martedì 30 settembre 2025

Padre Spataro sul prof. Grillo e la liturgia tradizionale




Da Padre Spataro un ulteriore scritto relativo al suo precedente post (QUI su MiL) e alla risposta del Prof. Andrea Grillo.
Luigi C.




Gentilissimo Dott. Casalini,


Laudetur Iesus Christus!

Le chiedo, ancora una volta, di pubblicare sul Sito “Messa in latino”, a beneficio dei lettori, una mia ulteriore riflessione suscitata dall’articolo, apparso sul blog “Come se non” il 23.09 u.s., con il quale il prof. Andrea Grillo ha proseguito la conversazione suscitata dalla mia lettera del 19.09 u.s., divulgata dal sito cattolico, denominazione più appropriata di “tradizionalista”, da Lei generosamente e saggiamente diretto.

Anzitutto, sono grato al prof. Grillo per l’attenzione che riserva ai miei scritti e volentieri accolgo il Suo invito a un ulteriore approfondimento, in quello spirito di amicitia christiana che caratterizza l’esposizione della differenza di opinioni teologiche ed è nell’anima della sinodalità ecclesiale, alla quale ci ha introdotto il Papa Francesco.

1. Con grande schiettezza viene chiesto ai cultori del Ritus Romanus Antiquior (RRA) di valutare l’ipotesi teologica che il prof. Grillo ha illustrato più volte e ribadito nel suo intervento del 23.09. Se ho ben compreso, tale ipotesi è così formulabile: nella storia della liturgia si assiste a uno sviluppo costante per cui il nuovo assorbe e sostituisce il precedente. In tale prospettiva, la riforma liturgica seguita al Vaticano II ha rinnovato i libri liturgici precedenti che hanno, dunque, cessato la loro funzione.

2. In realtà, questi libri liturgici, pur se in forma derogatoria o eccezionale, hanno continuato a guidare l’orazione liturgica di alcune ferventi comunità ecclesiali, con l’approvazione di San Paolo VI, San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco. Pertanto, quei libri liturgici non sono scomparsi e dissolti una volta per sempre nei libri liturgici successivi. Anche queste res esistono e appartengono al presente della storia e – come tutto lascia pensare – sempre più lo saranno nel futuro. Possono essere cassati a conclusione di un sillogismo teologico, ma la loro esistenza si impone, anche dopo la formulazione del paralogismo e lo smentiscono. Né potrebbe essere diversamente: il RRA non è mai stato abrogato.

3. Nessuno potrebbe pensare che quei Pontefici siano stati avversari del Concilio Vaticano II. È bene ricordarlo perché è infondata l’equazione: RRA = Rifiuto del CV II. La stragrande maggioranza dei fedeli che amano il RRA sono nati dopo il Concilio Vaticano II e con serenità accettano toto corde quel Concilio ecumenico, secondo l’ermeneutica della continuità magistralmente illustrata da Papa Benedetto XVI. Piuttosto, l’ostilità al Concilio Vaticano II e alle sue riforme andrebbe cercata altrove perché esso, strumentalizzato, “copre una moltitudine di peccati”. Anche questo dovrebbe preoccupare chi ama il Concilio Vaticano II.

4. Non siamo però ancora giunti al cuore della ripresa dell’ipotesi teologica del prof. Grillo: moneta nuova scaccia moneta vecchia. E qui credo che le obiezioni siano sostanziali: è proprio vero che il Messale Romano (MR) del 1962 è confluito in quello di San Paolo VI, poi aggiornato da San Giovanni Paolo II? Chi ha esperienza dell’uno e dell’altro coglie molte differenze e, proprio per questo, privilegia l’una, pur apprezzando l’altra, e viceversa. La discontinuità fu colta immediatamente e con grande preoccupazione, eccessiva – possiamo dirlo serenamente alla luce del vissuto ecclesiale successivo e odierno - dai Cardinali Bacci e Ottaviani nel loro celebre Memorandum. Il patrimonio eucologico del MR del 1962 è confluito in quantità assai ridotta in quello successivo: si parla di uno scarso 17%, spesso riformulato sino a essere significativamente modificato per poi essere ripreso in traduzioni – e non potrebbe essere diversamente – che vanno ben oltre la parafrasi. Come si può pensare che le eulogie dell’offertorio attuale siano uno sviluppo organico delle preghiere del MR del 1962? Gli esempi si potrebbero modificare e illustri autori lo hanno fatto in pregevoli pubblicazioni apparse negli ultimi vent’anni. Più che di sviluppo occorrerebbe parlare di creatività e di evoluzione, termine, come sappiamo, decisamente rifiutato nella storia dei dogmi, da Vincenzo di Lerins a San John Henry Newman, dottore, lui sì, della Chiesa.

5. Questa novità – e a volte le novità nascono da rerum novarum cupiditas, per ricordare l’incipit della celebre enciclica di Leone XIII al quale si ispira l’attuale Pontefice Leone XIV – induce a una valutazione certamente prudenziale sulla presunta abrogazione dei libri liturgici del 1962 comprensiva, se non di simpatia per tutto ciò che è autenticamente umano (e qui penso a un bellissimo discorso di Paolo VI a molti noto), a un rispettoso atteggiamento che non sempre ravvisiamo in coloro che ritengono del tutto superato quel patrimonio liturgico, dottrinale, spirituale nel quale molti fedeli trovano alimento spirituale.

6. E qui mi distanzio dal prof. Grillo che dichiara che “ogni spazio di lavoro pastorale ha questa unica base rituale [i libri liturgici apparsi con la riforma liturgica del CV II]”. L’assertività è drastica. Nessuna ammirazione e nessuna comprensione per comunità e fedeli oranti che su altre basi rituali vivono la loro esperienza di fede, che è sacra e non può essere trattata con questa severità. A essa occorre avvicinarsi mossi da pietas, scalzandosi come dinanzi al roveto ardente, perché Dio agisce nelle anime! Imporre un altro cibo a chi è saziato da questo alimento spirituale mi appare sinceramente crudele. D’altra parte, le “basi rituali” non impediscono, se ben interpreto le parole del prof. Grillo, di partire da esse per costruire un accompagnamento pastorale che includa la spiritualità, la dottrina e la celebrazione degli altri libri liturgici.

7. Concludo – rammaricato per l’estensione dello scritto – con un’ultima osservazione. Antiquior/antiquius, come scrivevo, significa anche e, oserei dire, principalmente “più importante”, nonostante la confutazione del prof. Grillo, come appare evidente a chi ha familiarità con la lettura dei testi latini classici. La preposizione “ante” ha infatti un doppio significato: locativo-temporale (prima) e qualitativo (più, al di sopra, superiore). Anche un semplice vocabolario liceale permette di acquisire questa interpretazione. Sutor ne ultra crepidam!

In unione di preghiera e ideali liturgici, ossia il culto di Dio e la santificazione delle anime, saluto i lettori tutti di ML, spesso coraggiosi difensori del RRA, e il chiarissimo prof. Andrea Grillo.

Dev.mo in I et M

Sac. Prof. Roberto Spataro, sdb, DLett, DSTh






Caso Hamilton. Se il cane vale più del bambino




30 set 2025

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by Aldo Maria Valli


di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

qualche mese fa ironizzavo sui nuovi diritti che avanzano e in particolare sul diritto al “congedo animale”, cioè alle proposte di legge che vorrebbero il congedo retribuito in caso di morte di un animale domestico. Mi sono, quindi, avventurato in una previsione di un futuro neppure troppo lontano in cui potrebbero essere estese le prerogative di cui alla legge 104 (per l’assistenza ai familiari disabili) agli animali.

La legge non è stata ancora varata, ma la realtà supera il diritto e così apprendo che Lewis Hamilton, pluricampione di Formula 1 con sette titoli mondiali alle spalle, da quest’anno alla Ferrari con risultati non proprio esaltanti, ha deciso di non scendere in pista per i test programmati dalla Pirelli per stare al fianco di Roscoe. Chi è Roscoe, si chiederanno i non appassionati di automobilismo. Forse un figlio? Forse un caro amico? Nessuno dei due: si tratta del suo cane, in coma dopo una crisi respiratoria.

Il congedo animale è già in mezzo a noi. Basta essere un pilota multimilionario e non serve neppure la legge. Hamilton ha lasciato la pista per il cane, e il paddock – un tempo santuario di velocità – si trasforma in sala d’attesa di una clinica veterinaria. Con tanto di appello social: “Pregate per lui”.

Chissà cosa avrebbero pensato piloti come Villeneuve e Senna: uomini che avrebbero corso anche con una mano fratturata e che avrebbero forse pagato di tasca loro pur di non perdere l’occasione di scendere in pista anche solo per un test.

I tempi cambiano e cambiano sensibilità e priorità. È il progresso.

Peccato che la stessa sensibilità non sia manifestata per ben altre priorità. Così se da un lato il buon Hamilton chiede oggi di pregare per Roscoe, tempo fa, dopo la sentenza dei giudici della Corte Suprema americana che ha ribaltato quella nota come “Roe v. Wade” in materia di aborto, dichiarava di essere “disgustato dalla decisione presa oggi dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Non capisco perché chi è al potere abbia spinto e continui a spingere per strappare via i diritti a milioni di persone. Questa decisione impatterà sulle persone più vulnerabili tra di noi. Donne, persone di colore e membri della comunità LGBTQIA+ e così via”.

Preghiere per Roscoe, allora, ma nessuna pietà e nessuna preghiera per milioni di bambini che non vedranno mai la luce, sacrificati sull’altare di quei “diritti” o pseudo tali che negano ogni voce a chi è ancora nel grembo materno e non ha modo di postare sui social il suo dissenso.

In fondo è il paradosso della modernità: il cane vale più del nascituro umano. E guai a dire il contrario se non si vuole essere oggetto del disgusto altrui.




lunedì 29 settembre 2025

La misteriosa Linea Sacra di San Michele Arcangelo




l 29 settembre si festeggia San Michele Arcangelo ed è la data giusta per raccontare dei sette santuari dedicati al culto del Santo che sorgono lungo una linea retta di ben 2mila km, che taglia l’Europa partendo dall’Irlanda ed arrivando fino ad Israele, passando per Inghilterra, Francia, Italia e Grecia: la misteriosa Linea Sacra di San Michele, altresi’ detta via Michelita o Micaelica. Si tratta di una delle ‘ley lines’, ovvero una delle linee rette che toccano punti energetici del mondo, che già nei secoli passati erano considerati di grande valore e spiritualità.


29 settembre San Michele Arcangelo 

La Leggenda della Linea Sacra di San Michele

La Linea Sacra di San Michele fu tracciata, secondo la leggenda, dal colpo di spada che il Santo inflisse al Diavolo per rimandarlo all’inferno. Il culto del Santo, di origine orientale, si diffuse in occidente grazie soprattutto all’imperatore Costantino che nel 313 dc, costruì a Costantinopoli una basilica dedicata all’Arcangelo.

Da quel momento San Michele, riconosciuto da tutte le religioni e rappresentato come guerriero, assunse il ruolo di massimo simbolo di difensore della fede cristiana e comandante delle milizie celesti, per averla difesa contro Satana.

I sette santuari della Linea di San Michele sono: Skellig Michael (Irlanda), St Michael’s Mount (Gran Bretagna), Mont Saint Michel ( Francia), la Sacra di San Michele (Piemonte), San Michele ( Puglia), il Monastero di San Michele (Grecia) e il Monastero di Monte Carmelo (Israele).

1. Il Monastero di Skelling in Irlanda


Il punto di partenza dell’ itinerario è in Irlanda, dove si trova il Monastero di Skelling (roccia di Michele), dal 1996 patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Lo scrittore George Bernard Shaw nel 1910 scriveva: “Un incredibile, impossibile, folle posto che ancora induce devoti a strisciare in antri bui e a baciare “pietre di panico” che si gettano a 700 piedi d’altezza sull’Atlantico”. Il sito fu costruito intorno al 588 d.c. dai primi monaci cristiani che arrivarono in Irlanda e rappresenta pertanto uno dei primi esempi di architettura cristiana nel nord Europa. La leggenda vuole che in questo isolotto l’Arcangelo apparve a San Patrizio per aiutarlo a sconfiggere le forze del male. Il sito è stato scelto per ben due volte come set della saga Star Wars: l’isolotto infatti compare negli episodi VII, «Il risveglio della Forza» e VIII «Gli ultimi Jedi».

