martedì 25 gennaio 2022

La vera sinodalità nella Chiesa: percorrere insieme la strada che è Gesù, via, verità e vita





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Dal blog Duc in altum di Aldo Maria Valli




di monsignor Héctor Aguer*

Recentemente nella basilica di San Pietro è stata inaugurata la XVI sessione del sinodo dei vescovi. Fin dalla sua nascita, per volontà di Paolo VI, il sinodo è diventato praticamente un’istituzione del governo ecclesiale. Ma si tratta di una risorsa a cui la Chiesa ha fatto ricorso molte volte lungo la sua storia, fin dall’antichità, nelle diverse regioni e province ecclesiastiche. Anche se scopo di questo scritto non è fare un trattato sulla storia dei sinodi, sottolineo che il sinodo è un riflesso della vita ecclesiale che appassiona e permette di apprezzare l’organizzazione delle Chiese locali e le loro relazioni, un’ammirevole ricchezza della Chiesa cattolica. Lungo la storia la convocazione di un sinodo cercava di affrontare situazioni difficili, di crisi, facendo fronte alle distorsioni della fede. Non è stata un’invenzione stravagante, ma è nata in modo naturale, come espressione del fatto che la Chiesa di Cristo è una comunione.

La stessa parola sinodo esprime il cammino della storia della Chiesa in quanto comunione. Deriva dal greco, il che indica anche l’origine antica e orientale di questa istituzione. Sinodo è syn-hodós: la preposizione o l’avverbio syn, cioè con, è posta prima del sostantivo hodós, cammino. Quindi è un percorrere insieme la strada. Il termine greco è femminile e si potrebbe quindi tradurre anche come la via. Ed era proprio così che, durante le assemblee sinodali, dopo studi e dibattiti, si prendevano decisioni congiunte: lungo un percorso.


L’episcopato, successore degli apostoli di Gesù, esercitava il compito che gli era stato attribuito, quello di vegliare (skopeîn: guardare dall’alto per poter vedere come si svolgono le cose e giudicarle con autorità). Il servizio o ministero del vescovo è quello di sentinella, espressione di amore per Cristo e il suo popolo. Su questo abbiamo bei documenti nelle esortazioni post-sinodali dei grandi pontefici san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. È il vescovo di Roma, sommo pontefice della Chiesa universale, che ha il compito di presiedere questa istituzione. È lui, il papa, che indica i temi e gli atteggiamenti pastorali. Nell’annunciata XVI riunione del sinodo dei vescovi, durante la messa di apertura, il sommo pontefice ha ribadito le sue già note linee guida. Ha detto ancora una volta che la Chiesa non deve essere «asettica», ma «attaccata alla realtà e ai suoi problemi»; deve addentrarsi nei «percorsi accidentati» della vita nel mondo, essere pronta per «l’avventura del cammino», non temere di fronte all’incertezza, né rifugiarsi in scuse giudicando che qualcosa di nuovo non serve perché «si è sempre fatto così». Ha auspicato, come riportato dai media, «una Chiesa che affronti le sfide del mondo moderno».


Questo linguaggio si ripete da almeno mezzo secolo, un tempo in cui è innegabile che la Chiesa sia caduta in una notte terrificante, salvo brevi e locali lampi di luce che ci permettono di sostenere la speranza nell’azione di Dio e nella sua misteriosa provvidenza. I pontificati di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno diligentemente custodito questi splendori. Ma questo fa ormai parte del passato.

L’organizzazione approvata durante il vertice di Roma per il XVI sinodo includerà, come annunciato, una fase di consultazione con i fedeli per la quale verrà inviato un questionario a ciascuna diocesi. Ho anche sentito parlare di una specie di sinodo generale di tutta la Chiesa, simile a un parlamento permanente. Nel frattempo, non si parla più di Gesù Cristo e non viene neanche rivendicata la conversione alla Verità e alla Grazia. I peccati che vengono denunciati sono la costosissima proliferazione delle armi, la distruzione della natura, la deforestazione, la negligenza che favorisce il cambiamento climatico, e più recentemente si è insistito sull’obbligo morale di vaccinarsi contro il Covid.


La Chiesa è rimasta intrappolata in un moralismo razionalista d’ispirazione kantiana, mentre Dio, il mistero di Cristo e la sua opera salvifica sono finiti sotto l’influsso della Ragione Pratica.

È terribile la responsabilità in cui incorrono i pastori della Chiesa quando non invocano più la conversione con fervore apostolico. È molto doloroso constatare, da questo angolo desolato dell’Argentina, che quell’amore fervente che trasmette la Parola non arriva dalle grandi chiese della Riforma – più rovinate di quella cattolica – ma da qualche pastore appartenente alla chiesa evangelica.


È vero che questa predicazione evangelica include un certo fondamentalismo ed eccessi pseudocarismatici, ma almeno fa risuonare la Verità in un mondo nel quale il peccato regna indisturbato: Gesù verrà di nuovo, nella gloria, per il giudizio del mondo e la conclusione della storia. È la realtà proclamata nel Credo niceno: «Et iterum venturus est cum gloria iudicare vivos et mortuos, cuius Regnum non erit finis». È la verità che si deve credere nell’umile fervore della fede, senza incorrere in sciocchezze millenariste, perché solo Dio sa quando. Nel frattempo avviene il mistero della salvezza, che dobbiamo offrire incessantemente a ogni uomo e ad ogni donna. Il moralismo freddo e improduttivo, e le imprecazioni per il suo fallimento, hanno bisogno di essere vivificati dalla grazia dell’amore, perché senza di essa non si potrà ottenere alcun effetto. L’apparato politico della Chiesa, ormai piegato alla «correttezza» che regna nel mondo, sarà un peso insopportabile se non assolverà al compito che il Signore risorto, prima di ritornare al Padre, ha affidato agli apostoli.


Sinodo: percorrere insieme la strada, ma quale? La Chiesa moderna (o meglio modernista) sottolinea il syn: ciò che conta è lo stare insieme. Ma dove ci porta questo cammino? Nella conversazione che ha con i suoi discepoli durante l’Ultima Cena, Gesù cerca di spiegare il suo ritorno al Padre; Egli dice che va a preparare un posto per loro: nella Casa del Padre ci sono molte dimore; sapete già dove sto andando e conoscete la strada. Tommaso gli domanda: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli risponde Gesù: «Io sono la via (ἐγώ εἰμι ἡ ὁδὸς), la verità e la vita» (Gv. 14,6). Come sottolineano diversi Padri della Chiesa, egli è la Via che dà accesso al fine che è lui stesso come Verità e Vita.

Sinodo: percorrere insieme la strada che è Gesù. Questo è il cammino che la Chiesa deve annunciare con piena convinzione e amore, liberandosi del moralismo che l’imprigiona e rinchiude nell’atmosfera soffocante della Ragione Pratica. E deve guidare il mondo su questa Via, che è l’unica che ha un’uscita, contemplandola con gioia e amore. Per questo le è stato affidato di trasmettere il mistero soprannaturale della fede.

*arcivescovo emerito di La Plata, Argentina

Fonte: infocatolica.com

Titolo originale: La sinodalidad de la Iglesia

Traduzione di Valentina Lazzari







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