sabato 1 gennaio 2022

Nosiglia Picchia sulla Messa Tradizionale. Ma Perché? Alcune Riflessioni.





Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, un grande amico del nostro blog, Vincenzo Fedele, ci offre questa riflessione legata a Traditionis Custodes e alla sua applicazione. Buona lettura.



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RIFLESSIONI SUL DECRETO ARCIVESCOVILE DEL 18 OTTOBRE 2021 E SULLE AZIONI CHE NE SONO SCATURITE




Vincenzo Fedele, 31 Dicembre 2021

Avrei voluto scrivere una mia riflessione subito dopo la pubblicazione, il 28 ottobre scorso, del Decreto con cui l’Arcivescovo di Torino, Nosiglia, ha deciso le modalità di attuazione pratica dei punti del Motu Proprio “Traditionis Custodes” del 16 Luglio vietando, in tutta la Diocesi di Torino, celebrazioni delle sante Messe con il rito antico di San Pio V, con la SOLA eccezione della Chiesa della Misericordia a Torino.

Avrei voluto scrivere al settimanale diocesano, ma so per esperienza che a quell’indirizzo le poste funzionano poco e, del resto, già la pubblicazione del testo del Decreto, asettica, ufficiale, direi sterilizzata e senza una riga di commento o presentazione, così come il totale silenzio successivo, predisponeva lo spirito a non attendersi altro da quella sponda.

Sono stato anche spinto a tacere dal colloquio che qualche gruppo (lo sanno in pochi, ma questi gruppi esistono, sono attivi e sono praticanti nella Fede), stava tentando di attivare con la Curia e pensavo che una voce fuori dal coro, come la mia, potesse essere d’intralcio.

Penso di aver fatto bene, anche perchè il testo del Decreto e la disillusione procurata mi avrebbero portato a scrivere cose spiacevoli, dettate più dal maligno che dalla ragione illuminata dalla Fede.

Oggi posso scrivere invitando tutti a pregare per chi è nell’errore, visto che la Chiesa ha sempre distinto, a parte gli ultimi otto anni, l’errore dall’errante.

Oggi, ammesso che errore ci sia, la chiesa preferisce giudicare l’ipotetico errante, magari infliggendogli pesi e colpe immeritate, preservando l’errore. Ma tant’è!

Gli aspetti sono tanti, quindi penso di dividere in tre parte l’esposizione dei miei pensieri e delle mie riflessioni.

In questa prima parte cercherò di inquadrare il problema generale alla luce di TraditionisCustodes, concentrandomi sul Decreto dell’Arcivescovo Nosiglia e le sue implicazioni.

Le risposte della Congregazione per il Culto Divino ai “dubia” che, pochi giorni fa, hanno ulteriormente stretto il cappio della Traditionis Custodes, sono solo una ulteriore conferma che la posta in palio è molto più alta della semplice concessione di qualche Messa eliminando le poche tollerate in precedenza. Sembra che, anche a livello locale, ci sia un disegno molto più ampio dove è necessario che ogni tassello debba andare al proprio posto.

Nella seconda parte esporrò i miei dubbi sullo strano comportamento del Rettore dell’Arciconfraternita della Misericordia di Torino, il canonico don Francesco Saverio Venuto, che adotto come prototipo della tendenza prima ancora che coinvolgerlo, inevitabilmente, come persona, e riserverò la terza parte alle riflessioni su noi cattolici che rimaniamo esposti ai lupi di turno senza la guida dei Pastori che dovrebbero custodirci.

Personalmente ritenevo che un Pastore attento e premuroso per le sue pecore, come sempre si è dimostrato il nostro Arcivescovo, alla vigilia del suo saluto di commiato, non potesse salutarci con un decreto che sa di militaresco più che di amore pastorale.

Invece è accaduto proprio questo. Quindi invito tutti a pregare per lui

In molte altre diocesi, in tutto il mondo, vista la delicatezza del tema, molti presuli si sono presi del tempo per decidere le modalità attuative di T.C. ed in molti casi hanno deciso di mantenere lo status quo ritenendo che la situazione della loro Diocesi fosse normale ed accettabile.

Quasi mai, da nessuna parte si è assistito a chiusure quasi totali come, di fatto, sta accadendo a Torino.

Tralasciamo anche il fatto che, nella lettera accompagnatoria del Motu Proprio T C il Santo Padre invoca gli esiti della consultazione mondiale dei vescovi per giustificare le restrizioni comminate, mentre la scrittrice Diane Montagne sta pubblicando su “The Remnant” le singole risposte di tutti i vescovi del mondo, che la Santa Sede ha tenuto secretate e che, in larghissima parte, sono positive e testimoniano che in molti casi le celebrazioni Vetus Ordo, oltre ad accrescere il numero dei fedeli partecipanti, aumentare la loro spiritualità e la loro partecipazione alla vita parrocchiale, hanno anche positivamente influenzato le celebrazioni Novus Ordo.

Spiace, invece, dover constatare come molte volte la superficialità (non volendo per ora usare altre ipotesi, ma anche di questo ne parleremo in seguito) di blog autorevoli e storicamente schierati come Messainlatino.it possa cadere in infortuni disastrosi commentando con un “Meno male” la pubblicazione del Decreto Nosigliano.

Preghiamo molto, perchè i peccati potrebbero essere tanti.

Dicevo che salutarci in modo militaresco si addice poco al nostro Arcivescovo che oltretutto, nell’applicare la Traditiones Custodis, avrebbe dovuto almeno attenersi ad essa.

