
by Aldo Maria Valli, 30 nov 2025
L’emozione al posto del dogma, l’aggiornamento al posto della tradizione. Il modernismo colpisce così. E porta all’autodistruzione
di Radical Fidelity
“L’amore di Dio è esigente, ed è per questo che le persone non vogliono il vero amore di Dio. Vogliono il sostituto umano, il cioccolato fondente. Nuotiamo tutti nel cioccolato, finché cadremo all’Inferno”.
Vescovo Richard Williamson
Sono cresciuto nel mondo del protestantesimo pentecostale e per anni sono rimasto cieco di fronte all’evidenza: tutto – letteralmente tutto – era costruito sulle emozioni. L’intero edificio religioso non poggiava sulla dottrina, non sulla verità, non sull’intelletto mosso dalla grazia, ma sulle instabili sabbie mobili dei sentimenti. Se “sentivi” qualcosa, allora “lo Spirito si muoveva”. Se non lo sentivi, allora lo Spirito non doveva essersi manifestato. La religione era ridotta a vibrazioni interiori e sbalzi d’umore.
La musica era il motore che guidava questa esperienza. Qualche canzone veloce, con un sottofondo di batteria, scatenava la congregazione in quella che poteva essere descritta solo come una semi-frenesia: questa era la “lode”. Poi arrivava l’inevitabile brano lento, sussurrato e sentimentale, pensato per attivare i dotti lacrimali e ammorbidire le difese: questa era l'”adorazione”. Solo dopo che la temperatura emotiva si era adeguatamente elevata, il predicatore saliva sul palco. Il suo compito? Costruire un altro crescendo emotivo, manipolare lo stato psicologico della folla fino a raggiungere l’apice della pressione. E al momento giusto, una dolce musica di sottofondo ricominciava, creando l’atmosfera perfetta per la “chiamata all’altare”. E devo forse sottolineare che non c’era l’altare?
Era una formula: prevedibile, meccanica e sorprendentemente efficace nel suscitare emozioni. Molti di questi pastori e i loro fedeli erano estremamente sinceri e non si rendevano nemmeno conto di essere coinvolti nel meccanismo.
Ma la religione emotiva ha un difetto fatale: non appaga mai. I sentimenti svaniscono. Le emozioni crollano. L'”esperienza della vetta” dura solo fino al mattino dopo, a volte solo fino al termine del canto. E così la gente esige una nuova euforia ogni domenica. La squadra musicale deve innovare, il predicatore deve esagerare, la teatralità deve intensificarsi. Tutto deve aumentare d’intensità. Se l’impatto emotivo vacilla anche solo per una funzione, la gente se ne va borbottando: “Oggi lo Spirito non c’era”.
Tutto ciò colma il vuoto lasciato dall’assenza di una vera dottrina. Il protestantesimo – essendosi separato dal dogma, dalla vita sacramentale, dall’autorità magisteriale stabilita da Cristo – non ha altra scelta che fare appello alle emozioni di chi “cerca”. Senza una verità oggettiva, tutto ciò che rimane è la ricerca di un sentimento. In questo modo, il protestantesimo diventa indistinguibile dalla cultura circostante: una caccia senza fine di stimoli sotto la dittatura del piacere.
Questa malattia culturale non è casuale. Viviamo in un sistema mondo – la matrice dell’Anticristo – in cui le persone sono condizionate fin dalla nascita a credere che il piacere sia il bene supremo e che il disagio, il sacrificio, la disciplina o la sofferenza siano mali da evitare a tutti i costi. Quando questa mentalità infetta la religione, il risultato è catastrofico. L’emotività diventa non solo il sostituto della verità, ma il suo nemico.
Questo credo edonistico è particolarmente diffuso tra i giovani, sebbene non sia affatto limitato a loro. La filosofia del “fai ciò che ti fa stare bene” è diventata il fondamento marcio della civiltà moderna. Alimenta il consumismo, demolisce la moralità oggettiva, avvelena l’istruzione, corrompe le relazioni e, cosa più tragica di tutte, si è infiltrata abbondantemente nella Chiesa cattolica.
Fin dal 1962, quando gli architetti della Nuova Religione abbandonarono il dogma cattolico e la verità oggettiva in cambio di un umanesimo sentimentale e di un relativismo ottimista, la Chiesa si avviò su un cammino di autodistruzione. Sotto la bandiera del loro idolo modernista – il dio dell’esperienza, il dio dell’emozione, il dio dell’aggiornamento perpetuo – sostituirono la sostanza con la sensazione, la dottrina con l’ambiguità, il sacrificio con la celebrazione e la verità con… i sentimenti.
Oggi stiamo assistendo alla fase finale della rivoluzione in quella che è conosciuta come la Chiesa sinodale: una religione democratizzata in cui tutti sono incoraggiati a “discernere” secondo ciò che “sembra giusto”, a “camminare insieme” in una nebbia emotiva collettiva e ad “ascoltare lo Spirito”, che in qualche modo parla sempre in perfetta armonia con lo spirito del tempo.
Sto semplificando? Forse. Ma perché complicare ciò che è palesemente evidente? L’emotività è il nuovo “Cristo”, e la Chiesa sinodale modernista lo ha incoronato re.
