nuova religione, la Giovanna d’Arco che deve cacciare l’ipotetico nemico del pianeta fuori dal cerchio della ragione”.


Onfray conclude, come ci si aspetta da lui, su una nota di pessimismo. Dice che il tempo sta per scadere. “La cultura occidentale sta cadendo a pezzi a grande velocità. Tanto più che l’odio per la cultura non è opera dei soliti nemici della cultura, barbari, soldati, guerrieri, bruti, ma viene ormai dagli stessi uomini di cultura, accademici, scrittori, sociologi, pensatori, giornalisti, artisti mondani che accendono ogni giorno cento falò intellettuali. Di questo passo, presto non ci saranno altro che le rovine della nostra civiltà”.




domenica 25 settembre 2022

Molti confondono l’accidia con la pigrizia. Ma non è così




 25 SETTEMBRE 2022


da Accidia. Pigrizia o pseudo virtù moderna, di padre Luca M.genovese, in “Il Settimanale di Padre Pio”, n.43

Tutti pensano che l’accidia corrisponda piò o meno alla pigrizia, alla noia, al tedio ed alla poca voglia di lavorare. sarebbe il vizio degli scansafatiche e dei mangiapane a ufo.

(…)

Il grande santo dell’antichità, san Giovanni Climaco (morto nel 650), monaco del monte Sinai, maestro di una fiorente comunità monastica e grande conoscitore dell’animo umano, dell’accidia dà tutt’altra spiegazione: l’accidioso in realtà è un “attivista”. Ma che tipo di attività svolge?

Egli dice: “Spesso (l’accidia) nasce come un rampollo tra i rami della loquacità (…) l’accidia è la paresi dell’anima per cui la mente si infiacchisce, l’ascesi viene trascurata, la vocazione è detestata. esaltando i beni del mondo calunnia la misericordia e la filantropia divina, allenata la tensione della salmodia e rende fiacca la preghiera, mentre infonde una ferrea energia per i servizi, sollecitudine per i lavori manuali e riprovazione per l’ubbidienza (…).”

(…)

L’accidia è l’inno all’attività e la nemica della contemplazione, la distruttrice dell’ubbidienza nel nome del diritto e del progresso.

(…)

L’accidia è il dogma dell’attività folle senza senso che si getta nel lavoro e nella produzione pur di non pensare a Dio, alla sua Legge ed al suo giudizio: una specie di ubriacatura dell’animo davanti alle realtà eterne sempre più imminenti.

C’è chi si ubriaca con l’alcool per non pensare alle proprie responsabilità, e chi si ubriaca di lavoro per non pensare a Dio ed alla preghiera dovuta, al fine ultimo della propria esistenza e all’esigenza di convertirsi. Il risultato è la nevrosi del vivere.

(…)

Lo zelo per il governo laico del mondo, l’indipendenza dell’uomo dalle divine leggi rivendicata come un diritto, il voler sempre cambiare disprezzando gli esempi santi degli antichi, questa è l’attuale accidia e la modernità vi sprofonda dentro come in un fango avvinghiante dal quale non può più uscire.

(…).






sabato 24 settembre 2022

Gli angeli che sono divenuti demoni. Il mistero del loro peccato



24 SETTEMBRE 2022


Ha scritto padre Angelomaria Lozzer su “Il Settimanale di Padre Pio”

Si apre un capitolo doloroso che Paolo VI definì come una «Terribile realtà», «Misteriosa e paurosa»; quella appunto di «un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore»; un essere uscito dalle mani di Dio, quale effusione della sua bontà e misericordia, che però si è improvvisamente a Lui ribellato, passando dalla luce alle tenebre. Lo afferma chiaramente il Catechismo Romano: «Purtroppo, sebbene tutti arricchiti di tali doni celesti, molti, avendo ripudiato Dio loro padre e creatore, furono espulsi dalle sublimi sedi e chiusi nel carcere oscurissimo della terra, dove pagano eternamente la pena della loro superbia. Di essi parla san Pietro: “Dio non ha risparmiato gli angeli peccatori, ma li ha precipitati nell’inferno, abbandonandoli agli abissi delle tenebre, dove li mantiene per il Giudizio” (2Pt 2,4)».
Ma come è possibile che una creatura così alta ed eccelsa sia passata, improvvisamente, dal bene al male? Come spiegare questo misterium iniquitatis?

San Giovanni Damasceno risponde che «ogni cosa creata è soggetta a mutamento – soltanto l’Increato è immutabile –, e ogni essere razionale è dotato di libera volontà. Quindi in quanto natura razionale e intelligente è dotata di libera volontà; in quanto creata, è mutabile avendo il potere di rimanere e di progredire nel bene sia di volgersi al peggio». Quindi, la possibilità di venire meno dinanzi al progetto di beatitudine che Dio aveva loro assegnato non è altro che una conseguenza della loro creaturalità e libertà.
Gesù ha dichiarato: «Nessuno è buono se non Dio solo» (Mc 10,18). Ossia, soltanto in Dio Bene e natura coincidono. Le creature invece sono buone nella misura in cui partecipano della bontà del Sommo Bene. Le pietre, gli uccelli, i pesci e ogni genere creato è creatura di Dio e partecipa in diverso grado della bontà di Dio, ma solo l’uomo e l’Angelo in quanto esseri razionali, dotati di conoscenza e di volontà vi possono partecipare coscientemente e liberamente su un piano più elevato, quello morale. Ed è qui che, a differenza del resto del creato, gli Angeli e gli uomini possono venire meno frustrando il proprio fine e contraddicendo la propria chiamata al bene.

Dobbiamo pertanto concludere che è proprio della creaturalità essere fallibili. L’Angelo non è santo e immutabile per natura, come invece lo è Dio. Sant’Ambrogio scrive: «Sia che tu parli degli angeli, sia delle dominazioni sia delle potenze, ogni creatura attende la grazia dello Spirito Santo…». Pertanto, se ora gli Angeli buoni sono «stabili, immutabili e solidamente fissati nel bene» (San Basilio) ciò è solo a motivo della Grazia divina conferita loro dallo Spirito Santo al termine della prova. Così, infatti, scrive il Damasceno: «Ora [gli Angeli] non sono movibili, ma non per natura bensì per grazia, e per la costante aderenza all’unico bene».

I termini che li designano e la loro natura

I testi dell’Antico Testamento che ci parlano esplicitamente di queste creature superbe e ribelli al piano di Dio sono in realtà pochissimi, ossia solo quattro: Gb 1,6ss; Zc 3,1ss; Sap 2,24ss; Lv 16,7ss. La loro presenza nel Testo Sacro tuttavia rimane così sottintesa e percepibile che lo Schebeen afferma: «Mille volte nella Sacra Scrittura si dà per certo che esistono spiriti “maligni o impuri”, cioè che non tramano altro che il Male, induriti nella malvagità e in gran numero».

Con il Nuovo Testamento che porta a termine la divina Rivelazione la loro presenza si fa più fitta e più esplicita. Gesù stesso ne parla più volte.
I termini utilizzati dalla Scrittura per designare questi angeli ribelli e in modo particolare l’angelo ribelle per eccellenza, ossia Lucifero, sono molti: satana, maligno, diavolo…

L’appellativo “satana” compare la prima volta nel Libro di Giobbe. Egli si presenta come l’accanito nemico di Giobbe. Il nome stesso “satana”, infatti, proviene dal verbo ebraico “portare rancore”, e significa “avversario”, “nemico mortale” e secondariamente anche “maligno”, “dissimulatore”, “distruttore, traditore, sobillatore, accusatore”. Simile per significato è l’espressione “diavolo”, dal greco “confondere, mettere sottosopra”, ossia “confusionario” e in senso lato calunniatore. La parola “demone”, invece, che letteralmente indica il sapiente, vuole sottolineare l’acuta intelligenza di questo essere, che con ogni astuzia si aggira “cercando chi divorare”.

Gli ebrei al tempo di Gesù chiamavano il diavolo con il nome di Beelzebub, che significa “dio dello sterco”, in quanto a lui venivano offerti dei culti idolatrici che gli ebrei intendevano disprezzare con questa espressione.
Altri termini usati nella Bibbia sono quelli di “serpente” (Gen 3,15), “Leviatan” (Gb 3,8; 40,28; Ab 3,8), “dragone” (Ap 22,3)… che danno l’impressione di qualcosa che striscia, che è insinuoso, che si nasconde, ma che resta pur sempre una minaccia potente, un’insidia pronta per chi lo trova sul proprio cammino.