2. Il monastero di St. Michael’s Mount in Cornovaglia – Inghilterra

Dirigendosi verso Sud, in Gran Bretagna, in un’isola a largo della Cornovaglia, si trova il monastero di St. Michael’s Mount. Qui sarebbe apparso l’Arcangelo nel 495 e avrebbe parlato ad un gruppo di pescatori. I monaci benedettini provenienti da Mont Saint Michel in Francia su indicazione dello stesso San Michele Arcangelo, edificarono un’abbazia dedicata al Santo, di cui rimangono solo il refettorio e la chiesa, incorporata poi nel XVI secolo in un Castello Fortezza.

3. L’abbazia di Mont Saint Michel in Normandia – Francia

La linea sacra prosegue in Francia, su un’altra celebre isola, le Mont Saint-Michel, anch’esso tra i luoghi di apparizione dell’Arcangelo Michele e patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 1979. Questo luogo già dal tempo dei Galli era intriso di forte misticismo e qui, nel 709 d.c., l’Arcangelo apparve al vescovo di Avranches, Auberto, che avrebbe assistito al combattimento tra l’ Arcangelo Michele e il drago, al termine del quale avrebbe ricevuto dall’arcangelo l’ordine di avviare un tempio dove aveva sconfitto il maligno, intimandogli che gli venisse costruita una Chiesa nella roccia sul modello di quella di Monte Gargano, in Puglia, dove il Santo era venerato già dal V sec. d.c. I lavori presero il via, ma fu con i monaci benedettini a partire dal 900 d.c. che l’Abbazia venne edificata.

4. La Sacra di San Michele in Piemonte – Italia

A distanza di 1000 km, siamo in Italia, in Val di Susa in Piemonte, dove sorge una grande Abbazia, la Sacra di San Michele, che ispiro’ Umberto Eco per la scrittura del “Nome della rosa”. Secondo la leggenda Giovanni detto Vincenzo, vescovo di Ravenna, nel X secolo abbandono’ la sua carica per ritirarsi a pregare e vivere da eremita sul monte Caprasio, “delle capre”, di fronte all’allora monte Porchiriano (dei porci), nella Val di Susa. Giovanni voleva costruire una chiesetta e per questo accatastava tronchi e pietre che al mattino seguente pero’ erano scomparse. Giovanni decise di rimanere sveglio e vide, così, che un gruppo di angeli, insieme ad alcune colombe, andava trasportando in volo quei materiali, accatastandoli sulla vetta del monte opposto mentre San Michele gli indicava il monte Porchiriano come il luogo sul quale avrebbe dovuto erigere la chiesa.

5. Il Santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo – Italia

Ad una distanza di altri 1.000 km si arriva in Puglia, sul Gargano dove sorge il Santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Anglo, anch’esso Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO dal 2011, meta di pellegrinaggi dei fedeli cristiani sin dal VI secolo d.C. La storia di Monte Sant’Angelo ebbe inizio nel 493 d.C., quando fu costruita la chiesa dedicata all’Arcangelo Michele dopo tre apparizione al vescovo di Siponto, San Lorenzo Maiorano. La chiesa fu costruita nel luogo indicato dal Santo, dove c’ era una sacra grotta venerata fino ai giorni nostri come un luogo di culto consacrato non da mano umana ma dallo stesso San Michele, e ricevette nel corso dei secoli il titolo di “Celeste Basilica”.

6. Il monastero di San Michele Arcangelo di Panormitis nell’isola di Symy – Grecia

Proseguendo lungo la linea sacra, arriviamo in Grecia, nel Dodecanneso, all’isola di Simy dove si trova il sesto santuario dedicato al Santo, eretto intorno al XII secolo e che conserva una delle più grandi effigi dell’Arcangelo alta ben tre metri.
La storia di questo luogo sacro nasce con il ritrovamento di una immagine di San Michele Arcangelo da parte di una donna dell’isola. Questa raffigurazione, che fu protagonista di eventi e fatti miracolosi che la resero famosa in Grecia facendo giungere molti devoti sull’isola, iniziò ad essere usata come esempio per raffigurare anche in altre icone l’Arcangelo Michele e, nel luogo del ritrovamento, venne costruito il Monastero. La tradizione vuole che gli oggetti devozionali che vengono lasciati in mare da devoti nel mondo, poi arrivano miracolosamente nella baia del monastero. Sull’isola inoltre ci sono ben 9 chiese dedicate all’Arcangelo Michele corrispondenti a 9 ordini angelici.

7. Il monastero di Stella Maris sul Monte Carmelo ad Haifa – Israele

L’ultimo Santuario della Linea Sacra, si trova in Israele ed è il Santuario Stella Maris sul Monte Carmelo ad Haifa. Il Monte Carmelo, letteralmente “Vigna di Dio”che si trova nell’Alta Galilea, è un luogo sacro poichè si narra che qui ebbe la sua dimora il profeta Elia che proprio sul Monte Carmelo si scontro’ con i 450 profeti di Baal. Sul monte si sviluppa la tradizione mariana della Madonna del Carmelo. La prima fondazione del monastero omonimo risale comunque all’epoca bizantina, quando alcuni eremiti lo scelsero come luogo di culto dell’Arcangelo Michele. A differenza degli altri Santuari dedicati esclusivamente a San Michele Arcangelo, il monastero del Monte Carmelo è un luogo sacro legato principalmente alla Madonna ed al Profeta Elia. Tuttavia il particolare legame dell’ Arcangelo Michele con le figure del Profeta Elia e della Vergine, ne fanno un luogo ideal in cui le forze del bene sconfiggeranno le forze del male.






Una volta ci volevano ammazzare, ora vogliono che ci ammazziamo





CULTURA E POLITICA DEL “SUICIDIO”


Stefano Fontana

Ormai abbiamo capito una cosa: dobbiamo guardarci le spalle e non solo davanti a noi. Una volta ci volevano ammazzare, ora vogliono che ci ammazziamo. Il suicidio, intanto con aiuto e accompagnamento, poi lasciato liberamente a se stesso, risulta più conveniente, raggiunge il risultato con minori sforzi e maggiori garanzie. Il riconoscimento del suicidio come il primo dei diritti umani – anche nel parlamento italiano se ne discute e in Inghilterra il riconoscimento è già avvenuto – permette l’estinzione dell’uomo non prodotta dall’esterno, ma dall’interno. Chi odia l’uomo non gli sta davanti minacciandolo, gli sta dietro le spalle e gli insegna ad odiare se stesso. Il suicidio, così antinaturale, diventa quasi naturale.

C’è una cultura e una politica del suicidio, molto più attrezzata di quella dell’omicidio. Le perverse ideologie moderne erano tutte incentrate sull’omicidio, sull’uccisione dell’avversario, sul patibolo e sul boia, sulla “presunzione di colpevolezza” che non ammettesse sconti e che non cessasse di fornire bersagli riconoscibili da abbattere. Anche le guerre ideologiche del corpo a corpo, delle incursioni dalle trincee, degli “arditi” della prima linea, erano incentrate sull’uccisione diretta dell’altro, pur se la costruzione nel fronte avverso di un efficiente nemico interno che agisse da dietro le spalle divenne sempre più una pratica efficiente. Anche lì si cominciò ad uccidere non di fronte ma alle spalle. Come fanno i terrorismi.

Questo passaggio culturale avvenne compiutamente nella postmodernità. Perdute le forti convinzioni delle grandi narrazioni e aumentato a dismisura lo scetticismo per tutte le Cause, si perse anche la voglia di combattere, preferendo instillare nel fronte nemico qualche virus che dall’interno lo indebolisse e lo spingesse al suicidio. Questo ultimo liberalismo postmoderno che oggi si suole chiamare Woke, demolisce i significati, svuota concetti e valori, cancella ogni tradizione, considera violenza ogni affermazione identitaria. Certo, viene divelto anche qualche monumento che attesti un passato, ma lo scopo non è di uccidere uno spirito, bensì di indurlo al suicidio per svuotamento. Oggi i titoli di conferenze e libri sul “suicidio” dell’Occidente non si contano. Tutti sono d’accordo che l’Europa si stia suicidando e che ciò avvenga dall’interno e consapevolmente, dato che il primo attore del suicidio è l’Unione Europea, ossia lo strumento creato dalla stessa Europa per darsi la morte. Il nemico si è fatto interno, opera da dietro le spalle, se lo si denuncia si diventa colpevoli di disfattismo, ossia, nel linguaggio di oggi, di populismo e di sovranismo.

Se andiamo alle fonti del passaggio dalle ideologie ottocentesche alla situazione attuale, incontriamo due altri famosi “suicidi” strettamente legati l’uno all’altro. Essi, a quel tempo solo agli esordi, hanno poi fatto una lunga strada. Il primo è il “suicidio dei cattolici” e il secondo è il “suicidio della rivoluzione”. In altre parole, incontriamo Antonio Gramsci (e Augusto Del Noce). Su L’Ordine Nuovo del 1 novembre 1919 il giovane Gramsci scriveva che i cattolici democratici avrebbero condotto il mondo cattolico al suicidio e lo avrebbero consegnano nelle mani dei comunisti. Sappiamo bene che proprio questo è avvenuto. Oggi, davanti ad un disegno di legge sul suicidio assistito, i cattolici, ormai suicidatisi, sono divisi e ininfluenti. Secondo Gramsci il suicidio dei cattolici voleva dire la secolarizzazione, ossia il passaggio da una cultura della trascendenza ad una dell’immanenza. Questo era per lui l’obiettivo del Partito Comunista, che richiedeva però, come scrisse in seguito Del Noce, un altro suicidio, quello della rivoluzione (“Il suicidio della Rivoluzione”, Milano1978) e la trasformazione del Partito in un partito radicale di massa che demolisce senza più costruire, che non combatte per qualcosa e contro qualcuno ma che solo sollecita il suicidio.

Gomez Davila diceva che “le cose buone non muoiono che per suicidio”. Aveva intuito che al centro delle trasformazioni della cultura e della politica si sarebbe imposta la questione del suicidio: l’avversario deve essere suicidato. Le cose vere, buone e belle, secondo Davila, non possono essere sconfitte. Anche Socrate diceva che nessuno può essere obbligato a fare il male, se non lo vuole fare. Si può essere costretti a farlo, ma non a volerlo fare. Per san Tommaso la verità (e quindi anche il bene) in seipsa fortis est et nulla impugnatione convellitur. Le cose buone non possono essere sconfitte, possono solo uccidersi da sé.

La tattica grossolana di distruzione delle cose buone usa violenze e minacce. Il cristianesimo e la Chiesa ne ha supportate, e superate, tante. Finché si trattava di tattiche poco raffinate da parte di nemici esterni, identificabili dai radar, le contraeree erano pronte a reagire. Nei tempi più vicini a noi, però, i nemici hanno adottato anche essi la tattica del suicidio. Massoneria e modernismo raffinarono le loro tecniche e Buonaiuti disse che “fino ad oggi si è voluto riformare Roma senza Roma, o magari contro Roma. Bisogna riformare Roma con Roma; fare che la riforma passi attraverso le mani di coloro che devono essere riformati”. Ossia suicidati.






In nome della diplomazia ecumenica, il concilio fece tacere la Madre di Dio



29 set 2025

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by Aldo Maria Valli


Così Maria fu tradita e così la Chiesa cadde nel baratro


di Radical Fidelity

Sostenere che tutti i problemi della Chiesa cattolica siano iniziati con il Concilio Vaticano II sarebbe una semplificazione eccessiva e un errore di fatto. Ciò che è vero, però, è che il Vaticano II fu la tempesta perfetta per il successo delle strategie del nemico.

Migliaia, anzi milioni, di parole sono state scritte e pronunciate, analizzando sia la miriade di flussi avvelenati che si sono trasformati in uno tsunami di distruzione conciliare, sia i vari meccanismi mortali implementati da questo concilio e i suoi conseguenti frutti.

Ogni fedele cattolico che si rispetti dovrebbe ormai avere almeno una conoscenza elementare del Vaticano II e di come i suoi documenti siano stati, nel peggiore dei casi, contrari al cattolicesimo e, nel migliore dei casi, ambigui, e di come la loro successiva attuazione sia stata disastrosa.

Fino a poco tempo fa, ero completamente all’oscuro di un altro dramma satanico che si era svolto durante il concilio e che ora, forse incautamente, vorrei postulare come la ragione principale per cui fu un fallimento abominevole per il cattolicesimo e un clamoroso successo per Lucifero e i suoi tirapiedi modernisti.

Chiedo scusa ai fedeli più anziani, che probabilmente sanno già come stanno le cose, ma ho pensato ai cattolici più giovani, che forse ne sono all’oscuro.