Iniziamo quindi a guardare i fatti dal punto di vista protocollare.

Al punto 3, quasi come disposizione preliminare, il Papa invita il Vescovo a confrontarsi con i gruppi ed i coetus di fedeli e accertare che “tali gruppi non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica ecc.”

Non mi risulta che questo sia stato fatto.

Nessun contatto e nessuna richiesta. Solo lettere perentorie di blocco immediato delle celebrazioni.

Nessuno dei gruppi presenti sul territorio è stato contattato in merito, anche se è risaputo che nessun gruppo ritenga invalida la riforma liturgica e anzi un gruppo era stato espressamente incoraggiato pochi anni fa, da Nosiglia, a proseguire le celebrazioni avviate in una piccola cappella a San Mauro Torinese

Mi risulta, invece, che a qualche gruppo sia stato fatto notare che, nel mese di Luglio, i circa 30 (trenta) fedeli presenti alle celebrazioni domenicali in una chiesa di Moncalieri fossero pochi.

Che “solo” 30 persone, con la calura estiva, le ferie, l’orario “sfidante”, (le ore 16), ed il COVID in atto fossero presenti, a me sembrava una testimonianza di grande attaccamento alla spiritualità di sempre, soprattutto se paragonato ad analoghe celebrazioni domenicali nel rito Novus Ordo dove ormai le presenze si contano sulle dita di 2 mani, a voler essere buoni, includendo in tali eventi anche le celebrazioni nel Duomo di Torino. La foto del titolo è uno scatto della Santa Messa Novus Ordo delle ore 9 del mattino di Domenica 26 Dicembre 2021 al Duomo di Torino, a riprova visiva della desolante numerosità.

Al secondo punto il T C invita il Vescovo a indicare “uno o più luoghi dove i fedeli aderenti a questi gruppi possano radunarsi per le celebrazioni eucaristiche…..”

Si prende atto che, in tutta la provincia di Torino, a parere del Vescovo, l’unico luogo degno di tale onore sia la Chiesa della Misericordia.

Le altre chiese cittadine e della provincia possono rimanere chiuse e vuote, ma senza il fastidio del canto gregoriano e l’inquinante odore di incenso.

Al punto 4 del 3 par di TC si legge testualmente “nomini un sacerdote che, come delegato del Vescovo, sia incaricato delle celebrazioni e della cura pastorale di tali gruppi di fedeli”.

La corretta interpretazione di detta frase è che il Vescovo si avvalga di un sacerdote di sua fiducia che coordini queste celebrazioni, oltre a celebrare lui stesso.

Questo è il corretto senso di “incaricare”: se ne faccia carico; supervisioni; controlli che non ci siano abusi, non ci siano negazioni dei principi conciliari, non ci siano errori celebrativi, non ci siano sovrapposizioni con altre funzioni, siano rispettati i testi, i canti, i gesti, ecc.

Infatti il T C specifica che l’incaricato deve essere competente nel Messale Romanum, conosca la lingua latina, sia animato da carità pastorale, ecc.

Il nostro Arcivescovo, invece, l’ha voluto intendere solo come autorizzazione a celebrare.

Il testo dell’editto vescovile, infatti, recita: “concedo l’autorizzazione a celebrare secondo il Missale Romanum del 1962, che potranno esercitare esclusivamente nella chiesa della Misericordia in Torino.”

Che questo “delegato” debba avere la funzione che il testo rende palese è anche implicitamente sottolineato, nella T C, dall’uso del singolare: “nomini UN sacerdote che, come delegato del Vescovo, ecc.”

Nosiglia, invece, contravviene anche a questa disposizione e ne nomina ben 3 (tre) identificati per nome con data di nascita e di ordinazione. Ci sarebbe quasi da dover ringraziare. Nella pratica impossibilità di una presenza continua, come per qualsiasi funzionario, (ferie, malattia, allattamento, permesso non retribuito, ecc.) è bene avere un sostituto. In questo caso, mettendo da parte l’ironia è da considerare almeno a vantaggio della salvezza delle anime.

Comunque solo questi tre sacerdoti potranno celebrare e solo nella chiesa della Misericordia.

Tutti gli altri ?

Viene loro ritirata la possibilità di celebrare secondo la liturgia approvata da Santa Romana Chiesa e “mai abrogata”, per cui sono stati ordinati?

Sono vietate anche le celebrazioni private?

Saranno sacerdoti monchi?

Non è una domanda peregrina visto che al punto 4 di T C viene espressamente previsto che “i presbiteri ordinati DOPO la pubblicazione del presente Motu Proprio che intendono celebrare con il Missale Romanum del 1962 devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano…..”

Per i sacerdoti già ordinati e che da tempo celebrano la santa Messa?

Il decreto del Arcivescovo taglia la testa al topolino: Nessuna richiesta.

Decido io.

Amputazione e basta.

Buon senso vorrebbe che, se le celebrazioni fossero blasfeme, o anti liturgiche o, comunque fuori dall’insegnamento e dalla tradizione di Santa Romana Chiesa, fossero eliminate totalmente, e non “tollerate” in un recinto protetto per animali rari e pericolosi.

Invece la Chiesa della Misericordia è idonea. Tutte le altre NO.

Sarà una questione attinente alla muratura, ai metodi costruttivi degli edifici sacri o altri aspetti che riguardano l’architettura, forse con la supervisione del grande architetto dell’universo.

