mercoledì 10 settembre 2025

Identikit del controrivoluzionario. Per combattere la buona battaglia nel mondo e nella Chiesa





10 set 2025


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by Aldo Maria Valli

Se la Rivoluzione è disordine, la Controrivoluzione è il ripristino dell’ordine. E per ordine intendiamo la pace di Cristo nel Regno di Cristo, cioè la civiltà cristiana, austera e gerarchica, fondamentalmente sacrale, antiegualitaria e antiliberale.

Plinio Corrêa de Oliveira

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La rivoluzione nella Chiesa e nella società secolare sembra aver raggiunto il culmine, e all’osservatore infedele potrebbe sembrare una vittoria.

I fomentatori della Rivoluzione sono inebriati dalla loro ribellione contro Dio. Agiscono impunemente nel costruire non tanto un’utopia liberale, ma un regno che assomiglia a una barbarie demoniaca. Gli esempi sono molteplici: il transgenderismo e le mutilazioni che lo accompagnano, l’elevazione dell’uccisione di neonati a “diritto”, l’eutanasia in voga, la normalizzazione della pedofilia con la bestialità a breve distanza, le “città intelligenti” e le tecnologie che sono poco più che prigioni digitali totalitarie, fino a quello che forse è il più grave, ovvero quella contraffazione di matrice satanica, neopagana e neoprotestante del cattolicesimo che si sta affermando all’interno della Chiesa stessa.

È quindi di fondamentale importanza che i fedeli riconoscano che un cattolicesimo fatto solo di autocompiacimento e di riscaldamento dei banchi appartiene a un’altra epoca. Tali atteggiamenti devono essere relegati al passato. Dobbiamo comprendere e interiorizzare la verità: Dio ci ha creati per un’epoca come questa. Ognuno di noi è destinato a resistere e a combattere adesso. L’unico cattolicesimo che resisterà e cambierà le sorti della Rivoluzione è un cattolicesimo 24 ore su 24, sette giorni su sette, 365 giorni all’anno, sanguigno e viscerale, intriso di tradizione e saldamente radicato nella maestà di Cristo, non la versione popolare, flaccida e dilettantistica della fede cattolica.

Deve essere più di una semplice dimostrazione di virtù. Deve tradursi in zelo virtuoso, uno zelo che cerca di comprendere la crisi in tutta la sua gravità e poi alza gli occhi al cielo e prega il Signore: “Signore, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alla mia supplica, tu che sei fedele, e per la tua giustizia rispondimi” (Salmo 143:1).

La storia della civiltà occidentale non è una narrazione garbata sull’affermazione del progresso; è un campo di battaglia brutale e spietato. Da una parte c’è la Rivoluzione, un’insidiosa campagna di ribellione secolare contro Dio, la gerarchia e l’ordine. Dall’altra c’è la controrivoluzione, l’unica forza in grado di difendere la verità, la virtù e la civiltà stessa. Per i cattolici tradizionalisti questa non è una lotta metaforica; è una guerra per le anime, una guerra per preservare il fondamento stesso della cristianità.

La Rivoluzione non cerca semplicemente riforme o innovazione: cerca la distruzione. L’eliminazione della legge divina e naturale, la sostituzione dell’autorità autentica con fantasie egualitarie laiche e la corrosione di ogni baluardo morale e sociale che freni il caos. La controrivoluzione, in netto contrasto, è fedeltà militante. Fedeltà alla verità, alla gerarchia, alla tradizione e a Dio stesso, indipendentemente dal ridicolo, dalla persecuzione o dall’apparente trionfo dell’errore.

Il cattolicesimo tradizionalista è l’essenza stessa della controrivoluzione, l’ultimo e più determinato baluardo contro l’assalto sistematico della Rivoluzione. Non si tratta di un lamento nostalgico per un’epoca perduta, ma di una chiamata alle armi, di una dichiarazione che la controrivoluzione non è passiva, ma attiva, combattiva e inflessibile.

