domenica 31 agosto 2025

Il Vaticano ospiterà il terzo incontro della Fraternità Mondiale "irreligiosa"



Vedremo modo in cui Papa Leone gestirà l'evento, che si basa su uno dei temi chiave di Papa Francesco.
"Il primo Incontro Mondiale sulla Fratellanza Umana si è tenuto nel giugno 2023 e ha previsto un evento con una partecipazione di massa, che si è rivelato un clamoroso fiasco. 
L'evento era stato presentato come un modo per dimostrare che "la fratellanza umana è possibile", con il Vaticano che aveva dichiarato in anticipo che l'evento avrebbe "dato visibilità e sostegno al sogno di Papa Francesco di una famiglia umana globale che viva relazioni di dialogo, solidarietà e giustizia". 
Artisti rap e ballerini si sono esibiti davanti a un pubblico deludente, prima che il Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin firmasse con altri leader una “Dichiarazione sulla fratellanza umana” che non faceva alcun riferimento a Cristo, Dio o al cattolicesimo".
Luigi C.



Pubblicato su MiL il 31 agosto 2025



Michael Haynes, Per Mariam, 26 agosto 2025

( PerMariam ) — Il mese prossimo avrà luogo in Vaticano la terza istituzione di un incontro volto a promuovere la fratellanza ecumenica, e sarà la prima tenuta sotto Papa Leone.

Dal 12 al 13 settembre, l' Incontro Mondiale sulla Fratellanza Umana si terrà in diverse sedi di Roma e in Vaticano. Le precedenti edizioni dell'evento si sono distinte per la scarsa attenzione alla religione e per una risposta particolarmente laica alle crisi globali, nonostante fosse promosso dalla Santa Sede.

L'evento è un progetto congiunto della Basilica di San Pietro, della Fondazione Fratelli Tutti e dell'Associazione Be Human.

Con il tema “BeHuman”, l’evento si propone di “riflettere insieme su cosa significhi essere umani oggi, in un’epoca segnata da conflitti, solitudine, nuove forme di povertà, crisi ambientali e sfide legate al progresso tecnologico”.

«È un'occasione di dialogo, di condivisione di esperienze e, a partire dalla fraternità, di costruzione di nuovi cammini di speranza e di responsabilità condivisa», affermano in dettaglio gli organizzatori.

Venerdì 12 settembre si terranno 15 “Tavoli tematici” in diversi centri di Roma, tra cui il Campidoglio, la FAO presso le Nazioni Unite, la sede dell’UE e gli edifici governativi romani.

Gli argomenti di discussione includeranno i seguenti:

Agricoltura; Ambiente e Sostenibilità; Amministratori Locali; Arte e Letteratura; Infanzia; Economia e Finanza; Istruzione; Formazione Politica; Imprese; Informazione; Intelligenza Artificiale; Lavoro; Salute; Sport; Terzo Settore.

In particolare, non è previsto alcun tavolo di discussione sulla religione.

Per spiegare la motivazione di questa discussione, gli organizzatori hanno affermato:

Sarà un'occasione unica per mettere in rete idee, esperienze e buone pratiche, con l'obiettivo di dare concretezza ai valori della fraternità e costruire insieme nuove prospettive per il futuro.

«L’esperienza delle Tavole ci aiuta a incontrarci e ad ascoltarci, a conoscerci e riconoscerci», ha affermato il cardinale Mauro Gambetti, arciprete della Basilica di San Pietro.

Ha aggiunto:

Riscoprire la fraternità e scegliere parole e azioni radicate nella nostra comune umanità può infondere significato e valori nella vita di istituzioni e aziende, ospedali e centri sportivi... fino all'intelligenza artificiale. Il mondo ha bisogno di una nuova "Alleanza dell'Umanità" e di scrivere insieme una nuova grammatica della fraternità; come ci ha ricordato Papa Leone XIV nella sua prima udienza: "Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani".

Anche la sera del 13, la fraternità sarà al centro dell'attenzione, raccontata attraverso il linguaggio universale della musica e le storie di chi ne ha fatto una scelta di vita. Un evento giubilare per diffondere la grazia in tutto il mondo.

Questa assenza di discussione religiosa nelle tavole rotonde è significativa, poiché sono specificamente progettate per “esplorare il significato dell’essere umano oggi, raccogliere le migliori pratiche e identificare azioni concrete da promuovere nei rispettivi campi”.

Esaminare le questioni dell'identità e dello scopo umano senza fare riferimento alla religione, soprattutto in un evento sponsorizzato dagli organi ufficiali della Chiesa cattolica, è un'operazione degna di nota e controversa.

La seconda giornata si baserà sul lavoro della precedente e sarà caratterizzata da uno stile di “cammino sinodale” che cercherà di coinvolgere “comunità di tutto il mondo per riconoscere e illuminare ‘cosa significa essere umani oggi’”.

Riunirà personalità sia laiche che religiose, tra cui premi Nobel e alti funzionari del Vaticano, prima del culmine del fine settimana, più tardi quella sera, in Piazza San Pietro.

Il programma della serata prevede "una celebrazione internazionale della fraternità" con artisti musicali provenienti da tutto il mondo che si esibiranno sui gradini del Vaticano. Saranno presenti personaggi come l'artista pop Pharrell Williams, John Legend, Andrea Bocelli, il coro della Diocesi di Roma e ci sarà persino uno spettacolo di droni.

"L'evento sarà il culmine di due giorni di iniziative spirituali e culturali, fungendo da piattaforma multimediale per celebrare un grande 'abbraccio umano' simbolico, il potere della fraternità e l'impegno condiviso per preservare il Creato", scrivono gli organizzatori.

Non viene fatto alcun riferimento specifico al cattolicesimo o ad eventi costruiti attorno ad elementi religiosi.

L'evento, e in effetti molte iniziative simili precedenti, nasce dall'enciclica Fratelli Tutti di Papa Francesco del 2020. Il testo è elogiato da molti in Vaticano, ma i critici sostengono ampiamente che promuova l'indifferentismo religioso, evidenziando il tema del "dialogo" a scapito del primato della fede cattolica.

Dopo la pubblicazione, Fratelli Tutti è stata accolta con favore dalla Loggia massonica spagnola, che ha dichiarato che si trattava di “l’ultima enciclica” di Papa Francesco in cui egli “abbraccia la Fraternità Universale, il grande principio della Massoneria moderna”.

Secondo lo storico della Chiesa Roberto de Mattei, quando la “fraternità” si separa dalla carità cristiana, “lungi dal costituire un elemento di coesione nella società”, “diventa la fonte della sua disgregazione”. Egli sosteneva che “se gli uomini, in nome della fraternità, sono costretti a vivere insieme senza un fine che dia senso al loro senso di appartenenza, l'arca diventa una prigione”.

Il 1° Incontro Mondiale sulla Fratellanza Umana in Vaticano nel 2023.

Il primo Incontro Mondiale sulla Fratellanza Umana si è tenuto nel giugno 2023 e ha previsto un evento con una partecipazione di massa, che si è rivelato un clamoroso fiasco . L'evento era stato presentato come un modo per dimostrare che "la fratellanza umana è possibile", con il Vaticano che aveva dichiarato in anticipo che l'evento avrebbe "dato visibilità e sostegno al sogno di Papa Francesco di una famiglia umana globale che viva relazioni di dialogo, solidarietà e giustizia".

Artisti rap e ballerini si sono esibiti davanti a un pubblico deludente, prima che il Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin firmasse con altri leader una “Dichiarazione sulla fratellanza umana” che non faceva alcun riferimento a Cristo, Dio o al cattolicesimo.

Sebbene l'evento del 2023 sia stato un insuccesso, l'edizione del 2024 si è tenuta a porte chiuse, senza possibilità di partecipazione per il pubblico. Tuttavia, quest'anno è possibile registrarsi per partecipare.

Papa Leone XIV è stato recentemente elogiato dal cardinale Raymond Burke per il suo approccio cristocentrico nei primi giorni del suo pontificato.

Poiché la fraternità interreligiosa e Fratelli Tutti sono tra le più grandi eredità che ha ereditato da Papa Francesco, resta ora da vedere quale priorità Leone darà a questi temi e se inserirà in essi più cattolicità rispetto al suo predecessore.










sabato 30 agosto 2025

Come la Rivoluzione ha conquistato la Chiesa dall’interno





Il fumo di Satana

Pubblicato 29 agosto 2025




Fu vera riforma o un cedimento allo spirito del mondo? Le radici di un dibattito che continua ancora oggi.




di Don Mario Proietti, 29-08-2025

Iniziamo il nostro percorso entrando nel vivo della storia. Dopo aver tracciato le linee generali della crisi ecclesiale, vogliamo tornare a uno degli episodi che più chiaramente mostrano come certi fermenti abbiano iniziato a minare la vita della Chiesa molto prima del Concilio Vaticano II.

Come spesso accade, la Chiesa si trovò a precorrere i tempi. Prima ancora che la Rivoluzione francese scoppiasse a Parigi abbattendo la monarchia e con essa l’idea stessa che il potere fosse espressione della volontà di Dio e da Lui benedetto, già un’altra rivoluzione aveva preso forma all’interno della Chiesa. Non con ghigliottine e barricate, ma con decreti sinodali e proposte di riforma radicale: quella del Sinodo di Pistoia del 1786.

Convocato dal vescovo Scipione de’ Ricci, con l’appoggio del granduca Pietro Leopoldo, quel Sinodo volle “aggiornare” la Chiesa secondo i criteri dell’Illuminismo. In esso si anticiparono idee che sarebbero poi esplose nella società civile: riduzione del sacro a ciò che è utile e razionale, sospetto verso le forme popolari di devozione, rivendicazione dell’autonomia delle comunità locali rispetto all’autorità centrale. In altre parole, una vera e propria “rivoluzione francese in seno alla Chiesa”, che Pio VI condannerà pochi anni dopo con la bolla Auctorem fidei (1794).

Parlarne oggi è importante perché ci aiuta a capire che la crisi non nasce negli anni Sessanta, ma covava da secoli e che riaffiorarono sotto altre forme nell’Ottocento e nel Novecento. Conoscere le radici significa evitare letture superficiali e ideologiche: non è il Concilio in sé il colpevole, ma un terreno già segnato da due secoli di tensioni tra fede e modernità.

Alla fine del Settecento la Chiesa si trovava in un contesto scosso da forze nuove e aggressive. L’Illuminismo avanzava con le sue istanze di razionalizzazione, il giurisdizionalismo statale pretendeva di controllare la vita ecclesiale, mentre il giansenismo manteneva viva una tensione rigorista che penetrava anche nei seminari e nelle diocesi.

In Austria l’imperatore Giuseppe II impose i cosiddetti “seminari generali”, sotto controllo statale, con il chiaro intento di sottrarre al Papa la formazione del clero. In Toscana il granduca Pietro Leopoldo appoggiò le riforme ecclesiastiche del vescovo di Pistoia e Prato, Scipione de’ Ricci (1741–1810), che diventerà il principale promotore del Sinodo.

Ricci si presentava come erede di Lodovico Antonio Muratori, con la sua critica alle devozioni popolari e il tentativo di epurare la religione da elementi giudicati superstiziosi. Ma il suo progetto aveva assorbito forti influssi giansenisti e febroniani: la riduzione della liturgia a semplice catechesi, la marginalizzazione della devozione mariana e dei santi, l’idea di una Chiesa federale fatta di comunità locali poco legate a Roma.