In breve: oso dire che la ragione principale per cui lo Spirito Santo se n’è andato e i modernisti, con la loro brama di eresia, sono riusciti a dirottare il Concilio Vaticano II, fu che la Madre di Dio venne considerata motivo di imbarazzo al fine di motivare il falso ecumenismo.

Credo fermamente nel tandem vincemus (“alla fine vinceremo”), ma finché Cristo non verrà e non invertirà questo caos demoniaco, possiamo tranquillamente affermare che il Vaticano II è stato il tradimento più disastroso di Cristo, del cattolicesimo e, non dimenticatelo, della nostra Beata Madre.

I duecento anni che precedettero il Concilio possono essere considerati un’età mariana quasi d’oro. Pio IX definì il dogma dell’Immacolata Concezione (1854) e quattro anni dopo lo confermò lei stessa a Lourdes. Leone XIII riempì il mondo di encicliche sul Rosario. Pio X, martello dei modernisti, la chiamò la Mediatrice attraverso cui fluisce ogni grazia. Benedetto XV e Pio XI parlarono della sua regalità e del suo potere di intercessione. E Pio XII, sotto gli occhi di tutta la Chiesa, proclamò la sua Assunzione al Cielo (1950), un dogma che coronò secoli di fede.

Ma non ci furono solo le proclamazioni dei buoni servitori di Dio Onnipotente. Nel 1917, il Cielo stesso parlò a gran voce in quelle che probabilmente divennero le apparizioni mariane più influenti. A Fatima, la Regina del Rosario apparve per ammonire il mondo, per invocare riparazione e promettere il trionfo del suo Cuore Immacolato. La devozione verso la Madre Santa esplose in pellegrinaggi, congregazioni, movimenti mariani e consacrazioni. I fedeli sapevano, come avevano sempre saputo i loro padri, che ogni grazia fluisce da Cristo attraverso Maria, e che onorare lei significa onorare Lui.

Non sorprende che molti, compresi alcuni padri conciliari, cavalcando l’onda mariana, quando Giovanni XXIII annunciò il concilio prevedessero che il Vaticano II sarebbe stato il coronamento di un’era dedicata a Maria. Sicuramente, pensavano, la Chiesa, riunita in solenne assemblea, avrebbe finalmente proclamato la mediazione universale di Maria e il ruolo di corredentrice accanto al Figlio.

Inizialmente fu preparato uno schema interamente dedicato alla Beata Vergine Maria in quanto Madre di Dio e Madre degli uomini, ma in seguito fu rivisto nel senso di indicare Maria come Madre della Chiesa. Lo schema suscitò in non pochi vescovi, sacerdoti e teologi la speranza che la Madonna sarebbe stata finalmente onorata come mediatrice e corredentrice, e che ciò avrebbe chiarito l’insegnamento della Chiesa e rafforzato la devozione dei fedeli. Per gli speranzosi era chiaro che la Madre di Dio non era un ornamento del cattolicesimo, ma parte della sua stessa struttura. Esaltarla e metterla al giusto posto avrebbe portato maggiore gloria a Gesù Cristo, suo Figlio, poiché tutto ciò che Ella è e fa deriva direttamente dal suo divin Figlio.

Tuttavia, le speranze sarebbero presto andate in fumo, poiché tra alcuni periti del concilio si stava ordendo una cospirazione. Non era contro alcun teologo o movimento umano, ma contro la Madre di Dio stessa.

I cospiratori si definivano “minimalisti”, nient’altro che una maschera per nascondere la loro vera identità modernista. Disprezzavano la devozione mariana proprio perché smascherava la falsità della loro nuova teologia.

Molti provenivano dal mondo di lingua tedesca (alcune tendenze non cambiano mai) e componevano un blocco di teologi e vescovi che consideravano lo schema mariano una minaccia ai loro nefasti piani di falso ecumenismo, temendo che avrebbe danneggiato i rapporti con i protestanti e gli ortodossi.

Tra questi c’erano uomini come Karl Rahner, Joseph Ratzinger (poi papa Benedetto XVI), Karl Grillmeier e Otto Semmelroth. Tra i non tedeschi c’erano Yves Congar e René Laurentin. Congar trattava la devozione alla Beata Vergine come superstizione e imbarazzo, mentre Laurentin si atteggiava a mariologo, ma la tradiva costantemente. Alla vigilia della seconda sessione del concilio, egli pubblicò il libro “La question mariale”, che non era altro che un manifesto contro il movimento che affermava di servire. La devozione mariana, disse, era diventata una “febbre”, una “malattia”, una patologia bisognosa di cura. I fedeli che si aggrappavano ai loro rosari e piangevano davanti alle immagini di Maria venivano liquidati come fanatici.

Rahner, in particolare, si oppose fermamente allo schema, avvertendo che avrebbe potuto causare “danni inimmaginabili dal punto di vista ecumenico, sia per gli orientali sia per i protestanti”.

Credo sia importante che il lettore colga il pieno significato di questo sentimento, comprendendo come in quelle parole ci sia quasi un riassunto degli atteggiamenti infidi degli uomini malvagi che occuparono il concilio per mettere in moto lo smantellamento del cattolicesimo. Per Rahner e i suoi compari, non si trattava mai di proclamare sempre di più e sempre meglio la gloria della Madre di Cristo nostro Salvatore, ma di non offendere i cosiddetti “fratelli separati”, termine che dovrebbe essere comunque respinto, poiché sia ​​i protestanti sia gli ortodossi sono scismatici ed eretici.

Per la maggioranza modernista era più importante assecondare coloro che erano al di fuori della Fede che onorare Maria e suo Figlio Gesù Cristo. Non dimentichiamolo mai. Non dimentichiamo chi furono queste persone che alla fine usurparono le strutture della Chiesa e sostituirono il cattolicesimo con una falsa chiesa (la “c” minuscola è voluta).

Secondo altri nemici del cattolicesimo lo schema avrebbe impiegato “tattiche oggettivamente non onorevoli”, poiché si proponeva di non definire nuovi dogmi, ma allo stesso tempo presentava le dottrine mariane come se fossero già vincolanti per i fedeli. Consideravano un titolo come “mediatrice di tutte le grazie” “ambiguo”, “impreciso” e, in definitiva, una pericolosa minaccia per i loro progetti ecumenici e di una religione mondiale. Si opposero alla dimensione mariana del concilio non sulla base della verità, ma sulla base della loro strategia non cattolica.

Contro queste schiere scesero in campo alcuni vescovi, teologi e religiosi che si rifiutarono di vedere la Madonna sminuita. Dalla Spagna e dall’Italia, dall’America Latina e dai grandi ordini mariani si levarono voci in difesa di uno schema separato a favore della proclamazione della pienezza del ruolo di Maria nella salvezza. Tra i più eminenti vi fu il teologo padre Carolus Balić, presidente della Pontificia accademia mariana internazionale, instancabile nel sostenere che lo schema non inventava una nuova dottrina, ma chiariva verità già presenti nella Tradizione della Chiesa.

Molti padri conciliari insistettero sul fatto che, lungi dal danneggiare l’ecumenismo, l’audace proclamazione della verità mariana lo avrebbe rafforzato, poiché l’unità può essere costruita solo sulla verità, mai sul silenzio. Il vescovo brasiliano Giocondo Grotti tenne uno degli interventi più memorabili: “L’ecumenismo consiste nel confessare o nel nascondere la verità? Il concilio dovrebbe spiegare la dottrina cattolica o la dottrina dei nostri fratelli separati? Nascondere la verità danneggia sia noi sia coloro che sono separati da noi, perché li fa apparire deboli. Lasciamo che gli schemi siano separati. Professiamo apertamente la nostra fede”.

Questa chiarezza di visione riecheggiava la fede di innumerevoli semplici cattolici che si erano sempre rivolti a Maria come mediatrice e avvocata. Per questi difensori della Madonna, non assegnare i titoli che meritava non era umiltà, ma tradimento. Il ruolo di Maria, insistevano, non sminuisce Cristo, ma lo magnifica. Proclamarla mediatrice di tutte le grazie significa affermare, con la massima fermezza, che ogni grazia proviene da Cristo, unico mediatore, attraverso sua Madre, che ha cooperato con lui liberamente e perfettamente.

Ai loro occhi, il concilio si trovava alle soglie di una nuova fioritura mariana, che avrebbe coronato l’opera iniziata dall’Immacolata Concezione e dall’Assunzione con il riconoscimento della mediazione universale di Maria. Ritirarsi in nome dell’ecumenismo significava, per loro, barattare la verità con la diplomazia e la devozione con l’esitazione.

Purtroppo, e tragicamente, furono sconfitti.

La battaglia tra i due fronti raggiunse il culmine il 29 ottobre 1963, quando i padri conciliari votarono per decidere se dedicare a Maria uno schema specifico o ridurla a un capitolo della Costituzione sulla Chiesa. Il voto fu il seguente: 1.114 per seppellirla, 1.074 per onorarla. Per un soffio, la Regina del Cielo fu detronizzata.

Lo schema che avrebbe dovuto essere il cuore del Concilio fu messo da parte, ridotto a qualche cenno nell’ultimo capitolo della “Lumen gentium”, tra limitazioni ed esitazioni. Sì, la parola “mediatrice” c’era, ma privata della sua forza, soffocata. Il titolo di corredentrice fu del tutto bandito. Paolo VI, tremando di fronte alla disapprovazione protestante, dichiarò “inopportuno” parlare di nuovi dogmi mariani. Così, in nome della diplomazia ecumenica, il concilio fece tacere la Madre di Dio.

C’era un uomo che capiva chiaramente cosa significasse tutto ciò: l’abbé Victor-Alain Berto, teologo, discepolo di Maria e fedele perito dell’arcivescovo Lefebvre. Quando lo schema cadde, Berto non nascose le lacrime. Il suo lamento fu profetico. I vescovi, disse, avevano trattato la Vergine come un motivo di imbarazzo, come un ostacolo al loro progetto, come un’acqua di lavaggio indesiderata alle nozze di Cana. E quale fu il risultato? Proprio come Cristo non avrebbe agito a Cana finché sua Madre non fosse intervenuta, così anche al concilio trattenne la sua mano. “L’acqua rimase acqua”, dichiarò Berto, “e nemmeno acqua potabile, ma acqua di lavaggio”. Escludendo Maria, i padri si assicurarono che la loro opera non avrebbe portato frutto. Il concilio fece tacere la Donna, e così il Verbo trattenne il suo miracolo.

Guardatevi intorno, nella Chiesa di oggi. Chi può negare la giustezza delle parole di Berto? Dal concilio in poi, la vita della grazia si è esaurita. Le vocazioni sono crollate; seminari un tempo fiorenti si sono svuotati. Case religiose hanno chiuso a migliaia. Nazioni che un tempo professavano la fede cattolica sono cadute nell’apostasia. La liturgia è stata profanata, la catechesi distrutta, i fedeli dispersi, il clero corrotto. Mai nella storia della Chiesa un concilio ha causato una tale devastazione. I frutti sono marci perché la radice è stata avvelenata. I vescovi hanno messo a tacere la loro Madre, e così sono rimasti nella desolazione.

Perché tanto odio verso Maria tra i modernisti? Perché lei smaschera le loro menzogne. Chiamarla mediatrice di tutte le grazie significa affermare la realtà della grazia stessa – soprannaturale e necessaria – contraddicendo il loro sogno di una religione ridotta a mera esperienza umana. Proclamarla corredentrice significa confessare la Croce come centro della salvezza, un sacrificio a cui lei partecipa in modo unico, contraddicendo la loro riduzione della redenzione a una vaga “solidarietà”. Incoronarla Regina del Cielo e della Terra significa dichiarare che la Chiesa cattolica è l’unica vera Sposa di Cristo, singolare e sovrana, contraddicendo il loro progetto di livellamento ecumenico. Maria è la morte del modernismo, e quindi il modernismo ha cercato la sua morte.

Il risultato fu niente meno che un tradimento. Congar, Rahner, Laurentin e gli altri come loro cospirarono contro la Madre di Dio. Giovanni XXIII tremò e guardò dall’altra parte. Paolo VI seppellì i dogmi nella polvere. E la maggior parte dei padri conciliari, abbagliati dalla promessa di applausi protestanti e dalle lusinghe dei media, scelse la codardia anziché la fedeltà. Il tradimento fu deliberato. E la punizione arrivò rapida. Una Chiesa che tratta la sua Madre come un imbarazzo non merita la sua intercessione.