Molti edifici, anzichè consentirne l’utilizzo a gruppi di fedeli amanti della Liturgia di sempre, che potrebbero recuperarli e farli tornare all’antico splendore, si preferisce lasciarli nel degrado o venderli per ricavarne supermercati o altri utilizzi remunerativi.

Don Venuto, don Savarino e don Cheula (i tre designati), sono idonei, gli altri NO.

Anche geograficamente parlando, non sembra tanto normale che dai confini della provincia, quindi da Carmagnola a Settimo, da Chivasso a Giaveno, da Racconigi a Quincinetto, ci si debba recare alla Chiesa della Misericordia, percorrendo centinaia di Kilometri, con i problemi di parcheggio del centro di Torino e con la quasi certezza di non poter partecipare alla sacra funzione.

Alla chiesa della Misericordia, infatti, già prima della rivoluzione arcivescovile di ottobre imponevano a tanti di non entrare in Chiesa viste le limitazioni imposte dal COVID. Ultimamente sono state raddoppiate le celebrazioni, mentre i coetus autonomi celebravano ancora per loro conto in provincia in una ammirevole unione liturgica ed ecclesiale, ma molta gente rimaneva fuori.

Adesso che non c’è più la possibilità i celebrare in Provincia e neanche in altre chiese di Torino, il numero di esclusi sarà almeno raddoppiato, anche se rimane molto spazio nel Duomo di Torino…

L’arcivescovo ricorda inoltre ai 3 designati di avere a cuore la dignitosa celebrazione della Liturgia e la cura pastorale e spirituale dei fedeli”.

Traducendo il concetto in lingua corrente, dovrebbero controllare che i celebranti conducano il rito con la dignità, la solennità, la cura ed il rispetto dovuti a nostro Signore che scende sull’altare in presenza vera e mistica. In realtà, con la limitazione imposta dall’Arcivescovo (delegati celebranti e non delegati coordinatori), devono limitarsi a controllare loro stessi, unici celebranti possibili.

Qualcuno potrebbe osservare che la dignitosa celebrazione andrebbe raccomandata e rivolta, ogni santo giorno, ai celebranti il Novus Ordo, che fanno delle innovazioni il loro vessillo, che scambiano l’altare per palcoscenico sino ad arrivare, qui a Torino, ad eliminare anche il Credo “perchè non ci credo”, pur continuando a celebrare senza neanche un rimbrotto nel merito.

Non ci sembra, però, che ci siano decreti arcivescovili che tocchino questo problema.

Anche l’ultima edizione dello scorso anno del Messale non si può dire che sia molto seguita.

Sono molto poche le parrocchie torinesi dove, ad esempio, il “Signore pietà…. Cristo pietà…. ” è stato sostituito da “Kirie eleison…. Christe eleison”, eppure il nuovo messale dovrebbe parlare chiaro….

I dubbi sono tanti, ma lasciamo la Messa Novus Ordo ai suoi problemi e concentriamoci sulla situazione creatasi con il “Decreto di Ottobre” e con la chiesa della Misericordia unica abilitata, in tutta Torino, e con i volontari a fare le veci dei poliziotti all’ingresso per vietare l’ingresso ai fedeli.

Ci sembra strano che l’Arcivescovo, caso forse unico, abbia personalmente individuato i tre sacerdoti, e solo loro, come idonei a celebrare nella Diocesi secondo il rito antico.

Non è che il disegno, come sembra, sia molto più grande e, portandosi avanti con il lavoro, viste le incognite del toto-vescovo, in Curia si siano messi i paletti per un perpetuo oblio della Liturgia di San Pio V?

Siamo certi che l’Arcivescovo sia ben al corrente delle implicazioni di quello che ha firmato e dei diversi retroscena?

In anteprima ne anticipiamo qualcuno, che svilupperemo in seguito:

L’Arcivescovo è al corrente che ad un gruppo cui aveva concesso la sua benedizione pochi anni fa è stato ex abrupto negato il diritto stesso di esistere?

Sa l’Arcivescovo che, degli oltre 50 fedeli che gli hanno richiesto udienza per esporre le loro necessità, il suo delegato ha ammesso a colloquio con se medesimo solo 3 (tre) persone e solo dopo molta insistenza?

Sa l’Arcivescovo che in tale colloquio è stato messo in dubbio che egli avesse mai autorizzato le celebrazioni a San Mauro, peraltro in un periodo in cui non vi era alcun obbligo di autorizzazione?

Non sorge il dubbio, anche all’Arcivescovo, che qualcuno all’interno della Curia abbia armeggiato per far sembrare che a Torino ci sia una bella pace liturgica, con la chiesa della Misericordia abilitata a celebrare in rito antico, ma che in realtà è una gabbia dorata neanche tanto capiente?

Non viene il dubbio che qualcuno tiene bordone a qualcun altro per far apparire come una grande elargizione quello che non è neanche un minimo sindacale di infimo livello?

Spiace infine constatare come, alla luce di queste considerazioni, il grave infortunio del “MENO MALE” di Messainlatino.it assuma ben altra consistenza su cui riflettere a fondo.

Preghiamo quindi per il nostro Arcivescovo, per tutti i sacerdoti, in particolare per don Venuto, don Savarino e don Cheula e per tutti noi popolo di Dio.

Che il Signore segua, illumini e converta i lori ed i nostri cuori e restituisca a tutti il buon senso necessario a discernere correttamente la Fede alla luce della ragione e la ragione alla luce della Fede.


