di Anima Misteriosa, 2 gennaio 2022
2 ottobre 1629, Parigi, Istituto degli Oratoriani di Rue St.Honoré. Il fondatore dell’Oratorio, congregazione consacratasi alla santificazione dei sacerdoti, il cardinal Pierre de Bérulle, sta celebrando la santa Messa.
Pierre de Bérulle è uno dei giganti della Riforma cattolica in Francia: ha assistito con dolore alle devastazioni delle guerre di religione e si è adoperato con successo per la conversione di molti ugonotti attraverso la persuasione e l’esempio; nel 1604 è riuscito ad aprire a Parigi la prima filiale del Carmelo teresiano assieme ad alcune consorelle di santa Teresa d’Avila appositamente giunte dalla Spagna; nel 1611 ha fondato l’Oratorio di Francia, sul modello di quello romano di S. Filippo Neri.
Non solo: grande amico di S. Francesco di Sales, ha incanalato la sua mistica e la spiritualità verso la centralità del Cristo, di cui è un autentico innamorato; lo è tal punto, che da decenni difende da attacchi polemici il suo “voto di servitù”, cioè una forma di consacrazione speciale al Cristo, intesa come rinnovo delle promesse battesimali. Al servizio di Cristo ha dedicato tutta la sua vita, supremo dono ed offerta di sé nel segno dell’Incarnazione, come recita il suo voto:
Al momento dell’offertorio, proprio mentre pronuncia le parole Accipe hanc oblationem servitutis nostrae (Accetta o Signore questa offerta del nostro servizio) crolla a terra. Nessuno lo sa, ma è devastato da una cancrena e ormai in agonia. Si spegne in silenzio due ore dopo.
Rievoco questa figura, non solo perché è pressoché sconosciuta in Italia, o perché Bérulle è stato un grande santo dimenticato (la sua causa di beatificazione non è andata in porto per le polemiche ecclesiastiche del XVII secolo, ma i postulatori potevano presentare a Roma già una sessantina di miracoli attribuiti alla sua intercessione); il motivo principale per cui la propongo in questo periodo natalizio è che Pierre de Bérulle ha esaltato in modo eccezionale il Cristo soprattutto nella sua santa Incarnazione.
In onore dell’unione del Figlio con il Padre e lo Spirito Santo e dell’unione dello stesso Figlio con questa natura umana che Egli ha assunto e unito alla Sua propria persona, unisco e lego il mio essere a Gesù ed alla Sua umanità deificata mediante un legame di servitù perpetua….Riverisco e adoro la vita e l’annichilimento della divinità in questa umanità, e la vita, la sussistenza e la deificazione di questa umanità nella divinità, tutte le azioni umanamente divine e divinamente umane che procedettero da questa vita nuova e reciproca dell’Uomo – Dio nella sua doppia essenza eterna e temporale, divina e umana. E gli dedico e consacro la mia vita e le mie azioni di natura e di grazia, come se fossero vita e azioni di un suo schiavo per sempre…[1].
Al momento dell’offertorio, proprio mentre pronuncia le parole Accipe hanc oblationem servitutis nostrae (Accetta o Signore questa offerta del nostro servizio) crolla a terra. Nessuno lo sa, ma è devastato da una cancrena e ormai in agonia. Si spegne in silenzio due ore dopo.
Rievoco questa figura, non solo perché è pressoché sconosciuta in Italia, o perché Bérulle è stato un grande santo dimenticato (la sua causa di beatificazione non è andata in porto per le polemiche ecclesiastiche del XVII secolo, ma i postulatori potevano presentare a Roma già una sessantina di miracoli attribuiti alla sua intercessione); il motivo principale per cui la propongo in questo periodo natalizio è che Pierre de Bérulle ha esaltato in modo eccezionale il Cristo soprattutto nella sua santa Incarnazione.
