giovedì 25 settembre 2025

Progredire, non rivoluzionare



25 set 2025

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by Aldo Maria Valli


Ovvero, come mantenere la linea, con san Vincenzo di Lerino, in mezzo alla tempesta neomodernista


di fratel André Marie*

Come navigare nelle acque turbolente del cattolicesimo del XXI secolo?

Nella Chiesa di oggi non mancano aspetti postivi, ma vediamo anche a che cosa ci sta portano una generazione morente di chierici neo-modernisti che occupa posizioni di potere e odia la tradizione cattolica. Vediamo anche molta confusione, e questo è qualcosa che il diavolo ama, perché la confusione può rendere le persone stanche persino di pensare che la verità stessa sia conoscibile.

Le voci del passato, i padri e i dottori della Chiesa, possono aiutarci a orientarci in questa confusione. Abbiamo “una schiera di testimoni sopra il nostro capo” (Eb 12,1) che ci aiuta a vedere. Ed è di uno di questi testimoni che desidero parlare qui.

San Vincenzo di Lerino (morto nel 445) era un monaco gallico della famosa Abbazia di Lerino, sulla seconda isola più grande dell’arcipelago, l’Île Saint-Honorat, a circa un miglio dalla Costa Azzurra di Cannes (oggi famosa per il suo festival cinematografico). Lo definirei “francese”, ma, poiché i franchi non erano ancora emigrati in quella parte del mondo, il termine sarebbe anacronistico. L’isola prende il nome da sant’Onorato, che, insieme a san Caprasio, vi fondò un monastero intorno al 410. Sebbene gli studiosi siano divisi sull’argomento, alcuni sostengono che san Patrizio vi fu formato come monaco dopo la sua fuga dalla schiavitù in Irlanda e prima di diventare l’apostolo di quella grande nazione. In ogni caso, con o senza l’apostolo di Erin, il monastero diede i natali a numerosi santi.

Sappiamo molto poco della giovinezza di san Vincenzo. Ebbe una carriera secolare, forse militare, prima di entrare in monastero con quella che oggi definiremmo una “vocazione tardiva”. La sua opera più famosa – quella che ci interessa qui – è il “Commonitorium” (anglicizzato come “Commonitory”), risalente al 434 circa. “Commonitorium” significa, più o meno, “aiuto alla memoria” e lo scrisse, come disse lui stesso, “per aiutare la mia memoria, o meglio, per correggere la mia dimenticanza”. Nello specifico, il suo scopo era quello di aiutare la sua memoria riguardo alla regola di fede per i cattolici. Si accinse cioè a “descrivere ciò che i nostri antenati ci hanno tramandato e affidato” e a descrivere come “poter essere in grado di discernere la verità della fede cattolica dalla falsità della corruzione eretica”.

Andata perduta per un millennio, la sua opera fu riscoperta nel XVI secolo, quando divenne molto utile agli apologeti della Controriforma come san Roberto Bellarmino (che la definì “un libro d’oro”). È facile capire perché il “Commonitorium” fosse così utile per i cattolici di quel tempo. Tra l’altro, infligge un duro colpo alla sola Scriptura, e questo più di mille anni prima che Lutero e soci pensassero di vomitare quella malvagia eresia.

Il cardinale Newman cita san Vincenzo a più riprese nel suo “Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana”. Anche l’intrepido abate di Solemnes, dom Prosper Guéranger, cita il monaco leriniano più volte nel suo magistrale “Anno liturgico”, ed esplicitamente il “Canone vincenziano” come regola fissa dell’ortodossia cattolica.