Così dal 18 al 28 settembre 1786 si celebrò il Sinodo di Pistoia. Tra le decisioni che furono prese troviamo alcune proposte che, rilette oggi, mostrano chiaramente l’orientamento che lo animava.

Anzitutto, l’uso della lingua volgare nella liturgia. Non si trattava di una semplice traduzione per favorire la partecipazione dei fedeli, come sarebbe stato discusso due secoli dopo al Vaticano II, ma di una scelta ideologica: il latino era visto come un residuo del passato da eliminare, un ostacolo da abbattere più che un patrimonio da custodire.

Un secondo punto fu la forte limitazione del culto dei santi e delle immagini sacre. Tutto ciò che esprimeva la pietà popolare, processioni, feste, devozioni, reliquie, veniva considerato superstizione. Il Sinodo puntava a una religione più “razionale”, spogliata di quegli elementi che invece avevano nutrito per secoli la fede semplice del popolo.

(FONTE)






Ecco perché il demonio odia così tanto il Rosario




Posted By: admin 30 Agosto 2025


1. Il demonio odia il Rosario perché lo scaccia. Punto. Ovviamente la ragione sta nel fatto che con il Rosario ci si lega all’Immacolata; e-sappiamo- Ella è colei che, per volere della Provvidenza, è stata investita ad essere la più acerrima nemica del demonio: Io porrò inimicizia tra te e e la Donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe. Tu le insidierai il calcagno, ma Ella ti schiaccerà la testa (Genesi 3).

2. Leggiamo cosa dice san Luigi Grignon de Monfort nel suo Il segreto ammirabile del Santo Rosario, al numero 108: “I demoni (…) temono infinitamente il Rosario. San Bernardo dice che il saluto angelico dà loro la caccia e fa fremere tutto l’inferno. Il beato Alano assicura di aver visto molte persone, le quali si erano consegnate al diavolo corpo ed anima, rinunciando al battesimo e a Gesù Cristo, liberate dalla sua tirannia dopo aver abbracciato la devozione del santo Rosario”. Ovviamente per motivi cronologici san Luigi Grignon non poteva alludere, tra i personaggi salvati dal Rosario, anche il beato Bartolo Longo (colui a cui si deve il santuario di Pompei), il quale fu dal Rosario salvato salvato da una durissima ossessione demoniaca.

3. Perché il demonio odia profondamente il Rosario, si spiegano i suoi feroci attacchi a chi si dedica a questa pia pratica. Scrive sempre san Luigi Grignon de Monfort al numero 147 de Il segreto ammirabile del santo Rosario: “Se tu vuoi, caro confratello del Rosario, cominciare a servire Gesù e Maria recitando il Rosario quotidianamente, prepara la tua anima alla tentazione”. E al numero 150 dello stesso libro: “(…) il Rosario quotidiano ha così numerosi nemici che io considero come uno dei più segnalati favori di Dio la grazia di perseverarvi fino alla morte.

4. Da qui anche l’attacco del demonio non solo a chi recita il Rosario, ma anche verso chi lavora per diffonderlo. Ancora san Luigi Grignon de Monfort, al numero 28 del libro già citato: “Il demonio, geloso dei grandi frutti che il beato Tommaso di Saint-Jean, celebre predicatore del santo Rosario, faceva per mezzo di questa pratica, lo ridusse, con i suoi cattivi trattamenti, ad una lunga e terribile malattia, considerata disperata dai medici. Una notte in cui egli credeva di dovere certamente morire, il demonio gli apparve in aspetto spaventoso; ma elevando devotamente gli occhi e il cuore verso un’immagine della Santa Vergine che era presso il suo letto, gridò con tutte le sue forze: ‘Aiutatemi, soccorretemi, o mia dolcissima Madre!’. Appena ebbe finite queste parole, ecco che la Santa Vergine gli tese le mani dalla santa immagine e gli serrò le braccia dicendogli: ‘Non temere, Tommaso, figlio mio, eccomi al tuo soccorso; alzati e continua a predicare la devozione del mio Rosario come hai cominciato. Io ti difenderò contro tutti i tuoi nemici’. A queste parole della Santa Vergine, il demonio prese la fuga. Il malato si alzò in perfetta salute, e rese grazie alla sua buona Madre con un torrente di lacrime, e continuò a predicare il Rosario con un successo meraviglioso”.







venerdì 29 agosto 2025

Ponti verso il nulla. La Chiesa “in uscita” è ancora qui.




29 ago 2025

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by Aldo Maria Valli

Quattro esempi

di Chris Jackson

Atto I. Il sinodo arcobaleno di Madrid senza sinodo

L’arcivescovo di Madrid José Cobo ha accolto calorosamente la Rete globale dei cattolici arcobaleno, una coalizione di vari gruppi di attivisti il cui messaggio è inequivocabile: “I diritti LGBTQ sono diritti umani e ogni cristiano dovrebbe difenderli”. In altre parole, la missione soprannaturale della Chiesa deve essere subordinata all’antropologia dei valori inventati dalle Nazioni Unite.

Uno dei protagonisti, padre James Alison, è un prete apertamente omosessuale ridotto allo stato laicale per aver rifiutato l’obbedienza. Francesco lo incoraggiò personalmente, nel 2017, dicendogli che aveva il “potere delle chiavi”: una singola telefonata che ha causato più danni di quanto qualsiasi chiarimento della Dottrina della fede potrebbe mai riparare. Ma ora, sotto il regno di Leone, la lobby arcobaleno non ha nemmeno bisogno delle telefonate papali.

La gerarchia spagnola, da tempo laboratorio di progressismo, ha trasformato il dissenso in una forma di comunione. Una volta “costruiti ponti”, a quanto pare l’unica direzione in cui conducono è quella di allontanarsi dalla dottrina cattolica.

Atto II. La parrocchia di Denver si ribella al Vangelo

A Denver, don Daniel Ciucci è sotto assedio. Il suo crimine? Predicare sul peccato, l’inferno, il precetto domenicale e rimuovere l'”arte femminista” da una scuola parrocchiale. Settecentocinquanta parrocchiani scontenti hanno firmato una petizione accusandolo di minare la loro “sicurezza psicologica”.

Fermiamoci un attimo. Viviamo in un’epoca in cui i laici applaudono gli attivisti LGBTQ a Madrid, ma si ribellano a un prete che li mette in guardia dal giudizio. Il “Denver Post”, com’era prevedibile, ha inquadrato la situazione come una battaglia tra il clericalismo pre Vaticano II, “fuoco e zolfo”, e lo “spirito di accoglienza” del Vaticano II. In realtà, si tratta semplicemente di un prete che crede ancora che le anime vadano all’Inferno e si scontra con parrocchiani che credono che la Chiesa sia una terapia di gruppo con vetrate colorate.

L’ironia è che l’arcivescovo Aquila ha difeso il sacerdote, rivelando quanto si sia spostato il centro. Un’omelia intitolata “Perché l’inferno è accogliente” è scioccante perché l’inferno è stato bandito dal catechismo modernista. I laici di Denver sono scandalizzati non dal peccato, ma dalla sua menzione.

Atto III. Il vescovo di Leone per gli adulteri


Leone XIV ha appena nominato il cappuccino padre Pedro Cesário Palma vescovo di Jardim, in Brasile. La fama di Palma non risiede nella santità, nella brillantezza teologica o nello zelo missionario. È dovuta al suo decennale “ministero della seconda unione”, in cui le coppie adultere vengono accolte, integrate e incoraggiate a rimanere esattamente dove sono.

Molto prima di “Amoris laetitia”, Palma esponeva striscioni che invitavano gli adulteri alla comunione senza pentimento. Nel 2011 organizzava ritiri spirituali per coppie divorziate e risposate, permettendo loro di unirsi a cori, programmi di catechismo e consigli parrocchiali.

Non è un caso. Leone sta mostrando la sua strategia episcopale: i vescovi non saranno scelti per la fedeltà alla dottrina, ma per la loro applicazione creativa della scuola di realismo pastorale di Bergoglio. L’ascesa di Palma è la prova che l'”ospedale da campo” non cura più le ferite, le normalizza.

Atto IV. Il mondo ecumenico dei sogni di Stoccolma

Il messaggio di Leone alla Settimana ecumenica di Stoccolma può sembrare pio, ma sotto la retorica si cela il vero motore della rivoluzione postconciliare: l’ecumenismo fine a sé stesso. Il papa elogia Nicea, ma allo stesso tempo elogia la conferenza protestante di Söderblom del 1925, dove la dottrina fu esplicitamente minimizzata a favore del “cristianesimo pratico”.

La frase “il servizio unisce” è diventata da allora il mantra del movimento ecumenico. La fede non unisce più; lo fanno le mense popolari. La Croce non unisce più; lo fa l’attivismo sociale. Ciò che è iniziato al Concilio Vaticano II con “Unitatis redintegratio” è maturato in una teologia della fraternità orizzontale in cui la verità è relativizzata.

Il messaggio di Leone dice a luterani, anglicani e ortodossi che “ciò che ci unisce è molto più grande di ciò che ci divide”. Questo è evidentemente falso. Se l’Eucaristia, il primato papale, i dogmi mariani e la legge morale sono semplici “divisioni”, allora l’unità si riduce a vaghi buoni sentimenti.

Il filo che lega: una Chiesa senza centro

Che si tratti degli attivisti arcobaleno di Madrid, dei parrocchiani di Denver, delle coppie adultere in Brasile o dei protestanti di Stoccolma, il messaggio è lo stesso: la Chiesa post-Vaticano II non ha più la forza di dire “no”. Ogni confine è poroso, ogni dottrina negoziabile, ogni peccato riformulato come un “percorso di apertura”.

La “perdita di sicurezza psicologica” a Denver è solo l’immagine speculare della “gioia di costruire ponti” a Madrid. Entrambe danno per scontato che la Chiesa esista per convalidare i sentimenti dei laici. Le nomine episcopali di Leone e la diplomazia ecumenica non fanno che confermare questo schema: la rivoluzione non ha freni, perché i freni sono stati smantellati molto tempo fa.

La tragedia non è che i cattolici moderni siano divisi. La tragedia è che così pochi riescano anche solo a immaginare la Chiesa com’era: una madre che insegnava con autorità, disciplinava i suoi figli e chiamava i peccatori al pentimento, non a una riunione di comitato.

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bigmodernism.substack.com





giovedì 28 agosto 2025

La società nasce dalla famiglia, ma la famiglia nasce dal matrimonio



(Foto: Gari Melchers, Public domain, via Wikimedia Commons)


[Articolo pubblicato su “La Bussola mensile” del mese di giugno 2025].



Di Stefano Fontana, 28 ago 2025

Di norma si sente spesso dire che la società nasce dalla famiglia, che ne è la cellula. Ma la famiglia da cosa nasce? Dal matrimonio, e questo non si sente spesso dire. Leone XIII, nelle sue encicliche sociali e soprattutto nella Arcanum divinae sapientiae (come del resto Pio XI nella Casti connubi), ha insegnato che il matrimonio è alla base della famiglia e quindi della società intera. Per matrimonio egli intendeva il matrimonio religioso e sosteneva che pretendere di escludere dal matrimonio la dimensione religiosa comporta inevitabilmente che esso lungo il tempo perda gli stessi suoi caratteri naturali. Per questo quel Papa, reclamava il dovere/diritto della Chiesa di detenere la suprema ed unica potestà legislativa sul matrimonio, rifiutando che questa fosse assunta dallo Stato. Egli diceva questo proprio quando gli Stati moderni e liberali cominciavano ad approvare leggi sul matrimonio civile e sul divorzio. Leone non ammetteva che il matrimonio civile fosse equiparato al matrimonio religioso e sosteneva che tolto il fondamento religioso, anche un presunto matrimonio naturale non sarebbe durato granché. Ed infatti la storia successiva conferma queste sue preoccupazioni. Non ci si è fermati al matrimonio civile, si è passati al divorzio oggi ammesso in (quasi) tutti gli Stati del mondo, quindi si è giunti al riconoscimento delle coppie di fatto eterosessuali e poi delle unioni civili omosessuali e il declino non è ancora giunto al termine.