SECONDA PARTE

Nella prima parte di queste riflessioni abbiamo cercato di fare alcune considerazioni sul Decreto del 28 ottobre dell’Arcivescovo di Torino, Nosiglia, in applicazione del Motu Proprio di Papa Francesco, Traditionis Custodes, unitamente a qualche considerazione sulle ricadute pratiche delle disposizioni emanate.

Continuiamo ad invitare tutti a pregare per il nostro Arcivescovo, così come Papa Francesco invita tutti a pregare per lui, a che il Signore lo accompagni e lo illumini.

Insieme alle intenzioni per l’Arcivescovo è bene che ricordiamo nelle nostre preghiere anche il Rettore dell’Arciconfraternita della Misericordia di Torino, don Francesco Saverio Venuto, nel caso ne avesse bisogno.

Preghiamo, quindi, anche per il delegato arcivescovile, rettore della chiesa di Via Barbaroux e monopolista delle celebrazioni diocesane, anzi oligopolista, visti i sostituti nominati.

Per lui le preghiere devono avere una diversa intenzione ed avere, se possibile, maggior fervore.

Da santo uomo qual è ha, infatti, sempre difeso, seguendo le orme dei suoi predecessori, le celebrazioni Vetus Ordo, pur avendo contro le schiere moderniste continuamente all’assalto di tutto quello che poteva avere parvenza di cattolicesimo ante (non anti) Concilio Vaticano II.

Ritenevamo, e continuiamo a ritenerlo sino a prova contraria, che fosse anche lui, come don Savarino e don Cheula, vittima inconsapevole del Decreto vescovile.

Ma quando uno dei gruppi ha fatto una raccolta le firme per una petizione all’Arcivescovo, per poter celebrare in provincia, come consuetudine radicata in piena armonia da oltre un decennio, in Curia si è dispiegato un ammirevole scarica barile che, infine, ha trasformato don Venuto da delegato-celebrante a delegato effettivo per i discernimenti del caso.

Apparteniamo anche noi al gruppo dei firmatari la petizione e siamo stati quindi informati, dai tre soli rappresentati ammessi alla presenza del Delegato Arcivescovile che l’incontro, pur se cordiale, è stato di totale chiusura.

Divieto assoluto di celebrare fuori dalla Misericordia o con celebranti diversi dai tre designati dall’Arcivescovo.

Lasciamo all’intelligenza di chi ci ha seguito fin qui trarne i commenti del caso che noi evitiamo di fare, ma qualche dubbio sul suo comportamento ci sorge spontaneo e abbiamo iniziato a parlarne nella prima parte:

L’arcivescovo è al corrente che al coetus che aveva raccolto le richieste ed a cui l’Arcivescovo stesso aveva concesso la propria benedizione, è stato negato il diritto stesso di esistere?

L’arcivescovo è al corrente degli scaricabarile attuati in Curia per evitare qualsiasi colloquio con lui e promuovere, contro la “lettera” del Decreto, don Venuto da “delegato celebrante” a “delegato collaboratore”?

L’Arcivescovo è al corrente che degli oltre 50 firmatari solo 3 (tre), e solo dopo molte insistenze e lungaggini, hanno avuto il permesso di parlare con il Rettore dell’Arciconfraternita della Misericordia, suo delegato?

L’Arcivescovo è al corrente che in tale colloquio con il Rettore delegato è stato messo in dubbio la sua autorizzazione a celebrare a San Mauro?

Se da “vittima” aveva tutta la nostra comprensione ed il nostro apprezzamento per il suo attivismo nel dare conforto alle pecorelle smarrite del gregge di Dio, nell’aumentare il numero delle messe in rito antico nella sua chiesa di Via Barbaroux e nel garantirne l’attuazione a ristoro delle anime, nelle vesti di attuatore di divieti ed esecutore di sentenze lo vediamo da una luce molto diversa.

Lo consideravamo un Pastore innamorato delle sue pecore. Dobbiamo, invece, prendere atto che quando il gregge è minacciato dai lupi il pastore bastona le proprie pecore e se ne va senza chiudere l’ovile e senza allontanare le bestie feroci.

Riteniamo che questo sia un comportamento molto grave anche perchè un gregge senza pastori, anzi perseguitato da essi, si disperde facilmente, soprattutto se è assediato dai lupi.

Vorremmo ragionare in generale sul comportamento dei pastori che abbandonano il gregge nel momento del pericolo e ci spiace che sia proprio don Venuto a proporci la dimostrazione da manuale di come si possa operare contro il proprio gregge con pensieri, parole, opere ed omissioni.

Ci viene da chiedere, e chiederci, quali siano i motivi per cui lui ama e celebra la Messa secondo il Messale del 1962?

E’ un fatto puramente estetico?

E’ innamorato del profumo d’incenso e dei paramenti?

Ama la musica sacra ante litteram?

Ama il latino?

Lo fa per dovere d’ufficio e continuità con la Confraternita che si è trovato a dirigere?

Noi conosciamo le nostre motivazioni, ma non conosciamo le sue.

Per noi i motivi sono, principalmente, di quattro tipi (per maggiori approfondimenti Vedi art. STILUM CURIAE – PETER KWASNIEWSKI: LE QUATTRO QUALITÀ DELLA LITURGIA.


VALIDITA’

Riteniamo che la validità del rito Vetus Ordo sia almeno pari a quella del rito Novus Ordo, viste anche le parole del Santo Padre Benedetto XVI “Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro e grande, rimane sacro e grande anche per noi e non può essere improvvisamente vietato e considerato dannoso”.