Nel suo tentativo di distinguere la corruzione eretica dalla verità cattolica, san Vincenzo stabilisce alcuni principi sagaci, uno dei quali dice di aver ricevuto “da molti uomini, eminenti in santità e conoscenza dottrinale”: per rafforzare la fede si procede in un duplice modo, “in primo luogo con l’autorità della Legge divina [Sacra Scrittura], in secondo luogo con la tradizione della Chiesa cattolica”. Poiché le Scritture ispirate ammettono molte interpretazioni – “tanto che si può quasi avere l’impressione che possano produrre tanti significati diversi quanti sono gli uomini” – egli ci fornisce la sua chiave per comprenderle, appunto, con il “Canone vincenziano”: “Nella Chiesa cattolica stessa, si deve porre ogni cura nell’attenersi a ciò che è stato creduto ovunque, sempre e da tutti (quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est)”. Questo è veramente e propriamente cattolico, come indicano la forza e l’etimologia del nome stesso, che comprende tutto ciò che è veramente universale. Questa regola generale sarà veramente applicata se seguiamo i principi di universalità, antichità e consenso.

Il “Canone vincenziano” articola l’elemento fondamentalmente “conservatore” e “tradizionale” della teologia di san Vincenzo di Lerino. Pagina dopo pagina, l’autore passa in rassegna esempi di come questa regola sia stata applicata, utilizzando, tra le altre cose, il modus operandi dei concili ecumenici – in particolare Nicea ed Efeso (quest’ultimo conclusosi circa tre anni prima dell’opera di san Vincenzo) – e di come questo appello all’universalità, all’antichità e al consenso sia stato utilizzato da papi e vescovi nel loro insegnamento. Tra le sue citazioni dai papi, mi è rimasta impressa questa di san Sisto III, citata nel capitolo 32: “Non si permetta alcun ulteriore progresso di novità, perché è sconveniente aggiungere alcunché all’antica tradizione; la fede e la convinzione trasparenti dei nostri antenati non devono essere macchiate dal contatto con la sporcizia”.

Poiché il “Canone vincenziano” è un principio conservatore che mette la tradizione al suo giusto posto, è anatema per i liberali e i progressisti, tutti a favore dell’evoluzione del dogma. Tuttavia, il monaco leriniano non era contrario alla nozione di vero progresso, ed è su questo punto che fu citato dal Concilio Vaticano I, da papa san Pio X e da altri papi. Il capitolo 23 della sua opera inizia con una domanda: “A questo punto, ci si può chiedere: se questo è giusto, allora non è possibile alcun progresso della religione all’interno della Chiesa di Cristo?”. La sua risposta merita di essere citata per esteso: “Certo, deve esserci progresso, anche un progresso enorme. Chi è infatti così avaro verso i suoi simili e così pieno di odio verso Dio da cercare di proibirlo? Ma deve essere progresso nel senso proprio del termine, e non un cambiamento nella fede. Progresso significa che ogni cosa cresce in sé stessa, mentre cambiamento implica che una cosa si trasforma in un’altra. Quindi, è necessario che l’intelletto, la conoscenza e la sapienza crescano e progrediscano potentemente e fortemente nei singoli come nella comunità, nel singolo come nella Chiesa nel suo insieme, e questo gradualmente secondo l’età e la storia. Ma devono progredire entro i propri limiti, cioè secondo lo stesso dogma, lo stesso significato e lo stesso giudizio” [la parte in grassetto è quella che il Concilio Vaticano I ha citato alla fine della “Dei Filius”].