Cos’è il matrimonio e perché è alla base della società? Il matrimonio è un patto pubblico indissolubile e aperto alla vita tra un uomo e una donna con il quale i due si promettono amore e fedeltà reciproca, si impegnano ad aiutarsi e a santificarsi durante tutta la vita, curando l’allevamento e l’educazione dei figli. Il matrimonio è un patto pubblico e non privato perché da esso nasce la famiglia che è una realtà sociale e sorgono impegni che superano di gran lunga l’ambito privato, come la generazione e l’educazione dei figli. L’esercizio della sessualità e la procreazione sono certamente fatti intimamente personali, ma hanno anche un significato sociale dato che incrementano la società e i figli di oggi saranno i cittadini di domani. Questa natura pubblica del matrimonio giustifica il riconoscimento della sua natura e dei suoi effetti giuridici e politici. Non comporta però che l’autorità politica eserciti un potere assoluto o principale nei confronti della famiglia, significa invece il contrario, ossia che l’autorità politica debba intendersi a servizio della famiglia nata dal matrimonio, difendendola e promuovendola. Le convivenze di fatto non hanno questo significato pubblico, né tantomeno le unioni civili di varia natura. Queste sono relazioni private e temporanee che non possono pretendere riconoscimenti pubblici. Se lo fanno cadono in evidente contraddizione: non si assumono nessun impegno pubblico ma vogliono essere riconosciute pubblicamente.

Il matrimonio, come abbiamo visto sopra, è una unione tra un uomo e una donna. Perché solo tra un uomo e una donna? Perché il matrimonio richiede una complementarità naturale, una integrazione reciproca fondata su una vocazione naturale, ossia indisponibile agli stessi due coniugi. Se così non fosse, il matrimonio non farebbe nascere nessuna “realtà” nuova ma sarebbe un semplice accostamento strumentale, pur con le migliori intenzioni, tra due individui che risulterebbero contigui tra loro ma non veramente uniti. L’espressione detta da Gesù “saranno due in una carne sola” ha un significato soprannaturale ma anche naturale. Nasce qui anche il carattere della indissolubilità. Se tra i due ci fosse solo un accostamento reciproco si potrebbe dire che c’è una “coppia” nel senso di 1 + 1, come quando diciamo “una coppia di arance”, ma non una coppia nel senso di qualcosa di superiore ai due componenti, come invece accade col matrimonio. Questa nuova realtà, essendo indisponibile agli stessi due coniugi, non può essere sciolta una volta istituita, essi non he hanno la capacità perché i due coniugi sono resi tali dal matrimonio, essi non lo hanno nella loro disponibilità operativa perché non i coniugi fanno il matrimonio ma il matrimonio fa i coniugi. La coniugalità è un dono ricevuto e non prodotto.

Visto in questo modo realistico e naturale, il matrimonio non può esserci tra due persone dello stesso sesso. Queste mancano della complementarità, ossia del completarsi a vicenda secondo un progetto indisponibile agli stessi due, oltre a mancare della apertura alla vita su cui tornerò tra poco. La diversità fisica e sessuata dell’uomo e della donna non è qualcosa di strumentale e diversamente utilizzabile. Il corpo è un linguaggio e la diversità sessuata esprime un progetto che nel caso dell’eterosessualità è di completamento reciproco, mentre nel caso dell’omosessualità è di somma ripetitiva. È drammatico che oggi non si riesca più a vedere nella diversità/polarità fisica maschio/femmina un progetto naturale sulle persone e sulla vita relazionale. Il corpo, così, viene considerato uno strumento a disposizione dei nostri usi, qualsiasi essi siano, con la qual cosa, però, non si può più dire che noi siamo (anche) il nostro corpo, ma solo che abbiamo un corpo. Questa visione non corrisponde alla corretta antropologia naturale e cristiana. Sul piano naturale l’antropologia filosofica ci dice che siamo anime incarnate, quindi il corpo fa parte del nostro essere e non è solo uno strumento, sul piano soprannaturale l’antropologia teologica ci dice che il nostro corpo è destinato alla gloria, e quindi non può essere uno strumento che si adopera indifferentemente.

La relazione tra due persone omosessuali non è procreativa. Già questo dice quanto essa sia innaturale. A meno di sostenere che l’apertura alla vita non sia una condizione perché si abbia un vero matrimonio. Anche molti teologi cattolici oggi sostengono che il fine del matrimonio è l’unità dei coniugi e non la procreazione. Se passa questa idea, allora anche due persone omosessuali possono essere ritenute adatte al matrimonio. Bisogna quindi tenere per fermo che l’apertura alla vita è indispensabile per il matrimonio. Il motivo è che senza questo elemento anche quelli della complementarità, dell’unità e della cura reciproca vengono meno. Senza apertura alla vita l’attività sessuale diventa una strumentalizzazione reciproca, anche se consensuale. Bisogna allora recuperare il tradizionale insegnamento che il primo fine del matrimonio sono i figli, da questo dipende anche l’altro fine dell’unità tra i coniugi. Qui si entra, tra l’altro, nel campo etico della contraccezione. L’uso di strumenti contraccettivi trasforma la relazione sessuale da vocazione a strumentalizzazione, dato che l’intenzione è focalizzata non sul bene dell’azione in sé ma sui suoi effetti, in questo caso per impedirli.

Tornando al matrimonio e alla famiglia come cellula della società, bisogna dire che il matrimonio produce società e socialità. Che produca società dipende dal fatto che è aperto alla vita e con la procreazione fa nascere nuovi componenti della società, appunto i figli. Se ci fossero solo coppie omosessuali, la società si estinguerebbe. Che produce socialità significa che crea relazione, accoglienza, solidarietà, rispetto reciproco, capacità di vivere insieme in modo non conflittuale.. La socialità ha origine nel matrimonio, nella prima accoglienza reciproca non motivata dall’utile ma dalla gratuità tra due persone complementari capaci di arricchirsi a vicenda secondo una regola indisponibile. Se la socialità non fosse presente in questo primo momento come potrebbe poi esserlo nella più ampia vita sociale?

Alla base della società non stanno le persone, stanno le famiglie e la prima famiglia è quella dei due coniugi arricchita poi dalla prole. Il personalismo, anche cattolico, a questo proposito, ha un po’ intorbidito le acque. Ha detto che il “principio” della società è la persona umana. Il riferimento, con ogni probabilità, è alla natura sociale della persona e questo è giusto. Se la persona non avesse una natura sociale non avremmo una società. Ma, in senso stretto, con una persona non ho ancora la società e forse nemmeno con due, dato che potrebbero essere in lotta fra loro o comunque considerarsi due individui giustapposti al di fuori di ogni regola. La società si ha quando un uomo e una donna si uniscono in matrimonio. Il personalismo ha confuso le cose proponendo una persona che non sia anche dentro una famiglia, cosa di per sé impossibile. Si può dire che la famiglia precede la persona, perché pensare a delle persone/individui fuori di un contesto familiare diventa impossibile. Ciò non toglie, come già detto, che sia anche importante parlare della natura sociale della persona.

La famiglia è strettamente necessaria per il bene comune. Si pensa talvolta che il bene comune sia davanti a noi, come un fine da realizzare. Questo è vero perché ognuno deve sentirsi impegnato a raggiungere il proprio bene personale e insieme il bene di tutti e di ciascuno. Però per promuovere il bene comune bisogna conoscerlo. Per questo si deve dire che il bene comune ci sta anche dietro ed è dato dall’ordine naturale finalistico della società e in particolare dal bene comune familiare. Noi nasciamo già dentro un bene comune, ne facciamo una esperienza originaria in famiglia. Se però essa viene intesa non come una vera famiglia, ma come un accostamento di due o più individui (con il “poliamore” oggi anche questo è possibile purtroppo) non rappresenta alcun bene comune perché quanto è innaturale non può essere un bene e nemmeno comune.





mercoledì 27 agosto 2025

Se si pone la libertà al di sopra dell’ordine



Immagine AI generata con ChatGPT di OpenAI, modificata con Canva Pro




di John Horvat

Oggi in America prevale la sensazione generale che la società sia allo sbando. I sondaggi dimostrano che la gente non è soddisfatta della direzione che sta prendendo la nazione. Le cose e le istituzioni non funzionano come dovrebbero. Molti attribuiscono la colpa, non senza ragione, al liberalismo.

In effetti, il liberalismo gioca un ruolo significativo in questo generale collasso. Uno dei suoi errori più grandi è l'estrema attenzione alla libertà, che tende ad assumere forme sempre più radicali. Queste spesso si rivelano distruttive dell'ordine morale. Ciononostante, i liberali di ogni orientamento considerano questa libertà il bene più grande che deve essere promosso a tutti i costi.

Celebrare le scelte


Nel liberalismo, celebriamo le nostre scelte, anche quelle sbagliate, come manifestazione della nostra capacità di decidere il nostro destino persino quando le cose vanno male.

Apprezziamo la libertà di cercare di essere ciò che vogliamo, anche quando non possiamo essere ciò che desideriamo, come nel caso di un uomo che vuole essere una donna e viceversa. Questo piegare la realtà alla nostra volontà fornisce un'euforia che compensa gli effetti negativi di tali scelte.

Lo scopo della società liberale è quello di facilitare tutti gli atti di libertà, anche quelli contraddittori. La società diventa un luogo d’incontro di volontà contrastanti che devono essere coordinate per evitare il caos. Il liberalismo promette di organizzare le cose in modo che tutti accettino di non intralciarsi a vicenda mentre perseguono obiettivi separati.

I limiti della libertà

Va detto che non c'è nulla di sbagliato nella libertà. Dio ci ha dotati del libero arbitrio affinché potessimo compiere un numero enorme di scelte per raggiungere il nostro fine ultimo. Abbiamo ragione a celebrare questa libertà.

Tuttavia, la libertà ha dei limiti, ed è qui che iniziano i problemi del liberalismo. Non possiamo celebrare tutte le scelte.

Possiamo celebrare la libertà che porta alla realizzazione delle nostre possibilità. Ci rallegriamo, ad esempio, quando vediamo un uomo brillare e prosperare grazie a una sua saggia scelta di intraprendere una carriera. Tuttavia, non possiamo celebrare razionalmente la libertà di un uomo che diventa tossicodipendente per sua libera scelta. In questo caso, la sua scelta è autodistruttiva, indipendentemente dall'euforia personale che può provare quando è sotto l'effetto della droga. La sua libertà si trasforma in schiavitù al vizio e grava sulla comunità.

Celebriamo anche la libertà perché le nostre scelte hanno una dimensione sociale. Possiamo gioire dei benefici di una libera scelta che potrebbe manifestarsi in un matrimonio, poiché tutti coloro che circondano la coppia condividono la gioia della loro decisione di unirsi. Il matrimonio celebra anche l'eventuale arrivo di figli e la prosperità materiale che il matrimonio potrebbe portare alla comunità.

