La fedeltà alla Tradizione è il principio per ogni vero progresso nella Chiesa. La sinodalità rappresenta invece una rottura. Francesco mostra una malintesa idea di “tradizione vivente” quando fa una celebre citazione di san Vincenzo di Lerino, il cui pensiero però — nella sua interezza — si riferiva al dogma.
di mons. Nicola Bux, 25-01-2022
Il cardinale John Henry Newman esortava: “Costruite su fondamenta antiche e sarete al sicuro: non cominciate niente di nuovo, non fate esperimenti… per non far vergognare nella vecchiaia vostra Madre (la Chiesa)”. In questo discorso del 1849 sulla missione cattolica, il santo enuncia un principio: la fedeltà alla propria storia è garanzia di stabilità per il futuro. Così dovrebbe essere per ogni cattolico: fedeltà alla Tradizione per innovare ovvero costruire in modo stabile e ‘antisismico’ la Chiesa. Ma oggi, col cavallo di Troia della sinodalità, si vuol far passare lo squilibrio e la rottura.
Secondo papa Francesco, la sinodalità esprime la natura della Chiesa, la sua forma, il suo stile, la sua missione e ne fornisce alcune declinazioni: all’opposto di rigidità e verticismi gerarchici, la sinodalità si deve ritenere il movimento stesso della Tradizione, che porterebbe a rivolgersi verso il sensus fidei e la sua infallibilità in credendo; per il fatto che la sinodalità significa “camminare insieme”, è il popolo di Dio e non qualcun altro, anche se pastore della Chiesa, ad indicare la direzione di marcia, perché il popolo ne avrebbe il “fiuto”. Di conseguenza, secondo alcuni, la sinodalità corregge il primato petrino, e così possono governare la Chiesa anche i battezzati che partecipano al culto, all’ascolto e all’insegnamento della parola; in tal modo si supererebbe il ‘paternalismo’ della gerarchia: peccato che chi lo sostiene non si è accorto che proprio il paternalismo ha prodotto, ad esempio, Traditionis custodes.
Tutto questo sembra discendere dalla nozione di “tradizione vivente” che ha in mente papa Francesco quando ricorre alla citazione di san Vincenzo di Lérins (Lerino): “ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate” (progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età). Egli la menziona: nell’enciclica Laudato si’ (121) del 2015, per indicare l’autocomprensione crescente della Chiesa in sintonia e allo stesso tempo dipendente dal dialogo col mondo; nel discorso dell’11 ottobre 2017 – venticinquesimo della costituzione Fidei depositum di Giovanni Paolo II sul Catechismo della Chiesa Cattolica – per giustificare la modifica dell’articolo sulla pena di morte; ancora, nel discorso di chiusura dell’assemblea sinodale sull’Amazzonia, del 26 ottobre 2019; infine nel discorso ai fedeli della diocesi di Roma, del 18 settembre 2021, per avviare il processo sinodale. Si può dedurre che tale citazione costituisca il metro ricorrente con cui egli misura la “rigidità” o meno di persone e cose.
In realtà, la citazione del celebre monaco si riferisce al dogma della religione cristiana, che subito dopo continua: “È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato”. Anzi, egli aveva prima riflettuto: “Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente e anche molto grande. Chi infatti può essere talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire? Bisognerà tuttavia stare attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un’altra. È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto”.
Dopo aver spiegato che si tratta della stessa legge della natura che presiede allo sviluppo organico dei corpi, san Vincenzo afferma: “Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età. È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato […]. Del resto, se si comincia a mescolare il nuovo all’antico, le idee estranee a quelle domestiche, il profano al sacro, necessariamente ciò si propagherà dappertutto, e con quel che segue, nella Chiesa, non rimarrà più nulla intatto, incontaminato, inviolato, immacolato” (Primo Commonitorio, cap.23; PL 50,667-668). In corsivo, la frase citata da papa Francesco, che, estrapolata dal contesto, come accaduto non di rado con altre fonti nei suoi documenti, dà ad intendere il contrario del pensiero dell’autore; in questo caso, che la dottrina è in cammino, avanza, si ingrandisce e – soprattutto – si evolve ossia può mutare (Cfr. PAPE FRANÇOIS, Politique et société. Rencontres avec Dominique Wolton, Éditions de l’Observatoire, 2017, cap.7: “La Tradition est un mouvement”,pp.315-350).
A confermare il fraintendimento franceschino, si deve osservare che, nel precedente cap. 22 del Commonitorium, san Vincenzo di Lérins aveva formulato una regola sicura per distinguere la fede dall’eresia, a cui si dà talvolta il titolo di canone leriniano: «in ipsa item catholica ecclesia magnopere curandum est ut id teneamus quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est» (anche nella stessa Chiesa cattolica ci si deve preoccupare molto che ciò che noi professiamo sia stato ritenuto tale ovunque, sempre e da tutti). Il santo monaco delinea la giusta fede secondo le direttive spaziale (ubique), temporale (semper) e plenaria (ab omnibus); ma questa “regola cattolica” non è mai citata da papa Francesco.
Basterebbe, però, il concetto di Tradizione che viene dagli Apostoli e progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo (cfr. Dei Verbum, 8), per esporre cos’è la Tradizione vivente, senza le falsificazioni neo-moderniste, che aggiungono “vivente” per relativizzare, ad esempio, il deposito oggettivo della fede e le formulazioni dommatiche mediante le contestualizzazioni storiche, confondendo progresso e cambiamento, enfatizzando il ruolo delle persone e dei loro atti, rendendo fluida la distinzione tra rivelazione e assistenza dello Spirito Santo alla Chiesa [cfr. L. JESTIN, “Sur le concept de Tradition vivent”, Catholica, 2022(154), pp.16-17]. Simili falsificazioni non corrispondono al concetto di Tradizione vivente che formulò il suo ‘inventore’ Johann Adam Möhler, e lo confondono con una teologia che vuol appena essere contemporanea, mentre la Tradizione vede ogni cosa sub specie aeternitatis. Bisogna credere al Dio rivelante e non al teologo opinante, perché è la verità che misura l’uomo, non l’uomo la verità.
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