LICEITA’

Una celebrazione è lecita se viene eseguita secondo il rito prescritto da Santa Romana Chiesa. E’ illecita se devia dal rito prescritto. Una celebrazione sacramentalmente illecita non vizia, comunque, la validità e quindi la realtà del sacramento. La liceità della Messa Vetus Ordo è certificata da secoli. Forse quella del Novus lo è di meno se in qualche caso, ad esempio, il Credo viene sostituito da “fratello sole sorella luna” oppure se fra i canti viene introdotto Fabrizio de Andre con uno dei più sentiti inni alla maternità, ma che non può riferirsi alla Vergine madre di Dio quando dice, sempre come esempio, “femmina un giorno e poi madre per sempre….” inneggiando all’atto sessuale che ha generato miliardi di noi, ma non ha mai sfiorato la beata Vergine Maria, ecc.
 
ADEGUATEZZA

Il rito deve essere “adeguato” perchè ha uno scopo più grande che preparare una cena per noi. E’ la preparazione alla discesa di Gesù Cristo sull’altare. E’ l’atto solenne di offerta dell’eterno Figlio all’eterno Padre e di tutto il corpo mistico della Chiesa in unione con loro. E’ la principale espressione della Fede, della Speranza e della Carità. E’ il regno dei cieli che irrompe dentro di noi. E’ il sacrificio di Cristo Sommo sacerdote che viene ripetuto sull’altare. Allora non può esserci superficialità ed approssimazione. Deve essere adeguato all’avvenimento che si celebra. Alla festa nuziale del Re dei Re. Al compendio dell’intero universo nei suoi Alfa e Omega. Siamo certi dell’adeguatezza del rito di San Pio V. Sul Novus Ordo nutriamo qualche dubbio.

AUTENTICITA’

Qui con “autenticità” intendiamo la continuità e veridicità storica. In realtà, come tutti sanno, il rito di San Pio V non è stato “inventato” da San Pio V che si è limitato a ordinare, armonizzare e raccogliere tutte le celebrazioni ed i riti che nei secoli precedenti si erano lentamente evoluti, preservando quelli che avevano, all’epoca, più di 200 anni (l’attuale rito Ambrosiano, Mozarabico, ecc.). Dell’autenticità e della discendenza apostolica del rito Vetus Ordo siamo certi, così come siamo certi che il Novus Ordo (per quanto valido, lecito ed abbastanza adeguato quando non apertamente abusato) è stato ideato e preparato ex novo, a tavolino, da un gruppo capeggiato da Mons. Annibale BUGNINI. Un solo aneddoto può rendere l’idea di cosa intendiamo: uno dei partecipanti si vantava di aver scritto dei testi su un tovagliolo in una osteria, per passatempo, e si era immensamente meravigliato quando aveva visto che quegli scritti erano entrati a far parte del Canone e degli Offertori. Del resto è risaputo che Bugnini operò contro il Papa Paolo VI e contro la stessa commissione che presiedeva, ingannando entrambi. Diceva alla commissione che quei testi erano voluti dal Papa ed al Papa che era la Commissione ad aver deciso così. Che poi sia finito come ambasciatore in IRAN, quando Paolo VI scoprì i misfatti è anche storia risaputa. Per quanto riguarda il nostro ragionamento queste basi, ma ci sarebbe molto altro, sono più che sufficienti a NON ritenere autentico, pur se valido, il rito Novus Ordo. Quindi un motivo in più per preferire il rito di San Pio V.


Riteniamo inoltre, a totale confutazione della falsa accusa che i “tradizionalisti” disconoscono i documenti del Concilio Vaticano II, che sono proprio i tradizionalisti a richiamarsi ai documenti del sacro Concilio, mentre chi segue il Novus Ordo se ne discosta sino a cancellarli del tutto in presenza di abusi ed innovazioni avanguardiste.

Il Concilio Vaticano II consigliava il permanere della lingua latina e ne incentivava l’insegnamento nei seminari. Privilegiava l’uso dell’organo quale strumento musicale principe, del canto Gregoriano, della polifonia e non parlava di tamburelli, bongo, chitarre e batteria nè di mensa comunitaria.

Le “liberalizzazioni” sono venute dopo, da Mons. Bugnini (come abbiamo visto), dal Card. Lercaro, da altri componenti, palesi e occulti, della “mafia di San Gallo”, ma non dai Padri Conciliari che MAI hanno pensato queste cose e MAI le hanno approvate.

Forse è anche per questo che don Venuto preferisce celebrare nel rito antico.

Ma allora perchè vietare ad altri credenti di usufruire dei benefici di tanto splendore?

Perchè privarli delle fonti a cui si sono abbeverati schiere di Santi anche nella stessa Torino storica, per non parlare di San Padre Pio che, nonostante l’introduzione del rito Novus Ordo, non lo volle MAI celebrare e continuò sino al suo ritorno al Padre a celebrare secondo il vecchio rito?

Ecco: ci farebbe proprio piacere conoscere i motivi per cui don Venuto ama il rito secondo il Messale del 1962 di San Giovanni XXIII.

Se sono analoghi ai nostri allora dovrebbe, nella carità, perorare la causa di chi cerca di avvicinarsi alla Liturgia secondo la spiritualità di sempre, tutti rivolti al Signore che viene, lontano dai rumori del chiacchiericcio e dalle schitarrate che certo non avvicinano a Dio.

