Accuse infamanti, che però infamano più l'accusatore che l'accusato.
Colpisce vedere il Pontefice più attivo nella lotta alla piaga dei ministri indegni lasciato solo a difendersi su atti risalenti agli anni Settanta. In uno dei dossier gli stessi esperti dicono che il teologo «deve essere scagionato». Negli altri i colpevoli vengono allontanati o condannati.
Il rapporto tedesco che chiama in causa il Papa emerito quando era arcivescovo di Monaco di Baviera (1978-1981) non presenta nessuna chiara prova di negligenza. Ma si limita al «non poteva non sapere». Anche nei casi in cui egli punì i sacerdoti pedofili.
di Lorenzo Bertocchi
Lo zeitgeist, lo spirito del tempo, come dicono i tedeschi. È questo forse il mistero di iniquità che spinge l'accanirsi contro Benedetto XVI? Oppure anche Joseph Ratzinger è veramente colpevole di non aver agito «in modo appropriato» di fronte a casi di abuso? Le accuse contenute nel rapporto dello studio legale Westpfahl SpilkerWastl di Monaco di Baviera contro Benedetto XVI riguardano quattro casi che risalgono agli anni in cui Ratzinger era appunto arcivescovo di Monaco e Frisinga, dal 1977 al 1981. Chi ha letto il rapporto, e non si è limitato ad ascoltare la conferenza stampa dell'altro ieri, comincia a sollevare qualche dubbio sul senso di tutto questo.
Il Papa emerito viene accusato per quattro casi, il primo è il «n. 22» di quelli presi in esame e riguarda un prete che era stato condannato al carcere negli anni Sessanta per pedofilia omosessuale. Una volta rilasciato, il predecessore di Ratzinger, il cardinale Julius Dopfner, lo aveva trasferito all'estero ma poi, durante il mandato di Ratzinger, questo prete aveva chiesto di rientrare a Monaco per potersi ritirare lì. Secondo il rapporto, il Papa emerito non poteva non conoscere il soggetto perché ha trascorso vacanze nella sua ex parrocchia, inoltre al pensionamento gli aveva dato «il titolo onorario di parroco».
Come riporta lo scrittore e giornalista tedesco Michael Hesemann nella sua disamina del caso pubblicata su Kath.net, qui cominciano le assurdità. Ogni sacerdote in pensione che è stato parroco è un «parroco in pensione», senza bisogno di dare nessun titolo onorifico che, infatti, non gli è stato dato, ma al momento del pensionamento a fianco del suo nome, il vicario generale della diocesi ha scritto ciò che era. Altra strana vicenda è quella della vacanza, perché, sempre nella ricostruzione di Hesemann, risulta che Ratzinger abbia passato il periodo in questione nell'agosto del 1982, ossia quando si era già dimesso da vescovo di Monaco per trasferirsi a Roma. Ora, se anche Ratzinger in quell'occasione avesse appreso qualcosa dei fatti riguardanti la vita precedente del colpevole, di certo non avrebbe potuto influenzare le sue decisioni di anni prima, inoltre è quantomeno discutibile che Ratzinger, negli anni precedenti, avesse saputo perché il sacerdote era stato mandato all'estero (peraltro lui stesso lo nega). Anche gli esperti, su questi fatti, hanno dovuto scrivere che il Papa emerito deve essere «scagionato sotto questo aspetto nel suo insieme».
Il secondo caso è il «n. 37». Si tratta di un prete condannato per «tentata fornicazione con bambini e reato (sessuale)» durante il periodo del predecessore di Ratzinger, il già citato cardinale Dopfner, nei primi anni settanta. Benedetto XVI dice di non essere stato pienamente informato del caso, e durante il periodo di mandato di Ratzinger lo stesso sacerdote viene condannato per atti osceni. Il prete resta al suo posto e viene messo in trattamento psichiatrico a Monaco, ma dopo circa un anno ricade sempre in atti esibizionistici, a quel punto viene allontanato dal ministero pastorale. Successivamente è diventato insegnante in una scuola, dove, secondo la testimonianza del preside, il soggetto sì è comportato in modo irreprensibile. Anche in questo caso, è difficile sostenere che l'allora .arcivescovo abbia compiuto illeciti o sia stato negligente (negli anni Settanta si credeva che l'esibizionismo e la pedofilia fossero curabili con trattamento psichiatrico).