Il nome più utilizzato dal Signore nei Vangeli è quello generico di “maligno”.
Riguardo alla natura propria dei diavoli, sappiamo che essa è la medesima degli Angeli buoni, sebbene privata e spogliata di tutti quei doni soprannaturali che Dio aveva e avrebbe loro concesso se non avessero peccato. Che la loro natura sia nobile ed elevata lo dimostra Gesù stesso quando parlando del diavolo lo paragona alla “folgore”, la quale appare «magnifica, rapida, superba, piena d’una forza prodigiosa, simile ad un nastro fulvo, una rete guizzante, un vezzo di perle vibranti, un globo esplosivo. Essa fende il cielo e fa presentire la pienezza e la letizia della luce di lassù». Così era ed è in qualche modo il diavolo. Non è «come un fantoccio o come un capro. È un essere superiore, che sopravanza immensamente noi piccoli uomini. Una intelligenza quasi infinita; una forza che potrebbe strappare dai cardini la terra, se Dio lo permettesse» (O. Hophan).

Quale Angelo maestoso sarebbe stato Lucifero se l’orgoglio non lo avesse fatto precipitare! Ben valgono per lui le parole del profeta Ezechiele: «Eri come un cherubino ad ali spiegate a difesa; io ti posi sul monte santo di Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco. Perfetto tu eri nella tua condotta, da quando sei stato creato, finché fu trovata in te l’iniquità. Crescendo i tuoi commerci ti sei riempito di violenza e di peccati; io ti ho scacciato dal monte di Dio e ti ho fatto perire, cherubino protettore, in mezzo alle pietre di fuoco. Il tuo cuore si era inorgoglito per la tua bellezza, la tua saggezza si era corrotta a causa del tuo splendore: ti ho gettato a terra e ti ho posto davanti ai re che ti vedano» (Ez 28,14-17).

San Bernardo lo chiama «il primo degli Angeli». San Gregorio Magno il «più sublime e il più alto di tutti» e «superiore a tutte le schiere degli Angeli», al punto che la sua luce «oscurava il loro splendore». E così scrive di lui: «“Ogni pietra preziosa ornava il tuo manto: rubino, topazio, diamante, crisolito, pietra onichina, diaspro, zaffiro, carbonchio e smeraldo”. Ecco che il profeta ha detto il nome di nove pietre preziose, perché nove sono gli ordini degli Angeli e tutti questi ordini furono come sintetizzati nel primo Angelo, il quale, per il fatto che doveva presiedere a tutti i cori, era anche giusto che splendesse della maestà di tutti».

Quale perdita è stata la sua! «Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? – dice il profeta Isaia – Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso!» (Is 14,12-15).

Sulla posizione gerarchica di Lucifero e a quale coro appartenesse non tutti i Padri, i Dottori e scrittori ecclesiastici sono unanimi: per alcuni sarebbe – come abbiamo già visto – il primo degli Angeli, per altri apparterrebbe al coro degli intelligentissimi Cherubini, per altri ancora agli Angeli che presiedevano al governo del mondo, per altri al coro dei Principati.

Riguardo gli altri angeli ribelli non sappiamo dire molto. La scrittura parla di “cherubini”, di “potestà”, di “virtù”, di “principati”, di “arcangeli” e di “angeli” come spiriti ribelli a Dio. Per questo si è ritenuto che da questi cori siano venute le maggiori defezioni. Il Padre Hophan fa notare che essi «sono proprio i cori che si distinguono per la sapienza e la potenza», mentre la Scrittura «non nomina alcun apostata proveniente dalle schiere dei “serafini”, dei “Troni” e delle “dominazioni”, cioè dai cori dell’amore di Dio, dell’inabitazione di Dio, della partecipazione alla signoria di Dio». Secondo san Tommaso ciò si spiega col fatto che «il nome dei Serafini è desunto dall’ardore della carità, il nome dei Troni dall’inabitazione divina, quello delle Dominazioni implica una certa libertà: cose tutte incompatibili col peccato. Per tale motivo questi nomi non sono mai attribuiti agli angeli prevaricatori». Se questa dottrina dei sei cori fosse giusta, potremmo scorgervi un’interessante concordanza con il numero della Bestia, di cui parla l’Apocalisse: «Il numero della Bestia è seicentosessantasei» (Ap 13,18).

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri



venerdì 23 settembre 2022

Come il marxismo ha rovinato l’istruzione in Italia





di Julio Loredo

Sulla scia della rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia, diversi pensatori marxisti iniziarono a esplorare le possibilità per replicarla in Occidente. Giunsero rapidamente alla conclusione che da noi fosse impraticabile. Era necessaria una nuova strategia. Gli sforzi più importanti in questo senso furono portati avanti dall’Institut für Sozialforschung dell’Università Johann Wolfgang Goethe in Germania, meglio conosciuto come Scuola di Francoforte, anche dopo che i suoi membri si trasferirono prima in Francia e poi negli Stati Uniti.

I membri di questa scuola applicarono il marxismo a una teoria sociale radicale e interdisciplinare, utilizzando le intuizioni della psicoanalisi, della sociologia, della filosofia esistenziale e di altre discipline per disegnare un piano di Rivoluzione totale. Nel 1936, ad esempio, coniarono l’espressione “rivoluzione sessuale” per descrivere l’utilizzo della decadenza morale già allora in atto per distruggere la mentalità “borghese” e forgiarne una nuova socialista.

Forse meno noto a livello internazionale ma, in più di un modo, maggiormente importante fu il lavoro di Antonio Gramsci, cofondatore del PCI. Ampliando il concetto marxista di egemonia - che considerava l’economia la “struttura” e tutti gli altri ambiti (politico, culturale, ecc.) semplici “sovrastrutture” - Gramsci esplorò gli aspetti culturali dell’egemonia, sviluppando le basi di quella che poi divenne nota come Rivoluzione culturale. Insisteva sul fatto che prendere il controllo del governo non è l’obiettivo più importante (come invece sosteneva Lenin). Secondo lui, la sinistra doveva piuttosto controllare alcuni settori chiave della società, in particolare l’istruzione, la cultura e la magistratura. Istruzione e cultura sono intimamente legate. Mentre una cultura di sinistra plasma il sistema educativo, un’educazione di sinistra forma i giovani che in seguito svilupperanno la cultura, creando un circolo vizioso che lentamente ma inesorabilmente cambia le mentalità. Le trasformazioni politiche, sosteneva Gramsci, sarebbero arrivate in seguito come naturale conseguenza di questi cambiamenti nella cultura.

“L’educazione è da sempre strumento per il consolidamento di qualsiasi egemonia – scrivono Lorenzo Caruti e Giammarco Serino – l’educazione [è] strumento imprescindibile di egemonia politica (…) l’educazione plasma le influenze geopolitiche”[1].

La sinistra ha avuto un enorme successo nell’applicare questa strategia. La cultura occidentale moderna - lingua, arti, musica, teatro, fotografia, cinema, letteratura, poesia, televisione, moda, pubblicità - è massicciamente orientata a sinistra. Non esiste una cultura “conservatrice” o “tradizionalista” di qualche rilievo. Se prendiamo gli elementi della cultura definiti da Andrew Brown, autore di Organisational Culture - artefatti, storie, rituali, eroi, simboli, credenze, atteggiamenti e valori – ci accorgiamo che sono tutti egemonizzati dalla sinistra.

Lo stesso per l’istruzione. La sinistra ha avuto un enorme successo nell’infiltrare il sistema educativo fino a controllarlo virtualmente. In Italia, ad esempio, indipendentemente da chi è al governo, l’istruzione cammina sempre a sinistra.

Come possiamo definire la Rivoluzione culturale?


Nel descrivere lo spirito che anima il processo rivoluzionario, Plinio Corrêa de Oliveira afferma: “Due nozioni concepite come valori metafisici esprimono bene lo spirito della Rivoluzione: l'uguaglianza assoluta, la libertà completa. E due sono le passioni che più le servono: l'orgoglio e la sensualità”. Se analizziamo le riforme dell’istruzione negli ultimi decenni, tutte si riducono a questo: più uguaglianza e più libertà. Teniamo conto, però, che quando la Rivoluzione proclama la completa libertà come principio metafisico, lo fa solo per giustificare il libero corso delle peggiori passioni e degli errori più perniciosi. Quando è al potere, limita facilmente, e persino con gioia, la libertà del bene.