Da lui è ricominciata la riscoperta del Cristo in Francia, in un’epoca in cui – e non è l’unica nella storia della Chiesa – più che al Cristo i cristiani pensavano a Dio in maniera generica, astratta. Ma poi, spronato anche dall’esempio delle Carmelitane amiche di S. Teresa, che aveva condotto a Parigi, riscoprì la centralità assoluta del Cristo e la straordinarietà della sua Incarnazione.
Di qui, il suo sguardo si è anche volto alla tenerezza di Gesù Bambino. Dal suo “cristocentrismo” hanno attinto numerosissimi santi francesi del Seicento e Settecento: l’apostolo del Sacro Cuore S. Giovanni Eudes, che era dapprincipio oratoriano, il fondatore del seminario di S. Sulpizio Jean – Jacques Olier, l’innamorato di Maria S. Luigi Maria Grignon de Montfort, il santo della carità S. Vincenzo de ‘Paoli, assieme alla sua collaboratrice S. Luisa de Marillac…Le stesse apparizioni del Sacro Cuore di Paray – le – Monial a S. Margherita – Maria Alacoque sono state preparate dalla mistica di Bérulle e dall’opera che egli scrisse in difesa del suo voto, le Grandezze di Gesù. Anche il culto di Gesù Bambino è praticamente nato con lui [2].
Dobbiamo renderci conto che gli uomini del Seicento non amavano i bambini. Li consideravano alla stregua di piccoli adulti e ne ignoravano le esigenze specifiche: solo l’Ottocento avrebbe scoperto la peculiarità dell’infanzia. Perciò, erano usualmente sordi e ciechi a fronte della tenerezza che scaturisce da un bambino; non solo, ma gli stessi genitori evitavano di affezionarcisi troppo, perché l’altissima mortalità infantile li portava, per autodifesa, a un distacco emotivo che poi, nei loro figli, si trasformava purtroppo in fame affettiva.
Dobbiamo renderci conto che gli uomini del Seicento non amavano i bambini. Li consideravano alla stregua di piccoli adulti e ne ignoravano le esigenze specifiche: solo l’Ottocento avrebbe scoperto la peculiarità dell’infanzia. Perciò, erano usualmente sordi e ciechi a fronte della tenerezza che scaturisce da un bambino; non solo, ma gli stessi genitori evitavano di affezionarcisi troppo, perché l’altissima mortalità infantile li portava, per autodifesa, a un distacco emotivo che poi, nei loro figli, si trasformava purtroppo in fame affettiva.
Nel secolo dello spagnolo “sussiego”, quando, come ci insegna Manzoni, quisquilie diventavano un oltraggio inaccettabile e per una sciocchezza gli aristocratici erano capaci di lavare l’onore ferito mandando l’avversario all’altro mondo, la debolezza e l’impotenza dei bambini non poteva godere di popolarità. Eppure, fu proprio all’inizio del Seicento che, paradossalmente (il Seicento è il secolo dei paradossi), tra alcuni religiosi prese a diffondersi la devozione a Gesù Bambino, grazie a personaggi che, per certi versi, erano rimasti bambini loro stessi.
Fu un frate carmelitano dall’intelletto forse un poco indebolito, Francesco del Bambino Gesù [3] che prese a venerare il Santo Bambino e a proporlo addirittura al re Filippo III: e grazie alla sua intercessione, il re e la regina di Spagna, ancora privi di figli, ricevettero la grazia di ben due bambini, quelli che sarebbero diventati poi Filippo IV e Anna d’Austria (futura moglie di Luigi XIII di Francia).
Poco tempo dopo, invece, in Francia, nella stessa Borgogna che avrebbe visto alla fine del secolo le apparizioni del Sacro Cuore, diffuse il culto a Gesù Bambino una suora minuta, rimasta anche fisicamente a uno stadio infantile per una forma di anoressia, la beata Margherita del SS. Sacramento, del Carmelo di Beaune. Fu lei che propagò il culto al santo Bambino, con tanto di coroncina, litanie, preghiere specifiche e fondazione di una confraternita. Grazie alla sua intercessione e alla preghiera delle sue consorelle, dopo ben 21 anni di matrimonio Luigi XIII e la succitata Anna d’Austria ebbero finalmente il tanto atteso erede, il futuro Luigi XIV [4].