Eppure la Madre non ha abbandonato i suoi figli. A Fatima ha avvertito che il Santo Padre doveva consacrare la Russia al suo Cuore Immacolato e che, se le sue richieste fossero state ignorate, il mondo avrebbe sofferto, la Chiesa sarebbe stata perseguitata e intere nazioni sarebbero state annientate. Le sue richieste non sono state esaudite. Il concilio ha preferito il dialogo con il mondo all’obbedienza al Cielo. E così abbiamo vissuto castighi, guerre, apostasie, scandali e rovine. Ma Maria ha anche promesso che alla fine il suo Cuore Immacolato trionferà.

La via da seguire è scritta chiaramente nel suo messaggio. Il rosario deve essere la nostra arma, non come una devozione facoltativa, ma come la catena che blocca il diavolo. La devozione del primo sabato deve essere ripristinata, così come gli atti di riparazione per le bestemmie contro il suo Cuore Immacolato. Famiglie, nazioni, sacerdoti e laici devono consacrarsi a lei, perché solo attraverso di lei Cristo regnerà di nuovo. La Chiesa deve confessare i suoi titoli senza vergogna. Lei è mediatrice di tutte le grazie, è corredentrice accanto alla Croce di suo Figlio, è la Regina del Cielo e della Terra. Che Roma lo proclami oggi o in un’epoca futura, la realtà non può essere soppressa. Perché la Scrittura stessa mostra la verità.

La donna vestita di sole, coronata di dodici stelle, che partorisce il Messia e combatte contro il drago: questa è Maria, e il drago lo sa. Per questo il concilio la fece tacere. I modernisti erano già servi, consapevoli o meno, dell’antico serpente. Ma lei gli schiaccerà la testa e coloro che le si oppongono saranno abbattuti.

La sterilità del Vaticano II non è un mistero. I vescovi dissero alla Madre di tacere. Le dissero che era un ostacolo, un motivo d’imbarazzo. E così Cristo, suo Figlio, si rifiutò di agire. L’acqua rimase acqua di lavaggio. Il banchetto rimase senza vino. Ma la sua ora sta arrivando. Quando finalmente la Chiesa si umilierà, quando il Papa si inginocchierà e consacrerà la Russia come da lei richiesto, quando i suoi titoli saranno proclamati con la chiarezza che meritano, allora pronuncerà ancora una volta le parole: “Non hanno vino”. E Cristo agirà. L’acqua diventerà vino. La vita di grazia tornerà.

Fino ad allora, i suoi figli non devono tacere. Dobbiamo difendere il suo onore laddove il concilio lo ha tradito. Dobbiamo gridare che lei non è un mero “modello”, ma la vera mediatrice attraverso cui fluisce ogni grazia, la corredentrice che sta ai piedi della Croce, la Regina che regna su tutta la creazione. Il Concilio può averla tradita, ma i suoi figli no. Pregheremo, predicheremo, soffriremo, combatteremo per il suo onore. Perché tradire Maria è tradire Cristo, ma difendere Maria è difendere la Fede stessa. Il suo trionfo è certo. L’unica domanda è se noi ci troveremo tra i suoi figli fedeli quando il suo calcagno schiaccerà il serpente e il vino scorrerà di nuovo nel calice della Chiesa.

radicalfidelity



INTERVISTA al cardinale Müller: "La Chiesa cattolica deve proclamare la verità, ma anche contraddire le menzogne."



Nella traduzione di Chiesa e postconcilio da Substack.com, Diane Montagna intervista il card. Müller su temi scottanti di attualità.

ROMA, 17 settembre 2025 — Di recente ho incontrato a Roma il cardinale Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, per un'ampia discussione.
Nella prima parte di questa intervista in due parti, Sua Eminenza riflette sul brutale assassinio del conservatore cristiano e fondatore di Turning Point USA, Charlie Kirk, definendolo un "martire di Gesù Cristo".
Parleremo anche dei primi mesi del pontificato di Papa Leone XIV e di una serie di questioni urgenti, tra cui la crescente minaccia dell'Islam, la sua relazione con le ideologie radicali anticristiane di oggi e il recente scandalo sul "pellegrinaggio del Giubileo LGBT" sancito dal Vaticano e guidato da Padre James Martin.
Ecco la prima parte della mia intervista con il cardinale Gerhard Müller.


* * *

Il cardinale Müller su Charlie Kirk, il “Giubileo LGBT” e la crescente minaccia dell’Islam



Diane Montagna: Eminenza, lei conosce bene gli Stati Uniti. Vorrebbe commentare l'assassinio di Charlie Kirk?

Cardinale Müller: Charlie Kirk è stato vittima di un'ideologia atea, i cui seguaci si sono scatenati in una celebrazione satanica per l'omicidio atroce di un marito esemplare e padre di famiglia. Il diavolo si impossessa sempre di coloro che odiano la vita e la verità. Perché, secondo le parole del Signore Gesù Cristo, il diavolo è "omicida fin dal principio" e "padre della menzogna" (Giovanni 8:44). E solo coloro che ascoltano le parole di Dio sono di Dio (cfr. Giovanni 8:47).

Charlie Kirk era un cristiano devoto. Da una prospettiva soprannaturale, è morto non come vittima di un assassinio politico, ma come martire di Gesù Cristo – non nel senso di coloro che sono canonizzati, ma come chi ha reso testimonianza (dal greco " martys ") con la sua vita. Ha dato la sua vita seguendo il suo Signore, come sacrificio per la verità che l'uomo è fatto a immagine di Dio, maschio e femmina, e in opposizione alle menzogne ​​e all'automutilazione promosse dalla cosiddetta "trans-ideologia" e dalla "cura che afferma il genere". Ha sostenuto e vissuto in difesa della bellezza e della sacralità del matrimonio e della famiglia, secondo l'ordine dato da Dio Creatore, e si è battuto per la dignità di ogni vita umana dal concepimento alla morte naturale.

Come sicuramente saprà, la moglie di Charlie Kirk è cattolica e i suoi amici più intimi hanno rivelato che lui andava a messa e pregava il rosario.

Sì, e di recente ha elogiato Maria Santissima come modello e “soluzione” ai mali del nostro tempo. Con il suo “sì” all’Incarnazione di Dio, è diventata la Madre di Gesù, l’unico Redentore dell’umanità che, solo, ci libera dalla menzogna, dal peccato e dalla morte, e da tutte le ideologie omicide.

Chiediamo al Signore Gesù e alla Santa Vergine di portare conforto alla moglie e ai figli di Charlie.


Passiamo a Roma. Quali cambiamenti ha percepito dall'elezione di Papa Leone XIV?

C'è una proclamazione del Vangelo più centrata su Cristo, un maggiore ordine e una minore enfasi su questioni di secondaria importanza per la Chiesa, come l'immigrazione, che è principalmente compito dello Stato.

Certamente, la Chiesa può aiutare attraverso opere di carità, ma la nostra prima missione è predicare il Vangelo a tutti ed evangelizzare coloro che vengono in Europa, non solo per fornire aiuti materiali, ma per trasmettere loro la verità.

Stanno arrivando così tanti musulmani e non possiamo permettere loro di imporre la loro religione alla nostra cultura. Dobbiamo confrontarci con il messaggio dell'amore di Dio, poiché l'immagine che hanno di Dio – un dittatore alla cui volontà arbitraria occorre cieca obbedienza – non è l'immagine che ci ha dato Gesù. Dio è nostro Padre, il nostro Creatore, che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Noi siamo suoi figli e, per mezzo dello Spirito Santo, possiamo diventare amici di Dio, amici di Gesù Cristo.

Questo è il messaggio di cui dobbiamo essere testimoni, soprattutto in quei Paesi europei stanchi della loro fede cristiana e secolarizzati dalle ideologie del nazionalismo, del fascismo, del comunismo e ora del wokismo, che minacciano di distruggere sia le persone che la loro identità.

Metterebbe il wokismo sullo stesso piano del comunismo?

Sì, lo considero una continuazione della concezione marxista dell'uomo. Secondo Marx, non siamo persone con un'anima immortale capaci, per grazia, di vivere una relazione personale con Dio, il nostro Creatore. Piuttosto, per definire la natura dell'uomo, siamo visti come dipendenti da un partito politico o da un gruppo ideologico – o dalle decisioni di organizzazioni come il World Economic Forum –. Una ristretta élite decide cos'è la dignità umana, e ci si aspetta che le masse obbediscano e si conformino a tutto ciò che essa detta. Ciò è completamente distruttivo.

Il wokismo fa parte di un'ondata ideologica che si oppone all'identità personale, al corpo (maschile e femminile), alle relazioni familiari stabili, alle culture e lingue diverse, alla storia e alle normali relazioni stabili che appartengono all'essere umano.

È, in sostanza, una continuazione del vecchio marxismo. Pur non operando come un partito politico ufficiale, dispone di gruppi di pressione ben organizzati ovunque: nell'Unione Europea, negli Stati Uniti attraverso il Deep State, nei mass media, nei social media e nelle università. Questi gruppi sono altamente oppressivi, militanti e aggressivi nei confronti di chiunque non si conformi al loro pensiero.

Come vede la relazione tra wokismo e Islam?

L'Islam è, ovviamente, una religione e non ha nulla a che fare con il wokismo. Tuttavia, i wokisti strumentalizzano l'Islam per minare l'identità cristiana e la tradizione e la cultura occidentale. Credo, tuttavia, che questi stessi wokisti possano essere le prossime vittime degli islamisti radicali. Potrebbero aver calcolato che i musulmani alla fine adotteranno le idee woke, ma non c'è alcuna possibilità che ciò accada. Al contrario, l'Islam rifiuta la dignità delle donne e il suo quadro morale non ha nulla in comune con gli obiettivi del wokismo, uno dei quali è l'omosessualizzazione della società e del pensiero.


In Inghilterra, ad esempio, il wokismo, nella sua fase iniziale, usa l'islamismo come strumento per indebolire la cultura e la tradizione cristiana. Attualmente, in casi tragici – come quando una ragazza viene violentata da diversi uomini musulmani – è più probabile che finisca in prigione la ragazza piuttosto che i colpevoli.

Spero che assisteremo a un cambiamento significativo in Inghilterra con le prossime elezioni.

E la situazione nella sua Germania natale?

È un po' simile. In media, ogni giorno si verificano diciotto aggressioni con coltello e due o tre ragazze o giovani donne sono vittime di stupri di gruppo. Eppure, anche quando un agente di polizia viene accoltellato, spesso non c'è reazione.

Crescono anche le sfide nelle scuole, dove i bambini musulmani sono spesso più numerosi di quelli cristiani, ma pochi sono disposti ad affrontare questa realtà. Persino molti vescovi sembrano non comprendere appieno la gravità della situazione.

Pensa davvero che i vescovi non lo capiscano?


Per loro è più facile chiudere gli occhi. Molti vengono travolti da questa ondata ideologica e sanno che chi confessa apertamente la propria fede cristiana viene attaccato. Vogliono essere amati da tutti, essere i beniamini di tutti. Solo pochi vescovi in ​​Germania capiscono veramente cosa sta succedendo.

In Germania abbiamo libertà religiosa e, in teoria, tutti possono praticare apertamente la propria fede, compresa quella islamica. Ma la realtà è molto diversa. I musulmani sono molto presenti nella sfera pubblica, mentre i cristiani sono spesso restii persino a celebrare una processione eucaristica pubblica per paura di offendere o mettere in difficoltà gli altri.

Se la situazione continua su questa direzione, come andrà a finire?

Potrebbe diventare come il Nord Africa. Fino al VII secolo, era una regione completamente cattolica, sebbene con sfide come i donatisti. Ma poi arrivò l'Islam e, cinquecento anni dopo, la popolazione era diventata interamente musulmana.

Se ciò accadesse, i cristiani diventerebbero cittadini di seconda classe.

Eppure pochi vogliono riconoscerlo. La mia città natale, Magonza, ad esempio, cinquant'anni fa era cattolica al settanta per cento; oggi, a causa della secolarizzazione, dell'immigrazione e di altri fattori, questa percentuale è scesa al ventisette per cento. Attualmente, il trenta per cento della popolazione del Paese non è di etnia tedesca ed è prevalentemente giovane. Tra venti o trent'anni, l'Islam potrebbe diventare la religione dominante.

Crede davvero che la Germania possa diventare un paese musulmano?

Lo è già, sotto molti aspetti. I musulmani dominano la vita pubblica, in parte perché i politici vivono nella paura.

Anche se i musulmani non hanno il controllo del governo...