Tuttavia, non possiamo celebrare la libertà che comporta la rottura di una famiglia, poiché essa ha un impatto sui figli, sui parenti, sulle imprese e sulla società. Spesso grava sul governo con i frutti negativi di queste decisioni, dove tutti pagano ingiustamente il prezzo di tali scelte. Ciò va contro il bene comune.

Il primo bisogno dell'anima è l'ordine, non la libertà

Pertanto, la libertà non può essere il valore più alto in sé, poiché non è mai altro che un mezzo per raggiungere un fine proposto. La libertà avvantaggia la società solo nella misura in cui la maggior parte delle persone fa delle buone scelte.

Un luogo in cui tutti fanno scelte sbagliate non è altro che un covo d’iniquità dove nessuno ha onore e tutti approfittano degli altri. Può essere un luogo infernale, non molto dissimile da alcuni settori della nostra società attuale.

Pertanto, il liberalismo oggi sta fallendo perché non considera la preminenza dell'ordine sulla libertà.

Come afferma Russell Kirk, «l'ordine è il primo bisogno dell'anima». La libertà, la giustizia, la legge o la virtù sono tutte cose molto importanti, ma l'ordine è il bisogno primario e fondamentale. È la piattaforma su cui si basa tutto il resto. È il percorso che seguiamo per poter vivere con significato e scopo.

Senza ordine, la società precipita nel caos. L'ordine ci aiuta a orientarci, come una bussola. Senza di esso, la libertà non ha senso.

Definizione di ordine

L'ordine è quello stato delle cose in cui tutto funziona secondo la sua natura e il suo fine. Quando tutto fa ciò che dovrebbe fare, c'è ordine. Pertanto, è qualcosa che tendiamo a fare naturalmente e dove potremmo trovare la vera felicità in questa valle di lacrime.

Tuttavia, dobbiamo anche riconoscere che siamo costantemente attratti dal disordine a causa degli effetti del peccato e della nostra natura decaduta. La vita è una battaglia costante per mantenere l'ordine e la virtù tra le prove e le disgrazie che fanno parte della vita.

Il liberalismo rifiuta di riconoscere questa battaglia. Non si pronuncia sulla natura e sul fine delle azioni. Non definisce le azioni come buone o cattive. Qualsiasi azione che non sembri danneggiare un altro deve essere celebrata, anche se in seguito potrebbe portare al caos.

Purtroppo, nella lotta tra ordine e disordine, il liberalismo favorirà sempre le passioni sfrenate nella sua ricerca di massimizzare il piacere e minimizzare il dolore.

Libertà e ordine vanno di pari passo

Pertanto, il ritorno a come dovrebbero essere le cose deve comportare il ripristino di un concetto di ordine, e farlo con libertà.

Molti commettono l'errore di mettere in contrasto ordine e libertà. Tuttavia, la libertà non contraddice in alcun modo l'ordine, ma piuttosto lo adorna e lo abbellisce. Una persona virtuosa con un'anima in ordine ha l'enorme libertà di perseguire molteplici scelte libere, mentre il disordine rende schiave del vizio le sue vittime.

Per questo motivo, possiamo parlare della necessità di una libertà ordinata come della strada da seguire, perché ordine e libertà si completano a vicenda. Questa libertà ordinata deve coinvolgere anche la morale, poiché si tratta delle regole che mantengono il corretto funzionamento delle cose.

Il malcontento odierno è molto più un problema di mancanza di ordine che di eccesso di libertà. Ordine e libertà non possono essere separati. Appartengono l'uno all'altra.

Ordine cristiano

Ciò che manca in modo particolare è l'ordine cristiano.

Non possiamo cercare un ordine qualsiasi. Il vero ordine deve avere quell'elemento religioso che cerca la causa ultima delle cose in Dio. Quando le cose sono ordinate secondo il loro fine e la loro natura come Dio ha voluto, esse acquisiscono naturalmente significato e scopo.

Nel corso della storia moderna, l'Occidente ha prevalso perché poteva contare su famiglie stabili, sullo Stato di diritto, su comunità vivaci e sulla forte fede di un ordine cristiano.

Il liberalismo ha a lungo beneficiato e prosperato grazie a quest’ordine preso in prestito, ma i suoi acidi laicisti e individualistici hanno corroso tutto. Oggi è rimasto ben poco dell'ordine.

Ecco perché le cose non funzionano come dovrebbero. Manca l'ordine. Al suo posto c'è la frenetica intemperanza di passioni sfrenate che devastano tutta la società.

Molti cercano di imporre l'ordine senza libertà. Altri si aggrappano a qualsiasi cosa assomigli all'ordine anche se privo di alcun fondamento morale. Si impegnano in "crociate senza Dio" per una società meglio organizzata senza rinunciare alle loro passioni sfrenate e ai loro vizi. Queste soluzioni porteranno solo all'autoritarismo e all'abuso dei poteri governativi.

Abbiamo bisogno di un ritorno all'ordine cristiano e alla libertà, con Dio al centro. Solo allora la società non apparirà più distrutta e le cose funzioneranno correttamente.



Fonte: The Immaginative Conservative, 18 agosto 2025. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.




Suicidio assistito: Introdurre una legge del “male minore” non neutralizza il male, ma lo normalizza.



Articolo scritto da Infovaticana, pubblicato su Infovaticana, nella traduzione curata da Sabino Paciolla (27 agosto 2025).



Infovaticana

Il dibattito sulla legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia coinvolge diverse nazioni, ma non tutte le chiese locali reagiscono allo stesso modo. In Italia si sta affermando una strategia del “male minore” che mira a una legge restrittiva; in Uruguay, il vescovado ribadisce un no categorico, ponendo l’accento sulle cure palliative e sulla dignità umana. Questa differenza rivela due visioni pastorali e politiche distinte su come affrontare la cultura della morte.

Il fatto è che introdurre una legge del “male minore” non neutralizza il male, ma lo normalizza. Quando lo Stato regola la morte, la rende un’opzione socialmente legittima, e i più fragili finiscono per sentire la pressione di “non essere un peso”.

Italia: la CEI e la PAV tra mediazione politica e dottrina morale


Secondo La Brújula Cotidiana, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e i responsabili della Pontificia Accademia per la Vita (PAV) hanno approvato l’iter di un progetto di legge governativo che limita l’accesso al suicidio assistito – età adulta, collegamento alle cure palliative, valutazione nazionale e costo a carico del richiedente – appellandosi al n. 73 della Evangelium vitae come argomento di contenimento dei danni. La proposta cerca di “anticipare” un’altra più ampia promossa dalla sinistra. Di fronte a ciò, associazioni pro-vita e vescovi come il cardinale Camillo Ruini avvertono che è preferibile nessuna legge a una cattiva legge.

Il ricorso all’Evangelium vitae è discutibile, poiché il testo di San Giovanni Paolo II si riferiva alla possibilità di modificare leggi ingiuste già in vigore, non di inaugurare una prima legge “meno cattiva” che nella pratica legittima l’eutanasia. L’esperienza italiana con la legge 40/2004 dimostra che le restrizioni finiscono per cadere nel tempo: la china scivolosa non è un’ipotesi, ma un modello storico.

Uruguay: un chiaro “no” all’eutanasia e un sì categorico alla dignità

Nell’aprile 2025, i vescovi dell’Uruguay hanno pubblicato una dichiarazione in cui respingevano il progetto di legge sull’eutanasia e invitavano a difendere la vita in tutte le sue fasi come contributo esplicito al dibattito pubblico, fatto che hanno ribadito lunedì scorso dopo l’approvazione della legge sulla “morte dignitosa” alla Camera dei deputati uruguaiana.

La Conferenza Episcopale dell’Uruguay insiste sul fatto che la risposta umana e cristiana alla sofferenza passa attraverso l’accompagnamento, le cure palliative e la solidarietà, non attraverso l’eliminazione del paziente. Sulla stessa linea, hanno sottolineato la necessità di legiferare alla luce della dignità della vita umana, sottolineando che la vera compassione non consiste nell’accelerare la morte, ma nell’alleviare la sofferenza senza abbandonare chi soffre.

A differenza del tono negoziale dell’Italia, il documento uruguaiano dimostra che la chiarezza dottrinale e la carità pastorale non si escludono. Riconoscere il dolore dei malati non significa accettare l’eutanasia come “misericordia”, ma rafforzare l’assistenza medica, spirituale e familiare che fa sentire ogni persona preziosa fino alla fine.

Due strategie, due impatti culturali


Mentre in Italia si ritiene che una legge restrittiva possa essere un argine contro proposte più permissive, in realtà essa trasmette il messaggio che l’eutanasia è negoziabile. Con il tempo, le eccezioni diventano la regola e i tribunali finiscono per smantellare i vincoli. In Uruguay, al contrario, il rifiuto esplicito alza il livello morale e concentra la discussione sulle cure palliative integrali, evitando che la morte diventi una prestazione giuridica. Così, legiferare sulla morte erode la fiducia medico-paziente e la solidarietà intergenerazionale, mentre ciò che è veramente umano è prendersi cura, accompagnare e non abbandonare.

Cosa c’è in gioco per la Chiesa?

Il confronto porta a una conclusione chiara: le conferenze episcopali plasmano il clima morale quando parlano con chiarezza. In Italia, la ricerca di compromessi rischia di diluire l’insegnamento in chiave di gestione politica; in Uruguay, la fermezza episcopale dimostra che la difesa della vita può essere propositiva e persuasiva nella piazza pubblica. La Chiesa non è chiamata ad essere gestore di danni, ma testimone della verità sull’uomo. Laddove la legge apre la porta all’uccisione, la sua missione non è quella di scegliere il cardine, ma di chiudere la porta.






I frutti del modernismo conciliare





27 agosto 2025

Questa è una follia assoluta. A Panama City l'arcidiocesi ha sponsorizzato una "Settimana delle Chiese aperte" intorno all'Assunta, in cui i cattolici sono stati incoraggiati a visitare i "templi" di altre religioni per conoscerli e partecipare ai loro servizi. 

I cattolici della diocesi hanno giustamente protestato denunciando l'appello apertamente promosso dal vescovo José Domingo Ulloa, insieme ai leader di altre fedi che hanno aderito a questa celebrazione sincretista. 

I laici firmatari panamensi fanno appello alla Sacra Scrittura e al Magistero per mettere in guardia contro l'indifferenza religiosa, esprimere lo scandalo causato tra i fedeli e chiedere pubblica riparazione, chiedendo il ripristino del primato della catechesi e della fedeltà alla tradizione. (Fonte)






martedì 26 agosto 2025

Il Vaticano II e l’errore storicista. Se la Chiesa cede allo spirito del tempo





26 ago 2025

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by Aldo Maria Valli



di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

c’è un errore ricorrente, tanto nella teologia quanto nell’economia: credere che la storia sia la misura di ogni cosa. È l’errore dello storicismo.

Di recente il professor Roberto de Mattei, in un articolo sul Concilio di Nicea e il Vaticano II, ha osservato che «Il Concilio Vaticano II, a differenza di Nicea, di Trento e del Vaticano I, si presentò come un concilio pastorale, ma non ci può essere un concilio pastorale che non sia anche dogmatico. Il Vaticano II rinunziò a definire nuovi dogmi, ma dogmatizzò la pastorale, facendo propria la filosofia contemporanea, secondo la quale è nell’azione che si verifica la verità del pensiero. La teologia dogmatica tradizionale fu accantonata e sostituita da una “filosofia dell’azione”, che porta necessariamente con sé il soggettivismo e il relativismo… La teologia pastorale del Vaticano II rappresenta una rottura con la teologia dogmatica del Concilio di Nicea, proprio per la sua pretesa di adattarsi all’immanentismo della filosofia moderna. Per entrare in consonanza con il mondo, la Chiesa deve accantonare la sua dottrina e affidare alla storia il criterio di verifica della sua verità. Ma sono stati i risultati della nuova teologia pastorale che ne hanno dimostrato il fallimento».