Alcuni lettori ricorderanno che a papa Francesco piaceva citare san Vincenzo di Lerino a proposito del progresso dottrinale. La mia reazione all’uso molto selettivo del grande padre gallico da parte del defunto pontefice è stata espressa in modo molto articolato da monsignor Thomas G. Guarino nelle pagine di “First Things”. Notando che papa Francesco citava spesso san Vincenzo, affermando che la dottrina cristiana è “consolidata dagli anni, ampliata dal tempo e raffinata dall’età”, monsignor Guarino afferma: “Il papa ha sicuramente ragione nel dire che questa è una frase cruciale. Ma se dovessi consigliarlo, lo incoraggerei a tenere conto dell’intero ‘Commonitorium’ di san Vincenzo, non solo di quella parte che cita ripetutamente”. E continua: “Si noti che san Vincenzo non parla mai positivamente delle inversioni. Un’inversione, per Vincenzo, non è un progresso nella comprensione della verità da parte della Chiesa; non è un esempio di un insegnamento ‘ampliato dal tempo’. Al contrario, le inversioni sono il segno distintivo degli eretici. Quando condanna le inversioni, Vincenzo si riferisce sempre al tentativo di invertire o alterare i solenni insegnamenti dei concili ecumenici. Il Leriniano è particolarmente ossessionato dai tentativi di invertire l’insegnamento di Nicea, come avvenne al Concilio di Rimini (359 d.C.), che, nel credo proposto, omise la parola cruciale, homoousios (consustanziale). Vorrei anche invitare papa Francesco a invocare i salutari parapetti che Vincenzo erige per garantire un corretto sviluppo. Mentre papa Francesco è affascinato dall’espressione di Vincenzo dilatetur tempore (“ampliato dal tempo”), il leriniano usa anche la suggestiva espressione res amplificetur in se (“la cosa cresce in sé stessa”). Il leriniano sostiene che ci sono due tipi di cambiamento: un cambiamento legittimo, un profectus, è un progresso – una crescita omogenea nel tempo – come un bambino che diventa adulto. Un cambiamento improprio è una deformazione perniciosa, chiamata permutatio. Si tratta di un cambiamento nell’essenza stessa di qualcuno o qualcosa, come un cespuglio di rose che diventa solo spine e cardi”.

Più avanti il ​​buon monsignore scrive: “Un altro parapetto è l’affermazione vincenziana secondo cui crescita e cambiamento devono avvenire in eodem sensu eademque sententia, cioè secondo lo stesso significato e lo stesso giudizio. Per il monaco di Lerino, qualsiasi crescita o sviluppo nel tempo deve preservare il significato sostanziale degli insegnamenti precedenti. Ad esempio, la Chiesa può certamente crescere nella sua comprensione dell’umanità e della divinità di Gesù Cristo, ma non può mai tornare indietro sulla definizione di Nicea. L’idem sensus o ‘stesso significato’ deve sempre essere mantenuto in qualsiasi sviluppo futuro”.

Stabiliti questi principi, monsignor Guarino ci porta alla conclusione che l’insegnamento di papa Francesco sulla pena capitale non rappresenta un progresso, ma un’inversione della dottrina cattolica perenne, qualcosa che san Vincenzo condanna espressamente nel “Commonitoriun”, e lo fa, potrei aggiungere, con un linguaggio duro, insistente ed eloquente.

Qui al Saint Benedict Center, accettiamo la vera nozione cattolica di “progresso” e sviluppo dottrinale di san Vincenzo, uno sviluppo omogeneo della dottrina che conserva il senso di tutti gli antichi dogmi, ma vi aggiunge maggiore chiarezza e comprensione. Secoli di concili ecumenici e insegnamenti papali, aiutati dal duro lavoro di santi dottori, hanno realizzato proprio questo sotto la dolce influenza dello Spirito Santo. Con la Chiesa, noi del Saint Benedict Center rifiutiamo lo sviluppo eterogeneo della dottrina, condannato da papa San Pio X come “evoluzione del dogma”. La collina su cui siamo disposti a morire è extra ecclesiam nulla salus, ma, a dire il vero, sebbene questo particolare dogma sia la nostra ragion d’essere, vorremmo morire per uno qualsiasi degli insegnamenti della Chiesa sulla fede o sulla morale! Dato ciò che abbiamo imparato da san Vincenzo sui “rovesciamenti”, esterno non può significare interno, e nessuna salvezza non può significare salvezza! In altre parole, sì non può significare no o viceversa.

I principi stabiliti da san Vincenzo di Lerino hanno guidato papi, concili ecumenici, vescovi, dottori della Chiesa ed eccellenti teologi fin dalla loro provvidenziale riscoperta nel XVI secolo, in un’epoca in cui la Chiesa ne aveva particolarmente bisogno. Ma me ha ancora bisogno, quindi dovremmo studiare il “Commonitorium” e dovremmo pregare questo grande santo, la cui festa cade il 24 maggio, provvidenzialmente festa di Nostra Signora Ausiliatrice. Che lui e Lei ci aiutino a navigare in sicurezza nelle acque turbolente del XXI secolo!

*priore del St. Benedict Center

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