
26 set 2025
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by Aldo Maria Valli
Come abbiamo già scritto in precedenza, seguire Gesù Cristo, il vero Dio-Uomo, e la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica da lui fondata, oggi significa incorrere nell’ira dei pazzi che hanno preso il controllo del manicomio.
Il loro odio assume molte forme. A volte si tratta di violenza letterale contro i santi e i fedeli. Più spesso, nella nostra epoca decadente, è il meschino veleno del ridicolo e della calunnia. Spesso ci sputano addosso con la solita raffica di insulti: “mentalmente instabile”, “intollerante”, “fariseo”, “contadino arretrato”, “estremista superstizioso”. E via di questo passo.
E non fingiamo che queste calunnie provengano solo da atei, persone di sinistra o pagani. No: i pugnali più affilati vengono spesso lanciati dai nostri fratelli cattolici. Cattolici “Kumbaya”, inebriati dal sentimentalismo e allergici alla verità, pronti a bollare chiunque si aggrappi alla tradizione come “rigido” o “scortese”. Persino l’attuale gerarchia, ubriaca del proprio “aggiornamento”, non si stanca mai di definire i cattolici tradizionalisti “arretrati”, “divisivi”, “arroganti” e “farisaici”. La loro “carità” trasuda condiscendenza.
Ma ecco il punto. I loro insulti non mi feriscono più. Mi divertono. Quando sai chi sei, quando sei saldamente radicato in Cristo, puoi indossare le calunnie del mondo come medaglie d’onore. Se i nemici della verità mi chiamano rigido, allora ringrazio Dio per la spina dorsale che mi ha dato. Se mi chiamano fariseo, allora gioisco, perché significa che non mi sono ancora inchinato al vitello d’oro del modernismo.
Tra tutti gli insulti che ci vengono rivolti, uno in particolare spicca: fondamentalista.
La parola viene sputata dalla bocca della massa woke, dell’intellighenzia atea, della stampa laica e – cosa più vergognosa – della stessa Chiesa. Nella loro mente, un “fondamentalista” è chiunque abbia il coraggio di credere in Cristo, di credere nella realtà, di sostenere la moralità, di rispettare la gerarchia data da Dio, di dare valore al matrimonio e alla famiglia e – Dio non voglia! – di essere disposto a morire per queste convinzioni. La parola è stata ridotta a un nulla ed abusata tanto quanto la parola “amore”, eppure rimane uno dei loro bastoni preferiti con cui battere i cattolici tradizionali.
Bene, caro lettore, intendo rigirare l’insulto contro di loro. Sosterrò – e so che scandalizzerò i deboli di spina dorsale – che se usiamo una definizione sobria e accademica di “fondamentalismo”, allora il cattolicesimo tradizionale è necessariamente fondamentalista. E questo non è un vizio. È una corona. Essere un fondamentalista cattolico significa essere fedeli. Essere un fondamentalista cattolico significa essere sani di mente in un mondo folle. Essere un fondamentalista cattolico significa stare dalla parte di Cristo, che non è mai sceso a compromessi e non ha mai chiesto scusa per la Sua verità.
Quindi mettiamo da parte l’imbarazzo e diciamo con grande entusiasmo: sono un fondamentalista cattolico e ne sono orgoglioso.
Definizione del fondamentalismo
Prima di difendere l’etichetta, vediamo come la definiscono i nostri nemici. Prendiamo, ad esempio, padre Mark S. Massa, SJ (il “SJ” vi dice già gran parte di ciò che dovete sapere). Nel suo libro “Catholic Fundamentalism in America” , dipinge i cattolici tradizionali come nevrotici guidati dalla paura, timorosi del cambiamento, ostili al pluralismo, aggrappati disperatamente a un’età dell’oro precedente al Concilio Vaticano II. Deride “settarismo”, “primitivismo”, “retorica apocalittica” e “militante tracciamento di confini”. Per Massa, ciò che chiama “fondamentalismo” non è fedeltà, ma patologia. È, a suo avviso, un sintomo di insicurezza e paura.
Questo è il trucco dei gesuiti. Patologizzare la fedeltà e glorificare il compromesso. Ciò che Massa deride come “primitivismo” non è altro che fedeltà al deposito apostolico, a quella fede “una volta per tutte trasmessa ai santi” (Giuda 1:3). Ciò che lui chiama “urgenza apocalittica” non è altro che obbedienza al comando di Cristo stesso di “vegliare e pregare” e di perseverare di fronte all’errore. Ciò che lui definisce “militante tracciamento di confini” è la missione perenne della Chiesa: distinguere la verità dalla falsità, la luce dalle tenebre.
Il disprezzo di Massa è rivelatore, perché mostra quanto l’intellighenzia cattolica tradizionale sia sprofondata nelle sabbie mobili del modernismo. Ora tratta l’adesione incrollabile ai fondamenti della fede come aberrante, persino pericolosa. Ma i fondamenti non sono negoziabili. Il “Credo”, i sacramenti, la legge morale e l’autorità magisteriale della Chiesa non sono giocattoli da rimodellare secondo il gusto laico. Sono il fondamento della vita cristiana. Aggrapparsi a essi saldamente non è “reazionario”: è cattolico.