Nell’analisi cattolica tradizionalista, come definita da Plinio Corrêa de Oliveira e altri pensatori tradizionalisti, la “rivoluzione” non è un mero evento politico. È un cancro spirituale, culturale e morale, che si è lentamente diffuso nella società lungo i secoli. Si manifesta in fasi successive di corruzione: la Riforma protestante, che ha infranto l’unità della Chiesa ed elevato il giudizio privato al di sopra dell’autorità divina; la Rivoluzione francese, che ha detronizzato i monarchi cattolici, esaltato l’egualitarismo secolare e ricostituito la società come un campo da gioco dell’ateismo razionalista; la Rivoluzione comunista, che ha radicalizzato l’egualitarismo in un collettivismo omicida, abolendo la proprietà, la fede e la libertà; e la Rivoluzione culturale dell’era moderna, che attacca i fondamenti stessi della natura umana, ridefinendo moralità, sessualità, famiglia e identità. Alla radice di ogni fase ci sono orgoglio e sensualità. L’orgoglio, l’audacia di usurpare l’autorità di Dio; la sensualità, la ribellione contro l’autodisciplina e la legge divina. Insieme, sono i due motori del decadimento sociale, che dissolvono l’ordine stabilito da Dio ed esaltano il caos, la licenziosità e la falsa libertà.

La controrivoluzione non è una reazione timida, né un sentimentale desiderio di tempi passati. È una resistenza consapevole, disciplinata e militante. Cerca di ripristinare la gerarchia riconoscendo Dio come autorità suprema (la Regalità di Cristo), la Chiesa come suo strumento e la società strutturata dalla legge naturale. Difende la tradizione preservando la saggezza accumulata nei secoli contro la novità corrosiva della Rivoluzione. Rafforza la disciplina morale, promuovendo la virtù e combattendo la decadenza scatenata dall’ideologia rivoluzionaria. La controrivoluzione non è mera opposizione al cambiamento; è l’unico vero progresso: il ripristino dell’ordine, la denuncia della falsità come corruzione e l’incrollabile affermazione che la fedeltà alla verità è l’unica via per il progresso dell’umanità.

La Chiesa cattolica è sempre stata il principale ostacolo alla Rivoluzione. Di conseguenza, la Rivoluzione ha cercato fin dall’inizio di corromperla, neutralizzarla o distruggerla. Nell’era moderna questo assalto assume la forma del modernismo e del progressismo. Il modernismo riduce la rivelazione a esperienza soggettiva e capriccio storico. Il progressismo, emerso sulla scia del Concilio Vaticano II, cerca di piegare la Chiesa al mondo moderno, compromettendo il dogma, profanando la liturgia e assecondando il permissivismo. Rimuove il mistero e il sacrificio dalla santa messa, relativizza la pretesa della Chiesa di essere l’unica vera Chiesa e distorce l’insegnamento morale per allinearlo agli ideali decadenti della cultura contemporanea. In effetti, il progressismo è la quarta fase della rivoluzione all’interno della Chiesa stessa: la trasformazione del cattolicesimo in un servo passivo dell’errore mondano.

Il cattolicesimo tradizionalista si pone come una controrivoluzione vivente contro queste forze. Combatte le minacce esterne – liberalismo, secolarismo e comunismo – mentre affronta le sfide interne del modernismo e del progressismo. Questa posizione controrivoluzionaria abbraccia molteplici ambiti: il mantenimento della fedeltà dottrinale per preservare l’immutabilità della verità divina; il mantenimento della continuità liturgica attraverso la messa tridentina che incarna gerarchia, mistero e culto sacrificale; la difesa dell’integrità morale dagli attacchi alla sessualità, alla famiglia e alla legge naturale; l’affermazione della giusta autorità e gerarchia contro l’ideologia egualitaria; e l’impegno nella militanza culturale per proteggere la proprietà, la famiglia e la civiltà cristiana da attacchi prolungati.

Lo spirito controrivoluzionario si oppone alla rivoluzione a ogni livello, sostenendo l’umiltà contro l’orgoglio, la disciplina contro la sensualità, la tradizione contro la novità e la gerarchia contro il caos egualitario. Per i cattolici tradizionalisti, questo spirito trascende la mera teoria: diventa una vocazione vissuta, un impegno quotidiano e militante a incarnare l’ordine, la virtù e la fedeltà, contrastando al contempo la corruzione rivoluzionaria ovunque essa si insinui.

Gli ostacoli sono formidabili. I tradizionalisti sono emarginati, derisi come arretrati, censurati e sempre più criminalizzati da una cultura in guerra con Dio. Le divisioni interne minacciano la coerenza, eppure la controrivoluzione permane, sostenuta dalla certezza che la verità non può mai essere distrutta, ma solo oscurata.