Padre Serafino Lanzetta, a sua volta, nel suo libro «Il Vaticano II, un Concilio pastorale», ha sottolineato «la superiorità del mistero rispetto alla storia e la necessità di accostarvisi gradualmente mediante una conoscenza sempre più profonda: ciò che la Tradizione viva offre alla fede della Chiesa. La Sacra Scrittura è la regola della fede in quanto divinamente ispirata, la Tradizione, invece, divinamente assistita, non solo permette alle Scritture di essere sempre contemporanee all’uomo e di non diventare una Parola pronunciata nel passato, ma altresì, concede alla fede di poter avere in esse un solido basamento per quelle verità che porta in sé embrionalmente e che maturano nel cammino di fede della Chiesa”. Il Concilio Vaticano II non è l’unico concilio della Chiesa e i documenti conciliari vanno letti alla luce non solo delle Scritture ma anche della Tradizione: la loro autorità dipende dalla coerenza con la Rivelazione, non dal fatto di essere stati scritti negli anni Sessanta».

Personalmente vedo in queste affermazioni un parallelismo con un dibattito che, a un primo sguardo, sembra del tutto inconferente: la disputa che ha visto contrapposto Carl Menger, fondatore della Scuola austriaca di economia, a Gustav Schmoller, fondatore della Giovane scuola storica tedesca.

Gli storicisti, infatti, tendevano a negare l’esistenza di leggi economiche universali riducendo tutto alla storia: esistono solo fatti storici specifici con l’effetto che ogni popolo e ogni epoca hanno la loro economia e che le rappresentazioni storiche sono, di fatto, l’unico legittimo compito della ricerca nel campo dell’economia.

Menger si oppose duramente a tale teoria, rispondendo a Schmoller con il saggio, del 1884 «Gli errori dello storicismo»: se l’economia si riduce a cronaca, di fatto non è più scienza economica. In particolare, «la storia dell’economia non è affatto una parte dell’economia politica, bensì di questa è una scienza ausiliaria, un’utile, indispensabile scienza ausiliaria, ma pur sempre scienza ausiliaria». Gli storici dell’economia «invece di ricercare le “leggi dell’economia” e “i principi per l’agire efficace nel campo dell’economia politica”, raccolgono materiale per stabilire quelle verità scientifiche… Si occupano solo di una delle scienze ausiliarie dell’economia politica, e per di più di una che può fornirci solo una parte del necessario materiale empirico utile a stabilire le verità dell’economia politica, mentre s’illudono di elaborare l’economia politica stessa. Tale veduta è paragonabile a quella del carrettiere che voleva valere come architetto per aver portato alcune carrettate di sabbia e di pietre al cantiere».

Mutatis mutandis, lo stesso vale in campo ecclesiale. Se il Concilio Vaticano II diventa un mero «evento storico» che segna un prima e un dopo, come se la Chiesa fosse un organismo che si reinventa a seconda dell’epoca, allora la fede, e con essa la verità, è dissolta nello storicismo: scompare il dogma in favore della cronaca; scompare la Tradizione in favore dell’adeguamento allo zeitgeist. I teologi che pretendono di cercare la verità con il metodo storico diventano, così, come il «carrettiere che voleva valere come architetto».

Menger, da una parte, e de Mattei e Lanzetta, dall’altra, pur in ambiti diversi, sembrano combattere la stessa battaglia: contro l’illusione che la storia sia il criterio ultimo della verità. La storia conta, ma viene dopo la verità. È la verità che precede la storia (e la giudica), non il contrario.

Con buona pace, allora, degli storicisti di ieri e dei modernisti di oggi, non sono le Scritture e i testi conciliari a doversi piegare allo “spirito del tempo”, ma il tempo a doversi piegare alla verità. Se il relativismo storico prende il sopravvento, rimane solo la cronaca. La cronaca, tuttavia, senza verità non serve e non salva. E questo vale sia per l’economia che, soprattutto, per la Chiesa.






sabato 23 agosto 2025

XVIII Pellegrinaggio Toscano alla Madonna di Montenero: sabato 20 settembre 2025

 



Comunicato del Comitato Organizzatore del Coordinamento Toscano "Benedetto XVI"


Anche quest'anno vogliamo porre ai piedi della Santa Vergine, celeste Patrona della Toscana, la nostra gratitudine per i favori e la protezione che ci vengon dati dal Suo materno manto; porteremo le nostre preghiere per la Santa Chiesa, per il Papa, per le nostre personali necessità e per quelle dei nostri cari.

Il programma è quello consueto e si svolgerà SABATO 20 SETTEMBRE con la tradizionale salita al Colle partendo alle 10:30 da piazza delle Carrozze con recita del S. Rosario ed alle ore 11:30 verrà celebrata una Santa Messa solenne.

Chi vorrà potrà pranzare "al sacco" nel parco della Villa del S.Cuore, casa delle Suore Adoratrici del Cuore Regale dove, nel pomeriggio, vi sarà una Conferenza Spirituale a beneficio dei Pellegrini.

Ai partecipanti sarà concessa, alle consuete condizioni, l'indulgenza plenaria accordata dal Santo Padre.

Vi attendiamo con fraterna cordialità, chiediamo di diffondere la notizia a beneficio di chi ne avesse interesse e, a chi non potesse partecipare, chiediamo di unirsi almeno spiritualmente ai Pellegrini.

Viva Maria, Viva Cristo Re!







Intervista al vescovo Schneider



Politici e organizzazioni internazionali hanno orchestrato «una sorta di reinsediamento di cittadini a maggioranza musulmana in Paesi cristiani europei», con il fine di cambiarne l’identità. Si abusa della definizione di “rifugiati”. E molti nella Chiesa, anziché annunciare Cristo, strumentalizzano la Bibbia per giustificare l’immigrazione di massa. La Bussola intervista mons. Athanasius Schneider.

Intervista

Schneider: «L’immigrazione di massa, un piano per islamizzare l’Europa»

Attualità 



Lorenza Formicola, 23-08-2025

Monsignor Athanasius Schneider, vescovo titolare di Celerina e ausiliare dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana, è una delle voci più autorevoli del cattolicesimo contemporaneo. Fine saggista, ha appena pubblicato Fuggite le eresie. Una guida cattolica agli errori antichi e moderni, sugli scaffali a fine estate. Nato in Kirghizistan, ha trascorso la giovinezza nella Chiesa clandestina sovietica. Con il crollo dell’URSS arriva a Roma per completare gli studi, conseguendo un dottorato in Patrologia presso l’Istituto Augustinianum. Dal 1999 insegna al seminario di Karaganda, dove è anche direttore spirituale e degli studi. È presidente della Commissione liturgica e segretario generale della Conferenza dei vescovi cattolici del Kazakhistan. In questi giorni è tornato a circolare un estratto di una sua vecchia conferenza sull’immigrazione. La Nuova Bussola lo ha intervistato.

Mons. Schneider, in una conferenza del 2018, lei affermava: «Il fenomeno della cosiddetta “immigrazione” rappresenta un piano orchestrato, preparato da tempo dalle potenze internazionali per cambiare radicalmente l’identità cristiana delle popolazioni europee. Queste potenze stanno utilizzando l’enorme potenziale morale della Chiesa e delle sue strutture per raggiungere più efficacemente i loro obiettivi anticristiani e antieuropei. A tal fine, si abusa del concetto stesso di umanesimo e persino del comandamento cristiano della carità». E ancora: «È un’invasione dell’islamizzazione di massa dell’Europa». A distanza di sette anni, come crede che stiano le cose oggi?
Dobbiamo semplicemente aprire gli occhi e affrontare la realtà così com'è. Negli ultimi dieci anni alcuni Paesi dell’Europa occidentale, tra cui in particolare Germania e Regno Unito, hanno favorito un afflusso sproporzionato di persone provenienti da Paesi a maggioranza musulmana, classificate principalmente come rifugiati. Questo processo può essere definito come una sorta di reinsediamento di cittadini a maggioranza musulmana in Paesi cristiani europei, un processo appunto orchestrato dalle autorità politiche europee di livello superiore in collaborazione con alcune organizzazioni internazionali e sovranazionali. Infatti, le autorità centrali dell’Ue hanno pubblicamente rimproverato quei Paesi europei (come Ungheria e Polonia) che hanno imposto restrizioni all’ammissione di immigrati provenienti da Paesi a maggioranza musulmana.

Secondo lei, quindi, l’attuale fenomeno migratorio è frutto di un disegno più grande di un’élite politica con un obiettivo globale?
È confermato da fatti politici concreti. Con il pretesto dell’integrazione, pratiche religiose islamiche vengono introdotte nelle scuole e nella vita pubblica, come il cibo halal, le cene pubbliche per la rottura del digiuno durante il mese di Ramadan, la pubblicità e le luminarie festive per il Ramadan nelle città a maggioranza cristiana. Ad esempio, l’anno scorso, esponenti di primo piano della politica tedesca hanno fatto gli auguri per l’inizio del Ramadan sui principali media, mentre, nello stesso periodo, con l’inizio della Quaresima, la maggioranza cattolica non ha ricevuto alcun messaggio pubblico analogo. In non pochi asili pubblici e scuole elementari in tutta Europa, in diversi Paesi europei, gli insegnanti accompagnano i bambini in visite guidate alle moschee e mostrano loro i gesti della preghiera musulmana. Se questi stessi bambini venissero accompagnati in chiese cattoliche per pregare, scoppierebbe senza dubbio una tempesta di proteste senza precedenti.

Può spiegare il concetto di «strumento globale» dell’immigrazione?

In tanti Paesi a tradizione cristiana la componente islamica è destinata, in breve, a prevalere numericamente. Le famiglie musulmane, mediamente più prolifiche di quelle europee e caratterizzate dalla poligamia (consentita dalla loro religione), alimentano una crescita demografica rapida e costante. Senza considerare che in diverse nazioni a maggioranza cristiana, vi sono già figure musulmane che occupano posizioni politiche di primaria influenza.

Quando intere regioni dell’Africa e del Medio Oriente vengono private di risorse, energie e giovani talenti, promuovere l’immigrazione può davvero dirsi una soluzione?

È solo un grande errore. I governi europei dovrebbero investire in progetti umanitari ed economici che permettano a rifugiati e immigrati di restare nei propri Paesi, migliorandone le condizioni di vita e contribuendo così alla prosperità e al progresso della loro terra. L’attuale immigrazione pilotata per fini ideologici e politici sradica le persone, priva le nazioni delle loro forze e le spinge verso impoverimento e arretratezza.

Può dirsi “falsa esegesi” l’uso della Parola di Dio per giustificare l’emigrazione di massa verso l’Europa? Per esempio, spesso la Bibbia è usata per dire che Gesù emigrò in Egitto. Eppure Gesù emigrò perché era stato minacciato da Erode, poi tornò a casa. Il popolo ebraico è stato più volte esiliato in Mesopotamia, ma è tornato.
Il popolo d’Israele fu portato con la forza a Babilonia e lì tenuto in una forma di schiavitù. Gli immigrati oggi in Europa non vi sono portati con la forza e certamente non vivono in Europa come schiavi, anzi ricevono molti vantaggi sociali oltre che sussidi da parte dei governi europei. La Sacra Famiglia dovette fuggire in Egitto perché si voleva salvare la vita del bambino Gesù. Le parole di Dio nell’Antico Testamento raccontano di un’accoglienza generosa dei rifugiati e degli stranieri. Tuttavia, la stessa parola di Dio afferma che lo straniero deve anche osservare i comandamenti religiosi del popolo d’Israele e in nessun caso diffondere la propria religione idolatra. Oggi, si fa esegesi selettiva solo per scopi politici e ideologici.