Non ho alcun interesse a discutere con Massa. Ha scelto la sua parte, e non è quella della fedeltà. Userò invece una definizione più semplice e onesta di fondamentalismo, una definizione che persino l’atea enciclopedia di internet, Wikipedia, riesce a dare: “Il fondamentalismo è una tendenza, diffusa tra determinati gruppi e individui, caratterizzata dall’applicazione di un’interpretazione rigorosamente letterale di scritture, dogmi o ideologie, unita a una forte convinzione dell’importanza di distinguere il proprio gruppo di appartenenza da un altro gruppo, il che porta a un’enfasi su una certa concezione di purezza e al desiderio di tornare a un ideale precedente da cui i sostenitori ritengono che i membri si siano allontanati. Il termine è solitamente usato nel contesto religioso per indicare un attaccamento incrollabile a un insieme di credenze irriducibili (i “fondamentali”)”.
Togliete il tono beffardo con cui i moderni di solito pronunciano la parola, e cosa trovate? Una definizione che descrive perfettamente il cattolico tradizionale. Ci aggrappiamo letteralmente alla Scrittura e al dogma. Insistiamo nel tracciare confini tra ortodossia ed eresia. Apprezziamo la purezza della dottrina, del culto e della vita. Desideriamo ardentemente tornare all’ideale da cui così tanti si sono allontanati. E soprattutto, siamo incrollabilmente attaccati ai fondamenti irriducibili della fede.
In altre parole, il fondamentalismo è semplicemente un cattolicesimo vissuto senza compromessi. Se questo fa infuriare i modernisti, pazienza. La loro rabbia non è altro che la prova che noi siamo saldi là dove loro sono caduti.
Fondamenti cattolici e natura del dogma
Dirsi cattolici significa vincolarsi ai principi fondamentali. Punto. Non esiste cattolicesimo senza dogma. La fede non si fonda su vaghi sentimenti o opinioni mutevoli, ma su verità granitiche rivelate da Dio e tramandate dalla Chiesa. Queste verità non sono “punti di vista negoziabili”, ma realtà eterne che richiedono sottomissione di mente e volontà.
Quali sono questi principi fondamentali? Il Dio Uno e Trino, l’Incarnazione del Verbo, la morte sacrificale e la Resurrezione corporea di Cristo, la Presenza Reale nell’Eucaristia, la perpetua verginità e l’immacolata concezione della Madonna, la necessità del battesimo, l’esistenza del paradiso e dell’inferno. Questi non sono elementi aggiuntivi opzionali; sono i pilastri senza i quali l’edificio cattolico crolla.
Eppure, ai nostri giorni, molti li trattano come se fossero suggerimenti malleabili. La moderna mentalità cattolica da mensa vuole scegliere e selezionare. Questo dogma è “utile”, quello è “datato”, questo insegnamento morale è “pastorale”, quello è “oppressivo”. Ma il dogma non si piega al gusto umano.
La Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione formano l’unico deposito della fede. Il Magistero non è un campo di sperimentazione, ma un baluardo contro l’errore. Come ha insegnato il Concilio Vaticano I nella “Pastor aeternus”, il papa non è un inventore di dottrina, ma il difensore di ciò che Cristo ha donato una volta per tutte.
In questo senso, il cattolicesimo stesso è “fondamentalista”. La Chiesa non può e non vuole abbandonare i suoi principi fondamentali senza cessare di essere la Chiesa di Cristo. I relativisti la chiamano rigidità. Noi la chiamiamo fedeltà. I martiri che sono andati incontro alla morte per il dogma dell’Eucaristia o per la divinità di Cristo non sono morti per metafore. Sono morti per i principi fondamentali. Se aggrapparci a questi principi fondamentali ci rende fondamentalisti, allora grazie a Dio.
Il letterale e lo spirituale
Uno degli insulti più superficiali rivolti ai cattolici tradizionali è quello di “prendere la Bibbia troppo alla lettera”. Ma questa accusa crolla una volta esposta all’insegnamento cattolico stesso. San Tommaso d’Aquino dichiarò che tutti i sensi della Scrittura si fondano sul senso letterale, senza il quale nulla esiste. Persino il logoro Catechismo della Chiesa cattolica, tutt’altro che un baluardo di “estremismo fondamentalista”, afferma lo stesso al § 116: il senso letterale è fondamentale.
Senza il senso letterale, il cristianesimo si dissolve nel mito. L’Esodo era solo un simbolo di liberazione o è avvenuto realmente nel tempo e nello spazio? Cristo è risorto fisicamente dai morti o la Pasqua è solo una metafora di “nuovi inizi”? San Paolo non lascia spazio a dubbi: “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede” (1 Cor 15,17). Il modernista che riduce i miracoli a simboli predica un Cristo immaginario, non il Signore della storia.