Se sono analoghi ai nostri dovrebbe evitare di chiudere porte e costruire muri, ma dovrebbe pensare ad erigere ponti e nuovi collegamenti con l’Arcivescovo e con la Curia tutta.

Non riteniamo credibile che sia solo per rimanere monopolista di tanto bene.

Non riteniamo neanche credibile che il suo pensiero non vada al bene delle anime che aspirano alla gioia celeste.

Non riteniamo credibile che si faccia strumento, consapevole o meno, di qualcuno che abbia l’obiettivo di creare divisioni nella chiesa torinese e rompere l’unità ecclesiastica.

Possibile che, per noi che veniamo dalla provincia, ma anche per chi abita a Torino città, non ci siano alternative per partecipare alla Santa Messa di sempre che frequentare la Misericordia, dove si è comunque impediti dal numero chiuso limitato dal COVID, come già ampiamente dimostrato?

Possibile, se anche lui condivide i punti sopra citati, o anche solo alcuni di essi, che da Delegato coordinatore, non cerchi di aprire una strada, tracciare un viottolo, ripianare una asperità, invece di limitarsi a chiudere porte e negare le possibilità che il Summorum Pontificum aveva aperto e che i predecessori di don Venuto avevano difeso con le unghie e con i denti anche prima che Papa Benedetto pubblicasse il suo Summorum?

Allontanare le anime da Dio è un grave peccato, soprattutto per un consacrato che dovrebbe essere il loro pastore e dovrebbe avere il compito ed il desiderio principale, se non unico, di avvicinarle a Lui e mantenerle vicine e protette nell’ovile del Signore.

Soprattutto per un consacrato che, scegliendo di celebrare secondo il rito di sempre, ne comprende a fondo le qualità ed apprezza i doni spirituali che da esso si ricevono.

Il Signore, nella sua Misericordia, comprenderebbe una indifferenza o anche un rifiuto, se queste venissero da un giovane sacerdote allevato a Sant’Anselmo, senza alcuna conoscenza del rito antico ed indottrinato dalla cultura modernista.

Nel suo caso non siamo in queste condizioni.

Dal Vangelo dell’antivigilia di Natale, giovedì 23 Dicembre, che parla della nascita di San Giovanni Battista, traggo un ardito parallelo, purtroppo applicabile in questo caso e su cui dovrebbero riflettere tutti i consacrati che si rendono strumento di divisone invece che di unione.

Zaccaria era un sacerdote del Tempio, ma non credeva veramente, nel profondo del suo cuore. Quando l’angelo gli appare per annunciargli che, nella sua vecchiaia, avrà il bambino tanto atteso, lui è scettico.

La sola apparizione dell’angelo, oltre al dono del desiderato figlio, dovrebbe convincerlo della potenza di Dio, ma lui non pronuncia il suo “Eccomi”, come invece farà Maria Santissima.

La nascita di Giovanni lo convince e ritrova la parola.

La venuta di Gesù che si fa carne aiuti tutti a dare il proprio contributo alla crescita della Sua Chiesa ed aiuti anche tutti i consacrati a ritrovare la retta via.


TERZA PARTE

Nelle prime due parti di questa serie, che con queste note si conclude, ho parlato delle incongruenze nell’approccio del nostro Arcivescovo e di quelle del Delegato nominato con il decreto arcivescovile del 18 ottobre u.s.

Continuo a chiedere di pregare per loro e per tutti i sacerdoti, soprattutto per quelli che si oppongono alla pratica ed alla divulgazione del rito liturgico di San Pio V.

In questa ultima parte vorrei concentrare le mie riflessioni su di noi, popolo di Dio, che ci sentiamo abbandonati, pensiamo di essere disorganizzati, crediamo di essere pochi, siamo scoraggiati e disillusi vedendo che i pastori che dovrebbero guidarci ci emarginano e in molti casi sono i nostri persecutori.

Nelle righe che seguono mi avvalgo di esperienze che altri, molto meglio e con più esperienza, in Italia e fuori, hanno già attuato e continuano a dare buoni consigli per condurre e vincere la buona battaglia.

Anche perchè il quadro non è catastrofico come sembrerebbe, nonostante che, guardando la situazione di Torino, lo sconforto si tocchi con mano.

Il peggio è già dietro le nostre spalle. Il tempo delle battaglie eroiche è già venuto ed è già passato.

E noi abbiamo vinto.

Sembrava tutto perduto quando la nuova liturgia, realizzata a tavolino per soppiantare quella di sempre, è stata imposta con mano dura nella speranza delle splendide sorti e progressive poi trasformate in gelido inverno.

I pochi che cercarono di resistere all’ondata di rinnovamento selvaggio si trovarono, loro sì, emarginati, isolati e derisi.

Solo in pochi rimasero in trincea, contro l’onda crescente del conformismo ostile, attrezzato, organizzato e certo della sua finta onnipotenza.

Questi pochi cercarono di collegarsi per non rimanere veramente isolati.

Nacque dal nulla, sul nulla e con nulla, l’associazione mondiale UNA VOX.

Uomini che misero la loro intelligenza, il loro sapere, il loro patrimonio, oltre alle loro conoscenze ed alla loro determinazione, al servizio di tutti. Si pagarono di tasca propria viaggi in giro per il mondo per incontrarsi e coordinare idee ed azioni. Internet era molto di la da venire.