Tutto ciò però non sarebbe forse stato possibile se Bérulle non avesse fornito le basi, per così dire, teologiche e mistiche dell’adorazione del Cristo incarnato. Il Seicento è stato un secolo in cui l’essere umano si è sentito spesso sperduto: spaccatasi l’unità religiosa europea con la Riforma protestante, dilatatasi in modo spropositato la geografia e la visione del cosmo (Bérulle cita talora Copernico), l’umanesimo era in crisi e tra epidemie, guerre e pestilenze, e a dispetto dell’orgoglio aristocratico, il singolo si sentiva spesso e volentieri fragile, impotente. Gli artisti ripetevano tenacemente sulle tele il motivo delle clessidre e dei teschi che indicano quanto la vita sia effimera; il mondo appariva infinito e privo di riferimenti. Fu allora che Bérulle ricordò agli esseri umani che il Cristo aveva scelto proprio quell’impotenza per condividerla con noi. Per tutta la vita, il suo ancoraggio fu sempre e solo il Cristo, il Verbo incarnato.
Dio come relazione d’amore
Nel suo pensiero, Dio nutre un amore assoluto per l’essere umano e ha creato il cosmo per amore, per comunicarsi al di fuori di Sé; perciò, Egli è presente in ogni creatura intimamente e ogni creatura dipende da Lui: tutto quel che l’uomo è deriva da Dio e dal Suo amore. Anzi, l’essere umano è talmente nulla che ha bisogno da parte di Dio di una sorta di creazione continua, che lo sottragga a quel nulla. E mentre i filosofi greci, specie Aristotele, consideravano la natura come sostanziale, fondante ed anteriore a tutto, quasi che l’essere umano potesse esistere di per sé e in modo autosufficiente, Bérulle sottolinea che ancora prima di noi stessi esiste la relazione con Dio: è questo il fondamento di tutto e questo ciò cui dobbiamo tendere con tutte le nostre forze. Ma la relazione che ci viene offerta è amore. La vera struttura della realtà, il vero significato dell’esistenza umana si rivela nella relazione con Dio e la Trinità stessa non è altro che relazione, che vige in libertà e amore [5].
Al vertice della creazione, per amore il Cristo si è incarnato nella natura umana; l’Incarnazione deve essere oggetto di adorazione, perché in essa Dio e l’uomo si incontrano definitivamente. Come il Padre è unito al Figlio, così nel Figlio la natura umana si unisce definitivamente a quella divina, grazie allo Spirito Santo. Inoltre, attraverso l’Incarnazione viene eliminato il peccato: per amore Cristo ci libera dalla colpa e soffre e muore per noi. Bérulle si spiega del resto la crocifissione come manifestazione totale dell’amore del Cristo, non solo per gli esseri umani, ma anche per il Padre [6]. Cristo è come il sole e tutto ruota intorno a lui; Egli emana continuamente su tutta la creazione grazia e amore, rinnovandola (immagine questa che Bérulle trae da Copernico, per rovesciare l’abituale visione propria del nostro egoismo, incentrato su sé stesso); proprio tramite l’Incarnazione, Egli può portare l’uomo a una sorta di divinizzazione e rivestire l’umanità di divinità. Di qui la centralità assoluta dell’adorazione di Dio, di Cristo e della Trinità; di qui diventa possibile all’essere umano la partecipazione allo stato del Verbo, alla relazione intratrinitaria, specie del Figlio col Padre.