I cattolici tradizionali insistono sul senso letterale non per rigidità mentale, ma perché Dio non mente. La sua Parola significa ciò che dice. La sua Chiesa salvaguarda ciò che ha sempre insegnato. Eliminare la Resurrezione, l’Eucaristia o la Nascita verginale riducendole ad allegorie non è sofisticazione: è apostasia mascherata da intelletto.
E la stessa fedeltà si applica alla Tradizione. La legge morale, il sistema sacramentale, la sacra liturgia non sono “costrutti culturali” da riadattare secondo le mode. Sono tesori divini. Aggrapparsi a essi alla lettera, prenderli così come sono, non è stupidità, ma santità. Il cosiddetto cattolico “illuminato” che annacqua la dottrina e relativizza la liturgia non è affatto illuminato. È cieco.
Necessità della distinzione
Un’altra accusa. I fondamentalisti tracciano linee nette tra “noi” e “loro”. Ma non è forse proprio questo che la Chiesa ha sempre fatto? Nostro Signore stesso ha detto: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30). Gli apostoli mettevano costantemente in guardia contro i falsi maestri. I primi padri predicavano chiaramente contro le eresie. I concili non venivano convocati per confondere i confini, ma per tracciarli con chiarezza abbagliante.
“Extra Ecclesiam nulla salus” – fuori dalla Chiesa non c’è salvezza – è sempre stato uno scandalo per il mondo, ma rimane vero. Sì, la misericordia di Dio è immensa. Sì, la sua grazia può giungere misteriosamente. Ma tutto ciò non cancella il fatto che la pienezza della verità e della vita sacramentale sussiste solo nella Chiesa cattolica.
Il mondo moderno, ubriaco di relativismo, inorridisce di fronte a tali confini. Grida: “Esclusione! Intolleranza! Divisione!”. Ma la verità, per sua natura, divide. Affermare che Cristo è il Signore significa negare che Egli sia una delle tante opzioni. Proclamare l’Eucaristia come il vero Corpo e Sangue di Cristo significa respingere ogni affermazione contraria. La carità cattolica esige questa chiarezza.
I concili della Chiesa hanno anatemizzato le eresie per un motivo. Perché sono in gioco le anime. Oggi, molti cattolici rabbrividiscono alla parola “anatema”, preferendo il linguaggio sdolcinato del “dialogo”. Ma il dialogo senza distinzioni è una resa. I cattolici tradizionali lo capiscono. Non si scusano per i confini della Chiesa, li difendono. E se questo ci rende fondamentalisti, così sia. Meglio una chiara linea di verità che una nebbia di bugie.
Purezza e ritorno all’ideale
I fondamentalisti, ci viene detto, sono ossessionati dalla purezza. E ringraziamo Dio per questo. Nostro Signore stesso ha comandato: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). La chiamata alla santità non è un suggerimento, ma un comando. Purezza di dottrina, purezza di culto, purezza di vita: questo è il cattolicesimo.
La storia dimostra che la Chiesa si è sempre purificata tornando ai suoi principi fondamentali. Quando i primi monaci fuggirono nel deserto, lo fecero per preservare la fede incontaminata dai compromessi mondani. Quando san Benedetto fondò monasteri tra le rovine di Roma, lo fece per preservare la purezza della vita. Quando Cluny e Cîteaux riformarono il monachesimo, lo fecero tornando ai principi primi. Quando il Concilio di Trento affrontò il caos protestante, purificò la Chiesa non diluendo il suo insegnamento, ma definendolo con ancora maggiore chiarezza.
Oggi il bisogno di purezza è più urgente che mai. Viviamo in un’epoca in cui la contraccezione è lodata come liberazione, l’aborto è celebrato come assistenza sanitaria, il divorzio è normalizzato, il matrimonio è profanato e il genere stesso è attaccato. Di fronte a questa ondata di impurità, i cattolici tradizionali restano saldi, aggrappandosi ai fondamenti della legge naturale e della rivelazione divina. Si rifiutano di inchinarsi agli idoli del tempo, anche quando vescovi e sacerdoti sollecitano il compromesso.
La stessa battaglia infuria nella liturgia. La messa tradizionale, disprezzata da molti proprio perché pura, incarna riverenza, trascendenza e continuità con i santi. È la messa di innumerevoli martiri e confessori, la messa che ha nutrito la cristianità, la messa che eleva le anime al cielo. La diluizione e la casualità del culto non sono progresso, ma decadenza.
I cattolici tradizionali lottano per la purezza perché senza purezza non c’è santità. Senza purezza, la Chiesa diventa un circolo sociale. Senza purezza, le anime si perdono. Meglio essere accusati di “ossessione fondamentalista per la purezza” che annegare nella sporcizia del compromesso.