Nonostante i martiri di ieri e di oggi, da padre Jacques Hamel ai fedeli di Nizza vittime dell’attentato del 2020, perché la Chiesa in Occidente appare così cauta nel denunciare la minaccia islamista?

Credo che molti rappresentanti della Chiesa oggi siano guidati dal politicamente corretto. Il dialogo interreligioso è un metodo ambiguo. Si invoca un’armonia tra le religioni che non esiste in dottrina e morale, e spesso neanche nella pratica. Inoltre, le affermazioni del Corano e della shari’a, che contengono chiare discriminazioni nei confronti dei non musulmani, non vengono mai affrontate. Questo tipo di dialogo manca di sincerità: il problema dell’islam politicizzato e della crescente persecuzione dei cristiani, soprattutto nei Paesi islamici o da parte di gruppi estremisti islamici, di solito non viene affrontato.

Perché il cattolicesimo resta la religione più perseguitata?

Il motivo è semplice: è l’unica vera religione, quella voluta da Dio qui sulla terra. È l’unica religione che possiede la pienezza della Verità e la pienezza di tutti i mezzi della Grazia divina e della salvezza. Il cattolicesimo è sempre stato bersaglio di attacchi da parte di quelle forze politiche e ideologiche che rifiutano Gesù Cristo come Verità, Via e vera Vita, cioè come unico Salvatore e Maestro dell’umanità. La ragione sta nel fatto che le persone preferiscono stabilire la propria verità, così da poter vivere come desiderano. La persecuzione della religione cattolica si riduce in ultima analisi al motto: “Non vogliamo che Cristo regni su di noi”. Però, una cosa è certa: non c’è via né vita senza Cristo.

Se pensiamo all’Asia come continente “ponte” tra culture e fedi, quali responsabilità emergono oggi – rispetto a dieci anni fa – per la Chiesa e per i suoi pastori di fronte alle sfide dell’immigrazione?
Di fronte all’immigrazione di massa dei non cristiani, i pastori della Chiesa hanno ancora una volta l’opportunità e il sacro dovere di eseguire, senza alcun complesso di inferiorità e con zelo, il comandamento divino di Cristo, che consiste nel fare di tutti i popoli discepoli di Cristo mediante la vera fede e il Battesimo, e nell’insegnare loro a vivere secondo i comandamenti rivelati di Dio, appunto secondo il Vangelo. Tutta la Chiesa dovrebbe fare ancora una volta sue le parole del santo apostolo Paolo e dire: «Non mi vergogno del Vangelo» (Rm 1,16), e: «Guai a me se non predicassi il vangelo!» (1 Cor 9,16). In effetti, non predicare Cristo ai non cristiani è una grave omissione nell’amore del prossimo, perché li priva della più grande felicità qui sulla terra, vale a dire conoscere e amare Cristo come loro Maestro, Signore e Salvatore.

Che fare allora?

Il vero dialogo interreligioso nasce nella vita quotidiana, tra vicini e famiglie, e si apre a chi, nella fede islamica, cerca sinceramente la verità. A loro va offerto, con amore e senza imposizioni, l’annuncio di Cristo, unico Salvatore e Maestro dell’umanità. Questa è la missione essenziale della Chiesa: portare Cristo a tutti gli uomini.





venerdì 22 agosto 2025

I primi sabati, la via per la pace indicata a Fatima



Quest’anno ricorre il centenario dell’apparizione (10 dicembre 1925) in cui la Madonna, facendo seguito a quanto preannunciato a Fatima, spiegò a Lucia l’essenza della devozione dei primi sabati del mese. Praticarla è la premessa per il trionfo del suo Cuore Immacolato e la pace.


La devozione

Ecclesia



 Ermes Dovico, 22-08-2025

Nel 2025, anno giubilare, stiamo assistendo a un nuovo provvidenziale fermento nel mondo cattolico nei confronti di una devozione di estrema importanza: la Comunione riparatrice nei primi sabati del mese. Una devozione che Dio stesso ha voluto stabilire attraverso le apparizioni della Madonna di Fatima. Era il 13 luglio 1917 quando la Santa Vergine – oltre a preannunciare la richiesta di consacrare la Russia al proprio Cuore Immacolato – comunicò per la prima volta ai pastorelli (Lucia dos Santos, Francesco e Giacinta Marto) la necessità di diffondere nel mondo la Comunione riparatrice nei primi sabati, quale mezzo per due fini fondamentali, uno nel tempo e l’altro nell’eternità: la pace in terra e la salvezza di tante anime. Il messaggio di quel 13 luglio era un’anticipazione di quel che Maria Santissima sarebbe venuta a chiedere, più nello specifico, in seguito, come da Lei stessa promesso alla Cova d’Iria.

Quest’anno cade proprio il centenario dell’apparizione in cui la Madre celeste espose a Lucia dos Santos (1907-2005) i dettagli essenziali della devozione dei primi sabati.

Era il 10 dicembre 1925 e la veggente, oggi venerabile, stava facendo il postulandato presso le Dorotee a Pontevedra (Spagna). Maria le apparve mostrandole il suo Cuore coronato di spine. Al suo fianco, su una nuvola luminosa, c’era Gesù Bambino, che esortò Lucia ad avere compassione del Cuore Immacolato della nostra santissima Madre e a riparare le ingratitudini con cui gli uomini la feriscono. Poi, la Madonna stessa ribadì il concetto e aggiunse la descrizione del modo con cui desidera essere consolata: «Guarda, figlia mia, il mio Cuore coronato di spine che gli uomini ingrati a ogni momento mi conficcano, con bestemmie e ingratitudini. Tu, almeno, cerca di consolarmi, e di’ che tutti quelli che per cinque mesi, nel primo sabato, si confesseranno ricevendo poi la santa Comunione, diranno un Rosario e mi faranno 15 minuti di compagnia meditando sui 15 misteri del Rosario, con l’intenzione di darmi sollievo, io prometto di assisterli, nell’ora della morte, con tutte le grazie necessarie alla salvezza di queste anime».

Alla luce del centenario di questa apparizione cruciale, c’è dunque una nuova fioritura di iniziative volte ad esaudire la richiesta celeste. Tra queste merita un cenno “I primi sabati dell’Alleanza di Fatima”, un’iniziativa sorta in Francia e promossa attraverso un sito web in più lingue (italiano incluso). Proprio ieri l’Alleanza ha concluso una novena per propiziare un atto ufficiale del Papa in cui si raccomandi la devozione dei primi sabati a tutta la Chiesa. Questo atto sarebbe peraltro nel solco di quanto riferito dalla stessa suor Lucia in una lettera del maggio 1930 al gesuita padre Giuseppe Bernardo Gonçalves. È evidente che i fedeli possono già praticare questa devozione – fondata sulla più classica pietà mariana (e per la prima volta approvata dal vescovo di Leiria, a Fatima, il 13 settembre 1939) – ma al contempo è chiaro che un atto ufficiale del Papa darebbe una spinta straordinaria alla sua diffusione, tanto più necessaria oggi, vista la gravità dei tempi in cui viviamo. Una gravità che ha spinto lo stesso Leone XIV a indire opportunamente per oggi, festa di Maria Regina, una giornata di digiuno e preghiera per la pace. E chissà che non sia proprio lui a pubblicare già in questo Giubileo, come sperano i fedeli, il suddetto atto.

Se le richieste di Maria – sia per i primi sabati sia per la consacrazione della Russia – fossero state esaudite nei modi e nei tempi dovuti, la Russia si sarebbe convertita, non avrebbe sparso i suoi errori per il mondo (con il comunismo) né le persecuzioni alla Chiesa e non sarebbe scoppiata la Seconda Guerra Mondiale: tutti eventi che erano già stati prefigurati nel messaggio del 13 luglio 1917 (il segreto in tre parti) e il cui verificarsi o meno dipendeva appunto da come gli uomini avrebbero fatto uso della propria libertà e da quanto si sarebbero fidati o meno di ciò che chiedeva la Madonna. Lei aveva offerto in anticipo il rimedio all’umanità e in particolare alla Chiesa. Ma non fu ascoltata, se non in parte e tardi.

Pur a circostanze mutate, quel rimedio rimane sempre attuale, perché tutti noi abbiamo sempre bisogno di convertirci e il mondo sta constatando che cosa significhi non avere la pace. Non a caso, il 13 maggio 2010, Benedetto XVI affermava: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa».

E i primi sabati sono al cuore di questa missione profetica, sono un’arma offertaci dal Cielo con cui ogni battezzato può contribuire a salvare sé stesso e il mondo. È opportuno ricordare che Lucia, il 15 febbraio 1926, ebbe un’altra apparizione di Gesù Bambino in cui – vista la difficoltà di alcuni a confessarsi il sabato stesso della pia pratica – chiese al Signore che fosse valida la confessione di otto giorni. Gesù le rispose: «Sì, possono essere anche di più, purché, quando Mi ricevono, siano in grazia e abbiano l’intenzione di riparare il Cuore Immacolato di Maria». Questa intenzione va comunicata al confessore per ciascuno dei cinque mesi; se il penitente se ne dimentica, può manifestare l’intenzione «nella confessione seguente, approfittando della prima occasione» che avrà per confessarsi, come il Signore spiegò a Lucia nella medesima apparizione.

In un’altra circostanza (era la notte tra il 29 e il 30 maggio 1930), dietro impulso di un suo confessore, suor Lucia domandò a Gesù il perché la devozione consista in cinque sabati. Il Signore le rispose che «si tratta di riparare le cinque offese al Cuore Immacolato di Maria», ossia: 1) le bestemmie contro la sua Immacolata Concezione; 2) contro la sua Verginità perpetua; 3) contro la sua Maternità divina e il rifiuto di riconoscerla come Madre degli uomini; 4) l’opera di coloro che pubblicamente infondono nel cuore dei piccoli l’indifferenza, il disprezzo e perfino l’odio contro questa Madre Immacolata; 5) l’opera di coloro che la offendono direttamente nelle sue immagini sacre.

Sempre in quell’occasione, Gesù disse a suor Lucia che la pratica della devozione può essere eccezionalmente spostata alla domenica che segue il primo sabato, ma solo «per giusti motivi, che sta ai sacerdoti giudicare».

Ricapitoliamo le condizioni generali: 1) Confessarsi il primo sabato del mese o entro otto giorni (o più) prima o anche dopo, purché si riceva l’Eucaristia in grazia; 2) comunicarsi ogni primo sabato, per cinque mesi consecutivi; 3) recitare il Rosario; 4) dopo la preghiera, fare compagnia alla Madonna per un altro quarto d’ora, meditando su uno o più misteri del Rosario (suor Lucia era solita meditarne uno per volta). Ciascuna di queste quattro condizioni va adempiuta con l’intenzione di riparare il Cuore Immacolato di Maria. Per i 15 minuti di meditazione, ci si può aiutare leggendo un brano delle Sacre Scritture riguardante il mistero su cui ci si vuole soffermare o anche riflessioni di santi e altri scritti spirituali di retta dottrina (il sito dell’Alleanza di Fatima sta pubblicando ogni mese una meditazione).