La distruzione pianificata della scuola

Negli ultimi decenni abbiamo assistito in Italia a quella che un analista ha definito “la distruzione pianificata della scuola”. Già visibile negli anni ‘60, questa distruzione subì una brusca accelerazione negli anni ‘90, durante i governi del comunista Massimo D’Alema e del “cattolico adulto” Romano Prodi. Il suo principale promotore fu allora il ministro comunista dell’Istruzione Luigi Berlinguer. Scrive Luciano Benadusi: “A partire dall’assunzione della titolarità ad interim dei due rispettivi ministeri da parte dell’on. Luigi Berlinguer, la politica scolastica ed universitaria italiana è entrata in una fase di grande dinamismo, tradottosi nell’ideazione – sebbene non ancora nell’approvazione – di importanti riforme”. Queste riforme erano guidate da un “chiaro disegno strategico”, di ispirazione comunista[2].

Il concetto stesso di “educazione” cambiò radicalmente. Se tradizionalmente l’educazione era concepita come trasmissione di conoscenze e formazione del carattere secondo determinati valori condivisi, oggi l’educazione è concepita come un mezzo per distruggere nei bambini e nei ragazzi i vecchi modelli di riflessione, volizione e sensibilità, sostituendoli gradualmente con forme di pensiero, deliberazione e sensibilità sempre più egualitarie e libertarie.

Vediamo alcuni aspetti di questa distruzione.

Socialismo autogestionario. Un primo elemento è stato il decentramento del sistema educativo. In breve, ogni scuola è libera di scegliere il proprio stile e i propri contenuti. Alle scuole fu data autonomia “nell’organizzazione, nell’istruzione, nella ricerca e nello sviluppo”; fu concessa “libertà di pianificazione” e la “libera scelta di metodi, contenuti e tempi”. D’altra parte, gli studenti dovevano essere sempre tenuti in considerazione quando si prendevano decisioni che avrebbero riguardato la scuola. Nacquero così le assemblee scolastiche. Tutto questo ispirato al cosiddetto socialismo autogestionario. Chissà per quale motivo, però, nell’applicare la “libertà di scelta”, la quasi totalità delle scuole adottò esattamente le stesse riforme rivoluzionarie...

Abolizione dei voti. L’istruzione si è sempre basata sul premiare i più intelligenti e i più diligenti, cercando di stimolare i meno intelligenti e i meno diligenti. L’impegno era premiato, mentre la pigrizia veniva punita. Questo creava naturalmente una gerarchia: alcuni erano i primi della classe, altri gli ultimi. Questo si scontra con lo spirito egualitario della Rivoluzione.

Così, in Italia, negli anni è cresciuto il movimento per l’abolizione dei voti. Il primo a essere abolito, nel 2017, è stato il voto di condotta. Poi, nel 2019, agli insegnanti delle scuole elementari è stato vietato di dare voti. Una mia amica, insegnante nella scuola locale, mi ha raccontato che non appena hanno attuato questa legge, il livello accademico della sua classe è crollato. I bambini non erano più stimolati a studiare in maggior misura. Ha avuto allora un’idea brillante: invece di dare voti (vietati dalla legge), ha assegnato dei colori, come quelli dell’arcobaleno. Il rosso per il voto più alto, il viola per il più basso. Immediatamente i bambini hanno iniziato a fare a gara per ottenere un rosso e il livello scolastico generale è tornato alla normalità. Ebbene, la direttrice l’ha rimproverata, perché una simile politica creava disuguaglianze...

Abolizione delle classi di religione. Secondo il Concordato del 1929 firmato tra lo Stato italiano e il Vaticano, le scuole devono insegnare la religione cattolica. Il nuovo Concordato del 1984 ha reso questo insegnamento facoltativo: gli studenti potevano scegliere se svolgere o meno l’ora di religione. Da allora la frequenza all’ora di religione è diminuita costantemente e in molte scuole è di fato inesistente. Oggi c’è un movimento crescente per abolire del tutto l’ora di religione, come parte di uno sforzo per cancellare la religione dalla vita pubblica.

Educazione affettiva e sessuale. Seguendo una tendenza visibile in altri campi, la scuola italiana si è spostata da un’educazione basata sulla conoscenza a una basata sulla psicologia. In altre parole, non è tanto importante ciò che si impara, ma come ci si relaziona con il mondo: abbiamo di fronte agli altri un atteggiamento “corretto”, cioè liberale, tollerante, non giudicante? O piuttosto un atteggiamento “sbagliato”, cioè basato su verità e valori oggettivi?

Tutto è iniziato con l’“educazione all’affettività”. Secondo un documento, “l’educazione all’affettività ha l’obiettivo di sviluppare l’intelligenza emotiva a partire dalla consapevolezza delle proprie sensazioni, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti e di accrescere le abilità affettive con l’obiettivo di favorire una buona relazione interpersonale”[3]. È destinata alle scuole elementari e inizia con la domanda “Chi sono io?”. Naturalmente è vietata qualsiasi identità di genere. La conclusione è: “Non so chi sono. Io divento. Sono fluido”. Nella seconda fase, “Io e gli altri”, si esplorano le relazioni interpersonali. Ai bambini a partire dai cinque anni viene chiesto di esplorare il proprio corpo e quello dei colleghi. Questo porta alla terza fase, “Affetto e sessualità”, in cui i bambini sono stimolati a relazionarsi anche sessualmente con i loro compagni.

Agenda LGBT. L’imposizione dell’agenda LGBT merita un capitolo a sé. Nel 2014, il Ministero della Pubblica Istruzione emanò un decreto che imponeva un “Programma di educazione all’affettività e alla sessualità”. Gli studenti dovevano essere istruiti da membri dell’ArciGay. Gli insegnanti dovevano seguire “corsi di aggiornamento” tenuti da questi stessi militanti. I critici hanno accusato questo programma di trasformare le scuole in un campo di indottrinamento LGBT. Un portavoce dell’ArciGay ha risposto: “Accresceremo la conoscenza sulle famiglie omogenitoriali e sui loro bambini (…) Amplieremo le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche lesbo, gay, bisessuali, transessuali (Lgbt); favoriremo l’empowerment delle persone Lgbt nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni. Contribuiremo alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superando il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori”[4].

Poco prima della pandemia, con l’intento di “educare alla tolleranza”, il Ministero aveva emanato una circolare suggerendo alle scuole di organizzare una giornata settimanale in cui i ragazzi si vestissero da ragazze e viceversa. Più recentemente, il 15 maggio 2022, il Ministero ha emanato una circolare in cui invitava le scuole a organizzare “iniziative di educazione e sensibilizzazione” in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. L’elenco potrebbe continuare.

Tutto questo ha avuto ripercussioni sul livello dell’istruzione nel nostro Paese. Infatti, secondo la maggior parte dei parametri, l’Italia è terzultima in Europa per qualità, davanti solo a Portogallo e Malta. Secondo altri rapporti, l’Italia è penultima, davanti solo alla Romania. Questo, però, non sembra preoccupare i promotori della Rivoluzione Culturale, che sembrano accettare questo abbassamento dei livelli accademici pur di imporre la loro agenda.



Note

[1] Lorenzo Caruti and Gianmarco Serino, Il ruolo della politica nelle diseguaglianze educazionali, “MtP”, 24 June 2021.

[2] Luciano Benadusi, Le riforme del sistema di governo dell’istruzione, “Quaderni di Sociologia”, 15/1997.

[3]https://www.cittametropolitana.bo.it/pariopportunita/Educazione_per_il_contrasto/Educazione_allaffettivita.

[4] Benedetta Frigerio, Scuola di Stato Lgbt. Ecco cosa insegnerà ai nostri figli il maestro unico della “teoria del gender”, “Tempi”, 03-02-2014.







Sine Liturgia traditionale non possumus – et non poterimus





Maurizio Blondet 22 Settembre 2022


di Don Michele Gurtner

Negli ultimi anni molti chierici -sacerdoti, prelati, vescovi e cardinali diocesani o curiali, e altri incarichi più alti ancora- hanno ammesso in colloqui privati, ma anche pubblicamente in interviste, conferenze e articoli, che non riescono a capire come mai così tanti cattolici (e ormai diventano sempre di più) sono legati alla Santa Messa tradizionale e ad altre Liturgie secondo il “Vetus Ordo”, ossia ai “riti tradizionali” della Santa Chiesa Cattolica.