Il cattolicesimo tradizionale è fondamentalismo
Ora la verità emerge chiaramente. Il cattolicesimo tradizionale è fondamentalista, e questa è proprio la sua gloria. Perché cos’è il fondamentalismo se non fedeltà ai principi fondamentali?
Ci aggrappiamo al “Credo”. Ci aggrappiamo ai sacramenti. Ci aggrappiamo alla legge morale. Ci aggrappiamo all’autorità della Chiesa. E ci rifiutiamo di consegnare questi tesori al disprezzo del mondo o al tradimento del modernismo. Se questo è fondamentalismo, allora siamo fondamentalisti con gioia.
La liturgia tradizionale incarna questa fedeltà in modo più potente delle parole. Nella messa tradizionale l’altare è rivolto a Dio, non all’uomo. Il sacerdote offre sacrifici, non intrattenimento. Il silenzio regna dove altrimenti si insinua il chiacchiericcio. I fedeli si inginocchiano mentre altrove stanno stravaccati. Ecco cosa significa aggrapparsi ai principi fondamentali del culto: riverenza, trascendenza, purezza incentrata su Dio.
In un’epoca di relativismo, in cui persino all’interno della Chiesa gli uomini invocano adattamento e compromesso, i cattolici tradizionali testimoniano che la fede non è negoziabile. Siamo accusati di rigidità perché ci rifiutiamo di tradire Cristo. Siamo derisi come fondamentalisti perché ci rifiutiamo di piegare il ginocchio davanti agli idoli moderni. Bene. Lasciamo che il mondo ci derida. Siamo al fianco dei martiri, dei Padri, dei santi. La fedeltà è la nostra bandiera e non verrà abbattuta.
Come affrontare alcune obiezioni
Obiezione 1: Il fondamentalismo è poco caritatevole.
Questo è il ritornello stanco del modernista sentimentale che confonde la carità con la codardia. Ma la carità autentica è radicata nella verità. Dire a un uomo che il suo peccato non è peccato, assicurare a un eretico che la sua eresia è “solo un’altra prospettiva”, non è misericordioso, è crudele. Nostro Signore stesso ha detto: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti” (Giovanni 14:15). La fedeltà alla verità è la forma più alta di carità, perché cerca la salvezza delle anime. La falsa carità dell’epoca cerca solo di placare gli ego lasciando che le anime periscano.
Obiezione 2: Il fondamentalismo rifiuta lo sviluppo della dottrina.
Sciocchezze. La Chiesa cattolica ha sempre insegnato che la dottrina può crescere nella sua espressione, ma non cambiare mai nella sua essenza. San Vincenzo di Lerino, nel V secolo, ci ha dato la regola perenne: il vero sviluppo è “consolidamento nello stesso dogma, nello stesso significato e nello stesso giudizio” (“Commonitorium”, cap. 23). I cattolici tradizionalisti abbracciano questo standard. Noi rifiutiamo non lo sviluppo, ma la mutazione. Quando i modernisti distorcono il termine “sviluppo” per significare contraddizione – quando tentano di trasformare la verità di ieri nell’errore di oggi e l’errore di ieri nella verità di oggi – non stanno sviluppando la fede, ma la stanno distruggendo.
Obiezione 3: Il fondamentalismo alimenta l’estremismo.
Questa è la diffamazione più disonesta di tutte. Ciò che il mondo chiama “estremismo” spesso non è altro che fedeltà. Sant’Atanasio era un “estremista” quando si oppose al mondo in difesa della divinità di Cristo? San Pio X era un “estremista” quando condannò il modernismo come “sintesi di tutte le eresie”? I santi non erano equilibrati sostenitori del compromesso: erano soldati intransigenti di Cristo. L’estremismo distaccato dalla verità è davvero pericoloso. Ma la fedeltà che si aggrappa saldamente ai fondamenti della fede non è estremismo: è santità.
Non dobbiamo chiedere scusa
Lasciamo che il mondo ci insulti. Lasciamo che ci definisca rigidi, fanatici, fondamentalisti. Non chiederemo scusa. Essere cattolici significa aggrapparsi ai principi fondamentali, ed essere cattolici tradizionali significa farlo con incrollabile lealtà. Siamo fondamentalisti perché ci rifiutiamo di rinunciare al dogma, di relativizzare la verità, di profanare la liturgia, di compromettere la purezza.
I martiri erano fondamentalisti. I santi erano fondamentalisti. La Chiesa stessa è fondamentalista, perché è costruita su principi fondamentali che non possono cambiare.
Se il mondo moderno disprezza questo, così sia. Meglio essere disprezzati per la fedeltà che lodati per il tradimento. Meglio essere derisi con Cristo che applauditi con Pilato.
Il cattolicesimo tradizionale è fondamentalista, e gloria a Dio per questo. Perché il fondamentalismo, nel suo vero senso, non è altro che fedeltà a Cristo, “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8). E in un’epoca ubriaca di compromessi, la fedeltà è l’unica cosa che salverà le anime.
radicalfidelity
Come abbiamo già scritto in precedenza, seguire Gesù Cristo, il vero Dio-Uomo, e la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica da lui fondata, oggi significa incorrere nell’ira dei pazzi che hanno preso il controllo del manicomio.