Nacquero le chiese domestiche, si scrissero migliaia di petizioni, sempre inascoltate. Ma ad ogni porta chiusa si bussava ad altre dieci. Furono sensibilizzati sacerdoti, Vescovi, Cardinali.

Arrivarono aiuti da persone ed istituzioni impensabili. Molta codardia creò ostacoli che sembrava non esistessero. Si andò avanti nel rumoroso silenzio della perseveranza nella sicurezza che, alla fine, la Verità avrebbe vinto.

La punta dell’iceberg iniziava ad affiorare e si capiva che era solo la punta delle avanguardie indomite e coraggiose. Per ogni ragionamento modernista vi erano dieci risposte erudite e credibili, ogni libro progressista era confutato, nel merito, da dieci angolazioni diverse.

Improvvisamente la diga eretta iniziò a sgretolarsi e San Giovanni Paolo II fece le prime timide aperture. Infine arrivò il Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI.

Quello che era considerato grande e sacro per secoli, per usare le parole dell’amato Pontefice, ritornava anche ufficialmente ad essere considerato grande e sacro.

Adesso la burocrazia gerarchica sta dando solo i suoi ultimi colpi di coda anche se, come in qualsiasi animale ferito a morte, sembrano essere, ed a volte lo sono, i più dolorosi e distruttivi.

I seminari modernisti sono vuoti, quelli che seguono la sana dottrina devono essere continuamente ampliati. La classe sacerdotale figlia del famigerato ’68 è vecchia e demotivata, anche se ha le leve del potere e ruggisce per coprire la propria impotenza.

I giovani hanno sete di sapere e di conoscere e appena scoprono i tesori spirituali della Liturgia antica se ne innamorano.

Per rimanere nel solo ambito torinese, fecero scalpore, nel 2013, i candidati all’ordinazione sacerdotale che, pur indottrinati secondo la cultura dei jeans strappati, alla cerimonia si presentarono, tra lo stupore generale, tutti con la veste talare. Nel panico generale della gerarchia torinese vennero decapitati i vertici del Polo Teologico Torinese dove il pomposo nome serve, ancora oggi, solo ad occultare le aule desolatamente deserte o quasi. Finora un laico che voleva seguire un corso di teologia a Torino doveva pagare solo 80 Euro. Da questo dicembre non vale più neanche quello. Sono offerti gratuitamente, sperando che qualcuno si iscriva.

I loro seminari, invece di formare teologicamente i giovani al sacerdozio, sfornano pochi funzionari che saranno, forse, capaci di condurre in porto qualche protesta sul clima o organizzare una mensa per i poveri, ma sanno poco della Sacra Scrittura e, soprattutto, sanno poco dello Spirito Santo che non viene molto invocato a scendere su di loro per illuminarli e farne dei pastori di anime.

Il problema, forse, siamo proprio noi laici.

Qualche anno di celebrazioni che, per quanto avversate, erano comunque tollerate obtorto collo, il supporto di molte piattaforme intellettualmente valide e capillarmente diffuse anche via internet, ci ha fatto credere che la diga che si sta sgretolando fosse già crollata totalmente.

Allora ci siamo messi in pantofole senza comprendere che proprio adesso inizia la vera battaglia, che sarà una battaglia di logoramento, ma in cui la vittoria è certa se saremo vigili, perseveranti, convinti e determinati come lo furono, in condizioni ben peggiori, i nostri padri.

Paradossalmente il Decreto dell’Arcivescovo Nosiglia (che prendiamo come esempio di tante altre situazioni analoghe), potrebbe anche essere stato un segnale positivo, del resto si sa che le vie del Signore sono imperscrutabili ed infinite.

Le limitazioni cui siamo sottoposti ed i divieti immotivati ed assurdi che ci vengono imposti possono essere considerati lo squillo di tromba che suona l’allarme.

Non dobbiamo aspettarci alcuna clemenza, le diatribe, le lungaggini, gli scaricabarile illustrati nelle prime due parti ne sono la riprova, quindi non è più il caso di intavolare alcuna trattativa.

Anche i documenti scritti, le lettere di approvazione delle celebrazioni liturgiche dei nostri coetus, sono considerate carta straccia secondo lo slogan che “una benedizione non si nega a nessuno”.

Non andiamo in cerca di benedizioni da chi travisa la volontà di Dio.

Andiamo in cerca, come diciamo nel Pater noster, del Regno di Dio, sperando che venga presto e sapendo che il Regno di Dio è Gesù stesso.

Certo non saranno tempi facili.

I pochi sacerdoti che cercheranno di resistere saranno emarginati, magari esiliati, comunque isolati dalla comunità ecclesiale.

La stessa “misericordina”, e forse peggio, sarà usata con gli istituti di vita apostolica e le comunità religiose che oggi prosperano di vocazioni vere e fervide, che potranno trovarsi commissariate e perseguitate per la loro fedeltà al Vangelo. Lo scempio che è stato fatto con i Frati Francescani dell’immacolata potrebbe essere replicato per molti altri istituti.

Penso alla comunità di San Pietro, alla Cristo Re Sommo Sacerdote ed a molte altre strutture analoghe. L’unica esente da ritorsioni, paradosso dei paradossi, potrebbe alla fine risultare proprio la Fraternità San Pio X, i cosidetti Lefebvriani, che, riconosciuti dalla Santa Sede, anche se non in comunione con essa, sono stati autorizzati da Papa Francesco a celebrare ed anche a somministrare i sacramenti, comprese le confessioni ed i matrimoni, durante e dopo l’anno giubilare della Misericordia.