Resta dunque da guardare il calendario e segnarsi di mese in mese il primo sabato, così da organizzarsi per tempo. Il trionfo del Cuore Immacolato di Maria e, quindi, la pace passano da qui.






Chi assiste devotamente alla Santa Messa riceve ben 77 grazie




Lo sai che...?

Posted By: admin 22 Agosto 2025


Padre Martin de Cochem (1630-1712) indica ben 77 grazie per chi assiste devotamente alla Santa Messa. Eccole:

Dio Padre ha mandato il suo Figlio sulla terra per la nostra salvezza.
Con l’ obbedienza al Padre ed il Suo amore per noi, Gesù Cristo scende a nascondersi sotto le specie del pane e del vino.
Lo Spirito Santo cambia il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo.
Cristo si annienta per essere veramente presente in ogni particella di ogni ostia consacrata .
Cristo rinnova il mistero dell’Incarnazione.
Egli nasce di nuovo per noi.
Sull’altare dà tutte le espressioni di amore che aveva dato agli uomini, nel corso della sua vita terrena.
Rinnova la sua dolorosa passione e ci permette di partecipare ai suoi frutti.
Gesù Cristo muore spiritualmente e dà la sua nobile vita per noi.
Offre il Suo Preziosissimo Sangue all’Eterno Padre per noi.
Con il suo Sangue prezioso, bagna e purifica la tua anima da ogni macchia di peccato.
Si offre in olocausto per noi e rende a Dio tutto l’onore dovutogli.
Se date a Dio questo onore in unione con Gesù Cristo, lo compenserete di tutta la gloria che avete mancato di rendergli.
Gesù Cristo si fa vostro sacrificio di lode e ripara le lodi che avete rifiutato di rendere a Dio.
Offrendo queste lodi del Figlio di Dio al Padre celeste, gli rendete più gloria di quanta gliene possano dare gli angeli.
Gesù Cristo si fa vostro sacrificio di ringraziamento e supplisce alla vostra ingratitudine .
L’ offerta di questo sacrificio in rendimento di grazie ricompensa Dio per tutti i suoi benefici.
Gesù Cristo espia per voi e vi riconcilia con Dio.
Egli perdona i peccati veniali, a condizione di non volerli più commettere.
Supplisce al bene che hai trascurato di fare.
Ripara le negligenze nell’operare il bene.
Rimette le colpe commesse inavvertitamente, quelle che non conosci o che ti sei dimenticato di accusare in confessione.
E’ il vostro sacrificio di soddisfazione ed estingue una parte dei debiti con la giustizia divina.
Assistendo alla Messa, si possono espiare più peccati che non con la più grande penitenza.
Gesù Cristo vi comunicherà parte dei suoi meriti, che a vostra volta potrete offrire al Padre celeste per i vostri peccati.
Gesù Cristo nella Messa prega anche per voi, come ha fatto sulla croce per i suoi nemici.
Il suo prezioso sangue grida innumerevoli volte misericordia per voi per quante gocce di sangue ha versato nella sua passione.
Le sue ferite sacre chiedono perdono per voi.
Per meriti della preghiera di Gesù, le vostre preghiere durante la Messa sono ascoltate in modo più favorevole.
La vostra preghiera durante la Messa, diventa molto efficace.
Gesù offre al Padre la vostra preghiera in unione con la sua.
Cesù vi compatisce e si prende cura della vostra salvezza.
Tutti gli angeli presenti pregano per voi e offrono le vostre preghiere al loro Signore sovrano.
In virtù della Santa Messa, il diavolo si tiene lontano.
Il sacerdote prega in particolare per chi assiste e così rende il santo sacrificio più vantaggioso per loro.
Assistendo alla Santa Messa, si diventa misticamente sacerdoti e Gesù Cristo vi dà il potere di offrire il santo sacrificio per voi e per gli altri.
La Santa Messa è quanto di più prezioso si possa offrire alla Santissima Trinità.
Questo dono è più prezioso del cielo e della terra.
Questo dono è Dio stesso.
Questo dono è la gloria di Dio.
Questo dono è la gioia della Santissima Trinità.
Questo nobile dono Gesù Cristo lo offre a te!
L’ascolto della Santa Messa è il più grande culto di adorazione.
Con l’assistere alla Messa si rende il più grande tributo all’umanità di Gesù Cristo.
Con l’assistere alla Messa si onora degnamente la Passione del Salvatore e se ne raccolgono i frutti.
Con l’assistere alla Messa si onora e si dà gioia alla Madre di Dio.
Con l’assistere alla Messa si onora e si rallegrano le anime più di molte altre preghiere.
L’assistere alla Messa è il modo migliore per arricchire la propria anima.
L’assistere alla Messa è l’opera buona per eccellenza.
L’assistere alla Messa è il supremo atto di fede che assicura una grande ricompensa.
Prostrandosi umilmente davanti alle sacre specie, si fa un sublime atto di culto.
Ogni volta che si guarda pieni di fede l’Ostia Santa, si guadagna un premio speciale in cielo.
Ogni volta che vi batte il petto con contrizione per i peccati, si ottiene la remissione per molte colpe.
Se ci si dovesse trovare in peccato mortale, ascoltando la Messa con devozione, Dio offrirà la grazia della conversione.
La Santa Messa aumenta la grazia santificante e attira molti grazie attuali.
Assistendo alla Messa, si è spiritualmente nutriti del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo.
Assistendo alla Messa, si ha il privilegio di contemplare Gesù Cristo sotto le sacre specie.
Assistendo alla Messa, si riceve la benedizione del sacerdote che Dio ratifica in cielo.
L’assistere alla Messa attira anche benedizioni temporali.
L’assistere alla Messa preserva da molte disgrazie.
L’assistere alla Messa fortifica contro le tentazioni.
Assistere alla Messa attira la grazia di una buona morte.
La Messa ascoltata in onore degli angeli e dei santi, richiama la loro protezione e il loro aiuto potente.
Al momento della morte, le Messe che si sono ascoltate bene diventeranno un motivo di conforto e di confidenza nella misericordia divina.
Le Messe ascoltate bene accompagneranno davanti al giusto giudice e chiederanno perdono per voi.
Le Messe ascoltate bene mitigheranno le fiamme del purgatorio.
Una Messa ascoltata bene riduce la pena temporale più della più dura penitenza.
Una sola Messa ascoltata bene in vita sarà più vantaggiosa per l’anima più di tante Messe offerte per sé dopo la propria morte.
La devozione alla Santa Messa farà guadagnare una grande gloria in cielo.
La frequente partecipazione alla Messa farà ottenere un posto più alto in Cielo e aumenterà la felicità eterna.
Nessuna preghiera offerta per gli amici e parenti è così efficace come assistere alla Santa Messa.
Assistere alla Messa per le intenzioni dei propri benefattori è un mezzo sicuro di ringraziarli per i benefici ricevuti
I poveri, i malati, i moribondi vengono potentemente aiutati dalle Messe.
Con la Messa si ottiene la conversione dei peccatori.
Con la Messa si ottengono abbondanti benedizioni.
Con la Messa le anime del purgatorio sono consolate.
I poveri, che non hanno i mezzi per far celebrare Messe per i loro cari, partecipando devotamente, possono liberare le anime dei loro cari dal fuoco del purgatorio.




Il Governo impugna la legge siciliana contro i medici obiettori di coscienza




Aborto | CR 1912


di Giuseppe Brienza, 20 Agosto 2025 

L’ultimo Consiglio dei Ministri riunitosi a Palazzo Chigi prima della pausa estiva il 4 agosto scorso, sotto la presidenza della premier Giorgia Meloni, ha impugnato la legge della Regione Siciliana n. 23 del 5/06/2025, recante “Norme in materia di sanità”, in quanto contrastante, fra l’altro, con l’articolo 117 della Costituzione in materia di parità di accesso agli uffici pubblici.

L’importante decisione del Governo, adottata su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli (Lega), ha sottoposto in pratica al vaglio della Consulta una norma considerata incostituzionale, ingiusta e discriminatoria che avrebbe permesso alla Regione di indire concorsi pubblici riservati ai soli medici non obiettori di coscienza all’aborto nei reparti ospedalieri dove si pratica la c.d. Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG).

Accogliendo favorevolmente la notizia e auspicando la positiva conclusione dell’iter di impugnazione, il mondo prolife italiano attende ora, soprattutto dal partito di appartenenza del Presidente del Consiglio Fratelli d’Italia (FdI), iniziative legislative idonee ad impedire che altre analoghe normative possano essere varate in futuro tanto a livello regionale quanto nazionale compromettendo l’imparzialità dei criteri di assunzione negli ospedali pubblici e la stessa dignità etica e professionale dei medici obiettori di coscienza all’aborto, anche se il discorso vale naturalmente per tutti gli altri operatori sanitari pubblici. Ci riferiamo in particolare a FdI in quanto, nella comunicazione nazionale diramata a seguito dell’impugnazione della legge siciliana, il partito della Meloni ha ribadito e fatto proprio un principio di garanzia che dovrebbe essere di portata universale, ovvero che «non si può negare agli obiettori di coscienza di partecipare ai concorsi».

«L’obiezione di coscienza rappresenta l’espressione più autentica della libertà personale, religiosa, morale e intellettuale – hanno spiegato in merito il senatore e capogruppo di FdI in commissione insularità Raoul Russo e la capogruppo del partito alla Camera in commissione giustizia Carolina Varchi –. Per tale motivo apprendiamo favorevolmente l’impugnativa da parte del consiglio dei Ministri della legge che prevedeva l’assunzione negli ospedali pubblici di medici e altro personale non obiettore di coscienza».

«La legge violava l’articolo 117 della Costituzione – hanno aggiunto Russo e Varchi –, che garantisce i principi di uguaglianza, di diritto di obiezione di coscienza, di parità di accesso agli uffici pubblici e in tema di pubblico concorso. La legge 194 del 1978 [che ha introdotto l’aborto nel nostro ordinamento] garantisce appieno tutti i diritti in campo ed in Sicilia non vi è alcun problema legato alla sua concreta applicazione. La legge impugnata da Roma, pertanto, aveva un carattere strumentale».

«Noi – concludono i due parlamentari – non siamo contro l’obiezione di coscienza che non è solo una questione di principio ma anche uno strumento concreto di tutela della dignità umana, della pluralità delle coscienze e della convivenza democratica, ma va garantita a tutti la possibilità di partecipare ad un concorso pubblico».

In Italia gli ospedali pubblici non sono tenuti per legge a garantire l’accesso all’aborto, come comunemente si afferma. Nel nostro Paese, infatti, come recentemente ricordato anche da una giurista favorevole all’IVG come l’avv. Annamaria Bernardini De Pace, la legge 194 non proclama che l’aborto è un diritto, bensì «una scelta tutelata dallo Stato» (L’equivoco sulla “194” e il diritto di procreare, in Il Giornale, 22 aprile 2024). Il termine“diritto” nella legge 194 appare solo nella fraseriguardante la procreazione cosciente e responsabile che, a partire dal Sessantotto, ha subito una radicale trasformazione dal suo significato originale (v. l’art. 1: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio»). Il termine, infatti, prima di essere ideologicamente identificato con il birth control o family planning per indicare prima l’intenzione di “non avere figli” poi la mentalità contraccettiva, richiama alla possibilità di conoscere l’andamento della fertilità e dell’infertilità nella consapevolezza che non si rifiuta la vita concepita in un periodo fertile né la si pretende quando la fertilità è assente. La procreazione responsabile, in definitiva, dovrebbe riferirsi alla fertilità e all’infertilità come due facce della stessa medaglia, poiché sul piano biologico invita a conoscere le leggi della trasmissione della vita e a rispettarle.