Il loro odio assume molte forme. A volte si tratta di violenza letterale contro i santi e i fedeli. Più spesso, nella nostra epoca decadente, è il meschino veleno del ridicolo e della calunnia. Spesso ci sputano addosso con la solita raffica di insulti: “mentalmente instabile”, “intollerante”, “fariseo”, “contadino arretrato”, “estremista superstizioso”. E via di questo passo.
E non fingiamo che queste calunnie provengano solo da atei, persone di sinistra o pagani. No: i pugnali più affilati vengono spesso lanciati dai nostri fratelli cattolici. Cattolici “Kumbaya”, inebriati dal sentimentalismo e allergici alla verità, pronti a bollare chiunque si aggrappi alla tradizione come “rigido” o “scortese”. Persino l’attuale gerarchia, ubriaca del proprio “aggiornamento”, non si stanca mai di definire i cattolici tradizionalisti “arretrati”, “divisivi”, “arroganti” e “farisaici”. La loro “carità” trasuda condiscendenza.
Ma ecco il punto. I loro insulti non mi feriscono più. Mi divertono. Quando sai chi sei, quando sei saldamente radicato in Cristo, puoi indossare le calunnie del mondo come medaglie d’onore. Se i nemici della verità mi chiamano rigido, allora ringrazio Dio per la spina dorsale che mi ha dato. Se mi chiamano fariseo, allora gioisco, perché significa che non mi sono ancora inchinato al vitello d’oro del modernismo.
Tra tutti gli insulti che ci vengono rivolti, uno in particolare spicca: fondamentalista.
La parola viene sputata dalla bocca della massa woke, dell’intellighenzia atea, della stampa laica e – cosa più vergognosa – della stessa Chiesa. Nella loro mente, un “fondamentalista” è chiunque abbia il coraggio di credere in Cristo, di credere nella realtà, di sostenere la moralità, di rispettare la gerarchia data da Dio, di dare valore al matrimonio e alla famiglia e – Dio non voglia! – di essere disposto a morire per queste convinzioni. La parola è stata ridotta a un nulla ed abusata tanto quanto la parola “amore”, eppure rimane uno dei loro bastoni preferiti con cui battere i cattolici tradizionali.
Bene, caro lettore, intendo rigirare l’insulto contro di loro. Sosterrò – e so che scandalizzerò i deboli di spina dorsale – che se usiamo una definizione sobria e accademica di “fondamentalismo”, allora il cattolicesimo tradizionale è necessariamente fondamentalista. E questo non è un vizio. È una corona. Essere un fondamentalista cattolico significa essere fedeli. Essere un fondamentalista cattolico significa essere sani di mente in un mondo folle. Essere un fondamentalista cattolico significa stare dalla parte di Cristo, che non è mai sceso a compromessi e non ha mai chiesto scusa per la Sua verità.
Quindi mettiamo da parte l’imbarazzo e diciamo con grande entusiasmo: sono un fondamentalista cattolico e ne sono orgoglioso.
Definizione del fondamentalismo
Prima di difendere l’etichetta, vediamo come la definiscono i nostri nemici. Prendiamo, ad esempio, padre Mark S. Massa, SJ (il “SJ” vi dice già gran parte di ciò che dovete sapere). Nel suo libro “Catholic Fundamentalism in America” , dipinge i cattolici tradizionali come nevrotici guidati dalla paura, timorosi del cambiamento, ostili al pluralismo, aggrappati disperatamente a un’età dell’oro precedente al Concilio Vaticano II. Deride “settarismo”, “primitivismo”, “retorica apocalittica” e “militante tracciamento di confini”. Per Massa, ciò che chiama “fondamentalismo” non è fedeltà, ma patologia. È, a suo avviso, un sintomo di insicurezza e paura.
Questo è il trucco dei gesuiti. Patologizzare la fedeltà e glorificare il compromesso. Ciò che Massa deride come “primitivismo” non è altro che fedeltà al deposito apostolico, a quella fede “una volta per tutte trasmessa ai santi” (Giuda 1:3). Ciò che lui chiama “urgenza apocalittica” non è altro che obbedienza al comando di Cristo stesso di “vegliare e pregare” e di perseverare di fronte all’errore. Ciò che lui definisce “militante tracciamento di confini” è la missione perenne della Chiesa: distinguere la verità dalla falsità, la luce dalle tenebre.
Il disprezzo di Massa è rivelatore, perché mostra quanto l’intellighenzia cattolica tradizionale sia sprofondata nelle sabbie mobili del modernismo. Ora tratta l’adesione incrollabile ai fondamenti della fede come aberrante, persino pericolosa. Ma i fondamenti non sono negoziabili. Il “Credo”, i sacramenti, la legge morale e l’autorità magisteriale della Chiesa non sono giocattoli da rimodellare secondo il gusto laico. Sono il fondamento della vita cristiana. Aggrapparsi a essi saldamente non è “reazionario”: è cattolico.