Gli istituti di vita consacrata sapranno come sarà meglio operare.

Avranno, però, bisogno del nostro appoggio discreto ma convinto.

Meglio, allora, concentrarci su cosa siamo chiamati a fare noi, come sarà bene operare, come organizzarci, quali sacrifici saremo chiamati ad offrire a nostro Signore per condurre la buona battaglia.

Anzitutto dovremo dismettere le pantofole e, in tempo di guerra, attrezzarci anche psicologicamente alla guerriglia.

Continuiamo, anzitutto, a pregare. La forza della preghiera è fenomenale per fortificare noi e per irradiare intorno a noi le forze positive che smuovono le montagne.

Non è vero che non abbiamo tempo. E’ vero che ne sprechiamo molto. Dovremo, quindi, rivedere le nostre priorità.

Se eravamo abituati ad avere una “messa in latino” in una chiesa abbastanza vicina, dovremo mettere in conto di dover fare molti più kilometri per esserci, per far sentire la nostra presenza. Ricordo un tweet di “Rorate Caeli” del 25 luglio: “Non dovresti essere li, ed è più che mai per questo che si suppone che tu debba essere li”.

Quello che è certo è che sarà una guerra di logoramento, come dicevo prima, quindi non dobbiamo pensare ad azioni fulminee o eclatanti “una tantum” ma a piccole azioni da ripetere in continuo.

Dobbiamo usare la pazienza e l’intelligenza sfruttando ogni occasione, a proposito ed a sproposito per fare la nostra testimonianza e per avvantaggiarci sugli errori degli avversari.

La prima cosa che mi viene in mente, solo per fare un esempio, scaturisce proprio dal Decreto di Nosiglia che è stato firmato come Arcivescovo di Torino e non come Vescovo di Susa.

Chissà cosa ne pensa il Vescovo di Susa?

Non so a voi, ma a me non risulta che il Vescovo di Susa abbia emesso un decreto analogo.

Allora le celebrazioni che si facevano a Moncalieri o nelle chiese di Torino o a San Mauro o da altre parti, potranno essere attuate a Susa, a Bruzolo, ad Almese o in altri comuni della Valle.

Richiede un sacrificio maggiore?

Certo che richiede un sacrificio maggiore, ma neanche tanto più grande del recarsi alla chiesa della Misericordia con il vantaggio di non avere problemi di parcheggio ed essere certi di assistere alla santa Messa senza essere lasciati fuori dalla porta per il contingentamento COVID.

Scriviamo con il massimo rispetto lettere al nostro Vescovo, parliamone con i sacerdoti che conosciamo, dicendo loro che siamo innamorati della Messa in latino, spiegando loro quanto questa spiritualità ci abbia aiutato nella vita, nella famiglia, sul lavoro.

Ricordiamo loro i buoni frutti che vengono dall’albero buono.

Evitate di elargire fondi a Diocesi o parrocchie che opprimono la Liturgia tradizionale.

Priviamole di ogni forma di finanziamento, devolvendo le loro offerte alla parte sana della Chiesa, in modo da assicurare aiuto alle Parrocchie, ai sacerdoti e alle Comunità religiose perseguitati.

Conserviamo i pochi fondi disponibili per aiutare gli istituti realmente cattolici che non ricevono aiuti dalla gerarchia, i coetus che con molta difficoltà e pochi fondi promuovono la spiritualità di sempre. Aiutiamo i sacerdoti isolati o emarginati per la loro aderenza ai veri princìpi evangelici. Se possibile invitiamoli a pranzare con noi a casa, facciamogli sentire che siamo loro vicini in concreto e con affetto fraterno.

Offriamo, ai coetus ed ai sacerdoti disponibili, le nostre case quali chiese domestiche per celebrare se non sarà possibile farlo nelle chiese. In Francia si sono organizzati per celebrare le Messe nelle piazze, nei giardini, davanti alle Chiese chiuse. Usiamo anche noi la fantasia.

L’ingiustizia che stanno infliggendo alla Chiesa deve essere contestata e combattuta con tutti i mezzi moralmente e civilmente leciti.

Loro usano il travisamento delle idee e dei concetti per attuare l’opposto di quello che dicono.

Noi avvaliamoci della Verità che splende nelle tenebre.

Basta leggere Traditiones Custodis per comprendere cosa intendo esprimere. Il Papa afferma che, in nome dell’unità “ritira le facoltà concesse dai suoi predecessori”, annientando così quell’unità che declama.

Utilizza le figure del Santo Papa Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI per distruggerne l’opera evangelizzatrice.

Coinvolge addirittura la figura di San Pio V per trovare conforto e realizzare l’esatto opposto di quanto il Santo Pontefice aveva attuato.

Già nel titolo richiama i Vescovi ad essere Custodi della Tradizione, ma solo per cercare di affossarla e distruggerla.

I problemi che il Papa ha scatenato, che il nostro Arcivescovo ha recepito e che i vari don Venuto stanno pervicacemente attuando, potranno durare un mese, un anno, un decennio, non lo sappiamo.

Il futuro è nelle mani di Dio.

Nostro compito è attrezzarci di pazienza e determinazione attuando anche solo qualcuna delle azioni che ho ricordato sopra, anche perchè è quasi impossibile attuarle tutte, ma è importante farlo con continuità, nella certezza che Gesù Cristo ha già vinto e che alla fine la Sua Chiesa trionferà. Non praevalebunt.








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