Alla luce di una corretta interpretazione della legge italiana sull’aborto non esistono vincoli specifici a che gli ospedali pubblici abbiano in servizio esclusivamente i prevalentemente medici obiettori di coscienza all’aborto. La normativa impegnata dal Governo della Sicilia assume quindi un’importanza particolare anche perché la Regione presenta una delle più alte percentuali di obiettori a livello nazionale.

Come si può leggere nell’ultima relazione del Ministero della salute, «nel 2022, la quota di ginecologi obiettori di coscienza risulta pari al 60,5%, inferiore rispetto al 63,6% dell’anno precedente, ma ancora elevata e con notevoli differenze tra le Regioni: le percentuali più alte di ginecologi obiettori di coscienza si rilevano in Molise (90,9%) e Sicilia (81,5%); le percentuali più basse in Valle d’Aosta (25,0%) e Provincia Autonoma di Trento (31,8%)». A motivo di tale persistente fedeltà dei medici italiani al “giuramento di Ippocrate” l’Italia è stata ripetutamente condannata dal “Comitato europeo dei diritti sociali” per aver violato il diritto alla salute delle donne che vogliono abortire, riconoscendo che esse incontrano «notevoli difficoltà» nell’accesso all’IVG a motivo dell’alto numero di medici obiettori di coscienza.

La legge approvata dalla Regione Siciliana a fine maggio prevedeva non solo che le aziende sanitarie espletassero concorsi dedicati a medici non obiettori, ma anche l’obbligo vessatorio per le stesse di sostituzione del personale medico qualora avesse cambiato idea (in senso prolife) una volta entrato in servizio. Il Governo ha impugnato la legge spiegando che l’obbligo di assumere medici non obiettori precludeva ai medici obiettori la possibilità di partecipare ai concorsi. Toccherà ora alla Corte costituzionale esprimersi sulla costituzionalità della legge, che resta per ora in vigore.

Ricordiamo in conclusione che è la stessa legge 194 a prevedere l’istituto dell’obiezione di coscienza all’aborto, un diritto (questo sì) contemplato da quasi tutte le leggi occidentali che hanno legalizzato l’aborto. L’art. 9 della legge 194/1978, infatti, riconosce al personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie che «non è tenuto a prendere parte […] agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. […] L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento». Chiaro che con l’avvento dell’aborto farmacologico, cioè della così detta “pillola abortiva” RU 486 e similari, si pongono altrettante delicate questioni etiche e di coscienza. Nondimeno preservare a livello costituzionale il principio della non discriminazione a livello professionale dei medici obiettori all’aborto costituirebbe una preziosa precondizione ad ulteriori progressi nell’ampia gamma della difesa e promozione della vita umana innocente.







giovedì 21 agosto 2025

Perché quella del cattolicesimo postconciliare è una malattia dell’intelligenza?





Posted By: admin 21 Agosto 2025


1. La vera conoscenza, che è sapienza, ha necessità di una precondizione che non ha bisogno di essere dimostrata, ovvero che la realtà non si può negare. Nella buona filosofia si riconosce il valore imprescindibile del cosiddetto “senso comune”, cioè di quell’insieme di evidenze che sono talmente evidenti (chiediamo scusa per la ripetizione) da non poter essere negate, pena l’impossibilità di contraddirsi. Si pensi all’affermazione che oggi va per la maggiore: la verità non esiste… e poi guai a chi osa negare questa stessa affermazione che s’impone comunque come verità, cioè la verità che non esiste la verità.

2. Il cattolicesimo postconciliare mostra tutta la sua astrattezza negando la centralità della Croce. Parole come: sacrificio, espiazione, riparazione…ormai sono totalmente sparite dalle predicazioni, dalle omelie e dalle catechesi. Il Cristianesimo è stato spolpato del suo interno, del suo cuore, che è appunto la Croce, segno distintivo del Cristianesimo stesso: il Segno della Croce.

3. Ed è in questo che si capisce quanto il cattolicesimo postconciliare sia tutto nella pura astrazione, nella negazione del reale, nell’odio (oseremmo dire) nei confronti della realtà stessa. Ciò perché la Croce se si può negare intellettualisticamente, non la si può negare intelligentemente. Essa non è sparita, ma continua ad essere presente (eccome!) nella Storia. Il dolore c’è, la sofferenza c’è, la morte c’è. E quali rispose, a queste “croci”, possono essere davvero persuasive se non il riconoscere e l’abbandonarsi alla Croce di Cristo?

4. Ecco dunque che la malattia del cattolicesimo postconciliare è una malattia dell’intelligenza. E’ una malattia che ha come sintomo il pretendere di trascurare ciò che è evidente, e immergendo così tutto nel delirio e nell’alienazione. Si parla, si parla, si scrivono documenti su documenti…ma la Croce di Cristo rimane sempre lì, centrale nella Storia, con tutti dolori e le sofferenze che non spariscono.





Papa Leone XIV favorisce la rinascita del canto gregoriano



Nella traduzione di Chiesa e postconcilio da The Catholic Thing.

21 agosto 2025



Leone XIV ha fatto molto nei primi mesi del suo pontificato per dissipare pregiudizi dannosi sul canto gregoriano, radicati nell'ignoranza di ciò che il Vaticano II ha realmente insegnato.

Quando si presentò sulla loggia di San Pietro nella sua primissima apparizione pubblica, da buon frate agostiniano, cantò il Regina Caeli, insieme a 100.000 persone riunite dai quattro angoli della terra, parlando tante lingue diverse come alla Torre di Babele. Eppure, insieme, riuscirono spontaneamente a cantare l'antico inno – in latino – in quel momento storico, dimostrando il valore del recupero del latino come lingua comune della Chiesa cattolica.

E poi, per rendere chiaro l'impegno a rinnovare il rispetto per il canto gregoriano, il Pontificio Istituto di Musica Sacra, in collaborazione con il Dicastero per la Comunicazione del Vaticano, ha lanciato quasi immediatamente un corso sui social media "Cantiamo con il Papa". I video sui social media insegnano alla prossima generazione di cattolici come cantare parti della Messa in latino: il Pater Noster, il Mysterium Fidei, l' Agnus Dei, il Kyrie e il Sanctus. "La gente voleva unirsi", ha dichiarato il presidente dell'Istituto, padre Robert Mehlhart, al National Catholic Register a maggio . "E ho pensato: 'Bene, posso aiutarli. Portiamo avanti questo progetto e facciamo cantare la gente con il Papa'".

Mary Ann Carr Wilson ha una missione simile: infiammare l'anima dei giovani cattolici insegnando loro a cantare la Messa. Negli ultimi 15 anni, ha formalizzato i suoi campi di canto e i suoi workshop per bambini sotto l'egida di Canticle.org.

Circa 5000 giovani anime hanno imparato a cantare con lei e, nel frattempo, hanno imparato le preghiere della Messa, il più delle volte in latino. Ha anche lavorato con più di 100 direttori musicali e insegnanti di musica, formando altri su come insegnare il canto ai bambini. La domanda sta crescendo esponenzialmente. "C'è più interesse che mai. Non sono in grado di rispondere a tutte le richieste."

L'arcivescovo Salvadore J. Cordileone di San Francisco afferma che questi campi di canto per bambini sono più di una semplice attività estiva divertente: sono un modo efficace per evangelizzare la prossima generazione di cattolici. "Bambini e giovani sono affascinati dalle tradizioni della Chiesa. Non mi sorprende che i campi di canto per bambini siano un fenomeno in crescita, e ne sono molto soddisfatto. Quando offriamo ai bambini solo musica infantile, la abbandonano rapidamente. Il canto gregoriano aiuta a sostenere la loro fede nel corso degli anni".

Anche i bambini di 7 o 8 anni possono padroneggiare il canto liturgico in modo eccellente, sottolinea. E, cosa ancora più importante, nei campi estivi di canto liturgico per bambini, i giovani cantano la Messa, non solo durante la Messa.

Il vescovo Earl K. Fernandes di Columbus, Ohio, ha osservato:

Penso che sia meraviglioso avvicinare i bambini alla tradizione della Chiesa e alla musica sacra. Nella diocesi di Columbus, in molte delle nostre parrocchie e scuole abbiamo già cori di bambini, alcuni dei quali cantano musica sacra. Facciamo parte di un progetto di sovvenzione presso la Catholic University of America chiamato "Welcoming Children in Worship", che consente a insegnanti e studenti di accedere a un gran numero di risorse sulla musica sacra. I giovani potrebbero non avere molti soldi da donare alla Chiesa, ma dobbiamo creare opportunità affinché possano usare i loro talenti per la gloria di Dio.

Quest'estate, l'Arcivescovo Cordileone ha organizzato un campo di canto per bambini al Seminario di San Patrizio tramite il Catholic Institute for Sacred Music, guidato dalla professoressa di musica sacra del Seminario, la Dott.ssa Jennifer Donelson-Nowicka. Cantanti dagli otto ai diciassette anni si sono riuniti per cantare durante la Messa quotidiana, apprendere la tecnica vocale e leggere la notazione del canto per sviluppare una comprensione più profonda della Messa e cogliere opportunità di comunione, preghiera personale e Confessione.

Ma il campo estivo di canto è solo il trampolino di lancio di un ambizioso nuovo programma per giovani coristi, un piano di rinnovamento liturgico che aiuterà a costruire una cultura del canto gregoriano e una partecipazione attiva alla messa per migliaia di cattolici di nuova generazione in tutta la Bay Area e oltre.

"Abbiamo deciso di dare un avvio stimolante, attraverso il campo di canto, al nostro programma completo per studenti coristi, che inizierà questo autunno qui al Seminario di San Patrizio a Menlo Park", ha affermato il Prof. Christopher Berry, il rinomato organista, insegnante di organo al Seminario di San Patrizio e direttore del nuovo programma per coristi. "La loro formazione si ispira ai programmi per coristi delle cattedrali in Inghilterra, Francia, Germania e, più vicino a casa, in Canada e a Salt Lake City. La ricchezza di questi programmi alimenta la vita spirituale dei parrocchiani e dei visitatori di queste chiese e forma integralmente l'intera persona dei coristi nella bontà, nella verità e nella bellezza".

"La nostra missione è aiutare i cattolici di tutto il mondo a incontrare Dio attraverso la bellezza della musica sacra che appartiene loro per diritto di nascita, in particolare il canto gregoriano", afferma la Dott.ssa Donelson-Nowicka. "Come la grande insegnante di canto del XX secolo, la Sig.ra Justine Ward, crediamo nel dare a tutti la possibilità di cantare, affinché possano trovare la propria voce nella partecipazione ai misteri divini celebrati nella sacra liturgia. Quando insegniamo ai bambini una musica ricca fin dall'inizio, li prepariamo a una vita spiritualmente ricca come cattolici maturi".

Grazie anche a Papa Leone XIV, coloro che come Mary Ann Carr Wilson, che hanno piantato semi per molti anni, probabilmente vedranno un nuovo raccolto dal loro lavoro. "Continuo a farlo perché Dio è così buono, merita di essere lodato", ha detto. "Come cattolici abbiamo questa bellissima musica... costruita nel modo collaudato di connettersi a Dio in queste preghiere e poi riunirsi come comunità nella Messa".

In un'epoca di distrazione costante, questi campi di canto offrono uno spazio vitale ai giovani per "rallentare, ricordare ciò che è importante e fare cose insieme in tempo reale. Creare cose belle insieme in tempo reale per Dio".