Il terzo caso «n. 40» riguarda un sacerdote di una diocesi non tedesca condannato nel suo paese di origine con la condizionale per abusi su minori. Lo zio vescovo di questo prete decide di allontanarlo dal paese di origine chiedendo di poterlo mandare a Monaco per continuare gli studi, richiesta che viene accolta dalla diocesi retta da Ratzinger. Quando fu osservato in atteggiamenti compromettenti cercando di insinuare dei chierichetti, senza che fossero compiuti abusi in senso stretto, fu allontanato dalla parrocchia in cui si trovava. Il rapporto insinua, senza indicare una prova, che il Papa emerito non poteva non sapere del passato di questo sacerdote, ma si deve riconoscere che la diocesi retta da Ratzinger ha agito tempestivamente alla prima prova.
Il quarto caso, denominato «n. 42», riguarda un prete condannato per aver scattato «fotografie oscene» a ragazze sotto i 14 anni. Una volta informato, Ratzinger decise di assegnare il soggetto a una casa di riposo e a un ospedale, anche se il parroco che lo accettò nella parrocchia lo lasciò anche celebrare. Il trasferimento non può di certo essere considerato come atteggiamento di «indifferenza» da parte di Ratzinger sui fatti, anche perché qui non vi sono atti sessuali o abusi in questione.
Sulla base dì questi elementi quindi si consuma il processo a Ratzinger, un uomo di 94 anni che da cardinale e da Papa è stato tra l'altro il più deciso avversario della mala pianta degli abusi nella Chiesa. E sempre tenendo fermo anche il criterio fondamentale, cioè che non si può misurare un tempo passato con i criteri della realtà attuale, le accuse a Joseph Ratzinger sembrano sgonfiarsi e assomigliare sempre di più a un attacco diretto al Papa emerito. Il quale è stato sempre considerato come il nemico del progresso, «il rottweiler di Dio», ma in realtà è stato la spina nel fianco delle teologie à la page, delle filosofie vuote e delle politiche senza criterio. È questo che non piace allo zeitgeist? Sarà per questo che a Joseph Ratzinger viene chiesto di camminare sull'orlo di un duplice abisso, da una parte quello ripugnante della piaga degli abusi del clero e, dall'altra il mistero di iniquità che ih qualche modo scuote i tempi nostri e la Chiesa.
di Lorenzo Bertocchi
Lo zeitgeist, lo spirito del tempo, come dicono i tedeschi. È questo forse il mistero di iniquità che spinge l'accanirsi contro Benedetto XVI? Oppure anche Joseph Ratzinger è veramente colpevole di non aver agito «in modo appropriato» di fronte a casi di abuso? Le accuse contenute nel rapporto dello studio legale Westpfahl SpilkerWastl di Monaco di Baviera contro Benedetto XVI riguardano quattro casi che risalgono agli anni in cui Ratzinger era appunto arcivescovo di Monaco e Frisinga, dal 1977 al 1981. Chi ha letto il rapporto, e non si è limitato ad ascoltare la conferenza stampa dell'altro ieri, comincia a sollevare qualche dubbio sul senso di tutto questo.
Il Papa emerito viene accusato per quattro casi, il primo è il «n. 22» di quelli presi in esame e riguarda un prete che era stato condannato al carcere negli anni Sessanta per pedofilia omosessuale. Una volta rilasciato, il predecessore di Ratzinger, il cardinale Julius Dopfner, lo aveva trasferito all'estero ma poi, durante il mandato di Ratzinger, questo prete aveva chiesto di rientrare a Monaco per potersi ritirare lì. Secondo il rapporto, il Papa emerito non poteva non conoscere il soggetto perché ha trascorso vacanze nella sua ex parrocchia, inoltre al pensionamento gli aveva dato «il titolo onorario di parroco».