Il “cattolicesimo” emozionale, il modernismo e le sue radici protestanti
Una delle deformazioni spirituali più tragiche della nostra epoca è senza dubbio la trasformazione della religione in un esercizio di sentimentalismo. Il cattolicesimo, per molti, oggi ha cessato di essere una questione di rivelazione divina a cui l’intelletto si sottomette, ed è invece diventato un passatempo terapeutico caratterizzato da stimolazione emotiva, interpretazione personale e “calore” interiore. Lo si vede ovunque: la sostituzione del Crocifisso con la faccina sorridente, la sostituzione dei martiri con il “leader del culto, il prete DJ che strimpella la chitarra, la fine del dogma in cambio del sentimento soggettivo. Eccoci in una pseudo-religione emozionale che strappa la Fede dal suo fondamento soprannaturale e la trascina verso le instabilità del sentimento umano.
La Chiesa cattolica ha sempre insistito sul fatto che la fede è, prima di tutto, un atto dell’intelletto. San Tommaso d’Aquino esprime la posizione perenne della Chiesa con cristallina chiarezza quando scrive che “la fede risiede nell’intelletto” (“Summa theologiae”, II-II, q. 2, a. 9). Per Tommaso la fede è un atto intellettuale di assenso alla verità divina al comando della volontà, mossa dalla grazia di Dio. Non risiede affatto nelle emozioni, quei movimenti vacillanti e inaffidabili della natura umana decaduta che cambiano non solo di giorno in giorno, ma di ora in ora. Papa Leone XIII ha sintetizzato questa verità con ammirevole concisione quando ha scritto: “La fede non si basa sull’emozione, né su un cieco moto della volontà”. Le sue sole parole, se prese sul serio, sarebbero sufficienti a far crollare l’intero progetto modernista.
La mentalità emotiva così diffusa oggi non è un difetto spirituale di poco conto; è la radice della confusione moderna. Modernisti, appassionati di spiritualità e revisionisti teologici promuovono l’idea che la religione debba essere “vissuta” emotivamente per essere reale. Se i sentimenti scompaiono, presumono che ci sia qualcosa che non va, e non in loro stessi, ma nella dottrina, nella liturgia o nella tradizione. Procedono a rimodellare la Fede per adattarla ai loro stati d’animo, come uno che rimodella la sua casa ogni mattina perché la luce del sole cade in modo diverso.
Ma come avverte il grande dottore mistico san Giovanni della Croce, “non bisogna fidarsi dei sentimenti”. Essi, infatti, sono spesso spiritualmente pericolosi. Il diavolo può imitare le consolazioni per ingannare gli incauti. Santa Teresa d’Avila istruisce le anime a diffidare delle lacrime, della dolcezza e dell’impeto delle eccitazioni interiori, poiché la vera prova del progresso spirituale è la crescita della virtù, non la fluttuazione del sentimento. I santi capirono che la religione emotiva è una trappola, perché sposta il fondamento della fede dalla verità di Dio al proprio clima psicologico.
Anche i modernisti lo sanno, ed è proprio per questo che cercano di costruire sulle emozioni la loro nuova religione contraffatta. San Pio X, il più grande diagnostico dell’eresia nella Chiesa in età moderna, spiega nella “Pascendi” che per il modernista “la fede non è altro che un sentimento che nasce dal bisogno del divino”. Questo è il credo modernista nella sua essenza: Dio esiste perché lo sento; la Chiesa è vera perché mi sento legato a essa; la dottrina è valida perché si adatta alla mia esperienza emotiva. E quando questi sentimenti svaniscono, il modernista si limita a rivedere la dottrina, riscrivere la Scrittura, reinventare la morale, e dichiara che la Chiesa deve “aggiornarsi” in base ai suoi mutevoli bisogni emotivi.
Il dogma, per il modernista, diventa poesia simbolica, metafora del sentimento interiore, soggetto a cambiamento con l’evoluzione dei sentimenti stessi. Pio X lo denuncia con spietata chiarezza quando osserva che i modernisti considerano i dogmi meri “simboli del sentimento religioso” e quindi “mutevoli e relativi”.
Questa mentalità spiega tutto della rivoluzione modernista nella liturgia, nella catechesi, nella morale e nel governo della Chiesa. Basti considerare la trasformazione della liturgia dopo la metà del XX secolo: il canto gregoriano, concepito per calmare ed elevare l’anima, fu sostituito da ritmi pop concepiti per eccitarla; il silenzio fu sostituito da chiacchiere e applausi; la riverenza dalla teatralità. La stimolazione emotiva divenne oggetto di culto, non più un sottoprodotto accidentale della vera devozione. Una Messa concepita per santificare fu sostituita da una funzione religiosa concepita per intrattenere, perché la religione emotiva richiede stimolazione emotiva, e nulla stimola più rapidamente della musica, del rumore e dello spettacolo. In questo modo, la liturgia divenne il cavallo di Troia dei modernisti.
Non è un caso che il modernismo sia essenzialmente protestantesimo rivestito di vocabolario cattolico. Lo stesso san Pio X disse che il modernista “percorre la via del protestantesimo”, e la storia lo conferma. Il protestantesimo fu il primo grande esperimento di sostituzione dell’autorità oggettiva della Chiesa con l’autorità soggettiva del sentimento personale e dell’interpretazione privata. Il protestante dice: “Leggo la Bibbia e decido”. Il modernista dice: “Ho avuto un’esperienza religiosa e decido”. In entrambi i casi, l’arbitro finale della verità non è né la Scrittura né la Tradizione, ma il sentimento interiore dell’individuo.