Non ho alcun interesse a discutere con Massa. Ha scelto la sua parte, e non è quella della fedeltà. Userò invece una definizione più semplice e onesta di fondamentalismo, una definizione che persino l’atea enciclopedia di internet, Wikipedia, riesce a dare: “Il fondamentalismo è una tendenza, diffusa tra determinati gruppi e individui, caratterizzata dall’applicazione di un’interpretazione rigorosamente letterale di scritture, dogmi o ideologie, unita a una forte convinzione dell’importanza di distinguere il proprio gruppo di appartenenza da un altro gruppo, il che porta a un’enfasi su una certa concezione di purezza e al desiderio di tornare a un ideale precedente da cui i sostenitori ritengono che i membri si siano allontanati. Il termine è solitamente usato nel contesto religioso per indicare un attaccamento incrollabile a un insieme di credenze irriducibili (i “fondamentali”)”.
Togliete il tono beffardo con cui i moderni di solito pronunciano la parola, e cosa trovate? Una definizione che descrive perfettamente il cattolico tradizionale. Ci aggrappiamo letteralmente alla Scrittura e al dogma. Insistiamo nel tracciare confini tra ortodossia ed eresia. Apprezziamo la purezza della dottrina, del culto e della vita. Desideriamo ardentemente tornare all’ideale da cui così tanti si sono allontanati. E soprattutto, siamo incrollabilmente attaccati ai fondamenti irriducibili della fede.
In altre parole, il fondamentalismo è semplicemente un cattolicesimo vissuto senza compromessi. Se questo fa infuriare i modernisti, pazienza. La loro rabbia non è altro che la prova che noi siamo saldi là dove loro sono caduti.
Fondamenti cattolici e natura del dogma
Dirsi cattolici significa vincolarsi ai principi fondamentali. Punto. Non esiste cattolicesimo senza dogma. La fede non si fonda su vaghi sentimenti o opinioni mutevoli, ma su verità granitiche rivelate da Dio e tramandate dalla Chiesa. Queste verità non sono “punti di vista negoziabili”, ma realtà eterne che richiedono sottomissione di mente e volontà.
Quali sono questi principi fondamentali? Il Dio Uno e Trino, l’Incarnazione del Verbo, la morte sacrificale e la Resurrezione corporea di Cristo, la Presenza Reale nell’Eucaristia, la perpetua verginità e l’immacolata concezione della Madonna, la necessità del battesimo, l’esistenza del paradiso e dell’inferno. Questi non sono elementi aggiuntivi opzionali; sono i pilastri senza i quali l’edificio cattolico crolla.
Eppure, ai nostri giorni, molti li trattano come se fossero suggerimenti malleabili. La moderna mentalità cattolica da mensa vuole scegliere e selezionare. Questo dogma è “utile”, quello è “datato”, questo insegnamento morale è “pastorale”, quello è “oppressivo”. Ma il dogma non si piega al gusto umano.
La Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione formano l’unico deposito della fede. Il Magistero non è un campo di sperimentazione, ma un baluardo contro l’errore. Come ha insegnato il Concilio Vaticano I nella “Pastor aeternus”, il papa non è un inventore di dottrina, ma il difensore di ciò che Cristo ha donato una volta per tutte.
In questo senso, il cattolicesimo stesso è “fondamentalista”. La Chiesa non può e non vuole abbandonare i suoi principi fondamentali senza cessare di essere la Chiesa di Cristo. I relativisti la chiamano rigidità. Noi la chiamiamo fedeltà. I martiri che sono andati incontro alla morte per il dogma dell’Eucaristia o per la divinità di Cristo non sono morti per metafore. Sono morti per i principi fondamentali. Se aggrapparci a questi principi fondamentali ci rende fondamentalisti, allora grazie a Dio.
Il letterale e lo spirituale
Uno degli insulti più superficiali rivolti ai cattolici tradizionali è quello di “prendere la Bibbia troppo alla lettera”. Ma questa accusa crolla una volta esposta all’insegnamento cattolico stesso. San Tommaso d’Aquino dichiarò che tutti i sensi della Scrittura si fondano sul senso letterale, senza il quale nulla esiste. Persino il logoro Catechismo della Chiesa cattolica, tutt’altro che un baluardo di “estremismo fondamentalista”, afferma lo stesso al § 116: il senso letterale è fondamentale.
Senza il senso letterale, il cristianesimo si dissolve nel mito. L’Esodo era solo un simbolo di liberazione o è avvenuto realmente nel tempo e nello spazio? Cristo è risorto fisicamente dai morti o la Pasqua è solo una metafora di “nuovi inizi”? San Paolo non lascia spazio a dubbi: “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede” (1 Cor 15,17). Il modernista che riduce i miracoli a simboli predica un Cristo immaginario, non il Signore della storia.