Per quanto questo dubbio possa suscitare stupore a chi è familiare con la Messa e la Teologia tradizionale, dobbiamo soprattutto apprezzare il loro coraggio e la sincerità dimostrati nell’ammettere tali perplessità quando dicono: “non capiamo perché uno preferisce la Liturgia tradizionale a quella nuova e riformata”. Chi ammette di non capire dà un segnale di essere pronto ad imparare, di essere curioso e propenso ad arricchirsi. Benjamin Franklin disse saggiamente: “non l’ignorare è la vergogna, ma il rifiuto di imparare”. Perciò non va mai criticato chi ammette la momentanea incapacità di comprendere una cosa oppure un concetto, ma va aiutato con prontezza e pazienza nel suo superamento. Non sarebbe giusto se essi dovessero avere paura ammettere la loro incomprensione: chi fa una domanda oppure chi non è ancora in grado di comprende bene deve sempre trovare chi gli dà una spiegazione, una risposta oppure almeno un’indicazione. Anche questi sono opere di misericordia e di carità cristiana verso il prossimo, che ancora ha bisogno di capire. Sapere, conoscere, imparare e crescere sono diritti naturali e umani, iscritti nell’anima umana da Dio stesso – ancora di più quando si tratta di una crescita spirituale che gli permette di avvicinarsi di più a Dio. È un atto di autentica umiltà sia dare risposte a chi non comprende, che accettarle per crescere in fede e saggezza.

In fondo dobbiamo sempre ricordarci che è proprio questa la dinamica che ci porta all’approfondimento in un qualunque campo: fede, scienza teologica e naturale, cultura, o quel che sia – all’inizio c’è il non capire, che poi va riconosciuto, ammesso e finalmente colmato attraverso le risposte alle proprie domande. Grazie a questo processo possiamo migliorare le nostre nozioni, comprendere meglio la verità e fare progressi di ogni genere, incluso la fede (anche se in quel caso subentrano altre cose ancora, come per esempio la grazia divina).

Detto questo possiamo tentare di dare almeno una prima risposta alle perplessità coraggiosamente espresse. Per forza deve rimanere per ora ancora provvisoria perché di certo non può essere esauriente in un breve articolo come questo, data la quantità di ciò che bisognerebbe dire a riguardo e considerando anche la complessità dell’argomento. Anche se in questo luogo ci dobbiamo limitare a dare qualche primo accenno, spero possano essere utili e servire a capire meglio il perché della scelta di sempre più persone di abbracciare la liturgia e la dottrina tradizionali della Santa Chiesa Cattolica. Certamente, i vari punti andrebbero approfonditi in una conferenza oppure in un libro più esauriente. Generalmente la gente che frequenta la Messa tradizionale ci va per convinzione e ha fatto una scelta consapevole. Detto con altre parole: non ci vanno soltanto perché la loro Messa parrocchiale è celebrata male e in modo sciatto, e quindi preferiscono a questo punto la Messa antica, ma se la Messa NOM fosse celebrata bene preferirebbero quella Messa. No, chi ci va lo farebbe di solito anche se la Messa nuova fosse celebrata nel miglior modo possibile. Sono quindi innanzitutto motivi positivi e non soltanto motivi negativi che spingono alla Tradizione.

Chi conosce e apprezza la Messa tradizionale di solito è anche convinto che non può essere semplicemente sostituita con una Messa NOM, anche se ben celebrata, senza perdere qualcosa di grande, di prezioso e insostituibile. Per quanto è vero che la Messa NOM è sacramentalmente valida, è anche vero che 
a) la sua teologia che sta dietro è cambiata in punti di non poca importanza e 
b) le mancano elementi importanti che nella Messa NOM semplicemente non ci sono più. 
Perciò non cambia solo l’esteriorità, ma qualcosa di più profondo. La Messa nuova è qualcosa di diverso – e lo vuole essere. Basta comparare l’introduzione, le rubriche e le preghiere dei due Missali, cosa che richiederebbe un’intera conferenza sul tema. A chi ha soltanto accesso alla Messa nuova e non alla Messa tradizionale manca quindi qualcosa, che la Messa nuova non gli può dare – e non lo vuole nemmeno.

La Messa antica induce alla preghiera più personale e intima possibile, la Messa nuova la ostacola invece. In ogni momento della nostra vita, in un modo o l’altro, abbiamo qualcuno accanto, fisicamente o moralmente, che sta al centro della nostra attenzione – quella concreta, non quella astratta. I figli, i fratelli, i colleghi di lavoro, amici, gente che incontriamo o anche perfetti sconosciuti. E va anche bene, la vita che Dio ci ha dato lo prevede, e quindi è giusto che sia proprio così. Ma c’è un solo momento, o meglio: una sola occasione nella nostra vita in cui non sono altre persone a stare al centro della nostra attenzione, ma Dio stesso, nel modo più concreto e reale possibile. È il momento in cui si attua il sacrificio redentore di Gesù Cristo sull’altare.

Sull’altare è Golgota, sul Golgota è la Santa Croce, sulla Santa Croce avviene il grande Sacrificio di Cristo, e in questo preciso momento ogni uomo viene redento personalmente da Dio. In questo momento ogni uomo sta, in un certo modo, al preciso centro dell’attenzione di Cristo, perché egli sta per essere riscattato personalmente da lui. Perciò la Santa Messa è il momento più intimo che una persona possa avere con il suo Redentore. Se c’è un momento nella nostra vita in cui Cristo e soltanto Cristo sta al centro della nostra attenzione, allora è il momento della Santa Messa. Questo insuperabile momento più “intimo” e personale esige per forza il silenzio e la solitudine con il Signore e non permette distrazioni o altro – altrimenti non può avvenire in maniera completa. Questo singolare istante “in due” è una vera e propria esigenza per una persona credente e non consente disvii. Anche marito e moglie hanno bisogno di stare in due ogni tanto senza avere sempre altre persone attorno, nemmeno i propri genitori, fratelli o figli. Sono attimi esclusivi per il proprio compagno che vanno vissuti in due – non sono sostituibili né condivisibili, nemmeno con la persona più cara al mondo, perché non sarebbe lo stesso. Se questi momenti in due vengono a mancare, allora non esistono proprio nella vita, perché possono essere vissuti solo con una persona ben precisa e solo in due. O così, o non esiste più. 

Analogamente abbiamo bisogno di questa esclusività anche con il nostro Redentore durante il suo grande sacrificio che sta compiendo per ME in quel preciso istante. “Gli altri li abbiamo sempre attorno a noi” e va bene: ma nel momento della redenzione che è la MIA redenzione personale è l’unico momento nella vita di una persona in cui veramente Dio e soltanto lui sta al centro. E questo momento di esclusività non può avvenire in un altro momento al di fuori della Messa, magari durante una preghiera personale. Perché quando mai potrebbe essere possibile questo in un momento diverso o addirittura migliore, se non durante la Messa? Quando se non in presenza del grande sacrificio che ci/mi cambia la vita completamente – quella vita eterna?

Il NOM invece ha una visione fondamentalmente diversa. Mentre il VOM favorisce questo intimissimo incontro personale ed insuperabile con Dio durante il Sacrificio, il NOM lo impedisce, perché prevede dialoghi, risposte, recitazioni ad alta voce, testi a scelta, sempre diversi e più o meno adatti e via dicendo. Il VOM offre una forma di un incontro con Cristo nella preghiera come può verificarsi solo in una Santa Messa – ma la Santa Messa riformata nega questo “ambiente” e questo tipo di incontro particolare con il Signore sulla Croce a priori a causa di una teologia diversa e di conseguenza di una forma liturgica diversa. Perciò: il VOM permette e favorisce una forma di incontro con Cristo che il NOM impedisce.

Tutta la Liturgia tradizionale è innegabilmente centrata su Dio. Lo è nelle sue preghiere, nei suoi riti e gesti, in tutta la sua composizione, lo fanno capire la lingua che non è quella vernacola e l’orientamento versus Deum – sacerdote e popolo insieme nella stessa direzione, “rivolti al Signore”. Tutto il modo in cui si svolge non permette dubbi sul suo centro. La riforma liturgica invece, che ha palesemente un approccio antropocentrico, sposta Dio volutamente dal centro e mette l’uomo al suo posto. Forse non lo ammette, ma di fatto succede esattamente quello. Dove di più, dove di meno, ma avviene sempre e dappertutto per via della sua composizione. Gli altari, spesso chiamati “mensa”, sono orientati verso “l’assemblea” a cui il sacerdote si rivolge in continuazione, anche dialogando, nella lingua vernacola, come se parlasse con loro anziché di pregare Dio. Forse lo fa anche, ma diversamente e comunque non sembra; e quanti testi, saluti e altro che decisamente non sono preghiere sono di fatto inseriti! I testi delle preghiere sono sensibilmente cambiati, non soltanto nella Santa Messa ma in tutti i riti, dal battesimo al funerale, e sono diventati insopportabilmente antropocentrici e banali. 