Pio XI condannò l’emozionalismo protestante in “Mortalium animos”, osservando che esso riduce la fede “a un cieco impulso emotivo”. I modernisti fanno esattamente la stessa cosa, sebbene con più note a piè di pagina e meno inni. I protestanti aprirono la strada trattando la dottrina come flessibile, soggetta a reinterpretazione secondo il proprio senso interiore di ciò che sembra spiritualmente appropriato. I modernisti si limitarono a prendere quel principio e ad applicarlo alla Chiesa, corrompendo così la teologia cattolica dall’interno. Ma che arrivi dall’esterno o dall’interno, l’errore è lo stesso: la verità diventa una funzione del sentimento e la volontà di Dio diventa indistinguibile dalla volontà dell’uomo.
L’instabilità della religione emotiva non è meramente teorica; è osservabile. Una fede radicata nelle emozioni non può sopportare tentazioni, aridità, persecuzioni o persino la semplice noia. Quando la consolazione emotiva svanisce – come sempre accade – tale fede crolla. Ecco perché le confessioni protestanti si frammentano all’infinito, perché la teologia modernista cambia con le mode e perché i cattolici emotivisti passano da una moda spirituale all’altra. Al contrario, il Concilio di Trento insegna che la fede è l’accettazione della rivelazione divina “non perché appaia vera o sembri vera, ma perché Dio l’ha rivelata”. Questo tipo di fede è incrollabile. La fede emotiva non è affatto fede; è uno stato d’animo mascherato da un vocabolario religioso.
Contro tutto questo si erge l’immutabile tradizione cattolica. La Chiesa ha sempre insegnato – con chiarezza, coerenza, incrollabilità – che la verità non dipende da come la si percepisce. San Francesco di Sales distrugge l’approccio sentimentale con precisione chirurgica quando scrive che la vera devozione “non consiste in sensazioni di fremito”, e Pio XII riecheggia lo stesso principio quando nella “Humani generis” insegna che la vita cristiana “non è guidata da impulsi emotivi, ma dalla dottrina di Cristo”. Essere cattolici significa credere perché Dio ha parlato, non perché i propri sentimenti siano stati temporaneamente elevati.
I cattolici sentimentali cercano il calore. I cattolici tradizionali cercano la verità. Solo una di queste vie conduce alla salvezza.
Il vescovo Richard Williamson sull’emozionalismo nel cattolicesimo moderno
Pochi ecclesiastici contemporanei hanno parlato con tanta durezza e insistenza circa il pericolo dell’emotività nella religione come il defunto vescovo Richard Williamson (1940 – 2025). In conferenze e sermoni nel corso degli anni, questo gigante della fede è tornato più volte su quello che egli definisce l’errore centrale della coscienza cattolica moderna: la sostituzione di Dio con i sentimenti, della rivelazione con il sentimento, della fede con l’esperienza interiore.
In due delle sue conferenze che ho consultato per questo saggio – schiette, vivide e spietate – egli descrive il modernismo nientemeno che come la divinizzazione delle fluttuazioni del cuore umano. Il modernista, sostiene, non afferma che Dio parla all’uomo; piuttosto, afferma che l’uomo genera Dio dal profondo di sé. Come spiega: “Dio, i miracoli e le rivelazioni non esistono al di fuori di me né provengono da fuori di me… Devono venire da dentro. È logico. Partendo da premesse folli, si arriva a conclusioni folli.”
Questo è il principio dell’immanenza vitale: la convinzione che la religione non abbia origine dall’autorivelazione di Dio, ma dalla vita immediata del soggetto umano. Poiché la religione esiste, il modernista conclude che debba scaturire dal cuore umano. I sentimenti diventano quindi non solo parte della vita religiosa, ma la sua fonte e la sua regola. “La religione” – dice Williamson in tono beffardo – nasce dai bisogni dell’uomo. Oh, quanto sono belli i sentimenti del cuore! Sentimenti! Il cattolicesimo è fatto di piccoli sentimenti”.
Il contrasto che egli delinea rispetto al vero cattolicesimo non potrebbe essere più netto. Williamson sottolinea in particolare il mistero della Croce, dove le emozioni umane di Cristo furono spinte oltre ogni consolazione naturale: “Quali erano i sentimenti di Nostro Signore sulla Croce? Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Pensava davvero che il Padre lo avesse abbandonato? Se l’avesse fatto, sarebbe sceso dalla Croce. No, è rimasto, perché non si tratta di sentimenti”.
Cristo ha redento il mondo con la fedeltà, non con il sentimento; con l’obbedienza, non con la tranquillità emotiva. Se la Croce insegna qualcosa, insiste Williamson, è che i sentimenti non possono governare la religione.
Da questo errore fondamentale – il trasferimento di Dio dal cielo alle profondità della soggettività umana – scaturisce una grottesca inversione dell’intero ordine soprannaturale. Williamson lo illustra con una sorprendente, volutamente scioccante caricatura della “rivelazione” modernista, in cui il credente si confronta con il Cristo storico, si sente interiormente commosso e poi proietta all’esterno il proprio bisogno emotivo. Ecco la sua indimenticabile descrizione: “Le mie viscere vibrano… Vomito Dio. Vomito l’oggetto della mia fede… Il mio Dio è ora davanti a me, e credo nel Dio che ho appena vomitato”.
