martedì 30 settembre 2025

Padre Spataro sul prof. Grillo e la liturgia tradizionale




Da Padre Spataro un ulteriore scritto relativo al suo precedente post (QUI su MiL) e alla risposta del Prof. Andrea Grillo.
Luigi C.




Gentilissimo Dott. Casalini,


Laudetur Iesus Christus!

Le chiedo, ancora una volta, di pubblicare sul Sito “Messa in latino”, a beneficio dei lettori, una mia ulteriore riflessione suscitata dall’articolo, apparso sul blog “Come se non” il 23.09 u.s., con il quale il prof. Andrea Grillo ha proseguito la conversazione suscitata dalla mia lettera del 19.09 u.s., divulgata dal sito cattolico, denominazione più appropriata di “tradizionalista”, da Lei generosamente e saggiamente diretto.

Anzitutto, sono grato al prof. Grillo per l’attenzione che riserva ai miei scritti e volentieri accolgo il Suo invito a un ulteriore approfondimento, in quello spirito di amicitia christiana che caratterizza l’esposizione della differenza di opinioni teologiche ed è nell’anima della sinodalità ecclesiale, alla quale ci ha introdotto il Papa Francesco.

1. Con grande schiettezza viene chiesto ai cultori del Ritus Romanus Antiquior (RRA) di valutare l’ipotesi teologica che il prof. Grillo ha illustrato più volte e ribadito nel suo intervento del 23.09. Se ho ben compreso, tale ipotesi è così formulabile: nella storia della liturgia si assiste a uno sviluppo costante per cui il nuovo assorbe e sostituisce il precedente. In tale prospettiva, la riforma liturgica seguita al Vaticano II ha rinnovato i libri liturgici precedenti che hanno, dunque, cessato la loro funzione.

2. In realtà, questi libri liturgici, pur se in forma derogatoria o eccezionale, hanno continuato a guidare l’orazione liturgica di alcune ferventi comunità ecclesiali, con l’approvazione di San Paolo VI, San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco. Pertanto, quei libri liturgici non sono scomparsi e dissolti una volta per sempre nei libri liturgici successivi. Anche queste res esistono e appartengono al presente della storia e – come tutto lascia pensare – sempre più lo saranno nel futuro. Possono essere cassati a conclusione di un sillogismo teologico, ma la loro esistenza si impone, anche dopo la formulazione del paralogismo e lo smentiscono. Né potrebbe essere diversamente: il RRA non è mai stato abrogato.

3. Nessuno potrebbe pensare che quei Pontefici siano stati avversari del Concilio Vaticano II. È bene ricordarlo perché è infondata l’equazione: RRA = Rifiuto del CV II. La stragrande maggioranza dei fedeli che amano il RRA sono nati dopo il Concilio Vaticano II e con serenità accettano toto corde quel Concilio ecumenico, secondo l’ermeneutica della continuità magistralmente illustrata da Papa Benedetto XVI. Piuttosto, l’ostilità al Concilio Vaticano II e alle sue riforme andrebbe cercata altrove perché esso, strumentalizzato, “copre una moltitudine di peccati”. Anche questo dovrebbe preoccupare chi ama il Concilio Vaticano II.

4. Non siamo però ancora giunti al cuore della ripresa dell’ipotesi teologica del prof. Grillo: moneta nuova scaccia moneta vecchia. E qui credo che le obiezioni siano sostanziali: è proprio vero che il Messale Romano (MR) del 1962 è confluito in quello di San Paolo VI, poi aggiornato da San Giovanni Paolo II? Chi ha esperienza dell’uno e dell’altro coglie molte differenze e, proprio per questo, privilegia l’una, pur apprezzando l’altra, e viceversa. La discontinuità fu colta immediatamente e con grande preoccupazione, eccessiva – possiamo dirlo serenamente alla luce del vissuto ecclesiale successivo e odierno - dai Cardinali Bacci e Ottaviani nel loro celebre Memorandum. Il patrimonio eucologico del MR del 1962 è confluito in quantità assai ridotta in quello successivo: si parla di uno scarso 17%, spesso riformulato sino a essere significativamente modificato per poi essere ripreso in traduzioni – e non potrebbe essere diversamente – che vanno ben oltre la parafrasi. Come si può pensare che le eulogie dell’offertorio attuale siano uno sviluppo organico delle preghiere del MR del 1962? Gli esempi si potrebbero modificare e illustri autori lo hanno fatto in pregevoli pubblicazioni apparse negli ultimi vent’anni. Più che di sviluppo occorrerebbe parlare di creatività e di evoluzione, termine, come sappiamo, decisamente rifiutato nella storia dei dogmi, da Vincenzo di Lerins a San John Henry Newman, dottore, lui sì, della Chiesa.

5. Questa novità – e a volte le novità nascono da rerum novarum cupiditas, per ricordare l’incipit della celebre enciclica di Leone XIII al quale si ispira l’attuale Pontefice Leone XIV – induce a una valutazione certamente prudenziale sulla presunta abrogazione dei libri liturgici del 1962 comprensiva, se non di simpatia per tutto ciò che è autenticamente umano (e qui penso a un bellissimo discorso di Paolo VI a molti noto), a un rispettoso atteggiamento che non sempre ravvisiamo in coloro che ritengono del tutto superato quel patrimonio liturgico, dottrinale, spirituale nel quale molti fedeli trovano alimento spirituale.

6. E qui mi distanzio dal prof. Grillo che dichiara che “ogni spazio di lavoro pastorale ha questa unica base rituale [i libri liturgici apparsi con la riforma liturgica del CV II]”. L’assertività è drastica. Nessuna ammirazione e nessuna comprensione per comunità e fedeli oranti che su altre basi rituali vivono la loro esperienza di fede, che è sacra e non può essere trattata con questa severità. A essa occorre avvicinarsi mossi da pietas, scalzandosi come dinanzi al roveto ardente, perché Dio agisce nelle anime! Imporre un altro cibo a chi è saziato da questo alimento spirituale mi appare sinceramente crudele. D’altra parte, le “basi rituali” non impediscono, se ben interpreto le parole del prof. Grillo, di partire da esse per costruire un accompagnamento pastorale che includa la spiritualità, la dottrina e la celebrazione degli altri libri liturgici.

7. Concludo – rammaricato per l’estensione dello scritto – con un’ultima osservazione. Antiquior/antiquius, come scrivevo, significa anche e, oserei dire, principalmente “più importante”, nonostante la confutazione del prof. Grillo, come appare evidente a chi ha familiarità con la lettura dei testi latini classici. La preposizione “ante” ha infatti un doppio significato: locativo-temporale (prima) e qualitativo (più, al di sopra, superiore). Anche un semplice vocabolario liceale permette di acquisire questa interpretazione. Sutor ne ultra crepidam!

In unione di preghiera e ideali liturgici, ossia il culto di Dio e la santificazione delle anime, saluto i lettori tutti di ML, spesso coraggiosi difensori del RRA, e il chiarissimo prof. Andrea Grillo.

Dev.mo in I et M

Sac. Prof. Roberto Spataro, sdb, DLett, DSTh






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