Tutto ciò però non sarebbe forse stato possibile se Bérulle non avesse fornito le basi, per così dire, teologiche e mistiche dell’adorazione del Cristo incarnato. Il Seicento è stato un secolo in cui l’essere umano si è sentito spesso sperduto: spaccatasi l’unità religiosa europea con la Riforma protestante, dilatatasi in modo spropositato la geografia e la visione del cosmo (Bérulle cita talora Copernico), l’umanesimo era in crisi e tra epidemie, guerre e pestilenze, e a dispetto dell’orgoglio aristocratico, il singolo si sentiva spesso e volentieri fragile, impotente. Gli artisti ripetevano tenacemente sulle tele il motivo delle clessidre e dei teschi che indicano quanto la vita sia effimera; il mondo appariva infinito e privo di riferimenti. Fu allora che Bérulle ricordò agli esseri umani che il Cristo aveva scelto proprio quell’impotenza per condividerla con noi. Per tutta la vita, il suo ancoraggio fu sempre e solo il Cristo, il Verbo incarnato.
Dio come relazione d’amore
Nel suo pensiero, Dio nutre un amore assoluto per l’essere umano e ha creato il cosmo per amore, per comunicarsi al di fuori di Sé; perciò, Egli è presente in ogni creatura intimamente e ogni creatura dipende da Lui: tutto quel che l’uomo è deriva da Dio e dal Suo amore. Anzi, l’essere umano è talmente nulla che ha bisogno da parte di Dio di una sorta di creazione continua, che lo sottragga a quel nulla. E mentre i filosofi greci, specie Aristotele, consideravano la natura come sostanziale, fondante ed anteriore a tutto, quasi che l’essere umano potesse esistere di per sé e in modo autosufficiente, Bérulle sottolinea che ancora prima di noi stessi esiste la relazione con Dio: è questo il fondamento di tutto e questo ciò cui dobbiamo tendere con tutte le nostre forze. Ma la relazione che ci viene offerta è amore. La vera struttura della realtà, il vero significato dell’esistenza umana si rivela nella relazione con Dio e la Trinità stessa non è altro che relazione, che vige in libertà e amore [5].
Al vertice della creazione, per amore il Cristo si è incarnato nella natura umana; l’Incarnazione deve essere oggetto di adorazione, perché in essa Dio e l’uomo si incontrano definitivamente. Come il Padre è unito al Figlio, così nel Figlio la natura umana si unisce definitivamente a quella divina, grazie allo Spirito Santo. Inoltre, attraverso l’Incarnazione viene eliminato il peccato: per amore Cristo ci libera dalla colpa e soffre e muore per noi. Bérulle si spiega del resto la crocifissione come manifestazione totale dell’amore del Cristo, non solo per gli esseri umani, ma anche per il Padre [6]. Cristo è come il sole e tutto ruota intorno a lui; Egli emana continuamente su tutta la creazione grazia e amore, rinnovandola (immagine questa che Bérulle trae da Copernico, per rovesciare l’abituale visione propria del nostro egoismo, incentrato su sé stesso); proprio tramite l’Incarnazione, Egli può portare l’uomo a una sorta di divinizzazione e rivestire l’umanità di divinità. Di qui la centralità assoluta dell’adorazione di Dio, di Cristo e della Trinità; di qui diventa possibile all’essere umano la partecipazione allo stato del Verbo, alla relazione intratrinitaria, specie del Figlio col Padre.
Dio che si fa bambino per amore
Bérulle riflette molto sui misteri della vita del Cristo: secondo lui, lo stato più povero che il Cristo abbia conosciuto è proprio quello dell’infanzia, che consiste in dipendenza e impotenza assolute.
E infatti non è una umiliazione abbastanza grande per il Figlio unico di Dio d’essere abbassato al niente della natura umana, senza essere inoltre abbassato alla condizione vile e abietta dell’infanzia e della sofferenza? Che Gesù quindi viva sulla terra senza queste bassezze e miserie? Giacché è il re della gloria e lo splendore del Padre [7].
Nonostante la suprema grandezza divina, il Cristo ha accettato tutte le umiliazioni, i dolori, le sofferenze della vita umana.