La controrivoluzione è incompleta perché la Rivoluzione è vasta e profondamente radicata. Sebbene si siano verificate alcune vittorie – la resistenza vandeana, la guerra cristera, la sopravvivenza delle monarchie cattoliche – queste sono solo tregue temporanee in una guerra secolare. La Rivoluzione si è infiltrata nella Chiesa, ha rimodellato le istituzioni e ha avvelenato la cultura. La controrivoluzione deve quindi essere altrettanto completa, riformando anime, famiglie e società nella fedeltà a Cristo Re. Non si tratta di una reazione momentanea, ma di una campagna paziente e militante che abbraccia generazioni.

I tradizionalisti sanno che la vittoria finale spetta a Dio. L’attuale incompletezza della controrivoluzione riflette la provvidenza divina: essa avanza attraverso la fedeltà umana in attesa dell’intervento divino. Il suo fondamento poggia su tre pilastri: la difesa intransigente della dottrina e della liturgia; la costruzione di roccaforti cattoliche nelle famiglie, nelle scuole e nelle comunità che incarnano la civiltà cristiana; e il mantenimento della fiducia nel fatto che ogni atto di fedeltà contribuisce alla restaurazione finale. Sebbene incompleta, la controrivoluzione rimane inarrestabile. Questa incompletezza rappresenta la missione, non il fallimento: una vocazione che appartiene a ogni cattolico tradizionalista fino al ritorno glorioso di Cristo per giudicare le nazioni.

Fedeltà militante

È allettante concepire la controrivoluzione solo in termini grandiosi e radicali: eserciti, movimenti, monarchie, battaglie o condanne papali. Eppure, se la Rivoluzione è totale – se si infiltra nella parrocchia, nella famiglia, nella scuola e persino nella coscienza dei battezzati – allora anche la controrivoluzione deve essere totale. Non può rimanere un’astrazione. Deve essere incarnata, vissuta, praticata quotidianamente da anime individuali che si rifiutano di conformarsi al mondo. La controrivoluzione non inizia con grandi proclami, ma con un cattolico che decide di non cedere all’errore.

Vivere da controrivoluzionari significa riconoscere che la neutralità è impossibile. L’individuo si trova su un campo di battaglia, che lo voglia o no. L’aria che respira è avvelenata dal liberalismo; le strade che percorre sono lastricate di ideologie secolari; le leggi che lo governano sono sature di ateismo; e la stessa Chiesa che dovrebbe proteggerlo è infiltrata dal modernismo. Vivere passivamente all’interno di un simile regime significa già arrendersi. Pertanto, il primo passo pratico della vita controrivoluzionaria è la consapevolezza: riconoscere che l’esistenza stessa è diventata un campo di battaglia. Una volta presa questa consapevolezza, il cattolico è chiamato ad armarsi di armi spirituali e a orientare tutta la sua vita alla fedeltà militante.

Preghiera e vita sacramentale


Il primo e più indispensabile atto della controrivoluzione è la vita interiore. Il rosario non è una devozione pittoresca, ma una spada, come la Madonna stessa ha dichiarato a Fatima. La recita quotidiana del rosario, la confessione almeno una volta al mese (e più spesso se necessario) e la ricerca della messa quotidiana quando possibile costituiscono il fondamento della resistenza. La Rivoluzione prospera sull’amnesia spirituale. Separa l’uomo da Dio attraverso la distrazione, il rumore e l’indulgenza. Il controrivoluzionario resiste creando un ritmo di preghiera che scandisca la sua giornata, santifichi il suo tempo e lo tenga all’erta contro le tentazioni.

Bisogna quindi rifiutare le liturgie banalizzate dell’establishment modernista e aggrapparsi alla santa messa tridentina o ad altri riti tradizionali in cui riverenza, gerarchia e sacrificio rimangono intatti. Partecipare alla messa antica non è nostalgia, è sopravvivenza. Nel sacro silenzio del canto gregoriano, nello sguardo del sacerdote e del popolo rivolto a oriente il controrivoluzionario reimpara a conoscere il vero ordine: Dio in alto, l’uomo in basso, il sacerdote come mediatore, l’altare come asse dell’universo. Inginocchiarsi alla liturgia tradizionale significa essere rieducati alla fedeltà e alla gerarchia, anche se la Rivoluzione all’esterno reclama a gran voce il caos egualitario.

