
23 set 2025
“Quando i cattolici iniziano a considerare le persone lgbtq come familiari o amici, la resistenza al cambiamento dottrinale crolla”. Queste le parole del gesuita James Martin sulla recente intervista di papa Leone XIV a “Crux Now”. Martin, applaudendo il papa, dichiara che Leone ha “ragione al cento per cento” quando afferma che si tratta di “cambiare atteggiamenti”.
Ormai Martin lo ammette apertamente: l’obiettivo non è difendere la dottrina cattolica, ma eroderla. La sua strategia è semplice: saturare i fedeli di sentimentalismo per indurli ad abbandonare la verità. “Niente – dice – cambia l’atteggiamento di una persona nei confronti delle questioni lgbtq più velocemente del coming out di un figlio”.
Inutile dire che questo non è cattolicesimo, bensì manipolazione emotiva mascherata da teologia. Martin sostiene che quella di vescovi e sacerdoti che hanno silenziosamente cambiato idea dopo aver sentito i parenti fare coming out è un’esperienza di conversione. Ecco fatto: la mera esperienza vissuta, con l’emotività che comporta, diventa il nuovo magistero.
Interrogato sulla dottrina, papa Leone ha risposto: “Trovo altamente improbabile, certamente nel prossimo futuro, che la dottrina della Chiesa cambi”. Altamente improbabile? Futuro prossimo? Queste purtroppo sono parole ambigue. LifeSiteNews ha osservato che “i ripetuti accenni a un possibile cambiamento mettono in dubbio la natura immutabile dell’insegnamento cattolico sulla fede e la morale”.
Si confronti tutto ciò con la chiarezza del Vaticano I: “Se qualcuno afferma che è possibile che in un momento, dato il progresso della scienza, si possa attribuire ai dogmi… un senso diverso da quello che la Chiesa ha compreso e comprende: sia anatema”.
Martin esorta i cattolici a pregare “per un cambiamento di atteggiamento all’interno della Chiesa”. Ma la preghiera del cattolico deve essere l’opposto. Dobbiamo pregare affinché Nostro Signore preservi la sua Sposa dai lupi travestiti da pastori, come Martin e i suoi simili.
L’insegnamento della Chiesa sulla sessualità e sul matrimonio non è soggetto al voto popolare, ai mutevoli sentimenti o alle reinterpretazioni moderniste. Sostenere il contrario significa tradire Cristo stesso.
Nel frattempo, dall’arcidiocesi di Chicago l’ineffabile cardinale Blase Cupich fa sapere di voler “onorare” il senatore democratico Dick Durbin con un premio alla carriera in occasione del Keep Hope Alive Benefit 2025. Il motivo? Il suo “sostegno agli immigrati”. Ma c’è un piccolo problema: Durbin è uno dei più noti sostenitori “cattolici” dell’aborto. Dunque, lo stesso senatore che ha costruito la sua carriera sul sostegno al finanziamento pubblico dell’aborto e sulla sua opposizione alle leggi che miravano a proteggere i bambini sopravvissuti ai tentativi di aborto sarà celebrato con un premio per la “dignità umana” in un contesto cattolico.
Il vescovo Thomas Paprocki di Springfield ha subito reagito: “Onorare un politico che ha lavorato attivamente per espandere e consolidare l’aborto mina l’idea stessa di dignità umana che questo premio cerca di esaltare”. La decisione “crea confusione tra i fedeli” e “contraddice sia la politica interna dell’arcidiocesi di Chicago sia l’insegnamento coerente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti”.
Da notare che a Durbin nella sua diocesi è stata negata la Comunione fin dal 2004 proprio “a causa della sua ostinata persistenza in un peccato grave manifesto”. Eppure Cupich intende presentarlo come un paladino della dignità umana!
L’arcivescovo Salvatore Cordileone ha dichiarato pubblicamente su X: “Sono solidale con il vescovo Thomas Paprocki di Springfield nel chiedere al cardinale Cupich di riconsiderare l’idea di assegnare al senatore Durbin un premio alla carriera […] data la sua lunga storia di sostegno all’aborto legale”. Cordileone avverte che “sia l’unità dottrinale sia la chiarezza sono a rischio” ed esortato i cattolici a parlare sempre con fermezza contro “il grave male di porre fine alla vita di persone innocenti nel grembo materno”.