L'ex partito comunista della Germania orientale è assolutamente filo-islamico. Sebbene la sua ideologia sia interamente marxista e atea, ha stretto un'alleanza con i musulmani, che professano la fede in un unico Dio a cui tutti devono sottomettersi. È una contraddizione assoluta, eppure serve allo scopo di scristianizzare l'Occidente.

Pensa che prima o poi assisteremo a una guerra civile?

Credo che i giovani tedeschi non siano più in grado di difendersi; in effetti, hanno già perso la battaglia. In realtà, non c'è stata alcuna battaglia: è stata un'infiltrazione. Un milione di persone è arrivata dalla Siria, molte delle quali non parlavano tedesco. La Germania ha offerto loro sostegno finanziario e infrastrutture sviluppate senza richiedere lavoro. Per loro, sembra un paradiso terrestre, finché non esauriscono le risorse. Una volta che ciò accade, potrebbe scoppiare un conflitto, che potenzialmente sfocia in una guerra civile, ma tra loro, al pari di quanto abbiamo visto in Siria.

E pensa che questo sia realistico?

Sì, è assolutamente realistico. Non esiste un movimento di contrasto efficace che affronti le conseguenze dello spopolamento o politiche che promuovono l'aborto.

Ritiene che i vescovi siano in larga misura responsabili di ciò, a causa dell'incapacità, negli ultimi decenni, di predicare il Vangelo e di insegnare ai fedeli la fede cattolica?

All'inizio del movimento per lo spopolamento, con iniziative come il Club di Roma, ci fu resistenza. Il Papa e i vescovi si pronunciarono contro. Ma la generazione successiva di vescovi perse la sua energia. Si pensi al Cammino sinodale tedesco: si concentra sull'adattamento della fede per allinearla alle ideologie moderne piuttosto che sulla difesa dell'autentico insegnamento cattolico.

Questo mi porta alla mia prossima domanda. Eminenza, qual è la sua reazione al recente "pellegrinaggio giubilare LGBT" nella Chiesa del Gesù a Roma e nella Basilica di San Pietro, che ha portato alla foto virale di due uomini omosessuali che si tengono sfacciatamente per mano, uno dei quali con uno zaino e la scritta "F*** the Rules"?

Hanno profanato il tempio di Dio, «trasformando la casa del Padre in un mercato» (Gv 2,17). Il movimento LGBT è assolutamente contrario alla volontà di Dio Creatore, che ha istituito il matrimonio come sacramento santo in Cristo, ed è uno scandalo assoluto che ciò sia accaduto.

Diversi anni fa, il cardinale Reinhard Marx celebrò una messa per questi gruppi a Monaco, trasformando ciò che è sacro in uno spettacolo propagandistico. Ora, lo stesso sta accadendo nella Chiesa del Gesù a Roma, con un vescovo italiano che parla della possibilità di modificare la dottrina rivelata sul matrimonio e la famiglia secondo i desideri umani e carnali.

Come ci ricorda Sant’Agostino nelle Confessioni X, 27: «È il tuo miglior servitore colui che non vuole sentire da te ciò che lui stesso desidera sentire, ma desidera ciò che sente da te».

Che significato ha il passaggio attraverso la Porta Santa di un intero gruppo che rifiuta apertamente la fede cattolica in materia di morale sessuale?

Hanno abusato della fede cattolica e anche della grazia e del simbolo della Porta Santa – che è Gesù Cristo – per fini propagandistici, mentre vivevano in aperta contraddizione con la volontà del Creatore. Hanno denigrato la Chiesa di Dio con gesti osceni e con il loro stile di vita. Come disse San Paolo: "Per questo Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna" (Romani 1:24-25).

Le parole di San Paolo non erano vere solo all'epoca in cui fu scritta la Lettera ai Romani; omosessualità, pederastia e pedofilia erano diffuse nell'antichità precristiana. Ancora oggi, queste sono le conseguenze della negazione di Dio, il Creatore, che ha creato l'uomo maschio e femmina. È sorprendente che vescovi e sacerdoti abbiano dato spazio a questa anti-testimonianza della fede cattolica, in aperta opposizione alla volontà di Dio. Dovrebbero consultare la dottrina della Chiesa sul matrimonio e la famiglia, in particolare nella Costituzione pastorale del Vaticano II sul mondo moderno, Gaudium et Spes, §§ 47-52.

Almeno un vescovo e diversi sacerdoti e suore hanno preso parte al "pellegrinaggio del Giubileo LGBT". Un sacerdote belga indossava persino una bandiera dell'orgoglio "intersessuale" drappeggiata sulla schiena come un mantello mentre camminava verso la Porta Santa.

Partecipano alle processioni eucaristiche nella festa del Corpus Domini? Non è una cosa che li interessa molto, ma strumentalizzano e abusano dei simboli religiosi per fare propaganda a favore di un'ideologia anticristiana.

Era un sacrilegio passare attraverso la Porta Santa in quel modo?

Indubbiamente. Anche benedire queste coppie è un sacrilegio ed è completamente contrario alla Parola di Dio e alla dottrina cattolica. Questa ideologia non si preoccupa di aiutare le persone che lottano con interrogativi sulla propria sessualità a vivere in conformità con la santa volontà del Creatore. Né i suoi promotori si preoccupano della vita eterna o della salvezza delle anime. Piuttosto, promuovono un'ideologia anticristiana che attacca il concetto stesso di matrimonio e famiglia – padre, madre e figli – e si pone come una contro-testimonianza contro il Vangelo di Gesù Cristo:
“Ma fornicazione e ogni impurità o cupidigia non siano neppure nominate tra voi, come si addice a santi. Non vi siano né impurità, né discorsi sciocchi, né leggerezza, che sono sconvenienti; ci sia piuttosto rendimento di grazie. Sappiate questo: nessun fornicatore, o impuro, o avaro (cioè un idolatra), ha alcuna eredità nel regno di Cristo e di Dio. […] Mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla, dopo averla purificata lavandola con l'acqua mediante la parola, per farla comparire davanti a sé tutta gloriosa, senza macchia, né ruga o alcunché di simile, ma santa e irreprensibile” (Efesini 5:3-5;25-26).
Durante il pellegrinaggio, ho parlato con uno dei principali organizzatori della "Tenda di Gionata". Ha affermato che nella Bibbia ci sono indicazioni che l'omosessualità è moralmente ammissibile e ha affermato che "non dovremmo interpretare la Bibbia letteralmente, ma nel contesto di un particolare momento storico".

Tutti gli eretici hanno interpretato la Bibbia in questo modo. La Scrittura è molto chiara su questi argomenti e solo il Magistero della Chiesa ha l'autorità di fornire l'interpretazione autentica e infallibile della Parola di Dio in conformità con la Tradizione Apostolica. Non possiamo scendere a compromessi con il paganesimo per quanto riguarda la fede nell'Unico Dio.

Il 1° settembre Padre James Martin, che è anche uno dei principali organizzatori del "pellegrinaggio giubilare LGBT", è stato ricevuto in udienza da Papa Leone e ha prontamente diffuso le foto ufficiali sui social media. Un incontro del genere avrebbe avuto luogo sotto Papa Giovanni Paolo II o Papa Benedetto XVI?


Entrambi erano consapevoli che queste foto sarebbero state utilizzate impropriamente per suggerire l'allineamento del papa con ideologie anticristiane. I papi hanno talvolta ricevuto leader comunisti, ma nessuno ha mai creduto che Papa Giovanni Paolo II avesse qualcosa in comune con loro; parlava con loro molto chiaramente. Benedetto XVI una volta ha incontrato privatamente Hans Küng, ma non in modo che potesse essere strumentalizzato, e certamente nessuno ha mai pensato che Papa Benedetto XVI avrebbe accettato le teorie di Küng.

Credo che Papa Leone XIV, che ha parlato chiaramente della natura del matrimonio cristiano, sia molto consapevole di ciò che sta accadendo e non possa essere facilmente strumentalizzato da nessuno.

Il “pellegrinaggio del Giubileo LGBT” è stato organizzato durante il precedente pontificato ed era già presente nel calendario vaticano, ma alcuni cattolici potrebbero chiedersi perché Papa Leone abbia incontrato Padre James Martin e perché gli eventi non siano stati annullati.

Come teologo dogmatico non voglio essere diplomatico. La Chiesa cattolica deve proclamare la verità ma anche contraddire le menzogne. In altre parole, non dobbiamo solo spiegare positivamente la fede, ma anche confutare attivamente l'errore.

Il Concilio di Nicea ha affermato le verità della fede, ma ha anche denunciato Ario come eretico. Proclamare la verità da sola non basta. San Paolo parla dei "nemici della Croce" all'interno della Chiesa. Se un papa o un vescovo dice la verità, lo attaccheranno. Al contrario, se rimane in silenzio, sfrutteranno il suo silenzio per promuovere i propri errori.

Molti vescovi cattolici si sono opposti alla Fiducia Supplicans [qui] perché rappresentava un percorso pastorale sbagliato e si basava su una comprensione carente e poco chiara dell'antropologia naturale e rivelata.

Tra verità e falsità non può esserci compromesso. Non si tratta di mentalità conservatrice o progressista: è una questione di verità rivelata e dello scopo della creazione inscritto nella natura umana.

Fin dal suo ingresso sulla loggia, Papa Leone ha sottolineato la pace e l'unità. Alcuni sostengono che sia importante, soprattutto nei primi giorni del suo pontificato, per lui essere accogliente con tutti, dialogare con tutti. Cosa ne pensa?

Durante l'ultimo Sinodo, la dottrina della Chiesa è stata etichettata come "conservatrice" e qualsiasi cattolico che cercasse di rimanervi fedele è stato classificato come una persona ancorata al passato, o addirittura come un "fariseo".

Credo che Papa Leone voglia superare questa polarizzazione ideologica all'interno della Chiesa. Tuttavia, questo non può essere raggiunto attraverso compromessi. Dobbiamo dire la verità, e la verità inevitabilmente divide le persone tra coloro che seguono la Parola di Dio e coloro che non la seguono.

Una volta ha detto che c'è stata una "presa di potere ostile" nella Chiesa...


Il “pellegrinaggio giubilare LGBT” è solo un esempio di un tentativo di impossessarsi della Chiesa per interessi anticristiani.

Se le motivazioni alla base di questi eventi fossero state veramente pastorali, gli organizzatori avrebbero cercato di aiutare tutti a crescere nel pentimento e nell'unione con Gesù Cristo.

Abbiamo celebrato di recente la canonizzazione di Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis. Questi due giovani hanno incarnato la vita cristiana. Hanno ricevuto la grazia santificante nel battesimo, ma hanno anche collaborato con lo Spirito Santo per crescere nella santità. Questo è ciò che dobbiamo promuovere.

La seconda parte della mia intervista con il cardinale Gerhard Müller sarà pubblicata nei prossimi giorni.


[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]



sabato 27 settembre 2025

Il cristiano Kirk infangato pure da «Famiglia cristiana»: «Martire? Tribuno dell’odio»


Charlie Kirk e il magazine italiano Famiglia Cristiana


Articolo scritto da Francesco Borgonovo, pubblicato su La Verità del 26.09.2025, tratto da Redazione Blog di Sabino Paciolla (27 sett 2025).




Francesco Borgonovo

La lezione degli ultimi giorni è piuttosto chiara: si può riversare odio su Charlie Kirk, la vittima di violenza politica se è di destra – può essere serenamente vilipesa, e a nulla valgono proteste e richieste di rispetto. Il fatto è che il vilipendio giunge anche da luoghi inaspettati. Non stupisce, tanto per fare un esempio, che l’internazionale sfoderi una copertina con la foto di Charlie e un sommario in cui si dice che la violenza è alimentata da social e «influencer di destra». Sorprende un filo di più l’astio con cui Famiglia cristiana ha commentato i funerali di Kirk. Da una testata con quel nome non sarebbe folle arrendersi a un filo di commozione per il brutale omicidio di un cristiano ammazzato proprio mentre parlava anche e soprattutto della sua fede. E invece il settimanale ha dedicato alle esequie di Charlie un articoletto colmo di veleno. «Il funerale di Charlie Kirk è stato una liturgia politica mascherata da celebrazione di fede, in cui le bandiere hanno preso il posto dei paramenti e la retorica Maga di Trump ha trasformato un personaggio controverso in un martire. Un’operazione costruita a tavolino, che cerca di attribuire al tragico e orrendo assassinio – purtroppo non raro nella società americana -connotati politici che secondo le indagini, ad oggi, non risultano». Apprendiamo dunque che i connotati politici non risultano: è così perché lo ha deciso Famiglia cristiana.