Questa descrizione ha lo scopo non semplicemente di scandalizzare, ma di svelare la logica intrinseca del modernismo: l’uomo percepisce qualcosa di inspiegabile, lo chiama “Dio” e poi adora ciò che lui stesso ha prodotto. La rivelazione diventa un evento psicologico. La fede diventa proiezione emotiva. La verità soprannaturale diventa un processo circolare che inizia e finisce nell’io. “È orribile, ma questo è il modernismo”.
Una volta che la religione è ridotta a sentimento, la dottrina non può più essere stabile. Il dogma diventa, nelle parole di Williamson, “un mero simbolo inadeguato” del sentimento interiore, qualcosa che deve evolversi ogni volta che lo fanno le emozioni. Il modernista giudica la dottrina in base alla sua risonanza con il suo stato interiore: “I miei sentimenti sono la misura del dogma, non il dogma la misura dei miei sentimenti”.
Pertanto, poiché i sentimenti cambiano costantemente, i dogmi devono evolversi costantemente. Questo, sostiene Williamson, è il motivo per cui la liturgia moderna sprofonda così spesso nella teatralità. Non è che i nuovi riti siano concepiti per onorare Dio, ma per stimolare le emozioni dei presenti. Con un misto di umorismo e tristezza, il vescovo racconta un esempio particolarmente assurdo proveniente dagli Stati Uniti: “Nella domenica delle palme il parroco sale su una moto e percorre la navata, a imitazione di Nostro Signore che entra a Gerusalemme su un asino. E la gente esclama: adesso sì che sentiamo la domenica delle palme! L’anno prossimo arriverà dondolandosi su un trapezio. Ma questa è follia”.
Il problema non è semplicemente il cattivo gusto, ma la teologia invertita: se i sentimenti sono al centro della vita religiosa, allora il culto diventa intrattenimento e il santuario diventa un palcoscenico.
Per Williamson, le conseguenze vanno ben oltre i semplici espedienti liturgici. L’emotività, avverte, porta in ultima analisi all’abolizione del soprannaturale. Se la verità religiosa non è altro che la vita emotiva del credente, allora la grazia si riduce a psicologia; i sacramenti diventano gesti simbolici di autoespressione; la Scrittura diventa un tesoro di storie che “nutrono il mio istinto religioso”; e la Chiesa diventa un’assemblea democratica di persone con sensazioni spirituali simili. In un tale sistema, nulla dall’alto vincola l’uomo; al contrario, l’uomo si lega all’idolo che ha creato. “Tutto il soprannaturale emana dalla natura… Non c’è nulla di veramente soprannaturale nella religione cattolica… È tutto solo un mio prodotto, il prodotto del mio interno.”
Questa, per il vescovo Williamson, è la massima bestemmia dell’emozionalismo moderno: nega l’oggettività di Dio, la realtà della grazia, l’autorità della dottrina e la trascendenza della rivelazione. Sostituisce il Dio vivente con l’instabilità del sentimento umano.
La vera fede cattolica, al contrario, si fonda su realtà che provengono dall’esterno della persona umana: realtà rivelate da Dio, sostenute dalla ragione, trasmesse dalla tradizione e santificate dalla grazia. I sentimenti possono accompagnare queste realtà, ma non possono sostituirle. Come riassume Williamson con la sua caratteristica schiettezza: “La realtà non si basa sui sentimenti”.
In un’epoca in cui il cristianesimo viene sempre più reinterpretato come affermazione terapeutica, scoperta emotiva di sé o elevazione psicologica, la chiamata del compianto e bravo vescovo Williamson era ed è contro-culturale e profondamente tradizionale. La fede, insisteva, non è un’eco del cuore umano, ma una sottomissione alla mente divina. E se i cattolici non recuperano questa convinzione, continueranno a scivolare in una religione confortante, espressiva e devotamente sentimentale, ma non più cristiana.
Se la Chiesa vuole riprendersi dall’infiltrazione modernista di una pseudo-religione sentimentale, i cattolici devono adottare misure concrete. La prima è reimparare la fede: una vera catechesi, fondata sulla dottrina e non sull’elevazione psicologica. La seconda è tornare alla liturgia che forma i cattolici alla riverenza e all’oggettività piuttosto che all’emotività. La terza è rifiutare il linguaggio modernista che tratta il dogma come qualcosa da reinterpretare secondo l'”esperienza”. La quarta misura è praticare l’ascetismo, la cura più sicura contro l’illusione che i sentimenti siano affidabili. Infine i cattolici devono immergersi nell’insegnamento magisteriale preconciliare.
Ogni anima deve scegliere. Cristo o l’emotività. Dottrina o sentimentalismo. La Croce o la consolazione. La Chiesa o il tempo. La religione sentimentale del modernismo non produce santi. Produce consumatori spirituali che inseguono le vette emotive e crollano al primo segno di sacrificio. Cristo non ha detto: “I miei sentimenti non passeranno”, ma “Le mie parole non passeranno”. I cattolici che basano la loro fede su queste parole – sulla verità, non sulle emozioni – rimarranno saldi quando arriveranno le tempeste. E le tempeste sono arrivate.
“Guai ai sentimentali! Mentre i polli della malvagità senza precedenti tornano a casa per appollaiarsi in questa fine del nostro secolo maledetto, gli autoconsolatori dovranno intensificare la loro cecità volontaria per tenere il passo, finché solo un miracolo potrà aprire i loro occhi, e i miracoli non saranno dovuti a nessuno di noi”.