La famiglia come fortezza


La Rivoluzione sa che se riesce a corrompere la famiglia ha conquistato la società. Da qui il suo implacabile attacco al matrimonio, alla sessualità e all’educazione dei figli. Il controrivoluzionario tratta quindi la sua famiglia come una fortezza di fedeltà. Il padre deve assumere il ruolo di capo e protettore, guidando la famiglia nella preghiera, difendendo la purezza e governando con carità e fermezza. La madre deve santificare la sfera domestica, coltivando una cultura di ordine, bellezza e sacrificio. Insieme, i genitori devono educare i figli alla vigilanza: non consumatori passivi del veleno rivoluzionario, ma soldati di Cristo che conoscono la loro fede, la amano e sanno difenderla.

Ciò richiede scelte radicali. Le famiglie cattoliche devono spesso rifiutare l’istruzione pubblica, dove l’indottrinamento è inevitabile, e devono abbracciare l’istruzione parentale o accademie cattoliche affidabili che rifiutano i compromessi modernisti. Devono proteggere le loro case dall’infiltrazione della pornografia, del consumismo e della propaganda laica, poiché queste sono le armi della Rivoluzione che puntano direttamente all’innocenza dei loro figli. Devono coltivare usanze – il rosario in famiglia, la penitenza del venerdì, le celebrazioni delle feste – che intreccino il cattolicesimo nel tessuto stesso della vita quotidiana. La casa non deve essere un pallido riflesso del mondo, ma la sua antitesi. Un avamposto visibile della controrivoluzione, una piccola cristianità che resiste ai colpi delle tempeste rivoluzionarie.

Lavoro e vocazione come testimonianza

Il controrivoluzionario non può limitare la sua fedeltà alla sfera privata. Il suo lavoro, la sua vocazione, i suoi rapporti pubblici: tutto deve rendere testimonianza alla verità. Sul posto di lavoro si rifiuta di ripetere gli slogan degli ideologi della diversità o di inchinarsi agli idoli dell’umanesimo laico. Non mentirà per mantenere la sua posizione, né celebrerà la perversione per conservare il suo stipendio. Sa che scendere a compromessi con l’errore è tradimento e che a volte la fedeltà gli costerà cara: promozioni perse, carriere bloccate, forse persino il licenziamento. Eppure questa perdita è una vittoria, perché essere considerati inadatti a un sistema corrotto significa essere marchiati come fedeli a Cristo.

Coloro che sono chiamati al sacerdozio o alla vita religiosa portano un fardello ancora più pesante. I monaci che mantengono le loro antiche osservanze, le monache che vivono i loro voti di clausura con integrità, i sacerdoti che custodiscono la messa tridentina e predicano la dottrina integrale senza mutilazioni: questi sono gli ufficiali dell’esercito controrivoluzionario. La loro fedeltà rafforza i laici; la loro perseveranza dimostra che la tradizione non è morta. Anche i laici, uomini e donne, nei loro mestieri e professioni, diventano soldati per il loro rifiuto di piegarsi. Ogni onesto lavoratore, ogni insegnante intransigente, ogni uomo d’affari di sani principi diventa un combattente in prima linea.

Cultura, estetica e abitudini quotidiane

La Rivoluzione non è solo dottrinale, è culturale. Combatte usando la bruttezza, la volgarità e il disordine. Il controrivoluzionario, quindi, combatte anche nei piccoli dettagli della vita. Rifiuta le mode che glorificano l’immodestia, i discorsi che riecheggiano la sporcizia e l’intrattenimento che esalta il peccato. Si circonda di bellezza: arte sacra, musica nobile, letteratura che eleva anziché degradare. La sua casa diventa un’enclave di cultura cattolica in cui le immagini sacre sostituiscono le astrazioni moderniste, gli inni sostituiscono il rumore pop e la conversazione sostituisce la distrazione insensata.

Capisce che l’estetica non è neutrale. La liturgia banale produce una fede banale; la città brutta produce anime brutte. Pertanto il controrivoluzionario coltiva cortesia, dignità e disciplina nei modi. Non si lascia influenzare dal ghigno di chi dice che queste cose sono “antiquate”. Sa che sono armi. Piccoli ma potenti atti di resistenza che proclamano silenziosamente la verità dell’ordine contro il caos della volgarità egualitaria.