I cattolici tradizionali insistono sul senso letterale non per rigidità mentale, ma perché Dio non mente. La sua Parola significa ciò che dice. La sua Chiesa salvaguarda ciò che ha sempre insegnato. Eliminare la Resurrezione, l’Eucaristia o la Nascita verginale riducendole ad allegorie non è sofisticazione: è apostasia mascherata da intelletto.
E la stessa fedeltà si applica alla Tradizione. La legge morale, il sistema sacramentale, la sacra liturgia non sono “costrutti culturali” da riadattare secondo le mode. Sono tesori divini. Aggrapparsi a essi alla lettera, prenderli così come sono, non è stupidità, ma santità. Il cosiddetto cattolico “illuminato” che annacqua la dottrina e relativizza la liturgia non è affatto illuminato. È cieco.
Necessità della distinzione
Un’altra accusa. I fondamentalisti tracciano linee nette tra “noi” e “loro”. Ma non è forse proprio questo che la Chiesa ha sempre fatto? Nostro Signore stesso ha detto: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30). Gli apostoli mettevano costantemente in guardia contro i falsi maestri. I primi padri predicavano chiaramente contro le eresie. I concili non venivano convocati per confondere i confini, ma per tracciarli con chiarezza abbagliante.
“Extra Ecclesiam nulla salus” – fuori dalla Chiesa non c’è salvezza – è sempre stato uno scandalo per il mondo, ma rimane vero. Sì, la misericordia di Dio è immensa. Sì, la sua grazia può giungere misteriosamente. Ma tutto ciò non cancella il fatto che la pienezza della verità e della vita sacramentale sussiste solo nella Chiesa cattolica.
Il mondo moderno, ubriaco di relativismo, inorridisce di fronte a tali confini. Grida: “Esclusione! Intolleranza! Divisione!”. Ma la verità, per sua natura, divide. Affermare che Cristo è il Signore significa negare che Egli sia una delle tante opzioni. Proclamare l’Eucaristia come il vero Corpo e Sangue di Cristo significa respingere ogni affermazione contraria. La carità cattolica esige questa chiarezza.
I concili della Chiesa hanno anatemizzato le eresie per un motivo. Perché sono in gioco le anime. Oggi, molti cattolici rabbrividiscono alla parola “anatema”, preferendo il linguaggio sdolcinato del “dialogo”. Ma il dialogo senza distinzioni è una resa. I cattolici tradizionali lo capiscono. Non si scusano per i confini della Chiesa, li difendono. E se questo ci rende fondamentalisti, così sia. Meglio una chiara linea di verità che una nebbia di bugie.
Purezza e ritorno all’ideale
I fondamentalisti, ci viene detto, sono ossessionati dalla purezza. E ringraziamo Dio per questo. Nostro Signore stesso ha comandato: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). La chiamata alla santità non è un suggerimento, ma un comando. Purezza di dottrina, purezza di culto, purezza di vita: questo è il cattolicesimo.
La storia dimostra che la Chiesa si è sempre purificata tornando ai suoi principi fondamentali. Quando i primi monaci fuggirono nel deserto, lo fecero per preservare la fede incontaminata dai compromessi mondani. Quando san Benedetto fondò monasteri tra le rovine di Roma, lo fece per preservare la purezza della vita. Quando Cluny e Cîteaux riformarono il monachesimo, lo fecero tornando ai principi primi. Quando il Concilio di Trento affrontò il caos protestante, purificò la Chiesa non diluendo il suo insegnamento, ma definendolo con ancora maggiore chiarezza.
Oggi il bisogno di purezza è più urgente che mai. Viviamo in un’epoca in cui la contraccezione è lodata come liberazione, l’aborto è celebrato come assistenza sanitaria, il divorzio è normalizzato, il matrimonio è profanato e il genere stesso è attaccato. Di fronte a questa ondata di impurità, i cattolici tradizionali restano saldi, aggrappandosi ai fondamenti della legge naturale e della rivelazione divina. Si rifiutano di inchinarsi agli idoli del tempo, anche quando vescovi e sacerdoti sollecitano il compromesso.
La stessa battaglia infuria nella liturgia. La messa tradizionale, disprezzata da molti proprio perché pura, incarna riverenza, trascendenza e continuità con i santi. È la messa di innumerevoli martiri e confessori, la messa che ha nutrito la cristianità, la messa che eleva le anime al cielo. La diluizione e la casualità del culto non sono progresso, ma decadenza.
I cattolici tradizionali lottano per la purezza perché senza purezza non c’è santità. Senza purezza, la Chiesa diventa un circolo sociale. Senza purezza, le anime si perdono. Meglio essere accusati di “ossessione fondamentalista per la purezza” che annegare nella sporcizia del compromesso.