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Le due sessioni della conferenza dottrinale sulla “Pascendi” a cui faccio riferimento si sono svolte a Cork, in Irlanda, nel 2019. Articolate in sette sessioni, possono essere consultate qui. Uno scrigno di verità. Lo consiglio vivamente.
radicalfidelity
Sono cresciuto nel mondo del protestantesimo pentecostale e per anni sono rimasto cieco di fronte all’evidenza: tutto – letteralmente tutto – era costruito sulle emozioni. L’intero edificio religioso non poggiava sulla dottrina, non sulla verità, non sull’intelletto mosso dalla grazia, ma sulle instabili sabbie mobili dei sentimenti. Se “sentivi” qualcosa, allora “lo Spirito si muoveva”. Se non lo sentivi, allora lo Spirito non doveva essersi manifestato. La religione era ridotta a vibrazioni interiori e sbalzi d’umore.
La musica era il motore che guidava questa esperienza. Qualche canzone veloce, con un sottofondo di batteria, scatenava la congregazione in quella che poteva essere descritta solo come una semi-frenesia: questa era la “lode”. Poi arrivava l’inevitabile brano lento, sussurrato e sentimentale, pensato per attivare i dotti lacrimali e ammorbidire le difese: questa era l'”adorazione”. Solo dopo che la temperatura emotiva si era adeguatamente elevata, il predicatore saliva sul palco. Il suo compito? Costruire un altro crescendo emotivo, manipolare lo stato psicologico della folla fino a raggiungere l’apice della pressione. E al momento giusto, una dolce musica di sottofondo ricominciava, creando l’atmosfera perfetta per la “chiamata all’altare”. E devo forse sottolineare che non c’era l’altare?
Era una formula: prevedibile, meccanica e sorprendentemente efficace nel suscitare emozioni. Molti di questi pastori e i loro fedeli erano estremamente sinceri e non si rendevano nemmeno conto di essere coinvolti nel meccanismo.
Ma la religione emotiva ha un difetto fatale: non appaga mai. I sentimenti svaniscono. Le emozioni crollano. L'”esperienza della vetta” dura solo fino al mattino dopo, a volte solo fino al termine del canto. E così la gente esige una nuova euforia ogni domenica. La squadra musicale deve innovare, il predicatore deve esagerare, la teatralità deve intensificarsi. Tutto deve aumentare d’intensità. Se l’impatto emotivo vacilla anche solo per una funzione, la gente se ne va borbottando: “Oggi lo Spirito non c’era”.
Tutto ciò colma il vuoto lasciato dall’assenza di una vera dottrina. Il protestantesimo – essendosi separato dal dogma, dalla vita sacramentale, dall’autorità magisteriale stabilita da Cristo – non ha altra scelta che fare appello alle emozioni di chi “cerca”. Senza una verità oggettiva, tutto ciò che rimane è la ricerca di un sentimento. In questo modo, il protestantesimo diventa indistinguibile dalla cultura circostante: una caccia senza fine di stimoli sotto la dittatura del piacere.
Questa malattia culturale non è casuale. Viviamo in un sistema mondo – la matrice dell’Anticristo – in cui le persone sono condizionate fin dalla nascita a credere che il piacere sia il bene supremo e che il disagio, il sacrificio, la disciplina o la sofferenza siano mali da evitare a tutti i costi. Quando questa mentalità infetta la religione, il risultato è catastrofico. L’emotività diventa non solo il sostituto della verità, ma il suo nemico.
Questo credo edonistico è particolarmente diffuso tra i giovani, sebbene non sia affatto limitato a loro. La filosofia del “fai ciò che ti fa stare bene” è diventata il fondamento marcio della civiltà moderna. Alimenta il consumismo, demolisce la moralità oggettiva, avvelena l’istruzione, corrompe le relazioni e, cosa più tragica di tutte, si è infiltrata abbondantemente nella Chiesa cattolica.
Fin dal 1962, quando gli architetti della Nuova Religione abbandonarono il dogma cattolico e la verità oggettiva in cambio di un umanesimo sentimentale e di un relativismo ottimista, la Chiesa si avviò su un cammino di autodistruzione. Sotto la bandiera del loro idolo modernista – il dio dell’esperienza, il dio dell’emozione, il dio dell’aggiornamento perpetuo – sostituirono la sostanza con la sensazione, la dottrina con l’ambiguità, il sacrificio con la celebrazione e la verità con… i sentimenti.
Oggi stiamo assistendo alla fase finale della rivoluzione in quella che è conosciuta come la Chiesa sinodale: una religione democratizzata in cui tutti sono incoraggiati a “discernere” secondo ciò che “sembra giusto”, a “camminare insieme” in una nebbia emotiva collettiva e ad “ascoltare lo Spirito”, che in qualche modo parla sempre in perfetta armonia con lo spirito del tempo.
Sto semplificando? Forse. Ma perché complicare ciò che è palesemente evidente? L’emotività è il nuovo “Cristo”, e la Chiesa sinodale modernista lo ha incoronato re.
Il “cattolicesimo” emozionale, il modernismo e le sue radici protestanti
Una delle deformazioni spirituali più tragiche della nostra epoca è senza dubbio la trasformazione della religione in un esercizio di sentimentalismo. Il cattolicesimo, per molti, oggi ha cessato di essere una questione di rivelazione divina a cui l’intelletto si sottomette, ed è invece diventato un passatempo terapeutico caratterizzato da stimolazione emotiva, interpretazione personale e “calore” interiore. Lo si vede ovunque: la sostituzione del Crocifisso con la faccina sorridente, la sostituzione dei martiri con il “leader del culto, il prete DJ che strimpella la chitarra, la fine del dogma in cambio del sentimento soggettivo. Eccoci in una pseudo-religione emozionale che strappa la Fede dal suo fondamento soprannaturale e la trascina verso le instabilità del sentimento umano.