Come riporta lo scrittore e giornalista tedesco Michael Hesemann nella sua disamina del caso pubblicata su Kath.net, qui cominciano le assurdità. Ogni sacerdote in pensione che è stato parroco è un «parroco in pensione», senza bisogno di dare nessun titolo onorifico che, infatti, non gli è stato dato, ma al momento del pensionamento a fianco del suo nome, il vicario generale della diocesi ha scritto ciò che era. Altra strana vicenda è quella della vacanza, perché, sempre nella ricostruzione di Hesemann, risulta che Ratzinger abbia passato il periodo in questione nell'agosto del 1982, ossia quando si era già dimesso da vescovo di Monaco per trasferirsi a Roma. Ora, se anche Ratzinger in quell'occasione avesse appreso qualcosa dei fatti riguardanti la vita precedente del colpevole, di certo non avrebbe potuto influenzare le sue decisioni di anni prima, inoltre è quantomeno discutibile che Ratzinger, negli anni precedenti, avesse saputo perché il sacerdote era stato mandato all'estero (peraltro lui stesso lo nega). Anche gli esperti, su questi fatti, hanno dovuto scrivere che il Papa emerito deve essere «scagionato sotto questo aspetto nel suo insieme».
Il secondo caso è il «n. 37». Si tratta di un prete condannato per «tentata fornicazione con bambini e reato (sessuale)» durante il periodo del predecessore di Ratzinger, il già citato cardinale Dopfner, nei primi anni settanta. Benedetto XVI dice di non essere stato pienamente informato del caso, e durante il periodo di mandato di Ratzinger lo stesso sacerdote viene condannato per atti osceni. Il prete resta al suo posto e viene messo in trattamento psichiatrico a Monaco, ma dopo circa un anno ricade sempre in atti esibizionistici, a quel punto viene allontanato dal ministero pastorale. Successivamente è diventato insegnante in una scuola, dove, secondo la testimonianza del preside, il soggetto sì è comportato in modo irreprensibile. Anche in questo caso, è difficile sostenere che l'allora .arcivescovo abbia compiuto illeciti o sia stato negligente (negli anni Settanta si credeva che l'esibizionismo e la pedofilia fossero curabili con trattamento psichiatrico).
Il terzo caso «n. 40» riguarda un sacerdote di una diocesi non tedesca condannato nel suo paese di origine con la condizionale per abusi su minori. Lo zio vescovo di questo prete decide di allontanarlo dal paese di origine chiedendo di poterlo mandare a Monaco per continuare gli studi, richiesta che viene accolta dalla diocesi retta da Ratzinger. Quando fu osservato in atteggiamenti compromettenti cercando di insinuare dei chierichetti, senza che fossero compiuti abusi in senso stretto, fu allontanato dalla parrocchia in cui si trovava. Il rapporto insinua, senza indicare una prova, che il Papa emerito non poteva non sapere del passato di questo sacerdote, ma si deve riconoscere che la diocesi retta da Ratzinger ha agito tempestivamente alla prima prova.
Il quarto caso, denominato «n. 42», riguarda un prete condannato per aver scattato «fotografie oscene» a ragazze sotto i 14 anni. Una volta informato, Ratzinger decise di assegnare il soggetto a una casa di riposo e a un ospedale, anche se il parroco che lo accettò nella parrocchia lo lasciò anche celebrare. Il trasferimento non può di certo essere considerato come atteggiamento di «indifferenza» da parte di Ratzinger sui fatti, anche perché qui non vi sono atti sessuali o abusi in questione.
Sulla base dì questi elementi quindi si consuma il processo a Ratzinger, un uomo di 94 anni che da cardinale e da Papa è stato tra l'altro il più deciso avversario della mala pianta degli abusi nella Chiesa. E sempre tenendo fermo anche il criterio fondamentale, cioè che non si può misurare un tempo passato con i criteri della realtà attuale, le accuse a Joseph Ratzinger sembrano sgonfiarsi e assomigliare sempre di più a un attacco diretto al Papa emerito. Il quale è stato sempre considerato come il nemico del progresso, «il rottweiler di Dio», ma in realtà è stato la spina nel fianco delle teologie à la page, delle filosofie vuote e delle politiche senza criterio. È questo che non piace allo zeitgeist? Sarà per questo che a Joseph Ratzinger viene chiesto di camminare sull'orlo di un duplice abisso, da una parte quello ripugnante della piaga degli abusi del clero e, dall'altra il mistero di iniquità che ih qualche modo scuote i tempi nostri e la Chiesa.
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