Il cattolicesimo tradizionale è fondamentalismo
Ora la verità emerge chiaramente. Il cattolicesimo tradizionale è fondamentalista, e questa è proprio la sua gloria. Perché cos’è il fondamentalismo se non fedeltà ai principi fondamentali?
Ci aggrappiamo al “Credo”. Ci aggrappiamo ai sacramenti. Ci aggrappiamo alla legge morale. Ci aggrappiamo all’autorità della Chiesa. E ci rifiutiamo di consegnare questi tesori al disprezzo del mondo o al tradimento del modernismo. Se questo è fondamentalismo, allora siamo fondamentalisti con gioia.
La liturgia tradizionale incarna questa fedeltà in modo più potente delle parole. Nella messa tradizionale l’altare è rivolto a Dio, non all’uomo. Il sacerdote offre sacrifici, non intrattenimento. Il silenzio regna dove altrimenti si insinua il chiacchiericcio. I fedeli si inginocchiano mentre altrove stanno stravaccati. Ecco cosa significa aggrapparsi ai principi fondamentali del culto: riverenza, trascendenza, purezza incentrata su Dio.
In un’epoca di relativismo, in cui persino all’interno della Chiesa gli uomini invocano adattamento e compromesso, i cattolici tradizionali testimoniano che la fede non è negoziabile. Siamo accusati di rigidità perché ci rifiutiamo di tradire Cristo. Siamo derisi come fondamentalisti perché ci rifiutiamo di piegare il ginocchio davanti agli idoli moderni. Bene. Lasciamo che il mondo ci derida. Siamo al fianco dei martiri, dei Padri, dei santi. La fedeltà è la nostra bandiera e non verrà abbattuta.
Come affrontare alcune obiezioni
Obiezione 1: Il fondamentalismo è poco caritatevole.
Questo è il ritornello stanco del modernista sentimentale che confonde la carità con la codardia. Ma la carità autentica è radicata nella verità. Dire a un uomo che il suo peccato non è peccato, assicurare a un eretico che la sua eresia è “solo un’altra prospettiva”, non è misericordioso, è crudele. Nostro Signore stesso ha detto: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti” (Giovanni 14:15). La fedeltà alla verità è la forma più alta di carità, perché cerca la salvezza delle anime. La falsa carità dell’epoca cerca solo di placare gli ego lasciando che le anime periscano.
Obiezione 2: Il fondamentalismo rifiuta lo sviluppo della dottrina.
Sciocchezze. La Chiesa cattolica ha sempre insegnato che la dottrina può crescere nella sua espressione, ma non cambiare mai nella sua essenza. San Vincenzo di Lerino, nel V secolo, ci ha dato la regola perenne: il vero sviluppo è “consolidamento nello stesso dogma, nello stesso significato e nello stesso giudizio” (“Commonitorium”, cap. 23). I cattolici tradizionalisti abbracciano questo standard. Noi rifiutiamo non lo sviluppo, ma la mutazione. Quando i modernisti distorcono il termine “sviluppo” per significare contraddizione – quando tentano di trasformare la verità di ieri nell’errore di oggi e l’errore di ieri nella verità di oggi – non stanno sviluppando la fede, ma la stanno distruggendo.
Obiezione 3: Il fondamentalismo alimenta l’estremismo.
Questa è la diffamazione più disonesta di tutte. Ciò che il mondo chiama “estremismo” spesso non è altro che fedeltà. Sant’Atanasio era un “estremista” quando si oppose al mondo in difesa della divinità di Cristo? San Pio X era un “estremista” quando condannò il modernismo come “sintesi di tutte le eresie”? I santi non erano equilibrati sostenitori del compromesso: erano soldati intransigenti di Cristo. L’estremismo distaccato dalla verità è davvero pericoloso. Ma la fedeltà che si aggrappa saldamente ai fondamenti della fede non è estremismo: è santità.
Non dobbiamo chiedere scusa
Lasciamo che il mondo ci insulti. Lasciamo che ci definisca rigidi, fanatici, fondamentalisti. Non chiederemo scusa. Essere cattolici significa aggrapparsi ai principi fondamentali, ed essere cattolici tradizionali significa farlo con incrollabile lealtà. Siamo fondamentalisti perché ci rifiutiamo di rinunciare al dogma, di relativizzare la verità, di profanare la liturgia, di compromettere la purezza.
I martiri erano fondamentalisti. I santi erano fondamentalisti. La Chiesa stessa è fondamentalista, perché è costruita su principi fondamentali che non possono cambiare.
Se il mondo moderno disprezza questo, così sia. Meglio essere disprezzati per la fedeltà che lodati per il tradimento. Meglio essere derisi con Cristo che applauditi con Pilato.
Il cattolicesimo tradizionale è fondamentalista, e gloria a Dio per questo. Perché il fondamentalismo, nel suo vero senso, non è altro che fedeltà a Cristo, “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8). E in un’epoca ubriaca di compromessi, la fedeltà è l’unica cosa che salverà le anime.
radicalfidelity
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