La Chiesa cattolica ha sempre insistito sul fatto che la fede è, prima di tutto, un atto dell’intelletto. San Tommaso d’Aquino esprime la posizione perenne della Chiesa con cristallina chiarezza quando scrive che “la fede risiede nell’intelletto” (“Summa theologiae”, II-II, q. 2, a. 9). Per Tommaso la fede è un atto intellettuale di assenso alla verità divina al comando della volontà, mossa dalla grazia di Dio. Non risiede affatto nelle emozioni, quei movimenti vacillanti e inaffidabili della natura umana decaduta che cambiano non solo di giorno in giorno, ma di ora in ora. Papa Leone XIII ha sintetizzato questa verità con ammirevole concisione quando ha scritto: “La fede non si basa sull’emozione, né su un cieco moto della volontà”. Le sue sole parole, se prese sul serio, sarebbero sufficienti a far crollare l’intero progetto modernista.
La mentalità emotiva così diffusa oggi non è un difetto spirituale di poco conto; è la radice della confusione moderna. Modernisti, appassionati di spiritualità e revisionisti teologici promuovono l’idea che la religione debba essere “vissuta” emotivamente per essere reale. Se i sentimenti scompaiono, presumono che ci sia qualcosa che non va, e non in loro stessi, ma nella dottrina, nella liturgia o nella tradizione. Procedono a rimodellare la Fede per adattarla ai loro stati d’animo, come uno che rimodella la sua casa ogni mattina perché la luce del sole cade in modo diverso.
Ma come avverte il grande dottore mistico san Giovanni della Croce, “non bisogna fidarsi dei sentimenti”. Essi, infatti, sono spesso spiritualmente pericolosi. Il diavolo può imitare le consolazioni per ingannare gli incauti. Santa Teresa d’Avila istruisce le anime a diffidare delle lacrime, della dolcezza e dell’impeto delle eccitazioni interiori, poiché la vera prova del progresso spirituale è la crescita della virtù, non la fluttuazione del sentimento. I santi capirono che la religione emotiva è una trappola, perché sposta il fondamento della fede dalla verità di Dio al proprio clima psicologico.
Anche i modernisti lo sanno, ed è proprio per questo che cercano di costruire sulle emozioni la loro nuova religione contraffatta. San Pio X, il più grande diagnostico dell’eresia nella Chiesa in età moderna, spiega nella “Pascendi” che per il modernista “la fede non è altro che un sentimento che nasce dal bisogno del divino”. Questo è il credo modernista nella sua essenza: Dio esiste perché lo sento; la Chiesa è vera perché mi sento legato a essa; la dottrina è valida perché si adatta alla mia esperienza emotiva. E quando questi sentimenti svaniscono, il modernista si limita a rivedere la dottrina, riscrivere la Scrittura, reinventare la morale, e dichiara che la Chiesa deve “aggiornarsi” in base ai suoi mutevoli bisogni emotivi.
Il dogma, per il modernista, diventa poesia simbolica, metafora del sentimento interiore, soggetto a cambiamento con l’evoluzione dei sentimenti stessi. Pio X lo denuncia con spietata chiarezza quando osserva che i modernisti considerano i dogmi meri “simboli del sentimento religioso” e quindi “mutevoli e relativi”.
Questa mentalità spiega tutto della rivoluzione modernista nella liturgia, nella catechesi, nella morale e nel governo della Chiesa. Basti considerare la trasformazione della liturgia dopo la metà del XX secolo: il canto gregoriano, concepito per calmare ed elevare l’anima, fu sostituito da ritmi pop concepiti per eccitarla; il silenzio fu sostituito da chiacchiere e applausi; la riverenza dalla teatralità. La stimolazione emotiva divenne oggetto di culto, non più un sottoprodotto accidentale della vera devozione. Una Messa concepita per santificare fu sostituita da una funzione religiosa concepita per intrattenere, perché la religione emotiva richiede stimolazione emotiva, e nulla stimola più rapidamente della musica, del rumore e dello spettacolo. In questo modo, la liturgia divenne il cavallo di Troia dei modernisti.
Non è un caso che il modernismo sia essenzialmente protestantesimo rivestito di vocabolario cattolico. Lo stesso san Pio X disse che il modernista “percorre la via del protestantesimo”, e la storia lo conferma. Il protestantesimo fu il primo grande esperimento di sostituzione dell’autorità oggettiva della Chiesa con l’autorità soggettiva del sentimento personale e dell’interpretazione privata. Il protestante dice: “Leggo la Bibbia e decido”. Il modernista dice: “Ho avuto un’esperienza religiosa e decido”. In entrambi i casi, l’arbitro finale della verità non è né la Scrittura né la Tradizione, ma il sentimento interiore dell’individuo.