Questa nuova visione di Liturgia si rispecchia poi anche in un novo stile di arte sacra, che di sacro ben poco ha conservato. Il tabernacolo è stato spostato dal centro in un angolo laterale, mentre la sedia del sacerdote (e la cattedra episcopale) sono stati messi al suo posto, cioè al centro. Le candele da una parte, i fiori dall’altra spacca la simmetria di una volta, nel cui centro c’era l’Eucaristia: adesso sta in linea, non in centro. Sembra una sciocchezza, ma cambia. E tante altre cose, che tutti conosciamo bene e vediamo ogni giorno, ancora. La nuova Liturgia trasmette ai fedeli che il sacerdote, diventato il “presidente”, si stesse rivolgendo a loro, parlando e stando davanti a loro come uno che vuole insegnare qualcosa. È come se tentasse di “vendere” un pensiero o di convincerli di un’idea più o meno sensata. Tutti pensano ormai che la Liturgia sia un “raduno”, una “festa” e indirizzata a loro – fatta per essere capita, e non vissuta e pregata come la Messa tradizionale, che non lascia nemmeno il minimo spazio per un eventuale dubbio a chi è rivolta.

Per questo il VOM è più coerente a ciò che la Chiesa crede e dice da sempre (e lo dice tuttora, almeno in teoria) che la Messa sia: l’incruenta attuazione del Sacrificio redentore di Gesù Cristo sul Calvario. Se il grande sacrificio si sta davvero svolgendo sull’altare, e se la Chiesa si sta rivolgendo nella più sublime delle preghiere a Dio: allora che senso ha mettere al centro l’uomo anziché Dio? Nel VOM la Chiesa tratta il Corpo e il Sangue di Cristo diversamente. Ne parla diversamente. Sta attenta ad ogni minimo dettaglio, proprio perché sa e soprattutto crede fermamente: questo è veramente, realmente e sostanzialmente il Copro e il Sangue di Cristo, nella sua divinità e umanità, con anima e spirito. E di conseguenza trasmette anche ai fedeli questa fede attraverso ciascuno dei suoi gesti, devozioni, riti e preghiere, proprio perché ne è convintissima, e sa dimostrare questa la sua convinzione. Essendo convintissima e avendo capito l’importanza, non potrebbe farne di meno proprio. Va quindi da sé trattare l’Eucaristia secondo il credo della Chiesa, perché è la conseguenza più naturale, e l’unica possibile e coerente alla sua convinzione. 

La Liturgia tradizionale sta attentissima perché nemmeno il più piccolo frammento del Corpo di Cristo vada perso, raccoglie ogni minima particola con una patena, il sacerdote tiene uniti pollici e indice sia per motivi pratici “di sicurezza” che per far vedere: qualcosa è successo, qualcosa è cambiato. Se questo, e tante altre cose ancora, non sono più previste dal NOM, allora è evidente che qualcosa è cambiato nella fede e nelle convinzioni della Chiesa. E di certo non è migliorato.

Tutto ciò (ed e solo uno di tanti possibili esempi che si potrebbero elencare) rende il VOM molto più convincente e credibile rispetto alla Liturgia dopo la riforma. Non ci stupisce affatto che l’attore Shia LeBeouf si è convertito al cattolicesimo grazie alla scoperta della Messa antica, osservando giustamente che in quella Messa “non ho l’impressione che mi vogliano vendere una macchina”. Ha puntualizzato perfettamente un problema della Messa nuova: per quanta essa è concepita, sta sempre in dialogo con i fedeli anziché sottolineare che sta in dialogo con Dio. Sembra volesse convincere i fedeli di qualcosa, sembra volesse trasmettere un messaggio o a volte peggio ancora: sembra volesse sottoporre i fedeli a un lavaggio di cervello, specialmente quando si tratta di una Messa “a tema”. Nella nuova Messa la Chiesa parla molto, ma è difficile capire che sta facendo qualcosa, che sta offrendo un sacrificio perfetto. 

Nel VOM invece la Chiesa fa e basta – senza spiegare, senza parlare, senza cercare di convincere, vendere un’idea più o meno nobile e corretta e senza concentrarsi sull’uomo che in questo momento non sta al suo centro d’attenzione – o almeno non dovrebbe. Egli, nella Messa tradizionale, partecipa e assiste a ciò che la Chiesa sta facendo nella sua Liturgia, si immerge nella sua preghiera e lascia fare Dio a sé. L’uomo non fa, ma lascia che Dio faccia. Proprio il fatto che la Chiesa, nel VOM, non cerca di vendere e convincere la rende così convincente, credibile ed attraente.

Questa notevole e autentica capacità di convincere e coinvolgere proviene da un perfetto equilibrio tra essere nello stesso tempo adatto a Dio ma anche perfettamente adatto all’uomo. Forse sembra alla prima vista paradossale e contradditorio, ma più la Liturgia è cristocentrica in termini assoluti, e più rappresenta un momento di estrema “Cristo-esclusività”, più prende in considerazione anche l’uomo e le sue esigenze spirituali (e non viceversa!). Perché vale sempre: homo capax Dei, l’uomo è capace di Dio! Ma la Liturgia riformata si comporta come se non lo fosse. Soltanto una Liturgia concentrata esclusivamente su Dio ed immersa completamente nel mysterium fidei che sta celebrando è adatta anche all’uomo – perché l’uomo ha bisogno proprio di questo e non di altro: di un momento di assoluta cristocentralità. Più la Liturgia è sacra, più fa splendere quella sacralità e più mette al centro Dio, più rispetta anche l’uomo e le sue esigenze, più lo prende sul serio e più diventa -in un buon senso- anche “umana”. 

Una chiesa che pensa di dover fare altro, progettando una Liturgia attorno all’uomo dove Cristo non è altro che il motto di una celebrazione, non prende sul serio le vere esigenze umane. Così facendo è come se trattasse una persona adulta come un bambino: alla lunga non può soddisfare perché non è sufficiente. L’uomo ha bisogno di Dio – non di sé stesso.

Parlando del VOM tutti sanno subito di quale tipo di Messa si parla senza che altre spiegazioni siano necessarie – mentre il NOM rimane volutamente ambiguo e poco chiaro. Senza badare agli innumerevoli abusi liturgici che purtroppo non mancano (forse non volute, ma almeno favorite dal nuovo rito stesso), e solo restando entro i limiti delle possibilità che il nuovo Messale prevede ufficialmente, ci sono troppi modi, del resto contradittorii tra di loro, di celebrare la Messa, perché il rito stesso lasica troppe scelte. Ciò fa sì che i fedeli dipendono dalle decisioni personali del celebrante e le sue vedute. Quindi si può essere più fortunati o meno, e non è affatto garantito che le scelte del sacerdote siano quelle più cattoliche e giuste. La vasta gamma va da una Messa celebrata in latino sull’altare maggiore con tanto di incenso e Canone Romano, al punto che assomiglia addirittura vagamente alla Messa tradizionale, fino alla Messa celebrata solo in camice e stola, su un tavolo e tutti i fedeli seduti attorno, con canti banali a suon di chitarra e una preghiera eucaristica brevissima che sembra più un racconto oppure una meditazione. Anche il modo di muoversi, di celebrare, di vestire, di recitare i testi e tante altre cose ancora sono per forza a discrezione del sacerdote celebrante – volendo o no. Anche se decide di celebrare nel modo più tradizionale possibile: rimane sempre una decisione sua personale, perché potrebbe fare anche diversamente senza uscire fuori dal Missale. Così può porre l’accento su una cosa, per esempio sul sacrificio di Cristo oppure la sua divinità o la salvezza dell’anima, piuttosto su un’altra, per esempio la comunità, l’umanità di Cristo, la condivisione del cibo, tematiche politiche, sociali, umane o ecclesiastiche oppure un qualsiasi altro aspetto che gli salta in testa, senza infrangere nemmeno una singola rubrica del Messale. 

Quindi, dalla Liturgia non è più sicuro che cosa crede la Chiesa cattolica in concreto – oppure se è ancora rimasto chiaro ciò che crede. Questo fatto però, oltre ad essere un pericolo, è anche un grave errore, perché così la fede cattolica diventa un parere, poco definita, arbitraria e a disposizione della preferenza personale. Si disperde in opinioni, idee e immaginazioni; ma così, alla lunga, diventa anche poco credibile. Il VOM sa in che cosa crede e lo sa trasmettere – il NOM invece sembra molto insicuro, indeciso e trasmette che non fosse importante che cosa uno creda o meno, finché sta in comunità.

Tutti questi elementi che abbiamo accennati, (e ci sarebbero tanti altri ancora) fanno capire una cosa: il VOM ci aiuta a crescere nella fede e ci possiamo fidare di lui, mentre per il NOM bisogna avere la retta fede già da prima perché ne trasmette un’altra. E a volte non sappiamo nemmeno quale, perché varia da prete in prete. Bisogna allora sapere già prima dove stanno gli errori per non farsi ingannare, inoltre bisogna sapere anche di che cosa tace. È assurdo e sembra quasi un’eresia, ma in un certo senso bisogna difendersi dagli errori e dalle ambiguità in cui il NOM ci trascina. Il NOM è dal punto di vista sacramentale valido, ma ciò che trasmette è nel migliore dei casi ambiguo e incompleto, nel peggiore dei casi semplicemente errato. Ma questo non si sa prima, perché dipende troppo dalla celebrazione concreta e imprevedibile.