Militanza nella sfera pubblica

Il controrivoluzionario non può sparire nell’ombra. Anche se in inferiorità numerica, deve scendere in piazza. Sostiene scuole, apostolati e pubblicazioni tradizionaliste. Protesta contro la profanazione della vita, la profanazione del matrimonio, le bestemmie commesse in nome dell'”arte”. Si rifiuta di usare i pronomi dell’illusione o il linguaggio delle menzogne ​​rivoluzionarie, anche se il prezzo è l’esilio sociale o una sanzione legale. Il silenzio di fronte al male è complicità. Perciò fa sentire la sua voce, anche se è una sola contro la folla urlante.

Il controrivoluzionario non si lascia ingannare pensando che solo la politica possa restaurare la cristianità. Le urne non sono il trono di Cristo Re. Eppure sa che la testimonianza pubblica, per quanto minima, impedisce alla Rivoluzione di rivendicare la vittoria totale. Rifiutare, resistere, contraddire, anche a costo di pagare un prezzo: questa è la sua forma di combattimento. Ha la certezza che la verità non si misura con i numeri e la fedeltà non si misura con il successo mondano.

Disciplina e ascetismo

La Rivoluzione prospera sull’indulgenza. Rende schiavi della gola, della lussuria e dell’accidia, per poi deriderli come impotenti. Il controrivoluzionario risponde con l’ascetismo. Digiuna il venerdì, mortifica i sensi, frena gli appetiti e domina le passioni. Evita le insidie ​​della pornografia, dell’ubriachezza e del lusso. Abbraccia la penitenza, perché sa che senza autocontrollo non c’è resistenza.

La disciplina è la sua arma. Lo mantiene vigile dove gli altri sono intorpiditi, libero dove gli altri sono schiavi. La sua gioia non deriva dall’indulgenza, ma dall’ordine. Il rivoluzionario insegue il piacere e finisce nella disperazione; il controrivoluzionario abbraccia il sacrificio e trova la libertà. Il suo corpo, la sua anima, il suo tempo, la sua parola: tutto è sottomesso al dominio di Cristo.

Perseveranza nell’isolamento

Vivere in questo modo significa essere derisi, esclusi, persino odiati. Le famiglie saranno chiamate estremiste; i preti saranno puniti dai loro vescovi; i giovani cattolici saranno ridicolizzati dai loro coetanei. Eppure il controrivoluzionario accetta l’isolamento come prezzo della fedeltà. Non brama applausi, ma sopporta con pazienza, sapendo che non combatte da solo, ma con la comunione dei santi.

La storia testimonia questo paradosso. I vandeani massacrati nei loro campi, i cristeros impiccati in silenzio, i preti che sussurravano la messa in stanze nascoste: tutto questo sembrava fallimento. Ma la fedeltà non è mai un fallimento. Il loro sangue ha irrigato i semi della futura resistenza. Così anche oggi: ogni atto controrivoluzionario, anche se invisibile, anche se disprezzato, contribuisce al trionfo finale.

Fiducia nella vittoria

Infine, il controrivoluzionario vive con una speranza indomabile. Osserva un mondo che sprofonda nell’apostasia e sa che, umanamente parlando, la Rivoluzione è radicata, potente e apparentemente invincibile. Ma conosce anche la promessa della Madonna: “Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà”. Non combatte nella disperazione, ma nella fiducia. Il suo compito è la fedeltà. La vittoria appartiene a Dio.

Questa speranza trasforma la sua lotta. Non combatte con amarezza, ma con coraggio soprannaturale. È militante ma sereno, inflessibile ma pacifico, perché conosce l’esito. La sua vita, per quanto piccola possa sembrare, è intessuta nell’arazzo della Provvidenza. Ogni rosario recitato, ogni tentazione respinta, ogni bambino formato nella verità, ogni messa ascoltata con riverenza: sono tutti mattoni nell’edificio della cristianità restaurata.

Il singolo controrivoluzionario, quindi, non è un anonimo spettatore della storia, ma un soldato nell’unica guerra che conta. Potrebbe non vedere mai la vittoria con i propri occhi, ma vive e muore fiducioso che la fedeltà stessa sia il trionfo.

radicalfidelity





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