Pio XI condannò l’emozionalismo protestante in “Mortalium animos”, osservando che esso riduce la fede “a un cieco impulso emotivo”. I modernisti fanno esattamente la stessa cosa, sebbene con più note a piè di pagina e meno inni. I protestanti aprirono la strada trattando la dottrina come flessibile, soggetta a reinterpretazione secondo il proprio senso interiore di ciò che sembra spiritualmente appropriato. I modernisti si limitarono a prendere quel principio e ad applicarlo alla Chiesa, corrompendo così la teologia cattolica dall’interno. Ma che arrivi dall’esterno o dall’interno, l’errore è lo stesso: la verità diventa una funzione del sentimento e la volontà di Dio diventa indistinguibile dalla volontà dell’uomo.
L’instabilità della religione emotiva non è meramente teorica; è osservabile. Una fede radicata nelle emozioni non può sopportare tentazioni, aridità, persecuzioni o persino la semplice noia. Quando la consolazione emotiva svanisce – come sempre accade – tale fede crolla. Ecco perché le confessioni protestanti si frammentano all’infinito, perché la teologia modernista cambia con le mode e perché i cattolici emotivisti passano da una moda spirituale all’altra. Al contrario, il Concilio di Trento insegna che la fede è l’accettazione della rivelazione divina “non perché appaia vera o sembri vera, ma perché Dio l’ha rivelata”. Questo tipo di fede è incrollabile. La fede emotiva non è affatto fede; è uno stato d’animo mascherato da un vocabolario religioso.
Contro tutto questo si erge l’immutabile tradizione cattolica. La Chiesa ha sempre insegnato – con chiarezza, coerenza, incrollabilità – che la verità non dipende da come la si percepisce. San Francesco di Sales distrugge l’approccio sentimentale con precisione chirurgica quando scrive che la vera devozione “non consiste in sensazioni di fremito”, e Pio XII riecheggia lo stesso principio quando nella “Humani generis” insegna che la vita cristiana “non è guidata da impulsi emotivi, ma dalla dottrina di Cristo”. Essere cattolici significa credere perché Dio ha parlato, non perché i propri sentimenti siano stati temporaneamente elevati.
I cattolici sentimentali cercano il calore. I cattolici tradizionali cercano la verità. Solo una di queste vie conduce alla salvezza.
Il vescovo Richard Williamson sull’emozionalismo nel cattolicesimo moderno
Pochi ecclesiastici contemporanei hanno parlato con tanta durezza e insistenza circa il pericolo dell’emotività nella religione come il defunto vescovo Richard Williamson (1940 – 2025). In conferenze e sermoni nel corso degli anni, questo gigante della fede è tornato più volte su quello che egli definisce l’errore centrale della coscienza cattolica moderna: la sostituzione di Dio con i sentimenti, della rivelazione con il sentimento, della fede con l’esperienza interiore.
In due delle sue conferenze che ho consultato per questo saggio – schiette, vivide e spietate – egli descrive il modernismo nientemeno che come la divinizzazione delle fluttuazioni del cuore umano. Il modernista, sostiene, non afferma che Dio parla all’uomo; piuttosto, afferma che l’uomo genera Dio dal profondo di sé. Come spiega: “Dio, i miracoli e le rivelazioni non esistono al di fuori di me né provengono da fuori di me… Devono venire da dentro. È logico. Partendo da premesse folli, si arriva a conclusioni folli.”
Questo è il principio dell’immanenza vitale: la convinzione che la religione non abbia origine dall’autorivelazione di Dio, ma dalla vita immediata del soggetto umano. Poiché la religione esiste, il modernista conclude che debba scaturire dal cuore umano. I sentimenti diventano quindi non solo parte della vita religiosa, ma la sua fonte e la sua regola. “La religione” – dice Williamson in tono beffardo – nasce dai bisogni dell’uomo. Oh, quanto sono belli i sentimenti del cuore! Sentimenti! Il cattolicesimo è fatto di piccoli sentimenti”.
Il contrasto che egli delinea rispetto al vero cattolicesimo non potrebbe essere più netto. Williamson sottolinea in particolare il mistero della Croce, dove le emozioni umane di Cristo furono spinte oltre ogni consolazione naturale: “Quali erano i sentimenti di Nostro Signore sulla Croce? Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Pensava davvero che il Padre lo avesse abbandonato? Se l’avesse fatto, sarebbe sceso dalla Croce. No, è rimasto, perché non si tratta di sentimenti”.
Cristo ha redento il mondo con la fedeltà, non con il sentimento; con l’obbedienza, non con la tranquillità emotiva. Se la Croce insegna qualcosa, insiste Williamson, è che i sentimenti non possono governare la religione.
Da questo errore fondamentale – il trasferimento di Dio dal cielo alle profondità della soggettività umana – scaturisce una grottesca inversione dell’intero ordine soprannaturale. Williamson lo illustra con una sorprendente, volutamente scioccante caricatura della “rivelazione” modernista, in cui il credente si confronta con il Cristo storico, si sente interiormente commosso e poi proietta all’esterno il proprio bisogno emotivo. Ecco la sua indimenticabile descrizione: “Le mie viscere vibrano… Vomito Dio. Vomito l’oggetto della mia fede… Il mio Dio è ora davanti a me, e credo nel Dio che ho appena vomitato”.
Questa descrizione ha lo scopo non semplicemente di scandalizzare, ma di svelare la logica intrinseca del modernismo: l’uomo percepisce qualcosa di inspiegabile, lo chiama “Dio” e poi adora ciò che lui stesso ha prodotto. La rivelazione diventa un evento psicologico. La fede diventa proiezione emotiva. La verità soprannaturale diventa un processo circolare che inizia e finisce nell’io. “È orribile, ma questo è il modernismo”.