Davvero una bella scelta invocare gli “immigrati” come scudo per onorare un uomo complice della strage dei nascituri! L’ennesimo tradimento calcolato da parte di Cupich. Attribuire un premio per la “dignità umana” a questo responsabile di un peccato mortale significa calpestare la sacralità del nascituro.
E se tutto questo non bastasse, da qualche parte c’è sempre un vescovo tedesco instancabilmente impegnato a crocifiggere la Chiesa di Cristo.
Questa volta si tratta di Karl-Heinz Wiesemann, vescovo di Spira, che nella sua ultima intervista a katholisch.de ha attaccato i fondamenti stessi del sacerdozio cattolico. Le richieste sono le solite: abolizione del celibato obbligatorio, ordinazione delle donne come diaconesse e necessità di “ripensare il ministero sacerdotale” in modo che il governo parrocchiale possa essere affidato ai laici. In altre parole: smantellare il sacerdozio pezzo per pezzo.
Affermando che “perdiamo molti buoni candidati al sacerdozio perché non vogliono o non possono vivere una vita da celibe”, Wiesemann dice che “il legame esclusivo tra il ministero sacerdotale e l’obbligo del celibato dovrebbe scomparire”. A suo avviso, il celibato dovrebbe diventare semplicemente “un’opzione volontaria”.
Ma la Chiesa ha sempre insegnato che il celibato non è una norma burocratica, bensì un tesoro spirituale. Come disse Nostro Signore stesso: “Poiché vi sono degli eunuchi che sono tali dalla nascita; vi sono degli eunuchi i quali sono stati fatti tali dagli uomini e vi sono degli eunuchi i quali si sono fatti eunuchi da sé a motivo del regno dei cieli. Chi è in grado di farlo lo faccia” (Mt 19,12). Per secoli, il celibato ha testimoniato la totale dedizione del sacerdote a Cristo e alla sua Sposa, la Chiesa. Ridurlo a una scelta di vita significa tradire il carattere soprannaturale del sacerdozio stesso.
Il vescovo poi va oltre, suggerendo che “alcune Chiese locali, come la Chiesa tedesca, potrebbero seguire questa strada senza che sia necessario che diventi universale”. Insomma, una via locale allo scisma, per una Chiesa nazionale tedesca con le sue dottrine e discipline, separata dall’unità cattolica, esattamente il modo in cui nacque il protestantesimo in Germania cinquecento anni fa.
Non contento, Wiesemann afferma che l’argomento teologico contro l’ordinazione delle donne “ha perso la sua forza” e che “non esiste una ragione assoluta” per impedire l’ordinazione femminile. Parole in aperta contraddizione con “Ordinatio sacerdotalis” (1994), che dichiara in modo definitivo: “La Chiesa non ha alcuna autorità per conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne”.
Infine Wiesemann, sostenendo che oggi il sacerdote è stato ridotto “a un amministratore di comunità”, propone di spogliarlo delle responsabilità gestionali e di affidarle ai laici. Tuttavia, il problema non è che i sacerdoti hanno troppa autorità, ma che vescovi come Wiesemann non credono più nel carattere sacro del sacerdote come alter Christus. Il celibato sacerdotale non è una “disciplina” superata, né l’esclusione delle donne dagli ordini sacri è una mera consuetudine umana. Entrambi appartengono alla struttura stessa della Chiesa fondata da Cristo. Manometterli significa manomettere la fede stessa.
Il vescovo Wiesemann sostiene di non essere “al di fuori del diritto canonico”, ma le sue parole lo pongono chiaramente al di fuori della fedeltà al deposito della fede. Il celibato è un tesoro, il sacerdozio maschile è legge divina e nessuna “Chiesa locale” può reinventare ciò che Cristo stesso ha istituito.
Distruggere la Chiesa non è facile, ma questi prelati ce la stanno mettendo tutta.
radicalfidelity
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