Bisogneremmo parlare di tante altre singole cose ancora, sull’offertorio, le croci ommesse, le preghiere cancellate, per esempio quelle della benedizione dell’incenso, tante simbologie importanti abolite, sul vangelo e le letture e gli errori presenti già prima del Concilio, ma sarebbero argomenti per futuri approfondimenti e aggiunte. Comunque rimane un mistero che ancora nessuno ha potuto spiegare in maniera convincente perché sarebbe meglio non recitare per esempio le preghiere dell’incensazione o non tenere uniti le dita dopo la consacrazione, e tante altre omissioni liturgiche ancora.


Per ora queste denotazioni, che sono da intendersi come un primo approccio, possono bastare ad aiutare a comprendere meglio i motivi perché nonostante tanti ostacoli ed oppressioni da parte del clero sempre più fedeli cercano irrefrenabilmente la Liturgia nella sua forma tradizionale, come la Chiesa la celebrò a buon motivo per tanti secoli, e a cui proprio non possono rinunciare: sono motivi di convinzioni di fede, che si esprimono necessariamente in una liturgia coerente ad essa, e non sono meramente motivi estetici o preferenze di natura culturale che spingono sempre più forte alla tradizione cattolica. È una vera e propria esigenza spirituale, una questione di sopravvivenza, ora più che mai. Cercare di ridurre o di togliere ai fedeli la Liturgia tradizionale non significa altro che attaccare la loro fede. Lo percepiscono come un tentativo di uccidere la loro anima, di spezzare quel intimo legame con Dio.

Se ci lamentiamo che la fede viene sempre meno, la partecipazione alla vita ecclesiastica sta precipitando e la Chiesa come tale perde sempre più importanza nella vita privata siccome in quella pubblica, allora dobbiamo analizzare i motivi con grande attenzione e sincerità, lasciando da parte ogni forma di ideologia, qualunque sia. In una situazione di crisi di fede come quella attuale bisogna avere il sangue freddo, la fede calda e la testa a posto. Con altre parole: dobbiamo tornare logici. Solo la verità ci potrà liberare e cambiare la situazione ormai più che allarmante. Abbiamo perso la nostra identità cattolica, che va ricuperata.

In questa dovuta sincerità dobbiamo innanzitutto ammettere: una buona parte di questa perdita di fede senza precedenti è dovuta alla nuova Liturgia, in quanto espressione di una deformazione della fede tradizionale della Santa Chiesa Cattolica. Se ci piace o no, ma finché non cambiamo rotta, ammettendo onestamente che la riforma liturgica è clamorosamente fallita in seguito all’altrettanto evidente fallimento dell’ultimo Concilio, non potremo frenare la deriva della Chiesa verso la totale insignificanza. O risolviamo il problema prima, cambiando rotta e tornando alla tradizionale fede, inclusa la sua espressione liturgica di una volta, oppure continuiamo a rifiutarci di accettare i fatti, aspettando che il problema continui a risolvere sé stesso come lo possiamo osservare già ora con i nostri stessi occhi: la fede e la liturgia che sono state cambiate si stanno estinguendo a passo accelerato da sole, perché non convincono più nessuno. È troppo evidente che non è più la fede divina di una volta, ma un sistema inventato da uomini, abbozzato su freddi tavoli e pieno di ideologie.

Una parte dei fedeli perde la fede completamente perché giustamente, una volta capito che non è più basata nella rivelazione divina, non convince più, e di conseguenza lasciano la Chiesa. L’altra parte invece trova l’autentica fede cattolica, quella tradizionale ed in essa la verità nella sua pienezza. Quindi è chiaro e prevedibile già adesso che l’unico futuro della Chiesa sta nella fede e liturgia tradizionale, è una questione di logica, empirica e una certezza matematica oltre spirituale. Prima lo accettiamo meglio è, e meno dolorosi saranno i danni, gravissimi già adesso. Se piace o no: gli unici fedeli che la Chiesa cattolica avrà in un futuro non troppo lontano, gli unici che rimeranno, saranno proprio gli odiatissimi “indietristi” nostalgici con una “fede morta”, i “peccatori senza radici” tanto disprezzati che sono stati apertamente destinati all’estinzione in documenti pontifici ufficialissimi.

Se questi unici fedeli che la Chiesa avrà a media andata vengono però in continuazione e da sempre più vescovi, cardinali e purtroppo anche dalla Sede Apostolica stessa “Urbe et Orbe” privatamente e pubblicamente in interviste, conferenze e decreti ufficiali senza alcuna misericordia né pietà ridicolizzati, derisi, presi in giro, repressi, ostacolati, perseguitati, emarginati dalla vita ecclesiastica ed esclusi dalle chiese come dei lebbrosi, allora può soltanto essere una diretta conseguenza di quella perplessità coraggiosamente e veritieramente espressa in varie occasioni, di cui abbiamo parlato all’inizio: la non comprensione del perché della necessità della fede, e con essa la liturgia, tradizionali.

Sono decenni che non facciamo altro che vivere di compromessi, cambiando e “riformando” una cosa dopo l’altra, e vediamo dove siamo finiti: davanti ad un sinodo che rischia seriamente uno scisma perché di cattolico non ha più niente, una fede svuotata e sfigurata fino all’irriconoscibilità, abusi liturgici che fino a pochi anni fa sarebbero stati impensabili anche per il più sfegatato dei modernisti. Le riforme fatte dopo l’ultimo concilio, liturgiche e non, siccome quelle già pianificate che ancora devono verificarsi, non sono la soluzione del problema, ma esse sono il problema stesso. Non sono la medicina, ma il cancro che sta divorando e consumando la Chiesa da ormai decenni. Non possiamo più far finta di niente come se niente fosse, chiudendo gli occhi davanti all’ovvio, solo per rispettare la sempre più opprimente “ecclesiastical correctness”. Sono fatti inconfutabili davanti a cui, a causa della responsabilità per le anime a noi affidate, non possiamo più chiudere gli occhi, solo per non perdere il posto al bel calduccio di una grande canonica con una paga mensile assicurata. La consapevolezza che un giorno dovremo rendere conto davanti al nostro Redentore soprattutto e in primo luogo della fede che abbiamo trasmessa quando abbiamo scritto, parlato o predicato, delle cose di cui abbiamo taciuto, le anime che hanno perso la fede per colpa nostra, e la mancanza di devozione e raccoglimento quando abbiamo detto Messa dovrebbe gravare molto di più su di noi, che non i nostri peccati più o meno gravi personali. Questi ultimi, per quanto sono da evitare e combattere come ogni buon cristiano, almeno non mettono a rischio le anime. Ciò di cui tacciamo, ciò che lasciamo correre per non crearci critiche, scomodità o problemi, le verità che pieghiamo “perché così ce lo dicono”, tutte quelle cose invece sì che mettono a rischio anche quelle anime alla cui difesa siamo obbligati!

Considerando ciò capiamo anche il grave dovere di ogni sacerdote davanti al cospetto di Dio di aiutare il più possibile a questi fedeli emarginati, derisi e snobbati con arroganza clericale, solo perché vogliono continuare a fare e credere ciò che la Chiesa ha sempre fatto, detto e celebrato. È il sacrosanto dovere di ogni prete mettersi dalla loro parte, anche a costo di essere sanzionato canonicamente, come purtroppo è già successo a non pochi sacerdoti negli ultimi mesi: solo perché hanno difeso il sacrosanto e intangibile diritto di quei “piccoli” nelle periferie ecclesiastiche che sono stati presi di mira e gravemente attaccati nella loro fede cattolica. Ma non possiamo farci intimidire: dovremo andare avanti nella celebrazione della Liturgia tradizionale il più possibile, ignorando i divieti non giusti, perché dovremo rendere conto a Dio finalmente anche – anzi: soprattutto di questo.