Una volta che la religione è ridotta a sentimento, la dottrina non può più essere stabile. Il dogma diventa, nelle parole di Williamson, “un mero simbolo inadeguato” del sentimento interiore, qualcosa che deve evolversi ogni volta che lo fanno le emozioni. Il modernista giudica la dottrina in base alla sua risonanza con il suo stato interiore: “I miei sentimenti sono la misura del dogma, non il dogma la misura dei miei sentimenti”.
Pertanto, poiché i sentimenti cambiano costantemente, i dogmi devono evolversi costantemente. Questo, sostiene Williamson, è il motivo per cui la liturgia moderna sprofonda così spesso nella teatralità. Non è che i nuovi riti siano concepiti per onorare Dio, ma per stimolare le emozioni dei presenti. Con un misto di umorismo e tristezza, il vescovo racconta un esempio particolarmente assurdo proveniente dagli Stati Uniti: “Nella domenica delle palme il parroco sale su una moto e percorre la navata, a imitazione di Nostro Signore che entra a Gerusalemme su un asino. E la gente esclama: adesso sì che sentiamo la domenica delle palme! L’anno prossimo arriverà dondolandosi su un trapezio. Ma questa è follia”.
Il problema non è semplicemente il cattivo gusto, ma la teologia invertita: se i sentimenti sono al centro della vita religiosa, allora il culto diventa intrattenimento e il santuario diventa un palcoscenico.
Per Williamson, le conseguenze vanno ben oltre i semplici espedienti liturgici. L’emotività, avverte, porta in ultima analisi all’abolizione del soprannaturale. Se la verità religiosa non è altro che la vita emotiva del credente, allora la grazia si riduce a psicologia; i sacramenti diventano gesti simbolici di autoespressione; la Scrittura diventa un tesoro di storie che “nutrono il mio istinto religioso”; e la Chiesa diventa un’assemblea democratica di persone con sensazioni spirituali simili. In un tale sistema, nulla dall’alto vincola l’uomo; al contrario, l’uomo si lega all’idolo che ha creato. “Tutto il soprannaturale emana dalla natura… Non c’è nulla di veramente soprannaturale nella religione cattolica… È tutto solo un mio prodotto, il prodotto del mio interno.”
Questa, per il vescovo Williamson, è la massima bestemmia dell’emozionalismo moderno: nega l’oggettività di Dio, la realtà della grazia, l’autorità della dottrina e la trascendenza della rivelazione. Sostituisce il Dio vivente con l’instabilità del sentimento umano.
La vera fede cattolica, al contrario, si fonda su realtà che provengono dall’esterno della persona umana: realtà rivelate da Dio, sostenute dalla ragione, trasmesse dalla tradizione e santificate dalla grazia. I sentimenti possono accompagnare queste realtà, ma non possono sostituirle. Come riassume Williamson con la sua caratteristica schiettezza: “La realtà non si basa sui sentimenti”.
In un’epoca in cui il cristianesimo viene sempre più reinterpretato come affermazione terapeutica, scoperta emotiva di sé o elevazione psicologica, la chiamata del compianto e bravo vescovo Williamson era ed è contro-culturale e profondamente tradizionale. La fede, insisteva, non è un’eco del cuore umano, ma una sottomissione alla mente divina. E se i cattolici non recuperano questa convinzione, continueranno a scivolare in una religione confortante, espressiva e devotamente sentimentale, ma non più cristiana.
Se la Chiesa vuole riprendersi dall’infiltrazione modernista di una pseudo-religione sentimentale, i cattolici devono adottare misure concrete. La prima è reimparare la fede: una vera catechesi, fondata sulla dottrina e non sull’elevazione psicologica. La seconda è tornare alla liturgia che forma i cattolici alla riverenza e all’oggettività piuttosto che all’emotività. La terza è rifiutare il linguaggio modernista che tratta il dogma come qualcosa da reinterpretare secondo l'”esperienza”. La quarta misura è praticare l’ascetismo, la cura più sicura contro l’illusione che i sentimenti siano affidabili. Infine i cattolici devono immergersi nell’insegnamento magisteriale preconciliare.
Ogni anima deve scegliere. Cristo o l’emotività. Dottrina o sentimentalismo. La Croce o la consolazione. La Chiesa o il tempo. La religione sentimentale del modernismo non produce santi. Produce consumatori spirituali che inseguono le vette emotive e crollano al primo segno di sacrificio. Cristo non ha detto: “I miei sentimenti non passeranno”, ma “Le mie parole non passeranno”. I cattolici che basano la loro fede su queste parole – sulla verità, non sulle emozioni – rimarranno saldi quando arriveranno le tempeste. E le tempeste sono arrivate.
“Guai ai sentimentali! Mentre i polli della malvagità senza precedenti tornano a casa per appollaiarsi in questa fine del nostro secolo maledetto, gli autoconsolatori dovranno intensificare la loro cecità volontaria per tenere il passo, finché solo un miracolo potrà aprire i loro occhi, e i miracoli non saranno dovuti a nessuno di noi”.
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Le due sessioni della conferenza dottrinale sulla “Pascendi” a cui faccio riferimento si sono svolte a Cork, in Irlanda, nel 2019. Articolate in sette sessioni, possono essere consultate qui. Uno scrigno di verità. Lo consiglio vivamente.
radicalfidelity
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