Ma non è finita. Secondo il giornale, attorno a Kirk «la memoria diventa apologia e l’omaggio funebre propaganda, cancellando le parole che Kirk davvero ha lasciato, come le invettive antisemite, l’attacco al Civil Rights Act del 1964 che garantì il diritto di voto agli afroamericani. Di tutto questo, nel rito dell’incoronazione, non resta traccia. Ma canonizzare un tribuno dell’odio rischia di avvelenare ancora di più un Paese già lacerato». Questo passaggio ha dell’incredibile. Il cristiano Kirk viene definito da un giornale cristiano «tribuno dell’odio» sulla base di false accuse (chi ha scritto l’articolo con tutta evidenza non ha mai udito le frasi di Charlie o non le ha capite), la sua memoria è infangata per il gusto di apparire progressisti e alla moda.

Famiglia cristiana disprezza Kirk, ma in compenso ha altri nobili punti di riferimento: «Quando alla Camera i repubblicani hanno presentato una risoluzione per onorare la vita e l’eredità di Charlie Kirk», scrive il giornale, «la deputata democratica Alexandria Ocasio-cortez ha detto: «Condannare l’atrocità di un assassinio è doveroso. Ma trasformare una tragedia in arma ideologica è irresponsabile». Fenomenale. Per vituperare il defunto prendono a esempio la più intollerante delle democratiche, nonché la più forsennata attivista pro aborto del mondo democratico. A quanto pare, queste sono le ultime tendenze in campo cattolico, confermate da quanto dice Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire che proprio al quotidiano dei vescovi ha dichiarato: «Ho sempre pietà per i morti e per chi resta. Ma credo che Kirk masticasse il Vangelo, ma anche lo sputasse addosso agli altri. Queste dinamiche possono crescere ed emozionare negli Usa di Trump e nell’ungheria di Orbán, ma nemmeno del tutto, perché poi la realtà si impone». Allucinante: Kirk che parlava con tutti, che ascoltava tutti, viene accusato da uno che probabilmente non lo ha mai ascoltato di usare il Vangelo come arma.

Con tutta evidenza, il pregiudizio sta offuscando la visuale a troppi, specie nel mondo cattolico. Facciamo subito chiarezza: lungi da noi voler santificare Kirk. Il quale andrebbe per altro contestualizzato: era evangelico, non cattolico. I toni che usava in certe occasioni e le posizioni che talvolta esprimeva erano figlie della sua cultura e della sua chiesa di appartenenza. Quindi non ci si deve attendere che i cattolici condividano tutto ciò che diceva o che lo ritengano una nuova incarnazione di Cristo. Ma da qui a coprirlo di insulti sulla base di falsità ideologiche di sinistra, beh, ce ne passa.

Un articolo di Steven Forti, professore di Storia contemporanea all’Universitat Autònoma de Barcelona, apparso ieri su Micromega, definiva Charlie Kirk un «suprematista bianco» e ne derideva i «funerali kitsch», ma allo stesso tempo sosteneva che essi servissero – assieme alla retorica post mortem – a favorire una svolta autoritaria. Posto che Kirk non era affatto un suprematista e che almeno riguardo a morti e funerali ci si potrebbe anche mostrare appena più rispettosi, questo è esattamente ciò che ci si attende da Micromega, che è una rivista rigidamente laicista e piuttosto spiccia nei modi, quando si tratta di liquidare gli avversari ideologici. E lo è già dai tempi di Berlusconi. Certo, a pensarci bene è mostruoso che si debbano dare per scontati la mistificazione e il disprezzo, ma questo è (non da oggi) il clima. Questa è la situazione del dibattito culturale in Occidente, dove si sdoganano volentieri teorie del complotto, fake news e bugie assortite se si tratta di distruggere l’immagine dell’avversario.

C’è un fatto: i cattolici, almeno quelli, avrebbero gli strumenti per sottrarsi alle banalità e alle meschinerie del pensiero unico. Ma tanti di loro preferiscono, anche in queste ore, una strada diversa, che garantisce molto apprezzamento da parte del bel mondo politico e culturale. Essi, sentendosi migliori, deprecano l’odio che Kirk non aveva per dare libero sfogo al proprio.




California, Messa tradizionale vietata in nome dell'unità



Quattro giorni prima di lasciare Monterey per insediarsi ad Austin, il vescovo Daniel Garcia lascia un "regalo" alla sua ormai ex-diocesi, decretando lo stop al rito antico a partire dal 13 ottobre.

diktat

Borgo Pio, 25-09-2025

Niente più Messe in rito antico nella parrocchia del Sacro Cuore a Hollister, diocesi di Monterey in California, che il vescovo Daniel Garcia ha lasciato il 18 settembre per insediarsi alla sua nuova sede di Austin. Ma quattro giorni prima ha pensato di lasciare un "dono" amaro ai fedeli che nella sua ormai ex diocesi frequentano la liturgia tradizionale.

«Unity» è la parola-talismano nella lettera di mons. Garcia, che in nome dell'unità della Chiesa, dell'unità del culto e naturalmente dell'unica espressione della lex orandi ha decretato lo stop alle Messe in rito antico a partire dal 13 ottobre. Pertanto ha deciso di non avvalersi della possibilità di chiedere una deroga a Roma (stante il divieto sulle parrocchie imposto da Traditionis custodes) e nemmeno di spostare la celebrazione in una chiesa non parrocchiale, perché quella Messa semplicemente deve finire. Il presule si dice inoltre preoccupato che il parroco, padre Stephen Atkins, con tutto quel che c'è da fare in parrocchia, debba preoccuparsi pure di uno sparuto numero di fedeli che seguono un rito "non conforme" a quello ordinario («e unico», ribadisce), della Chiesa latina.

Nel frattempo i fedeli "tridentini" di Austin si preparano a sparire anche loro, dopo l'ingresso del "buon pastore" che divide il suo gregge tra pecore (rito nuovo) e capri (rito antico). Nel nome dell'unità. Ricordate la parabola "francescana" della sfera e del poliedro? Con i due solidi geometrici papa Francesco spiegava che l'unità non equivale all'uniformità. Ma come dimostra Traditionis custodes, per alcuni l'unità si applica agli amici, l'uniformità ai nemici.





venerdì 26 settembre 2025

Elogio del fondamentalismo cattolico. Cioè della fedeltà




26 set 2025

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by Aldo Maria Valli



Come abbiamo già scritto in precedenza, seguire Gesù Cristo, il vero Dio-Uomo, e la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica da lui fondata, oggi significa incorrere nell’ira dei pazzi che hanno preso il controllo del manicomio.

Il loro odio assume molte forme. A volte si tratta di violenza letterale contro i santi e i fedeli. Più spesso, nella nostra epoca decadente, è il meschino veleno del ridicolo e della calunnia. Spesso ci sputano addosso con la solita raffica di insulti: “mentalmente instabile”, “intollerante”, “fariseo”, “contadino arretrato”, “estremista superstizioso”. E via di questo passo.

E non fingiamo che queste calunnie provengano solo da atei, persone di sinistra o pagani. No: i pugnali più affilati vengono spesso lanciati dai nostri fratelli cattolici. Cattolici “Kumbaya”, inebriati dal sentimentalismo e allergici alla verità, pronti a bollare chiunque si aggrappi alla tradizione come “rigido” o “scortese”. Persino l’attuale gerarchia, ubriaca del proprio “aggiornamento”, non si stanca mai di definire i cattolici tradizionalisti “arretrati”, “divisivi”, “arroganti” e “farisaici”. La loro “carità” trasuda condiscendenza.

Ma ecco il punto. I loro insulti non mi feriscono più. Mi divertono. Quando sai chi sei, quando sei saldamente radicato in Cristo, puoi indossare le calunnie del mondo come medaglie d’onore. Se i nemici della verità mi chiamano rigido, allora ringrazio Dio per la spina dorsale che mi ha dato. Se mi chiamano fariseo, allora gioisco, perché significa che non mi sono ancora inchinato al vitello d’oro del modernismo.

Tra tutti gli insulti che ci vengono rivolti, uno in particolare spicca: fondamentalista.

La parola viene sputata dalla bocca della massa woke, dell’intellighenzia atea, della stampa laica e – cosa più vergognosa – della stessa Chiesa. Nella loro mente, un “fondamentalista” è chiunque abbia il coraggio di credere in Cristo, di credere nella realtà, di sostenere la moralità, di rispettare la gerarchia data da Dio, di dare valore al matrimonio e alla famiglia e – Dio non voglia! – di essere disposto a morire per queste convinzioni. La parola è stata ridotta a un nulla ed abusata tanto quanto la parola “amore”, eppure rimane uno dei loro bastoni preferiti con cui battere i cattolici tradizionali.

Bene, caro lettore, intendo rigirare l’insulto contro di loro. Sosterrò – e so che scandalizzerò i deboli di spina dorsale – che se usiamo una definizione sobria e accademica di “fondamentalismo”, allora il cattolicesimo tradizionale è necessariamente fondamentalista. E questo non è un vizio. È una corona. Essere un fondamentalista cattolico significa essere fedeli. Essere un fondamentalista cattolico significa essere sani di mente in un mondo folle. Essere un fondamentalista cattolico significa stare dalla parte di Cristo, che non è mai sceso a compromessi e non ha mai chiesto scusa per la Sua verità.

Quindi mettiamo da parte l’imbarazzo e diciamo con grande entusiasmo: sono un fondamentalista cattolico e ne sono orgoglioso.

Definizione del fondamentalismo

Prima di difendere l’etichetta, vediamo come la definiscono i nostri nemici. Prendiamo, ad esempio, padre Mark S. Massa, SJ (il “SJ” vi dice già gran parte di ciò che dovete sapere). Nel suo libro “Catholic Fundamentalism in America” , dipinge i cattolici tradizionali come nevrotici guidati dalla paura, timorosi del cambiamento, ostili al pluralismo, aggrappati disperatamente a un’età dell’oro precedente al Concilio Vaticano II. Deride “settarismo”, “primitivismo”, “retorica apocalittica” e “militante tracciamento di confini”. Per Massa, ciò che chiama “fondamentalismo” non è fedeltà, ma patologia. È, a suo avviso, un sintomo di insicurezza e paura.

Questo è il trucco dei gesuiti. Patologizzare la fedeltà e glorificare il compromesso. Ciò che Massa deride come “primitivismo” non è altro che fedeltà al deposito apostolico, a quella fede “una volta per tutte trasmessa ai santi” (Giuda 1:3). Ciò che lui chiama “urgenza apocalittica” non è altro che obbedienza al comando di Cristo stesso di “vegliare e pregare” e di perseverare di fronte all’errore. Ciò che lui definisce “militante tracciamento di confini” è la missione perenne della Chiesa: distinguere la verità dalla falsità, la luce dalle tenebre.

Il disprezzo di Massa è rivelatore, perché mostra quanto l’intellighenzia cattolica tradizionale sia sprofondata nelle sabbie mobili del modernismo. Ora tratta l’adesione incrollabile ai fondamenti della fede come aberrante, persino pericolosa. Ma i fondamenti non sono negoziabili. Il “Credo”, i sacramenti, la legge morale e l’autorità magisteriale della Chiesa non sono giocattoli da rimodellare secondo il gusto laico. Sono il fondamento della vita cristiana. Aggrapparsi a essi saldamente non è “reazionario”: è cattolico.

Non ho alcun interesse a discutere con Massa. Ha scelto la sua parte, e non è quella della fedeltà. Userò invece una definizione più semplice e onesta di fondamentalismo, una definizione che persino l’atea enciclopedia di internet, Wikipedia, riesce a dare: “Il fondamentalismo è una tendenza, diffusa tra determinati gruppi e individui, caratterizzata dall’applicazione di un’interpretazione rigorosamente letterale di scritture, dogmi o ideologie, unita a una forte convinzione dell’importanza di distinguere il proprio gruppo di appartenenza da un altro gruppo, il che porta a un’enfasi su una certa concezione di purezza e al desiderio di tornare a un ideale precedente da cui i sostenitori ritengono che i membri si siano allontanati. Il termine è solitamente usato nel contesto religioso per indicare un attaccamento incrollabile a un insieme di credenze irriducibili (i “fondamentali”)”.

Togliete il tono beffardo con cui i moderni di solito pronunciano la parola, e cosa trovate? Una definizione che descrive perfettamente il cattolico tradizionale. Ci aggrappiamo letteralmente alla Scrittura e al dogma. Insistiamo nel tracciare confini tra ortodossia ed eresia. Apprezziamo la purezza della dottrina, del culto e della vita. Desideriamo ardentemente tornare all’ideale da cui così tanti si sono allontanati. E soprattutto, siamo incrollabilmente attaccati ai fondamenti irriducibili della fede.