Alla fine è importante aiutare i fedeli perseguitati dalla gerarchia ecclesiastica di non diventare acidi o amareggiati, e di non mettersi a priori in una contrapposizione ad essa. Questo è un serio rischio, purtroppo, seppur comprensibile se uno viene in continuazione minacciato e attaccato o ridicolizzato e deriso, come purtroppo sta accadendo. Invece dobbiamo, da pastori, esortarli di esporre, sempre di nuovo se necessario, le loro validissime motivazioni per cui chiedono, con buon diritto e a piena ragione, i sacramenti nella forma tradizionale. E dobbiamo ricordarli sempre che è un atto di carità cristiana rispondere a chi coraggiosamente e umilmente ha chiesto lumi, come ultimamente è successo varie volte. Questi sono segni positivi che vanno accolti, apprezzati e secondati. Infine sono sempre un’ottima occasione per soddisfare varie opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste e pregare Dio per i vivi e i morti.

È importante cambiare anche stile: almeno per adesso la motivazione per le micidiali restrizioni, che mirano esplicitamente all’estinzione della liturgia tradizionale e quindi dei “indietristi” stessi, è rimasta piuttosto diffusa, poco chiara e mal argomentata. Non è chiaro quali siano esattamente le ragioni teologici che hanno spinto i vescovi e la Santa Sede a una posizione così dura e drastica. Non sono stati esposti grandi argomentazioni, tutto è rimasto su un livello meramente giuridico, piuttosto confuso, molto banale e poco argomentato.

Per avere una base più solida su cui discutere, e per capire da dove proviene esattamente l’avversione contro la Liturgia tradizionale, sarebbe auspicabile se alcuni punti fossero chiariti a livello teologico e non emotivo. In tal modo sarebbe possibile dare risposte più mirate alle specifiche domande. Risulta che soprattutto le seguenti domande non siano mai state esposte in maniera esaustiva ed esplicita.
Per quali motivi teologici esattamente la Liturgia riformata sarebbe preferibile o meglio del rito tradizionale?
Quali sarebbero esattamente e nello specifico i difetti del VOM?
Da parte della Santa Sede la dottrina cattolica è cambiata con la riforma liturgica?
Se sì: in che cosa esattamente? Che cosa non vale più, e cosa vale invece adesso?
Se no: come mai il VOM non sarebbe più espressione (valida e permessa) della stessa fede cattolica? Che cosa è allora cambiata perché oggi non sarebbe più possibile ciò che prima lo era per secoli?

Queste sono le domande più basilari e decisive per capire meglio la portata della riforma liturgica. Finora manca purtroppo una motivazione più articolata, su un livello teologico e non soltanto accenni pastorali, pareri o emozioni da parte di alcuni vescovi e cardinali, che possa spiegare perché la Santa Sede pensa che la Liturgia tradizionale debba sparire dalla faccia della terra. Capendo meglio i loro pensieri sarebbe sicuramente possibile farci capire meglio ancora. Intanto ricordiamoci le sagge parole di un grande Santo della Chiesa Romana: “i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari né innovatori, ma tradizionalisti” (Pius P.P. X.).

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giovedì 22 settembre 2022

Sabato 1 ottobre 2022: XV Pellegrinaggio toscano al Santuario di Montenero. Presenza del Cardinale Pell

La locandina ed il programma della giornata



Il Programma:

1) alle ore 10,00 i Pellegrini si radunano in Piazza delle Carrozze negli spazi antistanti la stazioncina della Funicolare

2) alle ore 10,15 vi sarà la benedizione delle corone che useremo per recitare il Rosario durante la salita

3) alle ore 11,00 Mons. Marco Agostini, cerimoniere pontificio, celebrerà la Santa Messa in rito antico in Basilica (Messa propria della Madonna di Montenero) con assistenza di S.E. Cardinale George Pell, Prefetto emerito della Segreteria per l'economia della Santa Sede

4) seguirà, per chi vorrà, un pranzo presso il Ristorante Conti nell'immediata vicinanza del Santuario (è necessario prenotarsi utilizzando la mail del Coordinamento oppure tramite i referenti dei Coetus toscani; vedere sotto i dettagli)

5) Nel pomeriggio è prevista alle ore 15,30 una Conferenza spirituale di Sua Eminenza il Cardinale George Pell presso i locali adiacenti al Santuario


Chi non si sentisse di affrontare la salita (che è breve ma a tratti assai ripida) può utilizzare la Funicolare (euro 2,00 a tratta) o raggiungere il santuario in auto, cosa che tuttavia non consigliamo per carenza di parcheggio: quello più capiente in Piazzale Giovanni XXIII che dista comunque circa 700 metri dal sagrato.


Indicazioni stradali:

In automobile provenendo dall'Autostrada o dalla via Aurelia sia da nord che da sud è opportuno immettersi sulla variante Aurelia a due corsie (venendo da sud il percorso è quasi obbligato ma si deve seguire la direzione Livorno Centro) per prendere l'uscita Montenero; a quel punto alla prima rotatoria è necessario prendere la prima uscita a sinistra e, percorso poco più di un chilometro, ci si trova a Montenero basso: consigliamo di parcheggiare negli spazi presenti nei pressi del locale cimitero, per poi arrivare dopo 200 metri in Piazza delle Carrozze.


Chi utilizzasse il Treno: giunti alla Stazione di Livorno Centrale si può prendere l'Autobus LAMROSSA che effettua per piazza delle Carrozze le seguenti corse: P. 8,48>A. 9,02; 9,18>9,32; 9,48>10,02; 10,18>10,32 (e successivamente partenze ogni mezz'ora)


PRANZO:

E' possibile pranzare tutti assieme presso il Ristorante "Conti" che è a fianco del Santuario; abbiamo concordato un prezzo di euro 20,00 pro capite ed il menù comprende:


Antipasti toscani
Primo piatto: Riso di mare o Penne agli scampi; in alternativa pasta al ragout o al pomodoro
Secondo piatto: Arrosti misti con patate e verdura
dessert e caffè
Acqua e Vino inclusi.

Il Ristorante ospita fino a 150 partecipanti tuttavia raccomandiamo vivissimamente di prenotare scrivendo a coordinamentotoscano@hotmail.it o tramite i Referenti del proprio gruppo ENTRO MERCOLEDI' 28 SETTEMBRE.





mercoledì 21 settembre 2022

Benvenuti nell’inferno della “Quarta rivoluzione industriale”

 


La prossima IV Giornata sulla Dottrina sociale della Chiesa, che terremo a Lonigo (Vicenza) sabato 1 ottobre 2022, ha per titolo “Proprietà privata e libertà. Contro lo sharing globalista di Davos” [vedi il programma e iscriviti]. Il riferimento è ai progetti futuristi del World Economic Forum di Davos. Pubblichiamo quindi volentieri questo articolo di Paolo Gulisano, ringraziando il sito Ricognizioni da cui lo abbiamo preso, che parla proprio di questi progetti futuribili.



Di Paolo Gulisano 20 SET 2022

C’è una frase che mi tocca ripetere spesso, quando vengo interpellato su quando finirà l’emergenza pandemica e quando si potrà tornare a vivere “come prima”. La risposta che purtroppo devo dare è questa: “nulla sarà più come prima”. Se qualcuno pensasse che questa opinione è esageratamente pessimista, posso dire di avere trovato una autorevole conferma a questa mia tesi che peraltro sostengo già dall’inizio della pandemia in un libro la cui lettura non è assolutamente consigliabile, perché ci vuole uno stomaco davvero forte per affrontarla. È una sorta di Necronomicon, una finestra aperta sull’abisso. Si tratta del volume La Quarta rivoluzione industriale, il cui autore è Klaus Schwab, ingegnere, economista e accademico tedesco, fondatore e presidente del World Economic Forum (WEF). Il Forum è famoso per il suo incontro annuale a Davos, in Svizzera, che attira imprenditori, capi di stato e politici di tutto il mondo, oltre a intellettuali e giornalisti, per discutere le questioni più importanti e urgenti del pianeta, anche nei settori della salute e dell’ambiente.

L’anno scorso l’ottuagenario Schwab pubblicò un volume sull’epidemia da Covid e gli scenari che esso apriva, intitolato Il Grande Reset. Schwab, in questo libro illustra come l’epidemia possa costituire una grande occasione di cambiamento. Altro che un castigo inviato da Dio per colpire la pravità degli uomini, come dicevano alcuni fondamentalisti cristiani nel 2020; altro che un castigo inviato da Madre Natura, umiliata e offesa, come dicevano importanti esponenti della neochiesa cattolica, a partire dall’Arcivescovo di Vienna. L’epidemia è un fattore importante di accelerazione di processi avviati da qualche tempo.

E non è complottismo, si badi, perché questi scenari sono illustrati da un esponente del pensiero dominante. Un piano preciso, ufficiale e ben documentato, sul quale istituzioni internazionali, filantropi, organizzazioni non governative e mega-aziende private collaborano apertamente già da tempo. Le nuove abitudini acquisite dalle popolazioni durante la pandemia hanno apportato quell’impulso alla digitalizzazione e all’automazione decisivo per implementare la Quarta Rivoluzione Industriale, che finora stentava a realizzarsi. È l’inizio di una nuova era.