Infatti, nonostante questo stato supremo e divino, (il Cristo) è rimasto in fasce e nella greppia, nell’infanzia e nell’impotenza dell’infanzia, nella fuga e nella persecuzione; in breve, nella pochezza della vita umana, tra le spine della croce e nelle tenebre della morte. E per quanto in tutti questi stati fosse veramente Dio – uomo, era Dio bambino e impotente in una stalla; era Dio fuggitivo e nascosto in Egitto; era Dio vivo e sconosciuto in un angolo della Giudea; era Dio sofferente e morente su di una croce; ed era Dio morto e sepolto in un sepolcro [8].
Noi non ci pensiamo mai, ma il Figlio di Dio ha accettato di dover essere allattato, che gli cambiassero i pannolini, che gli insegnassero a camminare; lui, il Logos, il Verbo per antonomasia, ha dovuto imparare a parlare da Sua Mamma. Tutto questo è avvenuto per amore, perché il Verbo voleva “abitare in mezzo a noi”, essere amore per noi:
Dio è uomo, ma non è la sua natura, è il Suo amore che lo fa uomo. Infatti, la natura divina è infinitamente distante dalla natura umana: e sarebbe sempre distante se l’amore, così potente e infinito quanto la natura, non unisse così intimamente la natura divina a quella umana e non le unisse in un’unità di sussistenza, esistenza e di persona. Dio è bambino: ma è bambino per amore e non per la necessità della sua condizione, come i bambini nati dagli esseri umani; ed è Dio bambino, essendo la potenza e la divinità unite potentemente, personalmente e amorosamente all’infanzia e all’impotenza…Noi vediamo pure Dio sofferente, Dio morente e Dio morto su di una croce e in un sepolcro: ma è l’amore e non la sua natura che lo riduce in questo stato [9].
Tutto, Creazione e Incarnazione, ma anche santa Infanzia, procedono dall’amore.
Un antico diceva che Dio, creando il mondo, si era trasformato in amore, tanto era rapito dalla vista e entusiasmato dalla bellezza di questo universo. Ma non aveva visto questo mistero e non conosceva che questo mondo sensibile tra le opere di Dio…Dio, facendo un nuovo mondo, e il “mondo dei mondi”, cioè Gesù, si è trasformato in amore. Perché Dio è amore…Non vediamo come la potenza di Dio vi si è trasformata in amore? E dato che Dio vi si è fatto impotente, non vi si mostra più potente che per amare? …Non vediamo che la potenza e la grandezza è prigioniera per amore nell’impotenza e nella bassezza dell’infanzia? Non vediamo che la maestà vi si è pure trasformata in amore e mutata in benevolenza e nell’umanità di un bambino? [10]
Eppure, proprio nella profonda debolezza e impotenza della stalla di Betlemme si rivela la massima potenza di Dio:
In verità, nasce sulla terra, ma la Sua nascita ha origine in cielo. Essa si compie in una borgata di Giudea, ma la Sua emanazione proviene dall’eterno Padre: e una realtà in apparenza così bassa, come la nascita del Bambino Gesù nella stalla di Betlemme sul fieno e la paglia, tra il bue e l’asino, possiede una fonte così alta e così ammirabile, come il seno dell’eterno Padre, che è l’altezza, la grandezza, la meraviglia dell’eternità [11].
Ma è grazie alla Sua sola potenza, e non per impotenza che Dio si fa piccolo; è grazie alla potenza che si fa umile; è grazie alla potenza che si fa neonato e bambino; è grazie alla potenza che soffre, che geme e che è avvolto dalle fasce [12].
Solo chi è veramente potente riesce ad abbassarsi: i veri re di una volta sapevano conversare in dialetto con i loro servitori, mentre i potenti di oggi provano un ribrezzo quasi fisico davanti alla massa e si nascondono dentro le loro auto blu o in bunker sotterranei. Proprio perché Dio è veramente potente, si fa bambino e accetta, per amore, l’impotenza suprema: il Suo potere consiste nell’attraversare tutta la realtà, anche quella infima, con il Suo amore, nel farsi neonato in una stalla, in mezzo ai pastori (considerati allora impuri), tra gli animali, perché per lui e per Sua Madre, considerata impura in quanto incinta, non vi era posto in albergo.