In altre parole, il fondamentalismo è semplicemente un cattolicesimo vissuto senza compromessi. Se questo fa infuriare i modernisti, pazienza. La loro rabbia non è altro che la prova che noi siamo saldi là dove loro sono caduti.

Fondamenti cattolici e natura del dogma

Dirsi cattolici significa vincolarsi ai principi fondamentali. Punto. Non esiste cattolicesimo senza dogma. La fede non si fonda su vaghi sentimenti o opinioni mutevoli, ma su verità granitiche rivelate da Dio e tramandate dalla Chiesa. Queste verità non sono “punti di vista negoziabili”, ma realtà eterne che richiedono sottomissione di mente e volontà.

Quali sono questi principi fondamentali? Il Dio Uno e Trino, l’Incarnazione del Verbo, la morte sacrificale e la Resurrezione corporea di Cristo, la Presenza Reale nell’Eucaristia, la perpetua verginità e l’immacolata concezione della Madonna, la necessità del battesimo, l’esistenza del paradiso e dell’inferno. Questi non sono elementi aggiuntivi opzionali; sono i pilastri senza i quali l’edificio cattolico crolla.

Eppure, ai nostri giorni, molti li trattano come se fossero suggerimenti malleabili. La moderna mentalità cattolica da mensa vuole scegliere e selezionare. Questo dogma è “utile”, quello è “datato”, questo insegnamento morale è “pastorale”, quello è “oppressivo”. Ma il dogma non si piega al gusto umano.

La Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione formano l’unico deposito della fede. Il Magistero non è un campo di sperimentazione, ma un baluardo contro l’errore. Come ha insegnato il Concilio Vaticano I nella “Pastor aeternus”, il papa non è un inventore di dottrina, ma il difensore di ciò che Cristo ha donato una volta per tutte.

In questo senso, il cattolicesimo stesso è “fondamentalista”. La Chiesa non può e non vuole abbandonare i suoi principi fondamentali senza cessare di essere la Chiesa di Cristo. I relativisti la chiamano rigidità. Noi la chiamiamo fedeltà. I ​​martiri che sono andati incontro alla morte per il dogma dell’Eucaristia o per la divinità di Cristo non sono morti per metafore. Sono morti per i principi fondamentali. Se aggrapparci a questi principi fondamentali ci rende fondamentalisti, allora grazie a Dio.

Il letterale e lo spirituale

Uno degli insulti più superficiali rivolti ai cattolici tradizionali è quello di “prendere la Bibbia troppo alla lettera”. Ma questa accusa crolla una volta esposta all’insegnamento cattolico stesso. San Tommaso d’Aquino dichiarò che tutti i sensi della Scrittura si fondano sul senso letterale, senza il quale nulla esiste. Persino il logoro Catechismo della Chiesa cattolica, tutt’altro che un baluardo di “estremismo fondamentalista”, afferma lo stesso al § 116: il senso letterale è fondamentale.

Senza il senso letterale, il cristianesimo si dissolve nel mito. L’Esodo era solo un simbolo di liberazione o è avvenuto realmente nel tempo e nello spazio? Cristo è risorto fisicamente dai morti o la Pasqua è solo una metafora di “nuovi inizi”? San Paolo non lascia spazio a dubbi: “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede” (1 Cor 15,17). Il modernista che riduce i miracoli a simboli predica un Cristo immaginario, non il Signore della storia.

I cattolici tradizionali insistono sul senso letterale non per rigidità mentale, ma perché Dio non mente. La sua Parola significa ciò che dice. La sua Chiesa salvaguarda ciò che ha sempre insegnato. Eliminare la Resurrezione, l’Eucaristia o la Nascita verginale riducendole ad allegorie non è sofisticazione: è apostasia mascherata da intelletto.

E la stessa fedeltà si applica alla Tradizione. La legge morale, il sistema sacramentale, la sacra liturgia non sono “costrutti culturali” da riadattare secondo le mode. Sono tesori divini. Aggrapparsi a essi alla lettera, prenderli così come sono, non è stupidità, ma santità. Il cosiddetto cattolico “illuminato” che annacqua la dottrina e relativizza la liturgia non è affatto illuminato. È cieco.

Necessità della distinzione

Un’altra accusa. I fondamentalisti tracciano linee nette tra “noi” e “loro”. Ma non è forse proprio questo che la Chiesa ha sempre fatto? Nostro Signore stesso ha detto: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30). Gli apostoli mettevano costantemente in guardia contro i falsi maestri. I primi padri predicavano chiaramente contro le eresie. I concili non venivano convocati per confondere i confini, ma per tracciarli con chiarezza abbagliante.

“Extra Ecclesiam nulla salus” – fuori dalla Chiesa non c’è salvezza – è sempre stato uno scandalo per il mondo, ma rimane vero. Sì, la misericordia di Dio è immensa. Sì, la sua grazia può giungere misteriosamente. Ma tutto ciò non cancella il fatto che la pienezza della verità e della vita sacramentale sussiste solo nella Chiesa cattolica.

Il mondo moderno, ubriaco di relativismo, inorridisce di fronte a tali confini. Grida: “Esclusione! Intolleranza! Divisione!”. Ma la verità, per sua natura, divide. Affermare che Cristo è il Signore significa negare che Egli sia una delle tante opzioni. Proclamare l’Eucaristia come il vero Corpo e Sangue di Cristo significa respingere ogni affermazione contraria. La carità cattolica esige questa chiarezza.

I concili della Chiesa hanno anatemizzato le eresie per un motivo. Perché sono in gioco le anime. Oggi, molti cattolici rabbrividiscono alla parola “anatema”, preferendo il linguaggio sdolcinato del “dialogo”. Ma il dialogo senza distinzioni è una resa. I cattolici tradizionali lo capiscono. Non si scusano per i confini della Chiesa, li difendono. E se questo ci rende fondamentalisti, così sia. Meglio una chiara linea di verità che una nebbia di bugie.

Purezza e ritorno all’ideale

I fondamentalisti, ci viene detto, sono ossessionati dalla purezza. E ringraziamo Dio per questo. Nostro Signore stesso ha comandato: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). La chiamata alla santità non è un suggerimento, ma un comando. Purezza di dottrina, purezza di culto, purezza di vita: questo è il cattolicesimo.

La storia dimostra che la Chiesa si è sempre purificata tornando ai suoi principi fondamentali. Quando i primi monaci fuggirono nel deserto, lo fecero per preservare la fede incontaminata dai compromessi mondani. Quando san Benedetto fondò monasteri tra le rovine di Roma, lo fece per preservare la purezza della vita. Quando Cluny e Cîteaux riformarono il monachesimo, lo fecero tornando ai principi primi. Quando il Concilio di Trento affrontò il caos protestante, purificò la Chiesa non diluendo il suo insegnamento, ma definendolo con ancora maggiore chiarezza.

Oggi il bisogno di purezza è più urgente che mai. Viviamo in un’epoca in cui la contraccezione è lodata come liberazione, l’aborto è celebrato come assistenza sanitaria, il divorzio è normalizzato, il matrimonio è profanato e il genere stesso è attaccato. Di fronte a questa ondata di impurità, i cattolici tradizionali restano saldi, aggrappandosi ai fondamenti della legge naturale e della rivelazione divina. Si rifiutano di inchinarsi agli idoli del tempo, anche quando vescovi e sacerdoti sollecitano il compromesso.

La stessa battaglia infuria nella liturgia. La messa tradizionale, disprezzata da molti proprio perché pura, incarna riverenza, trascendenza e continuità con i santi. È la messa di innumerevoli martiri e confessori, la messa che ha nutrito la cristianità, la messa che eleva le anime al cielo. La diluizione e la casualità del culto non sono progresso, ma decadenza.

I cattolici tradizionali lottano per la purezza perché senza purezza non c’è santità. Senza purezza, la Chiesa diventa un circolo sociale. Senza purezza, le anime si perdono. Meglio essere accusati di “ossessione fondamentalista per la purezza” che annegare nella sporcizia del compromesso.

Il cattolicesimo tradizionale è fondamentalismo

Ora la verità emerge chiaramente. Il cattolicesimo tradizionale è fondamentalista, e questa è proprio la sua gloria. Perché cos’è il fondamentalismo se non fedeltà ai principi fondamentali?

Ci aggrappiamo al “Credo”. Ci aggrappiamo ai sacramenti. Ci aggrappiamo alla legge morale. Ci aggrappiamo all’autorità della Chiesa. E ci rifiutiamo di consegnare questi tesori al disprezzo del mondo o al tradimento del modernismo. Se questo è fondamentalismo, allora siamo fondamentalisti con gioia.

La liturgia tradizionale incarna questa fedeltà in modo più potente delle parole. Nella messa tradizionale l’altare è rivolto a Dio, non all’uomo. Il sacerdote offre sacrifici, non intrattenimento. Il silenzio regna dove altrimenti si insinua il chiacchiericcio. I fedeli si inginocchiano mentre altrove stanno stravaccati. Ecco cosa significa aggrapparsi ai principi fondamentali del culto: riverenza, trascendenza, purezza incentrata su Dio.

In un’epoca di relativismo, in cui persino all’interno della Chiesa gli uomini invocano adattamento e compromesso, i cattolici tradizionali testimoniano che la fede non è negoziabile. Siamo accusati di rigidità perché ci rifiutiamo di tradire Cristo. Siamo derisi come fondamentalisti perché ci rifiutiamo di piegare il ginocchio davanti agli idoli moderni. Bene. Lasciamo che il mondo ci derida. Siamo al fianco dei martiri, dei Padri, dei santi. La fedeltà è la nostra bandiera e non verrà abbattuta.

Come affrontare alcune obiezioni

Obiezione 1: Il fondamentalismo è poco caritatevole.

Questo è il ritornello stanco del modernista sentimentale che confonde la carità con la codardia. Ma la carità autentica è radicata nella verità. Dire a un uomo che il suo peccato non è peccato, assicurare a un eretico che la sua eresia è “solo un’altra prospettiva”, non è misericordioso, è crudele. Nostro Signore stesso ha detto: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti” (Giovanni 14:15). La fedeltà alla verità è la forma più alta di carità, perché cerca la salvezza delle anime. La falsa carità dell’epoca cerca solo di placare gli ego lasciando che le anime periscano.

Obiezione 2: Il fondamentalismo rifiuta lo sviluppo della dottrina.

Sciocchezze. La Chiesa cattolica ha sempre insegnato che la dottrina può crescere nella sua espressione, ma non cambiare mai nella sua essenza. San Vincenzo di Lerino, nel V secolo, ci ha dato la regola perenne: il vero sviluppo è “consolidamento nello stesso dogma, nello stesso significato e nello stesso giudizio” (“Commonitorium”, cap. 23). I cattolici tradizionalisti abbracciano questo standard. Noi rifiutiamo non lo sviluppo, ma la mutazione. Quando i modernisti distorcono il termine “sviluppo” per significare contraddizione – quando tentano di trasformare la verità di ieri nell’errore di oggi e l’errore di ieri nella verità di oggi – non stanno sviluppando la fede, ma la stanno distruggendo.

Obiezione 3: Il fondamentalismo alimenta l’estremismo.

Questa è la diffamazione più disonesta di tutte. Ciò che il mondo chiama “estremismo” spesso non è altro che fedeltà. Sant’Atanasio era un “estremista” quando si oppose al mondo in difesa della divinità di Cristo? San Pio X era un “estremista” quando condannò il modernismo come “sintesi di tutte le eresie”? I santi non erano equilibrati sostenitori del compromesso: erano soldati intransigenti di Cristo. L’estremismo distaccato dalla verità è davvero pericoloso. Ma la fedeltà che si aggrappa saldamente ai fondamenti della fede non è estremismo: è santità.

Non dobbiamo chiedere scusa

Lasciamo che il mondo ci insulti. Lasciamo che ci definisca rigidi, fanatici, fondamentalisti. Non chiederemo scusa. Essere cattolici significa aggrapparsi ai principi fondamentali, ed essere cattolici tradizionali significa farlo con incrollabile lealtà. Siamo fondamentalisti perché ci rifiutiamo di rinunciare al dogma, di relativizzare la verità, di profanare la liturgia, di compromettere la purezza.

I martiri erano fondamentalisti. I santi erano fondamentalisti. La Chiesa stessa è fondamentalista, perché è costruita su principi fondamentali che non possono cambiare.

