di Sandro Magister, 20/01/2022
(s.m.) Non si placano le polemiche accese dal motu proprio “Traditionis custodes” di papa Francesco, che ha sentenziato di fatto la condanna a morte della messa in rito antico. Andrea Grillo, 61 anni, due figli, professore a Roma al Pontificio Ateneo S. Anselmo e liturgista dei più noti e apprezzati dall’attuale pontefice, nel rivendicare la giustezza di questa condanna ha reclutato a proprio sostegno anche uno dei più grandi teologi del Novecento, Hans Urs von Balthasar (1905-1988, nella foto), come se questi avesse invocato tale condanna fin d’allora.
Ma è corretta questa rilettura di von Balthasar fatta da Grillo? A detta di altri esperti no. Tra questi c’è Nicola Lorenzo Barile, storico della Chiesa e specialista del Medioevo, “fellow” a Berkeley della Robbins Collection dell’Università di California.
In questa sua nota per Settimo Cielo egli spiega che von Balthasar non ha mai sostenuto l’abrogazione del vecchio messale, che non fu abolito né da Paolo VI, il papa della riforma liturgica postconciliare, né tanto meno da Benedetto XVI, che anzi lo dischiarò espressamente “mai abrogato”. Ed è risaputa la prossimità tra Joseph Ratzinger e von Balthasar, nel campo della teologia e della liturgia.
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Von Balthasar “oltre S. Pio V”? Nota sulla presunta estinzione del rito antico della Messa
di Nicola Lorenzo Barile
Perché è importante leggere vecchi libri? Perché, secondo C. S. Lewis, “ogni epoca ha la sua prospettiva. È particolarmente brava a vedere certe verità ed è particolarmente incline a commettere certi errori. Abbiamo tutti quindi bisogno di libri che correggano gli errori caratteristici del nostro periodo” (“On The Reading of Old Books”, 1944).
È quello che sembra aver fatto il prof. Andrea Grillo in un suo contributo: “Papa Francesco e H. U. von Balthasar sono d’accordo: il rito antico si estingue”, pubblicato all’indomani del motu proprio di papa Francesco “Traditionis custodes”, ricorrendo a un’opera minore ma non meno importante del teologo svizzero: “Kleine Fibel für verunsicherte Laien”, 1980 (in italiano: “Piccola guida per i cristiani”, 1986).
Devo questa segnalazione al teologo e liturgista Nicola Bux, che ha manifestato la sua sorpresa per un’affermazione della “Kleine Fibel”, enfatizzata dal prof. Grillo, secondo cui von Balthasar già allora riteneva “destinata ad estinguersi” la “forma precedente del rito romano”, affermazione che il prof. Grillo fa concordare con le restrizioni imposte da “Traditionis custodes” alla Messa in rito latino antico.
Innanzi tutto, l’insistenza del prof. Grillo sul “profilo conservatore e, diremmo, orientato a destra di von Balthasar” trascura la fama di teologo progressista attribuitagli dopo la pubblicazione di opere come “Abbattere i bastioni” (1952), dissipata solo dopo i severi richiami dello stesso von Balthasar contro l’apertura indiscriminata allo spirito del mondo, che gli procurarono, questa volta sì, la fama di tenace difensore della tradizione.
Risulta difficile spiegare, inoltre, la contrapposizione che il prof. Grillo istituisce fra le suddette affermazioni della “Kleine Fibel” di von Balthasar e quelle, invece, della quasi coeva “Autobiografia” (1978) dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, secondo cui la riforma liturgica avrebbe “carattere accessorio”, rimanendo “intoccabile” il rito tridentino nella versione del 1962. Tra il teologo bavarese e il suo collega svizzero, infatti, c’era grande affinità. “Io conosco Ratzinger da sempre e sempre è stato così, sempre l’ha pensata così. […] C’è poco da dire. Ratzinger ha ragione”, disse di lui von Balthasar nell’”Intervista proibita e perduta” data nel 1984 a Vittorio Messori. Mentre Ratzinger diceva di von Balthasar: “Anche se non potevo competere con la sua erudizione, ci muoveva lo stesso intento, ci accomunava la visione generale” (“Ultime conversazioni”, 2016).
Due i metodi, quindi, che suggerirei per una corretta lettura della “Kleine Fibel” di von Balthasar su cui il prof. Grillo ha attirato la nostra attenzione:
1) “mettendo in reciproco rapporto tra di loro i singoli brani del libro”, come detto dallo stesso von Balthasar nella Postfazione;
2) facendo riferimento alla sua ”Intervista proibita e perduta” sopra citata, da cui ricavare qualche ulteriore delucidazione.
Leggendo infatti il capitolo iniziale della “Kleine Fibel”, von Balthasar spiega che intende prendere in esame solo una parte della galassia tradizionalista, in “clamoroso distacco” da altre: “Vari gruppi, più o meno radicali, i quali o contestavano apertamente la legittimità dell’ultimo Concilio o deploravano talune delle sue disposizioni o protestavano a gran voce contro gli effetti da esso sortiti. Coperti da qualche vescovo, costoro si sono orientati interamente sul preconciliare, pretendendo bensì di volersi attenere al Credo integrale, ma intassellandolo nella lettera di forme liturgiche non più ammesse”.
Chi siano i tradizionalisti cui allude la “Kleine Fibel” è spiegato anche nell’”Intervista proibita e perduta”, là dove von Balthasar esprime un giudizio sereno non sulla forma di un rito in particolare, ma sulla celebrazione della liturgia in generale, seppur limitatamente all’area germanica: “sobria e se fatta bene, cioè in modo rispettoso del sacro, […] ben accetta alla maggioranza di quelli che vanno ancora in Chiesa”.