Oggi siamo afflitti da una potenza che ci opprime e realizziamo ogni giorno che siamo impotenti. Mi diceva una collega, anche lei angosciata dalla situazione attuale, che, provando a pregare, aveva compreso la nostra profonda impotenza. Ed è vero che, spesso e volentieri, possiamo molto poco, se non il nulla, contro quelli che ci opprimono e che sembrano avvolti dal baluginare di un potere, economico e politico, apparentemente così difficile da scalfire…Eppure, è un baluginare di latta. La potenza vera nasce in una stalla e si trova sempre a fianco dei più deboli e indifesi, quali siamo proprio noi in questo momento.
Ci fa bene essere adesso impotenti, perché avremo allora a nostro fianco il nostro Difensore, quello che nell’antico Israele si chiamava goel. A fronte della superbia, dell’arroganza e dello strapotere, ci resta solo l’impotenza, irrorata però dalla luce che proviene dalla grotta di Betlemme. Don Dolindo Ruotolo, santo sacerdote di Napoli, invitava all’abbandono fiducioso e completo in Dio, che solo dà la pace, anche nei momenti più duri. E, difatti, proprio dopo essere stata sospesa pochi giorni fa, posso dire che nella preghiera ho trovato la pace e la fiducia. Non lasciamoci abbattere: Quando sono debole, è allora che sono forte, avvertiva S. Paolo (2Corinzi 12,10). Dio è buono e rimarrà al nostro fianco, qualunque cosa succeda in questo anno che viene. Rimarrà particolarmente vicino ai più deboli, ai sofferenti, ai disprezzati, agli assetati di verità. A fronte del Nuovo Anno forse la cosa migliore da fare è proprio l’offerta di noi stessi a Dio, come faceva ripetutamente Pierre de Bérulle secoli fa: e mi commuove ancora pensare come sia spirato, dopo avere ripetuto per l’ultima volta: Accetta, Signore, questa offerta del nostro servizio…
[1] Per la biografia e il pensiero di Bérulle, cfr. Richard Cadoux, Bérulle et la question de l’homme. Servitude et liberté, Paris, Crf, 2005 ; per il testo del voto di servitù, p. 171 (traduzione mia).
[2] Su Bérulle e il suo influsso sulla mistica francese, cfr. Yves Krumenacker, L’école française de spiritualité. Des mystiques, des fondateurs, des courants et leurs interprètes, Paris, Cerf, 1999.
[3] Jacques LeBrun, La devozione al Bambino Gesù nel secolo XVII, in Egle Becchi-Dominique Julia edd., Storia dell’Infanzia. I. Dall’antichità al Seicento, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp.338-66.
[4] Jacques LeBrun, La devozione al Bambino Gesù nel secolo XVII, in Egle Becchi-Dominique Julia edd., Storia dell’Infanzia. I. Dall’antichità al Seicento, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp.338-66.
[5] Cfr. Mariel Mazzocco, Creazione e Relazione: la storia dell’uomo secondo Pierre de Bérulle, Rivista di Storia e Letteratura Religiosa 45 (2009), pp.311-40.
[6] Cfr. Bernard Peyrous, Histoire de la spiritualité chrétienne, Paris, Ed.de l’Emmanuel, 2010, pp. 173-79.
[7] Cfr. Grandezze di Gesù, Discorso 9 (traduzione mia [Sabino Paciolla]).
[8] Cfr. Grandezze di Gesù, Discorso 8 (traduzione mia).
[9] Cfr. Grandezze di Gesù, Discorso 9 (traduzione mia).
[10] Cfr. Grandezze di Gesù, Discorso 8 (traduzione mia).
[11] Cfr. Grandezze di Gesù, Discorso 10 (traduzione mia).
[12] Cfr. Grandezze di Gesù, Discorso 10 (traduzione mia).
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