Se il mondo moderno disprezza questo, così sia. Meglio essere disprezzati per la fedeltà che lodati per il tradimento. Meglio essere derisi con Cristo che applauditi con Pilato.

Il cattolicesimo tradizionale è fondamentalista, e gloria a Dio per questo. Perché il fondamentalismo, nel suo vero senso, non è altro che fedeltà a Cristo, “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8). E in un’epoca ubriaca di compromessi, la fedeltà è l’unica cosa che salverà le anime.

radicalfidelity





giovedì 25 settembre 2025

Progredire, non rivoluzionare



25 set 2025

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by Aldo Maria Valli


Ovvero, come mantenere la linea, con san Vincenzo di Lerino, in mezzo alla tempesta neomodernista


di fratel André Marie*

Come navigare nelle acque turbolente del cattolicesimo del XXI secolo?

Nella Chiesa di oggi non mancano aspetti postivi, ma vediamo anche a che cosa ci sta portano una generazione morente di chierici neo-modernisti che occupa posizioni di potere e odia la tradizione cattolica. Vediamo anche molta confusione, e questo è qualcosa che il diavolo ama, perché la confusione può rendere le persone stanche persino di pensare che la verità stessa sia conoscibile.

Le voci del passato, i padri e i dottori della Chiesa, possono aiutarci a orientarci in questa confusione. Abbiamo “una schiera di testimoni sopra il nostro capo” (Eb 12,1) che ci aiuta a vedere. Ed è di uno di questi testimoni che desidero parlare qui.

San Vincenzo di Lerino (morto nel 445) era un monaco gallico della famosa Abbazia di Lerino, sulla seconda isola più grande dell’arcipelago, l’Île Saint-Honorat, a circa un miglio dalla Costa Azzurra di Cannes (oggi famosa per il suo festival cinematografico). Lo definirei “francese”, ma, poiché i franchi non erano ancora emigrati in quella parte del mondo, il termine sarebbe anacronistico. L’isola prende il nome da sant’Onorato, che, insieme a san Caprasio, vi fondò un monastero intorno al 410. Sebbene gli studiosi siano divisi sull’argomento, alcuni sostengono che san Patrizio vi fu formato come monaco dopo la sua fuga dalla schiavitù in Irlanda e prima di diventare l’apostolo di quella grande nazione. In ogni caso, con o senza l’apostolo di Erin, il monastero diede i natali a numerosi santi.

Sappiamo molto poco della giovinezza di san Vincenzo. Ebbe una carriera secolare, forse militare, prima di entrare in monastero con quella che oggi definiremmo una “vocazione tardiva”. La sua opera più famosa – quella che ci interessa qui – è il “Commonitorium” (anglicizzato come “Commonitory”), risalente al 434 circa. “Commonitorium” significa, più o meno, “aiuto alla memoria” e lo scrisse, come disse lui stesso, “per aiutare la mia memoria, o meglio, per correggere la mia dimenticanza”. Nello specifico, il suo scopo era quello di aiutare la sua memoria riguardo alla regola di fede per i cattolici. Si accinse cioè a “descrivere ciò che i nostri antenati ci hanno tramandato e affidato” e a descrivere come “poter essere in grado di discernere la verità della fede cattolica dalla falsità della corruzione eretica”.

Andata perduta per un millennio, la sua opera fu riscoperta nel XVI secolo, quando divenne molto utile agli apologeti della Controriforma come san Roberto Bellarmino (che la definì “un libro d’oro”). È facile capire perché il “Commonitorium” fosse così utile per i cattolici di quel tempo. Tra l’altro, infligge un duro colpo alla sola Scriptura, e questo più di mille anni prima che Lutero e soci pensassero di vomitare quella malvagia eresia.

Il cardinale Newman cita san Vincenzo a più riprese nel suo “Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana”. Anche l’intrepido abate di Solemnes, dom Prosper Guéranger, cita il monaco leriniano più volte nel suo magistrale “Anno liturgico”, ed esplicitamente il “Canone vincenziano” come regola fissa dell’ortodossia cattolica.

Nel suo tentativo di distinguere la corruzione eretica dalla verità cattolica, san Vincenzo stabilisce alcuni principi sagaci, uno dei quali dice di aver ricevuto “da molti uomini, eminenti in santità e conoscenza dottrinale”: per rafforzare la fede si procede in un duplice modo, “in primo luogo con l’autorità della Legge divina [Sacra Scrittura], in secondo luogo con la tradizione della Chiesa cattolica”. Poiché le Scritture ispirate ammettono molte interpretazioni – “tanto che si può quasi avere l’impressione che possano produrre tanti significati diversi quanti sono gli uomini” – egli ci fornisce la sua chiave per comprenderle, appunto, con il “Canone vincenziano”: “Nella Chiesa cattolica stessa, si deve porre ogni cura nell’attenersi a ciò che è stato creduto ovunque, sempre e da tutti (quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est)”. Questo è veramente e propriamente cattolico, come indicano la forza e l’etimologia del nome stesso, che comprende tutto ciò che è veramente universale. Questa regola generale sarà veramente applicata se seguiamo i principi di universalità, antichità e consenso.

Il “Canone vincenziano” articola l’elemento fondamentalmente “conservatore” e “tradizionale” della teologia di san Vincenzo di Lerino. Pagina dopo pagina, l’autore passa in rassegna esempi di come questa regola sia stata applicata, utilizzando, tra le altre cose, il modus operandi dei concili ecumenici – in particolare Nicea ed Efeso (quest’ultimo conclusosi circa tre anni prima dell’opera di san Vincenzo) – e di come questo appello all’universalità, all’antichità e al consenso sia stato utilizzato da papi e vescovi nel loro insegnamento. Tra le sue citazioni dai papi, mi è rimasta impressa questa di san Sisto III, citata nel capitolo 32: “Non si permetta alcun ulteriore progresso di novità, perché è sconveniente aggiungere alcunché all’antica tradizione; la fede e la convinzione trasparenti dei nostri antenati non devono essere macchiate dal contatto con la sporcizia”.

Poiché il “Canone vincenziano” è un principio conservatore che mette la tradizione al suo giusto posto, è anatema per i liberali e i progressisti, tutti a favore dell’evoluzione del dogma. Tuttavia, il monaco leriniano non era contrario alla nozione di vero progresso, ed è su questo punto che fu citato dal Concilio Vaticano I, da papa san Pio X e da altri papi. Il capitolo 23 della sua opera inizia con una domanda: “A questo punto, ci si può chiedere: se questo è giusto, allora non è possibile alcun progresso della religione all’interno della Chiesa di Cristo?”. La sua risposta merita di essere citata per esteso: “Certo, deve esserci progresso, anche un progresso enorme. Chi è infatti così avaro verso i suoi simili e così pieno di odio verso Dio da cercare di proibirlo? Ma deve essere progresso nel senso proprio del termine, e non un cambiamento nella fede. Progresso significa che ogni cosa cresce in sé stessa, mentre cambiamento implica che una cosa si trasforma in un’altra. Quindi, è necessario che l’intelletto, la conoscenza e la sapienza crescano e progrediscano potentemente e fortemente nei singoli come nella comunità, nel singolo come nella Chiesa nel suo insieme, e questo gradualmente secondo l’età e la storia. Ma devono progredire entro i propri limiti, cioè secondo lo stesso dogma, lo stesso significato e lo stesso giudizio” [la parte in grassetto è quella che il Concilio Vaticano I ha citato alla fine della “Dei Filius”].

Alcuni lettori ricorderanno che a papa Francesco piaceva citare san Vincenzo di Lerino a proposito del progresso dottrinale. La mia reazione all’uso molto selettivo del grande padre gallico da parte del defunto pontefice è stata espressa in modo molto articolato da monsignor Thomas G. Guarino nelle pagine di “First Things”. Notando che papa Francesco citava spesso san Vincenzo, affermando che la dottrina cristiana è “consolidata dagli anni, ampliata dal tempo e raffinata dall’età”, monsignor Guarino afferma: “Il papa ha sicuramente ragione nel dire che questa è una frase cruciale. Ma se dovessi consigliarlo, lo incoraggerei a tenere conto dell’intero ‘Commonitorium’ di san Vincenzo, non solo di quella parte che cita ripetutamente”. E continua: “Si noti che san Vincenzo non parla mai positivamente delle inversioni. Un’inversione, per Vincenzo, non è un progresso nella comprensione della verità da parte della Chiesa; non è un esempio di un insegnamento ‘ampliato dal tempo’. Al contrario, le inversioni sono il segno distintivo degli eretici. Quando condanna le inversioni, Vincenzo si riferisce sempre al tentativo di invertire o alterare i solenni insegnamenti dei concili ecumenici. Il Leriniano è particolarmente ossessionato dai tentativi di invertire l’insegnamento di Nicea, come avvenne al Concilio di Rimini (359 d.C.), che, nel credo proposto, omise la parola cruciale, homoousios (consustanziale). Vorrei anche invitare papa Francesco a invocare i salutari parapetti che Vincenzo erige per garantire un corretto sviluppo. Mentre papa Francesco è affascinato dall’espressione di Vincenzo dilatetur tempore (“ampliato dal tempo”), il leriniano usa anche la suggestiva espressione res amplificetur in se (“la cosa cresce in sé stessa”). Il leriniano sostiene che ci sono due tipi di cambiamento: un cambiamento legittimo, un profectus, è un progresso – una crescita omogenea nel tempo – come un bambino che diventa adulto. Un cambiamento improprio è una deformazione perniciosa, chiamata permutatio. Si tratta di un cambiamento nell’essenza stessa di qualcuno o qualcosa, come un cespuglio di rose che diventa solo spine e cardi”.

Più avanti il ​​buon monsignore scrive: “Un altro parapetto è l’affermazione vincenziana secondo cui crescita e cambiamento devono avvenire in eodem sensu eademque sententia, cioè secondo lo stesso significato e lo stesso giudizio. Per il monaco di Lerino, qualsiasi crescita o sviluppo nel tempo deve preservare il significato sostanziale degli insegnamenti precedenti. Ad esempio, la Chiesa può certamente crescere nella sua comprensione dell’umanità e della divinità di Gesù Cristo, ma non può mai tornare indietro sulla definizione di Nicea. L’idem sensus o ‘stesso significato’ deve sempre essere mantenuto in qualsiasi sviluppo futuro”.

Stabiliti questi principi, monsignor Guarino ci porta alla conclusione che l’insegnamento di papa Francesco sulla pena capitale non rappresenta un progresso, ma un’inversione della dottrina cattolica perenne, qualcosa che san Vincenzo condanna espressamente nel “Commonitoriun”, e lo fa, potrei aggiungere, con un linguaggio duro, insistente ed eloquente.

Qui al Saint Benedict Center, accettiamo la vera nozione cattolica di “progresso” e sviluppo dottrinale di san Vincenzo, uno sviluppo omogeneo della dottrina che conserva il senso di tutti gli antichi dogmi, ma vi aggiunge maggiore chiarezza e comprensione. Secoli di concili ecumenici e insegnamenti papali, aiutati dal duro lavoro di santi dottori, hanno realizzato proprio questo sotto la dolce influenza dello Spirito Santo. Con la Chiesa, noi del Saint Benedict Center rifiutiamo lo sviluppo eterogeneo della dottrina, condannato da papa San Pio X come “evoluzione del dogma”. La collina su cui siamo disposti a morire è extra ecclesiam nulla salus, ma, a dire il vero, sebbene questo particolare dogma sia la nostra ragion d’essere, vorremmo morire per uno qualsiasi degli insegnamenti della Chiesa sulla fede o sulla morale! Dato ciò che abbiamo imparato da san Vincenzo sui “rovesciamenti”, esterno non può significare interno, e nessuna salvezza non può significare salvezza! In altre parole, sì non può significare no o viceversa.

I principi stabiliti da san Vincenzo di Lerino hanno guidato papi, concili ecumenici, vescovi, dottori della Chiesa ed eccellenti teologi fin dalla loro provvidenziale riscoperta nel XVI secolo, in un’epoca in cui la Chiesa ne aveva particolarmente bisogno. Ma me ha ancora bisogno, quindi dovremmo studiare il “Commonitorium” e dovremmo pregare questo grande santo, la cui festa cade il 24 maggio, provvidenzialmente festa di Nostra Signora Ausiliatrice. Che lui e Lei ci aiutino a navigare in sicurezza nelle acque turbolente del XXI secolo!

*priore del St. Benedict Center

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