All’intervistatore che lo incalza riferendosi “a certi ambienti integristi che della riforma liturgica hanno fatto il loro cavallo di battaglia” e in particolare al “movimento lefebvriano” e ai suoi “attacchi durissimi al papa e a Ratzinger”, replica senza ambagi von Balthasar: “Lefebvre e i suoi non sono veri cattolici. L’integrismo di destra mi sembra ancor più incorreggibile del liberalismo di sinistra. Credono di sapere già tutto, di non avere nulla da imparare. D’altro canto è contraddittoria la loro conclamata fedeltà ai papi, ma solo a quelli che gli danno ragione”.
Nessuna ostilità, dunque, da parte di von Balthasar, nei confronti di un rito o di una sua forma in particolare, di cui pure si cominciava a dibattere in quel volgere di anni. ma, piuttosto, una polemica nei confronti degli eccessi di certo integralismo, ispirato a “un’errata concezione di cosa sia la Rivelazione”, che “ne intende il contenuto come privo di storia, così che questo viene a perdere la sua dimensione relazionale, per lasciare spazio solo alla forma” (“Integralismus heute”, in “Diakonia” 19, 1988).
Ricostruito brevemente il contesto in cui fu scritta, dunque, l’affermazione di von Balthasar sull’estinzione del rito antico non risulta affatto in disaccordo con i timori dell’allora cardinale Ratzinger sulla “conservazione di forme rituali la cui grandezza emoziona sempre, ma che, spinte all’estremo, manifestano un isolamento ostinato” (“Il coraggio di un vero testimone”, prefazione a K. Gamber, “La Réforme liturgique en question”, 1992).
Pertanto, trovo azzardato concludere, come fa invece il prof. Grillo, che von Balthasar avrebbe accettato volentieri la fine della celebrazione della Messa secondo il rito antico, così come decretata da “Traditionis custodes”. Von Balthasar ha sempre invitato a riscoprire la bellezza – purtroppo “non più amata e custodita nemmeno dalla religione” – e in particolare la bellezza del rito liturgico. Il rischio oggi, tuttavia, è meno quello dell’estetismo e, invece, molto più quello del pragmatismo; per questo c’è bisogno, più che di semplificare e sfrondare, piuttosto di riscoprire il decoro e la maestà del culto divino (si veda: Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, “La bellezza del rito liturgico”, per l’ampio spazio dedicato al teologo svizzero). E la varietà è una delle componenti di questa bellezza, come già insegnava l’esperienza della Chiesa medioevale: “A Roma, come altrove, erano diffusi vari usi liturgici ma nessuno disprezzato, perché la varietà nel culto divino suscita attrazione, mentre l’uniformità disgusto” (S.J.P. Van Dijk-J. Hazelden Walker, “The Origins of the Modern Liturgy”, 1960).
Nonostante la promulgazione di un nuovo “Ordo Missae” che di fatto prese il posto del vecchio (“ut in locum veteris substitueretur”), lo stesso Paolo VI non intese affatto ridurre l’uso delle forme celebrative del rito liturgico (“lex orandi”), quello romano, patrimonio dell’unica ed immutata fede (“lex credendi”). Ne è prova la costituzione apostolica “Missale romanum” del 3 aprile 1969, che volle certamente sostituire il Messale del 1962 con uno nuovo, ma non abrogare esplicitamente e assolutamente il precedente, come confermato poi dal motu proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI del 7 luglio 2007.
La continua validità del Messale del 1962, accanto a quello promulgato da Paolo VI, è garantita, del resto, dal diritto ad esistere della “consuetudo centenaria aut immemorabilis” sancita dal Codice di diritto canonico al can. 28: “Se non ne fa espressa menzione, la legge non revoca le consuetudini centenarie o immemorabili”.
La più alta autorità ecclesiastica, infatti, non può cambiare a cuor leggero l’antica e venerabile liturgia della Chiesa, come chiarito dal Catechismo della Chiesa cattolica (“Neppure l’autorità suprema nella Chiesa può cambiare la liturgia a sua discrezione, ma unicamente nell’obbedienza della fede e nel religioso rispetto del mistero della liturgia”, n. 1125), a meno di commettere abuso di potere (“abusus potestatis”, can. 1389).
È una questione sempre attuale. Anche von Balthasar, nel denso capitolo della sua “Kleine Fibel” intitolato significativamente “Obbedienza critica”, invitava a valutare attentamente la fallibilità delle autorità religiose, benché riconoscesse la difficoltà di “tracciare i confini fra il magistero ordinario dell’intero episcopato mondiale, cui è garantita l’ortodossia, e la fallibilità di singoli vescovi e singole conferenze episcopali, per tacere poi di comuni parroci e viceparroci”, e che “anche il papa parla infallibilmente solo in situazioni ben determinate”, sicché occorre che il fedele sia “incessantemente desto; e deve farsi inquieto allorché, per esempio, in una predica si affermi qualcosa che non corrisponde al Credo o al canone della liturgia”.
Lungi dunque dal far tornare anche von Balthasar “oltre S. Pio V”, per parafrasare il titolo di un libro del 2007 del prof. Grillo. Certo non riusciremo a ottenere i benefici che Lewis ha in mente per noi se ci limitiamo a leggere nei vecchi libri gli errori e le ipotesi caratteristici della nostra epoca, ai quali potremmo essere diventati ciechi. Non impareremo gran che da essi se, invece di lasciare che i libri mettano in discussione i nostri presupposti, cerchiamo di renderli alleati nelle nostre attuali lotte ideologiche.
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