E così, sono andato a leggermi questo testo del 2016 di Schwab, in cui si annunciava ad un pubblico ristretto, quasi di addetti ai lavori, cosa si stava annunciando. E se la prefazione all’edizione italiana è di John Elkan, il cui nonno, Gianni Agnelli, il Signore della Fiat, designò prima di morire a suo successore dinastico, e che oggi è amministratore delegato della Exor N.V., una holding di investimento controllata dalla famiglia Agnelli, e a capo di una serie di imprese di innovazione tecnologica, la prima edizione inglese aveva nientemeno che una prefazione di Sua Altezza Reale il Principe (allora) Carlo d’Inghilterra.

Il successore della Regina Elisabetta ha una lunga frequentazione con Schwab, il che fa pensare che il nuovo inquilino di Buckingham Palace non abbia passato i suoi primi 74 anni nell’estenuante attesa di succedere alla madre, dedicandosi agli sport ippici e alla frequentazione di Camilla, e ciò significa che la sua ascesa al trono della più inquietante tra le superpotenze possa segnare un altro punto a favore del Grande Reset.

Ma di cosa parla questo libro fondamentale per comprendere ciò che sta accadendo e quale sia il futuro che ci attende? La Quarta rivoluzione industriale è una rivoluzione ipertecnologica, che comporterà- negli auspici di Schwab, una profonda trasformazione per l’umanità. Il termine “rivoluzione”, secondo l’economista germanico, denota un cambiamento repentino. Tutto si dovrà svolgere in modo veloce, deciso, irreversibile.

Nella storia abbiamo avuto diverse rivoluzioni: la prima, migliaia di anni fa, fu quella agricola, con il passaggio dalla caccia come principale attività per sopravvivere all’agricoltura. Poi, dopo molti secoli, nell’800 abbiamo avuto la prima Rivoluzione industriale, quella del vapore per muovere le macchine, per ingrandire le industrie, per fare ricchezza. La seconda Rivoluzione avvenne agli albori del ‘900, e fu quella dell’elettricità. La terza l’abbiamo conosciuta negli ultimi anni del XX –secolo: quella digitale o informatica. La quarta, infine, sta iniziando ora, ed è quella – dice Schwab – dell’IA, intelligenza artificiale, delle nanotecnologie, dell’automazione, del mito dello “sviluppo sostenibile”. “La Quarta Rivoluzione Industriale conferirà alla tecnologia un carattere pervasivo” (Schwab pag 129).

Un aggettivo piuttosto curioso, mai usato per indicare una realtà traumatica come una rivoluzione. Che significa pervasivo? Qualcosa che è capace di diffondersi in campi e aspetti un tempo estranei. La Treccani definisce il termine “pervasivo” come “tendente a pervadere, a diffondersi in modo penetrante, così da prevalere o dominare”.

E quale e come sarà questo nuovo potere pervasivo? Sarà “The Second Machine Age”, dice Schwab. La Seconda Era delle macchine, quella della Robotica avanzata, della manifattura additiva, chiamata Stampa 3D, che fabbricherà qualunque cosa, utilizzando anche nuovi materiali (la Chimica dei materiali sta avendo uno sviluppo vertiginoso) come Grafene, come conduttori di calore e elettricità. Con la stampante 3D si potranno anche fabbricare organi umani; già oggi si possono realizzare padiglioni auricolari, ad esempio, ma nel futuro prossimo si potrà produrre ogni tipo di organi, realizzando così il sogno del professor Frankenstein di costruire un uomo in laboratorio. Ci sarà una biologia di sintesi, si svilupperà l’Epigenetica, ovvero quelle tecnologie per cui, come dice l’autore del libro, “il contesto potrà contribuire a modificare l’espressione genica”.

Quale contesto? Schwab cita uno scienziato italo americano, James Giordano, che ha dichiarato che “Il genoma è il campo di battaglia del futuro”. Questo Giordano è professore presso il Dipartimento di Neurologia e responsabile del Programma di Studi di Neuroetica presso il Centro di Bioetica Clinica della Georgetown University, una università cattolica, diretta e amministrata dalla Compagnia di Gesù. È altresì membro del Comitato consultivo per la neuroetica, la legalità e le questioni sociali della Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), un’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare.

Le sue ricerche si concentrano sull’uso di neurotecnologie avanzate per esplorare la neurobiologia del dolore e altri disturbi dello spettro neuropsichiatrico; la neuroscienza del processo decisionale morale e le questioni neuroetiche derivanti dall’uso delle neuroscienze e delle neurotecnologie nella ricerca, nella medicina clinica, nella vita pubblica, nelle relazioni e politiche internazionali e nella sicurezza e difesa nazionale.

Giordano quindi lavora per i Gesuiti e per l’apparato militare statunitense, e ha conquistato Schwab con questa affermazione sul genoma come campo di battaglia, che non può non suscitare viva preoccupazione. Modificare il genoma umano è il sogno dei transumanisti, per i quali l’uomo come è uscito dalle mani del Creatore non va affatto bene, perché è difettoso, perché si ammala, perché è debole, fragile, e infine muore. I transumanisti, nel loro delirio gnostico e luciferino, ambiscono all’uomo come macchina perfetta, e possibilmente immortale.

La strada per arrivare a questo passa attraverso diverse tappe, che hanno come obiettivo la modifica del DNA, possibile attraverso i processi definiti eufemisticamente come “Editing”, ovvero creare organismi con determinate caratteristiche la manipolazione genetica. Si parla anche di “Bioprinting”, ed è singolare l’uso di un linguaggio mutuato dall’editoria per definire il rimaneggiamento e le modificazioni apportate alle creature viventi e all’uomo stesso.

In effetti, Schwab, a un certo punto (pag 55), si lascia andare a una strana previsione: “Prima di quanto si possa prevedere, le principali attività di diverse occupazioni (tra cui medici e giornalisti) potrebbero essere parzialmente o completamente automatizzate.” Una frase che fa pensare al ruolo avuto da medici e giornalisti nell’ambito della gestione della pandemia, ruolo che in effetti avrebbe potuto essere tranquillamente rivestito da automi: quasi tutti i giornalisti scrivevano le stesse cose, e quasi tutti i medici avrebbero potuto essere sostituiti da un ripetitore telefonico automatico per dire di prendere il Paracetamolo e andare a vaccinarsi. Medici e giornalisti hanno avuto un ruolo fondamentale nella narrazione pandemica, ma il cantore del Grande Reset ne annuncia la fine.

E per finire Schwab annuncia anche altri grandi cambiamenti nella società e nell’uomo. Annuncia una “Economia on demand”, che caratterizzerà una società sempre più liquida, dove si passerà dalla cultura della proprietà a quella dell’uso comune. Nessuno possiederà nulla, dalla casa all’auto, al lavoro stesso, e dovrà essere felice così. Schwab annuncia la fine di quella istituzione obsoleta – retaggio del vecchio Stato sociale – che è il pensionamento: si dovrà lavorare tutta la vita. Lo Stato sarà molto occupato a mantenere “la sicurezza”: avrà a disposizione nuovi strumenti tecnologici potentissimi di controllo, evoluzione degli attuali “Green pass”.

Già, perché l’economista tedesco dice (pag. 114) che “Il pericolo maggiore per la stabilità globale potrebbe arrivare da gruppi radicali, la cui lotta contro il progresso si traduca in atti di violenza”. Per garantire la sicurezza ci saranno Blockchain e sensori identificativi Radio frequency. Dovremo indossare apparecchi che monitoreranno la salute, secondo gli intenti del Potere, ma che in realtà serviranno a controllare ed eteroguidare le persone. E non è finita: se non saranno sufficienti gli organismi di polizia, si potrà ricorrere alla guerra. E qui Schwab ci descrive uno scenario che ha già avuto inizio in Ucraina: la guerra – secondo lui – sarà di tipo non convenzionale, senza distinzione tra e civili e soldati. Tutti dovranno prendere le armi per distruggere quanti più nemici possibile. Le guerre, per il tedesco, saranno tecnologiche e biologiche, e prevederanno “Epidemie prodotte da organismi geneticamente modificati”.

Ci sarà l’uso militare di neurotecnologie (quelle studiate da Giordano), ovvero nanotecnologie che producono “metamateriali”, ovvero materiali “intelligenti” che sono in possesso di proprietà create artificialmente. E tutto questo sarà sostenuto, promosso, propagandato come il migliore dei mondi possibili dai media di ogni tipo. Benvenuti all’inferno.

Paolo Gulisano

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